V A M P I R O    I N    A F F I T T O

 

 

 

 

 

 

            Incontrai il mio cliente in un bar squallido e sgradevole. Non perché mi piacciano posti del genere, ma perché è ciò che solitamente si aspettano i clienti quando assoldano un killer – oppure, nel mio caso, una killer.

            Le mie narici si dilatarono quando aprii la porta ed entrai. Il posto puzzava di birra stantia, sudore stantio, sigarette stantie e vite stantie. Anche se era un sabato sera tardi, orario di punta per un bar, il locale era praticamente vuoto. Come lasciavano intendere le motociclette parcheggiate fuori, c'era una manciata di motociclisti con le loro ragazze che bazzicavano attorno al biliardo. Al bar vero e proprio c'erano due uomini che avevano la parola "perdente" praticamente tatuata in fronte. Entrambi sembravano infelicemente ubriachi.

            Ricordatemi un po' perché scelgo questo posto per gli incontri? Oh, sì. Per l'atmosfera.

            Riuscii a sentire l'odore del mio cliente dall'altro lato della stanza. Non perché puzzava, ma perché sembrava si fosse fatto una doccia nell'ultima settimana, che era molto più di quanto si potesse dire degli altri clienti di questo ambiente elegante. Essere un vampiro ha i suoi vantaggi, ma il senso dell'olfatto così sviluppato è qualcosa a cui rinuncerei volentieri.

            Il mio cliente occupava uno dei privée piuttosto insalubri del bar. Era molto più giovane e delicato di quanto mi aspettassi. Poteva avere tra i 22 e i 23 anni. Sebbene si fosse vestito alla buona per incontrarmi lì, i jeans sembravano quelli scoloriti artificialmente e la T-shirt bianca aveva ancora le pieghe della confezione. Scommetto che di solito indossava dei completi, o comunque un abbigliamento giunge firmato.

            Il suo odore mutò quando mi vide arrivare: un delizioso bouquet composto da paura e muschio, uniti a un costoso dopobarba. Senza dubbio, se avesse saputo che ero un vampiro e non una banale killer, sarebbe scappato dalla sala gridando. Naturalmente io mi ero vestita per la parte. Non c'era motivo di scegliere una bettola se poi mi presentavo come la signorina Normalità. Se non avessi trasmesso quella speciale vibrazione vampiresca del tipo "non fate caso a me" a tutti gli altri, eccetto che al mio cliente, tutti i ragazzi del bar mi sarebbero stati addosso, nella vana speranza di finire a letto con me.

            Pantaloni in pelle, tacchi a spillo e una bella scollatura. Ci cascano sempre. Il mio cliente – o piuttosto dovrei dire il mio potenziale cliente, perché non mi aveva ancora ufficialmente ingaggiata – deglutì lentamente quando sgattaiolai nel privée di fronte a lui. Non sono sicura se fosse per desiderio o per paura.

            Sorrisi sorniona e allungai la mia mano sul tavolo. "Gemma Johanson al tuo servizio", dissi, e lui mi strinse la mano come un bravo bambino. Avrei potuto scegliere lo stereotipato sguardo glaciale psicotico, ma pensai che questo ragazzo era già abbastanza scosso. Non serve a nulla far scappare i clienti!

            Lui si schiarì la voce: "Ciao. Sono Jeffrey. Reeves.

            Io sollevai un sopracciglio: "Questo l'avevo capito".

            Persino con il buio del bar, vidi il rossore che saliva su per il suo collo e affiorava alle guance. "Scusa. Non l'ho, uhm, mai fatto prima".

            Ma non mi dire? "Perché non mi parli dell'incarico?", lo sollecitai, perché se avessi aspettato che fosse lui ad arrivare al punto, sarei stata lì tutta la notte.

            Gli occhi di Jeffrey guizzarono nervosamente per il bar, ma nessuno prestava attenzione a noi. Si sporse sul tavolo e sussurrò: "Voglio assoldarti per uccidere una persona".

            Apparentemente il mio futuro cliente aveva un talento speciale per puntualizzare l'ovvio. Gli feci un gesto per indicargli di continuare a parlare.

            Lui si passò la lingua sulle labbra e poi fece un respiro profondo. Questo sembrò calmarlo un po'. "Si tratta del mio patrigno", disse lui curvando le labbra – credo inconsapevolmente – per il disgusto. "Si chiama Ross Blackburn ed un assassino figlio di puttana che merita di morire".

            Il linguaggio corporeo di Jeffrey cambio completamente, e la paura e l'incertezza vennero sepolte sotto la rabbia che ora lo colmava. Le sue mani erano chiuse in un pugno, le spalle si erano irrigidite e riuscivo a sentire il battito arrabbiato del suo cuore. Devo ammetterlo, era piuttosto sconcertante. Mi era sembrato così tenero e innocuo quando l'avevo visto. Ora sembrava una persona che stava seriamente prendendo in considerazione di fare lui stesso il colpo.

            "Ok", dissi io senza davvero preoccuparmi se Ross Blackburn meritasse o meno di morire. Non ero mai stata assunta per uccidere qualcuno che non se lo meritasse, in un modo o nell'altro. Ero stata molto chiara con Miles, il mio contatto – o il mio pappone, come si definiva lui ridendo –, che non avrei ucciso nessun passante innocente che si trovava per caso nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sono sicura che affidava lavori di qual tipo a qualcun altro, ma fintanto che non lo venivo a sapere, riuscivo a giustificare il fatto di lasciarlo vivere.

            Jeffrey sembrò sorpreso dalla velocità con cui accettai.

            "Tu, uh, non hai bisogno di sapere altro?". La rabbia si era prosciugata velocemente come era arrivata. Ora lui aveva lo sguardo perso e vagamente patetico che gli avevo visto all'inizio.

            "Mi serve un indirizzo. E un acconto, naturalmente".

            Deglutì di nuovo. "Sì. Certo". Si chinò in avanti mentre ripescava il portafoglio dalla tasca posteriore. "Quando… lo farai?".

            Ero piuttosto sicura che Miles gli avesse spiegato il mio modus operandi quando Jeffrey lo aveva contattato (E se fossi stata più ficcanaso, sarebbe stato interessante sapere come aveva fatto questo ragazzino a trovare Miles). Ma lui sembrava troppo scosso e nervoso per ricordarsene, perciò fui cortese e gli risposi. Fece scivolare una sottile busta sul tavolo verso di me.

            "Entro le prossime due settimane lui scomparirà, senza lasciare traccia". verificai l'importo sull'assegno circolare all'interno della busta. poi alzai lo sguardo e colsi Jeffrey in una delle sue occhiate più minacciose. "Se è per l'eredità che lo uccidi, dovrai attendere  a lungo prima che venga dichiarato morto. Il suo corpo non verrà mai trovato".

            Lui rabbrividì. "Non mi interessano i soldi. Lo voglio morto e basta". Vi fu un luccichio di lacrime nei suoi occhi, ma non ne versò nessuna.

            Di solito non mi piaceva fare domande ai clienti. Mi fidavo di Miles – più o meno –, speravo che non mi rifilasse vittime innocenti e, ehi, visto che dovevo comunque mangiare, tanto valeva farsi pagare per farlo. Ma forse con la vecchiaia mi stavo ammorbidendo. Non riuscivo ad evitare di sentirmi un pochino incuriosita, vedendo come questo ragazzo non somigliava affatto ai miei soliti clienti.

            "Cosa ha fatto?", chiesi. Credo che Jeffrey si sentì sollevato nel potermelo dire.

            "Ha ucciso mia madre". L'angoscia nella sua voce mi fece intuire che il dolore era ancora fresco. "L'ha sposata per i soldi perché sapeva che era già malata. Poi, visto che il cancro non la uccideva abbastanza velocemente, l'ha avvelenata".

            Ok. Non si trattava decisamente del mio solito caso. So di aver detto che non mi interessano i dettagli, ma non riuscii a evitare di stuzzicarlo un pochino. "E lo hai raccontato alla polizia?".

            Lui fece un gesto liquidatorio con la mano "Tutti dicono che è morta per cause naturali, ma io so la verità. Le rimanevano altri due anni, e invece sei mesi dopo aver sposato questo stronzo, è morta. E lui ha avuto metà dei suoi beni".

            Immagino sembrasse un po' sospetto, quanto meno per un figlio addolorato. Infilai la busta con l'assegno nel mi taccuino, chiedendomi se dopotutto non avrei finito per uccidere una persona innocente.

            Ma poi mi rianimai. Avevo due settimane per ucciderlo e (a dire il vero) provavo un divertimento quasi felino nel giocare con al preda. Con un'indagine un po' più accurata, avrei scoperto io stessa se Ross aveva ucciso o meno la moglie. Se fosse saltato fuori che non l'aveva fatto, allora il piccolo Jeffrey sarebbe stato il piatto del mese. Di solito non è mia abitudine uccidere i clienti – Miles non è d'accordo su questo – ma pensai che avrei fatto un'eccezione se fosse saltato fuori che mi aveva assunta mentendo. In ogni caso la morte di Jeffrey non sarebbe mai stata attribuita a me.

            "Dammi due settimane", dissi allungando la mano sul tavolo per stringere nuovamente la sua. "Dopodiché, non dovrai più preoccuparti di lui".

 

 

 

 

 

            Dopo che Jeffrey se ne fu andato, sgattaiolai di nuovo dentro e presi posto al bar, accanto a uno dei perdenti ubriachi che avevo notato prima. Era un tipo talmente penoso, che forse non avrei avuto bisogno dei miei poteri persuasivi sovrannaturali per fargli fare quello che volevo, ma non avevo intenzione di rimanere in quella bettola più del necessario. Nell'istante in cui riuscii ad attirare la sua attenzione – cosa non facile, visto che la sua tequila era molto più interessante – lo incantai con il mio sguardo. Nessuno prestava attenzione a noi e lo attirai nel sudicio bagno unisex. A giudicare dal sapore che aveva, direi che c'era più alcool che sangue che scorreva nelle sue vene, e giuro che dopo aver bevuto mi sentii un po' alticcia. No, non l'ho ucciso. Anche se devo nutrirmi ogni sera, ho necessità di uccidere solo ogni paio di settimane, per ricaricare le batterie psichiche. Se non mi ricarico, il mio corpo lentamente avvizzisce e muore: per questo la mia attività lavorativa fa davvero comodo.

            Dopo essere uscita, e aver fatto un breve, oscuro e disgustoso pisolino per farmi passare la sbronza, decisi di fare un primo sopralluogo a casa del mio bersaglio. Era già mezzanotte passata, perciò non mi aspettavo di fare più di una toccata e fuga, solo per familiarizzare con  il quartiere. Ma quando arrivai lì, le luci illuminavano tutta la casa.

            Parcheggiai l'auto (una Camry marrone volontariamente anonima) a lato della strada e diedi un'occhiata in giro.

            Era un bel quartiere, tipico esempio dell'America suburbana benestante. Ogni casa occupava, a occhio, circa 4000 metri quadri. Molte di esse erano riparate dalla strada grazie a giardini generosamente alberati sul davanti. Benestanti, ma non ultra benestanti, se capite cosa  intendo. Si trattava di case, non di ville. Mi accigliai un poco e mi chiesi se una persona che viveva in quel quartiere avesse davvero così tanti soldi da poter allettare un uomo, al punto da convincerlo a sposarla e poi assassinarla. Io avrei pensato di no, ma del resto in tutto il mondo i soldi inducono la gente a fare cose idiote.

            Cominciò a piovere, un vigoroso acquazzone estivo che poteva durare cinque minuti, come cinque ore. Presi d'impulso la decisione di incontrare la mia imminente vittima quella notte stessa.

            Per niente al mondo sarei uscita sotto la pioggia con i miei costosi pantaloni in pelle. Fortunatamente, avevo l'abitudine di portare una sacca da viaggio con un cambio di vestiti sul sedile posteriore. Torna comodo, visto che i miei pasti non sono proprio… puliti.

            La strada era deserta, chiunque avesse un po' di senno stava giù a dormire comodamente nel suo letto, perciò non mi preoccupai di essere osservata mentre mi cambiavo indossando i jeans e la T-shirt. La T-shirt era stata un regalo scherzoso di Miles. Era bianca, con la parola "MORDIMI" stampata in grassetto sul petto.

            Aprii con una spinta la portiera dell'auto e uscii sotto la pioggia. Ero completamente fradicia ancor prima di aver richiuso la portiera dietro di me. Fortunatamente era una notte confortevolmente calda.

            Sguazzai lungo il vialetto, verso la casa di Blackburn, lanciando occhiate in direzione delle finestre illuminate mentre mi avvicinavo, ma non vedevo la mia preda. Mi sarei molto incazzata, se mi fossi inzuppata solo per poi scoprire che lui non era affatto in casa. Suonai il campanello e poi sfruttai il portico coperto per sgrullare un po' di acqua dai miei capelli. La luce sul portico si accese e io notai che la mia maglietta bianca, a causa della pioggia, era diventata prevedibilmente trasparente. Il mio reggiseno di pizzo sottile fece sì che le mie doti fossero bene in vista. Non sono ciò che definireste una persona modesta, ma immaginai che avrebbe reso più credibile il mio travestimento da indifesa damigella in difficoltà se fingevo di esserlo e così incrociai le braccia sul petto mentre sentivo i passi avvicinarsi. Ingobbii persino un poco le spalle, come se avessi freddo.

            La porta si aprì e vidi per la prima volta Ross Blackburn.

            La mia impressione immediata fu che era fin troppo giovane per essere stato sposato a una donna sufficientemente matura da essere la madre di Jeffrey. Non gli avrei dato più di trent'anni esatti. La mia seconda impressine fu.. gnam gnam! Se fossi stata alla ricerca di un trastullo, mi sarei pulita la bava dalla bocca. Lo sguardo che lui mi lanciò – un'occhiata lunga, lenta, dall'alto in basso, seguita da un'alzata di sopracciglio e una smorfia di disprezzo – mi indicò che io non avevo fatto la stessa impressione. Sciolsi le braccia, apparentemente per liberarmi le mani e spostarmi i capelli dagli occhi. Devo ammettere, però, che rimasi leggermente seccata quando lui non lanciò nemmeno un'occhiata al mio seno.

            "Sì?", esortò lui, perché a quanto pare io ero rimasta lì a fissarlo a bocca aperta troppo a lungo.

            "Mi si è rotta la macchina", gli dissi sbattendo le ciglia. "Potrei usare il suo telefono per chiamare un carro attrezzi?". Le ciglia che sbattevano non sembravano suscitare più interesse delle mie tette. Dovevo aver perso il mio tocco.

            "Non ha un cellulare?", chiede Blackburn sollevando un sopracciglio.

            Che stronzo! Aveva questa donna indifesa, zuppa e sexy in piedi sulla soglia e a un orario impossibile, e fino a quel momento non aveva mostrato alcuna intenzione di invitarmi a entrare per togliermi dal freddo. Ok, non è che facesse proprio freddo, ma è il principio che conta.

            "L'ho lasciata a casa", dissi assicurandomi che notasse una punta di fastidio nella mia voce. "Senta, la sua è l'unica casa con le luci accese. Mi spiace disturbarla, ma se mi lascia fare una telefonata veloce, mi tolgo di mezzo in men che non si dica".

            Gli angoli della sua bocca si irrigidirono per il disappunto, ma si fece da parte e aprì la porta quanto bastava per farmi entrare. Un invito verbale sarebbe stato molto più carino, ma a quanto pare non l'avrei avuto. Strinsi i denti per questa sua potente resistenza mentre oltrepassavo la soglia. Il suo invito non verbale fu sufficiente a farmi entrare, ma non al punto da rendere l'esperienza piacevole. Fortunatamente, o io ero un'attrice talmente brava  da mascherare il mio disagio, oppure lui era impegnato a tenere il broncio per la mia intrusione indesiderata, visto che non sembrò notare gli sforzi che avevo dovuto fare per entrare.

            "Aspetti qui", mi ordinò e io avrei voluto dargli un pugno. Da dove gli veniva in mente di darmi ordini? Non ero mica la donna di servizio a ore! Pensai al caro piccolo Jeffrey e lasciai che un sorriso mi piegasse le labbra. Dopotutto, in un certo senso svolgevo davvero un servizio a ore.

            Blackburn non stette via a lungo. Prima che avessi la possibilità di guardarmi  intorno, riemerse da ciò che presumevo essere la toilette per signore, con un soffice asciugamano bianco. Per la prima volta mi resi conto che l'atrio era in legno duro, bellissimo e lucido e che ero così bagnata, che stavo gocciolando sul piccolo tappeto davanti alla porta.

            Presi l'asciugamano quasi con gratitudine, Immaginai di non poterlo biasimare perché non voleva che sgocciolassi sul legno duro.

            "Grazie", dissi mentre cominciavo a tamponarmi  l'acqua dai capelli.

            "Niente cellulare e niente ombrello", rifletté lui. "Sembrerebbe mal equipaggiata per questa uscita serale".

            Gli lanciai un'occhiata da sotto la mia frangetta. Onestamente non riuscivo a capire se stava facendo il cretino, oppure se quella per lui era una canzonatura bonaria. Solitamente sono più brava nel capire le persone.

            "Non ho nemmeno portato una macchina di riserva, un asciugacapelli o profilattici", feci spiritosa. "Sono impreparata per qualsiasi cosa, eccetto che per una tranquilla sera in casa".     

            Per la prima volta un accenno di buon umore balenò dai suoi occhi. Occhi, potrei aggiungere, che sembravano grigio fumo, e che sarebbero diventati blu se avesse indossato una camicia di quel colore. Gnam.

            "Non posso aiutarti con la macchina o l'asciugacapelli, ma se hai bisogni di profilattici, sentiti pure libera di chiedere". Il buon umore era arrivato fino alle labbra, che ora erano curvate a formare un sorriso accennato, ma veramente sexy. Per quanto potessi vedere, non aveva ancora incluso nel suo campo visivo la mia T-shirt bagnata.

            Mi sistemai l'asciugamano sulle spalle e sbirciai verso di lui, cercando di studiarlo. Notai la fede d'oro all'anulare. Avevo tralasciato di chiedere  a Jeffrey quanto tempo prima era morta sua madre, sebbene avessi intuito dal suo dolore così vivo che era stata una cosa recente. Pensai fosse notevole, tuttavia, che Blackburn continuasse a portare la fede. Se l'aveva sposata e assassinata per i soldi, avrebbe fatto a meno di indossare l'anello nella privacy della sua casa.

            Lui vide la direzione del mio sguardo e il sorriso scomparve. "La prego, perdoni i miei… modi stravaganti. Mia moglie è morta il mese scorso e non mi sono ancora ripreso".

            "Oh!". Trattenni il fiato fingendomi sorpresa. "Mi spiace davvero molto!". Allungai la mano per toccargli il braccio in un gesto di sensibilità femminile.

            Sembrava triste al punto giusto, ma era difficile  non consederare la battuta sui profilattici come un modo di flirtare. Naturalmente, alcuni uomini flirtano per istinto. Non necessariamente significa qualcosa.

            "Grazie", disse lui, divincolando gentilmente il braccio dalla mia presa. "Il telefono è da questa parte".

            Mi tolsi le scarpe da ginnastica bagnate e le lasciai sullo zerbino, poi seguii Blackburn prima in sala da pranzo e dopo in cucina. Mi indicò il telefono alla parete. Poi si sistemò davanti a me con le chiappe contro il bancone con il tagliere e mi osservò con intensità snervante mentre componevo il numero.

            "Sarà certo avvezza ad avere problemi con l'auto", disse lui.

            Io gli feci il broncio mentre l telefono cominciava a squillare. "Perché dice così?". Nell'istante in cui le parole mi uscirono di bocca, il mio cervello si mise in pari e mi resi conto di ciò che lui stava per dire.

            "Ha memorizzato il numero del carro attrezzi".

            Gli sorrisi mestamente. Mi stato lasciando eccitare e infastidire dal signor Ross Blackburn. Gli ormoni e i pensieri lucidi non vanno bene insieme. "La mia macchina è una merda", gli confidai. "Scusi il francesismo".

            Finalmente Miles rispose al telefono con il suo solito brusto: "Sììì?"

            "Salve", dissi io. "Sono Gemma Johanson. Ho bisogno di un carro attrezzi al…". Sollevai un sopracciglio nella direzione di Blackburn e lui mi disse l'indirizzo, che io ripetei ubbidiente.

            "Ah, è così", chiese Miles. Era abituato a chiamate del genere, sebbene di solito lo avvisavo prima della telefonata, facendogli sapere chi doveva impersonare.

            "Quanto tempo ci vorrà?"

            "Quanto tempo vorresti che ci mettessi?", controbatté lui.

            "Un'ora!" mi lamentai fingendomi sgomenta, e Miles esplose in una risata per la mia recitazione. "E' mezzanotte passata e sono bloccata in casa di un estraneo. Non può far venire qui qualcuno prima?"

            "Un'ora, eh? Immagino questo tizio morirò con il sorriso sulle labbra".

            Io sospirai con fare drammatico, desiderando che Miles la smettesse di pensare a cose sconce. Senza riflettere che stavo facendo lo stesso anche io. "Oh, d'accordo!", dissi con esagerata pazienza. "Ma non terrò sveglio il mio ospite per un'ora intera".

            Un altro scroscio di risate. "Sono sicuro che ne saresti capace".

            "Aspetterò fuori, sul portico. Sotto la pioggia. Perciò se potete arrivare prima, lo apprezzerei davvero". Avevo fatto l'attrice in passato, in un'epoca in cui la parola "attrice" era spesso un eufemismo per indicare una cosa completamente differente. Comunque, le mie capacità recitative mi impedirono di scoppiare a ridere per queste ripetute allusioni.

            Riappesi prima che Miles potesse fare un'altra battutina. Ero brava, ma non ero abbastanza presuntuosa da pensare di poter nascondere il mio umore divertito per sempre.

            Dall'altro lato della cucina, Blackburn mi osservava con un curioso mezzo sorriso sulle labbra e un luccichio negli occhi. Era quasi come se avesse sentito tutta la conversazione, ma ero certa che il volume al telefono non era stato sufficientemente alto. Il mezzo sorriso si allargò a formare un sorriso pieno.

            "Immagino si aspetti di farmi sentire assolutamente in colpa e che non la farò attendere sul portico, come ha suggerito all'uomo del carro attrezzi".

            , sì. Se lui avesse fatto attendere una donna da sola fuori in una notte buia e tempestosa, allora avrei giocato più del solito con la mia preda. E non avrebbe pensato che i miei giochi fossero divertenti.

            ", signor…?"

            "Blackburn", fece lui compiacente.

            Cosa? Nemmeno un invito a rivolgermi a lui con il suo nome di battesimo. Uxoricida o meno, era proprio un gran cretino.

            "Be', signor Blackburn", cominciai di nuovo e persino alle mie orecchie la mia voce sembrò leggermente tesa. "Non dirò in giro del suo cuore gentile e della sua generosità se mi fa aspettare fuori. Tuttavia, è casa sua, sta a lei decidere". Gli lanciai uno sguardo provocatorio, per sfidarlo a dimostrare quanto sapesse essere gentiluomo.

            Non potevo crederci, lui stette al gioco. "Sono lieto che lei sia così comprensiva", disse. "Stavo per andare a dormire". Sbadigliò, anche se scommetto che era stanco esattamente quanto me – vale a dire per niente. "Sebbene non sia mio costume lasciare una bella donna fuori al freddo, per così dire, domattina devo svegliarmi presto. Tuttavia, c'è una sedia a dondolo sul portico e le assicuro che è piuttosto confortevole. Vorrebbe una tazza di caffè mentre attende? Credo di poter tenere gli occhi aperti abbastanza a lungo da preparargliene un po'".

            Avevo la netta impressione che mi stesse prendendo in giro, sebbene non trapelasse dalla sua espressione. Considerai la possibilità di assestargli un pugno sui denti. Poi considerai la possibilità di ucciderlo seduta stante. Ma una morte veloce sarebbe stata troppo bella per lui.

            "Mi spiace rifiutare un'offerta così generosa", dissi io in tono di scherno per assicurarmi doppiamente che cogliesse il mio sarcasmo, "ma credo che salterò il caffè. Mi dispiacerebbe distoglierla ancora dal suo sonno salutare". Mi voltai di scatto e uscii a grandi falcate dalla cucina. Sebbene i suoi passi fossero silenziosi e furtivi, sapevo che mi stava seguendo fino alla porta. Per potermi sbattere fuori meglio con un calcio nel sedere, immaginavo. Bastardo.

            Speravo che non mi uscisse il fumo dalle orecchie mentre mi chinavo per riprendere le mie scarpe bagnate dallo zerbino. "E' stato un vero piacere conoscerla, signor Blackburn", dissi io.

            "Il piacere è stato tutto mio", rispose lui tranquillo.

            Non osai voltarmi a guardarlo mentre aprivo la porta di scatto ed uscivo. Ero così incazzata che i denti aguzzi si stavano allungando. Normalmente non è così facile farmi uscire dai gangheri, ma non c'è nulla di meglio di un uomo affascinante che si comporta male per farmi ribollire il sangue. Che spreco di muscoli.

            La porta si chiuse dietro di me, senza che Blackburn si preoccupasse di salutare e, qualche attimo dopo, la luce del portico si spense. Le mie mani si chiusero a pugno lungo i fianchi. Non solo questo stronzo mi avrebbe fatto aspettare fuori sotto la pioggia a notte fonda, ma non mi avrebbe nemmeno lasciato la luce accesa.

            Resistendo all'impulso di scardinare la porta e affondare i miei canini nella spregevole gola di Ross Blackburn, mi accasciai sulla sedia a dondolo e mi sistemai per aspettare l'ora di tempo che ci voleva perché arrivasse il carro attrezzi – nel caso in cui Blackburn avesse avuto un attacco di insonnia per il senso di colpa, non volevo far saltare la mia copertura. Ma non passarono più di dieci minuti, che tutte le luci della casa si spensero una ad una.

            E' facile per un vampiro sentirsi sopraffatto dalla noia mentre gli anni, i decenni e persino i secoli scorrono. Quelli tra noi che hanno attraversato vari secoli e apprezzano ancora la vita, lo fanno continuando a imparare, crescere e cambiare, ed è per questo che negli ultimi dieci anni o giù di lì ero diventata un'esperta di Internet. Tornava anche utile nel mio lavoro.

            Passai il resto della "giornata" (ovvero le ore del buio) a scoprire quanto più potevo su Ross Blackburn. Alcuni dei miei metodi erano assolutamente illegali, ma grazie alle mie storie furtive e creative (anche note come menzogne), ottenevo accesso a molti database ad uso esclusivo del personale delle forze dell'ordine. Utilizzavo tali risorse in modo implacabile e, poiché molte di esse erano a pagamento, ero anche piuttosto sconsiderata.

            Grazie al mio curiosare, avevo stabilito che il patrimonio della signora Blackburn probabilmente valeva circa un milione di dollari, inclusa la casa. Da un lato, certo, erano tanti soldi. D'altra parte, a Blackburn andava solo la metà. Se l'obiettivo era quello di trovare donne ricche da sposare e assassinare, avrebbe potuto mirare a una persona considerevolmente più ricca. E con il suo bell'aspetto, sarebbe stato un sicuro candidato come marito trofeo. Certo, non aveva esattamente la personalità giusta per quel ruolo.

            Ma ciò che mi aveva davvero convinta che Blackburn non l'aveva sposata per i soldi, era che lui era almeno dieci volte più ricco. Diavolo, praticamente si poteva dire che a stare con lei frequentasse i bassifondi. Avrei scommesso che né Jeffrey, né la compianta signora Blackburn avessero idea di quanti soldi avesse Ross. Naturalmente il denaro era solo uno dei possibili moventi del delitto e, sebbene non potessi dire di aver inquadrato bene la sua personalità, non c'era nulla in Blackburn che mi facesse dubitare che fosse capace di uccidere la moglie. E la morte della signora Blackburn era di certo sembrata inaspettata, o inspiegabile. Secondo l'autopsia che Jeffrey aveva insistito per fare, la causa della morte erano state delle complicazioni dovute alla chemioterapia. Ma questo a me sembrava un po' come dire "non ne abbiamo idea".

            La polizia aveva diligentemente investigato sulle accuse di assassinio mosse da Jeffrey, ma il caso era stato archiviato per mancanza di prove. Fortunatamente, avevo delle risorse – e alcune abilità – che mancavano alla polizia. Dopo il suo comportamento di quella notte, sarei stata più che felice di uccidere Ross Blackburn, assassino o no. Ma se lo fosse stato, mi sarei divertita molto di più.

            Dopo una giornata di sonno riposante, tornai a casa di Blackburn con freschi pretesti pronti per l'uso. Fui seccata al mio arrivo di trovare le luci spente. Che faccia tosta, non essere in casa quando volevo il! Parcheggiai l'auto e mentre mi chiedevo se aspettare, tornare dopo o fare un giro per la casa in assenza del proprietario, una BMW nera svoltò nel vialetto. I fari illuminarono un cartello nel giardino con scritto "IN VENDITA". O ero stata una pessima osservatrice la notte prima, oppure Blackburn aveva messo la casa in vendita proprio quel giorno. Interessante.

            Attesi dieci minuti dopo che si erano accese le luci in casa, prima di scivolare fuori dall'auto e dirigermi verso la sua porta. Preferivo che lui non sapesse che mi ero appostata lì fuori, anche se il pretesto di questa sera era presentarmi come un investigatore privato.

             Ci mise il suo tempo prima di rispondere. Smaniai un po', solo perché era bello andare in collera. Ma quando la porta si aprì, quasi dimenticai perché ero arrabbiata.

            Mi ro quasi convinta che non potesse assolutamente essere bello come lo ricordavo, ma eccolo lì. Gli spessi capelli neri erano ancora umidi dopo la doccia recente – che forse spiegava il suo ritardo nell'aprire la porta – e odorava di sapone Ivory e dentifricio alla menta. La camicia bianca era fuori dei pantaloni, era a piedi scalzi e non sarebbe potuto sembrare più sexy nemmeno se l'avesse fatto di proposito.

            Aveva però ancora quel suo difetto caratteriale. Non disse una parola, semplicemente mi fissò sollevando un sopracciglio e mostrando un ghigno leggermente beffardo sulle labbra. Aspettai un po' in attesa di un saluto, ma non arrivò.

            "Ti ricordi di me?", gli chiedi in modo piuttosto vacuo, temo.

            "Certamente. Come potrei dimenticare?". Continuava a ghignare.

            "Posso entrare?", gli chiesi con un sorriso che nelle intenzioni doveva essere piacevole. Non sono sicura che lo fosse.

            "Cosa faresti se ti dicessi di no?", mi rispose e per un momento ebbi la folle idea che mi avesse scoperta. Ma no, era davvero folle. La gente normale nemmeno crede ai vampiri, ancor meno crede di averne uno sulla soglia di casa.

            "Probabilmente qualcosa di veramente puerile, come suonare il campanello per quattro ore di fila. O forse mettere della carta igienica in giardino". Tra le varie cose.

            "Be', per carità, allora entra".

            Fece un passo indietro e un ampio gesto di invito con il braccio. Arrapante da morire, ma evitai di dirglielo. Notai che, sebbene mi avesse lasciato sufficiente posto per entrare,non era stato proprio generoso con lo spazio. Anche quando mi feci avanti e oltrepassai la soglia, rimase fastidiosamente vicino e non indietreggiò.

            Fu solo dopo che ebbe chiuso la porta dietro di me che lo notai. Era mascherato dal forte odore di dentifricio alla menta. Il lieve aroma del sangue.

            Sentii il mio cuore accelerare, preso improvvisamente dal panico. Se riuscivo a sentire il sangue nel suo alito, significava che dopotutto non mi stavo chiudendo dentro casa con un essere umano indifeso. Significava anche che Jeffrey aveva ragione e che Ross Blackburn era un assassino (da che pulpito!).

            Feci un respiro profondo, cercando di calmarmi. Poteva sentire l'odore della mia paura e, a meno che non avesse capito chi ero, non avrebbe saputo spiegarselo.

            Aveva forse capito tutto? Lo aveva sentito nel mio alito la sera prima? Aveva notato la mia esitazione nell'oltrepassare la porta?

            Tutti questi pensieri mi balenarono freneticamente in testa nel mezzo secondo che lui impiegò a chiudere la porta e poi a piombare improvvisamente su di me. Prima che lo potessi schivare, afferrò le mie braccia e mi spinse con la faccia contro al parete. Emisi un sussulto di dolore, mentre lui mi torceva un braccio dietro la schiena.

            Tutta la mia forza superiore di vampiro non serviva a nulla. Ross Blackburn era decisamente più grande e più forte di me, e il fatto che ero un vampiro non cambiava le cose. Dannazione!

            Essere immobilizzata ebbe un effetto positivo, seppure paradossale: dissipò la mia paura, che fu sostituita dalla rabbia. Mi costrinsi a non opporre più resistenza.

            "Credevo che fossi solo uno stronzo", dissi io, praticamente senza fiato. "Non mi ero resa conto che eri pure uno psicopatico".

            Lui premette con il corpo contro la mia schiena, immobilizzandomi ancor più contro il muro, mentre mi bisbigliava nell'orecchio: "Parole coraggiose per una donna che è rimasta sola in casa con uno psicopatico presumibilmente ostile", disse lui.

            Seguì con il naso la linea del mio collo e io immaginai che stesse annusando l'odore del mio sangue. Mi avrebbe fatto dannatamente male, se mi avesse morso, ma sapevo che non mi avrebbe uccisa. Ciò che non sapevo era se lui avrebbe capito dal gusto del mio sangue che non ero umana.

            Mi morsi il labbro intenzionalmente, quel tanto da succhiare un po' di sangue. Forse non era stata una cosa intelligente, visto che anche Blackburn lo avrebbe sentito, ma era troppo tardi per tornare indietro. Mi rigirai in bocca quell'unica goccia di sangue per cercare di determinare se avevo un sapore umano o meno. Credevo di sì, ma dopotutto il mio stesso sangue mi era certo familiare.

            "Sto aspettando la tua sagace replica", disse Blackburn, tirando il braccio un po' più su dietro la mia schiena.

            Mi uscì un sibilo per l'improvviso riacutizzarsi del dolore e lui dimostrò di non essere sadico, perché allentò immediatamente la presa.

            "Riesco a essere più spiritosa quando non ho la faccia sbattuta contro un muro", dissi io, domandandomi perché lui non l'avesse fatta finita mordendomi.

            Rise lievemente e questa volta, anziché andare su e giù per la mia carotide con il naso, lo fece con la lingua. Avrei dovuto provare una sensazione disgustosa e viscida, tuttavia mi sembrò vagamente erotico. Cercai di dire a me stessa che erano semplicemente dei giochetti mentali da vampiro, Ma questi non funzionavano sugli altri vampiri.

            "Dimmi perché sei qui", disse lui. "Se mi piace la risposta, potrei lasciarti andare".

            E sarebbe proprio un peccato, mi sussurrò una vocina nella testa. Ero sbigottita da me stessa. Quella non era una situazione sexy!

            "Hai ucciso tua moglie?", mi ritrovai a dire di getto. Alla faccia del voler giocare a fare l'investigatore privato freddo e sofisticato.

            "E' per questo che sei qui?", chiese incredulo. "Per scoprire se ho ucciso mia moglie?".

            Cercai di annuire, ma era difficile farlo nella mia posizione, così borbottai: "Sì".

            "E cosa avresti fatto scoprendo che ero stato io?".

            Immaginai che "Ti avrei ucciso ammazzato" forse non era una buona risposta.

            E così dissi: "Avrei chiamato al polizia".

            Lui sbuffò. "Storia credibile. E' per questo che il tuo 'servizio carro attrezzi' ha chiesto se sarei morto col sorriso sulle labbra?".

            Oops. Avevo dimenticato che con i suoi sensi sopraffini aveva sentito tutta la conversazione con Miles. Non mi meravigliai che dopo non mi avesse lasciata girovagare per casa sua. Mi imbronciai. Perché non mi aveva uccisa – o perlomeno non aveva cercato di uccidermi – la notte precedente?

            "Se devi uccidermi, fallo e basta", dissi io. Non stavo facendo progressi in quella situazione, quindi dovevo indurlo ad abbassare la guardia. Se mi avesse morso, forse avrei potuto calmarlo inducendogli un falso senso di sicurezza.

            "Sono tentato", mormorò lui e poi mi graffiò la pelle con i denti. Denti normali, non appuntiti. "Ma voglio sapere di più. E' stato Jeffrey ad assumerti?".

            A seguito di fattori che andavano oltre il mio controllo (ovvero, quando avevo bisogno di mangiare), c'erano volte in cui ero costretta a smarrire intenzionalmente la mia coscienza. Tuttavia, essa sembrava sempre ritrovare la strada per tornare da me. Non volevo che Jeffrey venisse ucciso, dal momento che aveva ovviamente avuto ragione su Ross Blackburn.

            "Chi?", chiesi, sperando di sembrare convincentemente ignara.

            "So che era incredibilmente sconvolto per sua madre", disse Blackburn ignorando la mia domanda. "Non lo biasimo. Elizabeth non meritava di morire così giovane, ma il cancro la pensava diversamente. Anche se Jeffrey non se ne rende conto, è stato meglio che non abbia dovuto passare un anno a vederla soffrire".

            "Allora ammetti di averla uccisa?".

            Lo sentii fare spallucce. "Non che ti debba importare, ma sì. Su sua richiesta, potrei anche aggiungere. Iil declino stava gi cominciando. Ora dimmi, ti ha assunta Jeffrey?"

            "Non conosco nessuno con quel nome". Sono brava come bugiarda, ma allora non pensavo di cavarmela. Blackburn ovviamente aveva motivo di credere che il figliastro mi aveva assunta. Comunque, avevo il mio orgoglio professionale e non avrei abbandonato il mio cliente. Decisi di provare a distrarlo. "Come facevi a sapere cos'ha detto il mio contatto al telefono?" chiesi. "Lui non parlava crtò così forte da farsi sentire dall'altra parte della stanza".

            Con mia sorpresa, lui rise e mi lasciò andare, ma continuò a rimanere sconvenientemente vicino, col il palmo delle mani poggiato contro la parete, ai lati della mia testa. Lentamente mi voltai per guardare i suoi occhi grigio fumo. Lui mi sorrise, senza tentare minimamente di nascondere i canini completamente allungati.

            "Hai ancora l'impressione che non sappia cosa sei?" mi chiese. "Credevo fossi più veloce nell'afferrare le cose. Se sei riuscita a sentire l'odore del sangue nonostante il dentifricio, cosa ti fa pensare che io non abbia sentito il tuo odore di sangue nonostante il whisky, o qualunque cosa tu abbia usato per coprirlo".

            Be', alla faccia del placarlo inducendogli un falso senso di sicurezza. Che razza di jella! Perché ho dovuto accettare un contratto per uccidere una persona che si è rivelata essere un vampiro più grande e più forte?

            Sospirai e avrei incrociato le braccia se lui non avesse invaso il mio spazio personale. "Non ho cercato di coprirlo. Il tizio da cui ho bevuto era ubriaco fradicio. Dunque tu sai cosa sono io e io so cosa sei tu. E allora come rimaniamo?"

            "Con la mia sete del sangue di Jeffrey".

            Aprii la bocca per continuare la farsa che non era stato Jeffrey ad assumermi, ma Blackburn mi zittì piantando la sua bocca sulla mia. Mi dimenai inutilmente per un momento, poi diventai remissiva e passiva. Il tocco delle sue labbra e della lingua innescò reazioni peccaminose dentro di me, ma non avevo nessuna intenzione di cedere ai miei desideri di lussuria. Maledizione agli ormoni, non gli avrei fatto passare liscio questo suo atteggiamento da bullo.

            Blackburn presto si stancò della mia resistenza passiva e si tirò via. Mi sorrise furbescamente ed ero sicura che aveva capito che mi ero eccitata. Nemmeno secoli di esperienza mi avevano insegnato a non sentirmi attratta dai ragazzacci. Tuttavia, avevo imparato ad evitare di reagire a questi desideri.

            "Non ho intenzione di uccidere Jeffrey", mi disse. "Mi ha odiato dalla prima volta che ci siamo conosciuti, ma anche se ti ha assunta per uccidermi, non gliene voglio. Il dolore rende pazzi gli uomini".

            "Ok, allora non ucciderai Jeffrey. E me?".

            Il suo ghigno era decisamene selvaggio. "Preferirei scoparti anziché ucciderti".

            Francamente, lo avrei preferito anche io. Poiché, sfortunatamente, le due cose non si escludevano a vicenda, allungai i miei canini e mi preparai a combattere. "Provaci e ti ritroverai mutilato".

            Sollevò le sopracciglia. "Non intendevo dire che lo avrei fatto senza il tuo consenso". Blackburn fece cadere le braccia lungo i fianchi e mi restituì il mio spazio.

            Lanciai un'occhiata verso la porta, così intrigantemente chiusa.

            "Non sono poi così vendicativo", disse lui facendo un altro passo indietro. "Non ucciderò Jeffrey, perché aveva un buon motivo per assoldarti. Semplicemente scomparirò dalla sua vita, così che non soccomba di nuovo a questa tentazione. E non ucciderò te, perché ti sei presa la briga di scoprire se avessi  veramente ucciso mia moglie prima di onorare il tuo contratto. E' chiaro che non metterò in libertà un killer qualsiasi, se ti lascerò andare".

            Misi il broncio. "E io cosa metterò in libertà, se lascio andare te?".

            Ora lui si era spostato sul lato opposto dell'atrio ed era poggiato contro il muro. Non c'era dubbio che a questo punto sarei arrivata prima di lui alla porta, cosa che placò a sufficienza il mio istinto "combatti o scappa", tanto che rimasi dov'ero.

            "Io ed Elizabeth ci siamo conosciuti perché eravamo entrambi volontari nel reparto di malati terminali", disse lui e a questo unto aveva un sorriso sardonico. "Hai un'idea adesso di come appago le mie necessità?".

            Io feci una smorfia. "Approfitti di vittime indifese e innocenti".

            "No, approfitto di vittime in fin di vita e sofferenti. Più specificatamente di vittime che soffrono e che preferirebbero non soffrire più".

            La mia coscienza rimuginò un po' su questa cosa, ma non sapevo cosa pensare. Titubante, decisi che non era peggio di ciò che facevo io, se poi poteva veramente considerarsi una cosa negativa.

            "E che mi dici di Elizabeth?", chiesi.

            Quello che sembrava dolore sincero gli attraversò il volto. "Elizabeth aveva un cancro ovarico. Aveva subito un intervento particolarmente invasivo e poi aveva cominciato la chiemioterapia. Gli effetti collaterali di quel tipo di chemio possono essere devastanti e lei sembrava averli tutti. Il suo futuro sarebbe stato doloroso: altri interventi chirurgici e lunghe degenze ospedaliere. Mi voleva bene da un po' di tempo e io le ero sufficientemente affezionato da volerla rendere felice prima che morisse. Così la sposai poco dopo la diagnosi, mi occupai di lei e le resi più facile il cammino quando fu pronta a dire basta".

            Lo fissai scettica. "E l'hai convinta a lasciarti metà de suo patrimonio".

            Subito sminuì la cosa. "Quella fu una sua decisione e io non ne sapevo nulla. L'avrei fermata se lo avessi saputo. Non mi servono i soldi, e di certo non avevo bisogno di dare a Jeffrey altri motivi per odiarmi".

            Chiamatemi pure tenerona, ma gli credevo. Principalmente per tutte le cose brutte che avrebbe potuto farmi fino a quel momento, e che non aveva fatto. Speravo che il fatto di sbavare per lui non fosse un fattore determinante della mia decisione, ma non posso dirlo con certezza.

            "Dunque sei semplicemente un ragazzo simpatico da morire, eh?", dissi io.

            "Una cosa del genere. Allora, te ne vai o rimani? Perché se rimani, sono sicuro che possiamo trovare un posto più confortevole dell'atrio".

            Il luccichio nei suoi occhi mi fece intuire dove aveva in mente di andare. Fui assalita dalla tentazione, sebbene immaginai che non fosse esattamente professionale andare a letto con il mio presunto bersaglio.

            Un sorriso curvò le mie labbra e mi venne un'idea.

            Gli occhi di Blackburn si spalancarono. "Dunque, questo sì che è un sorriso davvero malvagio", disse lui. "Non so se voglio sapere a cosa stai pensando".

            "Hai detto che stavi pensando di scomparire della vita di Jeffrey.

            Sbatté le palpebre a quella che doveva sembrargli un'affermazione non pertinente. "Sì", rispose cauto.

            "Saresti disposto a scomparire nelle prossime due settimane?".

            Drizzò subito il capo, corrugando la fronte per lo stupore. "Potrei chiederti perché?"

            "Il mio accordo con Jeffrey è che saresti scomparso, senza essere più ritrovato. E che il tuo corpo non sarebbe più stato rinvenuto. In effetti non ho detto che ti avrei ucciso".

            Blackburn gettò il capo all'indietro e rise. "Allora sosterrai di esserti 'occupata' di me e prenderai il denaro di Jeffrey".

            "Io avrò i miei soldi, Jeffrey avrà la sua vendetta e nessuno di noi dovrà morire. Cosa potresti chiedere di più?".

            Lui non era più poggiato contro la parete. Ora stava camminando a grandi passi nell'atrio, verso di me, in tutta la sua gloria di predatore. La porta non sembrava più neanche lontanamente allettante.

            "Oh, riesco a pensare a qualche altra cosuccia da chiedere", mormorò lui riassumendo la posizione di prima e invadendo il mio spazio.

            "Cosa ti fa pensare che io ti asseconderei?", gli chiesi. "La notte scorsa ti sei comportato da vero stronzo e stasera, fino ad ora, sei stato un insopportabile prepotente".

            Il suo ghigno contorto fece fare un giro di danza alla mia libido. "Oh, e tu saresti stata la personificazione della cortesia e dell'ospitalità se avessi trovato un vampiro sconosciuto alla tua porta? E poi avessi scoperto che voleva ucciderti?".

            Questo dovevo concederglielo. "Ancora non capisco perché mi hai lasciata andare la notte scorsa".

            Fece spallucce. "Ti ho trovata divertente e sapevo che saresti tornata".

            Bastardo arrogante! "Ti sarebbe stato proprio bene se ti avessi infilzato con un paletto non appena hai aperto la porta", borbottai.

            Lui si spinse contro di me, facendomi sentire il suo, ehm, paletto. Immagino che le minacce di morte lo eccitassero. "Se mi trovi così terribilmente sgradevole, potresti sempre andartene", disse lui. "Non cercherò di fermarti e scomparirò persino, così potrai onorare il tuo contratto".

            Lanciai un'occhiata evidente verso la sua fede, senza però tentare di spostarmi. "Non sei in lutto?".

            Un'ombra di dolore gli attraversò il volto. "Quando ho perso Elizabeth, ho perso una cara amica. Ma non un'amante. Se noi esplorassimo la nostra reciproca attrazione, non sarei certo infedele alla sua memoria".

            Stavo esaurendo le motivazioni per rifiutarlo. E a dire il vero, c'erano molti vantaggi nell'avere un vampiro come amante. Soprattutto un vampiro così attraente – e relativamente onesto (se un termine del tenere si può applicare ad un vampiro) – come Ross Blackburn.

            "Ok", dissi. "Ti prendo per un giro di prova".

            Lui ghignò in un modo che mi avrebbe fatta infuriare, se non fosse stato così dannatamente sexy. Gli afferrai una manciata di capelli con entrambe le mani e avvicinai la sua testa alla mia. E credetemi, quel ghigno fece una fine rapida e gloriosa.