STORIA DELL’ECONOMIA |
❍ I caratteri dell’economia
medioevale
❍ La ripresa
dell'economia dopo il medioevo
❍ La nascita degli stati
nazionali
IL CAPITALISMO E LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
❍ La rivoluzione
industriale: la fase preparatoria
❍ La rivoluzione
industriale: la fase iniziale (o delle grandi invenzioni)
❍ La rivoluzione
industriale: la seconda fase (o delle grandi comunicazioni)
❍ La rivoluzione
industriale: i caratteri del nuovo modo di produzione
❍ La rivoluzione
industriale: le condizioni di vita dei lavoratori durante la rivoluzione industriale.
❍ La scuola economica classica
❍ La crescita
delle rendite a seguito dell'industrializzazione
❍ L'evoluzione
della figura dell'imprenditore nel corso dei secoli fino ad oggi
❍ Le societa' premoderne
e le loro credenze
❍ Le idee-cardine del
liberalismo
❍ La separazione
tra stato e societa civile. La separazione dei poteri
❍ Le "leggi
naturali" del sistema. La "mano invisibile"
❍ Il principio dello
scambio. L'eguaglianza
IL CIRCUITO REDDITO-SPESA E LA TEORIA DEGLI
SBOCCHI DI SAY
❍ Il circuito
reddito-spesa e la legge degli sbocchi
LE TEORIE DI MALTHUS E DI LASSALLE
❍ La popolazione nel Settecento
❍ La "legge ferrea (o
bronzea) dei salari"
❍ La critica di ricardo a
malthus. Il pensiero degli economisti successivi
LA TEORIA DELLA RENDITA DI RICARDO
❍ La rendita assoluta
e la rendita differenziale
❍ La concezione cristiana
dei rapporti economici
❍ Le origini del
cattolicesimo sociale. Il movimento cristiano sociale di fine ottocento
❍ Il cattolicesimo
sociale del primo e del secondo dopoguerra. Il personalismo
❍ Fourier
❍ Owens
IL PENSIERO ECONOMICO MARXISTA. LA DOTTRINA DEL
VALORE-LAVORO PRESSO GLI ECONOMISTI CLASSICI.
❍ Il profitto normale e
l'extraprofitto
❍ La teoria del valore di Adam
Smith
❍ La teoria del valore di Ricardo
❍ La teoria di Marx del
plusvalore
❍ La caduta del saggio di
profitto
❍ La crisi del capitalismo
secondo Marx
❍ Hegel è un filosofo idealista
❍ Ciò che è reale
e razionale e ciò che è razionale è reale
❍ L'idea di Hegel
(detta anche idea assoluta, assoluto, spirito, spirito del mondo, ecc.)
❍ L 'evoluzione dialettica.
Il progresso storico
❍ Lo statalismo
hegeliano. Il rapporto tra l'uomo e la società
❍ Marx lesse Feuerbach con
entusiasmo
❍ Trasformazione
della teologia in antropologia
❍ La dottrina morale di Feuerbach
MARX: IL
PENSIERO FILOSOFICO DI KARL MARX
❍ I rovesciamenti
di pensiero marxisti rispetto al pensiero borghese
❍ L'essenza umana è
storicamente e socialmente determinata (carattere sociale dell'uomo)
❍ L'uomo e il lavoro. I
rapporti di produzione
❍ La sovrastruttura. Gli
ideologi attivi
❍ I capisaldi
dell'antropologia marxista
❍ Il progresso storico. La
storia
❍ L'alienazione
dell'uomo: l’alienazione dell’uomo in dio
❍ L’alienazione dell’uomo:
alienazione del lavoro
❍ L’alienazione
dell’uomo: alienazione del capitalista
❍ L’alienazione
dell’uomo: alienazione del genere umano
❍ L’alienazione
dell’uomo; l'uomo è un essere materiale
❍ La destra
religioso-tradizionale
❍ La destra che si ispira a Nietzche
❍ Il pensiero
della scrittrice Marguerite Yourcenar sulla destra e la sinistra
❍ Destra e sinistra viste...
da sinistra
❍ La crisi del 1929:
descrizione generale
❍ La crisi del
1929: le cause della caduta della domanda
❍ La crisi del 1929: come
reagirono le autorità
❍ La crisi del
1929: cosa fece capire ad economisti ed uomini politici
❍ La crisi del
1929: quali scuole economiche tramontarono e quali nacquero
❍ Assistenzialismo,
crisi fiscale, aumento del debito pubblico (anni ’60-’80)
GLOBALIZZAZIONE
E OCCUPAZIONE NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI
❍ Il calo
dell’occupazione nei paesi industrializzati
❍ Necessità di
riqualificare il lavoro nei paesi industrializzati
❍ Le ragioni del
successo delle politiche keynesiane del dopoguerra
❍ La fine delle
politiche keynesiane rigorose
❍ La stagflazione,
la globalizzazione e la fine della possibilità pratica delle politiche
keynesiane
❍ I modelli
capitalistici più efficienti
❍ Globalizzazione e
fine del protezionismo
❍ La
globalizzazione mette in pericolo le politiche sociali dei vari stati
❍ La valutazione
ottimista della globalizzazione
❍ La perdita degli
strumenti di politica economica dei governi nazionali
❍ La Unione
Europea come risposta ai pericoli della globalizzazione
❍ Il declino della
legislazione sociale
LE SCUOLE
ECONOMICHE PIU’ RECENTI
❍ Le teorie economiche più
recenti
❍ Le posizioni
della Scuola Monetarista o Scuola di Chicago
❍ Le critiche
dell’economista John Kenneth Galbraith ai monetaristi
L'ECONOMIA MEDIOEVALE. IL RINASCERE DELL'ATTIVITÀ
ECONOMICA DOPO IL MEDIOEVO. IL MERCANTILISMO. LA FISIOCRAZIA.
❍ I CARATTERI DELL’ECONOMIA
MEDIOEVALE
Il medioevo fu caratterizzato
da un assetto economico basato sulla corte feudale (sistema curtense).
Nell'ambito della Corte si svolgeva un'attività economica, sotto il comando del
signore feudale. Il commercio era locale e esclusivamente relativo ai beni di
lusso, prevaleva l'attività di autoconsumo (cioè di produzione finalizzata al
proprio consumo personale o a quello del feudatario).
❍ LA RIPRESA DELL'ECONOMIA DOPO IL
MEDIOEVO.
Dopo l'anno Mille iniziò un
maggior dinamismo negli scambi commerciali, nelle aree dell'Europa.
Con la scoperta delle Americhe
i prodotti iniziarono a distribuirsi in un mercato più esteso.
Tre fattori determinanti per lo
sviluppo dell'economia sono: a) l'ampliarsi del mercato; b) il nascere degli
stati nazionali; c) la riforma protestante
Dopo l'anno Mille cominciò a
manifestarsi un maggior dinamismo negli scambi commerciali, specie in alcune
aree dell'Europa (Inghilterra, Paesi Bassi, Italia) e crebbe in pari tempo la
considerazione e l'importanza della figura del mercante, anche se essa era vista
ancora con timore e sospetto da quanti consideravano l'attività di scambio di
prodotti come una forma indebita di arricchimento, in base agli insegnamenti
della tradizione cattolica.
❍ LA NASCITA DEGLI STATI
NAZIONALI.
A seguito dello sfaldamento
dell'organizzazione feudale vennero gradualmente a costituirsi gli Stati
nazionali, che affermarono il loro potere assoluto ("potere di
imperio") su un dato territorio concentrandolo nelle mani di un monarca.
Lo stato moderno nasce come
stato assoluto, caratterizzato da tre elementi:
● Esercito
permanente
● Sistema
fiscale
● Sistema
burocratico, tra cui importanti i tribunali del Re
● Corpo
diplomatico
A partire dal 1400 gli stati
nazionali (Francia, Spagna e Inghilterra) iniziarono a creare uno "spazio
comune", con un'unica moneta, identiche leggi, identica lingua, un unico
sistema di unità di misura, privo di barriere doganali feudali, all'interno del
quale il sovrano garantiva con i suoi tribunali l'assenza di violenza.
All'interno di questo spazio i traffici poterono svilupparsi molto più
intensamente che nell'epoca precedente.
Con il termine
"mercantilismo" si indicano in realtà due cose diverse:
● un
periodo storico caratterizzato dalle monarchie assolute, dallo sviluppo dei
commerci e dal controllo delle attività economiche da parte del sovrano;
● l'insieme
delle teorie economiche che sovrani ed economici cercarono di mettere in
pratica in questo periodo
Le teorie economiche
mercantilistiche avevano lo scopo di rendere ricco e potente lo stato e florida
la sua economia. I monarchi del Seicento e del Settecento vedevano nello
sviluppo economico una base per aumentare la loro potenza militare ottenendo
una maggiore popolazione per l'esercito e la possibilità di produrre più mezzi
militari.
In politica interna i consigli
dei mercantilisti erano i seguenti:
● Si
raccomandava ai sovrani una politica di incremento demografico; più popolazione
comportava a un tempo più soldati e più braccia produttive, ciò di cui aveva
appunto bisogno lo Stato.
● Si
raccomandava, inoltre, un penetrante sistema di imposizione fiscale, tale da
poter fornire allo Stato quanto gli necessitava per mantenere ed estendere la
sua imponente struttura politico-militare. Il prelievo fiscale non doveva però
gravare sui mercanti, perché era proprio questo a fare arricchire la nazione.
● I
mercantilisti indicavano nel commercio e non nella produzione la fonte della
ricchezza di uno Stato.
● Si
considerava opportuna una forte regolamentazione di tutta l'economia, mediante
interventi dello Stato in tutti i settori e un sistema minuzioso di controlli e
di privilegi (concessioni, monopoli, esenzioni fiscali per alcune categorie
ecc.)
In politica estera i consigli
dei mercantilisti erano i seguenti i mercantilisti erano favorevoli
all'allargamento dei traffici e a tutto quanto fosse in grado di determinarlo:
● Estensione
delle colonie
Esse rappresentavano
profittevoli mercati di sbocco dei prodotti finiti, serbatoi di rifornimento
costante di materie prime e valvole di sfogo dell'eccesso di popolazione che si
fosse eventualmente verificato nella terra madre
● Acquisizione
di tesori dalle terre conquistate.
La scoperta di grandi
giacimenti di metalli preziosi nei territori di recente dominio favorì ed
estese la corsa all'accaparramento delle ricchezze a spese delle popolazioni
indigene, che furono quasi totalmente annientate.
● Protezionismo
dei commerci
Si sostenne il principio
secondo cui, per rendere più fiorente lo Stato, occorreva proteggere la
produzione interna rispetto a quella importata, e nel contempo bisognava
favorire la produzione nazionale diretta verso l'estero.
Il passaggio dal capitalismo
prevalentemente commerciale a quello manifatturiero non avvenne uniformemente
in tutti i paesi occidentali. La Gran Bretagna aveva avviato un massiccio
processo di industrializzazione, sia pure con connotati ancora prevalentemente
artigiani, già dalla metà del Settecento, mentre in altri paesi - tra cui
l'Italia - non si era ancora affermata su larga scala la produzione di fabbrica.
Anche in Francia l'economia, in questa fase storica, era ancora a livello
prevalentemente pre-industriale, con una netta configurazione commerciale e
agricola.
In queste condizioni si
sviluppò in Francia, tra il 1750 e il 1780, una scuola economica chiamata
"fisiocrazia". Con la morte dell'esponente principale, Quesnay (1774)
iniziò il declino della scuola, che però ebbe ancora una certa influenza in
Svezia,
Polonia, Germania, Inghilterra,
prima della nascita del pensiero economico classico a cavallo del Settecento
(Adam Smith aveva letto con interesse le opere dei fisiocratici).
GLi economisti fisiocratici
attribuivano grande importanza alla natura (foreste, terreni, miniere, animali)
in quanto capace di produrre ricchezza
Le attività economiche non
legate alla natura (artigianato, industria) si limitano a manipolare i beni
forniti dall'agricoltura e dall'attività estrattiva.
L'economia sarebbe regolata da
leggi naturali, che vanno rispettate, sfruttate, ma non contrastate.
I fisiocratici consigliavano in
particolare:
● Provvedimenti
e innovazioni tecniche per il settore primario (specie per l'agricoltura),
perché l'aumento della ricchezza poteva venire solo dall'unico settore
realmente produttivo
● Eliminazione
delle barriere doganali, in modo che un paese potesse esportare la propria
produzione agricola.
● Eliminazione
delle tasse sugli agricoltori e tassazione unica dei proprietari terrieri, la
cui rendita rappresentava il prodotto netto o surplus della nazione.
L’ETICA PROTESTANTE
Nel XVI secolo in Europa
l’influenza della riforma protestante, in particolare del calvinismo, sulla
filosofia e sulla morale dell’epoca (e, attraverso questa, sull’economia) fu
rilevante. L’uomo del Medioevo era dominato da una morale ferrea, che gli
impediva l’accaparramento delle ricchezze, il prestito a usura, la fissazione
del prezzo al disopra di un certo livello ritenuto “equo”. I padri della
Chiesa, infatti, concordavano tutti nel sostenere la dottrina del giusto
prezzo, in base alla quale nessun mercante avrebbe dovuto chiedere per i
prodotti che vendeva un prezzo superiore a quello che gli avrebbe assicurato di
vivere decorosamente, ma senza arricchirsi. Solo la rettitudine – anche
economica – era in sintonia con la legge divina.
Con Calvino però la morale si
fa progressivamente più “disponibile”, più malleabile nei confronti
dell’interesse individuale.
Partendo dalla tolleranza verso
l’attività mercantile e le sue espressioni, la morale calvinista, sotto la
pressione della realtà storica, diviene più spregiudicata, fino a giungere
all’esaltazione del commercio e a considerare il successo economico un chiaro
segno dell’elevazione divina.
Alla base della nuova etica
protestante sta l’idea che il destino è nelle mani di Dio: nel trovare la
propria collocazione sociale ogni individuo si armonizza dunque con le leggi di
Dio. L’eventuale successo raggiunto prova che si è trovata la propria
“vocazione” e che Dio ha “approvato”.
Secondo Calvino, la storia è
interamente opera della provvidenza divina. Al centro dell’azione provvidenziale
di Dio è l’uomo, predestinato alla salvezza o alla perdizione. La
predestinazione divina, per Calvino, assume il significato di una scelta
insindacabile di Dio per ciò che riguarda ogni essere umano. Dio, infatti, non
crea tutti gli uomini nella stessa condizione: alcuni li destina alla vita
eterna, mentre altri all’eterna dannazione. Gli eletti da Dio, pur essendo
peccatori, acquisiscono consapevolezza dei loro peccati, che espiano in vita
attraverso la penitenza e le opere. Tra queste ultime fondamentale è il lavoro,
il più chiaro segno dell’elevazione divina. Il governo della provvidenza
indica, quindi, il posto che ciascun essere umano deve occupare sulla terra.
Dio ha fissato per ciascuno il dovere da compiere, afferma Calvino: una maniera
di vivere che egli chiama vocazione, alla quale l’uomo deve adeguarsi come a
una regola perenne. La vocazione viene così ad essere un elemento dinamico, che
giustifica anche attività condannate dalla Chiesa medievale (e persino da
Martin Lutero, un altro grande riformatore) come l’esercizio del prestito a
interesse e l’attività bancaria. Se tali attività vengono esercitate con successo dagli uomini,
è segno che esse piacciono a Dio, che sono iscritte nel grande piano della
provvidenza. L’etica calvinista basata sul concetto di vocazione contribuì
dunque a giustificare religiosamente e a stimolare l’intraprendenza economica, che si andava
affermando nel corso del XVI secolo. Il nascente capitalismo commerciale ebbe
così modo di dispiegarsi senza ostacoli, avendo Calvino operato una chiara
riconciliazione fra religione e acquisizione della ricchezza.
Conseguenze di questi fattori
furono, da un lato, un assetto politico di nuova formazione (lo Stato
nazionale), con precise esigenze di consolidamento e, dall’altro, un nuovo
assetto economico caratterizzato dallo sviluppo dei commerci, che necessitava,
anch’esso, di una regolamentazione.
● Pessimismo.
La salvezza per fede e non per le opere.
L’uomo è irrimediabilmente
corrotto dal peccato originale. Non potrà mai liberarsi dal peccato originale. Persino
la possibilità di giungere a comprendere o giustificare con la ragione
l’esistenza di Dio è dubbia. L’unica possibilità è l’intervento della grazia
divina.
Non c’è alcuna azione che
l’uomo possa compiere per guadagnare con sicurezza la grazia. Essa è un dono
che Dio fa ai predestinati.
Non sono quindi le opere
dell’uomo che attirano su di lui la grazia, ma è la sua fede che potrà indurre
Dio a salvarlo
● La
negazione dei sacramenti
I sacramenti sono delle
invenzioni della Chiesa, un residuo di credenze magiche nel potere di certi
atti di assicurare la salvezza.
● Il
libero esame delle Sacre Scritture
La Chiesa non ha il monopolio
della interpretazione della parola divina. Il rapporto con Dio è un rapporto
individuale, e non un rapporto collettivo: Dio parla all’anima ed essa intende
la sua parola, senza bisogno della mediazione della Chiesa.
● La
predestinazione
La salvezza è riservata a
coloro che dio ha prescelto come destinatari della sua grazia
● La
prosperità materiale come segno della predilezione e approvazione di Dio.
Sebbene le opere di per sé non
possano guadagnare la salvezza, tuttavia la prosperità materiale è il segno
della approvazione di Dio, mentre la miseria e la rovina sono il segno della
sua riprovazione.
● Il
valore del lavoro
Il lavoro è un atto buono,
perché mette al servizio degli altri i propri talenti attraverso la propria
attività. Rendersi utile al prossimo mediante il proprio lavoro è un imperativo
etico.
IL CAPITALISMO E LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Gli imprenditori, che in un
primo momento avevano avuto bisogno dello Stato Assoluto che proteggesse e
incoraggiasse i propri traffici, si trovarono, specie con lo sviluppo
dell'attività industriale accanto a quella commerciale, sempre più ostacolati
nello svolgimento delle loro attività dal controllo statale e dalle pesanti imposte
che mantenevano una classe dirigente corrotta e parassitaria.
Gli stati, con i loro
interventi ispirati alla politica mercantilistica, peggioravano anzi la
situazione, provocando una grande inflazione e instabilità economica.
Lo slogan delle nuove classi
era: "Laissez faire, laissez passer!" ("Lasciate fare, lasciate
passare!")
Le colonie, che avevano
sviluppato una propria attività economica, si sentivano sfruttate dalla
madrepatria, e questo stato di cose diede origine alla rivoluzione delle
colonie americane nel 1776.
❍ LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: LA FASE PREPARATORIA
Con il termine
"rivoluzione industriale" si fa riferimento alla rapida trasformazione
economica verificatasi per effetto dell'introduzione della macchina nel
processo produttivo, che ha consentito la produzione di merci su larga scala.
L'espressione fu applicata per la prima volta al processo di
industrializzazione menifestatosi nel Regno Unito fra la seconda metà del XVIII
secolo e la prima metà del XVIII secolo.
La rivoluzione industriale ha
attraversato varie fasi. La fase preparatoria è stata caratterizzata da:
● Accumulazione
di ricchezza da parte degli imprenditori mediante le attività commerciali
Questa ricchezza accumulata
consentì di fare i primi ingenti investimenti nella nascente attività
manifatturiera.
● Eliminazione
dei vincoli feudali sulle terre, specie sulle terre comuni
Le terre comuni appartenevano a
tutta la collettività. Qualunque abitante del villaggio aveva diritto di
"acquatico" (attingere acqua, anche per irrigazione),
"legnatico" (raccogliere legna), "pascolo" (dei propri
animali), "spigolatura" (raccolta delle spighe cadute durante i
raccolti), "caccia", "raccolta" (di funghi, mirtilli...),
"coltivazione" (su limitate parti delle terre comuni) ecc.
Le terre comuni rappresentavano
dunque una risorsa essenziale per gli abitanti più poveri del villaggio, privi
di terra o con una quantità insufficiente di terra da coltivare.
Ma il sistema delle terre
comuni era basato sull'agricoltura estensiva. Gli imprenditori contestavano
questo sistema perché a loro avviso nessuno sarebbe invogliato ad investire
denaro ed energie per sfruttare una terra che non era esclusivamente propria.
Con le "enclosures"
si ebbe la assegnazione della terra a singoli proprietari e la sua chiusura
("enclosure", appunto) all'uso comune. In passato i proprietari,
anziché coltivare tali terre, le riservavano al pascolo per ottenere lana di
pecora (già nel 1500 Tommaso Moro si lamentava che "le pecore mangiano gli
uomini"); ma con lo sviluppo di efficaci tecniche agricole le terre furono
sempre più sfruttate per l'agricoltura intensiva, in particolare per la
coltivazione dei cereali.
● Espulsione
dal settore agricolo dei lavoratori in sovrannumero, che andarono a costituire
riserve di manodopera nelle città
❍ LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: LA FASE INIZIALE (O DELLE
GRANDI INVENZIONI)
La fase propriamente iniziale è
quella definita "delle grandi invenzioni", tra cui ricordiamo:
● Macchine
per la filatura veloce della lana
● Telai
meccanici per la tessitura
● Macchine
a vapore per le fabbriche e i trasporti (locomotiva a vapore, nave a vapore)
❍ LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE:LA SECONDA FASE (O DELLE
GRANDI COMUNICAZIONI)
La seconda fase, legata in
particolare all'uso del vapore per la locomozione terrestre e marittima, è
quella "delle grandi comunicazioni", che è contraddistinta da un
ampliamento costante dei mercati di sbocco dei prodotti.
❍ LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: I CARATTERI DEL NUOVO MODO DI
PRODUZIONE
La rivoluzione industriale ebbe
il suo epicentro, almeno per un trentennio, in Inghilterra. Ma già agli inizi
dell'Ottocento diversi paesi, tra cui Germania, Olanda, Belgio e alcuni stati
nord-europei seguirono l'esperienza di industrializzazione avviata nel Regno
Unito.
Il sistema produttivo
capitalistico era basato:
● sull'impiego
delle macchine
● sull’impiego
del lavoro salariato
● sulla
divisione del lavoro
● sulla
concentrazione del lavoro in fabbrica
● sulla
accumulazione di capitale.
Mentre i tessitori e gli
agricoltori medioevali e dell'inizio dell'epoca moderna erano padroni dei loro
telai e dei loro terreni, nell'Ottocento la proprietà dei mezzi di produzione
non era più in mano all'artigiano che produceva, ma all'imprenditore che si
limitava ad organizzare l'altrui lavoro salariato.
Ciascun lavoratore non eseguiva
tutte le fasi della produzione, ma si specializzava in una determinata fase,
che era in grado in tal modo di svolgere molto più velocemente e con l'aiuto di
una macchina.
Mentre nelle età precedenti
prevaleva il lavoro a domicilio, con i telai e le piccole manifatture sparse
nelle campagne, nell'Ottocento le manifatture si concentrarono vicino ai luoghi
di estrazione del carbone o vicino ai grandi nodi ferroviari o marittimi,
creando enormi agglomerati di industrie.
I capitali necessari per
l'attività produttiva divennero molto elevati, anche per l'uso di macchine, e
la figura tradizionale dell'artigiano, in grado di comperarsi gli attrezzi del
mestiere, a poco a poco scomparve.
Mentre l'attività tradizionale
produceva soprattutto beni di consumo, e la modesta quantità di beni
strumentali necessaria a rimpiazzare quelli logorati, nel sistema capitalistico
una parte notevole del valore del prodotto (i profitti) cade in mano agli
imprenditori, che la reinvestono nella produzione di beni strumentali. In tal
modo la crescita del sistema capitalistico risulta molto più veloce di
qualsiasi altro sistema economico sino ad allora conosciuto.
❍ LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: LE CONDIZIONI DI VITA DEI
LAVORATORI DURANTE LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE.
I lavoratori agli inizi
dell'Ottocento abitavano nei nuovi e vecchi quartieri delle città industriali,
dove le condizioni igieniche erano pessime. I quartieri raggiunsero il culmine
della sporcizia e del fetore. Nelle nuove città industriali, soprattutto quelle
popolate dai lavoratori, erano del tutto assenti anche i più elementari e
tradizionali servizi municipali. Interi quartieri non erano in grado di
attingere acqua neppure nei pozzi, a causa dell'eccessivo utilizzo da parte
delle industrie siderurgiche, cotoniere e chimiche. Con questa scarsità d'acqua
per bere e lavarsi non faceva meraviglia l'accumularsi della sporcizia e
fetore. Queste erano praticamente le condizioni di tutti gli operai nei nuovi
centri industriali, una volta che il regime si fu consolidato.
❍ LA SCUOLA ECONOMICA CLASSICA.
Nasce nell'ultimo scorcio del
Settecento e si consolida nei primi decenni dell'Ottocento.
Nasce con l'affermarsi del
sistema del capitalismo industriale e costituisce una riflessione sui
meccanismi di funzionamento di tale sistema.
❍ LA CRESCITA DELLE RENDITE A SEGUITO
DELL'INDUSTRIALIZZAZIONE.
Un fenomeno tipico che si
accompagna sempre all'industrializzazione è la crescita delle rendite. Esso non
sfuggì all'attenzione degli economisti classici, che lo additarono come
conseguenza negativa dello sviluppo delle città industriali e delle
manifatture.
Secondo gli economisti
classici, il grande aumento di popolazione del Settecento rese necessaria una
sempre crescente produzione agricola e manifatturiera per provvedere ai suoi
bisogni e fornì al contempo la manodopera a buon mercato necessaria per questa
produzione.
Ma fattori come la terra
coltivabile, le aree edificabili delle città, gli edifici e i capannoni industriali,
gli alloggi per i lavoratori, le miniere, i corsi d'acqua erano disponibili in
quantità scarsa, e il prezzo richiesto dai proprietari per il loro utilizzo
crebbe rapidamente fino ad assorbire gran parte dei profitti degli imprenditori
e dei compensi dei lavoratori oltre la pura sussistenza.
Imprenditori e lavoratori erano
uniti nel denunciare il furto operato dalle classi improduttive proprietarie di
risorse non riproducibili a danno delle classi produttive.
Il fenomeno era giudicato grave
perché, dato che ad esempio gli imprenditori agricoli dovevano cedere la quasi
totalità dei loro guadagni ai proprietari delle terre coltivabili, essi non
avevano sufficienti incentivi per mettere a coltura nuove terre, e quindi si
correva il serio rischio che le risorse alimentari non crescessero in misura
sufficiente a sfamare la crescente popolazione.
Questo fenomeno assunse
dimensioni molto preoccupanti nell'Inghilterra dell'Ottocento, ma è comune
nelle epoche e nei paesi in cui la produzione industriale cresce rapidamente e
si concentra in determinate aree.
Ad esempio, con
l'industrializzazione dell'Italia del centro-nord nel secondo dopoguerra di
questo secolo, le famiglie proprietarie di terreni, specie edificabili, di
edifici industriali, di alloggi da affittare ai lavoratori migranti hanno
ottenuto ingenti guadagni, che hanno permesso loro un alto tenore di vita, la
possibilità di mandare i figli alle università, anche estere, ecc.
❍ L'EVOLUZIONE DELLA FIGURA DELL'IMPRENDITORE NEL CORSO DEI
SECOLI FINO AD OGGI.
Nel medioevo il produttore
(contadino o artigiano) era proprietario dei mezzi di produzione (terre, attrezzi)
e partecipava direttamente col suo lavoro alla produzione.
Nel tardo medioevo e fino alla
rivoluzione industriale nacque la figura dell'imprenditore che, sebbene
proprietario dei mezzi di produzione, non partecipava direttamente alla
produzione, ma si limitava ad organizzarla. Ad esempio, nelle Fiandre dei
secoli XV-XVII gli imprenditori tessili davano in affitto i telai ai contadini
nelle campagne, fornivano le materie prime per la filatura e passavano poi a
ritirare il tessuto finito.
Con il capitalismo, nacque la
figura dell'imprenditore moderno, che non solo non partecipa all'attività
produttiva, ma non è neanche proprietario dei mezzi di produzione, che si
procura con capitali presi a prestito.
Le figure dell'imprenditore,
del proprietario delle risorse naturali, del proprietario dei capitali e dal
lavoratore si separano e sono rappresentate da soggetti distinti.
Il tipico imprenditore agricolo
inglese dell'Ottocento possiede solo la capacità organizzativa di combinare
insieme i fattori di produzione che si procura dietro compenso (il salario che
va al lavoratore; la rendita che va al proprietario della terra coltivabile;
l'interesse che va a chi gli ha prestato i capitali). Egli si appropria delle
somme - ricavate dalla vendita dei prodotti - che avanzano dopo pagati i
fattori, e che rappresentano il suo profitto.
IL LIBERALISMO. IL LIBERISMO.
❍ LE SOCIETA' PREMODERNE E LE LORO
CREDENZE.
● Cosa
si intende per "società premoderne"?
Per "società
premoderne" intendiamo le società della preistoria, della storia antica,
della storia medioevale e (con qualche cautela che esclude alcune delle idee
del Rinascimento) della storia moderna anteriore all'età illuministica.
● L'idea
fondamentale delle società premoderne è che tutto deve essere guidato
dall'alto.
Una delle concezioni
fondamentali di tali società era che ogni aspetto della vita individuale e
soprattutto sociale viene retto dall'alto: dalla divinità, o da saggi o eroi
ispirati dalla divinità, o da sovrani designati dalla divinità o da antiche
leggi di ispirazione divina.
Ancora nel 1500 Lutero esortava
i principi tedeschi a "bruciare, uccidere, vessare la teppaglia".
L'umanità comune veniva vista come preda di vizi, passioni, incapace di
comprendere il bene proprio e a maggior ragione il bene comune. Lasciare che
essa si governasse da sé avrebbe rappresentato la catastrofe.
La vita della collettività in
una società premoderna si basa su modelli, leggi, norme, riti che provengono da
mitici eroi fondatori, o da profeti ispirati dalla divinità (vedi la legge di
Mosè), o da sovrani che in oriente erano considerati semidei (in oriente) o
amici di dei o ninfe (Minerva, Giove, Era, la ninfa Egeria di Numa Pompilio...)
che li consigliavano e assistevano e combattevano perfino al loro fianco (in
occidente).
La pianta di molte città
babilonesi rispecchiava lo schema delle costellazioni. Le piramidi potrebbero
essere state costruite secondo calcoli di allineamento siderale.
Immensa era l'influenza dei
sacerdoti, che stabilivano le norme molte attività individuali e sociali. Fu da
queste prescrizioni religiose, chiamate nel loro insieme "fas", che
nell'antica Roma nacquero le vere e proprie norme giuridiche, chiamate
“ius" (ordinamento giuridico): in origine la norma giuridica non era altro
che una prescrizione per non sbagliare i propri atti offendendo la divinità.
● Il
mito della perfezione originaria.
Nelle società premoderne sono
diffusi i miti che fanno risalire tutte le arti e le conoscenze su cui si basa
la società, compresa l'invenzione della scrittura, a mitici eroi di natura
semidivina, vissuti nel passato, che le avrebbero insegnate agli uomini.
Nella Bibbia si ritrova un mito
analogo: vi furono degli angeli che, innamoratisi delle donne umane, scesero
sulla terra e si congiunsero con loro, generando la stirpe dei giganti e
insegnando alle donne le "arti proibite" della metallurgia e
dell'alchimia.
Le società premoderne diverse
da quella cristiana non avevano il concetto di "progresso": per esse
la vita consisteva nella ripetizione di gesti e cerimonie sempre eguali,
perfino nella caccia o nella costruzione delle imbarcazioni o nei
corteggiamenti, compiuti o mostrati all'inizio dei tempi da eroi o divinità.
Solo così facendo gli uomini avrebbero attirato su di sé la benedizione del
cielo e avrebbero vissuto come gli uomini di quei tempi felici.
In molte religioni esiste il
mito del paradiso terrestre: anche la religione babilonese, come altre
religioni dell'antichità, credeva che la vita dell'inizio dei tempi fosse
perfetta e che gli uomini dovessero fare ogni sforzo per restaurarla ed
imitarla.
Perfino nella religione
cristiana, il fedele assume come "modello" Cristo; la famiglia assume
come "modello" la sacra famiglia di Giuseppe e Maria; la società
assume come "modello" il popolo ebreo che cammina alla ricerca della
terra promessa guidato da Mosè.
● La
legge della decadenza.
In simili società non esiste
progresso, ma semmai corruzione, decadenza. Esiste la visione pessimistica
secondo cui, quanto più tempo trascorre, tanto più l'umanità si allontana dai
modelli ideali. I miti siberiani contengono lamenti sulla decadenza degli
sciamani o stregoni, che non avrebbero più, come un tempo, la potenza di
scacciare malattie e maledizioni dai loro villaggi.
Nel Canto XIV
dell'"Inferno" di Dante è riportato (versi 94-114) il mito
antichissimo, attestato anche nella Bibbia, delle "quattro età": la
storia umana è simboleggiata da una enorme statua con la testa d'oro (=l'inizio
dei tempi, in cui tutto era perfetto), le braccia e il petto d'argento, le
gambe di ferro e il piede destro, su cui si appoggia, di terracotta (=l'età
ultima, in cui tutto vacilla e crolla).
Gli indù parlavano dei quattro
"yugas" o età. Secondo loro l'umanità sarebbe attualmente nella
quarta ed ultima età, il "kali-yuga" o "età di Kalì la
sanguinaria", età del ferro e del sangue, destinata a concludersi con la
distruzione del mondo. Kalì è la più terribile delle tre incarnazioni della
consorte di Shiva: Parvati, la compagna e moglie; Durga, dea della guerra; e
Kalì, ornata da una collana di teschi e che si onorava con sacrifici umani. La
donna accanto alla divinità simboleggia spesso la forza creatrice che plasma il
mondo materiale secondo il modello divino.
● La
concezione cristiana.
Per la prima volta, col
pensiero cristiano, si afferma l'idea che l'umanità non è destinata a ripetere
sempre gli stessi atti, ma la sua storia è "aperta". Gli antichi
padri della Chiesa, specie Sant'Agostino, vedevano il popolo cristiano come un
popolo in cammino, che grazie all'assistenza della provvidenza può avvicinarsi
sempre più a Dio.
Ma secondo alcuni studiosi
anche questa potrebbe essere una idea che si ricollega a quelle delle altre
società premoderne: occorre ritornare al paradiso terrestre, alla perfezione
delle origini.
● La
concezione liberale, che una società è capace di funzionare senza alcun
intervento dall'alto è rivoluzionaria.
I pensatori liberali sostennero
che gli uomini possono reggersi da se stessi eleggendo i propri rappresentanti
e creando da sé le proprie leggi (contrattualismo).
Questa idea è del tutto nuova e
rivoluzionaria: l'uomo premoderno, anche quello della "polis" greca,
trovava inconcepibile una società che volgesse le spalle alle antiche leggi ed
usanze, alle divinità, per regolarsi da sé. Un simile stato di cose avrebbe
violato la "dykè", legge cosmica che fissava il posto di ogni cosa
nell'universo sin dall'inizio dei tempi, e avrebbe attirato una terribile
punizione.
Ancora nell'età del
mercantilismo i sovrani si ispiravano a questa idea e sentivano il bisogno di
intervenire per regolare dall'alto l'attività economica.
Secondo Dante la società umana
ha bisogno, accanto al Papa, di un imperatore egualmente ispirato da Dio
(teoria dei "due soli") che deve garantire la giustizia e la pace
contrastando gli istinti violenti e viziosi degli uomini, in modo che essi,
costretti a rinunciare alla violenza, possano più facilmente volgersi a Dio.
Machiavelli ancora considerava
il popolo come una "bestia grossa e varia" che andava governata, sia
pur nel suo stesso bene, con le arti "della golpe e del lione":
l'inganno e la violenza.
I teorici del liberalismo
affermarono che non solo il popolo poteva reggersi da sé (scriveva Benjamin
Franklin che, se è vero che spesso le persone comuni sono ignoranti riguardo le
questioni di politica ed economia, tuttavia dimostrano di saper scegliere con
grande avvedutezza i loro rappresentanti tra i più capaci), prendendo la
ragione come guida, ma che la società poteva reggersi sull'egoismo dei singoli,
con poche leggi e quasi senza quasi preoccuparsi del funzionamento di tutto
l'insieme. Adam Smith e gli altri economisti classici mostravano come esempio
la vita delle città dei loro tempi: all'alba, una lunga fila di mezzi di
trasporto e di uomini si recava entro le mura per fornire alimenti, vestiario,
lavoro, e tutti gli altri beni che venivano poi distribuiti nel corso della
giornata. Il fatto sorprendente - la vera scoperta - era che NESSUNO in realtà
si occupava di coordinate tutto questo. Nessuno stabiliva quanti carri dovessero
arrivare, e quali beni dovessero trasportare. Nessuno si occupava di stabilire
chi aveva e chi non aveva il diritto a questi beni. Eppure, tutte queste
decisioni venivano prese. Da qui due grandi scoperte: a) il sistema economico è
principalmente un sistema per prendere decisioni; b) i meccanismi del sistema
economico capitalistico sono in grado di prendere automaticamente le decisioni
migliori possibili, senza che alcun sovrano debba occuparsene. Esisteva una
specie di provvidenza (la "mano invisibile") che permetteva di fare a
meno dell'intervento del Sovrano o della Chiesa. Per un uomo premoderno (e
anche per i cattolici più tradizionali) queste idee erano non solo
incomprensibili, ma mostruose: la società doveva essere retta dai sovrani e guidata
dalla Chiesa.
❍ LE IDEE-CARDINE DEL LIBERALISMO
● L'individuo
è il punto di riferimento fondamentale.
L'idea-base del liberalismo è
l'individualismo, cioè il valore dell'individuo, che è il punto di riferimento
di qualsiasi sistema economico o politico. La libertà dell'individuo è il
valore più alto. Non esiste altro punto di riferimento al disopra
dell'interesse dell'individuo, come ad es. la volontà dello stato, gli
interessi della nazione ecc. La libera attività degli individui rende possibile
produrre e realizzare tutto ciò di cui l'uomo e la società hanno bisogno
(imprese, scuole, ospedali, associazioni religiose, culturali ecc.)
L’individuo è in grado di
procurarsi da sé quasi tutto ciò che gli occorre: educazione, previdenza per la
vecchiaia, assistenza sanitaria, lavoro, divertimento)
● Il
contrattualismo.
Il "contrattualismo"
è la dottrina politica secondo la quale la società è stata creata dal libero
patto degli individui per soddisfare i loro bisogni e nessun monarca può
violare le libertà individuali e imporre agli individui imposte, sacrifici,
servizi pubblici o obbiettivi che non siano nel loro proprio interesse.
L’individuo contratta con gli
altri individui per il raggiungimento degli obiettivi comuni. L’applicazione
più interessante si ha in politica: lo stato, il potere del sovrano, nasce da
un libero accordo dei cittadini, che liberamente conferiscono potere al sovrano
o ai rappresentanti che eleggono.
● Razionalismo
Un individuo razionale
accetterà tutti i culti, perché non vede delle evidenze razionali a favore di
una religione piuttosto che di un’altra.
Un individuo razionale
stabilirà delle pene moderate, che mirano alla rieducazione del condannato e
alla prevenzione di futuri reati, e non alla vendetta.
Un individuo razionale rinuncia
alla violenza e si affida all’accordo politico, riconosce che presumibilmente
nessuno possiede l’intera verità e quindi accetta il dibattito, il confronto e
il pluralismo dei partiti.
Un individuo razionale vede con
favore lo sviluppo della scienza e della tecnica
● Valore
dato all’istruzione
I liberali danno una grande
importanza all'istruzione, che permette all'individuo di poter meglio competere
con gli altri e di fare consapevolmente le proprie scelte politiche invece di
seguire senza riflettere leader disonesti e incapaci.
Un individuo che deve competere
deve sviluppare pienamente tutti i suoi talenti. L’istruzione, come mezzo per
sviluppare la propria personalità e le proprie abilità è importantissima.
Inoltre, una società democratica deve essere una società di uomini istruiti, in
grado di scegliere e controllare
l’operato dei propri rappresentanti.
● Valore
della proprietà
La proprietà è importante per
garantire la indipendenza di un individuo, un individuo che possiede cose di
sua proprietà, è meno influenzabile e vulnerabile di un altro individuo.
Inoltre la proprietà è la giusta ricompensa per coloro che lavorano e si danno
da fare
● La
giustizia sociale è basata sul principio di controprestazione
Ogni individuo riceve (anche
dallo stato) in base a quanto dà
● Libertà
e diritti inviolabili dell’individuo
L’individuo deve godere di una
sfera inviolabile di libertà, al riparo dall’arbitrio del sovrano assoluto. I
suoi diritti inviolabili possono essere limitati solo per tutelare i diritti
inviolabili di un’altra persona.
● Libertà
di iniziativa economica
Libertà in economia si chiama
“libertà di iniziativa economica”. Ciascuno può iniziare una qualsiasi attività
produttiva e scegliere cosa produrre, quanto produrre, in che modo produrre e a
chi vendere.
● Tutti
nascono eguali e la successiva diseguaglianza è un prodotto delle circostanze
● Ottimismo
Fiducia nella scienza, nel
progresso, nello sviluppo economico
● Netta
separazione tra stato e società civile
Mentre in passato il sovrano si
occupava di religione, di economia, di cultura, nella società liberale lo stato
rimane neutrale e si occupa solo di far rispettare le leggi, le “regole del
gioco” concorrenziale
● Separazione
dei poteri
La grande concentrazione del
potere in mano al Parlamento doveva essere controbilanciata dal principio di
separazione del potere giudiziario da quello legislativo e da quello esecutivo
● La
libertà come valore fondamentale per lo sviluppo dell'individuo.
La libertà consente
all'individuo di sviluppare pienamente la propria personalità e la propria
intraprendenza: la libera attività degli individui rende possibile produrre e
realizzare tutto ciò di cui l'uomo ha bisogno, senza necessità che lo Stato
intervenga.
● L'individualismo
si oppone a ogni forma di tirannide e di dittatura.
L'individualismo si oppone a
qualsiasi forma di oppressione da parte di dittatori che vogliano violare la
libertà degli individui col pretesto di farli agire per la "grandezza
della nazione", per l'"interesse dello Stato" o in base alla
"superiore morale cristiana", ai "veri comandi dell'Islam"
ecc.
● L'uomo
è naturalmente egoista e il suo comportamento naturale ha come scopo soddisfare
esclusivamente i suoi bisogni.
L'uomo è naturalmente egoista e
deve accettare questo fatto senza scandalizzarsi. Egli non sopravviverebbe se
non avesse degli impulsi egoistici che garantiscono la propria sopravvivenza.
L'egoismo è un impulso potente
che, se ben incanalato, può produrre grandi cose. L'altruismo è un impulso
debole, su cui si può fare in realtà modesto affidamento.
Il modello di una società
fondata sull'altruismo è la comunità di religiosi che non hanno nulla di
proprio (tutto è in comune) e non agiscono a scopo di acquisire ricchezza, ma
di aiutare i compagni.
Il modello di una società
fondata sull'egoismo è una società in cui ciascuno sa che, sviluppando i propri
talenti e lavorando sodo riuscirà a fare fortuna e a trasmettere ai figli le
proprie ricchezze.
Dice una famosissima frase di
Adam Smith: "Non dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del
panettiere noi aspettiamo il nostro pranzo, bensì dal riguardo che essi hanno
per il proprio interesse. Noi ci indirizziamo non al loro umanitarismo ma al
loro egoismo e non parliamo con essi delle nostre necessità ma dei loro
vantaggi".
● L'egoismo,
illuminato dalla razionalità e tenuto sotto controllo dalla competizione
(concorrenza) pacifica è benefico per tutta la società (utilitarismo).
Paradossalmente, l'egoismo è
molto più sollecito verso i bisogni altrui (visti come occasioni di guadagno)
che non l'altruismo (che sovente si accompagna alla raccomandazione cristiana
di reprimere i propri bisogni ed istinti).
La stessa cura dei figli, che è
una delle forme più importanti di collaborazione tra individui, avviene per
egoismo.
L'egoismo completamente
sfrenato porterebbe rapidamente all'uso della violenza e dell'inganno.
Ma l'uomo è un essere
razionale, e non può non vedere che in tal modo tutti risulterebbero
danneggiati e il soddisfacimento dei bisogni risulterebbe incerto e precario.
La stessa razionalità ed
egoismo umani creano pertanto un patto per evitare la violenza e l'inganno.
Nasce un'autorità voluta da tutti che fa rispettare le regole del gioco, e cioè
della convivenza civile.
● L’egoismo
è temperato dalla concorrenza e da essa trasformato in una forza utile
In una condizione di convivenza
civile l'egoismo è temperato dalla concorrenza non violenta, e in tal modo va a
vantaggio di tutti.
La concorrenza finisce per
regolare ogni ambito dell'attività umana. La concorrenza tra imprenditori
fornisce ai consumatori le merci migliori ai prezzi più bassi; la concorrenza
tra studenti e lavoratori per il posto di lavoro fornisce la manodopera più
capace e qualificata per la produzione, i medici migliori, gli architetti
migliori, gli scienziati migliori; la concorrenza tra gli uomini politici per
ottenere i voti degli elettori fa prevalere i programmi migliori e più vicini
ai desideri della gente; la concorrenza dei filosofi e degli scienziati per far
affermare le proprie idee produce un continuo avanzamento della scienza e del
sapere. Si può dire che tutto il sistema sociale si regge sulla concorrenza,
che premia i migliori e procura vantaggi a tutta la collettività.
Per concorrere gli uomini
debbono incontrarsi alla pari, con eguali diritti di fronte alla legge, senza
che nessuno possa far valere la forza delle corporazioni o i privilegi del
proprio rango.
● Lo
Stato deve intervenire il meno possibile solo per garantire le regole del
gioco.
Lo stato, secondo i liberali,
deve assicurare la giustizia (tribunali), l'ordine pubblico (polizia) e la
difesa (esercito). Deve insomma garantire la difesa dall'esterno e le regole
del gioco all'interno (niente violenza, concorrenza sleale, ecc.).
Per il resto deve lasciar fare
agli individui, e in particolare è sconsigliabile che imponga troppe tasse e
che voglia partecipare alle attività produttive o cerchi di influenzare
l'economia.
● La
molla dell'egoismo e della concorrenza fa sviluppare la personalità umana.
Spinto dalla competizione,
potendo contare solo sulle proprie forze e non su ricchezza o rango sociale,
l'individuo sarà costretto a far fruttare tutti i propri talenti, ad essere
accorto, frugale, parsimonioso e intraprendente.
L'egoismo risveglia
l'intraprendenza umana e fa crescere i commerci, come dice Hume: "poiché
gli uomini si abituano ai piaceri del lusso e ai profitti del commercio, la
loro sensibilità e il loro spirito attivo, così risvegliatisi, li sospingono
verso nuovi progressi in ogni ramo del commercio sia interno sia estero".
Il liberismo è la dottrina
economica del liberalismo: assegna allo stato un ruolo di semplice
"arbitro" nella lotta economica e sostiene che l'attività produttiva
va lasciata alla libera iniziativa privata, perché solo in tal modo si assicura
il massimo impiego delle risorse, la ricchezza e la crescita del sistema
economico.
Lo Stato deve intervenire il
meno possibile, per garantire il rispetto delle "regole del gioco"
della concorrenza e fornire i servizi pubblici più essenziali: difesa, ordine
pubblico, giustizia.
❍ LA SEPARAZIONE TRA STATO E SOCIETA CIVILE. LA SEPARAZIONE
DEI POTERI.
Il potere economico deve
rimanere separato dal potere politico e dal potere culturale.
Lo Stato (il potere politico),
in particolare, non deve intervenire in campo religioso, economico,
scientifico.
I liberisti erano molto polemici nei confronti
delle idee del mercantilismo, tipiche dello stato assoluto del Seicento e del
Settecento. Secondo loro lo stato mercantilista interveniva troppo
nell'attività economica in vari modi:
● Monopolizzando
molte attività economiche e concedendone il brevetto di sfruttamento a
determinati soggetti o categorie di soggetti
● Emanando
un numero eccessivo di leggi per regolare l'attività economica che finivano per
soffocarla (ad es. le leggi sul commercio dei grani, citate anche dal Manzoni
finivano per essere così opprimenti che provocavano carestie)
● Dazi
doganali
Secondo i liberisti andavano
tolti tutti questi ostacoli e altri ancora:
● Servitù
della gleba, che impediva la libera circolazione dei lavoratori
● Corporazioni
di arti e mestieri, che impedivano il libero esercizio dell'attività economica
● Terre
comuni (che impedivano di sfruttare vaste aree agricole lasciandole a pascolo o
a bosco)
❍ LE "LEGGI NATURALI" DEL SISTEMA. LA "MANO
INVISIBILE".
I liberisti avevano la teoria
della "mano invisibile", secondo cui esistono meccanismi (come quello
dei prezzi) che garantiscono che l'attività economica si sviluppi da sé e
proceda nel migliore dei modi senza bisogno di leggi e controlli (tranne quelli
per evitare la violenza e la concorrenza sleale)
L'egoismo è una legge naturale
messa da Dio nel cuore dell'uomo.
Ma l'egoismo di una singola
persona, se fosse libero di sfrenarsi, rovinerebbe tutti gli altri.
Così pure, un egoismo che
volesse affermarsi con mezzi violenti condurrebbe alla catastrofe.
In realtà, nel cuore dell'uomo,
l'egoismo è temperato dalla ragione (concezione illuminista).
E' la ragione a spingere gli
uomini a limitare i loro egoismi e a stipulare un patto per creare una autorità
che impedisca i conflitti violenti e tuteli la proprietà che ciascuno ha
guadagnato con il proprio lavoro.
In tale situazione, a causa
della presenza di altri uomini, la legge distruttiva dell'egoismo viene
temperata dalla concorrenza, cioè dalla lotta pacifica con gli altri per
ottenere il soddisfacimento dei propri interessi.
La concorrenza trasforma una
forza distruttiva in una grande forza di progresso: gli imprenditori in
concorrenza tra loro produrranno prodotti migliori e più a buon mercato; i
politici, facendosi concorrenza di fronte all'elettorato, proporranno i
programmi politici migliori; gli studenti, stimolati dalla prospettiva di un
lavoro rimunerativo, cercheranno di impiegare tutte le loro energie nello
studio; ecc.
❍ IL PRINCIPIO DELLO SCAMBIO.
L'EGUAGLIANZA.
Mentre nell'Ancien Régime
(1600-1700) alcuni individui (nobili, clero) erano in posizione di forza
rispetto ad altri, e in virtù dei propri privilegi si appropriavano per legge
di una parte del prodotto nazionale, i liberali rivendicarono la assoluta
eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e il principio per cui, se un
individuo vuole qualcosa deve scambiarlo con qualcosa di equivalente: denaro,
lavoro, beni, ecc. Questo principio dello scambio o "principio della
controprestazione" è stato affermato anche nei confronti dello Stato: esso
deve fornire servizi pubblici di valore equivalente alle imposte che i
cittadini pagano, evitando gli sprechi e il mantenimento di classi parassite
come la nobiltà.
La proprietà guadagnata con il
proprio lavoro è una importante ricompensa che va lasciata agli individui.
La proprietà è anche garanzia
di indipendenza e libertà: chi ha dei beni non deve dipendere da altri per il
proprio sostentamento e non può essere costretto a comportarsi in modo
contrario alla propria libertà e coscienza.
La cosiddetta "proprietà
dei beni personali" (delle stanze in cui tutelare la propria privacy,
libri, vestiario, strumenti per i propri hobby, auto per gli spostamenti ecc.)
è indispensabile per la manifestazione della personalità di un individuo, e non
può essergli espropriata né messa in comune con altri.
IL CIRCUITO REDDITO-SPESA E LA TEORIA DEGLI
SBOCCHI DI SAY
❍ IL CIRCUITO REDDITO-SPESA E LA LEGGE DEGLI SBOCCHI
Osserviamo la figura 1, con lo
schema dei rapporti tra famiglie e imprese in un sistema economico
semplificato:
L’impresa Alfa produce
automobili, utilizzando lamiere che paga lire 150 all’impresa Beta.
L’impresa Beta produce lamiere,
utilizzando minerale che paga lire 50 all’impresa Gamma
L’impresa Gamma produce
minerale senza utilizzare beni strumentali acquistati da altre imprese
I beni finali prodotti dal
sistema economico consistono in auto per un valore di 300 lire, che
costituiscono l’incasso dell’impresa Alfa (freccia verticale dalle famiglie
all’impresa Alfa)
Ciascuna impresa, una volta
pagato il valore dei beni intermedi utilizzati, distribuisce tutto il rimanente
alle famiglie che hanno preso parte alla produzione, sotto forma di flusso W+P
di
● salari
● profitti
● stipendi
● interessi
● royalties
(compensi per i brevetti utilizzati)
● rendite
(compenso ai proprietari dei terreni, delle miniere e delle altre risorse
naturali utilizzate)
Tra le
famiglie che hanno preso parte alla produzione includiamo ovviamente anche
quelle degli imprenditori.
Possiamo subito vedere che i
flussi W+P dalle imprese alle famiglie sono pari a 150+100+50 = 300, e cioè
hanno lo stesso valore del prodotto finale, costituito da automobili (300).
In sintesi, tutto il valore dei beni finali prodotti
dalle imprese nell’unità di tempo (mese, anno, etc.) viene distribuito alle
famiglie sotto forma di flusso W+P di salari, stipendi, profitto, royalties,
rendite.
Questo fatto risulta ancor
meglio da uno schema che riunisce in un unico gruppo le famiglie e in un unico
gruppo le imprese:
Osservando questo schema
notiamo che i salari e gli stipendi W+P distribuiti il 27 di ogni mese
finanziano le spese di consumo C delle famiglie fino al 27 del mese successivo,
quando i soldi sono rientrati tutti nelle casse delle imprese e il ciclo si
ripete.
Possiamo dire che le famiglie
acquistano i beni con gli stessi soldi che sono stati dati loro dagli
imprenditori per produrli. Questo fatto colpì l’economista classico
Jean-Baptiste Say (la scuola classica è la scuola di pensiero economico
dominante tra il 1790 e il 1850 circa, e comprende economisti come Say, Smith,
Ricardo, Marx), che formulò la legge
degli sbocchi nella sua prima forma (dovuta a Say): L’offerta (cioè
la produzione) crea la sua domanda; in altre parole gli imprenditori non hanno
ragione di preoccuparsi che rimangano merci invendute, perché è lo stesso
denaro che essi distribuiscono alle famiglie che consentirà ad esse di
acquistarle.
Gli economisti neoclassici (la
scuola neoclassica è la scuola di pensiero economico dominante tra il 1850 e il
1930 circa) perfezionarono l’analisi di Say considerando anche la possibilità
che le famiglie potessero risparmiare. Essi misero a punto lo schema di figura 3 di un sistema economico
con famiglie, banche e imprese:
In questo schema tutto il
denaro risparmiato dalle famiglie (100) viene depositato nelle banche e poi
preso in prestito dagli imprenditori per acquistare beni strumentali durevoli e
scorte di beni strumentali non durevoli (flusso orizzontale I di investimenti
tra banche e imprese). In questo modo, le 300 lire distribuite dalle imprese il
27 del mese, alla fine del mese successivo ritornano nelle loro casse sotto forma
di flusso C+I, e il ciclo si ripete invariato. In questo caso si dice che il sistema è in equilibrio.
Come possono essere sicuri i
neoclassici che tutte le somme risparmiate dalle famiglie torneranno alle
imprese sotto forma di investimenti? La risposta a questa obiezione è contenuta
nella legge degli sbocchi nella sua
seconda forma (dovuta ai neoclassici): Se le famiglie risparmiano più
di quanto gli imprenditori intendono investire, allora l’interesse offerto sui
capitali risparmiati si abbasserà e questo avrà l’effetto di far risparmiare
meno le famiglie, che aumenteranno le spese di consumo e di far aumentare gli
investimenti agli imprenditori. In tal modo, si raggiunge il punto in cui gli
imprenditori investono esattamente quanto le famiglie risparmiano. Anche in
questo caso, tutta la produzione ha trovato il suo sbocco, cioè è stata
acquistata o dalle famiglie o dagli imprenditori.
Osserviamo la figura 4, che
illustra il funzionamento del mercato dei capitali:
La domanda di capitali proviene
dalle imprese, che li impiegano per fare investimenti (acquisto di beni
strumentali durevoli e non durevoli), mentre l'offerta di capitali proviene dal
risparmio delle famiglie. La curva di offerta di capitali è ascendente: più alto
è il saggio di interesse "i" più le famiglie sono invogliate a
risparmiare. La curva di domanda di capitali è discendente: più alto è il
saggio di interesse, più le imprese trovano costoso imprestarsi denaro e
limitano i prestiti. Il saggio di equilibrio iEQ è quello al quale
la domanda di capitali coincide con l'offerta: risparmiatori e imprese hanno
trovato un accordo. Al disopra del saggio di interesse di equilibrio si ha
eccesso di offerta di capitali da parte delle famiglie (saggio i1) ;
al disotto del saggio di equilibrio si ha scarsità di capitali o eccesso di
domanda da parte delle imprese (saggio di interesse i2)
Come abbiamo già detto, il
funzionamento del mercato dei capitali assicura la validità della legge degli
sbocchi (“tutta la produzione viene acquistata”); infatti, la situazione in cui
le famiglie risparmiano più di quanto gli imprenditori investono è la
situazione che si ha al saggio i2, con un eccesso di offerta di
moneta pari al segmento AB. Questo eccesso di offerta spingerà il saggio di
interesse al livello Ieq, corrispondente al punto P. Come si vede
osservando l’andamento della curva di domanda nel tratto AP e l’andamento della
curva di offerta nel tratto BP, mentre il saggio di interesse scende, gli
investimenti degli imprenditori aumentano (gli imprenditori trovano che il
costo del denaro è diminuito sono più invogliati ad investire) mentre l’offerta
di moneta da parte delle famiglie diminuisce (le famiglie trovano meno
conveniente risparmiare e aumentano i loro consumi). Alla fine domanda ed
offerta coincideranno nel punto P
LE TEORIE DI MALTHUS E DI LASSALLE
❍ LA POPOLAZIONE NEL SETTECENTO.
Nel medioevo e nei secoli del
mercantilismo (1500-1600) le campagne erano spopolate e foreste, paludi e
terreni accidentati coprivano una gran parte delle terre coltivabili.
L'aumento di popolazione
contribuiva a diffondere il disboscamento, l'agricoltura e le aree coltivate ed
era considerato una fonte di potenza economica e militare della nazione.
Ancora legato fortemente ad una
visione cristiana e biblica del mondo, il medioevo considerava una popolazione
abbondante e una numerosa discendenza come la benedizione di Dio all'uomo.
Ma a partire dal 1700 le
campagne cominciarono ad espellere manodopera in eccesso, a causa della
chiusura delle terre comuni e del progresso delle tecniche agricole.
Gli economisti classici si
accorsero con preoccupazione che quella che nei secoli passati era considerata
una ricchezza - l'abbondanza di popolazione - ora costituiva una situazione
drammatica che rischiava di togliere valore e dignità ad una vita umana di cui
nessuno (né le campagne né le città) aveva più bisogno.
Le analisi più pessimistiche
della situazione sono quelle dell'economista classico Thomas Robert Malthus
(1766-1836).
Egli ebbe il merito di attirare
per primo l'attenzione degli studiosi sul rapporto tra popolazione e risorse.
Da allora questo è rimasto un importante tema di studio della scienza
economica.
Secondo Malthus, mentre la
crescita delle risorse alimentari (cioè dei beni di consumo alimentare
disponibili) segue un andamento "aritmetico", la crescita della
popolazione segue un andamento "geometrico", che è molto più veloce.
In matematica, si dice
"successione" una serie infinita di numeri.
Una successione si dice
"aritmetica" quando ciascun numero successivo è ottenuto sommando
sempre la stessa quantità al numero precedente. Ad esempio, la successione:
3, 5, 7, 8, 11, 13,...
è ottenuta sommando il valore 2
per ottenere il numero successivo
Una successione si dice
"geometrica" quando ogni numero successivo è ottenuto moltiplicando
il numero precedente sempre per la stessa quantità, che viene detta
"ragione della successione".
Ad esempio, la successione:
3, 6, 12, 24, 48, 96,...
è ottenuta moltiplicando ogni
termine per 2 (la "ragione" della successione) per ottenere il
successivo.
Come si vede, i valori di una
successione geometrica crescono molto più rapidamente di quelli di una
successione aritmetica.
Secondo Malthus, questa
diversità dei ritmi di crescita provoca una sovrappopolazione cronica che
mantiene per la maggior parte del tempo le masse in uno stato di miseria e di
mancanza di mezzi di sussistenza.
L'istinto riproduttivo delle
masse è una legge naturale, e le risorse si sviluppano secondo leggi
altrettanto naturali, per cui, secondo Malthus, vi è ben poco da fare per
rimediare a questa situazione.
Secondo lui, anzi, essa è
destinata ad aggravarsi dal fatto che i fattori produttivi tendono a fornire
nel tempo rendimenti sempre più bassi, man mano che il loro sfruttamento
diviene più intenso: basti pensare al fatto che per espandere la produzione
agricola occorre mettere a coltivazione nuove terre via via meno fertili.
La popolazione ha ben pochi
ostacoli al suo sviluppo. I freni che Malthus accuratamene addita come
possibili modi per ridurre il divario fra il ritmo di incremento demografico e
il ritmo di crescita delle sussistenze sono la restrizione morale, il vizio e
la miseria. Questi freni agiscono preventivamente, nel senso che possono
evitare il dramma di una popolazione eccessiva. Altri freni, quali le guerre,
le pestilenza o le carestie sono, per Malthus, di natura repressiva, tali cioè
da entrare inevitabilmente in funzione quando i freni preventivi siano
risultati inadeguati o inconsistenti. Malthus non mostra però di avere grande
fiducia circa l'efficacia della restrizione morale (in sostanza il celibato, il
ritardo dei matrimoni, la continenza e simili) e condanna, da puritano ed
ecclesiastico qual era, sia il vizio sia l'eventuale ricorso a forme di
controllo delle nascita diverse da quelle "naturali" sopra descritte.
Dunque, rimane la misera a regolare la crescita demografica.
L'innalzamento del benessere
materiale conduce a creare maggiori bocche da sfamare, col risultato di aumentare
le esigenze di sostentamento più di quanto siano in grado di crescere i mezzi
stessi di sostentamento. L'equilibrio - se così possiamo chiamarlo - viene
ripristinato con la morte di una parte della popolazione che ne riduce le
dimensioni. Una sorta di concorrenza applicata all'esistenza umana.
La teoria malthusiana fu
salutata con grandi onori dal conservatorismo dell'epoca, che ne trasse la
giustificazione per non fare nulla rispetto al problema, sempre più grave,
dell'impoverimento delle masse. L'aver tracciato una legge di natura,
immutabile e inesorabile, cancellava con un colpo di spugna ogni responsabilità
nei riguardi della miseria, e nello stesso tempo legittimava lo sfruttamento
dei lavoratori attraverso l'erogazione di bassi salari, giacché anche in tal
caso il principio di popolazione funzionava a dovere: pagare "troppo"
i lavoratori avrebbe significato condizioni di vita favorevoli alla crescita
demografica, con i noti effetti descritti così autorevolmente da Malthus.
❍ LA "LEGGE FERREA (O
BRONZEA) DEI SALARI".
Leggiamo le parole con cui il
socialista dell'Ottocento Ferdinand de Lassalle espone tale legge. “La bronzea
legge economica che negli attuali rapporti sociali dominati dalla domanda e
dall'offerta di lavoro determina il salario può riassumersi in questo modo: il
salario si riduce costantemente alla sussistenza necessaria abitualmente
richiesta in un popolo per sopravvivere e riprodursi. Questo è il punto intorno
al quale oscilla sempre il salario reale senza potersi elevare ed abbassare per
un tempo prolungato, proprio come un pendolo. Non può superare in modo
permanente questa media perché altrimenti, diventando più sostenibile e
migliore la condizione dei lavoratori, ne deriverebbe un aumento dei matrimoni
e della riproduzione dei lavoratori, un incremento della popolazione operaia e
quindi dell'offerta di braccia che riporterebbero il salario al suo precedente
livello. Il salario non può nemmeno restare per molto tempo al di sotto del
minimo necessario di sussistenza perché altrimenti ne deriverebbero
emigrazioni, scarsità di matrimoni, crisi di natalità e infine diminuzione di
lavoratori causata dalla miseria che riduce ancora l'offerta di braccia ripordando
il salario allo stadio precedente. La limitazione del salario medio alla
sussistenza abitualmente richiesta in un popolo per sopravvivere e riprodursi
è, torno a ripeterlo, questa
legge bronzea e crudele che domina il salario nelle attuali condizioni
sociali".
❍ LA CRITICA DI RICARDO A MALTHUS.
IL PENSIERO DEGLI ECONOMISTI SUCCESSIVI.
Ricardo non condivide il
pessimismo di Malthus (perlomeno nel lungo periodo). Egli è ottimista riguardo
la condizione dei lavoratori, perché ha riducia nell'avvenire dell'industria
che, secondo lui, è capace di espandersi molto più rapidamente dell'agricolture
e di assorbire i lavoratori attualmente in eccesso.
Inoltre, non è vero che la
condizione salariata abbrutisce i lavoratori a livello di miseria e
analfabetismo. Mano a mano che l'industria si evolverà saranno necessari
lavoratori sempre più istruiti, che saranno pagati sempre meglio.
Gli economisti successivi a
Malthus a poco a poco abbandoneranno l'idea che il salario sia fatalmente
legato al minimo indispensabile di sussistenza e che questo sia anzi necessario
per garantire agli imprenditori i profitti necessari per incentivarli e
finanziarne la attività.
Al suo posto si fanno strada le
idee degli alti salari come condizione dello sviluppo industriale, e della
tendenza dei profitti a decrescere per effetto di questo sviluppo, in modo
tuttavia che la condizione dell'imprenditore non viene peggiorata, riprtendosi
il suo guadagno sopra una più grande massa di prodotti.
LA TEORIA DELLA RENDITA DI RICARDO
❍ LA RENDITA ASSOLUTA E LA RENDITA DIFFERENZIALE.
La rendita assoluta è il
compenso che il proprietario della terra riesce ad ottenere dall'imprenditore
perché esiste un numero limitato di terre coltivabili, insufficiente a
permettere a tutti gli imprenditori che lo desiderano di produrre grano.
La rendita differenziale è il
compenso che il proprietario delle terre più fertili riesce ad ottenere perché
esistono imprenditori che desiderano coltivare le terre più fertili piuttosto
che le meno fertili.
Possiamo chiarire il tutto con
un esempio:
TERRENO |
COSTO
DI PRODUZIONE DEL GRANO |
PRODUZIONE
DI GRANO |
A |
50 €
per quintale |
10
quintali |
B |
60 €
per quintale |
10
quintali |
C |
70 €
per quintale |
10
quintali |
D |
80 €
per quintale |
10
quintali |
Supponiamo che la domanda delle
famiglie sia sufficientemente alta da consentire agli imprenditori agricoli di
fissare il prezzo di vendita del grano a £ 100.
L'imprenditore agricolo che
coltiva il terreno D ricava 20 lire in più rispetto ai costi sostenuti.
Ma queste 20 lire non andranno
all'imprenditore (come profitto), ma dovranno essere cedute al proprietario
come rendita. Infatti, essendo la terra scarsa, gli altri imprenditori agricoli
rimasti disoccupati sarebbero disposti ad accontentarsi di un profitto più
basso per poterla coltivare, e alla fine tutto il profitto va al proprietario
della terra.
Questo tipo di compenso al
proprietario della terra, dipendente dalla scarsità del fattore rispetto alla
domanda da parte degli imprenditori, si dice "rendita assoluta".
Se le terre di tipo D fossero
disponibili in numero illimitato, nuovi imprenditori inizierebbero la
coltivazione di nuove terre, finché, per l'eccesso di offerta di grano, il
prezzo del grano non scenderà a 80 €. A quel punto il profitto
dell'imprenditore è sparito, e l'ingresso di ulteriori imprese non è possibile,
perché spingerebbe il prezzo al disotto del costo di produzione.
In questa situazione i
proprietari delle terre meno fertili non ottengono alcun compenso per
l'utilizzo da parte degli imprenditori. In questa situazione è sparita la
rendita assoluta.
Si vede subito che i terreni
hanno diversa fertilità. Il terreno A è il più fertile, mentre il terreno D è
il meno fertile
Se le famiglie hanno bisogno di
40 quintali di grano per la sopravvivenza, quanto dovranno pagare alle imprese
per ottenere una produzione di 40 quintali?
Sembrerebbe che esse debbano
pagare:
(50 * 10) + (60 * 10) + (70 *
10) + (80 * 10) = 2.600 €
In realtà Ricardo mostra che le
famiglie dovranno pagare:
80 * 40 = 3.200 €
Questo perché il prezzo che si
forma in un mercato concorrenziale è unico.
Se ciascun produttore chiedesse
un prezzo diverso, pari al suo costo di produzione, tutte le famiglie si
rivolgerebbero al coltivatore del terreno A e nessuno ai coltivatori dei
terreni B, C o D.
Poiché tuttavia il prodotto del
terreno A non è sufficiente per i bisogni delle famiglie, ben presto l'eccesso
di domanda (= domanda maggiore dell'offerta) farà salire il prezzo di vendita
del prodotto del terreno A al livello del costo del terreno D.
L'imprenditore che coltiva il
terreno A ricava 40 € in più rispetto ai costi di coltivazione. Ma egli deve
cederle al proprietario della terra, perché tutti gli imprenditori che
coltivano le terre meno fertili (e anche quelli che non sono riusciti ad
ottenere terre da coltivare) avrebbero interesse ai maggiori profitti
realizzabili sulle terre più fertili, e si farebbero quindi concorrenza
offrendo di cedere al proprietario una parte via via crescente del maggiore
profitto ottenibile: in tal modo, alla fine essi si accontenteranno di lasciare
quasi tutte le 40 € al proprietario. Per semplificare, gli economisti
considerano che tutte le 40 € diventino una rendita dei proprietari. Si tratta
di una "rendita differenziale" rispetto al terreno
D, che non può essere maggiore
della differenza tra i costi di produzione del terreno A e i costi di
produzione del terreno B.
LA DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA
❍ LA CONCEZIONE CRISTIANA DEI RAPPORTI ECONOMICI.
● La
Chiesa ha spesso sostenuto lo stato e le sue leggi (comprese quelle sulla
proprietà) perché lo Stato è considerato dal pensiero cristiano come un
importante mezzo per poter attuare il regno di Dio.
Già Dante sosteneva che
l'autorità civile ha un proprio ruolo moderatore degli egoismi individuali.
● Deve
esistere una autorità religiosa o ispirata alla religione che faccia presenti
agli uomini i principi cristiani. Tale autorità non deve essere ostacolata
dallo Stato.
Nella concezione cattolica
tradizionale il fatto che esistessero principi, basati sul vangelo, dell'agire
giusto che andavano ricordati agli uomini comportava un preciso ruolo sociale
della Chiesa.
Nel pensiero della Chiesa
medioevale, questo comportava una posizione di predominio della Chiesa. Al
vertice, vi doveva essere il potere religioso, da cui traeva riconoscimento
quello politico e, sotto si trovavano i poteri economici, dotati di maggior
riconoscimento se accompagnati da un titolo di potere politico (come nei
proprietari terrieri feudali) e di minor riconoscimento se puramente economici
(come nei commercianti, artigiani e banchieri borghesi e nei semplici
lavoratori). Questa struttura soffocava lo sviluppo economico capitalistico.
Nel moderno Stato laico, la
Chiesa afferma che i suoi principi hanno un valore preminente rispetto a quelli
dello Stato, e che è lecito ribellarsi agli stati che vanno contro i principi
di Cristo o che ostacolano il magistero della Chiesa.
● L'utilitarismo
liberale conduce all'egoismo e allo sfrenamento delle passioni.
La Chiesa contesta
l'utilitarismo. Manzoni, fervente cattolico, scrisse un trattatello contro
Bentham, famoso utilitarista inglese, per mostrarne la incompatibilità col
pensiero cristiano.
● Gli
scambi debbono avvenire secondo giustizia: le due prestazioni debbono essere
equivalenti e nessuno deve approfittare della sua posizione di forza. I
contratti debbono avere il giusto prezzo, e in particolare i prestiti debbono
avere il giusto interesse.
Secondo tale dottrina bisogna
distinguere ricchezze guadagnate e non gudagnate e considerare equi i compensi
di chi non abusa di situazioni monopolistiche, di privilegi o di posizioni di
rendita, offerti da circostanze fortunate, dal possesso di beni scarsi di cui
vi è gran richiesta ma che non sono costati particolarmente ecc...
● La
proprietà è accettabile se è diffusa e ben distribuita. Essa rappresenta in tal
caso una base insostituibile per la libertà e lo sviluppo della persona.
Il concetto secondo cui la
proprietà è accettabile se è ben distribuita, se è diffusa - che troviamo nella
dottrina cristiana - corrisponde ovviamente alla concezione della
giustificazione della proprietà nel lavoro, da un lato; alla preoccupazione che
i beni terreni non distraggano gli uomini dai valori extraterreni; al motivo
della equità nei contratti (perché essa è garanzia di equilibrio sociale) e
soprattutto al concetto che la proprietà debba accettarsi, in questo mondo
imperfetto, come strumento per un equilibrato rapporto fra uomini e natura e
quindi come modo per assicurare al maggior numero di persone una giusta parte
di beni materiali e una difesa della loro persona e della loro famiglia dal
bisogno e dalle minacce di sfruttamento di parte degl altri, a cui si predica
il dovere di carità, ma dei cui egoismi è doveroso tenere conto nell'organizzazione
sociale.
● La
dottrina cristiana ripudia la violenza nei rapporti tra gli uomini.
La Chiesa ripudia ogni tipo di
violenza nei rapporti politici, e caldeggia la persuasione, le armi incruente
della predicazione del dovere cristiano, dell'esempio, dell'ammonimento o della
preghiera.
La preghiera era ritenuta
importantissima dalla Chiesa, che per questo era bersaglio dei marxisti quando
essi parlavano della religione come "oppio dei popoli": ai
disgraziati si suggerisce di attenuare le proprie sofferenze terrene pregando;
ai ricchi si suggerisce di aiutare i derelitti pregando per loro e di
purificare il proprio animo, contaminato dal peccato, pregando; ai conventi di
pregare per gli uni e gli altri e perché proseguano le donazion dei ricchi a
loro favore, in vista di tale missione. In tal modo le cose possono rimanere
come prima senza che la ricchezza e la diseguaglianza ostacolino lo sviluppo
spirituale delle persone.
● La
sola proprietà che si giustifica è quella meritata con il lavoro e la fatica.
La dottrina medioevale afferma
che la sola proprietà che si giustifica è quella accompagnata da fatica, non
basata sullo sfruttamento delle condizioni di bisogno altrui, non fondata su
pretese immoderate di arricchimento.
● La
proprietà delle organizzazioni religiose (conventi, monasteri ecc.) che attuano
la perfezione della vita evangelica tra i loro membri, le opere di carità e
l'apostolato è giustificata e inviolabile. Essa è la base della indipendenza e
libertà della
Chiesa e mezzo di sviluppo
spirituale.
● Il
lavoro, il mestiere è un "ministerium", una missione, una attuazione
del precetto di amore per il prossimo.
● La
organizzazione sociale ha dei difetti che non sono realisticamente eliminabili.
L'uomo è imperfetto, e il rispetto della libertà degli individui impone di
accettare tali imperfezioni (il profitto dell'imprenditore; l'interesse di chi
presta; la proprietà privata; ecc.).
La chiesa riconosce la libertà
delle persone di sbagliare. La libertà è un elemento fondamentale della
condizione umana.
Bisogna eliminare però i fatti
più gravi, modificabili con un intervento dello Stato.
La dottrina economico-sociale
cristiana è, essenzialmente, una dottrina di conciliazione, di compromesso.
Come eredità della Bibbia ha anche la concezione della imperfezione dell'uomo
(peccato originale e cacciata dallo stato perfetto del paradiso nella vita
imperfetta della Terra).
Da ciò una valutazione
pessimistica sulle possibilità dell'organizzazione sociale: la perfezione, per
quanto sia un ideale cui si deve mirare, non è di questa terra. Quindi la
Chiesa ha un disegno di organizzazione sociale che sebbene ispirato al meglio,
tuttavia riconosce le imperfezioni, in particolare l'egoismo umano e quindi
tende al compromesso.
● Le
ricchezze materiali sono accettabili solo come un mezzo, ma giammai come un
fine. In particolare è vietata l'avidità.
Dio dice ad Adamo di usare
della terra e sottometterla. La proprietà è uno strumento per realizzare la
benevolenza e la benedizione di Dio.
Le ricchezze debbono per quanto
possibile servire per l'elevazione dell'uomo a Dio. Il cristiano non vede con
sfavore la proprietà, ma il cattivo uso della proprietà consistente nel riporre
la propria fiducia nei beni piuttosto che in Dio.
La validità della proprietà
deriva dall'assegnazione che Dio fa delle cose del mondo agli uomini. La
proprietà permette di godere ordinatamente le cose del mondo, purché non si
pervertisca: a) strumento di esclusione di altri; b) strumento di oppressione e
violenza ad altri; c) strumento e occasione di peccato e corruzione; d) causa
di perdita della fiducia in Dio
La Chiesa vieta il suicidio e
considera peccatore l'uomo che non si preoccupa della sua esistenza e la mette
a rischio. L'esistenza è un bene che Dio ci ha dato e che non possiamo gettare
via. La proprietà assolve quindi il compito di preservare il dono
dell'esistenza.
Dio vieta di accumulare la
manna: non bisogna chiedere oltre le nostre necessità, perché questo spesso
porta ad offendere gli esseri viventi, la natura e il prossimo, a saccheggiare,
offendere, deturpare la natura, che è pur sempre un dono di Dio da preservare.
Dio ammette che sacrifichiamo
animali e cose per noi, ma il sacrificio è accetto a Dio in quanto questi
animali e queste cose col loro sacrificio ci aiutano a crescere. La distruzione
della vita deve portare ad una crescita di amore e di vita.
Altrimenti è distruzione di
vita.
Dio ci nutre (=ci fa crescere)
in molti modi misteriosi e non solo col cibo. La nostra crescita spirituale
dipende dalla Provvidenza, che crea occasioni.
I nostri sforzi possono
produrre effetti contrari al nostro bene e non essere sufficienti. Solo la
provvidenza divina fa sì che essi arrivino ad effetto.
L'accumulazione di ricchezze
non deve procedere sproporzionatamente alle necessità, la proprietà privata è
ammessa (in relazione alla fragilità umana) ma deve essere il più possibile
distribuita e i poteri nella società debbono rispettare una gerarchia di
valori, in cui quelli economici non sono al vertice, ma quelli della dignità,
libertà, sicurezza dell'individuo.
● La
proprietà crea un obbligo di aiuto verso il prossimo.
La proprietà privata crea in
chi la possiede un obbligo di aiuto verso il prossimo bisognoso; in generale
chi ha, è tenuto ad aiutare chi non ha
Obbligo di dare in prestito il
denaro senza pretendere, in contraccambio, in aggiunta alla restituzione della
somma, anche un interesse.
Nei contratti si deve far
pagare un prezzo "giusto" il quale va calcolato in modo da consentire
la copertura di costi per mezzi materiali e un ragionevole compenso per il
lavoro svolto senza approfittre delle condizione di bisogno in cui possa
trovarsi la controparte.
Il concetto, della dottrina
cristiana medioevale, che la ricchezza e la proprietà in genere creino, in chi
li possiedono, un obbligo di aiuto verso gli altri, contiene "in
nuce" il principio della solidarietà sociale, dell'assistenza sociale e
quindi della garanzia a ogni uomo di un sostentamento da parte della
collettività.
● La
dottrina del giusto prezzo e dell'usura è stata vista come anticipatrice della
teoria del plusvalore marxista. Tuttavia vi sono significative differenze tra
le due concezioni.
● In
generale i cristiani hanno rivendicato il merito di aver predicato molti dei
principi socialisti ben prima del marxismo.
● Molti
cristiani dichiarano di poter essere contemporaneamente marxisti e cristiani.
Ma Marx disse chiaramente che
secondo lui "La religione è l'oppio dei popoli" e "Dio è stato
inventato allo scopo di tenere buoni gli oppressi e ingannarli con il miraggio
di una vita ultraterrena affinché non si ribellassero alle ingiustizie della
vita terrena".
In queste condizioni, molti
cristiani ritengono impossibile essere contemporaneamente anche marxista.
● Il
cristianesimo non è a favore del collettivismo. Per collettivismo si intende la
espropriazione di tutti i beni e la attribuzione in proprietà allo stato o a
collettività di lavoratori o a collettività locali.
Esiste un comunismo tra monaci
e monache, ma per la Chiesa questa è una strada che può essere percorsa con
profitto solo da coloro che hanno la vocazione, e che farebbe più male che bene
a persone di virtù ordinaria: non si può elevare una persona al disopra di
quanto gli consentono le sue capacità senza grave danno per la sua anima e
rischio di tentazione e peccato.
Esiste invece un socialismo non
collettivista che si può derivare dalle dottrine cristiane (vedi i paragrafi
sul cristianesimo sociale).
● La
dottrina secondo cui le ricchezze materiali sono un mezzo e non un fine è
simile alla dottrina marxista della mercificazione e della alienazione: della
critica, cioè al capitslismo per la sua strumentalizzazione della condizione
umana al lucro e ai beni materiali.
● Nella
concezione della Chiesa vi è un sospetto nei riguardi del progresso materiale,
una diffidenza verso la civiltà industriale, mentre in Marx vi è l'opposto
atteggiamento.
Nella dottrina cattolica
medioevale la critica al culto della ricchezza si accompagna a una critica alla
contaminazione che la ricchezza reca all'uomo. Invece per Marx, mutati i
rapporti di classe, la ricchezza sarà uno strumento di liberazione umana e una
meravigliosa forza positiva per l'obbiettivo del comunismo.
● Mentre
i cristiani si dolevano poco che la mancanza di profitto comportasse minore
sviluppo economico (la povertà era per loro una virtù), i marxisti erano
sensibili a questo aspetto, e ne facevano anzi un argomento di critica al
saggio di profitto, che avrebbe condotto al ristagno degli investimenti.
Per la dottrina cattolica la
ricchezza ha in sé qualcosa del peccato originale, rappresenta un elemento
pericoloso per il vero fine dell'uomo, che è quello ultraterreno.
La ricchezza assorbe
l'attenzione dell'uomo, rende inquieta la sua anima.
La Chiesa, secondo i marxisti,
non riconosce sufficientemente il rapporto tra ricchezza materiale e sviluppo
della personalità umana: non per niente, secondo i marxisti, Cristo disse
"beati i poveri"
● Il
concetto cristiano di carità portava alla assistenza e alla beneficenza, perché
ricchezza e proprietà creano, in chi li possiedono, un obbligo di aiuto verso
gli altri.
Vi è da dire però che la
dottrina cristiana dell dovere di assistenza ai poveri si basa su un concetto quello
della "carità" che, nella sua originaria versione individuale, si
differenzia considerevolmente da quello del puro diritto all'assistenza.
I marxisti sostengono che
l'assistenza cristiana è volontaria, affidata alla "carità" della
persona abbiente, non organizzata su base nazionale, non costituente un vero e
proprio diritto (come dovrebbe essere) e che in ultima analisi è vista
principalmente come perfezionamento spirituale del ricco invece che come
strumento per risollevare le condizioni materiali del povero.
Ancora più grave è, secondo i
marxisti, il fatto che la carità verso il povero sia servita come
giustificazione della proprietà del benestante.
I dottori medievali della
Chiesa ritenevano che la sete di arricchirsi e il desiderio di beni materiali
non fossero un elemento degno di trovare posto, sul terreno morale e pertanto
affermavano che essi sono irrilevanti per stabilire l'equivalenza nel contratto
di prestito, mentre si preoccupavano di tutelate il debitore dallo sfruttamento
che dei suoi bisogni poteva fare l'usuraio. Non volevano che il denaro si
moltiplicasse nelle mani di chi giò ne aveva; ritenevano che egli dovesse
ritenersi pago di esso e che dovesse astenersi dall'arricchirsi troppo o,
almeno, accompagnare con la propria fatica un ulteriore arricchimento.
Le condizioni in cui essi
elaborarono la loro teoria, in effetti erano quelle di una società scarsa di
capitali finanziari, in cui i debitori appartenenti per lo più al mondo rurale
e al piccolo artigianato, erano alla mercé dei creditori, appartenenti alla
classe ricca.
Gli economisti classici e neoclassici
fecero una importante scoperta, che cambiò completamente la impostazione del
problema dell'usura.
Essi si resero conto che il
denaro è un bene scarso, e che normalmente, il numero delle persone disposto a
chiedere un prestito è superiore alla quantità di moneta disponibile.
In queste condizioni DEVE
esistere un meccanismo per stabilire chi otterrà il prestito e chi non lo
otterrà.
Lo stesso problema si pone per
i beni di consumo: il meccanismo del prezzo che si forma a seguito della
domanda ed offerta ha lo scopo di scegliere le persone a cui distribuire i beni
prodotti. Questo meccanismo (detto "meccanismo del mercato" o
“meccanismo di mercato") attribuisce i beni agli individui disposti a
pagare il prezzo più alto.
Gli alti interessi sui prestiti
non sono quindi altro che un meccanismo per decidere chi otterrà il
finanziamento, e sono dovuti alla scarsità della moneta disponibile. I
moralisti possono smettere dunque di interrogarsi, secondo gli econonomisti
classici e neoclassici, sulla "moralità" di alti interessi.
Naturalmente, vi sono
meccanismi alternativi per distribuire i beni. Lo studente dovrebbe leggere, su
tutta la questione, le pagine 170-174 del libro di R.G.Lipsey
"Introduzione all'economia" (vedi fotocopie).
Nell'Ottocento si cercava ancora
di giustificare l'interesse cul capitale come un premio per il sacrificio
dell'astinenza. Ma è evidente che un benestante non ha in questo modo un
particoalre sacrificio di astinenza e che un avaro ne ha uno ancora minore.
L'unica vera giustificazione del tasso di interesse è, come abbiamo detto, che
il denaro è "scarso".
La Chiesa ammorbidì in seguito
la sua posizione nei confronti dell'usura. Le leggi morali potevano intralciare
l'attività economica, che portava in fin dei conti benessere alle persone, e di
fronte a questo si cedette alle ragioni dell'egoismo.
Si ammise l'interesse per
ritardo, per perdite subite o mancati guadagni, per prestito ipotecario
riguardante la terra (fruttifera), derivante da quote di compagnie. Si ammise
infine, da parte di una scuola teologica, la liceità dell'interesse tutte le
volte che si potesse adoperare l'argomento che i beni presenti hanno più valore
materiale di quelli futuri.
❍ LE ORIGINI DEL CATTOLICESIMO SOCIALE. IL MOVIMENTO
CRISTIANO SOCIALE DI FINE OTTOCENTO.
Ci fu un "socialismo
cristiano" nell'Ottocento, di cui Marx parlava sarcasticamente, legato
alla vita e ai valori delle campagne, di ispirazione agricola, che è giunto via
a presentarsi come movimento dei piccoli proprietari, contro i grandi; e poi
come movimento dei mezzadri braccianti per la redistribuzone di terre a loro
favore.
Negli anni 1860 in Germania
sorse un movimento cristiano sociale guidato dal vescovo cattolico von
Ketteler, che scrisse un opuscolo "La questione operaia e il
cristianesimo".
Von Ketteler era influenzato
dagli autori socialisti che erano convinti che la legge bronzea dei salari fosse
una realtà, che era il lavoro contenuto nei beni ad originare il loro valore e
che il sistema capitalistico avesse la tendenza a cadere in periodiche crisi
economiche, e che per evitare tutto questo necessitasse l'intervento dello
Stato (socialismo di stato).
Il Papa, nell'enciclica
"Quod apostolici muneris" del 1878, condannò il socialismo, il
comunismo e l'anarchismo, perché erano movimenti atei (affermavano che la
religione era un inganno).
I cristiano sociali reagirono
eliminando il termine "socialismo" dai loro scritti e discorsi e
attenuarono le loro posizioni riformiste, pur continuando a proporre delle
leggi a favore dei lavoratori (cosiddetta "legislazione sociale").
I cristiano sociali austriaci e
francesi erano antiliberali, antisemiti, antidemocratici.
Attaccavano il capitalismo per
i suoi soprusi ma propugnavano un movimento sindacale basato non sul potere ai
lavoratori, ma sul potere a corporazioni formate, con l'approvazione dello
Stato, mediante la associazione fra datori di lavoro e lavoratori.
Nel 1891, tredici anni dopo
l'enciclica "Quod apostolici muneris" fu promulgata l'enciclica
"Rerum novarum" che si occupa delle condizioni delle classi
lavoratrici e propone innovazioni sociali, sia pure cautamente. Il socialismo
cattolico poteva ora trovare una esplicita (anche se prudente e esitante)
autorevole convalida. Essa non si opponeva ai principi democratici, ma
all'attività economica senza controllo.
Il partito popolare cattolico
fondato in Italia da don Sturzo fu il frutto più notevole della "Rerum
Novarum".
Mentre il movimento cristiano
sociale di fine ottocento era antidemocratico, il socialismo cattolico
dell'inizio del Novecento, col sostegno dell'enciclica "Rerum
novarum", anche se non poteva menzionare la parola "socialismo",
poteva far rivivere la dottrina originaria della Chiesa, combattendo i liberali
non per i loro principi democratici, ma per i principi liberisti di una
economia senza controllo; e quindi potevano nascere movimenti politici
cattolici ispirati a idee di democrazia economica e politica.
❍ IL CATTOLICESIMO SOCIALE DEL PRIMO E DEL SECONDO
DOPOGUERRA. IL PERSONALISMO.
Nel primo e secondo dopoguerra,
un movimento che si ispirava al cattolicesimo sociale, molto attivo in Francia
e diffuso anche tra gli uomini della Democrazia Cristiana italiana prendeva il
nome di personalismo. Il movimento personalista era, per certi aspetti,
contrario sia alle dottrine liberali che a quelle marxiste.
Contro le dottrine liberali
sosteneva che non basta prcclamare a parole la dinità e la libertà dell'uomo,
come idea astratta, e disinteressarsi delle condizioni materiali in cui gli
uomini vivono. Occorre invece promuovere la giustizia sociale e l'uguaglianza,
in modo che la dignità e la libertà umana siano per tutti una realtà e non
vuote parole.
Contro le dottrine marxiste,
sosteneva che la persona non è riducibile alla sua sola dimensione
economico-materiale ma è un essere eminentemente spirituale. Per questo,
occorregarantire la libertà, che è l'alimento dello spirito.
I punti importanti di questa
dottrina erano i seguenti:
● In
primo luogo, i diritti fondamentali della persona, che si richiamano alla
tradizione liberale iniziata con la Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo e del cittadino del 1789
● In
secondo luogo, la democrazial in quanto unico sistema politico conforme alla
dignità delle personel poiché non le riduce a oggetti nelle mani altrui
● In
terzo luogo, l'impegno per una politica a favore delle classi più deboli e
contro le ingiustizie sociali, da cui deriva la concezione dello Stato
interventista, autore delle riforme sociali necessarie (attraverso gli
interventi nell'economia, la programmaziona, la sicurezza sociale, la politica
per la piena occupazione e la tutela dei lavoratori ecc.
● Infine,
la subordinazione dei diritti economici (la priprietà, l'iniziativa economica)
agli interessi di tutta la collettività. Tali diritti furono ancora
riconosciuti ma v ennero, per così dire, "affievoliti" di fronte
all'interesse generale.
● Da
ultimo, lo Stato che governa i processi economici e limita e indirizza i diritti
economici dei privati (la proprietà e l'iniziativa economica), quei diritti che
il secolo prEcedente aveva proclamato inviolabili e la nostra Costituzione
vuole invece che siano subordinati agli interessi generali. Tutto ciò si
esprime in una formula di sintesi: lo "Stato interventista".
Gli anni dal 1945 al 1960 hanno
visto la definitiva accettazione del principio di democrazia politica; quelli
successivi con le enticliche "Mater et magistra" e "Populorum
progressio" la ripresa dell'originario pensiero sociale cattolico.
IL SOCIALISMO UTOPISTICO
La critica all'economia
capitalista si espresse, nella prima metà dell'Ottocento ad opera di un gruppo
di pensatori dalle idee molto differenti, chiamati "socialisti
utopisti" per distinguerli dai cosiddetti "socialisti
scientifici" seguaci di Marx.
Tratto comune ai suoi
principali esponenti, che definiamo anche "socialisti
associazionisti", è la considerazione del capitalismo come un sistema
economico (sociale e politico) profondamente ingiusto, caratterizzato dalla
povertà diffusa e dalla disuguaglianza. Negli scritti degli associazionisti è
sempre avvertibile un senso di ribellione alle iniquità manifeste della loro epoca,
che peraltro non riesce a proporre soluzioni pratiche convincenti (da qui il
nome di "utopisti").
Claude-Henri de Rouvroy, conte
di Saint-Simon (1760-1825) ha una particolare visione del socialismo da
attuarsi non attraverso la demolizione del sistema capitalistico, ma, al
contrario, perfezionando sempre più l'organizzazione sorta dalla rivoluzione
industriale.
Gli "industriali",
cioè tutti i ceti produttivi (lavoratori dipendenti, tecnici, imprenditori,
scienziati) avrebbero dovuto operare in sinergia e concordia per l'edificazione
di una società più sviluppata ma anche più giusta.
Questa società doveva basarsi
su una nuova morale e su una nuova religione, simile a quella cristiana, che
predicasse e mantenesse la solidarietà tra le classi, di cui Saint-Simon
scrisse il catechismo.
❍ FOURIER.
Charles Fourier (1772-1837),
filosofo, ritiene che l'uomo sia fondamentalmente buono, ma venga contaminato e
corrotto dalla società "artificiale". La società esistente,
innaturale e dominata dal disordine, deve pertanto essere modificata. Fourier
creò delle "comuni" di diverse centinaia di persone chiamate "Falansteri"
che riunivano molte famiglie che allevavano i figli in comune e producendo
tutto quanto era necessario alla propria sussistenza. Questi esperimenti ebbero
però vita breve ed esito insoddisfacente.
❍ OWENS.
Robert Owens (1771-1858) era un
abile imprenditore che cercò di dare alle sue fabbriche la veste di cooperativa
tra operai, prima nella cittadina scozzese di New Lanark e poi negli Stati Uniti.
Egli, a differenza degli altri imprenditori, interessati solo al profitto, non
permise mei l'impiego di bambini al disotto dei dieci anni, limitò l'orario di
lavoro a dieci ore e mezzo, aprì scuole serali per ragazzi-lavoratori, istituì
asili d'infanzia e così via. L'esperimento tuttavia non ebbe fortuna, e
Owens fu costretto a chiudere
le fabbriche.
IL PENSIERO ECONOMICO MARXISTA. LA DOTTRINA DEL
VALORE-LAVORO PRESSO GLI ECONOMISTI CLASSICI.
Plusvalore =
Ricavi-Costi-Profitto normale = Extraprofitto
L'insieme dei salari più il
profitto normale rappresenta solo una parte del valore delle merci. La differenza
viene chiamata plusvalore, che spetterebbe ai lavoratori, ma di cui si
appropriano gli imprenditori come "extraprofitto". E' giusto che
l'imprenditore si appropri del profitto normale
❍ IL PROFITTO NORMALE E
L'EXTRAPROFITTO.
Cos'è il "profitto
normale"?
E' il compenso che spetta
all'imprenditore per i fattori produttivi di sua proprietà che egli impiega
nell'impresa: infatti, impiegandoli nell'impresa egli subisce una perdita pari
a quanto avrebbe potuto guadagnare cedendone l'uso ad altre imprese.
L'imprenditore ha perciò
diritto:
● Alla
retribuzione del proprio lavoro (che potrebbe prestare alla dipendenza di
altri, percependo un compenso)
● Ad
un interesse per i beni di sua proprietà e i suoi capitali investiti
nell'impresa pari a quello che avrebbe se li desse a prestito ad altri
● Una
somma pari al canone di affitto che otterrebbe affittando l'edificio o il
terreno utilizzati nell'impresa, se questi sono di sua proprietà
● Nel
profitto normale è compreso anche un compenso per il rischio: nessuno
accetterebbe di rischiare i propri fattori produttivi (lavoro, capitali propri
ecc.) in una attività produttiva se potesse ricavare esattamente LO STESSO
guadagno cedendoli senza rischi ad altri (impiegandosi come dirigente presso
imprese altrui, dando in affitto i propri capitali ecc.).
Il profitto normale deve quindi
essere lievemente maggiore di quanto si guadagnerebbe cedendo ad altri i propri
fattori, per compensare i maggiori rischi dell'attività produttiva svolta in
proprio.
Il profitto normale è un
segnale molto importante per l'imprenditore: se egli si rende conto che il suo
profitto è inferiore al profitto normale egli chiude l'impresa: gli conviene
infatti dare in affitto i fattori che impiegava nell'impresa e cedere il suo
lavoro alle altre imprese, perché guadagnerebbe di più
Tutto il guadagno
dell'imprenditore oltre il profitto normale costituisce
l'"extraprofitto" o "surplus" (come lo chiama Marx).
In sintesi abbiamo il seguente
schema:
Ricavi delle vendite - Salari -
Rendite - Interessi = Profitto normale + Extraprofitto.
❍ LA TEORIA DEL VALORE DI ADAM
SMITH.
Gli economisti classici
(compreso Marx) si occuparono per primi del "problema del valore":
che cosa determina il valore di ogni bene? Chi o che cosa stabilisce quale
debba essere il prezzo di un prodotto? In che rapporto ciascun bene si scambia
con ciascun altro e che relazione esiste fra esso e il valore che vi assegna
ogni altro individuo?
Adam Smith (1723-1790)
distingue tre concetti: a) valore d'uso; b) valore di scambio; c) valore-lavoro
contenuto; d) valore-lavoro comandato.
Il valore d'uso dipende
dall'utilità del bene: tanto più alta è l'utilità, tanto più alto il valore
d'uso che un soggetto attribuisce ad un bene.
Il valore di scambio di un bene
è determinato invece dalla quantità di altri beni che si scambia con il bene
considerato.
In sostanza, il valore di
scambio è quel che gli economisti chiamano "prezzo relativo". Col
termine "prezzo relativo" si indica il prezzo di un bene in termini
di un altro bene, mentre con il termine "prezzo assoluto" si intende
il prezzo in moneta di un bene. Così, se il pane costa ha un prezzo assoluto di
£ 2000 al kg e la frutta ha un prezzo assoluto di £ 4000 al kg, diremo che il
prezzo relativo della frutta rispetto al pane è 2, mentre il prezzo relativo
del pane rispetto alla frutta è 1/2.
Il valore di scambio, a
differenza del valore d'uso, non è determinato dall'utilità del bene, ma dal
mercato su cui il bene si vende e nel quale si forma il prezzo del bene: tanto
più alto è il prezzo del bene in rapporto al prezzo degli altri beni, tanto più
grande è il valore di scambio.
Valore d'uso e valore di
scambio possono non coincidere. Esempi molto chiari sono quelli dell'acqua e
dei diamanti.
L'acqua ha un altissimo valore
d'uso, in quanto è indispensabile alla vita, ma ha un bassissimo valore di
scambio, in quanto viene ceduta ad un prezzo irrisorio.
I diamanti hanno un bassissimo
valore d'uso (essendo un bene voluttuario, a a cui si può facilmente rinunciare),
ma un altissimo valore di scambio, in quanto il loro prezzo è estremamente
elevato.
Ogni bene incorpora un
valore-lavoro corrispondente al numero di ore lavoro che sono state necessarie
per produrlo. Tale valore-lavoro viene chiamato "valore-lavoro contenuto".
Ad esempio, un paio di scarpe
incorpora: a) la quantità di lavoro che è stata necessaria all'allevatore per
allevare l'animale, macellarlo e conciarne la pelle; b) la quantità di lavoro
che è stata necessaria per fabbricare il martello e gli attrezzi del calzolaio;
c) la quantità di lavoro che è stata necessaria al calzolaio per produrre le
scarpe.
Come si vede, anche i beni
strumentali durevoli (attrezzi) e non durevoli (cuoio) utilizzati hanno un
valore lavoro: una parte del loro valore lavoro (corrispondente al logorio che
subiscono nel produrre il bene) è incorporata nel bene insieme al lavoro di
colui che lo produce.
Il "valore-lavoro
comandato" è invece il valore-lavoro della quantità di beni che si può
scambiare col bene considerato. Ad esempio, un paio di scarpe si scambia con
dieci panni di lana, il cui valore-lavoro contenuto è di 20 ore: il
valore-lavoro comandato delle scarpe è di 20 ore.
Non necessariamente
valore-lavoro contenuto e valore-lavoro comandato coincidono. E' possibile che
per produrre un paio di scarpe necessitino 10 ore lavoro e che le si possa
scambiare con panni di lana del valore di 20 ore lavoro.
E' ovvio che il valore di
scambio di un bene dipende direttamente dal valore-lavoro comandato e non dal
valore-lavoro contenuto.
Tuttavia, Smith pensa che
valore-lavoro contenuto e valore-lavoro comandato tendano a coincidere. Quindi,
in ultima analisi, il valore di scambio di un bene dipende dal valore-lavoro
contenuto.
Perché il valore-lavoro
contenuto e il valore-lavoro comandato tendono a coincidere?
Consideriamo ancora l'esempio
delle scarpe (valore-lavoro contenuto = 10) che si scambia con la lana
(valore-lavoro contenuto = 20): ben presto i produttori di lana si accorgeranno
che invece di impiegare 20 ore per produrre lana, possono impiegare 10 ore per
produrre scarpe e poi scambiarle con 20 ore di lana. Si avrà così uno
spostamento di fattori produttivi dalla produzione della lana alla produzione
delle scarpe. La produzione di lana aumenterà, mentre quella di scarpe diminuirà.
L'offerta di scarpe diverrà abbondante e il loro prezzo scenderà, mentre
l'offerta di lana diventerà scarsa, e il suo prezzo salirà. Questo farà sì che
un paio di scarpe si scambi con meno lana, e il processo proseguirà fino a
quando un paio di scarpe si scambierà esattamente con un numero di ore
equivalenti in termini di lana.
Ma, secondo Smith, la teoria
secondo cui valore-lavoro contenuto e valore-lavoro comandato coincidono non è
più vera in una economia capitalistica.
Infatti, in una economia capitalistica,
❍ LA TEORIA DEL VALORE DI RICARDO.
Possiamo usare i prezzi per
determinare il valore-lavoro o dobbiamo usare i salari?
Se il bene A costa £ 1000
mentre il bene B costa £ 2000, ma i salari pagati per la produzione di A sono
di £ 800, mentre i salari pagati per la produzione del bene B sono di £ 400,
diremo che il valore-lavoro di A è doppio di quello di B
(guardando i salari) o che il
valore-lavoro di B è doppio di quello di A (guardando i prezzi)?
Che rapporto c'è in una
economia capitalistica tra prezzi, valore-lavoro dei beni e salario pagato ai
lavoratori?
Ricardo, pur accettando la
teoria di Smith, chiarì il rapporto tra prezzo, valore-lavoro e salari, che
Smith non era riuscito a spiegare del tutto.
Ricardo chiarì un punto molto
importante: che il salario del lavoratore non è una misura del valore-lavoro
contenuto, e quindi del valore di scambio del bene: la misura più esatta del
valore-lavoro di un bene è data dal suo prezzo in rapporto ai prezzi degli
altri beni.
Se per produrre una unità di
bene A paghiamo ai lavoratori £ 1.000 (pari ad un'ora di lavoro), mentre per
produrre una unità del bene B paghiamo ai lavoratori £ 2.000 (pari a due ore di
lavoro), non possiamo concludere che il valore-lavoro del bene
B sia doppio di quello del bene
A.
Può capitare ad esempio che il
bene A sia prodotto usando semilavorati (beni strumentali non durevoli) in
quantità tripla di quella necessaria per produrre il bene B.
Supponiamo che i prezzi dei
beni strumentali rispecchino la quantità di ore lavoro contenute in tali beni.
Se il prezzo dei semilavorati usati per produrre il bene A è di £ 3000, mentre
il prezzo dei semilavorati usati per produrre il bene B è di £
1000 avremo che:
Valore-lavoro bene A =
1000/1000 + 3000/1000 = 4 ore-lavoro
Valore-lavoro bene B =
2000/1000 + 1000/1000 = 3 ore-lavoro
Come si vede, il prezzo di A (£
4.000) rispetto a B (£ 3.000) rispecchia il valore-lavoro dei beni, mentre il
salario pagato per produrre A (£ 1.000) rispetto al salario pagato per produrre
B (£ 2.000) non rispecchia il valore-lavoro dei beni.
Perciò Ricardo concluse che
mentre i prezzi (relativi) di mercato rispecchiano la proporzione di
valore-lavoro contenuta nei vari beni, i salari pagati non rispecchiano tale
proporzione.
Ma c'è anche un'altra ragione
per cui il salario dei lavoratori non rispecchia il valore-lavoro dei beni.
In realtà, i lavoratori debbono
cedere una parte del valore-lavoro che essi hanno contribuito ad incorporare nel
bene agli imprenditori.
Questa parte di valore-lavoro
viene poi spartita tra gli imprenditori (come "profitto") e i
proprietari delle risorse naturali (ad es. i proprietari dei terreni o delle
miniere o dei capannoni industriali utilizzati dagli imprenditori) (come
“rendita").
Riprendiamo l'esempio
precedente modificandone i dati:
● Bene
A
Prezzo del bene A: £ 4.000
Prezzo dei semilavorati: £
3.000
Salario dei lavoratori: £ 600
Profitto dell'imprenditore: £
200
Rendita del proprietario di
risorse naturali: £ 200
Ore lavoro incorporate nei
semilavorati impiegati: 3
Ore lavoro impiegate per
produrre il bene: 1
● Bene
B
Prezzo del bene B: £ 3.000
Prezzo dei semilavorati: £
1.000
Salario dei lavoratori: £ 1.800
Profitto dell'imprenditore: £
100
Rendita del proprietario di
risorse naturali: £ 100
Ore lavoro incorporate nei
semilavorati impiegati: 1
Ore lavoro impiegate per
produrre il bene: 2
In questo caso, il rapporto tra
i salari pagati per il bene A (£ 600) e i salari pagati per il bene B (£ 1800)
suggerisce addirittura che il valore-lavoro del bene A sia un terzo di quello
del bene B (rapporto 3 a 1), mentre invece sappiamo, guardando i prezzi, che il
rapporto tra valori-lavoro è di 4 a 3.
Concludendo, è molto importante
tenere a mente che per Ricardo i prezzi tendono a rispecchiare il valore-lavoro
dei beni.
Consideriamo il seguente
esempio:
● Bene
C
Ore-lavoro incorporate nei
semilavorati: 1
Ore-lavoro dei lavoratori: 1
Ore-lavoro complessive
incorporate dal bene C: 2
Prezzo: £ 1.000
● Bene
D
Ore-lavoro incorporate nei
semilavorati: 2
Ore-lavoro dei lavoratori: 2
Ore-lavoro complessive
incorporate dal bene D: 4
Prezzo: £ 1.000
In questa situazione, gli
imprenditori sono probabilmente invogliati ad abbandonare la produzione di D in
favore della produzione di C.
Infatti, producendo C
riuscirebbero a trattenere per sé una quota maggiore di profitto, in quanto
debbono pagare solo 1 ora lavoro e 1 ora di semilavorati.
Questo provocherebbe un aumento
della produzione di C e una diminuzione della produzione di D.
Il bene C diverrebbe più
abbondante e il suo prezzo diminuirebbe. Il bene D diverrebbe più scarso e il
suo prezzo aumenterebbe.
❍ LA TEORIA DI MARX DEL PLUSVALORE
.
Secondo Marx l'extraprofitto
degli imprenditori è un furto a danno dei lavoratori, perché non è giustificato
dal lavoro svolto dall'imprenditore o dal rischio che egli corre: infatti,
questi sono già compensati dal profitto normale, mentre l'extraprofitto o
surplus spetterebbe ai lavoratori.
Sulla base delle idee di Marx,
si possono fare due ragionamenti distinti per mostrare che i lavoratori vengono
privati di una parte di quanto loro dovuto a vantaggio degli imprenditori.
Primo ragionamento per
dimostrare l'ingiustizia della appropriazione del plusvalore da parte degli
imprenditori.
Se consideriamo il valore di un
prodotto, possiamo considerarlo composto dei seguenti elementi:
● Il
capitale costante
E' rappresentato dalle spese
per i fattori diversi dal lavoro: dai macchinari alle materie prime, alle spese
di impianto, amministrative e così via.
● Il
capitale variabile
E' rappresentato dai salari
pagati ai lavoratori
● Il
plusvalore
Rappresenta un furto ai danni
dei lavoratori, col pretesto che gli imprenditori hanno diritto ad un profitto.
Ma Marx nota che il profitto
degli imprenditori è già compreso nel capitale costante.
Pertanto il plusvalore
spetterebbe ai lavoratori.
Secondo ragionamento per
dimostrare l'ingiustizia dell'appropriazione del plusvalore ad opera degli
imprenditori.
In un processo produttivo,
secondo Marx, vanno compensati in modo eguale tutti i fattori produttivi che vi
hanno partecipato.
Dovranno pertanto essere
pagati:
● Una
rendita ai proprietari dei fattori naturali
● Un
interesse ai proprietari dei capitali
● Un
salario ai lavoratori
● Un
profitto agli imprenditori
Normalmente i proprietari dei
fattori naturali e dei capitali riescono a farsi compensare adeguatamente.
Anzi, secondo Marx e gli economisti classici, come abbiamo visto, i proprietari
dei fattori naturali riescono spesso ad ottenere più del dovuto.
Questi compensi aggiuntivi che
essi si procurano approfittando della scarsità dei loro fattori sono chiamati
"rendite di posizione" (Marx li chiama "rendite
parassitarie").
Gli imprenditori non possono
pertanto arricchirsi a danno dei capitalisti o dei proprietari delle risorse
naturali.
Gli unici soggetti sfruttabili
dagli imprenditori sono i lavoratori, che non si vedono riconosciuto un
adeguato compenso per la partecipazione alla attività produttiva.
Un lavoratore può essere
retribuito in base a due criteri molto diversi l'uno dall'altro:
● In
base al valore dei beni che ha prodotto
● In
base al prezzo che il mercato assegna alle sue ore-lavoro
In base al primo criterio (che
secondo Marx è l'unico giusto) l'imprenditore non dovrebbe trattenere che il
compenso per i propri fattori (profitto normale) e lasciare l'extraprofitto o
surplus ai lavoratori.
In base al secondo criterio il
lavoratore non viene trattato come un soggetto che ha gli stessi diritti degli
altri proprietari di fattori, ma come una merce molto abbondante e perciò poco
pagata, e l'imprenditore si appropria di quella parte del valore dei beni prodotti
che spetterebbe ai lavoratori oltre al salario di pura sussistenza.
La prova di questo, secondo
Marx, è la seguente: se sommiamo il valore di tutti i beni prodotti in un
sistema e lo confrontiamo con il complesso dei salari pagati ai lavoratori (il
cosiddetto "monte-salari"), scopriamo che con il monte-salari i
lavoratori non sono in grado di acquistare tutti i beni che hanno prodotto.
Per fare un esempio in cifre,
Marx scoprì che, in un sistema che produce beni per un valore complessivo di £
100, i compensi dei lavoratori ammontano normalmente a 50.
Come fa Marx a sostenere che
tutto il valore dei beni deve andare ai lavoratori? Si potrebbe obiettare che i
lavoratori non possono ricevere 100 perché una parte del valore del prodotto
deve compensare i capitalisti e i proprietari di risorse naturali.
Ma secondo Marx, i proprietari
di risorse naturali non svolgono materialmente alcun lavoro, e perciò non hanno
diritto ad alcun compenso: le risorse naturali dovrebbero appartenere alla
collettività, e in tal modo sparirebbe la rendita.
Per quanto riguarda i
capitalisti, secondo Marx i loro capitali provengono in gran parte dallo
sfruttamento dei lavoratori, oppure sono stati EREDITATI. Marx ritiene che non
esiste una ragione logica per cui i parenti del capitalista abbiano diritto ai
suoi capitali piuttosto che qualsiasi altro lavoratore. Anche tali risorse
dovrebbero quindi essere considerate guadagnate da tutta la collettività, e in
tal modo sparirebbe l'interesse.
Si potrebbe obiettare che ogni
imprenditore deve pagare i beni strumentali durevoli e non durevoli necessari
per la produzione. Ma se guardiamo il sistema economico nel suo complesso,
QUALSIASI bene risulta prodotto da lavoratori, quindi, se guardiamo al valore
di TUTTA la produzione di un paese, questo deve coincidere con i salari, mentre
in realtà ciò non avviene.
E il profitto normale
dell'imprenditore? Privato di capitali e di fattori naturali, l'imprenditore
parteciperebbe al processo produttivo unicamente col proprio lavoro, e quindi
viene considerato da Marx come un comune lavoratore, che ha diritto ad un
SALARIO in tutto simile a
quello degli altri lavoratori.
❍ LA CADUTA DEL SAGGIO DI
PROFITTO.
Nel valore del bene è
contenuto: a) il lavoro che è servito per fabbricare i macchinari impiegati; b)
il lavoro che viene pagato ai lavoratori; c) il plusvalore
L'imprenditore sostituisce
continuamente il lavoro umano con le macchine.
Giungerà alla fine ad una
situazione in cui governerà una fabbrica composta di sole macchine.
Ma non si può sfruttare una
fabbrica di pure macchine. In quel momento l'imprenditore guadagnerà solo il
profitto normale, senza extraprofitto, e quindi non avrà più interesse ad
investire in nuove attività produttive, preferendo impiegarsi presso altri
imprenditori (avrebbe infatti uno stipendio sicuro e meno rischi).
Ma in tal modo Marx dimostra
che l'avidità degli imprenditori condurrà il sistema economico all'arresto
dello sviluppo. Se invece le fabbriche fossero date in gestione e in proprietà
ai lavoratori o allo Stato, l'impulso a creare nuove imprese non si
arresterebbe, e il sistema economico si svilupperebbe senza interruzioni.
Esponiamo il ragionamento con
l'aiuto dei numeri e di semplici concetti economici.
Come abbiamo visto, si ha:
Valore della merce = Capitale
costante (C) + Capitale variabile (V) + Plusvalore (S) in simboli scriveremo:
Valore della merce = C + V + S
Definiamo "saggio di
profitto" SP il rapporto:
Il saggio di profitto è un
importante incentivo per l'imprenditore: più è alto il saggio di profitto,
maggiore è la percentuale di ciò che egli incassa come valore della merce che
va nelle sue tasche.
Il saggio di profitto equivale
matematicamente a:
Il valore è detto da Marx "saggio del
plusvalore" e rappresenta la
percentuale dei salari che gli
imprenditori riescono a "rubare" ai lavoratori.
Il valore è detto da Marx
"composizione organica del capitale"
ed è tanto più alto quanto
maggiori sono i compensi che l'imprenditore deve pagare per risorse naturali,
macchinari e altri fattori diversi dal lavoro.
Osservando la frazione che
esprime il valore del saggio di profitto, Marx si accorse che, con l'aumento
dell'impiego dei macchinari, sarebbe aumentato il rapporto C/V e ciò avrebbe
fatto diminuire il saggio di profitto SP:
Mano a mano che il saggio di
profitto diviene più basso, gli imprenditori sono sempre meno invogliati a
intraprendere nuove iniziative, e alla fine la produzione finirà per
ristagnare, e il sistema capitalistico si bloccherà.
❍ LA CRISI DEL CAPITALISMO SECONDO
MARX.
Abbiamo già visto che, a causa
della caduta del saggio di profitto, la produzione del sistema economico prima
o poi smetterà di crescere e in tal modo non potrà più far fronte all'aumento
della popolazione, che diverrà sempre più povera.
La differenza tra la ricchezza
dei capitalisti, che si accresce ad ogni ripetersi del processo produttivo,
grazie alla sottrazione del plusvalore a danno dei lavoratori, diverrà alla
fine talmente intollerabile da scatenare la rivoluzione.
Si verificherà un impoverimento
della stessa classe capitalistica. A poco a poco le imprese più forti e gli
eventi imprevedibili del mercato capitalistico (dove basta un mutamento dei
gusti dei consumatori per mandare in rovina interi settori produttivi)
elimineranno le imprese concorrenti.
La maggior parte dell'attuale
ceto imprenditoriale sarà perciò ridotta alla miseria, e si avrà quindi un
piccolissimo numero di soggetti ricchi a fronte della quasi totalità che vive
nella povertà. Non si potrà più illudere i lavoratori mostrando loro che è
possibile per tutti fare fortuna intraprendendo una attività imprenditoriale.
Questo innescherà la rivoluzione.
IL PENSIERO DI HEGEL
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
(Stuttgart 1770 - Berlino 1831) seguì in gioventù i corsi di filosofia e
teologia dell'Università di Tubinga. Fece poi il precettore in case private, il
pubblico funzionario e infine, nel 1805, divenne professore universitario,
prima a Jena e poi a Berlino, dove morì.
Hegel esponeva i suoi concetti
in modo così oscuro e involuto che non manca chi ha parlato di una malattia
nervosa.
Ecco un esempio del modo di
scrivere di Hegel (da non seguire nel tema di italiano...): "Il suono è
l'alternarsi del frazionamento specifico delle parti materiali; e della negazione
di quel frazionamento; - idealità soltanto astratta o, per così dire, soltanto
ideale, di tale specificità. Ma questo alternarsi è esso stesso immediatamente
la negazione della sussistenza materiale e specifica; e la negazione è quindi
l'idealità reale del peso specifico e della coesione: - il calore. Il
riscaldarsi dei corpi sonanti, come diquelli percossi, ed anche di quelli
soffregati l'un sull'altro, è il fenomeno del calore, che, in conformità del
concetto, nasce col suono".
Secondo il famoso filosofo Karl
Raimund Popper, a quanto pare Hegel voleva pressappoco dire che i fischietti
che emettono suono, al pari di altri strumenti musicali, si scaldano.
❍ HEGEL E' UN FILOSOFO IDEALISTA.
Tutto è spirito, e non esiste
la materia (idealismo).
❍ CIO' CHE E' REALE E RAZIONALE E CIO' CHE E' RAZIONALE E'
REALE.
Nulla si può capire a fondo se
non lo si guarda come parte di un tutto: il sistema ecologico, il sistema
economico, il sistema sociale, il corpo umano ecc.
Un'idea vale solo se viene
realizzata nella vita sociale. Per verificare e dimostrare la validità delle
proprie idee non c'è che un mezzo: metterle in pratica.
Altrimenti idee come libertà,
diritti dell'uomo, democrazia rimangono teoriche e superficiali. Solo un'idea
messa in pratica si mostrerà come realmente deve essere.
Un'idea è valida solo se viene
realizzata e nella forma in cui ci riesce di realizzarla. Infatti la storia, la
realtà rifiutano le idee impossibili o inutili e lasciano sopravvivere solo le
idee che costituiscono un avanzamento e un progresso.
Ad esempio, cercando di mettere
in pratica l'idea di assistenza ai bisognosi ci si troverà di fronte a problemi
che non avevamo mai sospettato e ci si chiarirà meglio le prospettive.
Hegel chiama "anima
bella" una persona che si culla di puri ideali e rifiuta di impegnarsi a
realizzarli in pratica per non "scendere a compromessi".
Cristo, secondo lui, era
un'"anima bella" che preferì il supplizio e la morte all'invito
fattogli dai discepoli di creare un movimento politico.
Da qui Marx trae l'idea che
l'unica filosofia valida è quella realizzata, anche a costo di una rivoluzione
sociale.
❍ L'IDEA DI HEGEL (DETTA ANCHE IDEA ASSOLUTA, ASSOLUTO,
SPIRITO, SPIRITO DEL MONDO, ECC.).
Idea o spirito: le persone
condividono un patrimonio di idee, atteggiamenti, di modi di entrare in
rapporto con gli altri, di arte e letteratura, di tecniche, un linguaggio, una
religione, idee sulla natura, che determinano al 90% i loro pensieri e modi di
comportarsi.
La personalità dell'uomo è un
prodotto sociale, non individuale.
Per Hegel lo spirito aveva
raggiunto il suo massimo sviluppo con lo stato prussiano dell'inizio
dell'ottocento con la filosofia di Hegel.
E' molto difficile in realtà
definire bene l'"Assoluto" o "Idea" di Hegel. Talvolta egli
ne parla come di una sorta di divinità o provvidenza, talaltra come uno stadio
di sviluppo dello spirito umano o della società.
L'Idea, ci dice Hegel, è tutte
queste cose nello stesso tempo: Il Bello; Cognizione e Attività pratica;
Comprensione; Il Sommo Bene; e l'Universo Scientificamente contemplato. E per
chiarire questo concetto, egli usa espressioni ancora più oscure: “L'idea
assoluta. L'idea, come unità dell'Idea Soggettiva e dell'Idea Oggettiva, è la
nozione dell'Idea , un oggetto che accoglie nella sua unità tutte le
caratteristiche".
Essa, da un certo punto di
vista, è qualcosa di simile al Dio di Aristotele. E' pensiero che pensa se
stesso. E' chiaro che l'Assoluto non può pensare ad altro che a se stesso,
poiché non esiste altro, tranne che per i nostri imperfetti ed erronei mezzi di
conoscere la Realtà. Lo Spirito è l'unica realtà, e il suo pensiero è riflesso
in se stesso attraverso l'auto-coscienza.
Collegato con l'idea di
"Assoluto" è la oscura e difficile teoria di Hegel secondo cui in
realtà le singole cose e individui non avrebbero esistenza se non agli occhi di
una coscienza poco sviluppata come quella dell'uomo comune, mentre chi
riuscisse a pensare l'Idea Assoluta (ma solo l'Idea Assoluta riesce a pensare
se stessa) vedrebbe solo un'unica cosa composta di innumerevoli relazioni tra
le sue parti. Hegel è convinto che da questa altezza cose come il tempo, lo
spazio, la materia, la differenza tra me e il mondo esterno sparirebbero, e si
capirebbe la vera natura dell'universo.
Per arrivare a questa
conclusione Hegel parte dalla constatazione che le parole che descrivono gli oggetti
del mondo, come "Giacomo", "Giovanni", "casa",
"cane" ecc. indicano cose che non possono in realtà essere comprese
in pieno se non si osservano le loro relazioni con il tutto. Se
"Giovanni" è marito di Maria egli non può essere descritto senza
descrivere i suoi rapporti con Maria; se "Giovanni" è un italiano,
egli non può essere descritto senza descrivere i suoi rapporti con l'Italia; se
“Giovanni" è un mammifero egli non può essere descritto senza descrivere i
rapporti del suo corpo con l'ambiente fisico in cui vive; se
"Giovanni" è cattolico egli non può essere descritto senza descrivere
i suoi rapporti con la Chiesa Cattolica. Il suo punto di vista è che il
carattere di ogni parte dell'universo sia tanto profondamente influenzato dalle
sue relazioni con le altre parti e con il tutto, che nessuna vera affermazione
possa esser compiuta a proposito di ciascuna di queste parti, fatta eccezione
per l'assegnazione del posto che le compete nel tutto.
Già nel 1600 il filosofo
tedesco Leibniz (1646-1716) si era chiesto: "ma se cambiasse una vicenda
qualsiasi della vita di Giovanni, se egli sposasse Carolina invece che Maria,
egli sarebbe ancora lo stesso 'Giovanni'?" e aveva risposto: "no, non
sarebbe la stessa sostanza, lo stesso 'Giovanni'". Hegel trae da ciò la
conseguenza che le persone e le cose con cui Giovanni viene in contatto,
contribuiscono a far sì che le vicende della sua vita siano in un certo modo
anziché in un altro, e pertanto entrano nella definizione di Giovanni: Giovanni
sarà definito come colui che ha incontrato le tali persone, usato o guardato le
tali cose... ecc. ecc.
Sia per Leibniz che per Hegel,
solo una mente onnisciente è in grado di contemplare una parte in tutti i suoi
rapporti con il tutto, e in effetti finirebbe per contemplare non tanto la
parte, ma il tutto. In qualche modo misterioso, la parte dovrebbe apparirgli
come una manifestazione del tutto. Ad una tale mente il tempo apparirebbe non
esistente, perché non è altro che una relazione tra parti del tutto: ma il
tutto, essendo il tutto, non viene né prima né dopo di alcunché. Anche lo
spazio, per lo stesso motivo, non esiste. Né esiste la contrapposizione tra
soggetto e oggetto o la materia.
La prova del fatto che cose,
tempo, spazio, materia sono solo illusioni della coscienza dell'uomo comune è
fornita dal fatto che tutte le filosofie che si sono date a ragionare su queste
cose (cioè TUTTE le filosofie prima di Hegel) sono incappate in contraddizioni
e difficoltà logiche.
La prova che si è riusciti
finalmente a capire il tutto sarà data dal fatto che tutte le opposizioni della
vecchia filosofia (finito/infinito, soggetto/oggetto, sensibilità/ragione,
singolo/universo) in quel momento spariranno.
❍ L'EVOLUZIONE DIALETTICA. IL PROGRESSO STORICO.
Lo Spirito, questo patrimonio
comune di idee e modi di essere, che oggi chiameremmo piuttosto
"cultura" o "coscienza umana" o "pensiero umano",
si evolve continuamente, e con tale evoluzione cambia il modo di essere delle
persone, delle loro idee e delle istituzioni sociali.
Per le cose non c'è una essenza
determinata una volta per tutte. Non possiamo parlare, come fanno Platone e
Aristotele e Kant delle essenze immutabili di "uomo", di
"cavallo", di "giustizia" ecc.
La evoluzione è intesa da Hegel
non solo come evoluzione delle idee filosofiche, religiose, scientifiche e
morali, ma anche come evoluzione della società (rapporto tra uomo e uomo), del
rapporto tra uomo e natura, del modo di lavorare e produrre.
Il filosofo Immanuel Kant (1724-1804)
credeva ad una natura umana unica e immutabile, fondamento della nostra
intuizione e dei nostri concetti a priori. Hegel si disse che, una volta che si
aderisca al punto di vista che siamo noi a creare i concetti con cui diamo
forma alla realtà, i concetti evolvono, e con essi la cognizione della realtà.
L'evoluzione dello Spirito si
incarna e manifesta, per Hegel, nella evoluzione della storia e della coscienza
occidentale. Infatti, l'evoluzione dell'Idea è presentata da Hegel ora come
evoluzione della società umana, ora come evoluzione di un misterioso soggetto
chiamato spirito. Hegel disse che lo spirito ritorna a se stesso, diventa cioè
consapevole di sé in tre gradini... Prima lo spirito diventa consapevole di sé
nell'individuo: Hegel la chiama lo 'spirito soggettivo'. Lo spirito raggiunge
poi una maggiore consapevolezza nella famiglia, nella società e nello Stato, in
quello che Hegel definisce lo 'spirito oggettivo' perché emerge nell'intesa tra
uomini... Lo spirito raggiunge la forma più alta di autoconsapevolezza nello
'spirito assoluto' che è
rappresentato dall'arte, dalla religione e dalla filosofia. Di queste tre, la
filosofia è la forma più alta perché in essa lo spirito riflette sulla propria
attività nellastoria. Soltanto nella filosofia lo spirito incontra se stesso:
possiamo quindi dire che essa sia lo specchio dello spirito del mondo.
L'evoluzione dello spirito è
una evoluzione positiva: un progresso religioso, politico, morale, sociale,
economico, scientifico che conduce lo spirito umano verso una sempre maggiore
perfezione e autocoscienza.
Il mondo e la coscienza umana,
spinti dallo spirito, come da una specie di provvidenza, diventano sempre
migliori, e sempre più razionali: l'umanità si sta muovendo verso una
razionalità, una moralità e una libertà sempre maggiori.
L'evoluzione dello Spirito
culmina con la realizzazione dello stato prussiano dell'inizio dell'Ottocento e
con la filosofia di Hegel.
Per Hegel, infatti, la
religione (anche quella migliore, come la cristiana) è solo uno stadio
provvisorio che sarà superato dalla (sua) filosofia. Come abbiamo visto, Cristo
era un'"anima bella", i cui precetti rimasero allo stadio rarefatto
di ideali difficili da mettere in pratica.
L'evoluzione dello Spirito
procede attraverso tesi, antitesi, sintesi: ogni posizione estrema ed esagerata
(tesi) fa nascere per reazione la posizione opposta (antitesi) e grazie al loro
contrasto alla fine la coscienza umana raggiunge un punto di vista superiore
(sintesi) che mostra come sia la tesi che l'antitesi abbiano il loro contenuto
di verità.
Esempi di tesi, antitesi,
sintesi.
● La
donna
● tesi:
la donna è una maga e sacerdotessa (società preistoriche)
● antitesi:
la donna è un essere inferiore (società storiche)
● sintesi:
la donna è eguale all'uomo ma diversa sotto importanti aspetti
● L'individuo
e la famiglia
● tesi:
esistono solo i diritti dell'individuo
● antitesi:
esistono solo i diritti della famiglia
● sintesi:
lo stato riconosce sia i diritti dell'individuo che della famiglia
● La
democrazia rappresentativa
● tesi:
solo gli eroi debbono comandare
● antitesi:
solo il popolo deve comandare
● sintesi:
il potere va esercitato dai più capaci, ma essi sono scelti da tutto il popolo
● Il
welfare state
● tesi:
Assolutismo
● Ineguaglianza
tra gli uomini
● Controllo
da parte del sovrano
● Vincoli
feudali
● antitesi:
Liberalismo
● Eguaglianza
di fronte alla legge
● Diritti
di libertà individuale
● Nessuno
ha più obblighi verso nessuno. Molta povertà dell'Ottocento nasce da questo
● sintesi:
Welfare State
● Eguaglianza
di fronte alla legge
● Tutela
dei più deboli
● Controllo
dell'economia
● La
conoscenza umana
● Tesi:
noi abbiamo le idee innate. La nostra mente conosce già tutto. Quando ci pare
di scoprire qualcosa in realtà lo ricordiamo.
● Antitesi:
la mente è un foglio bianco. Le sensazioni entrando nella nostra mente si
organizzano per associazione a formare delle idee. Noi siamo completamente
passivi.
● Sintesi:
Riceviamo delle sensazioni dall'esterno, ma le rielaboriamoo mediante la nostra
mente.
La storia continua a superare
se stessa ed è indirizzata verso uno scopo. Nessuna posizione è stabile ma
viene superata da una posizione più avanzata. Non esistono verità eterne che la
religione e la scienza ci possono dire: la conoscenza umana muta e migliora di
generazione in generazione.
Quello che crediamo di scoprire
oggi è tutto ciò che abbiamo. Non possiamo rivolgerci ai libri di ieri o alle
idee di ieri per stabilire se siano o no nel giusto; dobbiamo credere alle
nostre idee di oggi; dobbiamo aver fiducia nel fatto che sono migliori di
quelle di ieri e non potremo mai sapere quanto siano sbagliate alla luce di
quelle di domani.
La vera essenza delle cose e
delle persone è mostrata dai fatti concreti, dalla storia. Tutto ciò che la
storia non ci mostra ancora non ha realtà, ma corrisponde ad una essenza non
sviluppata che può essere oggetto solo delle nostre fantasie.
Non possiamo parlare di
"giustizia ideale", di "società ideale", di "uomo
ideale" perché queste espressioni corrispondono in conclusione al
tentativo vago, confuso, contraddittorio, di prevedere ciò che la evoluzione
del mondo ci rivelerà solo alla fine. Solo ciò che è realizzato nella società
di oggi e che i fatti oggi sembrano mostrarci costituisce la vera realtà del
nostro spirito.
Per Hegel non esistono idee o
punti di riferimento al di fuori di ciò che scopriamo dalle nostre esperienze e
attività.
Pertanto la storia passata vive
ancora nel presente e contribuisce a far sì che siamo ciò che siamo e crediamo
ciò che crediamo.
La storia ha portato lo spirito
a certe idee che ritroviamo nella organizzazione della società e nella
coscienza degli uomini: le nostre opinioni ed idee dipendono pertanto dal
momento storico in cui ci troviamo.
Lo spirito crea sempre nuovi
adattamenti alla natura, sempre nuovi oggetti e strumenti di produzione, sempre
nuovi modi di venire in relazione l'uno con l'altro, sempre nuove forme di
organizzazione sociale, sempre nuove forme di organizzazione politica ecc.
Questo determina la visuale che
può avere o non avere l'uomo di una certa epoca, le verità di cui può rendersi
conto e le verità di cui non può rendersi conto (ad es. fino a quando Galileo
non inventò il cannocchiale noi non sapevamo la posizione della terra nello
spazio)
❍ LO STATALISMO HEGELIANO. IL RAPPORTO TRA L'UOMO E LA
SOCIETA'.
Per Hegel la monarchia è la
forma di governo in cui tutti sono liberi. Questo è in relazione allo
stranissimo modo in cui Hegel usa la parola 'libertà'. Per lui non c'è libertà
senza legge; ma egli tende ad invertire il concetto e a dimostrare che dovunque
ci sia legge c'è libertà. Così "libertà", per lui, significa poco più
che il diritto di obbedire alla legge.
Leggiamo nella 'Filosofia della
storia' che "lo stato è la vita morale realizzata e realmente
esistente" e che tutte le realtà spirituali possedute da un essere umano
si hanno solamente attraverso lo stato. "Perché la realtà spirituale
dell'uomo consiste in questo, che la sua propria essenza (la Ragione) gli è oggettivamente
presente, e che egli possiede un'esistenza oggettiva ed immediata... Infatti la
verità è l'unità della Volontà universale e soggettiva e l'universale si può
trovare nello Stato, nelle sue leggi, nei suoi universali e razionali
ordinamenti. Lo Stato è l'Idea Divina come esiste sulla terra".
Ancora: "Lo Stato è la
personificazione della libertà razionale, che si ralizza e si riconosce in
forma oggettiva... Lo Stato è l'Idea dello Spirito nella manifestazione
esteriore della Volontà umana e della sua Libertà"
L'individualismo dei romantici
incontrò la sua "negazione" nella filosofia di Hegel. Hegel diede
molta importanza a quelli che chiamò i 'poteri obiettivi', intendendo la
famiglia e lo stato. Non intendo sostenere che Hegel perse di vista il singolo
individuo. Tuttavia, per lui, l'individuo era una componente organica della
società. La 'ragione (o lo 'spirito') era qualcosa che diventava visibile
anzitutto nell'intesa tra esseri umani... Come un individuo nasce in una
lingua, così vien messo al mondo nell'ambito di certi presupposti storici, e
nessuno ha un rapporto 'libero' con essi. Chi non trova un posto nello stato è
un uomo 'a-storico'... Questo pensiero era importante anche per i grandi
filosofi di Atene. Come non è possibile pensare ad uno stato senza cittadini,
così non è possibile pensare i cittadini senza Stato... Secondo Hegel lo Stato
è qualcosa 'di più' del singolo cittadino, addirittura di più della somma di
tutti i cittadini. Per Hegel non è possibile 'ritirarsi dalla società'. Chi
scrolla le spalle davanti alla società in cui vive e vuole 'trovare se stesso'
è un buffone... Secondo Hegel non è l'individuo a trovare se stesso, ma è lo
'spirito'".
L'occhio è senza valore se
separato dal corpo; un insieme di 'disjecta membra', anche se completo, non ha
il valore che aveva una volta il corpo da cui furono prese. Hegel concepisce il
rapporto etico tra il cittadino e lo Stato analogamente a quello tra l'occhio
ed il corpo: al suo posto, il cittadino è parte di un insieme di valore, ma isolato
è altrettanto inutile quanto un occhio staccato. L'analogia, però, è passibile
di qualche obiezione; dalla importanza etica di alcuni interi non consegue
quella di tutti gli interi. Questa trattazione del problema etico è manchevole
in un punto importante; non tien conto cioè della distinzione tra fini e mezzi.
Un occhio in un corpo vivente è utile, cioè ha valore come mezzo; ma non ha
maggior valore intrinseco di quando è staccato dal corpo. Una cosa ha valore
intrinseco quando vale di per se stessa, non come mezzo per fare qualche altra
cosa".
Dato che per Hegel il dovere è
solamente una relazione tra l'individuo e il suo stato, non resta nessun
principio con cui moralizzare le relazioni tra gli stati. Questo Hegel lo
riconosce. Nei suoi rapporti con l'estero, egli dice, lo Stato è un individuo,
ed ogni Stato è indipendente di fronte agli altri. E prosegue recando argomenti
contro ogni tipo di Lega delle Nazioni da cui l'indipendenza dei singoli Stati
possa venir limitata. Il dovere del cittadino è circoscritto (per quel che
riguarda i rapporti internazionali del suo stato) a sostenere la sostanziale
individualità, indipendenza e sovranità del suo stato. Ne segue che la guerra
non è del tutto un male, o qualcosa che dobbiamo cercare di abolire.
Per Hegel lo spirito aveva
raggiunto il suo massimo sviluppo con lo stato prussiano dell'inizio
dell'ottocento con la filosofia di Hegel.
Con questo egli voleva tra
l'altro dire che solo come servitore dello stato l'individuo realizza
pienamente se stesso e conquista la razionalità, la moralità e la sapienza.
Il collettivismo radicale di
Hegel dipende tanto da Platone quanto da Federico Guglielmo III, re di Prussia
durante la vita di Hegel. La loro dottrina è che lo stato è tutto e l'individuo
nulla.; infatti quest'ultimo deve tutto allo stato, sia la sua esistenza fisica
che la sua esistenza spirituale.
Marx prenderà da Hegel l'idea
che è la collettività che plasma l'individuo e non viceversa, e che la vera e
piena vita dell'individuo si deve realizzare collaborando alla vita della
collettività.
IL PENSIERO DI FEUERBACH
Filosofo tedesco, 1804-1872
❍ MARX LESSE FEUERBACH CON
ENTUSIASMO.
L'opera di Feuerbach aveva
provocato un vivo entusiasmo in Marx, in Engels e in tutti i giovani tedeschi
seguaci di hegel (hegeliani).
❍ TRASFORMAZIONE DELLA TEOLOGIA IN ANTROPOLOGIA.
Per Feuerbach tutti gli
attributi che la religione attribuisce alla divinità non sono altro che
attributi che l'uomo, sia pure non come singolo, ma come specie, sente di avere
o di poter possedere: una sorta di immagine ideale di sé verso cui egli tende.
L'idea di Dio non è altro che
l'immagine dei desideri dell'uomo (onnipotenza, onniscienza, dominio sulla
natura, amore). L'uomo può realizzare queste qualità, le sente dentro di sé: ma
non come singolo, bensì come umanità (insieme degli uomini di tutti i luoghi e
di tutti i tempi).
❍ LA DOTTRINA MORALE DI FEUERBACH
La felicità non è individuale.
C'è coincidenza necessaria tra felicità propria e felicità altrui
MARX:
BIOGRAFIA DI KARL MARX
Figlio di un avvocato ebreo,
Marx nacque nel 1818 a Treviri, nella ricca regione della Renania.
Fu in gioventù un hegeliano
entusiasta. Studiò Hegel all'Università di Berlino e di Bonn e Feuerbach con entusiasmo.
Suo grande amico e fondatore con lui del partito comunista era Engels, che
spesso lo aiutò finanziariamente.
Divenuto giornalista, il
giovane Marx collaborò alla "Gazzetta Renana" assumendo
successivamente l'incarico di redattore capo. Nel frattempo in Germania le
persecuzioni politiche ad opera del Governo prussiano costringevano numerosi
intellettuali liberali e radicali a seguire la via dell'emigrazione.
Nel 1843, proprio in
conseguenza di un'ennesima ondata repressiva, la "Gazzetta Renana" fu
costretta al silenzio, colpevole di aver attaccato lo Zar di Russia, che aveva
stretto patto di alleanza con la Prussia. Marx lasciò allora la Germania per
stabilirsi a Parigi.
Ma ormai Marx era troppo noto
per essere lasciato libero di diffondere le proprie idee. I suoi scritti
dell'epoca ("Manoscritti economico-filosofici", "Critica alla
filosofia hegeliana del diritto" ecc.) destarono interesse e sollevarono
preoccupazioni al Governo francese, il quale, su invito di quello prussiano,
nel 1845 espulse il filosofo tedesco dalla Francia. Egli dovette allora
ripiegare su Bruxelles, dove fu costretto ad assumere l'impegno di non
pubblicare scritti politici.
Nel 1848, anno di grandi
sommovimenti politici in tutta Europa, rientrando a Parigi Marx stese con l'amico
Engels il "Manifesto del partito comunista", atto di fondazione del
comunismo.
Nel 1849, espulso dalla
Francia, egli ripiegò in Inghilterra, da dove non tornerà più.
Nel 1867 Marx dette alle stampe
il primo volume della sua opera più matura e impegnativa: "Il
Capitale" (i successivi due volumi, che completano il trattato, furono
pubblicati da Engels, dopo la morte dell'autore, rispettivamente nel 1885 e nel
1894).
Morì a Londra nel 1883 in
estrema povertà e solitudine.
MARX:
IL PENSIERO FILOSOFICO DI KARL MARX
❍ I ROVESCIAMENTI DI PENSIERO MARXISTI RISPETTO AL PENSIERO
BORGHESE.
● Marx,
seguendo Hegel, giunge spesso a criticare e capovolgere le idee borghesi della
sua epoca:
Sono i rapporti materiali a
influenzare le idee e non viceversa.
I borghesi affermavano
l'importanza della filosofia e delle produzioni dello spirito come capaci di
modellare e plasmare la società, mentre Marx, seguendo Hegel, individuerà nei
rapporti materiali, nei rapporti di produzione l'elemento più importante di una
civiltà, che a sua volta influenza la filosofia e la cultura.
● Il
lavoro come aspetto inseparabile dell'uomo e non come merce.
Gli economisti dell'epoca
ritenevano che il lavoro potesse essere separato dall'uomo e trattato come
"merce". Marx lo ritiene invece un aspetto essenziale della
personalità umana. Egli si rifà alla idea di Hegel che noi siamo ciò che
facciamo.
● La
storicizzazione e relativizzazione del sapere.
Il pensiero borghese ritiene di
aver realizzato, in politica, in filosofia, nell'ambito scientifico la verità
definitiva.
Marx storicizza e relativizza
ogni sapere. Egli tiene presente la lezione di Hegel che ogni stadio di
sviluppo supera il precedente e non può essere anticipato col puro pensiero.
E' questa la ragione per cui,
quando parla della società perfetta (comunista) egli è vago e generico, ed assume
toni mistici. Non è infatti possibile dire con PRECISIONE come sarà l'uomo di
tale società.
❍ L'ESSENZA UMANA E' STORICAMENTE E SOCIALMENTE DETERMINATA
(CARATTERE SOCIALE DELL'UOMO).
● Un
uomo non ha una natura determinata una volta per tutte, immutabile che
corrisponderebbe al modello suggerito dalla cultura entro cui vive (un'anima
immortale; un essere fondamentalmente buono, inclinato alla famiglia, che
rispetta i propri simili, dotato di pudore sessuale, monogamo ecc.), ma è di
volta in volta come i rapporti di produzione hanno plasmato il suo modo di
essere.
Non esiste una essenza o natura
umana in generale. L'essere dell'uomo è sempre storicamente condizionato dai
rapporti in cui l'uomo entra con gli altri uomini o con la natura per le
esigenze del lavoro produttivo. Questi rapporti condizionano l'individuo, cioè
la persona umana esistente; ma gli individui a loro volta lo condizionano
promuovendone la trasformazione o lo sviluppo.
● I
rapporti produttivi, che sono rapporti degli uomini tra loro e con la natura,
condizionano la possibilità dell'uomo di realizzarsi: nessuno potrebbe oggi ad
esempio realizzarsi come "cavaliere errante": Don Chisciotte, che
prova ad andare contro la propria società diviene una figura isolata e
bizzarra. Oggi un uomo si può realizzare come medico, avvocato, imprenditore,
professore universitario... cioè secondo una dei modelli proposti dalla società
in cui vive e dai rapporti di produzione esistenti.
❍ L'UOMO E IL LAVORO. I RAPPORTI
DI PRODUZIONE.
● I
rapporti produttivi sono rapporti degli uomini fra loro e con la natura. Lo
sviluppo delle forze produttive accade in modo diverso presso popoli o gruppi
umani diversi; e solo lentamente e in modo altrettanto disuguale determina lo
svliuppo delle forme istituzionali corrispondenti..
● L'uomo
è condizionato dai rapporti di produzione, ma non del tutto: quando la forma
assunta dai rapporti di produzione appare come un ostacolo per tale
manifestazione, essa viene sostituita da un'altra forma che si presta meglio a
condizionare queste manifestazioni e che a sua volta può diventare un intralcio
ed essere sostituita. Forme superate possono continuare a sopravvivere accanto
a forme più evolute, presso diversi popoli o nello stesso popolo.
In ogni periodo storico, ciò
che realmente conta sono i "rapporti di produzione" o "rapporti
materiali": rapporti tra uomo e uomo e tra uomo e natura riguardanti la
produzione operai-padroni, Feudatario-servo della gleba, uomo-animali
domestici, uomo-agricoltura
❍ LA SOVRASTRUTTURA. GLI IDEOLOGI
ATTIVI.
● Le
idee filosofiche, morali, religiose, politiche di una data società non sono che
il riflesso della struttura dei rapporti di produzione.
Mentre le filosofie del passato
hanno cercato di descrivere il mondo, l'uomo, la società così come essi sono,
convinti che le cose, la società e soprattutto la natura umana siano
immutabili, marx ritiene in realtà che la natura umana, la struttura dei
rapporti sociali, le stesse concezioni politiche o religiose, non sono fissati
una volta per tutte, ma dipendono dai rapporti di produzione. Modificando questi
vi può essere una modifica, una evoluzione dello spirito e della organizzazione
umana. A questo deve tendere il filosofo, perché anche la filosofia, come ogni
altra attività umana, è in realtà una attività produttiva e trasformatrice
della realtà, che non si limita a contemplare o interpretare il mondo, ma lo
modifica.
Nella letteratura marxista si
trovano molti tentativi di mostrare questa dipendenza delle idee dai rapporti
materiali di una determinata epoca:
● L'idea
di un Dio signore che è possibile influenzare con le preghiere non poté nascere
fino a quando i prapporti economici non creano una classe di proprietari e una
classe di schiavi.
● Le
religioni monoteistiche non poterono nascere prima che si formassero degli
imperi con un unico capo. Gli ebrei dei primi libri della Bibbia, erano
politeisti, perché ogni tribù aveva il suo dio
● L'idea
di un Dio che crea non poteva nascere prima della scoperta degli utensili e del
fuoco.
● L'idea
di un'anima immortale separata dal corpo non nasce subito. Gli uomini
preistorici seppellivano i morti per consentirgli di continuare a vivere
fisicamente, addormentati in uno strano sonno.
● Le
tribù di cacciatori sono necessariamente con i beni in comune, i figli in
comune, non posseggono il concetto di risparmio o accumulazione. I loro Dei non
sono Dei del cielo o della terra fertile e della pioggia, ma Dei-totem:
costituiti da antenati-animali che sono i padri, i parenti della tribù e che
mandano la carne sulla terra affinché essa si possa saziare.
● E'
il modo in cui è organizzata la produzione che fa emergere una classe dominante
e una classe dominata.
Le idee politiche, religiose
ecc. non nascono solo automaticamente ma anche da una consapevole
mistificazione operata dalla classe uscita dominante dai rapporti di produzione
e dai suoi ideologi attivi.
Ad esempio, l'avvento al potere
della borghesia produsse il sistema della rappresentanza politica che
attribuiva il voto solo ai possidenti e il principio dell'uguaglianza formale
che rendeva tutti eguali dinanzi alla legge ma lasciava le diseguaglianze
economiche sfruttando le quali il più forte poteva sottomettere il più debole.
Ad esempio, i sacerdoti egizi
dominavano il popolo sfruttando l'idea della divinità.
Ad esempio, l'economia, per
Marx, è strettamente collegata alle idee suggerite dalla classe dominante o
dalla organizzazione del lavoro. Essa non è una scienza, ma un'opinione che
riflette le idee delle classi dominanti.
❍ LA "FILOSOFIA DELLA
PRASSI".
● L'organizzazione
politica, religiosa, familiare, le idee sul mondo, i costumi, le idee
religiose, filosofiche, sono "sovrastruttura" e dipendono in realtà
dalla "struttura".
Quindi, cambiando la struttura
si cambia la sovrastruttura: quest'ultima idea è chiamata "filosofia della
prassi".
Per cambiare l'uomo basta
cambiare, con una rivoluzione, i rapporti di produzione.
● Marx
ha scarsa fiducia nei sistemi di convinzione basati sul dibattito e sulla
dimostrazione.
Secondo la sua concezione, è
solo cambiando la società con una rivoluzione che si può sperare di cambiare il
modo di pensare degli individui.
● Stalin
andò più in là e concluse che gli individui nati in epoca prerivoluzionaria e
formatisi in una società diversa da quella comunista erano ormai impossibili da
cambiare e quindi andavano eliminati fisicamente.
❍ I CAPISALDI DELL'ANTROPOLOGIA
MARXISTA.
Possiamo ora ricapitolare nel
modo seguente i capisaldi dell'antropologia (cioè della visione dell'uomo) di
Marx:
● Non
esiste una essenza o natura umana in generale
● L'essere
dell'uomo è sempre storicamente condizionato dai rapporti in cui l'uomo entra
con glialtri uomini o con la natura per le esisgenze del lavoro produttivo
● Questi
rapporti condizionano l'individuo, cioè la persona umana esistente; ma gli
individui a loro volta lo condizionano promuovendone la trasformazione o lo
sviluppo
● L'individuo
umano è un ente sociale.
❍ IL PROGRESSO STORICO. LA STORIA.
● Marx
eredita da Hegel la fede incrollabile e mistica nel fatto che la storia umana
procede verso un mondo sempre migliore, e che questo progresso non continuerà
all'infinito, ma arriverà presto al suo termine perfetto.
● I
principali tipi di società che si sono succedute nella storia sono, secondo
Marx:
● Società
antica caratterizzata dal conflitto tra patrizi e plebei
● Società
feudale caratterizzata dal conflitto tra signore armato e servi della gleba che
fuggivano nelle città per avere la libertà
● Società
capitalista caratterizzata dal conflitto tra borghesia e proletariato destinata
ad essere soppiantata dalla società comunista, una società senza classi in cui
saranno quindi assenti i conflitti sociali.
● Marx
pensa che le trasformazioni dela storia siano necessarie perché a ogni
passaggio successivo della storia si compie una rivoluzione economica e
sociale, e dunque il nuovo assetto si pone ad un livello più elevato rispetto
al precedente.
Si verrà a creare una classe di
imprenditori sempre più ristretta, perché i grossi imprenditori elimineranno i
piccoli, e una classe proletaria sempre più sfruttata, povera, affamata. Alla
fine (caduta del saggio di profitto) anche la produzione ristagnerà e non sarà
in grado di nutrire i lavoratori. Ci saranno carestia, miseria, rivoluzione.
Lo stato diventerà, con la
rivoluzione proletaria, uno strumento di lotta contro i nemici del comunismo
(fase chiamata "dittatura del proletariato"); un una fase successiva,
eliminate le classi e i nemici del socialismo, lo stato sparirà e si avrà la
vera società comunista senza classi, nella prima fase sarà inevitabile la
retribuzione in base al lavoro prestato. Successivamente però si applicherà il
principio: "Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi
bisogni".
❍ L'ALIENAZIONE DELL'UOMO: L’ALIENAZIONE DELL’UOMO IN DIO
Marx distingue diverse forme di
alienazione. Egli parla anzitutto dell’alienazione dell’uomo:
Mentre nelle religioni
dell'antichità, in Grecia e a Roma gli dei erano vicini agli uomini e quasi
loro compagni, partecipavano alle loro battaglie e ai loro amori, nelle
religioni ebraica e cristiana Dio è visto come un essere perfetto,
lontanissimo, mentre l'uomo è vito come assolutamente imperfetto e peccatore.
Feuerbach e Marx pensano invece
che simili religioni (per la verità un po' tutte le religioni) allontanino
l'uomo dalla idea di impegnarsi e costruire la propria grandezza e la propria
felicità sulla terra, incitandolo alla rassegnazione e alla sopportazione delle
ingiustizie sociali e politiche col miraggio del Regno dei Cieli.
In realtà l'essere perfetto a
cui bisogna avvicinarsi è l'ideale dell'uomo stesso, libero da condizionamenti
negativi, padrone della natura ed eterno come specie umana. Creando l'idea di
Dio l'uomo "aliena", cioè pone fuori di sé le proprie aspirazioni e i
propri ideali. Col cristianesimo inoltre, "aliena" la propria parte
materiale, i propri bisogni fisici, sessuali ecc. considerati come peccati
ispirati dal Diavolo (lussuria, gola ecc.) e finisce col considerare il proprio
corpo come qualcosa di estraneo, fonte di peccato e di vergogna.
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO: ALIENAZIONE
DEL LAVORO.
Marx è d'accordo con gli autori
socialisti dell'Ottocento che la "mercificazione del lavoro" è alla
base delle sofferenze e del disagio dei lavoratori dell'epoca. Cosa si intende
con questa espressione?
Essa vuol dire in sostanza
retribuire il lavoratore non secondo giustizia (considerandolo un essere umano
con bisogni che vanno soddisfatti in modo da garantirgli una vita dignitosa e
accettabile), ma secondo la legge della domanda e dell'offerta, come una merce
che va pagata poco perché è abbondante.
Il lavoratore, con la divisione
del lavoro e con la completa soggezione alla direzione del capitalista, perde
la possibilità di stabilire da solo il modo di impiegare le proprie energie: il
suo lavoro è una attività svolta per altri, di cui spesso egli non conosce
neanche il significato (con la divisione del lavoro gli può capitare di dover
muovere per ore una leva o premere un bottone), e il cui prodotto in gran parte
gli viene tolto dal capitalista, che si appropria di ciò che gli spetterebbe
(plusvalore).
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO: ALIENAZIONE
DEL CAPITALISTA.
Il capitalista è schiavo del
capitale. Egli sacrifica i suoi bisogni umani per divenire il servo della
propria ricchezza: suo unico scopo è di aumentare e difendere la sua ricchezza;
non gli interessa godere del prodotto che egli fabbrica: egli cerca di venderlo
per ritrasformarlo quanto prima in denaro. La vita del capitalista non è meno
alienata di quella del lavoratore.
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO: ALIENAZIONE
DEL GENERE UMANO.
Nella società capitalista si
erige una barriera d'odio tra capitalisti e lavoratori salariati. Anziché
riconoscere la propria comune umanità e la necessità di aiutarsi e collaborare,
queste due classi sociali lottano aspramente fra loro. In una società ingiusta
l'uomo è speso un esser abbandonato, umiliato, spregevole verso i propri
simili. Esso viene quindi privato del sentimento della propria dignità e della
solidarietà reciproca: anche in questo caso viene "alienato", cioè
costretto ad essere qualcosa di estraneo a se stesso, cioè alla sua umanità più
vera. Ad esempio, di fronte ad azioni particolarmente malvagie noi diciamo
spesso che "l'uomo non si riconosce più".
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO:L'UOMO E' UN ESSERE MATERIALE.
Seguendo Feuerbach Marx
rivaluta i bisogni, la sensibilità, la materialità dell'uomo.
Il lavoro umano è un importante
mezzo di realizzazione.
La vita sociale e produttiva
costituisce tutto l'uomo: non esiste un'anima o una realizzazione nell'aldilà.
L'uomo si deve realizzare
nell'aldiquà, nella vita sociale e produttiva.
DESTRA E SINISTRA
Vedi paragrafi su
"liberismo" e "liberalismo".
❍ LA DESTRA
RELIGIOSO-TRADIZIONALE.
Monarchica; critica verso il
capitalismo, che ritiene un sistema fondato sul predominio degli avidi e
disonesti e sull'incentivo ai peccati capitali del consumatore (lussuria, ozio,
invidia ecc.); vuole una Chiesa tradizionale e non aperta al nuovo (con
particolare riguardo all'omosessualità, al celibato dei preti, all'aborto e
alla famiglia, alla libertà sessuale e ai rapporti prematrimoniali, al sesso
inteso come fonte di gioia anziché di procreazione, al sacerdozio femminile,
alle funzioni religiose non in latino, all'eccessiva libertà di monaci, monache
e preti). E' polemica nei confronti del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo
(inizio anni '60), che ritiene colpevole di eccessiva condiscendenza verso le
tendenze edonistiche, democratiche e individualistiche della nostra epoca.
Ritiene che le tendenze
democratiche non possano trovare posto all'interno della Chiesa, poiché la
parola e la guida deve provenire sempre dalla minoranza dei più ispirati di cui
la maggioranza deve accettare la guida. La organizzazione romana, con a capo il
Sommo Pontefice, rispecchia questa gerarchia e la Chiesa va considerata più una
monarchia (o al massimo una aristocrazia) che una democrazia.
Ritiene i jeans aderenti
sottilmente peccaminosi e in genere vede nella nostra epoca il pericolo di una
influenza di Satana, contro cui occorre stare in guardia e ritornare ai
principi cattolici tradizionali.
❍ LA DESTRA CHE SI ISPIRA A
NIETZCHE.
Questo filosofo inneggia al
superuomo, l'individuo dotato di forza, intelligenza superiore all'umanità
comune (che lui chiama "i brutti e gli informi") che china il capo al
cristianesimo e soffoca i propri istinti combattivi e di autoaffermazione con
la dottrina della dolcezza e dell'amore predicata da Cristo, e che deve essere
schiava di chi ha il coraggio di affermare i propri desideri e la propria
volontà contro gli altri e di violare i precetti cristiani per seguire i suoi
istinti.
Ha ispirato il nazismo tedesco.
In maniera più indiretta il fascismo italiano.
Gli scritti dei maghi, dei
cabalisti, degli alchimisti, le religioni dell'antichità (gli antichi misteri,
la religione egizia ecc.) mostrerebbero che uomini di eccezionale volontà e
valore, con pratiche occulte e magiche possono diventare semidei, e comunque
acquistare poteri di influenzare il destino di popoli e nazioni. La società
deve essere guidata dall'alto, da parte di chi è sensibile alle ispirazioni
soprannaturali e celesti, e conosce qual è la giusta via tracciata dalle
potenze superiori, e non dal basso, cioè dal popolo ignorante e preda di
istinti che lo accecano.
Spesso la destra predica il
"darwinismo sociale".
Darwin sosteneva che le specie
animali si sono evolute attraverso la selezione e la mutazione.
Dapprima avviene la mutazione:
determinati esemplari di una specie animale, per una mutazione casuale dei geni
contenuti nei cromosomi, sviluppa una caratteristica non posseduta da altri
individui (es. un becco più lungo o zampe dotate di unghie più lunghe).
Poi interviene l'importante meccanismo
della selezione: gli individui che hanno sviluppato le mutazioni più utili alla
sopravvivenza e alla ricerca del cibo riescono a prevalere nella lotta per
l'esistenza e a riprodursi, mentre gli altri non riescono a procurarsi
abbastanza cibo o protezione per sopravvivere o riprodursi. In tal modo vengono
eliminate tutte le mutazioni non adatte alla sopravvivenza (ad es. una coda più
lunga di quella degli altri uccelli o delle unghie troppo lunghe, che
ostacolano la locomozione e provocano infezioni) mentre sono conservate le
altre (ad es. zampe più lunghe e meglio adatte per la corsa o occhi capaci di
vedere anche nell'oscurità).
I darwinisti sociali sostengono
l'importanza della selezione naturale anche per la società umana. E' importante
che gli uomini più forti (fisicamente o come carattere) e intelligenti abbiano
il sopravvento e acquistino i mezzi per riprodursi con una numerosa prole,
mentre i deboli non vadano protetti e siano lasciati alla povertà e alla
malattia che li eliminano e ne contrastano la moltiplicazione.
Anche le migrazioni spesso
selezionano gli individui migliori e più intraprendenti, che riescono a
migliorare le proprie condizioni di vita nei loro nuovi paesi, mentre la
popolazione che non emigra è preda della miseria e delle carestie.
Anche le persecuzioni possono
selezionare gli individui più abili e astuti. Secondo i darwinisti sociali il
gran numero di scienziati, artisti e imprenditori di origine ebrea sarebbe
dovuto al fatto che le feroci persecuzioni cristiane lungo i secoli hanno
lasciato sopravvivere solo gli individui più intelligenti ed accorti.
I darwinisti sociali lanciano
oggi l'allarme perché le famiglie delle classi superiori, formate dagli
individui migliori, hanno un basso numero di figli, mentre le famiglie delle
classi inferiori, formate dagli individui peggiori (sconfitti nella lotta
sociale perché forniti di minori capacità), hanno un alto numero di figli.
In tal modo si verificherebbe
un "darwinismo sociale alla rovescia", che farebbe diminuire la
percentuale di persone intelligenti e capaci ed aumenterebbe invece quella di
persone mediocri.
Negli Stati Uniti è uscito
recentemente un libro molto contestato, The
bell curve ("La curva a forma
di campana") che sostiene la tesi che mentre l'intelligenza media delle
classi superiori starebbe aumentando (perché la competizione per gli impieghi
migliori è aumentata con la possibilità di accesso all'istruzione offerta oggi
a tutti i meritevoli, poveri e donne compresi) l'intelligenza media della
popolazione sta diminuendo, per l'alto numero di figli delle classi meno
intelligenti.
Il libro prende il nome dalla
"curva a campana": un grafico che riporta in ascissa il quoziente di
intelligenza e in ordinata il numero di persone esistenti per un dato
quoziente. Come avviene per tutti gli animali superiori, gli esemplari
eccezionalmente intelligenti o eccezionalmente ritardati sono estremamente
pochi, mentre la gran parte degli individui si raggruppa intorno alla
intelligenza media.
Il valore dell'intelligenza
media della popolazione, fatto pari a 100, serve come punto di riferimento per
la indicazione dell'intelligenza dell'adulto.
La misurazione del quoziente di
intelligenza viene di solito fatta per mezzo del test
"Wechsler-Bellevue", messo a punto negli anni '20 negli Stati Uniti e
applicato nel corso degli anni a decine di migliaia di individui. Proprio per
questa taratura statistica accurata è considerato abbastanza affidabile a
confronto con test analoghi.
Esso si compone di gruppi di
prove che misurano l'intelligenza verbale, quella pratica, l'intelligenza
matematica, e i cui punteggi concorrono a fornire il punteggio totale.
Sul test Wechsler-Bellevue
esiste un rigido copyright: sia il libro che contiene le prove che i materiali
(figure, ecc.) possono essere venduti solo a psicologi professionisti.
Un quoziente di intelligenza di
150 vuol dire, in termini grossolani, che si è riusciti a fare gli esercizi del
Wechsler-Bellevue una volta e mezzo più velocemente della media della
popolazione. Si stima che nel mondo gli individui con un quoziente di
intelligenza di 150 siano centomila.
La misurazione del quoziente di
intelligenza degli individui non adulti è lievemente diversa. Il valore di
riferimento non è quello della media della popolazione adulta, ma della media
della fascia d'età del soggetto che fa il test. Viene spesso usato il test
Binet. Un bambino di 9 anni che totalizzi un quoziente di intelligenza di 200
non avrà perciò una intelligenza doppia della media degli adulti, ma della
media dei bambini di nove anni. Quozienti infantili molto alti tendono a
diminuire con la crescita, anche se il quoziente adulto normalmente rimane
elevato.
❍ IL PENSIERO DELLA SCRITTRICE MARGUERITE YOURCENAR SULLA
DESTRA E LA SINISTRA.
La famosa scrittrice Marguerite
Yourcenar ebbe modo di scrivere, nel libro "Lettere ai
contemporanei": "Una delle disgrazie del pensiero europeo è che la
destra e la sinistra, ciascuna per proprio conto, si sono attaccate con una
sorta di accanimento a concezioni quasi teologiche della natura umana:
l'estrema destra agendo e legiferando come se l'uomo non fosse a nessun livello
perfettibile, e come se la repressione potesse da sola trionfare sui cattivi (e
anche sui buoni) istinti dell'uomo; la sinistra arroccandosi su un'immagine
idilliaca dell'umanità e credendo senza alcuna limitazione ai 'domani che
cantano'. Non si è mai ottenuto nessun risultato, né a destra né a sinistra,
con la mancanza di generosità o con la mancanza di lucidità".
❍ DESTRA E SINISTRA VISTE... DA
SINISTRA.
Riportiamo qui di seguito un
brano, scritto da un intellettuale di sinistra, che presenta il punto di vista
della sinistra sulla contrapposizione con la destra:
Premesso
che entrambi gli schieramenti riconoscono i valori fondamentali della libertà e
dell'uguaglianza è bene sottolineare che la differenza sostanziale tra destra e
sinistra consiste proprio nel "dosaggio" relativo tra libertà ed
eguaglianza. E' noto infatti che i principi di libertà ed uguaglianza sono di
fatto contraddittori: la completa libertà degli individui favorirebbe al
massimo le disuguaglianze, mentre per realizzare una "perfetta"
uguaglianza sarebbe necessario ridurre al massimo la libertà. Maggiore è la
libertà, minore è l'uguaglianza e viceversa.
Lo
schieramento di destra ritiene opportuno salvaguardare ed ampliare le libertà individuali,
anche se ciò comporta un affievolirsi dell'uguaglianza tra i cittadini, mentre
lo schieramento di sinistra preferisce rinunciare ad alcune libertà, pur di
garantire un accettabile livello di uguaglianza.
Inoltre,
destra e sinistra esprimono un diverso giudizio di fronte alle diseguaglianze
naturali e sociali. Esse vengono considerate un dato di fatto inevitabile per
la destra, che si limita ad affermare l'uguaglianza formale o uguaglianza di
fronte alla legge, nel senso che, in astratto, riconosce la parità di diritti a
tutti i cittadini, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione. Invece
la sinistra accoglie questo principio, ma lo considera insufficiente e ritiene
che lo stato debba intervenire per sostenere i cittadini più deboli, in modo da
permettere anche ad essi l'esercizio concreto di determinate libertà.
Le
diseguaglianze sono considerate un ostacolo che lo stato deve rimuovere per
permettere a tutti la possibilità di sercitare i propri diritti secondo il
principio di uguaglianza sostanziale o economico-sociale.
Scrive
Norberto Bobbio nel saggio "Destra e Sinistra": “Quando si dice che
la sinistra è egualitaria e la destra inegualitaria, non si vuole dire affatto
che per essere di sinistra occorre proclamare la massima che tutti uomini sono
eguali in tutto, indipendentemente da qualsiasi criterio discriminante, perché
questa sarebbe non solo una visione utopistica, ma, peggio, una proposizione
cui non è possibile dare un senso ragionevole. Si vuole dire un'altra cosa ###
Il dato di fatto è questo: gli uomini sono tra loro tanto eguali, quanto
diseguali.
Sono
utuali per certi aspetti, diseguali per altri. Volendo fare l'esekmpio più
familiare: sono uguali di fronte alla morte perché tutti sono mortali, ma sono
diseguali di fronte al modo di morire, perché ognuno muore in modo diverso. Si
può dire anche così: sono uguali se si considerano come "genus" e li
si confronta come "genus" ad un genus diverso come quello degli altri
animali e degli altri esseri viventi, da cui li distingue una diffrenza
specifica; sono disuguali tra loro se li si considera "uti singuli",
cioè prendendoli uno per uno ### Ebbene: si possono chiamare correttamente
egualitari coloro che, pur non ignorando che gli uomini sono tanto eguali che
diseguali, danno maggiore importanza per giudicarli e per attribuire loro
diritti e doveri, a ciò che li rende uguali. Si tratta di un contrasto tra
scelte ultime, che affondano le loro radici in condizionamenti storici,
sociali, culturali, anche familiari, e forse biologici, di cui si sa, o per lo
meno io so, molto poco. Ma è proprio il contrasto tra queste scelte ultime che
serve molto bene, a mio parare, a contrassegnare i due opposti schieramenti che
siamo abituati ormai per lunga tradizione a chiamare sinistra e destra, da un
lato il popolo di chi ritiene che gli uomini siano più uguali che disuguali,
dall'altro il popolo di chi ritiene che siamo più diseguali che uguali.
A
questo contrasto di scelte ultime si accompagna anche una diversa valutazione
del rapporto tra uguaglianza-diseguaglianza naturale ed
eguaglianza-diseguaglianza sociale.
L'egualitario
parte dalla convinzione che la maggior parte delle diseguaglianze che lo
indignano, e vorrebbe far sparire, sono sociali e, in quanto tali, eliminabili.
L'inegualitario, invece, parte dalla convinzione opposta, che siano naturali e,
in quanto tali, ineliminabili.
Il
movimento femminista è stato un movimento egualitario. La forza del movimento è
dipesa anche dal fatto che uno dei suoi temi preferiti è sempre stato,
indipendentemente dalla veridicità fattuale, che le diseguaglianze tra uomo e
donna, pur avendo radici nella natura, sono state il prodotto di costumi,
leggi, imposizioni del più forte sul più debole, e sono socialmente
modificabili. Si manifesta in questo ulteriore contrasto il cosiddetto
"artificialismo", che viene considerato una delle caratteristiche
della sinistra. La destra è più disposta ad accettare ciò che è naturale, e
quella secondo natura che è la consuetudine, la tradizione, la forza del passato".
(Norberto Bobbio).
Con
riferimento alle ultime parole di Bobbio si può affermare che, dal punto di
vista della mentalità, l'uomo di destra è colui che si preoccupa, innanzitutto,
di salvare la tradizione; dal punto di vista socio-economico di tutelare vecchi
privilegi di classe e per questo viene definito "conservatore".
L'uomo
di sinistra, invece è colui che intende, sopra ogni altra cosa, liberare i
propri simili dai vincoli loro imposti dai privilegi di razza, ceto, classe
sociale; ricerca l'emancipazione e per questo viene definito
"progressista".
Per
quanto riguarda gli aspetti economici, i conservatori ritengono fondamentale la
libera concorrenza e quindi considerano opportuno un limitato intervento dello
stato in economia. Esaltano la concezione liberista e naturalista della libera
competizione che permette ai migliori di emergere ed è al tempo stesso elemento
di selezione, nonché di autoregolamentazione dell'economia tramite le leggi del
mercato.
La
destra intende promuovere l'emancipazione sociale facendo leva sulla capacità
del singolo. In gener tutela soprattutto gli interessi dei ceti medio-alti sul
piano economico. Per questo motivo i partiti conservatori al governo tendono ad
imporre poche imposte, soprattutto indirette, evitando di redistribuire i servizi.
I cittadini dovranno pertanto acquistare i servizi di cui necessitano sul
mercato privato, cosicché i benestanti potranno accedere alle prestazioni
migliori senza socializzare il proprio denaro con le classi più deboli, tramite
le imposte.
L'ideologia
di sinistra si rivolge prevalentemente alle classi economicamente inferiori,
pertanto cerca di stabilire delle regole e dei correttivi alla competizione
selvaggia per salvaguardare i ceti, le imprese ed i settori in difficoltà.
Infatti ritiene che il sistema economico da solo non possa raggiungere
l'equilibrio e quindi sia necessario l'intervento dellostato. La sinistra
propugna a grandi discorsi forme di "welfare state" (stato del
benessere), ossia uno stato che garantisca a tutti i cittadini il conseguimento
di un tenore di vita minimo, la tutela della salute, l'istruzione, l'abitazione
e l'alimentazione adeguata. Presuppone la realizzazione di un esteso programma
di spesa pubblica, innanzitutto mediante un sistema fiscale che attui una
ridistribuzione della ricchezza nazionale in senso egualitario.
Secondo
questo modello lo stato si fa promotore di un'ampia gamma di servizi offerti a
tutti i cittadini indipendentemente dal loro ceto sociale. Si contrappone
quindi allo stato liberale nel quale l'amministrazione pubblica, al massimo, si
fa carico di tutelare fasce di cittadini in stato di povertà.
Per
quanto riguarda la politica economica, in genere i conservatori danno più
importnza alla stabilità monetaria ed alla lotta contro l'inflazione, a scapito
dell'occupazione (indirizzo monetarista), mentre i progressisti tutelano di più
l'incremento di produzione reale e l'occupazione, anche se ciò determina degli
squilibri sul piano finanziario (politica economica di indirizzo keynesiano).
Tra
destra e sinistra vi sono contrapposizioni circa altri valori base.
Solidarietà-individualismo.
La sinjistra prende molto in considerazione la solidarietà, in relazione
all'idea di "sostegno per i deboli o svantaggiati". Invece
l'orientamento classico di destra lo considera un intralcio allo stimolo dello
spirito d'iniziativa individuale.
Pacifismo-militarismo.
Per la destra l'uso o la dimostrazione della forza militare, anche solo per
scopi difensivi è necessrio, vista la tendenza "naturale" degli stati
ad accrescere il proprio potere nei confronti delle altre nazioni. Per la
sinistra la pace tra i popoli, obiettivo di un mondo migliore, va perseguita
con concrete dimostrazioni di volontà di disarmo e pacificazione.
Ambiente.
La sinistra si pone l'obiettivo di lasciare alle generazioni future un ambiente
vivibile, a costo di rinunciare a qualche quota di prodotto interno lordo
(P.I.L.), convertire produzioni, cambiare abitudini di vita o tecnologie. Cerca
di individuare uno sviluppo sostenibile, che consiste nel programmare crescita
e progresso in modo compatibile con l'ambiente, valutandone non solo i benefici
immediati, ma anche i danni arrecati agli ecosistemi. Tale modello di sviluppo
tende a prendere in considerazione la complessità del problema ed ad un'analisi
su scala planetaria, perché gli squilibri non sono circoscrivibili.
La
destra è anch'essa favorevole alla tutela dell'ambiente, ma solo se non frena
lo sviluppo tecnologico. Abbraccia la corrente economista di tutela
dell'ambiente che dà per scontato che lo sviluppo tecnologico e la
trasformazione dei modi di vita non possono essre rallentati. Vede il problema
ambientale in chiave economica: prevenire solo se è meno costoso che
recuperare, ripristinare se non è troppo oneroso, intervenire sull'ambiente se
si ricavano utili in termini di reddito e nuova occupazione (industria del
disinquinamento). Uno stato che imponga poche tasse ha meno denaro da spendere
a fini sociali, ma anche per la difesa dell'ambiente (controlli,
monitoraggi, parchi naturali, guardie ecologiche).
LA
CRISI DEL 1929
❍ La crisi del 1929: descrizione
generale
● Le imprese USA stavano attraversando una crisi
dovuta a caduta della domanda
● Contemporaneamente, grazie a prestiti bancari
a buon mercato, tutti cominciarono ad investire in borsa aspettandosi dalle
azioni forti rendimenti. In realtà il valore reale delle azioni era basso,
perch‚ le imprese americane stavano attraversando una crisi e non riuscivano a
vendere i propri prodotti. L'accresciuta domanda di titoli spinse troppo in
alto il loro valore. Quando il periodo di ottimismo passò, il prezzo dei titoli
crollò al suo valore reale. I risparmiatori videro ridotti della metà e oltre i
risparmi che avevano investito in borsa. Milioni di persone passarono dalla
sicurezza economica alla povertà
● Il sistema bancario non possedeva dei
meccanismi e degli accordi tra banche per venire in aiuto ad una banca nel caso
in cui i clienti, presi dal panico, avessero deciso di ritirare tutti i loro
depositi. Per una banca, anche sana, è praticamente impossibile restituire
immediatamente tutti i depositi, perch‚ essa normalmente ne tiene una gran
parte investiti o prestati. Da qui il fallimento a catena delle banche
assaltate dai risparmiatori
● Dagli USA, che erano allora i maggiori
produttori mondiali, la crisi si diffuse a tutti i paesi industrializzati: il
crollo della domanda USA riguardò infatti anche la domanda di beni stranieri, e
fece così crollare la domanda anche negli stati che prima esportavano verso gli
USA materie prime o prodotti finiti.
❍ La crisi del 1929: le cause della caduta della domanda
● Negli USA la ricchezza era concentrata in mano
a un numero ristretto di soggetti. Le spese di questi soggetti erano in gran
parte per generi voluttuari. Quando iniziò la crisi della borsa questi soggetti
smisero di spendere per generi voluttuari, aggravando la crisi delle imprese.
● Le imprese stentavano a vendere la propria
produzione anche perch‚ non riuscivano a vendere sui mercati esteri: infatti
ogni paese aveva adottato una politica protezionistica di forti barriere
doganali. Ma questi provvedimenti erano sbagliati: invece di favorire le
proprie imprese essi impedivano loro di esportare i propri prodotti
● Tra il 1929 e il 1933 la quantità di moneta in
circolazione ("offerta di moneta") diminuì di un terzo: ma una
economia che si espande ha bisogno di moneta per effettuare tutti gli scambi e
i pagamenti, sia tra imprese che tra imprese e consumatori. Gli studi economici
della “scuola monetarista" (Milton Friedman) e della scuola della
"sintesi neoclassica" (John Hicks) mostrano che una quantità di
moneta troppo scarsa può rallentare gli scambi, far innalzare il saggio di
interesse e provocare una depressione)
● Esportazioni e importazioni erano rese
difficili dalla mancanza di moneta di pagamento internazionale. Il dollaro non
era ancora una moneta di pagamento accettata a livello internazionale: sia gli
USA che gli altri paesi dovevano servirsi di oro e sterline, la cui quantità
era insufficiente, anche a causa della politica monetaria della Banca di
Inghilterra. In mancanza di oro e sterline un paese poteva importare prodotti
di un altro paese solo se questo gli concedeva prestiti nella propria moneta.
Ma una simile politica di prestiti non venne attuata da nessuno stato
● Per consumatori e imprese divenne estremamente
difficile ottenere denaro per finanziare le proprie spese, a causa del
fallimento delle banche e della politica monetaria restrittiva, che aveva
diminuito la quantità di moneta in circolazione. Questo provocò un ulteriore
crollo della domanda di investimenti da parte delle imprese e di beni di
consumo da parte delle famiglie.
● Durante la prima guerra mondiale le imprese
dovettero raddoppiare la loro produzione ed assumere manodopera minorile e
femminile, non bastando quella maschile. Grazie ai salari pagati si diffuse una
certa ricchezza anche tra le classi meno abbienti e molte imprese si
specializzarono nella produzione di beni di consumo durevoli per tali famiglie.
Ma alla fine della guerra, la cattiva distribuzione del reddito, concentrato in
mano a poche ricchissime famiglie, impedì alle imprese che fabbricavano beni di
consumo (ad es. alla Ford) di trovare uno sbocco per i beni di consumo
durevoli. Inoltre, la vendita di beni di consumo durevoli (auto, elettrodomestici
etc.) ha un rimpiazzo molto lento, e una volta che le (non numerose) famiglie
che potevano permetterseli li ebbero comperati, la domanda crollò.
● Un'altra causa della crisi fu la prima guerra
mondiale. Enormi risarcimenti di guerra furono richiesti a Germania, Austria e
agli altri paesi usciti sconfitti. Questo distrusse la loro economia. I paesi
sconfitti, così impoveriti, non erano in grado di acquistare i prodotti dei
paesi vincitori, che furono quindi privati di importanti mercati di sbocco.
❍ La crisi del 1929: come
reagirono le autorità
● Le autorità vararono politiche di lavori
pubblici
● Lo stato aumentò le sue spese per sostenere la
domanda aggregata attraverso il meccanismo del moltiplicatore
● Tutti i paesi svalutarono la propria moneta
nella illusoria speranza di vendere di più all'estero
● Furono aumentati i salari e ridotte le ore di
lavoro nell'industria ("lavorare meno per lavorare tutti")
● Furono eliminate le restrizioni ai sindacati
operai, che erano importanti strumenti per ottenere retribuzioni più alte e
migliori condizioni di lavoro
● La borsa fu posta sotto il controllo di enti
governativi g) Furono varate misure a favore dell'agricoltura
● Lo stato concesse numerosi aiuti all'industria
privata per farla risollevare (mutui etc.)
● Le spese per investimenti pubblici (ponti,
strade ecc.) aumentarono la domanda aggregata tramite il meccanismo del
moltiplicatore
● In paesi come la Germania nazista l'aumento
delle spese militari aiutò l'industria privata a riprendersi e la produzione a
decollare.
❍ La crisi del 1929: cosa fece capire ad economisti ed
uomini politici
In che modo la crisi del 1929
contribuì a mutare l'atteggiamento dello stato nei confronti dell'economia e i
suoi obiettivi di politica economica?
La crisi del 1929 fece capire
ad economisti ed uomini di stato che il sistema economico era instabile e che
le autorità dovevano intervenire ogniqualvolta le crisi o lo sviluppo del
sistema assumano dimensioni preoccupanti
❍ La crisi del 1929: quali scuole economiche tramontarono e
quali nacquero
● La scuola neoclassica tramontò. Essa aveva
affermato che il sistema capitalistico, affidato alla libera iniziativa privata
e senza intervento dello stato è in grado di raggiungere da s‚ la piena
occupazione delle risorse e di garantire un costante sviluppo economico;
secondo i neoclassici le crisi economiche erano di lieve entità e destinate a
durare poco. In realtà la crisi del 1929 mostrò che il sistema capitalistico
poteva essere soggetto crisi da carenza di domanda, crisi che non erano n‚
lievi n‚ passeggere.
● La ricetta dei neoclassici era:
● Ridurre
il deficit pubblico
Ma questo portò ad una
diminuzione della spesa pubblica e quindi ad una ulteriore diminuzione della
domanda aggregata, che mise ancor più in difficoltà le imprese
● ridurre
i salari
I neoclassici erano convinti
che la domanda di lavoratori da parte delle imprese fosse inversamente
proporzionale al salario richiesto dai lavoratori; lasciando pertanto scendere
i salari a causa della disoccupazione essi ritenevano che le imprese avrebbero
ricominciato ad assumere manodopera.
In realtà la diminuzione dei
salari provocò un ulteriore impoverimento delle famiglie dei lavoratori e
quindi una ulteriore caduta della domanda di beni di consumo da parte di tali
famiglie, che aggravò le difficoltà delle imprese
● ridurre
i prezzi
Secondo i neoclassici, poichè
la domanda di un bene è inversamente proporzionale al suo prezzo, una
diminuzione dei prezzi avrebbe stimolato una maggiore domanda e quindi una
ripresa economica.
In realtà la diminuzione dei
prezzi ebbe come effetto di impoverire gli imprenditori diminuendone i
profitti. Le famiglie degli imprenditori diminuirono le loro spese per consumi
aggravando la caduta della domanda. Inoltre gli imprenditori divennero ancora
più pessimisti sulle prospettive di un investimento, e quindi diminuì anche la
domanda di beni di investimento
● ridurre
i saggi di interesse
Secondo i neoclassici gli
investimenti degli imprenditori dipendevano dai saggi di interesse: se il
denaro era a buon mercato (saggi di interesse bassi) essi avrebbero chiesto
prestiti per acquistare beni di investimento.
Secondo gli economisti
neoclassici, se la scarsa spesa delle famiglie era dovuta ad eccessivo
risparmio il saggio di interesse sarebbe crollato, producendo due conseguenze
che avrebbero consentito la ripresa del sistema:
▸ le famiglie, scoraggiate dai bassi saggi di
interesse, avrebbero rinunciato a risparmiare e ripreso a consumare;
▸ le imprese, invogliate dai bassi saggi di
interesse, avrebbero aumentato i propri investimenti
In realtà i fatti dimostrarono
che gli imprenditori, nel decidere gli investimenti, erano più sensibili alle
aspettative di profitto che al saggio di interesse: se un imprenditore vede i
prezzi crescere e la domanda aumentare egli farà investimenti anche se i saggi
di interesse sono alti; se un imprenditore vede i prezzi e la domanda diminuire
egli prudentemente rinuncerà a fare investimenti anche se il saggio di
interesse è molto basso
I fatti diedero ragione a
Keynes, secondo il quale l'investimento dipende dall'ottimismo degli
imprenditori, le cui aspettative di profitto diventano favorevoli quando essi
notano un aumento di domanda aggregata.
● Trionfò la scuola keynesiana, che sosteneva
che la produzione, l'occupazione e il reddito dipendono dalla domanda; che lo
stato deve intervenire per sostenere tale domanda nei momenti di crisi,
attraverso spese pubbliche; che ridurre il deficit pubblico, i salari e i
prezzi può solo aggravare la crisi, poich‚ priva le famiglie e le imprese del
potere di spesa e toglie il sostegno delle spese pubbliche.
● La crisi del 1929 mostrò che lo stato doveva
intervenire, soprattutto con la spesa pubblica, nelle fasi di depressione, per
evitare una eccessiva caduta della domanda
IL WELFARE STATE
Il "welfare state", o
"stato sociale" o "stato assistenziale" o "stato del
benessere" ha le seguenti caratteristiche:
● Conserva le conquiste dello stato liberale: è
uno stato di diritto basato sul principio di legalità (cioè uno stato in cui la
legge del Parlamento regola i doveri e i diritti dei cittadini, l'attività del
potere esecutivo, l'attività del potere giudiziario), tutela i diritti
fondamentali dell'individuo; è caratterizzato dalla separazione dei poteri, è
caratterizzato dalla separazione tra Stato e Chiesa, si basa sulla sovranità
popolare attuata mediante la rappresentanza democratica
● Compatibilmente con l’intervento in economia e
a sostegno delle categorie deboli, è uno stato laico, basato sulla separazione
tra Stato e società civile, tra Stato e Chiesa, tra Stato e cultura, tra Stato
ed attività economica privata.
● Integra il principio di legalità dello stato
liberale con il principio di costituzionalità, secondo il quale anche
l'attività del parlamento è regolata da una fonte superiore alla legge del
Parlamento, cioè una Costituzione rigida, che il Parlamento può modificare solo
con procedure aggravate e con quorum (2/3 dei voti) che non possono essere
ottenuti senza l'accordo di maggioranza e minoranza; inoltre alcune parti della
Costituzione, come la forma repubblicana, il principio democratico, il
suffragio universale, la parità tra uomo e donna, la libertà sindacale, la
tutela dei diritti fondamentali, non possono essere modificate neanche dal
Parlamento; un apposito organo, la Corte Costituzionale, ha il potere di
annullare le leggi ordinarie contrarie alla Costituzione
● E' uno stato pluriclasse, che, col suffragio
universale attribuisce rappresentanza politica anche alle classi meno abbienti
● E' uno stato interventista e ad economia mista
▸ A partire dalla crisi del 1929 interviene nell'economia con gli strumenti
della politica economica (emanazione di norme, politica monetaria, politica di
bilancio, politica dei redditi) per assicurare la massima occupazione, il
controllo delle crisi cicliche dell'economia, lo sviluppo economico e altri
importanti obiettivi allo scopo
▸ Economia mista: la iniziativa economica privata
è integrata dalla iniziativa economica pubblica che produce servizi pubblici a
basso costo per le classi meno abbienti lo stato interviene anche nell'attività
produttiva, direttamente (aziende autonome), o indirettamente (enti pubblici
economici, partecipazioni statali)
● Il rapporto tra stato e cittadini non è più
basato sul principio di controprestazione ("ciascuno ottiene dallo stato
una quantità di servizi corrispondente a quanto ha pagato con le
imposte"), ma sul principio di solidarietà ("ciascuno deve pagare
tributi in base alla sua capacità contributiva, e non può pretendere che questi
tributi siano spesi a suo esclusivo vantaggio, ma accetta che vengano impiegati
anche per garantire le condizioni di vita di altre persone diverse da quella
che ha pagato il tributo").
Il passaggio dal principio di
controprestazione a quello di solidarietà implica che l’onere tributario viene
ripartito (= i tributi vengono ripartiti) tra i contribuenti in base al
principio di capacità contributiva: non più “contribuire in relazione a ciò che
si riceve dallo Stato”, ma “contribuire in relazione alla propria capacità
contributiva”, cioè, in ultima analisi, alla propria capacità economica. Il
principio di capacità contributiva è la applicazione, in campo tributario, del
principio di solidarietà.
La solidarietà tra classi
sociali va a vantaggio di tutti: tutti hanno la sicurezza di ricevere un aiuto
dallo stato nel momento del bisogno; tutti possono sviluppare i propri talenti
a vantaggio della collettività; l'accesso all'istruzione e alla cultura
garantito a tutti crea una società politicamente più consapevole e in cui i
contatti umani sono più vantaggiosi e interessanti.
● E’ uno stato che cerca di realizzare la
giustizia sociale
▸ E' uno stato che, insieme alla solidarietà
sociale, e per suo tramite, cerca di realizzare la "giustizia sociale",
che consiste nella eliminazione di disuguaglianze (economiche, sociali) e
situazioni di bisogno che sono oggi avvertite come ingiuste o eccessive perché
non garantiscono che ciascuno riceva ciò che gli spetta in relazione ai bisogni
suoi e della sua famiglia.
▸ Per eliminare le diseguaglianze lo stato
redistribuisce la ricchezza spendendo a favore delle classi meno abbienti ciò
che preleva alle classi più abbienti
▸ Lo stato si preoccupa di fornire a tutti le
basi materiali minime per lo sviluppo della personalità, offrendo servizi
pubblici gratuiti o a basso costo e opportunità di lavoro a tutti
▸ Lo stato protegge le "categorie
deboli": donne, lavoratori, anziani, persone sprovviste di mezzi, persone
che vivono in aree depresse etc.)
A questo scopo talvolta lo
stato abbandona il principio di eguaglianza di fronte alla legge, favorendo con
le proprie norme le categorie più deboli (esempio: i lavoratori possono
scioperare, mentre l'imprenditore che chiude lo stabilimento deve comunque
pagare le retribuzioni; i lavoratori possono licenziarsi in qualsiasi momento,
mentre l'imprenditore può licenziare solo per giusta causa; i cittadini
portatori di handicap sono favoriti nell'accesso agli impieghi pubblici
rispetto ai cittadini non portatori di handicap; etc.). La importante
legislazione a favore di queste categorie prende il nome di "legislazione
sociale"
● E' uno stato pluralista, che favorisce la
presenza di molteplici formazioni sociali (partiti, sindacati, associazioni,
gruppi religiosi etc.) perché riconosce che esse sono importanti strumenti per
lo sviluppo della personalità del cittadino e per la sua partecipazione alla
vita politica
❍ Assistenzialismo, crisi fiscale, aumento del debito
pubblico (anni ’60-’80)
Lo stato “assistenzialistico”
(termine peggiorativo rispetto a “stato assistenziale”) è una forma errata di
attuazione dello stato sociale
Gli aspetti più rilevanti dello
stato assistenzialistico riguardano:
▸ La esistenza e il ruolo negativo dei gruppi di
pressione
Oltre che nella forma di
sindacati o di partiti i gruppi di pressione o “lobbies" (singolare
"lobby") possono organizzarsi sotto forma di attività di propaganda e
pressione politica su iniziativa di categorie professionali (taxisti, notai,
autotrasportatori etc.) o imprenditoriali (produttori di latte, agricoltori,
produttori di formaggi etc.).
Le forme di propaganda e
pressione politica possono essere le più varie, dalla elezione di deputati e
senatori con i voti degli appartenenti alla categoria, alla partecipazione ad
udienze presso le commissioni parlamentari o il Governo per illustrare le
necessità della categoria, alla richiesta al governo o a gruppi di deputati o
senatori di particolari provvedimenti, alla corruzione vera e propria.
Questo lavoro di
"lobbying", in taluni paesi è addirittura regolamentato da apposite
norme: ad es. dal "Lobbying Act" americano.
Il lavoro di
"lobbying" è finalizzato alla emanazione di norme, provvedimenti,
erogazioni di denaro e agevolazioni a favore della categoria considerata
▸ Le spese inutili e parassitarie vanno fuori
controllo: lo stato non riesce più a controllare e a limitarle perché mancano
efficaci meccanismi di controllo da parte della opinione pubblica o dei vertici
dello Stato.
▸ Il tentativo da parte dello stato
assistenzialistico di soddisfare tutti (o comunque un numero elevatissimo) i
bisogni dei cittadini
▸ Il fatto che lo stato dia tutto a tutti, anche
alle famiglie abbienti che non avrebbero bisogno di aiuto pubblico.
▸ Sostegno alle imprese decotte
▸ Inefficienza della Pubblica Amministrazione
▸ Soldi invece che servizi
▸ Evasione fiscale
▸ Produzioni pubbliche sottratte senza ragione
ai privati
▸ Sistema previdenziale eccessivamente generoso
Negli anni ’90 si ha un
ridimensionamento del Welfare State, in particolare con le privatizzazioni e la
riforma del sistema pensionistico. Si ha una politica finanziaria e monetaria
più austera, "di risanamento" per l'ingresso dell'Italia nell'area
dell’euro
GLOBALIZZAZIONE E OCCUPAZIONE NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI
❍ Il calo dell’occupazione nei paesi industrializzati
L'occupazione nei paesi
industrializzati sta drasticamente riducendosi per diversi motivi:
● Le fabbriche occidentali si spostano nel terzo
mondo
● La globalizzazione rende possibile spostare le
imprese verso le aree che offrano le condizioni più favorevoli:
● basso
costo del lavoro
● flessibilità
del lavoro
● basse
imposte
● bassi
oneri sociali
● bassi
costi ecologici
● pubblica
amministrazione efficiente o corrompibile
● buone
infrastrutture e sistemi di comunicazione
● La automazione e la informatizzazione del
processo produttivo continuano ad incrementare la produttività per addetto
A partire dalla seconda metà
degli anni '80, per la prima volta dall'inizio del processo, l'automazione, pur
facendo aumentare il prodotto, ha cominciato a far diminuire i lavoratori. Già
negli anni precedenti la crescita dell'occupazione era andata gradualmente
arrestandosi: in Francia, dal dopoguerra ad oggi, il PIL è cresciuto del 700%
mentre l'occupazione è cresciuta solo del 70%
● Il "ridisegno globale del processo
produttivo" ("RDP") secondo il modello sperimentato inizialmente
alla Toyota, ma oggi diffuso in tutto il mondo, sta portando gradualmente le
grandi imprese e poi le piccole ad eliminare le sacche di lavoro improduttivo
con l'obiettivo di saturare il tempo di lavoro di tutti i componenti
dell'organizzazione, dirigenti compresi, al 100%, e di ricavare da tale 100% il
doppio o il triplo delle prestazioni di prima; pagando molto di più la metà
restante degli addetti iniziali che reggerà questa sfida. Questo si ottiene in
vari modi:
● Outsorcing e produzione "just in
time"
l'impresa si concentra sulle
lavorazioni fondamentali e sulla progettazione del prodotto a partire dalle
esigenze manifestate dal cliente: la produzione di semilavorati e di servizi
(software, servizi legali, ecc.) viene appaltata a ditte esterne che debbono
agire "just in time", cioè consegnare il prodotto con tempi
brevissimi di preavviso, pena la perdita del contratto di fornitura. In questo
modo l'impresa azzera i costi di magazzinaggio, in quanto produce solo quando e
quanto le serve per evadere gli ordini effettivamente ricevuti. Quando
l'impresa non ha bisogno dei servizi dell'impresa satellite, semplicemente non
rinnova il contratto, risparmiando così i costi di licenziamenti e di cause
legali con i lavoratori
● Informatizzazione
spinta dei servizi amministrativi: telelavoro, archiviazione elettronica dei
documenti, esecuzione automatizzata della pratiche di ufficio (compresi
rimborsi e rapporti commerciali con fornitori e clienti e banche) ecc.
● I paesi in via di sviluppo, grazie
all'"outsorcing" delle imprese occidentali, offrono servizi e
semilavorati in competizione con i fornitori nazionali. Infatti, ormai le
imprese europee contattano i fornitori via internet in tutto il mondo in modo
che l'impresa possa approfittare anche delle offerte delle imprese dei paesi in
via di sviluppo
● Il settore dei servizi, che tradizionalmente
assorbiva la manodopera espulsa dal settore primario e secondario, è stato
anch'esso investito dalla rivoluzione informatica, e non è più in grado di dare
occupazione. Inoltre, il settore dei servizi, che sinora era rimasto al riparo
dalla competizione internazionale, oggi, grazie alla facilità di spostamento
delle persone, al miglioramento delle telecomunicazioni e dei trasporti, entra
sempre più in competizione con altre nazioni: odontotecnici cinesi garantiscono
ormai il 50% delle lavorazioni degli studi dentistici francesi; cliniche
svizzere, americane, brasiliane entrano in competizione con ospedali europei;
l'industria del turismo e del divertimento compete ormai a livello mondiale;
persino le pubbliche amministrazioni dei vari stati competono per accaparrarsi
le imprese.
● I paesi in via di sviluppo creano proprie
imprese che riescono a competere con quelle dei paesi avanzati grazie a una
forte politica di investimenti in istruzione e ricerca. Il "teorema dei
costi comparati" dell'economista inglese dell'ottocento David Ricardo
veniva spesso ripetuto in passato per dimostrare che ogni paese si specializza
in relazione alla qualità delle risorse possedute: in particolare, i paesi con
lavoratori più qualificati e istruiti si sarebbero accaparrati le produzioni a
più alto contenuto tecnologico, mentre quelli con manodopera meno qualificata
si sarebbero specializzati nell'agricoltura o nell'estrazione delle materie
prime o nei settori manifatturieri più tradizionali (tessile). In tal modo i
paesi occidentali speravano di mantenere indefinitamente la leadership
economica e tecnologica. Già ora, alla fiera di Shangai sono numerosissime le
imprese italiane che acquistano macchinari. E sono macchinari che non hanno
nulla da invidiare come livello tecnologico a quelli prodotti in occidente. E
chip sofisticatissimi sono prodotti a Manaus, al centro della foresta
brasiliana. Questo perché tali paesi hanno inventato un nuovo modello economico
estremamente competitivo, basato sulla specializzazione su determinate produzioni
di esportazione, e sul reinvestimento dei profitti esclusivamente in
istruzione, investimenti, ricerca, evitando di spendere per l'ambiente, per il
welfare, ed evitando la legislazione sociale che potrebbe aumentare il prezzo
del lavoro. E' un modello basato su una forte disciplina, sul gusto del lavoro,
su una grande considerazione della istruzione e della tecnologia. Nel 2010 il
95% della popolazione lavorativa di questi paesi sarà laureata, e la
preparazione matematica e scientifica degli studenti, compresi gli studenti
medi, è eccellente, e superiore a quella di molti paesi occidentali. Già oggi,
nelle facoltà scientifiche delle università statunitensi il 90% dei laureati è
di origine asiatica, mentre la popolazione bianca preferisce facoltà come quelle
di medicina o legge, e considera l'inserzione dell'insegnamento della
matematica nei curriculum universitari "uno scherzo di cattivo gusto"
(per usare le parole di un famoso scienziato).
Flessibilità nel mercato del
lavoro vuol dire:
● Contratti di lavoro a termine stagionali,
annuali o pluriennali (3-5 anni): sono utili alle imprese per lavori
stagionali, o per aumenti della domanda che si prevedono tempranei, o per
sostituire personale a tempo pieno temporaneamente assente
● Forti investimenti nel sistema scolastico e di
formazione, per creare lavoratori duttili e capaci di affrontare nuovi compiti
e riqualificarsi
● Incentivo allo sviluppo del lavoro part-time,
eliminando quelle regole che lo rendono (come oggi in Italia accade) più
oneroso del lavoro a tempo pieno.
● Sviluppo del "telelavoro" (lavoro a
distanza)
● Sviluppo del lavoro interinale (in affitto):
agenzie specializzate di intermediazione forniscono alle imprese la manodopera
di cui hanno bisogno per periodi temporanei; questi lavoratori hanno stipulato
un contratto di impiego con l'agenzia
● Apertura del mercato del lavoro anche agli
adolescenti e ai giovani, come avviene in Germania, dove una quota di lavoro
estivo è svolta da studenti che vengono reclutati dalle fabbriche
● Liberalizzazione della intermediazione
lavorativa, con la fine del monopolio pubblico del collocamento e l'ingresso di
agenzie private di collocamento della manodopera
● Rimozione dei limiti all'orario di lavoro, la
cui durata non è più fissata per legge ma stabilita dalla libera
contrattazione, ed adeguata alle esigenze di sfruttamento degli impianti
(lavoro notturno, festivo ecc.) in relazione alle esigenze delle imprese, che
preferiscono nettamente incentivare gli straordinari anziché assumere
manodopera aggiuntiva, in quanto questo si traduce in una maggiore flessibilità
● Rimozione parziale o totale dei limiti alla
immigrazione di manodopera straniera, comunitaria ed extracomunitaria
● Possibilità di licenziare i lavoratori
velocemente in caso di crisi aziendali per poi riassumerli durante la
successiva ripresa.
● Possibilità di scelta dei lavoratori da
assumere da parte delle imprese. Questo costringerebbe ad es. le donne, se
volessero essere assunte, a rinunciare ai lunghi periodo di assenza per
maternità di cui ora usufruiscono
● Apprendistato, salario d'ingresso, contratti
di formazione, con salario e contributi ridotti per compensare i costi
dell'addestramento
● Riduzione drastica degli oneri sociali a
carico delle imprese e sviluppo dei fondi pensione integrativi a carico dei
lavoratori. L'economista italiano Mario Baldassarri propone addirittura di
azzerare per due-tre anni gli oneri sociali per l'assunzione di manodopera
giovanile nel sud (naturalmente in tal caso sarebbero i giovani che dovrebbero
versare privatamente i contributi per il fondo pensione integrativo)
● Corsi di riconversione a carico dello stato
per promuovere la riqualificazine professionale
● Gabbie salariali" diverse da regione a
regione: nelle regioni con più alta disoccupazione dovrebbero essere permessi
salari più bassi, in modo da creare maggiore occupazione e spingere i
lavoratori a migrare verso aree a salari più alti
● Incentivi alla mobilità geografica dei
lavoratori, mediante la predisposizione di infrastrutture capaci di accogliere
gli emigrati. In USA vi sono vaste aree delle periferie cittadine attrezzate a
camping, dove i lavoratori migranti risiedono, vivendo nei camper e spostandosi
alla ricerca di lavori stagionali o della durata di qualche anno
● Controllo dei prezzi degli affitti, dei
profitti dei commercianti e dei servizi essenziali (acqua, gas, ecc.) che lo
stato fornisce ai lavoratori, e che si traducono, se troppo elevati, in
rivendicazioni salariali
● Minimi salariali legali molto bassi o assenti
● Salari legati maggiormente individualizzati,
non legati rigidamente alla contrattazione sindacale uniforme, ma alla
produttività, alla efficienza del lavoratore, all'andamento della produzione
● Eliminazione degli ostacoli alla mobilità
interna della manodopera: il lavoratore non ha più diritto a mantenere le
mansioni per cui è stato assunto, ma, in relazione alle esigenze dell'impresa,
può essere destinato a nuove mansioni, eventualmente inferiori, o spostato in
unità produttive dislocate in tutto il paese
● Eliminazione della indicizzazione automatica
dei salari: la crescita dei salari deve essere collegata alla crescita degli
utili o della produttività dell'impresa
● Attenuazione della legislazione sociale che si
traduce in oneri economici aggiuntivi per l'impresa, ad es. quelle riguardanti
la tutela della sicurezza sul posto di lavoro, l'obbligo di assunzione di
lavoratori disabili, ecc.
I paesi che hanno reso
"flessibile" il loro mercato del lavoro sono riusciti a tenere bassa
la disoccupazione: in USA si sono creati dal 1980 ad oggi 12 milioni di posti
di lavoro, mentre in Europa, nello stesso periodo, sono stati soppressi un
milione di posti di lavoro. La disoccupazione USA è al 5%, quella europea al
12% e quella giapponese al 4%. Si tratta però di posti di lavoro
"flessibili", per la quasi totalità nei servizi, a tempo determinato,
spesso a reddito bassissimo, talvolta al disotto o vicino al limite di
sussistenza, per cui in USA si parla ormai di "working poors": di
"poveri che lavorano", non avendo neanche più il diritto ad una
indigenza senza lavoro.
❍ Necessità di riqualificare il lavoro nei paesi
industrializzati
Gli economisti sono concordi
nell'affermare che nel lungo periodo gli unici differenziali salariali che
potranno reggere sono quelli giustificati da competenze professionali che
generano maggiori produttività. Gli stati occidentali debbono specializzare i
propri lavoratori nelle produzione intellettuali e "difficili", che
gli altri paesi meno avanzati non sono in grado di svolgere. Le aree in cui i
lavoratori occidentali dovranno mostrare competenze migliori di quelli degli altri
paesi saranno i servizi finanziari, la pubblica amministrazione, la formazione,
la ricerca, l'organizzazione della produzione attraverso il coordinamento di
innovazione, progettazione, fabbricazione e vendita.
Il costo del lavoro orario non
è più sufficiente a vincere il confronto nella competizione globale, quando
manca la flessibilità. Si tratta della possibilità di contrattare ore di lavoro
straordinario e giornate lavorative più lunghe, distribuite su turni
appropriati ai macchinari, ecc. Anche se il costo di un'ora lavoro in Italia è
allineato alla media europea, tuttavia un lavoratore giapponese lavora in un
anno quanto un lavoratore italiano in 15 mesi, e un lavoratore coreano quanto
un lavoratore italiano in 18 mesi.
❍ Le ragioni del successo delle politiche keynesiane del
dopoguerra
Le politiche keynesiane del
dopoguerra hanno successo per una combinazione forse irripetibile di fattori
favorevoli:
● Il commercio internazionale si svolgeva tra
paesi omogenei sotto il punto di vista sociale, politico, economico, sotto la
leadership USA che assicurava stabilità monetaria. Ciò voleva dire che
qualsiasi conquista in un paese (welfare state, pensioni elevate, salari
elevati) si estendeva per effetto imitativo rapidamente anche agli altri paesi,
in modo da non costituire uno svantaggio competitivo per nessuno di essi
● Un paese poteva permettersi conti pubblici in
disordine, spese eccessive per il Welfare state, alti salari, perché comunque
gli altri paesi facevano altrettanto
● L'Asia e l'Africa non potevano partecipare
alla competizione economica perché non potevano ancora prendere parte a
processi produttivi tecnologicamente avanzati, che richiedevano mano d'opera
qualificata, in grado di operare con macchinari molto sofisticati. In pratica
la politica keynesiana si è potuta attuare esclusivamente nei paesi ricchi
● C'era la forte domanda provocata dalla
ricostruzione post-bellica
● C'era la stabilità monetaria perché gli USA
avevano riserve auree in grado di tenere sotto controllo e stabilizzare le
oscillazioni e svalutazioni dei cambi
● Un altro grosso aiuto alla domanda aggregata
fu dato dalla guerra di Corea
● La mancanza di turbolenze speculative, per la
difficoltà di spostare in tempo reale i capitali in mancanza di strumenti
telematici favoriva lo sviluppo economico
● I vari paesi avevano dei cicli economici
asincroni, in modo che quando l'economia di uno di essi imboccava la strada
recessiva, c'era un'altra economia in fase espansiva che attenuava gli effetti
della crisi.
❍ La fine delle politiche
keynesiane rigorose
La politica keynesiana
"seria" cessa in realtà nel '63-'64. Negli anni successivi l'intervento
keynesiano fu attuato in senso sbagliato, con connotazioni politiche e non
economiche: Un intervento keynesiano richiede essenzialmente flessibilità, per
poter contrastare gli opposti pericoli del ciclo economico: inflazione e
ristagno economico. E una politica keynesiana flessibile può essere attuata
unicamente con la leva degli investimenti. Gli investimenti possono essere
variati senza che l'opinione pubblica intervenga ad interferire, in modo veloce
e tempestivo. Invece di agire con le spese di investimento, per motivi politici
e clientelari si scelse la via delle spese sociali: spese per il welfare e
pensionistiche, che sono spese - a differenza di quelle di investimento - molto
rigide, che una volta impegnate non si possono più ritirare. Questo perché il
debito pubblico e lo stato sociale divenne un "surrogato del
comunismo". L'Italia aveva un ruolo strategico troppo importante per
l'occidente. Così fu bloccata l'avanzata del comunismo e furono allargati i
cordoni della spesa pubblica. I partiti di sinistra, presi in contropiede da
questa politica, per non fare la figura di coloro che si opponevano alle spese
a favore della collettività, sottoscrissero pienamente tali spese. Il 90% delle
leggi di "spesa allegra" degli anni '70 e '80 in Italia sono basate
sull'accordo di tutti i gruppi politici. Tra l'altro, mentre la spesa per
investimenti ha il massimo effetto moltiplicativo, anche attraverso il
meccanismo dell'acceleratore, la spesa sociale ha scarsi effetti
moltiplicativi: i pensionati risparmiano una grossa fetta del loro reddito e,
come keynes insegna, molti piccoli redditi attribuiti a tanti soggetti
significano bassa propensione al consumo. La curva di Phillips fu utilizzata
come strumento di politica economica. Secondo la sua interpretazione più
accreditata, un aumento dei prezzi avrebbe consentito un aumento dei salari e
quindi un aumento dell'occupazione e della domanda.
❍ La stagflazione, la globalizzazione e la fine della
possibilità pratica delle politiche keynesiane
Con la crisi del 1929 entra in
crisi il modello neoclassico.
Con la stagflazione entra in
crisi operativa il modello keynesiano: le politiche di spesa si possono
attuare, ma gli effetti sono sempre meno incisivi: si scatena l'inflazione
senza che aumenti significativamente l'attività economica e l'occupazione, che
rimangono stagnanti
Con la globalizzazione le
politiche espansive basate sulla spesa pubblica non si possono più attuare, ed
il modello keynesiano entra definitivamente in crisi.
Con la stagflazione entra in
crisi il modello basato sulla equivalenza inflazione = occupazione che era
stabilito dalla curva di Phillips. Tra le cause della inflazione stagflattiva
vi sono gli aumenti delle materie prime degli anni '70, tra cui quelle
petrolifere, l'esplosione del costo del lavoro (con l'"autunno caldo"
del 1968 e il terrorismo). Anche i disavanzi pubblici, provocati dalle istanze
sociali contribuirono alla inflazione. La stagnazione e la disoccupazione
stagflattive furono dovute alla instabilità dei cambi. Nel 1971, con l'annuncio
di Nixon della inconvertibilità del dollaro in oro, cade il sistema di Bretton
Woods ed iniziano le svalutazioni competitive e le politiche protezionistiche.
La instabilità dei cambi, le incerte prospettive del commercio internazionale,
la accesa conflittualità operaia, rendono incerte le aspettative degli
imprenditori, che in un quadro così poco chiaro e rischioso diminuiscono
notevolmente gli investimenti. Gli anni '80 sono gli anni della spesa pubblica
allegra. Ma alcuni paesi si fermano prima e invertono la marcia: USA,
Inghilterra.
❍ I modelli capitalistici più
efficienti
Oggi i modelli capitalistici
più efficienti sono di tre tipi: modello anglosassone, modello giapponese,
modello coreano e sud-est asiatico
● Modello anglosassone (USA, inghilterra).
Si tratta di un capitalismo non
solidarista, il cui principale valore è l'efficienza. In pratica è assente il
Welfare: 50 milioni di persone sono sprovviste di assistenza medica gratuita.
Persino i programmi di assistenza medica "Medicare" e
"Medicaid" coprono solo il 35% delle spese mediche: in pratica il
paziente si paga tutte le spese mediche. I disoccupati fruiscono di sussidi
solo per 5 anni, di cui solo tre anni sono di sussidi continuativi.
● Modello giapponese
Si tratta di un welfare
familiare e aziendale. Sono le grandi aziende che assumono i figli dei
lavoratori, anche in soprannumero, consentendo loro di mantenere i genitori.
Infatti non ci sono pensioni. Gli anziani possono trovare sostentamente nel
settore della distribuzione commerciale al minuto, dove è stato bloccato
l'ingresso delle grandi imprese: si tratta di una miriade di piccoli negozi che
danno da vivere agli anziani.
● Modello coreano e del sud-est asiatico
Si tratta di un capitalismo
autoritario. Tutti sono al corrente degli scioperi dei lavoratori coreani di un
anno fa contro le dure condizioni di lavoro. Nonostante questo, oggi le imprese
coreane hanno ottenuto dal governo una legislazione che consente loro
licenzialenti in massa che consentono di spostare le imprese in Cambogia e
altri paesi con manodopera a basso costo. Anche la Cina non si può più ormai
definire comunista.
Oggi una impresa non è più
collegata ad un dato stato: non si parla più di imprese "nazionali":
l'impresa sceglie (ed è costretta a farlo) di andare a produrre laddove la
pressione fiscale, la legislazione ambientale, il costo del lavoro, la
conflittualità sociale sono più basse e più vantaggiose per lei e la Pubblica
Amministrazione è efficiente o comunque facilmente corrompibile. Oggi si
registrano investimenti coreani in Galles. L'Irlanda ha avuto il più alto
sviluppo del PIL in Europa perché offre vantaggi competitivi alle imprese
estere, primi fra tutti un basso costo del lavoro e una bassa tassazione (10%)
degli utili di impresa. Una impresa che non facesse questo sarebbe spacciata.
La produzione Olivetti di personal computer è stata stroncata dall'alto costo
del lavoro italiano. Già oggi gli esperti sono concordi nel dire che non si
potranno più produrre auto in Europa, dato soprattutto l'alto costo del lavoro.
E spesso le imprese non hanno bisogno di andare lontano: come si fa ad impedire
ad una impresa tedesca di ridurre di dieci volte i costi del lavoro spostandosi
di soli 30-40 chilometri, oltre la frontiera con i paesi dell'est europeo?
Oggi la possibilità di
politiche keynesiane espansive basate su una forte spesa pubblica, che fa
aumentare prezzi e occupazione, è cessata con l'allargamento della scena
economica. Se oggi provassi ad alzare i prezzi in ossequio alla curva di
Phillips, e non lo facessero anche la Cina e gli altri paesi emergenti, io non
venderei più nulla da un giorno all'altro. Non può essere tollerata neanche una
minima inflazione. Perfino una inflazione differenziale del 5% su base annua
porterebbe in 5 anni ad una differenza di prezzo del 12% rispetto alla
concorrenza. E allora non si venderebbe più nulla. Globalizzazione vuol dire
necessità di inflazione bassa, di politiche restrittive. Mentre l'epoca
keynesiana è stata l'epoca della inflazione, l'epoca della globalizzazione è
l'epoca della deflazione (competitiva). Ma i danni della deflazione selvaggia
sono se possibile ancora maggiori di quelli della inflazione: un imprenditore
che sopporta costi di 100 per vendere un prodotto a 90 vede ridursi margini di
profitto e diminuisce investimenti e domanda di lavoro. I consumatori, che si
aspettano una diminuzione dei prezzi, sono invogliati maggiormente a
risparmiare e a posticipare i consumi, cosicché la domanda di consumo ristagna.
Ma i governi non possono permettersi più l'inflazione. Anche un differenziale
inflattivo di 0,1% segnalerebbe agli investitori internazionali che il prezzo
dei prodotti è destinato in un arco di tempo più o meno lungo a divenire non
competitivo, e gli investimenti abbandonerebbero istantaneamente paesi le cui
imprese sono destinate a finire fuori mercato. Gl investitori fuggono anche
perché si aspettano che la moneta di un paese che ha un differenziale positivo
di inflazione sia destinata a svalutarsi a più o meno breve termine. Il crollo
delle borse del sud est asiatico insegna quanto sia pericolosa, spietata e
frenetica oggi la speculazione internazionale: i paesi di tale area avevano
tutti i fondamentali parametri macroeconomici in regola: bassa inflazione, alti
investimenti, alto tasso di risparmio, conti pubblici in regola. Azioni e
obbligazioni non erano supervalutate, non esisteva una reale bolla speculativa
da eliminare. Ma questi paesi hanno commesso l'errore di promuovere
investimenti in numero troppo alto o a troppo lungo termine: nella borsa di
Shangai si contrattavano azioni e obbligazioni di aeroporti ancora da
costruire. E' bastato che gli investitori abbiano fiutato un lieve ritardo nel
ritorno degli investimenti e una lieve diminuzione dei profitti per scatenare
la fuga dalle borse asiatiche. Si tratta di "mercati di carta", emotivi,
dove il minimo sbaglio si paga con perdite di centinaia di milioni di dollari e
con danni alle economie.
❍ Globalizzazione e fine del
protezionismo
Globalizzazione vuol dire fine
del protezionismo: oggi un paese che produca prodotti tecnologicamente avanzati
(farmaci, prodotti elettronici di consumo ecc.) ha bisogno di una fetta di
almeno il 10-15% del mercato mondiale per ammortizzare costi come quelli di
ricerca e design. In certi settori la situazione è ancora più spinta: la Intel,
per continuare a produrre e sviluppare chip sempre più potenti per personal
computer ha bisogno di almeno il 70% del mercato. Una industria farmaceutica
spende mediamente per lo sviluppo di un nuovo farmaco, dall'inizio della
ricerca alla fase finale di sperimentazione umana e animale, imposta ormai
nella maggior parte dei paesi, in media 300 miliardi. Da qui la febbre di
fusioni e concentrazioni che si è abbattuta nel settore farmaceutico, alla
ricerca di quote di mercato sufficienti a finanziare le proprie spese.
❍ La globalizzazione mette in pericolo le politiche sociali
dei vari stati
Con la globalizzazione cessa la
possibilità di politiche sociali nei vari stati. Diventa sempre più difficile
per i paesi sviluppati operare politiche protezionistiche nei confronti dei
paesi in via di sviluppo, perché essi sono mercati di sbocco per le loro
produzioni o ospitano le loro imprese. I recenti episodi di indecisione dello
stato italiano nei confronti di episodi di immigrazione selvaggia di cittadini
albanesi è anche legato al fatto che ormai numerosissime imprese italiane
operano in Albania. Oggi un singolo stato non può permettersi di chiudere i
propri confini, perché ha bisogno di mercati di sbocco di sufficiente ampiezza,
ed e è costretto quindi a sopportare le leggi della deflazione competitiva e a
sottostare alle richieste delle imprese e degli investitori internazionali.
L'OCSE ha già predisposto al 90% una bozza di accordo internazionale che
sostanzialmente riconosce questa situazione, stabilendo addirittura l'obbligo
del risarcimento a carico di uno stato nei confronti di una multinazionale che
si sia insediata nel suo territorio se in un momento successivo tale stato
modifica uno dei seguenti dati: legislazione sul lavoro, legislazione fiscale,
legislazione sulla tutela ambientale, legislazione sugli aumenti e le
rivalutazioni salariali; legislazione sui minimi salariali in modo sfavorevole
per l'impresa ospite. Recentemente, nell'ambito del NAFTA ("North American
Free Trade Agreement") il Canada si è visto costretto a pagare un
indennizzo di 250 milioni di dollari a una impresa di raffinazione perché aveva
modificato la normativa sugli additivi della benzina, provocandole un danno
finanziario. In futuro nessuno stato avrà il coraggio di rifiutarsi di firmare
la convenzione OCSE, e allora diverrà difficile perfino adottare provvedimenti
a favore di handicappati, perché sarebbero ritenuti una modificazione delle
regole sul trattamento comparativo dei lavoratori. La firma di questa
convenzione sarà un modo di dire ai lavoratori: "basta rivendicazioni
sindacali. Basta politica di sostegno dei redditi. Altrimenti niente investimenti
e niente lavoro".
❍ La valutazione ottimista della globalizzazione
Gli ottimisti affermano che le
aree occidentali ancora per lungo tempo costituiranno le aree di consumo
principali del pianeta, perché i redditi dei paesi poveri non consentiranno di
sviluppare consumi di beni diversi da quelli di prima necessità. Ma anche
questa è una illusione: le previsioni di molti economisti parlano di una
"globalizzazione dei consumi" che andrà di pari passo alla
"globalizzazione della produzione": in un futuro ormai alquanto
prossimo 150-200 milioni di persone localizzate un po' in tutte le aree del
pianeta godranno di redditi elevati e costituiranno un gruppo di consumo non
legato a localizzazioni geografiche; il resto della popolazione mondiale avrà
redditi che andranno dalla semi-indigenza alla insufficienza per la
sopravvivenza. Già adesso, i viaggiatori in visita a Pechino incontrano uno
spettacolo impressionante di Jeep Toyota e Rolls-Royce, telefonini ed accessori
costosissimi esibiti accanto ad una folla di lavoratori che hanno salari di
pochi yuan al mese. Ogni area del pianeta avrà il suo piccolo gruppo di
benestanti che contribuirà alla domanda mondiale di beni di consumo. Non è improbabile
che lo stesso scenario si ripeterà nei paesi europei. Tanto per fare un
esempio, sono già 5.000 le imprese italiane in Bulgaria. Gli imprenditori
italiani stanno approfittando ampiamente delle possibilità di
internazionalizzazione, e con ciò assicurano il loro tenore di vita futuro. I
lavoratori italiani invece corrono un rischio concreto di crollo del loro
reddito.
❍ La perdita degli strumenti di politica economica dei
governi nazionali
In sintesi, oggi un paese che
intende aprirsi al commercio mondiale e che, prdipiù, come l'Italia, entra a
far parte dell'Unione Monetaria, perde la maggior parte degli strumenti di
politica economica. Non può fare politiche di bilancio espansive basate su un
aumento della spesa pubblica perché questo farebbe aumentare l'inflazione, e il
differenziale di inflazione nei confronti degli altri paesi Ue farebbe perdere
di competitività ai suoi prodotti. Inoltre, dovendo mantenere il rapporto debito/pil
al disotto del 60% e il disavanzo al disotto del 3%, anche volendo, lo stato
non può più fare spesa pubblica finanziandosi con prestiti, perché uscirebbe
dai parametri di Maastricht. L'Italia ha poi un debito pubblico così alto (124%
del pil) che gli interessi costituiscono ormai la quasi totalità del suo
disavanzo. Se non si vuole che il disavanzo vada fuori controllo occorre quindi
abbassare i tassi di interesse sul debito convincendo gli investitori esteri
con una politica di controllo dell'inflazione. Quindi, se l'Italia non vuole
che il debito esploda deve mantenere i tassi di interesse sul debito bassi, e
per far questo deve tenere sotto controllo l'inflazione, perché l'inflazione è
un importante parametro (accanto alla stabilità politica, alle garanzie di
solvibilità del debitore pubblico ecc.) che gli operatori economici impiegano
per valutare la sicurezza dell'investimento in obbligazioni del Tesoro. Non può
svalutare la moneta per rendere più competitivi i propri prodotti, poiché ormai
vi è una moneta unica. Non può aumentare l'occupazione nella pubblica
amministrazione, in quanto il debito pubblico è troppo elevato e non sono
consentite spese che lo aggraverebbero. Non può ricorrere a dazi doganali, in
quanto fa parte di un'area di libero scambio, e comunque, se vuole assicurarsi
mercati di approvvigionamento e di smercio non può chiudere le proprie
frontiere. Per questo si teme che l'euro finirà fatalmente per incidere sui
salari: l'abbassamento dei salari sarà infatti l'unico strumento di competizione
che rimarrà all'economia nel breve termine.
❍ La Unione Europea come risposta ai pericoli della
globalizzazione
Una possibile risposta UE a
questo stato di cose è il protezionismo. IL fatto di voler estendere la UE a 26
paesi potrebbe essere letto come un passo in questa direzione: cercare di
inglobare le aree di produzione agricole e le risorse petrolifere ed
energetiche dell'est europeo e poi chiudersi in un'area di libero scambio. Ma
col protezionismo se ne andrebbe un pezzo di democrazia. Dovremmo essere
costretti ad acqusitare e consumare non i beni che vorremmo, ma quelli che ci
sono imposti.
❍ Il declino della legislazione
sociale
Nel corso dell'ottocento ma
soprattutto del novecento la legislazione sociale ha potuto affermarsi con il
consenso delle imprese per diversi motivi:
● Esigenza
di nuovi sbocchi dei prodotti, che giustificava gli aumenti salariali e
l'aumento del tempo libero per i consumi
● Movimenti
socialisti e cristiani che affermano il concetto di eguaglianza tra gli uomini
● Rapida
estensione delle conquiste sociali da un paese all'altro, in modo che la
competitività reciproca rimanga immutata
● Il
governo di ciascun paese ha il potere legislativo
Oggi invece non si riesce a
convincere i paesi di nuova industrializzazione ad aderire a questo modello,
per vari motivi:
● L'economia
è fondata su poche produzioni specializzate e sulle esportazioni, in modo che
un aumento dei salari non amplierebbe il mercato di consumo
● L'idea
di eguaglianza è marginale nelle culture non cristiane, in cui invece è forte
il rispetto dell'autorità e delle gerarchie
● Data
la disomogeneità culturale è difficile che la legislazione sociale si estenda
rapidamente da un paese all'altro
● Non
esiste un governo mondiale capace di imporre norme di condotta agli stati
LE SCUOLE ECONOMICHE PIU’ RECENTI
❍ Le teorie economiche più recenti
▸ La scuola monetarista (o scuola di Chicago)
sostiene che la manovra della spesa pubblica è inutile e dannosa, e lo sviluppo
può essere garantito solo da manovre monetarie.
▸ La scuola delle scelte pubbliche è molto
critica nei confronti dell’eccessivo intervento pubblico. Questa scuola,
affermatasi nel corso degli anni Sessanta, specie per merito di James Buchanan,
analiza i meccanismi di decisione che presiedono alla formazione delle scelte
pubbliche nelle moderne democrazie parlamentari. In particolare, ha cercato di
spiegare il comportamento dell’operatore pubblico, considerando i sistemi
elettorali e i loro effetti sulle scelte collettive, i comportamenti della
classe politica e della burocrazia, le azioni dei gruppi di pressione (lobby)
ecc.
Il nucleo centrale della teoria
delle scelte pubbliche resta la convinzione che il settore pubblico abbia
raggiunto dimensioni abnormi, addirittura pericolose per la difesa delle
libertà individuali; occorre quindi un nuovo “patto sociale” fra i cittadini,
che consenta la riduzione dell’intervento pubblico e una ridefinizione dei
diritti individuali.
▸ Le critiche alla scuola keynesiana, diffusesi
dapprima in gran Bretagna e poi negli USA, hanno contribuito all’affermazione
del neoliberismo, dottrina politica che si propone la riduzione dell’intrvento
dello Stato nell’economia. Queta teoria non sostiene un ritorno alla finanza
neutrale: oggi anche i neoliberisti condividono l’idea che la finanza pubblica
svolge comunque un ruolo importante nel sistema economico. Essa però deve
limitarsi a garantire il sostegno allo sviluppo, in modo da favorire la
crescita della produzione (supply side
economics o economia dell’offerta), e non della domanda, che si deve
adeguare all’offerta n base al libero gioco della concorrenza o mediante le
manovre monetarie.
❍ Le posizioni della Scuola Monetarista o Scuola
di Chicago
A partire dagli anni '50 la
scuola monetarista (cosiddetta Scuola di Chicago) e poi un sempre
maggior numero di altri economisti, da un lato hanno denunciato gli aspetti
negativi delle politiche di bilancio di tipo keynesiano e dall'altro hanno
mostrato come le variabili monetarie sono in molti casi in grado di influenzare
le variabili reali della economia.
Quanto al primo punto essi
hanno denunciato:
● Gli effetti inflazionistici di politiche di
bilancio keynesiane
Aumentando la spesa dello stato
si immette moneta nel portafoglio di famiglie e imprese senza badare al
controllo di questo stock di moneta in circolazione
● Il crescente indebitamento pubblico derivante
dalle politiche di bilancio keynesiane
Per ragioni politiche (è più
facile chiedere prestiti che non rendersi impopolari con nuove imposte) ed
economiche (se lo stato si limita a rimettere in circolazione somme prelevate
con le imposte, che famiglie e imprese avrebbero comunque speso, la spesa
aggregata non aumenterebbe significativamente; se invece lo stato si finanzia
con i risparmi di famiglie e imprese spende somme che queste non avrebbero
speso, ed apporta un significativo incremento alla spesa aggregata) la spesa
pubblica è stata regolarmente finanziata con prestiti pubblici piuttosto che
con imposte
● Il danno per gli investimenti privati
Le crescenti necessità di
finanziamento da parte dello stato lo hanno portato a fare concorrenza alle
imprese per accaparrarsi il risparmio disponibile; come risultato il costo del
denaro è salito e gli investimenti privati sono diminuiti, senza che a
compensarli vi fosse un adeguato volume di investimenti pubblici (la spesa
pubblica finisce perlopiù in stipendi e in altre spese correnti non di
investimento)
Quanto al secondo punto essi
hanno messo in evidenza che:
● Se l'economia non è in una situazione di
massima occupazione, allora, secondo il pensiero neoclassico o monetarista
l'aumento di spesa provocato dall'aumento dello stock di moneta può contribuire
a far aumentare la produzione (variabile reale)
● Se invece si ritiene, con Keynes, che i soggetti
cercano di liberarsi dell'eccesso di moneta acquistando titoli, allora potrà
aversi una diminuzione del saggio di interesse sui prestiti e gli imprenditori,
notato che il denaro è più a buon mercato, aumenteranno gli investimenti,
facendo crescere il reddito nazionale (variabile reale)
I punti principali del pensiero
della Scuola di Chicago, il cui principale esponente è il premio Nobel per
l’economia Milton Friedman, sono i seguenti:
● La ricostruzione da parte di Keynes delle
cause della crisi del 1929 è errata e quindi la affermazione che la politica
monetaria si fosse rivelata inefficace era sbagliata
Secondo Friedman la crisi del
1929 non fu una crisi da carenza di domanda, ma da carenza di moneta. Essa non
era quindi dovuta a scarsa influenza della politica monetaria, ma al contrario
la (cattiva) politica monetaria delle autorità USA fu responsabile della crisi:
la Federal Reserve statunitense, durante la crisi economica, diminuì
notevolmente l’offerta di moneta, provocando in tal modo un ristagno
dell’economia.
● La affermazione di Keynes secondo cui le
economie ricche richiedono costanti spese dello Stato perché le famiglie dei
paesi ricchi tendono sempre più a risparmiare è falsa, e dovuta alla adozione
di un concetto di reddito – il reddito effettivo di una famiglia – che non è
collegato col suo risparmio, che dipende invece dal “reddito permanente”
L’idea che i paesi più ricchi
risparmino più dei meno ricchi è smentita dai fatti, che mostrano che la
percentuale S/Y del risparmio aggregato sul reddito nazionale si mantiene
costante nel tempo.
Keynes aveva dedotto, dal fatto
che le famiglie più povere risparmino meno delle famiglie ricche, la
conseguenza errata che quando il livello di reddito dello Stato si fosse
elevato anche le famiglie povere avrebbero aumentato il loro risparmio. Questo
perché egli pensava che il consumo dipendesse dal reddito effettivo della
famiglia. Secondo Friedman, invece, la differenza di risparmio tra famiglie
povere e famiglie ricche è collegata non al reddito effettivo ma al “reddito
permanente”, che è un concetto che tiene conto della variazione di reddito che
le famiglie si aspettano nel tempo: coloro che si trovano nelle classi di
reddito più alte rendono a risparmiare molto, in previsione di ritornare a
livelli di reddito più bassi. Allo stesso modo, coloro che si trovano a livelli
di reddito bassi, tenderanno a spendere una proporzione elevata del loro
rddito, dato che si apsettano di spostarsi verso livelli di reddito più
elevati. Perciò, quando un paese diventa più ricco, i livelli di risparmio
delle classi più abbienti e di quelle meno abbienti non dovrebbero
significativamente cambiare.
● La domanda di moneta è molto più stabile di
quanto pensava Keynes, che la faceva dipendere dalle aspettative instabili
degli imprenditori. Perciò la teoria quantitativa della moneta era
sostanzialmente esatta.
La teoria quantitativa della
moneta della scuola di Cambridge, sintetizzata dalla formula:
M · v = P ·Q
è sostanzialmente esatta, e va
interpretata nel senso che esiste un rapporto abbastanza stabile tra il volume
degli scambi e la quantità di moneta M: “v” può essere considerata una
costante, perché dipende dalla domanda di moneta, che è stabile e collegata ad
un numero limitato di variabili (come vedremo) e scarsamente sensibile al
saggio di interesse. Al massimo si può dire che tende a diminuire nei periodi
di recessione o ristagno, e ad aumentare nei periodi di espansione economica.
Nel lungo periodo, per tutta una serie di fattori, v tende a diminuire.
Comunque, quese lente modifiche
non hanno niente a che vedere con le variazioni repentine e violente che Keynes
pensava interessassero “k” e quindi “v”.
● La teoria quantitativa era nel giusto anche
per quanto riguarda il modo in cui famiglie e imprese si liberano dell’eccesso
di moneta: esse aumentano i loro acquisti di qualsiasi tipo di bene o servizio diverso dalla moneta e non si
limitano solamente ad acquistare titoli.
Queste attività non liquide
possono essere le più varie: le famiglie possono acquistare titoli a breve
termine, titoli a lungo termine, beni durevoli che forniscono utilità (es.
macchine, appartamenti, che forniscono quello che i monetaristi chiamano un
“reddito in natura”), beni di lusso (che non forniscono alcun reddito, ma, al
massimo un impiego durevole della ricchezza), in capitale umano (cioè in
istruzione e qualificazione professionale, che è simile ad un investimento che
darà redditi futuri) e in altro ancora.
Le vie e i meccanismi
attraverso cui un aumento della quantità di moneta porta all’acquisto di questi
beni possono essere i più vari, e non sono certamente limitati all’acquisto dei
titoli, come pensava Keynes: la spesa di beni durevoli può aumentare
direttamente quando i soggetti utilizzano la maggiore ricchezza posseduta, ma
anche indirettamente, quando le banche che hanno ricevuto i depositi di moneta
espandono il loro credito finanziando acquisti tramite mutui-casa o altri
prestiti al consumo.
Poiché le famiglie e le imprese
non concentrano tutta la loro spesa sui titoli, come pensava Keynes, l’effetto
di un aumento della quantità di moneta sul saggio di interesse è notevolmente
più basso.
Una consistente discesa del
saggio di intersse si potrà avere solo se le autorità scelgano, tra tutti i
mezzi per far aumentare la moneta, le operazioni di mercato aperto tramite
l’acquisto di titoli presso le famiglie. Ma anche in tal caso i tassi di
interesse tenderanno rapidamente a risalire.
● I monetaristi sono ancora più scettici di
Keynes sul legame tra saggio di interesse e investimenti
● L’offerta di moneta è “esogena”, cioè non è
sotto il controllo di famiglie e imprese, ma è largamente controllata dalle
autorità
● La domanda di moneta proveniente dagli
operatori privati (famiglie e imprese) è di due tipi:
● Domanda
fatta da famiglie che desiderano investire la propria ricchezza
● Domanda
fatta da imprenditori che chiedono finanziamenti per le loro attività
produttive
● La domanda di moneta fatta da soggetti che
desiderano investire la propria ricchezza dipende da due fattori:
● Reddito
degli individui
Anche Keynes pensava che il
reddito Y contribuisse a determinare la domanda di moneta (egli infatti
riconosceva l’esistenza di scorte transattive), ma riteneva che l’influenza del
reddito fosse meno importante di quella di fattori quali il saggio di
interesse, legato alla esistenza di scorte “oziose” (precauzionali e
soprattutto speculative)
Il reddito condiziona le
possibilità di spesa, e quindi anche la quantità di moneta che eventualmente un
individuo può permettersi di tenere.
Ma non è il reddito dei singoli
anni che i soggetti considerano nel programmare i loro acquisti, bensì il
“reddito permanente”, cioè una sorta di media di ciò che i soggetti
guadagneranno nell’arco della loro vita lavorativa.
● Rendimento
comparativo delle attività acquistabili come “portafoglio” (cioè “patrimonio”)
dagli individui
Ogni soggetto deve decidere
come ripartire la propria ricchezza tra una serie di attività patrimoniali:
moneta, titoli a breve termine, titoli a lungo termine, beni durevoli, beni di
lusso, capitale umano (cioè istruzione e qualificazione professionale per sé e
per i propri figli)
Nel far questo egli considera
che ogni attività patrimoniale ha un “reddito” o “rendimento”, che può essere
in denaro o in natura. Ad esempio il reddito della moneta è un reddito in
natura, e consiste nella utilità (in senso economico) e nella comodità di avere
scorte di moneta a disposizione. Contemporaneamente la moneta produce un
reddito negativo consistente nella mancata percezione degli interessi che si
otterrebbero dandola in prestito. Un’auto o un appartamento danno un reddito
che è pari rispettivamente al costo del trasporto pubblico e all’affitto che si
dovrebbe pagare per un’abitazione non di proprietà.
E’ importante notare che le
famiglie confrontano comunque sempre “rendimenti reali”, cioè depurati dalla
influenza dei prezzi. Anche le scorte monetarie che esse considerano sono
“scorte monetarie reali”, cioè scorte rapportate al livello dei prezzi degli
scambi cui esse sono destinate a far fronte.
La scelta di tenere scorte di
moneta di un certo ammontare dipende da questi calcoli, ed è scarsamente
influenzata dal saggio di interesse, come ritenevano Keynes e i neoclassici.
● La domanda di moneta fatta dalle imprese che
desiderano finanziare le loro attività produttive dipende dagli stessi fattori
(reddito e rendimenti delle attività) che influenzano le scelte dei
consumatori.
Tuttavia il reddito, e cioè le
dimensioni dell’impresa ha una importanza limitata: anche una piccola impresa
può ottenere un grande finanziamento
Per quanto riguarda i
rendimenti delle attività è ovvio che l’impresa li valuta in modo diverso da
una famiglia: le imprese saranno ad esempio molto più sensibili ai rendimenti
delle azion e delle obbligazioni rispetto alle famiglie.
● Se un sistema economico non dispone di una
quantià di moneta pari a k · Y esso avrà difficoltà a finanziare gli scambi
necessari per produrre un reddito Y
Se invece la quantità di moneta
è superiore a quella richiesta, si genera inflazione.
● Se invece la quantità di moneta è eccessiva,
si genera infallibilmente inflazione.
I monetaristi non si stancano
di far notare come la storia economica mostri che “ogni consistente aumento
della quantità di moneta è stato accompagnato da un consistente aumento dei
prezzi”, cioè da inflazione.
● Un eccesso di moneta non solo produce
inflazione, ma produce anche instabilità economica.
I monetaristi pensano che possa
innescarsi una catena di aggiustamenti difficile da interrompersi: un gruppo di
famiglie si libera della moneta in eccesso acquistando beni da un altro gruppo
di famiglie; successivamente il secondo gruppo di famiglie cerca di disfarsi a
sua volta della moneta, scatenando un’altra ondata di acqusiti, e così di
seguito.
● Keynes aveva probabilmente sovrastimato le
potenzialità di espansione produttiva del sistema economico. Egli riteneva che
nei paesi industrializzati il reddito effettivo fosse sempre largamente al
disotto del reddito potenziale (=reddito ottenibile con l’impiego al 100% di
tutti i fattori produttivi), ma probabilmente egli era stato influenzato in
senso pessimistico dalla crisi tra le due guerre.
I monetaristi, rifacendosi alle
vecchie analisi neoclassiche, rivalutano tutta una serie di fattori, trascurati
da Keynes, e diversi dalla carenza di domanda aggregata, che limitano per un
sistema economico, la possibilità di andare oltre un certo grado di
sfruttamento delle risorse.
Tra questi fattori essi
menzionano:
● La
“disoccupazione strutturale” dovuta a mancanza di impianti sufficienti per
assumere forza lavoro.
Questa argomentazione potrebbe
essere avvicinata oggi alla constatazione che il continuo sviluppo delle
tecniche produttive rende possibile produrre sempre di più con una frazione
sempre più piccola di lavoratori.
● La
“disoccupazione volontaria” dei lavoratori che non sono disposti a lavorare per
saggi di salario non di loro gradimento
● La
forza contrattuale dei sindacati, che talvolta perseguono una politica di alti
redditi per gli occupati, impedendo di fatto agli imprenditori di assumere
lavoro straordinario, lavoro temporaneo, lavoro a cottimo, lavoro non
specializzato sottopagato
● La
“disoccupazione frizionale” dei lavoratori temporaneamente in cerca di lavoro
● Lo
stesso equilibrio nel mercato dei beni: la argomentazione di Keynes secondo cui
nei paesi ricchi i consumatori raggiungono l’equilibrio ottimale dei consumi
senza spendere tutto il loro reddito viene ribaltata dai monetaristi per
mostrare che è vano cercare di spingersi oltre quel punto.
In sostanza, mentre Keynes
riteneva che il principale fattore di disoccupazione delle risorse fosse la
“carenza di domanda” e che questa potesse essere superata con una politica di
spesa pubblica, o di alti redditi ai lavoratori, i monetaristi fanno notare che
si tratta invece di una situazione di
equilibrio, dovuta a fattori complessi, molteplici e non modificabili,
perlomeno nel breve periodo.
Essi chiamano questa condizione
“tasso naturale di disoccupazione delle risorse”, che le autorità non
dovrebbero cercare di abbassare con politiche keynesiane di aumento della spesa
pubblica o con politiche monetarie espansive, perché in tal modo
provocherebbero solo inflazione.
In particolare, per quanto
riguarda l’occupazione lavorativa, l’inflazione ridurrebbe il potere d’acquisto
dei salari dei lavoratori e i lavoratori marginali, che avevano offerto il loro
lavoro a seguito degli ultimi aumenti salariali, si ritirerebbero dal mercato
facendo ritornare il tasso di disoccupazione ai livelli precedenti
● Compito delle autorità monetarie è quindi
quello di fornire la quantità di moneta M che il sistema richiede, cercando di
evitare di creare una quantità eccessiva di moneta, che provocherebbe il tentativo di famiglie e
imprese di disfarsene con acquisto di beni e avrebbe solo il risultato di far
aumentare i prezzi (inflazione)
● Nell’attuare politiche di spesa pubblica per
garantire occupazione e servizi alle classi meno abbienti occorre tenere
d’occhio la capacità di crescita del sistema economico: le politiche keynesiane
di spesa sociale provocano un aumento della quantità di moneta nel portafoglio
delle famiglie, e se la spesa che ne consegue supera le capacità produttive del
sistema, ne segue solo inflazione, e non aumento del tenore di vita e del
benessere.
Friedman propone le sue misure
frenanti sul credito e la creazione di moneta per mantenere un ritmo eguale tra
l’aumento della massa monetaria e della domanda che ne deriva e l’aumento
dell’offerta di beni e servizi. Al di fuori di questo equilibrio, tutto ciò che
potrebbe stimolare i prestiti bancari, la creazione di moneta e di domanda,
dovrebbe essere soggetto a severi controlli. Questa sarebbe la chiave del
mantenimento della stabilità dei prezzi.
Nel complesso i monetaristi
appaiono dare un po’ più di importanza alla competitività e alla salute del
sistema economico, e quindi al pareggio del bilancio pubblico e alle politiche
monetarie austere contro l’inflazione di quanto non abbiano fatto molti
keynesiani preoccupati principalmente di estendere benessere ed occupazione
anche alle classi meno abbienti.
● Esiste una interessante correlazione tra tasso
di crescita della offerta di moneta M e tasso di crescita dell’economia: se le
autorità monetarie faranno crescere la quantità di moneta M al tasso di
crescita normale del sistema economico (che nei paesi più industrializzati
oscilla tra il 2% e il 5%), ne seguirà una analoga crescita percentuale del PIL
e del reddito nazionale
I neoclassici sbagliavano nel
ritenere che un aumento della quantità di moneta portasse il più delle volte
inflazione: esiste un certo grado di quantità produttive non sfruttate, che
l’espansione della offerta di moneta può favorire.
● Un aumento della quantità di moneta in
circolazione si riflette lentamente sui prezzi e sui salari e sull’inflazione,
anche se l’occupazione non può ulteriormente crescere perché è al suo livello
naturale (disoccupazione frizionale). Nel breve periodo aumenta la spesa
aggregata che questi avevano assunto, e di conseguenza fa ritornare al livello
precedente produzione occupazione. Ma nel lungo periodo la scarsità di lavoro
innalza i salari e spinge gli imprenditori a licenziare i lavoratori che essi
avevano assunto, facendo ritornare la produzione al livello iniziale. Tutto
questo è confermato dalla curva di Phillips, che mostra che nel medio periodo
aumenta l’occupazione, sia pure mentre i salari iniziano anch’essi a salire. Ma
la legge indicata dalla curva di Phillips non è, secondo Friedman, destinata a
durare: una volta che i lavoratori e le imprese abbiano imparato che un certo
tasso di inflazione e di aumento di salari è normale e riporta i salari reali e
i profitti reali al livello di partenza, essi, a quel tasso di inflazione, non
varieranno né l’offerta né la domanda di lavoro. Occorrerà di anno in anno la
immissione di una quantità maggiore di moneta, che provocherebbe una inflazione
crescente.
❍ Le critiche dell’economista John Kenneth Galbraith ai
monetaristi
E’ vero che la politica
monetaria è efficace contro l’inflazione. Se la Banca Centrale dà al credito un
giro di vite sufficiente a ridurre i fondi che possono essere prestati dalle
banche commerciali, e se le obbliga ad aumentare i tassi di interesse, gli
investimenti delle imprese e le spese dei privati ne risentiranno. Ma il maggior
costo e la maggiore rarità del denaro
colpiranno in primo luogo l’edilizia, le piccole imprese impossibilitate
a rinnovare magazzino e macchinario, e i privati che non possono più comprare a
credito automobili ed elettrodomestici; per la semplice ragione che tutte
queste attività sono finanziate dal credito. E se le misure restrittive vengono
spinte abbastanza avanti perché i depositi bancari non siano più investiti e
reinvestiti, verranno a capo dell’inflazione.
Gli effetti di queste
costrizioni penalizzano le parti sociali in modo immancabilmente molto
ineguale. La portata della politica monetaria è la compressione della capacità
generale di spesa di imprese e famiglie, che gli economisti chiamano domanda
globale o domanda aggregata. La sua caduta non costringerà la
General Motors, né la Exxon, né la Renault o la Shell, né alcuna corporation
gigante a frenare l’aumento dei propri prezzi. I primi colpi di freno saranno
per la produzione e la vendita. Infatti, le corporation hanno il potere
contrastare la tendenza alla diminuzione dei prezzi e di mantenere i prezzi che
desiderano. E’ per poter fare questo che sono divenute sempre più grandi. Hanno
la possibilità di assorbire l’aumento dei salari o di qualunque altro costo di
produzione aumentando i prezzi. E possono decidere di tenerli stabili e
resistere agli aumenti salariali solo di fronte a un’altissima capacità di
produzione inutilizzata. Allora il tasso di disoccupazione sarebbe tale che i
sindacati modererebbero le loro rivendicazioni. Nel settore delle grandi corporation
la politica monetaria agisce quindi creando o aggravando la disoccupazione. E’
questa la triste ed evidente lezione che si deve trarre dalle prime
applicazioni in grande stile degli anni ’70 della politica monetarista.
Ma la politica monetaria ha un
altro effetto altrettanto discriminatorio a vantaggio dei potenti. Abbiamo
visto che la corporation dispone di una fonte di autofinanziamento
indipendente dalle risorse bancarie. Potendo attingere ai propri profitti, si sottrae ai decreti
della Banca centrale e alle restrizioni del credito delle banche commerciali.
Poi, le corporation sono i clienti privilegiati delle banche, le prime
ad essere servite quando si libera qualche disponibilità di credito. E poiché
hanno il controllo dei loro prezzi, possono ripercuotere un aumento dei tassi
di interessi sui prezzi imposti ai consumatori. Sono quindi più che armate
contro gli inconvenienti della politica monetaria.
Le cose vanno in modo ben
diverso per l’agricoltore, per il piccolo commerciante che ha bisogno di
liquidi per ricostituire gli stock, e prima di tutto per l’edilizia, che lavora
con capitali presi a prestito e con clienti che dipendono anch’essi dai
prestiti per la casa. Le prime vittime della politica monetaria sarano questi
rami. Quindi le sue conseguenze sono chiare: crea disoccupazione, ha riguardo
dei grandi e dei potenti e penalizza i piccoli.
Secondo Galbraith, i
monetaristi, Milton Friedman in testa, sono di opinioni politiche
conservatrici, e tendono quindi a non preoccuparsi eccessivamente degli
effettivi una oolitica che favoriscela grande impresa a spese della piccola o
che aggrava la disoccupazione. Friedman è rimasto fedele più di altri ad una
visione di una società in cui famiglie e imprese obbediscono agli stimoli della
concorrenza e del mercato. Per lui l’economia della libera concorrenza è ancora
viva e presente: la grande corporation non ha un posto di grande rilievo
nelle sue ricerche. Se si ammette questa idea che esiste un mercato con molte
imprese in concorrenza tra loro, si può anche pensare che gli effetti della
politica monetaria si distribuiscono più o meno uniformemente su un insieme di
aziende concorrenziali. E se queste subiscono più o meno allo stesso modo le
leggi impersonali della concorrenza, una restrizione del credito bancario e
della domanda globale le obbligherà ad abbassare i prezzi o almeno a rinunciare
ad aumentarli. La disoccupazione è una conseguenza solo accessoria.
In sintesi, la restrizione del
credito bancario non colpisce le grandi corporations
e non le induce a diminuire i propri prezzi. Colpisce invece duramente il
settore dell’economia di mercato. E se colpisce l’insieme dell’economia è per
aggravare la disoccupazione.