UN MANIFESTO CONTRO LA TELEVISIONE

 

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Indice

 

Una patente per fare tv (Karl R. Popper)

Ladra di tempo, serva infedele (John Condry)

La violenza in tv (Charles S. Clark)

La potenza dei media (Karol Wojtyla)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

una patente per fare tv (karl r. popper)

 

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L'articolo di John Condry che qui appare mostra l'immensa influenza della televisione sui bambini e la grande quantità di tempo che essi vi passano davanti, due cose che sono ovviamente tra loro collegate. Mi pare che l'autore di questo saggio sia estremamente bene informato su questi argomenti e che li tratti con chiarezza e in modo molto oggettivo. Egli giunge alla conclusione - affermandolo per la prima volta alla fine del suo saggio - che i bambini non sono da rimproverare per il tempo passato davanti alla tv e che non è colpa loro se attraverso la televisione ricevono una informazione distorta. E ne spiega la ragione in un modo che ci lascia senza speranza, dicendo che «la televisione non scomparirà nel futuro» ma anche che «è improbabile che cambi al punto da diventare un ambiente ragionevolmente accettabile per la socializzazione dei bambini».

A questo proposito io vorrei semplicemente fare un rilievo. Mi sembra che nell'ultimo anno, per esempio in Gran Bretagna, ci sia stato forse un leggero miglioramento, anche se è così leggero che a stento vale la pena di parlame. Eppure si può in ogni caso almeno affermare che le cose in quest'ultimo periodo non sono peggiorate, mentre fino ad anni a noi vicini la televisione si era degradata in quasi tutti i sensi.

   Condry, poi, nel paragrafo successIvo. comincia dicendo che la televisione non può insegnare al bambini ciò che debbono sapere via via che crescono e diventano adolescenti e poi adulti. lo direi diversamente: non può farlo la televisione per come è organizzata adesso. Io sarei piuttosto dell' opinione che la televisione, potenzialmente certo, così come è una tremenda forza per Il male potrebbe essere una tremenda forza per il bene. Potrebbe, ma è assai imp probabile che questo accada. La ragione è che il compito di diventare una forza culturale per Il bene e terribilmente difficile. Per dire la cosa nel modo più semplice, non abbiamo gente che possa realizzare, per più. o meno venti ore al giorno, materia buona, programmi di valore. E molto più facile trovare gente che produca per venti ore al giorno materia media e cattiva, più difficile ottenere una buona qualità per una o due ore al giorno. E' semplicemente un compito di estrema difficoltà, e quante più sono le stazioni emittenti tanto più diventa difficile trovare professionisti che siano davvero capaci di produrre cose sia interessanti che di valore. Si può facilmente produrre materia che si può definire come «non cattiva e noiosa», ma non. certo materia che sia attraente e di qualità per venti ore al giorno.

C'è dunque una difficoltà fondamentale, interna, che è stata alla radice del deterioramento della televisione. Il livello è sceso perché le stazioni televisive, per mantenere la loro audience, dovevano produrre sempre più materia scadente e sensazionale. Il punto essenziale è che difficilmente la materia sensazionale è anche buona.

Ora, se qualcuno volesse che io. gli spieghi «che cosa è bene e che cosa è male», risponderei che non mi piace dare definizioni. Credo tuttavia che ogni persona realmente responsabile e dotata di intelletto sappia che cosa intendere per «bene» e «male» in questo campo. Non voglio approfondire qui questo punto. Basti in ogni caso il rimando al fatto che disponiamo di molta gente preparata sui problemi dell'educazione, specialmente in America, dove questi temi sono davvero fortemente presenti nelle università. Non manca dunque chi sia in grado di distinguere che cosa è bene e che cosa no dal punto di vista educativo. Ed è perciò possibile applicare questo genere di competenza per far nascere anche una produzione televisiva migliore, anche se dobbiamo sapere che non sarà facile e che è un compito per persone di talento quello di realizzare cose interessanti e buone.

Questo è il problema fondamentale, ma ce n'è un secondo, altrettanto importante: quello che vi sono troppe stazioni emittenti in competizione. Per che cosa competono? Ovviamente per accaparrarsi i telespettatori e non, mi si lasci dire così, per un fine educativo. Non fanno certamente a gara per produrre programmi di solida qualità morale, per produrre trasmissioni che insegnino ai bambini qualche genere di etica. Questo aspetto è importante e difficile, perché l'etica si può insegnare ai bambini soltanto fornendo loro un ambiente attraente e buono e fornendo loro, soprattutto, buoni esempi.

Che cosa dobbiamo fare allora?

L'analisi di Condry non ci lascia alcuna speranza ed ha tuttavia almeno il merito di non propinarci qualche ricetta illusoria e irrealizzabile. Se riflettiamo sulla storia della televisione, vediamo che, nei suoi primi anni, essa era abbastanza buona. Non c'erano le cattive cose che sono arrivate dopo, offriva buoni film e altre cose discrete. La ragione di questo sta in parte nel fatto che all'inizio non c'era competizione o, per lo meno, ce n'era molto poca, e anche la domanda non si era ancora estesa. Perciò la produzione poteva essere più selettiva.

È interessante notare che cosa dicono a questo proposito coloro che producono tv. In occasione di una lezione che ho tenuto in Germania non molti anni fa ho incontrato il responsabile di una televisione, che era venuto ad ascoltarmi, insieme ad alcuni collaboratori. Non ne faccio il nome per non personalizzare il caso. Ebbi con lui una discussione durante la quale sostenne alcune orribili tesi, nella cui verità egli naturalmente credeva. Diceva per esempio: «Dobbiamo offrire alla gente quello che la gente vuole», come se si potesse sapere quello che la gente vuole dalle statistiche sugli ascolti delle trasmissioni. Quello che possiamo ricavare da lì sono soltanto indicazioni circa le preferenze tra le produzioni che sono state offerte. Guardando quei numeri noi non possiamo sapere che cosa dovremmo o potremmo offrire e lui, il capo di quella televisione, non può sapere che cosa la gente sceglierebbe se ricevesse proposte diverse dalle sue. Il fatto è che egli crede veramente che la scelta sia possibile soltanto nell'ambito dell'offerta così com'è e a questo non vede alternative. La discussione che ho avuto con lui è stata davvero incredibile. Egli credeva che le sue tesi fossero sostenute dalle «ragioni della democrazia» e si riteneva costretto ad andare nella direzione che sentiva come l'unica che lui era in grado di comprendere, nella direzione che sosteneva essere «la più popolare». Ora, non c'è nulla nella democrazia che giustifichi le tesi di quel capo della tv, secondo il quale il fatto di offrire trasmissioni a livelli sempre peggiori dal punto di vista educativo corrispondeva ai principi della democrazia «perché la gente lo vuole». Ma in questo modo saremo costretti ad andare tutti al diavolo!

Nella democrazia, come ho sostenuto altre volte, non c'è nient'altro che un principio di difesa dalla dittatura, ma non c'è neppure nulla che dica, per esempio, che la gente che dispone di più conoscenza non debba offrirne a chi ne ha di meno. Al contrario la democrazia ha sempre inteso far crescere il livello dell' educazione; è, questa, una sua vecchia, tradizionale aspirazione. Le idee di quel signore non corrispondono per niente all'idea di democrazia, che è stata ed è quella di far crescere l'educazione generale offrendo a tutti opportunità sempre migliori. Invece i principi che lui mi ha illustrato hanno come conseguenza che si offrono all' audience livelli di produzione sempre peggiori e che l'audience li accetta purché ci si metta sopra del pepe, delle spezie, dei sapori forti, che sono per lo più rappresentati dalla violenza, dal sesso e dal sensazionalismo. Il fatto è che più si impiega questo genere di spezie più si educa la gente a richiederne. E dal momento che questo tipo di intervento è il più facile a capirsi da parte dei produttori e quello che produce una più facile reazione da parte dell'audience, si determina una situazione per cui si smette di pensare a interventi più difficili. Basta prendere la scatola del pepe e metterlo nelle trasmissioni. Così un responsabile televisivo può pensare che il problema sia risolto. E questo è quello che è accaduto anno dopo anno da quando la televisione è partita: spezie più forti sul cibo preparato perché il cibo è cattivo e con più sale e più pepe si cerca di passar sopra anche a un sapore disgustoso.

Quando cominciarono le trasmissioni televisive io avevo intorno ai quarant'anni ed ebbi una discussione piuttosto accesa con la persona, una docente di psicologia, che era stata incaricata dal governo britannico di dare una valutazione circa il problema se la televisione fosse o no pericolosa per i bambini. La professoressa dette il suo responso: no, la tv non era pericolosa per i piccoli. Credo che fosse giunta a quella conclusione dopo aver visto alcuni programmi di quella televisione allo stadio iniziale e che, su quella base, avesse giudicato. Dopodiché il governo britannico fece suo quel giudizio e la cosa non fu più considerata un problema. Ma da quel momento in poi il livello dell' offerta televisiva, lentamente ma sicuramente, cominciò a deteriorarsi fino approssimativamente a un anno fa, quando, almeno in Gran Bretagna, sono stati così numerosi e ovvi i rilievi circa l'enorme quantità di violenza e di crimini apparsi nei programmi tv visti anche dai bambini che c'è stata almeno una sensibile interruzione del deterioramento che era stato fino ad allora costante.

Otto anni fa, con una lezione, avevo sostenuto la tesi che stiamo educando i nostri bambini alla violenza e che se non facciamo qualcosa la situazione necessariamente si deteriorerà perché le cose muovono sempre nella direzione della minor resistenza. In altre parole si va sempre dalla parte che risulta più facile, quella in cui uno si aiuta a superare un problema riducendo le costrizioni del lavoro. Quelle spezie di cui abbiamo parlato sono il mezzo che i produttori di tv hanno più facilmente a disposizione per aiutarsi, sono il congegno sperimentato che è sempre in grado di catturare l'audience. E se l'audience se ne stanca, basta aumentare le dosi. Si tratta di un meccanismo che probabilmente ripartirebbe anche qualora si spingesse la situazione indietro. Non conosco la televisione italiana, ma è così in Gran Bretagna ed anche in America. C'è ormai un discreto numero di casi in cui responsabili di atti criminali hanno ammesso di aver ricevuto ispirazione per i loro crimini dalla televisione. Ed è stato clamoroso il caso di due ragazzi, di dieci anni e mezzo, che a Liverpool hanno rapito e ucciso senza alcun motivo un bambino di due anni nel febbraio del 1993. Il fatto determinò un grandissimo interesse e allarme: si trattava di un tipo di depravazione di cui difficilmente si potevano trovare dei precedenti.

Si è molto discusso collegando quell' episodio anche alla televisione, ma sono venuti diversi esperti a sostenere che, psicologicamente, era un errore fare quel collegamento. Per questo io vogioo ora fare una affermazione molto semplice e molto netta circa la psicologia nella relazione tra i bambini e la tv.

Tra le altre cose, quando parliamo di pensiero dobbiamo riferirci, all'«orientamento nel mondo», una capacità che di fatto e, fondamentale perché possa esserci il pensare. Che cos'è? E la capacità di trovare la nostra strada nel mondo. Questo argomento mi riporta molto indietro nel tempo. Si tratta di qualcosa che mi è abbastanza familiare e, anche se non ho scritto molto di specifico su questo punto, se ne può trovare traccia in varie mie opere sulla teona della conoscenza. Nel rapporto tra bambini e televisione noi ci troviamo di fronte a un problema evolutivo: i bambini vengono a questo mondo strutturati per un compito, quello di adattarsi al loro ambiente. Per quanto ne soiro, questa formulazione, molto semplice, non era stata finora portata dentro la discussione sul problema della tv. In altre parole, nel loro intero equipaggiamento per la vita, i bambini sono attrezzati in modo da potersi adattare ai diversi ambienti che troveranno intorno a loro. Essi sono perciò dipendenti, in misura considerevole nella loro evoluzione mentale dal loro ambiente e ciò che chiamiamo educazione è qualcosa che influenza questo ambiente in un modo che giudichiamo buono per lo sviluppo di questi bambini. Noi mandiamo i bambini a scuola perché possano imparare qualcosa. Ma che cosa significa realmente «imparare»? E che cosa significa «insegnare»? Significa influenzare Il loro ambiente In modo che possano prepararsi per i loro futuri compiti: il compito di diventare cittadini, il compito di guadagnare denaro, il compito di diventare padri e madri per una nuova generazione e così via. Perciò tutto dipende dall'ambiente, vale a dire che, come generazione precedente, noi abbiamo la responsabilità di creare le migliori condizioni ambientali possibili. Ora, il punto è che la televisione è parte dell' ambiente dei bambini ed una parte per la quale noi siamo ovviam:nte responsabili, perché si tratta di una parte dell' ambiente fatta dall'uomo (man-made).

Nel corso della mia vita mi sono a lungo occupato di educazione. In particolare ho imparato molto nel rapporto con i soggetti più difficili, che provenivano quasi sempre da case in cui c'era violenza. Per lo più Si trattava di violenza esercitata sulle madri da parte dei padri di questi piccoli e in generale questi padri erano alcolizzati che condizionavano con la violenza l'intera vita familiare. Questo era il modo tipico in cui l'ambiente di bambini sfortunati poteva venire influenzato dalla violenza. Adesso la violenza in casa è sostituita ed estesa dalla violenza che appare sullo schermo televisivo. È attraverso questo mezzo che essa viene messa davanti ai bambini per ore ogni giorno. La mia esperienza mi porta a considerare questo punto molto importante, direi decisivo.La televisione produce violenza e la porta in case dove altrimenti violenza non ci sarebbe.

Veniamo ora al problema di che cosa fare. Chiediamoci: si può fare qualcosa? In realtà sono in molti a pensare, come Condry, che non si possa fare nulla, specialmente m un paese democratico, perché, prima obiezione, la censura non si sposa bene con la democrazia e, seconda obiezione, la censura non sarebbe efficace con la televisione perché arriverebbe sempre in ritardo e sarebbe praticamente impossibile da organizzare il lavoro di un censore preventivo sulle trasmissioni. Si potrebbe forse per questa via agire nei confronti di responsabili della produzione di cui si conosce la cattiva fama per il largo uso che fanno della violenza, ma non è un metodo che si possa estendere all'intero sistema televisivo.

Illustrerò allora brevemente la mia proposta, per la quale ho adottato il modello fornito dai medici e dalla forma di controllo generalmente istituita per la loro disciplina. I medici sono controllati dalle proprie organizzazioni, secondo un metodo che è altamente democratico. I medici hanno infatti un grande potere, sulla vita e la morte dei loro pazienti, che deve necessariamente essere sottoposto a un controllo. E in tutti i paesi civili c'è una organizzazione attraverso la quale i medici controllano se stessi e c'è anche, naturalmente, una legge dello Stato che definisce le funzioni di questa organizzazione. lo propongo che una organizzazione simile sia creata dallo Stato per tutti coloro che sono coinvolti nella produzione di televisione. Chiunque sia collegato alla produzione televisiva deve avere una patente, una licenza, un brevetto, che gli possa essere ritirato a vita qualora agisca in contrasto con certi principi. Questa è la via attraverso la quale io vorrei che si introducesse finalmente una disciplina in questo campo. Chiunque faccia televisione deve necessariamente essere organizzato, deve avere una patente. E chiunque faccia qualcosa che non avrebbe dovuto fare secondo le regole dell'organizzazione, e sulla base del giudizio dell' organizzazione, può perdere questa patente. L'organismo che avrà la facoltà di ritirare la patente sarà una sorta di Corte. Perciò tutti, in un sistema televisivo che operasse secondo la mia proposta, si sentirebbero sotto la costante supervisione di questo organismo e dovrebbero sentirsi costantemente nelle condizioni di chi, se commette un errore, sempre in base alle regole fissate dall'organizzazione, può perdere la licenza. Questa supervisione costante è qualcosa di molto più efficace della censura, anche perché la patente, nella mia proposta, deve essere concessa solo dopo un corso di addestramento al termine del quale ci sarà un esame.

Uno degli scopi principali del corso sarà quello di insegnare a colui che si candida a produrre televisione. che di fatto, gli piaccia o no, sarà coinvolto nella educazione di massa, in un tipo di educazione che è terribilmente potente e importante. Di questo si dovranno rendere conto, volenti o nol enti, tutti coloro che sono coinvolti dal fare televisione: agiscono come educatori perché la televisione porta le sue immagini sia davanti ai bambini e ai giovani che agli adulti. Chi fa televisione deve sapere di aver parte nella educazione degli uni e degli altri.

Quando mi è capitato di parlare di questo con lavoratori della televisione, mi sono reso conto che la cosa appariva loro come una novità. Non avevano mai pensato a fondo a questo aspetto del loro lavoro, ma non facevano fatica ad ammettere che le cose stavano così. Ciò che devono imparare è che l'educazione è necessaria in ogni società civilizzata, che i cittadini di una società civilizzata, le persone cioè che si comportano civilmente, non sono il risultato del caso, ma sono il risultato di un processo educativo. E in che cosa consiste fondamentalmente un modo civilizzato di comportarsi? Consiste nel ridurre la violenza. È questa la funzione principale della civilizzazione ed è questo lo scopo dei nostri tentativi di migliorare Il livello di civiltà delle nostre società. Ritengo che i corsi debbano essere basati sull'insegnamento della importanza fondamentale della educazione, delle sue difficoltà e del fatto che il punto centrale nel processo educativo non consiste soltanto nell'insegnare fatti, ma nell'insegnare quanto sia importante l'eliminazione della violenza.

Nel corso si dovrà insegnare come i bambini ricevono le immagini, come assorbono quello che la televisione offre e come cercano di adattarsi all'ambiente influenzato dalla televisione. Si dovranno insegnare i meccanismi mentali attraverso i quali sia i bambini che gli adulti non sono sempre in grado di distinguere quello che è finzione da quello che è realtà. C'è stato per esempio, qui in Inghilterra, il caso di una signora che ha cercato di punire un attore dopo che questi aveva recitato la parte di un criminale. Ed è del resto un obiettivo della fiction in generale e di varie forme di fiction offerte dalla televisione quello di fare apparire le scene più vive e reali che sia possibile.

I procedimenti mentali che distinguono. o sovrappongono realtà e finzione devono essere conosciuti dal lavoratori della televisione perche per molti di loro sono una novità. Molti di loro ignorano le conseguenze subconscie che il loro lavoro ha sia sui bambini che sugli adulti. È evidente che questo genere di effetti della televisione dipende dal livello di intelligenza degli ascoltatori e da altri fattori: tutto questo dovrà essere oggetto del corso, nel quale si metterà una particolare attenzione al rischio di mescolare realtà e finzione e agli effetti di confusione che ne possono derivare sui soggetti più esposti.

Esiste un certo livello di apprendimento e di intelligenza che è necessario alle vittime della televisione per distinguere tra quello che viene loro offerto come realtà e quello che viene loro offerto come finzione, si tratta di un problema molto serio che dovrà essere approfondito nei corsi perché gli addetti alla televisione si rendano ben conto di quello che stanno facendo. E la concessione della patente dovrà essere subordinata a un esame con il quale i candidati dimostrino non soltanto di avere appreso la materia, ma anche di essere consapevoli della loro responsabilità educativa nei confronti dell' audience. E dovranno promettere di tener fede a questa responsabilità agendo di conseguenza. Chi fa televisione dovrà saper bene quali sono le cose da evitare in modo da impedire che la sua attività abbia conseguenze antieducative.

L'istituzione della patente non dovrà riguardare soltanto i produttori di televisione che hanno la più elevata responsabilità nelle decisioni sui programmi, ma tutti i lavoratori, anche i tecnici, i cameramen, perché tutti coloro che sono coinvolti nella produzione televisiva ne portano una responsabilità. E ogni lavoratore potrà dire ai dirigenti della produzione: «Non lavoro a questo programma perché voglio tener fede alla promessa che ho fatto e non voglio rischiare che mi ritirino la patente». Questo dovrebbe creare una situazione in cui il produttore è sottoposto di fatto al controllo della gente che lavora alle sue dipendenze.

La proposta che io ho qui avanzato non è soltanto molto urgente, ma dal punto di vista della democrazia è anche assolutamente necessaria. E spiego perché in poche parole conclusive. La democrazia consiste nel mettere sotto controllo il potere politico. È questa la sua caratteristica essenziale. Non ci dovrebbe essere alcun potere politico incontrollato in una democrazia. Ora, è accaduto che questa televisione sia diventata un potere politico colossale, potenzialmente si potrebbe dire anche il più importante di tutti, come se fosse Dio stesso che parla. E così sarà se continueremo a consentirne l'abuso. Essa è diventata un potere troppo grande per la democrazia. Nessuna democrazia può sopravvivere se all' abuso di questo potere non si mette fine. In questo momento se ne abusa sicuramente, per esempio, in Jugoslavia, ma l'abuso può avvenire dovunque. Se ne fece ovviamente abuso in Russia. In Germania non c'era la televisione sotto Hitler, anche se la sua propaganda fu costruita sistematicamente quasi con la potenza di una televisione. Credo che un nuovo Hitler avrebbe, con la televisione, un potere infinito.

Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà stato pienamente scoperto. Dico così perché anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi. Noi dobbiamo saper vedere ora questa possibilità e controllare la televisione con i mezzi che qui ho proposto. Naturalmente io credo che essi siano i migliori e forse anche gli unici. È ovvio che qualcun altro può avanzare proposte migliori, ma finora non mi pare di averne sentite.

 

 

 

 

ladra di tempo, serva infedele (john condry)

 

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La marea dell' evoluzione biologica si muove lentamente, privilegiando nell' arco di secoli determinate mutazioni rispetto ad altre. Ben diversa è l'evoluzione sociale, alimentata dalla scoperta e dall'invenzione, e sovente rapida e imprevedibile. Vi sono invenzioni che provocano cambiamenti lievi, in genere in meglio, a volte in peggio: pensiamo alla polvere da sparo. Ma ve ne sono altre che modificano la cultura e la società in maniera profonda e imprevedibile, una maniera che non si può comprendere se non retrospettIvamente.

Oggi c'è qualcosa che non va nei bambini americani, nel modo in cui crescono. La cosa è evidente. Ne vengono fornite molte spiegazioni diverse, che in genere fanno riferimento alle rapide trasformazioni intervenute in questi ultimi anni. L'intensificazione del traffico ha modificato il tessuto urbano, distruggendo vecchi quartieri e lacerandone le infrastrutture sociali. La famiglia appare completamente stravolta e la scuola funziona male, quando funziona. I punteggi conseguiti dagli alunni in occasione di alcuni test hanno mostrato un calo costante negli ultimi vent' anni e non vi sono miglioramenti in vista. Suicidi e omicidi sono in aumento. Molti bambini danno segni evidenti di disturbi fisici e di sofferenza mentale. Si può affermare che la televisione è responsabile in qualche misura di questa situazione?

Per comprendere il ruolo della televisione nella vita del bambini americani è importante cominciare da un'ampia panoramica delle loro esigenze. Come fa un bambino a diventare un componente utile della società? In che modo si lavora sulla sua immaturità per prepararlo alla vita adulta? Come passa il tempo? Il tempo è un'unità di misura assai utile perché, a differenza delle ricchezze e delle opportunità, è un bene identico per tutti. Se la giornata è fatta di 24 ore, e se di queste 24 ore molti ne trascorrono16 svegli, Il totale delle 112 ore settimanali di veglia costituisce un oggetto di studio appropriato. Come trascorrono quelle 112 ore i bambini americani di oggi, specie quelli di età compresa fra 3 e 11 anni?

Fino a circa duecento anni fa, la maggior parte del bambini trascorreva quel tempo nelle comunità e nei villaggi in cui era nata, osservando gli adulti nelle loro attività di lavoro e di gioco. I bambini acquisivano le capacità e le attitudini necessarie ad inserirsi in una società che conoscevano ed avevano a portata di mano. Capacità e attitudini che sviluppavano da piccoli e che tornavano loro utili una volta diventati adulti. Ciò che veniva appreso m Iamiglia durante una generazione veniva messo in .pratica nella successiva. Il bambino imparava a conoscere Il lavoro e la vita, acquisiva quelle conoscenze del mondo che esistevano nella famiglia e nella comunità.

In parte, la situazione ha commciato a cambiare con la rivoluzione industriale. Le persone si staccavano m numero crescente dalle comunità in cui avevano vissuto per generazioni e si trasferivano nelle città, vecchie e nuove, in cerca di altre opportunità economiche e sociali. Nel nuovo mondo industriale urbano, i bambini osservavano la vita in modi nuovi. Le scuole sono state inventate proprio per integrare le opportunità di apprendimento offerte dall' osservazione quotidiana.

La situazione si è modificata in modo ancor più spettacolare negli ultimi anni. Si sa che nella settimana-tipo i bambini americani trascorrono all'incirca 40 ore guardando la televisione e giocando con i video giochi. Se a queste si aggiungono le 40 ore di scuola, compreso il tempo necessario per andarvi e tornarvi e per fare i compiti a casa, restano soltanto 32 ore per avere rapporti con i coetanei e i familiari. Se vogliamo capire che cosa sanno i bambini sul mondo e su se stessi, occorrerà esaminare con attenzione l'ambiente creato dalla famiglia, dalla scuola, dai coetanei e in particolare dalla televisione. Il ruolo svolto da quest'ultima nel creare un ambiente in cui i bambini socializzano merita di essere studiato.

 

Perché si guarda la tv?

 

I bambini si accostano alla televisione e la guardano con motivazioni che differiscono in misura significativa da quelle prevalenti fra gli adulti. La maggior parte degli adulti, per loro stessa ammissione, guarda la televisione «per divertimento». La maggior parte dei bambini, pur trovandol.a divertente, guarda la televisione perché cerca di capire il mondo. Molti adulti considerano la televisione poco significativa e la guardano con quella che talora si definisce «sospensione dell'incredulità». Pur di divertirsi, accettano l'allontanamento dalla raffigurazione realistica e, a seconda delle premesse del programma, capiscono perfettamente perché un dato personaggio vola per aria, diventa invisibile, compie azioni sovrumane. Per definizione, uno spettacolo di fiction non deve per forza essere possibile, reale o vero.

Invece i bambini, pur apprezzando gli aspetti di intrattenimento della televisione, hanno più difficoltà - a causa della loro limitata comprensione del mondo - a discernere i fatti dalla finzione. Sono più vulnerabili degli adulti. Gli influssi primari che i bambini subiscono - la famiglia, i coetanei, la scuola e la televisione - operano tutti insieme. I bambini non sono molto capaci di separare ciò che imparano in questi diversi contesti. Anzi, l'utilità dell'informazione ottenuta in uno di essi dipende in parte da ciò che si impara negli altri. Senza il sostegno della famiglia, gran parte di ciò che succede a scuola perderebbe di importanza. Se la scuola fosse più efficace, la televisione non sarebbe tanto potente. I coetanei esercitano il loro influsso e il loro potere nella misura in cui la famiglia e la scuola non esercitano il proprio.

 

L'esposizione e i contenuti

 

L'influenza della televisione dipende da due fattori: l'esposizione e i contenuti. Quanto maggiore è l'esposiZIOne dello spettatore allo spettacolo televisivo, tanto maggiore è, in genere, l'influenza esercitata dal mezzo. In una certa misura, la natura di tale influenza sarà determinata dai contenuti. Tuttavia, l'esposizione basta da sola ad influenzare lo spettatore, indipendentemente dai contenuti. Vediamo quindi alcuni dati riguardanti l'esposizione.

Negli Stati Uniti la televisione è nata negli anni cinquanta. Nel primo anno di quel decennio, aveva un televisore circa il 10 per cento delle famiglie americane; nel 1960 la percentuale era salita al 90 per cento, e quasi tutti coloro che possedevano un apparecchio guardavano regolarmente la televisione. L'introduzione di quest'ultima ha quindi provocato un vasto mutamento nel modo in cui gli americani passavano il tempo. Mentre l'invenzione dell'automobile ha determinato un aumento dei tempi di viaggio pari a soltanto al 6 per cento (sebbene su distanze maggiori), l'avvento della televisione ha provocato, secondo alcune stime, un aumento del 58 per cento del tempo trascorso a contatto con i mezzi di comunicazione.

A partire dal 1950, il tempo durante il quale la famiglia americana media tiene acceso l'apparecchio televisivo - attualmente, oltre 7 ore al giorno - è costantemente aumentato; l'americano medio guardava la televisione per circa 4 ore al giorno, un po' di più durante il week-end. Negli anni ottanta, quando sono divenuti largamente disponibili la tv via cavo e i videoregistratori, la quota di audience delle tre principali reti americane ha cominciato a calare, passando dal 90 per cento circa delle famiglie americane al 60 per cento di oggi. In ogni caso, la quantità di tempo trascorso a guardare la televisione è rimasta approssimativamente costante, solo che adesso è suddivisa fra più emittenti. Questi dati statistici sono altrettanto rilevanti per i bambini quanto per gli adulti. Il bambino americano medio guarda la televisione per circa 4-5 ore al giorno durante la settimana e per circa 7-9 durante il wcek-end, per un totale approssimativo di 40 ore a settimana. Sono compresi i film in videocassetta, i video giochi e la tv via cavo. Indipendentemente da ciò che vedono, i bambini che guardano molto la televisione tendono a leggere di meno, a giocare di meno e ad essere obesi. Questi sono gli «effetti indiretti» del guardare continuamente la tv.

Se l'obesità è un problema nazionale per i giovani americani, la televisione svolge un ruolo significativo nel provocare questo disturbo? Anche se non è chiaro quanto sia forte il nesso causale fra le due cose, vi sono fondati motivi di sospettare che esista. Un'occupazione passiva sul piano fisico come. guardare la televisione è spesso accompagnata dalI assunzione di cibo, e gli studi mostrano un calo del tasso metabolico fra i telespettatori, specie per quanto riguurda i bambini già obesi. È possibile che i cibi reclamizzati sul piccolo schermo stimolino lo spettatore a mangiare e il cibo e il prodotto più reclamizzato.

La televisione è una ladra di tempo. Quando i bambini la guardano ininterrottamente per ore, non fanno molte cose che sul lungo periodo possono essere assai più importanti dal punto di vista del loro sviluppo. Ma non c'è solo questo: il contenuto di programmi e di pubblicità della televisione influenza profondamente atteggiamenti credenze e azioni dei bambini.

In genere i bambini cominciano a guardare i cartoni animati attorno ai due anni di età. Via via che crescono, fra i 6 e gli 11, conquistano sempre più il loro favore le sitcom o situation comedies, cioè gli sceneggiati comici.

I bambini piccoli guardano i cartoni animati perché sono ben «marcati», cioè ogni azione è sottolineata da caratteristiche atte ad attirare l'attenzione. Questa «marcatura» sostituisce l'attenzione e la comprensione. Dal momento che l'attenzione del bambino è discontinua, gli effetti audio della televisione contribuiscono a richiamarli davanti all'apparecchio.

Per lo più, l'attenzione del bambino non si fissa perché il matenale e facilmente comprensibile. I bambini capiscono qualcosa dei contenuto dei singoli programmi, ma non alla stessa mamera degli adulti, Ad esempio, non capiscono le sequenze lunghe e hanno una comprensione ridotta delle motivazioni e delle intenzioni dei singoli personaggi. Non sono capaci di trarre deduzioni da un azione cui non assistono direttamente, cioè da un'azione sottintesa ma non esplicitamente mostrata.

Ad esempio, i bambini assistono a scene violente, e a modo loro possono forse concludere che «il più forte ha ragione». Tuttavia, è improbabile che comprendano i messaggi più sottili, cioè che certe azioni sono più significative di altre. Un'idea che senz'altro capiscono è che se uno vuole una cosa e ha più potere di un altro, la ottiene. Questo messaggio figura in posizione preminente nei cartoni animati di «azione-avventura» che hanno sostituito gli spettacoli dal vivo di cui un tempo era fatta la tv per bambini. È ampiamente documentato che il quantitativo di violenza contenuto negli spettacoli per bambini è sostanzialmente maggiore rispetto a quello dei programmi per adulti trasmessi durante la fascia oraria di massimo ascolto. Ad esempio, un recente studio ha dimostrato che nei programmi per bambini figura una media di 25 atti di violenza l'ora, contro i 5 l'ora dei programmi di prime time per adulti. I cartoni animati di «azione-avventura» sono «vicende di potere».

Guardare simili programmi influenza il comportamento dei bambini? Centinaia di studi, effettuati a partire dai primi anni sessanta - studi sperimentali su un numero limitato di bambini e vasti studi sul campo condotti in culture diverse utilizzando una varietà di tecniche - concordano per lo più sul fatto che i bambini di entrambi i sessi che guardano molto la televisione sono più aggressivi di quelli che non la guardano spesso. Assistere a programmi televisivi violenti ne influenza non soltanto il comportamento ma anche atteggiamenti, credenze e valori. Ad esempio i giovani che vedono molta televisione in genere hanno più paura delle situazioni violente che possono verificarsi nel mondo reale. Altri, invece, sono desensibilizzati rispetto alla violenza, cioè questa li colpisce di meno: la loro risposta alla violenza si riduce.

Il contenuto della televisione destinata ai bambini presenta personaggi maschili e femminili in ruoli stereotipati; , chi guarda molto la televisione mostra, nei propri atteggiamenti in fatto di ruoli sessuali, l'influsso di ciò che ha visto in tv. Nel modo di rappresentare le persone molto giovani e molto anziane, i medici e la polizia, o i malati mentali, le convenzioni televisive distorcono gravemente le situazioni della vita reale.

A mano a mano che il bambino cresce, aumenta la sua capacità di afferrare il senso di vicende complesse, in parte perché ne sa di più del mondo, ma anche perché ha maggiore familiarità con le forme e la struttura della televisione: è diventato television literate, cioè ha contratto consuetudine con il linguaggio televisivo. A quel punto trova gradevoli le situation come dies. Al pari dei cartoni animati, queste sono contrassegnate da risate registrate, piuttosto che da suoni inconsueti; ma gli effetti sull'attenzione e sulla comprensione sono identici. Nel corso degli anni, le sitcom sono diventate una delle forme prevalenti e più popolari di intrattenimento televisivo. Non sono violente. La risata registrata dice al bambino che è successo qualcosa d'importante, e questo a sua volta serve a introdurlo ad usanze e a valori specifici per quanto riguarda, in particolare, le abitudini sessuali.

Via via che i bambini procedono verso la prima adolescenza, attorno ai 9-10 anni, i loro gusti si differenziano sempre più a seconda del sesso; cominciano a imitare le preferenze degli adulti. Molte bambine amano le telenovelas, nella convinzione di imparare qualcosa sulla vita; molti ragazzi amano le avventure di azione, spesso per lo stesso motivo. I programmi di action adventure presentano, nel ruolo di protagonista, un maschio che in genere trionfa su un «cattivo». Sono messaggi che fanno presa soprattutto

sui ragazzi. Gli spettacoli con eroi maschili attirano anche le bambine, mentre non è vero l'inverso; i maschietti tendono a evitare i programmi in cui il ruolo di protagonista è svolto da una ragazza o da una donna. Questo è uno dei motivi per cui vi sono così pochi programmi televisivi per bambini con protagoniste femminili; semplicemente, non sono altrettanto redditizi.

 

L'elogio del presente

 

I bambini non fanno forse quel che hanno sempre fatto, cioè osservare la società per capire meglio che posto occupano al suo interno? La televisione non li informa forse sugli usi e sui costumi esattamente come in passato i bambini acquisivano tali informazioni osservando le persone che li circondavano?

La risposta è semplice: sì e no. Sì, i bambini fanno quel che hanno sempre fatto, con minor aiuto che mai da parte degli adulti; no, la televisione non li informa sul mondo, anzi spesso li disinforma. La televisione non è concepita per fornire ai bambini informazioni circa il mondo reale. Quando viene usata per questo scopo fa un pessimo lavoro. La tv moderna, specie nel modo in cui viene attualmente utilizzata negli Stati Uniti, ha un unico obiettivo: vendere merci. La televisione è fondamentalmente uno strumento commerciale. I suoi valori sono i valori del mercato; la sua struttura e i suoi contenuti rispecchiano tale obiettivo.

Lo scopo dei responsabili della programmazione televisiva è catturare l'attenzione del pubblico e trattenerla abbastanza a lungo per propagandare un prodotto. Considerato il funzionamento della psiche umana, non è compito facile. Gli esseri umani si annoiano e si desensibilizzano facilmente. Per conquistare la nostra attenzione, la televisione è costretta a trasformarsi di continuo. Si interessa esclusivamente al presente immediato; non ha alcun interesse a soffermarsi su problemi che non ammettono una soluzione di breve periodo. Ad esempio, le rivolte nei ghetti di Los Angeles, che hanno dominato per una settimana i notiziari televisivi nella fascIa oraria di massimo ascolto, vengono dimenticate in un mese, se si accetta che la televisione sia lo specchio della memona degli spettatori.

La drammatizzazione televisiva non ha alcun motivo di occuparsi della realtà. Se quel che attrae l'attenzione è distorcere la realtà vi sarà distorsione. Scopo primario della televisione, anche di quella sua parte che si definisce «istruttiva», è conquistare l'audience. Anche se la tv istruttiva per lo più non si occupa di vendere prodotti, essa compete con la tv commerciale per l'attenzione del pubblico.

La televisione vive nel presente, non ha rispetto per il passato e ha scarso interesse per il futuro. Guardare la televisione incoraggia atteggiamenti che per i bambini possono essere disastrosi. Una delle funzioni primarie dell'istruzione sia a casa che a scuola, è di collegare il passato con il futuro, di mostrare in che modo il presente discende da ciò che lo ha preceduto, e in che modo il futuro è legato ad entrambi.

La televisione è governata dall' orologio, Oualsiasi elemento drammatico e qualsiasi incertezza che vengano introdotti debbono essere risolti e soddisfatti entro la fme del programma. Ci sono i prodotti da vendere. È il tempo che detta il passaggio ad un altro programma, ad altri prodotti. Almeno sotto questo profilo, la televisione rassomiglia alla scuola. Se un allievo s'interessa ad uno specifico argomento, se una discussione rivelatrice e coinvolgente inizia appena prima della campanella, non c'è scampo alla tirannide dell' orologio. La campanella suona: è ora di cambiare argomento. Atteggiamenti del genere banalizzano l'interesse e ostacolano l'apprendimento; dicono ai bambini di non lasciarsi coinvolgere troppo da nulla. C'è forse da stupirsi se gli insegnanti riferiscono che l'attenzione degli alunni è discontinua, che non si sofferma mai a lungo su nulla, neppure sugli argomenti che hanno scelto loro stessi? Né la televisione né la scuola promuovono l'interesse verso le materie di studio al di là di quel che consente l'orologio; questo banalizza la ricerca del sapere.

La televisione non mostra nessuna curiosità autentica, né questa è attributo comune fra i bambini assuefatti ai suoi programmi. La tv non lascia spazio al mistero. La comprensione del vero mistero richiede tempo; esso presuppone una base di conoscenze di fondo, stimolate da situazioni del mondo reale.

Un vero mistero può essere accompagnato da uno spezzone audio di notiziario della durata di 30 secondi, ma i bambini sono scarsamente interessati ai notiziari; preferiscono guardare altre cose, a volte programmi televisivi che parlano di misteri. Uno di questi programmi, intitolato Unsolved mysteries [«Gialli irrisolti»], in genere parla di banalità: una navicella spaziale atterrata in qualche parte del New Jersey o qualche altro avvenimento fittizio paragonabile. Questa non è realtà e non è mistero.

Se i bambini di oggi sono crudeli verso i loro simili, come sostengono alcuni, se mancano di solidarietà, se ridono dci deboli e disprezzano le persone che mostrano di aver hisogno di aiuto, questi atteggiamenti sono forse attribuihili a ciò che si vede sul piccolo schermo? I poveri e i me- 110 fortunati sono rappresentati di rado in televisione, e quando ciò accade vengono per lo più additati al ridicolo. La ricchezza è la chiave per passarsela bene in tv; i più ammirati sono ricchi, vivono in dimore sontuose e vanno in giro a bordo di limousine lunghe come treni.

La cosa davvero assurda è che la tv non mostra mai nessuno intento a lavorare per guadagnare le ricchezze che ostenta. Non esiste alcun legame fra il lavoro e la vita. I bambini, che preferiscono la soluzione più rapida ai problemi, cercano la bella vita cosi come la definisce la televisione, vale a dire possedere tante cose, ma non sanno come procurarsele. E come potrebbe essere diversamente? Mostrare gente che lavora per la televisione è una bestemmia, uno spreco di tempo! Rende la tv noiosa, e ciò sarebbe inammissibile. In televisione, ogni momento dev'essere emozionante, ogni avvenimento deve attrarre l'attenzione. A queste condizioni, è impossibile raffigurare il rapporto causale fra lavoro e ricchezza o altri che non sono facili da raffigurare o presentabili sul piano visivo.

 

Che cosa insegna la televisione

 

Come ha detto una volta Nicholas Johnson, ex capo della Federai Communications Commission (Fcc), l'ente federale degli Usa per le comunicazioni, «la tv è tutta istruttiva; ma la domanda è: che cosa insegna?». Vediamo alcuni casi specifici. Da circa dieci anni il paese è impegnato in quella che viene eufemisticamente definita «guerra alla droga». Quasi tutti sono d'accordo sul fatto che un aspetto centrale di questa «guerra» sia la componente educativa. Nel quadro dell'iniziativa, svariati organismi, fra cui la Partnership for a Drug-Free America, hanno sponsorizzato brevi annunci pubblicitari televisivi della durata di 30 secondi che esortano gli spettatori, in particolare i giovani, ad evitare l'uso di droghe. Per verificare l'affermazione citata, Cynthia Scheibe, Tim Christensen ed io abbiamo condotto uno studio sui messaggi televisivi pro e contro la droga. Abbiamo dunque codificato un campione rappresentativo del contenuto delle trasmissioni televisive del 1989 (programmi e pubblicità). Sono stati oggetto di interpretazione tutti i messaggi riguardanti droghe e farmaci che fossero favorevoli (un personaggio che fa uso di droghe raffigurato sotto una luce positiva) o contrari (un personaggio che fa uso di droghe presentato sotto una luce negativa). Abbiamo circoscritto la nostra analisi a messaggi concernenti bevande alcooliche, fumo di tabacco, o droghe o farmaci assunti per via orale, inalati o fumati. Abbiamo definito «messaggio pro-droga» ogni situazione in cui veniva rappresentato un personaggio che beveva o fumava sigarette e se li godeva senza conseguenze negative. Il messaggio in cui un personaggio faceva le stesse cose ma subiva qualche genere di danno, lo abbiamo considerato un «messaggio anti-droga».

Durante le 36 ore di trasmissione prese a campione, su due giornate-tipo, i messaggi attinenti al tema droga sono stati 149. Di questi, 121 erano pro-droga, cioè 1'81,2 per cento; 22 anti-droga, cioè il 14,8 per cento e 6 erano ambigui. Insomma, per ogni messaggio anti-droga ce n'erano 6 favorevoli. Per certi tipi di droga, il rapporto era ancora più alto; per il solo alcool, ad esempio, ci sono stati 10 messaggi favorevoli per ciascuno contrario.

Molti dei messaggi «pro-droga» erano inseriti in annunci pubblicitari relativi a farmaci, birra o vino, e nelle caratterizzazioni in cui erano contenuti, i personaggi utilizzavano allegramente droghe legali - alcool e sigarette - per sentirsi meglio, per festeggiare un successo, per tirarsi su dopo una sconfitta, per rilassarsi dopo una giornata dura.

Per ogni messaggio televisivo che dice: «Dite no alla droga», dunque, ve ne sono 6 che dicono: «Se non ti senti bene, prendi una droga o un farmaco per modificare il tuo stato». Non riesci a dormire? Prendi qualcosa. Non riesci a stare sveglio? Prendi qualcosa. Vuoi dimagrire? Prendi qualcosa. Ti senti un po' giù? Prendi qualcosa, oppure beviti una birra o un bicchiere di vino. Quindi, sebbene le campagne di pubblico interesse siano efficaci nell'influenzare gli atteggiamenti circa i rischi dell'abuso di droghe e di alcool, la maggior parte dei messaggi televisivi raffigura un mondo in cui l'uso dell'alcool e delle droghe è diffuso in misura allarmante. Che cosa insegna questo ai giovani a proposito dell'uso e dell'abuso di sostanze? Non dice forse, in fondo, che le droghe sono legittime, fanno parte della cultura generale, tranne naturalmente per le poche che non rientrano fra quelle ammesse?

Non molto diversa è la situazione per quanto riguarda il sesso in tv. Molti pre-adolescenti e adolescenti guardano la televisione e vi scorgono una fonte d'informazione sul comportamento sessuale. Tale informazione - che non è facilmente accessibile altrimenti, visto che molti genitori hanno difficoltà a parlare di sesso con i figli - è di importanza cruciale per molti. Secondo i risultati di un sondaggio del 1969, le principali fonti d'informazione sulla sessualità erano i genitori e i coetanei; la televisione non figurava tra di esse. In un'indagine condotta nel 1987, due terzi degli adulti interpellati si sono detti convinti che la televisione incoraggiasse l'attività sessuale fra i teenager e non ritraesse la sessualità in un modo che si potesse definire realistico.

In un sondaggio del 1986, a 1100 adolescenti di età compresa fra i 10 e i 14 anni è stato chiesto quali programmi televisivi preferissero. È seguita un'analisi dei contenuti dei ruoli sessuali così com'erano presentati in quelle trasmissioni. La maggior parte dei riferimenti alla sessualità erano verbali e non visivi. Il rapporto sessuale in genere era fra coppie non sposate. I programmi in cui il sesso era raffigurato più comunemente erano le telenovelas del pomeriggio. Negli spettacoli serali, il comportamento sessuale era largamente rappresentato in chiave umoristica, mentre le raffigurazioni in chiave seria erano circoscritte ai programmi della tarda serata, come Dallas. L'omosessualità, menzionata di rado, figurava spesso come tema umoristico. Infine in quei programmi non era comunemente rappresentata la normale gamma di comportamenti sessuali di tipo amoroso.

Lo spettatore televisivo adolescente veniva dunque esposto in media a circa 2500 riferimenti al sesso in un anno. Come ha scritto uno dei ricercatori «il sesso è trattato come preludio alla violenza o contesto di violenza, oppure visto come un aspetto della vita da affrontare con una risata nervosa. Nelle sitcom e negli spettacoli di varietà, i personaggi si toccano, si baciano, si abbracciano e suggeriscono un'intimità sessuale mediante allusioni e atteggiamenti di flirt e di seduzione; questi messaggi carichi di suggerimenti in genere sono accompagnati da risate registrate».

C'è forse da stupirsi che oggigiorno i bambini abbiano problemi con l'intimità? Il comportamento sessuale non si può imparare dalla televisione, e questo per due motivi: primo, le rappresentazioni sono generalmente false e distorte; secondo, nulla ci viene detto su quel che potremmo preferire nella gamma di possibilità che esistono.

 

La struttura dei valori in tv

 

Ma non è soltanto la struttura dell'informazione televsiva che ci deve preoccupare; anche la sua struttura di valori è carente. Ci ha insegnato molto l'analisi dei valori espressi negli spot pubblicitari nel 1993, effettuata facendo riferimento ad una scala largamente applicata, che divide i valori in caratteristiche che costituiscono un mezzo per raggiungere un dato fine - definiti valori strumentali - e quelli che sono fini in se stessi - i valori terminali. Una persona può ad esempio attribuire valore al lavoro perché esso determina la sicurezza economica; in base alla nostra definizione il «duro lavoro» costituisce una valore strumentale e la «sicurezza economica» un valore terminale. Quando ci si serve di questa scala i più importanti valori strumentali citati sono l'essere onesti, l'aiutare gli altri, l'essere responsabili e di vedute aperte. Fra i valori terminali tipici vi sono invece l'uguaglianza, la pace e un mondo di bellezza. Attribuendo un codice al valori espressi in un campione di tutti gli spot televisivi emerge dunque un profilo di ciò che dovremmo essere secondo quanto ci dice la pubblicità. .

I valori strumentali citati più frequentemente negli spot pubblicitari sono stati: «essere capaci», «essere d'aiuto agli altri», «essere furbi»; i meno citati sono stati «essere coraggiosi» e «saper perdonare». Fra i valori riferiti all'aspetto esteriore della persona, i più citati sono stati «essere belli» e «essere giovanili». «Essere sexy» è un valore citato relativamente di rado, cioè nel 6 per cento di tutti gli spot analizzati.

Di contro a questi valori strumentali, un solo valore terminale domina tutti gli altri: «la felicità». Il valore-felicità viene sottolineato in quasi il 60 per cento di tutti gli annunci pubblicitari, ed è menzionato. oltre due volte più spesso di qualsiasi altro. Il secondo del valori terminali più menzionati è stato il «riconoscimento da parte della societa». I valori terminali egoistici o auto-orientati (ad esempio la felicità personale, una vita intensa o il riconoscimento sociale) si registrano con maggiore frequenza di altri valori più altruistici come «l'uguaglianza» o «l'amicizia».

Il profilo dei valori è apparso diverso per diversi tipi di trasmissione; nei programmi per bambini, ad esempio, i valori erano diversi da quelli del resto del campione. Gli spot concepiti appositamente per i bambini avevano frequenze minori rispetto al resto del campione per quasi tutti i cosiddetti valori altruistici, mentre tendevano a sottolineare elementi come il giocare tanto, il divertirsi e l'essere felici. Di rado, invece, gli spot pubblicitari inseriti nei programmi destinati all'infanzia ponevano l'accento sull'importanza di essere d'aiuto agli altri o di essere obbedienti; anche il valore della salute fisica vi figurava raramente. I valori sottolineati dalla pubblicità che esalta l'egoismo ed auto-riferiti rispetto a quelli altruistici debbono indurci a riflettere.

   Più difficile è analizzare i valori trasmessi da programmi specifici; i programmi sono più lunghi, e i valori espressi sono meno evidenti che nelle poche parole pronunciate in uno spot di 30 secondi, Eppure, vi si osserva la stessa distorsione dei fatti riguardanti il mondo reale. Ad esempio, la maggior parte delle persone è convinta che se i criminali la fanno franca con i loro delitti è perché i tribunali sono troppo indulgenti e infliggono pene detentive troppo brevi. La realtà dei fatti è esattamente opposta. .

Nella maggioranza delle città americane soltanto il 15-18 per cento di tutti i crimini denunciati sfocia in un arresto. Fra le persone arrestate la maggioranza viene spedita in galera per lunghi periodi di tempo. Oggi i detenuti sono tre volte più numerosi che 10 o 12 anni fa e gli Stati Uniti detengono il primato dell'Occidente industrializzato per lunghezza delle pene detentive inflitte.

Ma allora da dove ci vengono le nostre idee circa la cnminalità e la sua repressione, se i fatti sono tanto diversi dall' opinione diffusa fra la gente? La risposta è forse che questa è proprio la situazione descritta dagli spettacoli televisivi, in genere come espediente di drammatizzazione. Alla televisione i criminali in genere vengono acciuffati dalla polizia, ma spesso si sottraggono al castigo grazie all'indulgenza e al permissivismo dei giudici. In televisione la polizia non commette errori o ne commette di rado e sa chi è il colpevole prima ancora di catturarlo. Le convinzioni in fatto di polizia e di giustizia e anzi per quanto riguarda la forma stessa della democrazia americana si instillano nella gente a forza di farle vedere programmi del genere ogni sera, settimana dopo settimana. È impossibile credere che l'esposizione ripetuta a vicende del genere non svolga qualche ruolo nelle decisioni politiche dei legislatori e nel voto dell' elettorato.

La struttura dei valori morali della tv è strettamente intrecciata con il modo di raffigurare i personaggi. In una ricerca effettuata su questo argomento è stato chiesto a singole persone intente a guardare uno spettacolo televisivo di valutare la moralità di varie azioni rispetto ad una scala graduata che andava dal buono al cattivo. È stato chiesto anche di esprimere la propria simpatia per ciascun personaggio. Abbiamo così constatato che la moralità di una specifica azione dipende da chi la compie. La correttezza o la scorrettezza del comportamento morale, così com'è presentato dalla televisione, dipende dal fatto che l'azione sia compiuta da un personaggio simpatico e ammirato oppure da uno antipatico e che ispira sfiducia. Molti comportamenti che normalmente sarebbero giudicati «immorali» - il ricatto, l'omicidio, la rapina ecc. - sono accettabili se adottati da qualcuno che gode del favore del pubblico.

A quanto pare gli spettatori di un programma hanno a disposizione diverse strutture morali, a seconda della loro familiarità con i personaggi. I giudizi morali di persone che non hanno familiarità con essi, pare, vengono dati in base a una scala di moralità ideale, senza tener conto della simpatia dei personaggi stessi. Ben diversi, invece, i giudizi mor~li di persone che hanno familiarità con i personaggi, che h «conoscono» o nutrono sentimenti positivi o negativi nei loro riguardi. Ciò che non è ammissibile per le persone che ci stanno antipatiche è perfettamente accettabile da parte di coloro che amiamo.

   Questa è dunque la struttura morale della maggior parte dei programmi analizzati, sia di quelli per adulti che di quelli per bambini. Dunque il fatto che una cosa sia giusta o sbagliata dipende - almeno in televisione - da chi la fa, non dalla cosa stessa. I valori della televisione sono riferiti ai personaggi. Ci sono buoni e cattivi: i buoni non possono fare nulla di male, i cattivi non possono fare nulla di b_uono. Q~esta è la concezione morale di un bambino di cinque anni.

   Tutti questi esempi indicano che la televisione non può costituire un'utile fonte di informazione per i bambini, e che anzi può essere una fonte di informazione pericolosa. Essa presenta idee false e irreali; non possiede un sistema di valori coerente se non il consumismo; fornisce scarse informazioni utili circa l'io dello spettatore. Tutto ciò rend~ la televisione uno strumento di socializzazione pessimo. SI può prevedere che alcuni genitori riducano il tempo che concedono ai figli per guardare la televisione usando la stessa spiegazione cui ricorrerebbero se questi rifiutassero di mangiare altro che fiocchi d'avena, e cioè: «questo regime alimentare è dannoso per la salute». Il danno che arreca è personale, sociale, fisico e mentale. Ma non tutti i genitori sono disposti a dirlo; non tutti ne sono convinti.

   Ma quelli che condividono quest'opinione dovrebbero parlare con i figli degli spettacoli televisivi che guardano, commentando le parti che trovano particolarmente false e illusorie. Questo può senz' altro essere utile; ma va detto comunque che la maggior parte degli studi su genitori e figli che guardano assieme la televisione dimostra che ciò accade relativamente di rado, tranne alla sera, in alcune case dove i genitori controllano il contenuto dei programmi. I genitori più avveduti parlano con i figli delle trasmissioni che questi vedono nel primo pomeriggio e al sabato e alla domenica mattina, quando non ci sono adulti in giro. Questo può servire a rendere i bambini più critici rispetto all'uso della televisione come fonte primaria di informazioni sul mondo.

Se accettiamo che i bambini guardino un po' di televisione, dobbiamo fare quel che possiamo per migliorare gli spettacoli televisivi a loro rivolti. È essenziale che vengano adeguatamente finanziati dei buoni programmi istruttivi, molto più di quanti non ne esistano attualmente. Occorre che venga prodotto un maggior numero di programmi utili ai bambini. Non vi è ragione per cui non debbano essere divertenti. Competeranno di necessità con i programmi prodotti da reti commerciali, e non sarà facile vincere la battaglia. Non è cosa agevole battersi strenuamente per la salute e la felicità dei bambini.

Occorre che la scuola insegni ai bambini qualcosa sulla televisione, ,per quanto riguarda sia i programmi che la pubblicità. E necessario istruire i bambini sull'uso che si può fare della televisione e sulle cose per le quali la televisione non serve. Se i bambini imparano che l'acquisizione di beni materiali non è lo scopo supremo della vita e che molti dei valori che s'insegnano nei programmi e negli spot televisivi contraddicono ciò che si insegna a scuola, sarà un guadagno netto. Anziché ignorare la televisione, la scuola dovrebbe incoraggiare i bambini a discutere i programmi e le idee - buone e cattive - che essa comunica. La scuola dovrebbe elaborare dei programmi pedagogici per insegnare ai bambini ad essere telespettatori critici, e questo in età assai precoce. Lasciamo che i bambini usino apparecchiature video per realizzare loro stessi dei piccoli spettacoli e spot pubblicitari: che capiscano da soli quant'è facile per una telecamera distorcere la realtà.

 

Conclusioni

 

Oggi molti bambini americani hanno problemi personali e uno dei motivi è che trascorrono una parte eccessiva del loro tempo a guardare la televisione. La televisione è una ladra di tempo: deruba i bambini di ore preziose, essenziali per imparare qualcosa sul mondo e sul posto che ciascuno vi occupa. E questo sarebbe già abbastanza negativo. Ma la tv non è soltanto ladra: è anche bugiarda. Guardando la televisione i bambini vi scorgono una fonte ragionevole di informazioni sul mondo. Questo non è vero, ma loro non hanno modo di capirlo. Per quel po' di verità che la televisione comunica, c'è molto di falso e di distorto, sia in materia di valori che di fatti reali.

Il contenuto spettacolare dei programmi televisivi è straordinariamente violento, se paragonato alla vita quotidiana che pretende di ritrarre. I cartoni animati di action, visti da milioni di bambini, contengono alcune delle scene più violente attualmente trasmesse in televisione. I bambini reagiscono a ciò che vedono comportandosi essi stessi in modo più violento, mostrandosi insensibili alla violenza, acquisendo credenze e valori che dicono loro che il mondo è un posto «malvagio e pericoloso» in cui c'è da aspettarsi atti violenti e in cui questi vengono ammirati.

La televisione influisce sulle azioni, i valori e le credenze dei suoi spettatori, ma non influenza tutti allo stesso modo. Dipende da quanto tempo si passa davanti allo schermo e dal contenuto dei programmi che si guardano. La conoscenza dello spettatore e del suo ambiente sociale, in particolare del contesto sociale o familiare, sono fattori determinanti per mediare l'influsso del piccolo schermo. Dal momento che le famiglie che «mediano» la televisione in misura sufficiente sono tanto poche e che le scuole se ne disinteressano altrettanto, i bambini sono abbandonati a se stessi nel tentativo di estrarre un senso da questo mezzo di comunicazione e da ciò che ha da offrire.

La televisione esercita un potente influsso sui giovani proprio perché al momento altre istituzioni che toccano i bambini americani funzionano male. Per molti bambini piccoli la televisione ha sostituito le fiabe con racconti moderni, omogenei ma meno coerenti. Il tempo trascorso a guardare la televisione allontana il bambino dalla lettura; la capacità di leggere è scarsamente sviluppata e il valore della lettura trascurato. I bambini vengono abbandonati ad una serva infedele che li espone a «vicende sconnesse raccontate da persone sconnesse».

Per molti aspetti la televisione rispecchia i problemi della scuola. La curiosità cala e il coinvolgimento non è richiesto: almeno su questo punto scuole e produttori televisivi concordano. Il termine «educare» viene sostituito dal termine «addestrare». Chi insegna i valori? La scuola? Le chiese? La famiglia? Di certo la televisione. Ma i valori della televisione sono forse gli unici che vorremmo veder adottati dai nostri figli?

La maggior parte di coloro che hanno l'abitudine di guardare la televisione è influenzata dai suoi contenuti, i quali non sono distorti soltanto per il modo in cui si esalta la violenza. Di chi è la colpa per il fatto che i bambini guardano troppo la televisione, e per il fatto che la televi-

sione è dannosa per il loro sviluppo? Con chi ce la prendiamo?

Una parte notevole della responsabilità ricade sulla televisione stessa. In America la tv è un'istituzione che serve gli interessi delle imprese, le stesse che la sponsorizzano senza curarsi degli interessi del pubblico. Fin dal suo avvento la televisione ha usato violenze eccessive e gratuite come strumento per attirare l'attenzione, e ha continuato a farlo anche davanti alla riprovazione diffusa dell' opinione pubblica. La commercializzazione di questo mezzo di comunicazione pervade tutto ciò che fa. Ma pur essendo responsabile dei suoi contenuti la televisione non può essere incolpata del modo in cui la gente la usa.

Allora è forse colpa dei bambini? È colpa loro se le informazioni trasmesse dalla televisione sono tanto distorte? O invece è colpa della scuola, cui spetta il compito di insegnare qualcosa della nostra cultura, ma che si è dimostrata incapace di insegnare qualcosa sulla televisione?

La televisione non è destinata a scomparire ed è anche improbabile che cambi al punto da diventare un ambiente ragionevolmente accettabile per la socializzazione dei bambini. Queste realtà vanno accettate. Possiamo modificare i contenuti, migliorare la qualità dei programmi a disposizione dei bambini, ma l'esigenza più importante è scoraggiare i bambini dall'usare la televisione come fonte di informazioni sul mondo. Però se insistiamo con i nostri figli affinché guardino meno la televisione, dobbiamo offrir loro altre idee su come passare il tempo. I bambini hanno bisogno di conoscere se stessi tanto quanto hanno bisogno di conoscere il mondo; e queste informazioni si ottengono soltanto agendo nel mondo, cioè tramite l'interazione reale fra esseri umani. I bambini hanno bisogno di più esperienza e meno televisione.

La televisione non può insegnare ai bambini ciò che debbono sapere via via che crescono e diventano adolescenti e poi adulti. La televisione è un mezzo pubblicitario; in quanto tale ha un posto che le spetta legittimamente. Può essere divertente; nell'intrattenimento non c'è nulla di intrinsecamente sbagliato. La televisione può essere informativa, e questo è un bene. Tuttavia, come strumento di socializzazione, è carente; occorre capire questo fatto e prenderne spunto per agire. La scuola e la famiglia debbono fare meglio di quanto facciano attualmente e a tal fine hanno bisogno di tutto l'aiuto disponibile. Ridurre l'influenza esercitata dalla televisione nella vita dei bambini è un primo passo. Questo passo va fatto subito.

 

 

 

 

la violenza in tv (charles s. clark )

 

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Grazie alla televisione, un bambino americano assiste in media a 8 mila omicidi e a 100 mila atti di violenza prima di aver terminato le scuole elementari. L'ipotesi che esista un legame tra la violenza simulata proposta dal piccolo schermo e le aggressioni reali della vita quotidiana risale agli albori della tv, negli anni cinquanta, ed è stata sempre respinta dall'industria televisiva. Tuttavia, non molto tempo fa i tre principali network degli Stati Uniti hanno firmato la prima dichiarazione congiunta della loro storia, in cui proponevano misure destinate a ridurre la violenza. E anche le industrie della tv via cavo, delle videocassette e del cinema stanno dando segno di voler collaborare. Alcuni membri del Congresso hanno valutato positivamente l'iniziativa, augurandosi che il cambiamento avvenga in modo volontario, senza che si renda necessario ricorrere ad una regolamentazione federale. Ma gli attivisti dei movimenti contro la violenza in tv e gli esperti di televisione accusano l'industria di non avere alcuna intenzione di affrontare il problema in maniera concreta.

Una volta, nel pronto soccorso di un ospedale di Boston, la giovane vittima di un colpo d'arma da fuoco sbalordì i medici dicendosi stupita perché la ferita gli faceva realmente male. «Ho pensato che fosse una specie di deficiente: chiunque sa che un proiettile fa male», ricorda la dottoressa Deborah Prothrow-Stith, vicepreside dell'Istituto di sanità pubblica dell'università di Harvard e autrice di un libro sulla violenza pubblicato di recente. «Ma a un tratto mi è venuto in mente che alla televisione, quando sparano in un braccio al super eroe, lui usa quello stesso braccio per aggrapparsi ad un camion che prende una curva a 140 all' ora. E già che c'è, riesce anche a sopraffare l'autista e a sparare ad un paio di centinaia di persone».

Secondo le stime dell' American Psychological Association (Apa), i bambini americani restano incollati al televisore per una media di 27 ore alla settimana (con punte di 11 ore al giorno nei quartieri degradati delle zone centrali delle metropoli). Il risultato è che ciascun bambino avrà assistito in media ad 8 mila omicidi e 100 mila atti di violenza entro la fine delle scuole elementari.

Ma nel solo 1991 negli Stati Uniti vi sono stati 25 mila omicidi. Mentre gli assassinii aumentano sei volte più rapidamente della popolazione, l'annoso dibattito sulla violenza televisiva -la televisione provoca violenza reale? - torna di attualità.

«È una situazione senza precedenti», ha dichiarato nel dicembre 1992 ad una commissione del Congresso George Gerbner, decano emerito dell' Annenberg School of Communications dell'università della Pennsylvania. I bambini «cominciano a vedere la tv da piccolissimi. La maggior parte delle storie che conoscono non l'hanno imparata dai genitori, a scuola, in chiesa o dai vicini di casa, ma da un pugno di grandi gruppi industriali che devono vendere i loro prodotti».

Il 25 per cento degli spettacoli trasmessi nell'autunno 1992 durante la prima serata conteneva «materiale estremamente violento», ha riferito la National Coalition on Television Violence (Nctv), un'associazione impegnata nel monitoraggio e nella lotta alla violenza in televisione, che ha sede a Champaign, nell'Illinois.

I palinsesti del 1992 hanno stabilito un record assoluto di scene brutali nelle trasmissioni per bambini: 32 atti di violenza ogni ora, più di cinque volte a confronto, secondo i ricercatori dell'università della Pennsylvania, con i sei atti di violenza presentati nella fascia serale di massimo ascolto. In base ai dati raccolti dall' American Academy of Pediatrics, nel corso degli anni ottanta la dose di schizzi di sangue, stupri, incidenti stradali e vittime urlanti ammannita ogni sera dal piccolo schermo si è triplicata.

Ciò che distingue la situazione televisiva odierna da quella degli anni sessanta - l'epoca, per fare un esempio, dalle raffiche di mitragliatrice che si scambiavano i mafiosi e gli agenti dell'Fbi in Gli intoccabili - è la proliferazione dei formati - tv via cavo, pay-tv, videocassette - che portano dentro le case un'ampia scelta di lungometraggi. «Oggi l'accesso alla violenza è diverso», afferma Edward Donnerstein, docente di comunicazioni all'università della California di Santa Barbara. «I bambini vedono molto spesso la televisione senza la supervisione degli adulti e molte case hanno due apparecchi».

Un altro elemento nuovo sono i film per la tv «ispirati a fatti realmente accaduti» e i rotocalchi televisivi e le trasmissioni basati su notizie di cronaca (come Top Cops, Hard Copy, A Current Affair e I Witness Video), in molti dei quali vanno in onda le ricostruzioni di veri reati e addirittura le registrazioni dei crimini catturate su nastro da tele operatori dilettanti. Altre immagini di violenza arrivano inoltre con gli spot di promozione dei film distribuiti nelle sale, molti dei quali sono sconsigliati ai minori. Qualche tempo fa uno psicoterapeuta di New York ha scritto sulla rivista «McCall's» che la sua bambina aveva avuto difficoltà a dormire dopo aver visto - nel bel mezzo di una trasmissione «per famiglie» - una pubblicità che mostrava i personaggi sfregiati di Nightmare.

La moderna violenza ipertecnologica - ottenuta facilmente grazie agli effetti speciali realizzati col computer - è indirizzata ad un pubblico giovanile smaliziato che si aspetta una velocità d'azione sempre maggiore. Di conseguenza, una delle maggiori fonti di preoccupazione sono le continue scene di percosse nei cartoni animati per bambini. Un'indagine nazionale fra gli insegnanti di scuola elementare ha rilevato che il popolare Tartarughe Ninja M utanti provoca confusione tra fantasia e realtà. «Molti bambini pensano sul serio che vada bene essere violenti con i compagni, visto che [le tartarughe] lo fanno», ha riferito una maestra.

I bambini che vivono nelle zone degradate dei centri metropolitani sono i più influenzati dalla cultura della violenza televisiva, afferma Leonard Eron, docente di psicologia all'università del Michigan, che si occupa da tempo di ricerche sull'argomento. «Un bambino che ha seguito delle trasmissioni con un contenuto aggressivo ne ricava l'impressione che il mondo sia una giungla irta di pericoli e che l'unico modo per sopravvivere sia essere sempre in posizione di attacco» .

Ma l'impatto potenziale sui giovani telespettatori, secondo Ronald G. Slaby, psicologo dello sviluppo ad Harvard, va al di là del cosiddetto «effetto-aggressore» (l'aumento di probabilità di avere un comportamento violento). I giovanissimi sperimentano anche un «effetto-vittima» (aumento del timore di restare vittima della violenza) ed un «effetto-spettatore» (1'aumento dell'indifferenza verso la violenza subita dagli altri).

Sia alcuni membri del Congresso, sia attivisti di ogni colore politico, che gruppi di cittadini hanno individuato la violenza in tv come tema di mobilitazione. Faimess and Accuracv in Reporting (Fair), un'associazione di tendenze liberal di N ew York, nel gennaio 1993 ha promosso una campagna per obbligare la Nbc a trasmettere un comunicato di pubblico interesse durante le trasmissioni del Superbowl, citando alcuni degli studi secondo i quali nel giorno della grande partita si registra un aumento della violenza.

Gran parte dell' opinione pubblica concorda sul fatto che il problema esiste. Secondo un sondaggio d'opinione diffuso dalla «Times Mirror» il 23 marzo 1993, il 72 per cento degli americani ritiene che gli spettacoli televisivi di intrattenimento contengano troppa violenza. Ed un sondaggio Gallup del 1990 ha registrato un 63 per cento di persone convinte che i programmi televisivi che mostrano scene di violenza incoraggiano la criminalità.

I dirigenti televisivi non sono rimasti sordi alle accuse. Nel dicembre del 1992, Nbc, Cbs e Abc hanno diffuso una dichiarazione congiunta senza precedenti nella storia delle tre reti, nella quale esponevano i provvedimenti destinati a ridurre la violenza e a mantenerla entro certi limiti. Ma i network hanno ribadito il loro ormai decennale rifiuto indiscriminato nei confronti delle ricerche che collegano la violenza negli spettacoli televisivi a quella vera ed hanno scaricato la responsabilità sulla tv via cavo e sulle stazioni televisive indipendenti. «Sui dieci programmi più seguiti dai bambini e dagli adolescenti, otto sono sitcom, che non hanno alcun contenuto violento», ha dichiarato il 15 dicembre dello stesso anno Rosalyn Weinman, vicepresidente del dipartimento Standards and Practices [incaricato dei regolamenti e dei codici di comportamento interni N.d. T.] della Nbc, dinnanzi alla sottocommissione giudiziaria della Camera sulla criminalità e la giustizia penale.

I dirigenti televisivi di maggiore esperienza sostengono inoltre che il contenuto dei programmi è e rimarrà sempre sotto il controllo dei telespettatori. «La televisione e il cinema sono condizionati dal mercato», afferma Del Reisman, presidente della sezione occidentale della Writers Guild of America, l'associazione nazionale degli scrittori. «Se la gente non va a vederli, i film non si fanno».

I movimenti in difesa delle libertà civili si sono impegnati a fondo per scoraggiare il Congresso da ogni interferenza con i diritti garantiti nel Primo Emendamento. «I network sono liberi di prendere le loro decisioni», dice Robert Peck, capo dell'ufficio di Washington dell' American Civil Liberties U nion. Se l'industria televisiva dovesse ridurre il quantitativo di violenza «in conseguenza delle pressioni del Congresso, ne saremmo preoccupati».

Infine, i difensori dei palinsesti attuali fanno osservare che la violenza svolge da secoli un ruolo centrale nel dramma umano. «C'è sangue nelle favole, violenza nella mitologia e delitto in Shakespeare», ribatte Gerbner. «Questo è un mondo violento. Ma la violenza storicizzata, limitata, elaborata caso per caso, utilizzata selettivamente e spesso tragicamente simbolica, è stata travolta da una sorta di 'violenza allegra' prodotta all'ingrosso dalla catena di montaggio dell'industria dello spettacolo ed immessa nel filone centrale della nostra cultura. La violenza allegra non provoca dolore e non ha conseguenze tragiche. È la soluzione facile e veloce di molti problemi, a cui ricorrono tanto i buoni che i cattivi e che conduce sempre allieto fine».

Se vi saranno davvero cambiamenti profondi nella violenza televisiva dipenderà in gran parte dalla risposta che troveranno i seguenti interrogativi.

Verso la metà degli anni ottanta, Juan Valdez, un ragazzo di 13 anni di Manteca, in California, ha confessato di aver ucciso il padre di un amico. Gli è stato chiesto come mai, dopo aver preso a calci, pugnalato, percosso e strangolato l'uomo con una catena per cani, ne avesse cosparso di sale le ferite. «Oh, non lo so», ha nsposto, «l'ho visto alla tv».

Il presunto legame tra violenza sul piccolo schermo e violenza reale è forse il problema che e stato studiato pm a fondo dai sociologi. Negli ultimi quarant'anni vi sono state dedicate ben 3 mila ricerche in paesi diversi, sebbene solo poche centinaia di esse abbiano fornito nuove informazioni.

Attraverso un' ampIa gamma di indagini, studi sul campo e test di laboratorio, gli esperti hanno esaminato le reazioni dei bambini a scene come quella In cui un uomo viene premiato con una caramella se riesce ad abbattere con un pugno il pupazzo gonfiabile del «clown Bobo sempre-in-piedi». Sono stati effettuati dei confronti sul grado di aggressività raggiunto dai bambini dopo aver assistito a scene di violenza farsesca in cartoni animati aventi come protagonisti Bugs Bunny, il picchio Woody e Tom e Jerry e dopo aver visto spettacoli dal contenuto più blando come Lassie. I ricercatori hanno studiato l'aumento del tasso degli omicidi dopo la trasmissione di incontri di pugilato e la crescita dei suicidi dopo la programmazione di sceneggiati tv sul suicidio. Sono stati esaminati i cambiamenti verificatisi all'interno di comunità in cui era stata introdotta di colpo la televisione, come è .avvenuto nel Sudafrica. dell'apartheid ed in una cittadina isolata del Canada negli anni settanta.

Il risultato, secondo moltissimi esperti e gruppi impegnatI sull'argomento, è che un effetto causale esiste con incrementi misurabili tra il 3 ed il 15 per cento. Come rifensce un rapporto dell' Apa «l'aggregato delle ricerche dimostra chiaramente che esiste una correlazione tra la visione di scene violente e il comportamento aggressivo, vale a dire che coloro che guardano molta televisione sono più aggressivi di chi ne guarda poca».

Questa sintesi è stata ripresa da un nuovo studio sulla violenza effettuato dal National Research Council, dove si afferma che gli autori di reati di violenza sono caratterizzati. da un basso quoziente di intelligenza, prepotenza, iperattività, scarso senso di solidarietà, mancanza di disciplina, abbandono, carenze affettive e «seguono con eccessiva frequenza spettacoli violenti in tv».

Lo psichiatra Brandon S. Centerwall, dell'università di Washington, in un art~colo pubblicato nel giugno 1992 sul «Journal of the Amencan Medical Association» ha riferito che l'arrivo della televisione in Sudafrica ha coinciso con un raddoppio del tasso di omicidi. Durante il «periodo critico» della preadolescenza, ha spiegato lo studioso, l'esposizione alla violenza televisiva ha un impatto particolarmente profondo. «Mentre i bambini hanno un desiderio istintivo di imitare i comportamenti osservati, non posseggono un. istinto per valutare a priori se un comportamento dato sia da emulare o no. Imitano qualsiasi cosa».

Leonard Eron dell'università del Michigan, che presiede la commissione dell' Apa su giovani e violenza, ha passato 36 anni. a studiare la violenza in tv. I suoi studi longitudinali, unici nel loro genere, sono iniziati nel 1960 ed hanno seguito un gruppo di 875 soggetti dei due sessi fra gli 8 anni di età ed i 30, analizzando le percentuali di criminalità e le caratteristiche personali. Secondo i risultati del suo studio, chi aveva assistito a più scene di violenza in tv aveva commesso reati più gravi, era più aggressivo sotto l'influenza dell'alcool ed era più brutale nel punire i propri figli, i quali a loro volta mostravano segni di aggressività. «Ciò che si impara dal piccolo schermo sembra trasmettersi alla generazione successiva» afferma Eron.

Secondo esperti come Eron, Donnerstein e Slaby, «il dibattito scientifico» sugli effetti della violenza televisiva «è concluso» ed è giunto il momento di passare ai fatti. A giudizio dei tre studiosi, per colpa dei sofismi di chi obietta che gli effetti misurati sono troppo ridotti o i comportamenti antisociali ad essi collegati troppo poco significativi, un valido insieme di ricerche sulla violenza «per decenni è stato attivamente ignorato, attaccato e persino presentato scorrettamente al pubblico americano, perpetuando alcune diffuse leggende rispetto agli effetti della tv».

I cavilli e le obiezioni, afferma Seymour Feschbach, psicologo dell'Ucla, sono un classico esempio di ostruzionismo. «L'irrealistica esigenza di ricerche ancor più complete», ha scritto Feschbach, «può essere usata come strumento per procrastinare il cambiamento di prassi, come avviene spesso quando i politici scaricano sulle commissioni le questioni scabrose per rimandare l'intervento».

   Robin Crews, docente dell'università del Colorado che dirige un. gruppo di accademici politicamente impegnati denominato Peace Studies Association, dichiara: «Non conosco nessuno che lavori nel settore degli studi sulla pace che non ritenga che la pubblicità, la televisione e i film abbiano una profonda influenza sulla violenza contro le donne e la violenza per bande. L'onere della prova non dovrebbe ricadere su coloro che cercano di mostrare l' esistenza di un legame, ma su chi continua a promuovere la violenza utilizzandola come forma di spettacolo».

Dal canto loro, i dirigenti televisivi continuano ad esprimere dubbi sulla validità delle ricerche sulla violenza. «Il problema è troppo complesso», dice l'ex presidente della 20th Century Fox Film Corporation, Barry Diller. «Non è possibile affrontarlo in maniera superficiale. Non credo che ne sappiamo ancora abbastanza».

I network citano uno studio del 1982 patrocinato dalla Nbc che non ha rilevato alcuna correlazione tra violenza televisiva e violenza reale (sebbene alcuni scienziati affermino che i dati sono stati male interpretati). Le tre grandi reti americane indicano anche il lavoro dello psicologo Jonathan L. Freedman, dell'università di Toronto, che sostiene che la mole di ricerca sulla violenza ha prodotto risultati non convincenti. Gli studiosi, secondo Freedman, sono indecisi se considerare i risentimenti personali come condizione preliminare del comportamento violento dei telespettatori; un altro fattore decisivo potrebbe essere la «aspettativa» di un risultato positivo da parte dello sperimentatore, vale a dire il suo atteggiamento preconcetto.

Gli spettatori «assistono ad un miscuglio di violenza e nonviolenza, realtà e fantasia, eccitazione e noia, notiziari e programmi di fiction», scrive lo psicologo canadese. «Il punto è stabilire come questa mescolanza di trasmissioni influenzi i bambini o, più specificamente, in che modo cambierebbero gli effetti di questa miscela se venissero omessi i programmi violenti».

Altri studiosi sottolineano ironicamente il fatto che alcune ricerche condotte su trasmissioni tv «per famiglia» come Sesame Street, accrescerebbero i comportamenti aggressivi tanto quanto gli spettacoli violenti. Come ha scritto un gruppo di ricercatori, «incoraggiare i bambini a guardare trasmissioni "sane" non è la soluzione per rimediare ai problemi di comportamento e anzi, come dimostrano gli indizi disponibili, sembra sia controproducente».

Il grande pubblico, sebbene sia disposto ad ammettere l'esistenza di un legame tra violenza in tv e criminalità, non crede che le scene di brutalità sul piccolo schermo siano la causa principale degli orrori della società. Nel 1990, un'indagine Gallup ha rilevato solo l'1 per cento di intervistati convinti che la tv fosse la principale responsabile della criminalità, mentre il 60 per cento dava la colpa alla droga ed il 6 per cento al degrado dei valori familiari. Gli psicologi Jerome e Dorothy Singer dell'Università di Yale, che si occupano da tempo delle trasmissiom per bambni, fanno osservare che sono gli stessi network a contraddire la tesi che la televisione non influenza i comportamenti. Un dirigente televisivo, raccontano, una volta ha testimoniato dinnanzi alla FederaI Communications Commission (Fcc) per elogiare un bambino che, avendo assistito in tv alla dimostrazione della manovra Heimlich [un intervento di pronto soccorso in casi di soffocamento da in gestione N.d. T.], lo aveva poi usato per salvare una persona.

«Se la televisione non ha alcun effetto sugh spettatori», ha chiesto il deputato democratico dello Stato di. New York Charles E. Schumer alle udienze che ha presieduto nel dicembre del 1992, «come si spiegano i miliardi di dollari spesi ogni anno in pubblicità televisiva?».

 

 

 

 

la potenza dei media (karol wojtyla)

 

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1. La responsabilità!

 

Il 24 gennaio scorso, memoria di san Francesco di Sales, Patrono della stampa cattolica, è stato reso pubblico il messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, in programma il prossimo 19 maggio, che avrà come tema: «I media: areopago per la promozione della donna nella società». Gli strumenti della comunicazione sociale offrono possibilità straordinarie per l'annuncio del Vangelo, come già sottolineava il decreto Inter mirifica, col quale il Concilio Vaticano II si è appunto occupato di essi. I Padri conciliari con atteggiamento di fiducia e, insieme, di lucido realismo hanno riconosciuto innanzitutto gli aspetti positivi di questi mezzi, ma non si sono nascosti che «gli uomini possono usarli contro il piano di Dio creatore e volgerli a propria rovina» (1M, 2). E come negare che proprio tale ambivalenza è venuta in questi decenni sempre più in luce?

Innegabile è il valore dei mass media. Ben usati, essi possono rendere un servizio inestimabile alla cultura, alla libertà ed alla solidarietà. Nel messaggio per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali mi è piaciuto tratteggiarli come «il moderno areopago», dove si forgiano comportamenti e dove di fatto va delineandosi una nuova cultura». Ma quanto diversi e contraddittori sono i messaggi che essi veicolano, influenzando, in positivo o in negativo, le persone e le famiglie, il costume e la vita della gente! Può essere che un campo così delicato resti privo di regole e di equilibrati orientamenti etici e morali?

Appaiono a tal proposito lungimiranti i moniti del decreto Inter mirifica, specialmente per quanto concerne il diritto all'informazione. Il Concilio ricorda che «il retto esercizio di questo diritto richiede che la comunicazione nel suo contenuto sia sempre vera e, salve la giustizia e la carità, integra» (1M, 5). Ma va curato anche il modo di informare, che deve essere «onesto e conveniente», ossia rispettoso delle leggi morali, dei legittimi diritti, della dignità dell'uomo (Ibid.).

È una responsabilità che grava primariamente su quanti operano, a diverso livello, nel mondo dei «media», oggi diventati straordinariamente potenti, ma coinvolge l'intera società civile, che non può essere destinataria passiva di ogni messaggio ed informazione. Un settore tanto decisivo della società non va, infatti, abbandonato ai giochi del mercato, ma va opportunamente tutelato, ciò sia per garantire un equilibrato e democratico confronto delle opinioni, sia per salvaguardare i diritti dei singoli membri della comunità, specialmente dei più giovani e dei meno dotati di senso critico.

Ci aiuti la Vergine Santa a trovare, in questo delicato ambito, l'orientamento che meglio corrisponde alle esigenze della dignità umana del disegno di Dio. Metta nel cuore degli uomini e delle donne impegnati in questo tipo di servizio un profondo senso di responsabilità. Aiuti tutti a capire che la libertà non è fine a se stessa; essa è autentica solo quando viene posta al servizio della verità, della solidarietà e della pace.

 

2. La bambinaia elettronica

 

Negli ultimi decenni, la televisione ha rivoluzionato le comunicazioni influenzando profondamente la vita familiare. Oggi, la televisione è una fonte primaria di notizie, di informazioni e di svago per innumerevoli famiglie fino a modellare i loro atteggiamenti e le loro opinioni, i loro prototipi di comportamenti.

La televisione può arricchire la vita familiare: può unire tra loro più strettamente i membri della famiglia e promuovere la loro solidarietà verso altre famiglie e verso la più vasta comunità umana; può accrescere in loro non solo la Parola di Dio, rafforzare la propria identità religiosa e nutrire la propria vita morale e spirituale.

La televisione può anche danneggiare la vita familiare: diffondendo valori e modelli di comportamento falsati e degradanti, mandando in onda pornografia e immagini di brutale violenza; inculcando il relativismo morale e lo scetticismo religioso; diffondendo resoconti distorti o informazioni manipolate sui fatti ed i problemi di attualità, trasmettendo pubblicità profittatrice, affidata ai più bassi istinti; esaltando false visioni della vita che ostacolano l'attuazione del reciproco rispetto, della giustizia e della pace.

La televisione può ancora avere effetti negativi sulla famiglia anche quando i programmi televisivi non sono di per sé moralmente criticabili: essa può invogliare i membri della famiglia ad isolarsi nei loro mondi privati, tagliandoli fuori dagli autentici rapporti interpersonali, ed anche dividere la famiglia, allontanando i genitori dai figli e i figli dai genitori.

Poiché il rinnovamento morale e spirituale della famiglia umana nella sua interezza deve radicarsi nell'autentico rinnovamento delle singole famiglie, il tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1994 - «Televisione e famiglia: criteri per sane abitudini nel vedere» - è particolarmente appropriato, soprattutto in questo Anno Internazionale della Famiglia, durante il quale la comunità mondiale sta cercando come dare nuovo vigore alla vita familiare,

In questo messaggio, desidero in particolare sottolineare le responsabilità dei genitori, degli uomini e delle donne dell'industria televisiva, le responsabilità delle pubbliche autorità, di coloro che adempiono ai loro doveri pastorali e educativi all'interno della Chiesa. Nelle loro mani sta il potere di rendere la televisione un mezzo sempre più efficace per aiutare le famiglie a svolgere il proprio ruolo che e quello di costituire una forza di rinnovamento morale e sociale; Dio ha investito i genitori della grave responsabilità di aiutare i figli a «cercare la verità ed a vivere in conformità ad essa, a cercare il bene e a promuoverlo» (Messaggio per la giornata Mondiale della Pace 1991, n. 3), Essi hanno quindi il dovere di portare i loro figli ad apprezzare «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato» (FII 4,8). Quindi, oltre ad essere spettatori in grado di discernere per se stessi, i genitori dovrebbero attivamente contribuire a formare, nei propri figli, abitudini nel vedere la televisione che portino a un sano sviluppo umano, morale e religioso, e inoltre dovrebbero anticipatamente informare i propri figli sul contenuto dei programmi e fare, di conseguenza, la scelta consapevole per il bene della famiglia se guardare o non guardare. A questo proposito possono essere di aiuto sia le recensioni ed i giudizi forniti da organismi religiosi e da altri gruppi responsabili, sia adeguati programmi educativi proposti dai mezzi di comunicazione sociale. I genitori dovrebbero anche discutere della televisione con i propri figli, mettendoli in grado di regolare la quantità e la qualità dei programmi che guardano e di percepire e giudicare i valori etici che stanno alla base di determinati programmi, poiché la famiglia è «il veicolo privilegiato per la trasmissione di quei valori religiosi e culturali che aiutano la persona ad acquisire la propria identità» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994, n. 2).

Formare le abitudini dei figli, a volte può semplicemente voler dire spegnere il televisore perché ci sono cose migliori da fare, o perché la considerazione verso altri membri della famiglia lo richiede o perché la visione indiscriminata della televisione può essere dannosa. I genitori che si servono abitualmente ed a lungo della televisione come di una specie di bambinaia elettronica, abdicano al ruolo di primari educatori dei propri figli. Tale dipendenza dalla televisione può privare i membri della famiglia dell'opportunità di interagire l'uno con l'altro attraverso la conversazione, le attività e la preghiera comuni. I genitori saggi sono inoltre consapevoli del fatto che anche i buoni programmi debbono essere integrati da altre fonti di informazione, intrattenimento, educazione e cultura.

Per garantire che l'industria televisiva tuteli i diritti delle famiglie, i genitori dovrebbero esprimere le loro legittime preoccupazioni ai produttori e ai responsabili dei mezzi di comunicazione sociale. A volte, sarà utile unirsi ad altri, formando associazioni che rappresentino i loro interessi, in relazione ai mezzi di comunicazione, ai finanziatori, agli «sponsors» e alle autorità pubbliche.

Coloro che lavorano per la televisione - «managers» e funzionari, produttori e direttori, autori e ricercatori giornalisti, personaggi dello schermo e tecnici - tutti hanno gravi responsabilità morali verso le famiglie, che costituiscono la gran parte del loro pubblico. Nella loro vita professionale e personale, coloro che lavorano nell'ambito televisivo dovrebbero porre ogni impegno nei confronti della famiglia in quanto fondamentale comunità sociale di vita, amore e solidarietà. Riconoscendo la capacità di persuasione della struttura presso la quale lavorano, dovrebbero farsi promotori di autentici valori spirituali e morali ed evitare «tutto ciò che può ledere la famiglia nella sua esistenza, nella sua stabilità, nel suo equilibrio e nella sua felicità ( ... ) che si tratti di erotismo o violenza, di apologia del divorzio o di atteggiamenti antisociali fra i giovani» (Paolo VI, Messaggio per Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1969, n. 2).

La televisione si trova spesso a trattare argomenti seri: la umana debolezza ed il peccato e le loro conseguenze per gli individui e la società; le debolezze delle istituzioni sociali, inclusi i governi e la religione; i fondamentali interrogativi circa il significato della vita. Essa dovrebbe trattare questi temi in maniera responsabile, senza sensazionalismi, con una sincera sollecitudine verso il bene della società ed uno scrupoloso rispetto per la verità. «La verità vi farà liberi» (Gv 8, 32), ha detto Gesù; e tutta la verità ha il suo fondamento in Dio, che è anche la fonte della nostra libertà e della nostra capacità creativa.

Nell'adempiere alle proprie responsabilità, l'industria televisiva dovrebbe sviluppare e osservare un codice etico che includa l'impegno a soddisfare le necessità delle famiglie e a promuovere valori a sostegno della vita familiare. Anche i Consigli, formati sia da membri dell'industria televisiva sia da rappresentanti dei fruitori dei mezzi di comunicazione di massa, sono un modo auspicabile per rendere la televisione più reattiva ai bisogni e ai valori degli utenti.

I canali della televisione, siano essi gestiti dall'industria televisiva pubblica o privata, sono uno strumento pubblico al servizio del bene comune; essi non sono solamente un «terreno» privato per interessi commerciali o uno strumento di potere o di propaganda per determinati gruppi sociali, economici o politici; essi esistono per servire il benessere della società nella sua totalità.

In quanto «cellula» fondamentale della società, la famiglia merita quindi di essere assistita e difesa con appropriate misure da parte dello Stato e delle altre istituzioni (cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994, n. 5). Ciò sottolinea la responsabilità che incombe sulle autorità pubbliche nei confronti della televisione.

Riconoscendo l'importanza di un libero scambio di idee e di informazioni, la Chiesa sostiene la libertà di parola e di stampa (cfr. Gaudium et Spes, n. 59). Allo stesso tempo, insiste sul fatto che «deve essere rispettato il diritto di ciascuno, delle famiglie e della società, alla 'privacy', alla pubblica decenza e alla protezione dei valori fondamentali della vita» (Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali - Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione: una risposta pastorale, n. 21). Le autorità pubbliche sono invitate a fissare e a far rispettare ragionevoli modelli etici per la programmazione, che promuovano i valori umani e religiosi su cui si basa la vita familiare e che scoraggino tutto ciò che le è dannoso; esse dovrebbero, inoltre promuovere il dialogo fra l'industria televisiva e il pubblico, fornendo strutture e occasioni perché ciò possa avvenire.

Gli organismi religiosi, da parte loro, possono rendere un eccellente servizio alle famiglie istruendo le sui mezzi di comunicazione sociale e offrendo loro giudizi su films e programmi. Dove le risorse lo permettono, le organizzazioni ecclesiali di comunicazione sociale possono anche aiutare le famiglie, producendo e trasmettendo programmi per la famiglia o promuovendo questo tipo di programmazione. Le Conferenze Episcopali e le Diocesi dovrebbero con forza inserire nel loro programma pastorale per le comunicazioni sociali la «dimensione familiare» della televisione (cfr. Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Aetatis novae, 21 e 23).

Poiché lavorano per presentare una visione della vita ad un ampio pubblico che comprende bambini e adolescenti, i professionisti della televisione hanno la possibilità di avvalersi del ministero pastorale della Chiesa, che può aiutarli ad apprezzare quei principi etici e religiosi che conferiscono pieno significato alla vita umana e familiare: «programmi pastorali in grado di garantire una formazione permanente, capace di aiutare questi uomini e queste donne - molti dei quali sono sinceramente desiderosi di sapere e di praticare ciò che è giusto in campo etico e morale - ad essere sempre più compenetrati da criteri morali tanto nella loro vita professionale che in quella privata» (ibid., n. 19).

La famiglia, basata sul matrimonio, è una comunione unica di persone, costituita da Dio come «nucleo naturale e fondamentale della società» (Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, art. 16,3). La televisione e gli altri mezzi di comunicazione sociale hanno un potere immenso per sostenere e rafforzare tale comunione all'interno della famiglia, così come la solidarietà verso le altre famiglie e lo spirito di servizio verso la società.

Grata per il contributo che la televisione, in quanto mezzo di comunicazione, ha dato e può dare a tale comunione all'interno della famiglia e tra le famiglie, la Chiesa - essa stessa comunione nella verità e nell'amore di Gesù Cristo, Parola di Dio - coglie l'occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali per incoraggiare le famiglie stesse, coloro che lavorano nell'ambito dei mezzi di comunicazione sociale e le autorità pubbliche, a realizzare appieno il nobile mandato di sostenere e rafforzare la prima e più vitale «cellula» della società: la famiglia.

 

(Dal Vaticano, 24 gennaio 1994).