La filosofia stoica e il controllo della mente

 

 

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Introduzione

L’emozione come fenomeno cognitivo e la sua terapia

  L’emozione come fenomeno cognitivo

  L’interpretazione cognitiva di Platone

  Aristotele e gli aristotelici sulla conoscenza

  Gli Epicurei e il punto di vista cognitivo

  Gli scettici Pirroniani e il punto di vista cognitivo

  Plotino e il punto di vista cognitivo

Le emozioni come giudizi di valore in Crisippo

  La necessità di un secondo giudizio

  Il giudizio di validità, appropriatezza o di non validità effettivamente possibile?

  Giudizi, non contrazioni o espansioni

  Contrazioni ed espansioni come pensieri concomitanti ma non componenti langoscia e il piacere

  Il riassunto di Cicerone

  Contrazioni ed espansioni

  Apparenza o opinione?

  Mente o volontà?

  Limpulso emotivo non è sufficiente per lazione

  Le emozioni come fenomeni volontari in quanto eradicabili

  Decidere di credere

  I sentimenti buoni: eupatheiai.

  Le emozioni temporaneamente utili per il principiante ma alla fine da rigettare da parte del saggio

  Prothumia: inclinazione istintiva

  Le selectioni (ekloge) che mostrano gli indifferenti preferiti come tali e gli indifferenti non preferiti come tali

  Volere con riserva

Il punto di vista di Seneca. I “terzi movimenti” che conciliano le vedute di Crisippo e di Zenone

  Il punto di vista di Zenone, incompatibile con quello degli altri stoici

  Il terzo movimento di Seneca come conciliazione tra le vedute in conflitto

  Le divergenze di Crisippo rispetto a Zenone

  Riepilogo

Il punto di vista di Seneca. I primi movimenti come risposta alle teorie di Posidonio

  I primi movimenti in Seneca

  Primi movimenti involontari

  L’importanza dei primi movimenti nella terapia

  Quando vennero distinti i primi movimenti dagli Stoici?

  I primi movimenti fisiologici in Aristotele e Galeno

  Seneca sui primi movimenti, in risposta a Posidonio ed Aristotele

Le arti. I primi movimenti e i dibattiti sul teatro e la musica. Aristotele, Filodemo e gli stoici.

  Seneca sul dramma e la catarsi

  La controversia circa la emozioni reali nella tragedia

  Seneca sulla musica

  Le teorie che assimilano la causa all’effetto

  Posidonio

  Filodemo e Seneca

  Zenone di Cizico

  Due reazioni a Diogene di Babilonia

  Storia successiva della controversia sulla musica

Posidonio sulle forze irrazionali presenti nelle emozioni. L’indagine di Galeno.

  Posidonio

  L’attacco di Galeno come fonte per conoscere il pensiero di Posidonio

  Prima critica al resoconto di Galeno: sua ricerca pretestuosa di difetti nelle teorie di Crisippo

  Seconda critica al resoconto di Galeno: chi è lo stoico ortodosso, Posidonio o Crisippo?

  Terza critica al resoconto di Galeno: le emozioni implicano giudizi o sono esse stesse giudizi?

  Quarta critica al resocondo di Galeno: non è forse vero che un elemento emotivo nell’anima impedisce l’eradicazione delle emozioni e il giudizio di indifferenza?

La controversia pro e contro l’eradicamento delle emozioni

  Le ragioni per il rigetto delle emozioni: l’indifferenza

  Le ragioni per il rigetto delle emozioni: tranquillità, dignità

  Perché non conservare le emozioni piacevoli?

  Le ragioni per il rigetto delle emozioni: gli affetti domestici si trasformano in odio

  Obiezioni al rigetto delle emozioni: si tratta realmente di una soppressione definitiva e totale?

  Obiezioni al rigetto delle emozioni: le emozioni sono utili?

Le tradizioni della moderazione e della eradicazione

  Aristotele: moderazione e giusto mezzo

  L’eradicazione stoica delle emozioni

  I cicli cosmici

  I cicli cosmici e l’anima

  La terapia e l’anima

  La varietà dei sé

  Idee terapeutiche in Plutarco: la vita ricondotta ad unità e la vita discontinua

  Epitteto e la mente inespugnabile

Il concetto di volontà

Agostino su concupiscenza e volontà

  Autobiografia di Agostino

  Difesa del matrimonio contro i manichei e San Girolamo

  Contrattacco dei Pelagiani sulle concezioni di Agostino

  La disobbedienza della concupiscenza alla volontà e le ragioni per condannarla

  L’obbedienza alla volontà prima della Caduta

  Il confronto fatto da Giuliano della concupiscenza con la fame, la sete e il bisogno di sonno

  La disobbedienza della concupiscenza alla volontà non deriva dalla natura di istinto basilare, ma costituisce invece malvagità

  Un argomento sovrannaturale in Agostino

  Il cedimento della volontà nei sogni erotici

  Consenso nell’acconsentire alla trasgressione della volontà

  La responsabilità morale maschile nella concupiscenza

  Genetica e volontà

  Una valutazione comparativa delle posizioni di Giuliano e di Agostino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione

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Questo è uno studio sulle emozioni e la filosofia antica. Non su particolari emozioni, ma riguardo cosa sono le emozioni in generale e sul modo di farvi fronte e stabilire la pace della mente.

Gli stoici erano, in questa discussione, la forza trainante, ma tutte le scuole filosofiche presero parte a questa discussione. E così, vanno introdotte anch’esse, sia pure più brevemente.

Si dibatteva una questione che ancor oggi è oggetto delle ultime ricerche: se le emozioni sono (e dovrebbero essere trattate) come giudizi mentali o atteggiamenti mentali – come riteneva la tradizione stoica principale – oppure se coinvolgono forze irrazionali, comprese le forze fisiche. Gli stoici lasciarono una particolare eredità alla discussione cristiana sulla tentazione, la quale sarà introdotta nell’ultima parte di questo studio.

Lo stoicismo è molto utile per trattare con emozioni controproducenti. Non si tratta di stringere i denti nelle avversità e di sopprimere le emozioni. Si tratta di vedere le cose in modo differente. Così non si ha la necessità di digrignare i propri denti. Questo può richiedere di dire delle cose a se stessi. E’ un approccio piuttosto intellettuale al dominio delle emozioni, e contrasta ad esempio con tecniche non-intellettuali come la dieta, la ginnastica, la musica, la respirazione, la postura, la recita di mantra o l’assunzione di sostanze psicotrope.

La terapia emozionale data comunque dal V secolo a.c., con i presocratici

Il metodo stoico potrebbe essere ancor oggi molto valido per far fronte a situazioni come gli alti e bassi della vita, la corsa al successo, le delusioni in ufficio, l’insicurezza del lavoro, l’ansietà riguardo la salute, la rabbia circolando in auto, la pressione del lavoro e dei viaggi o la fama improvvisa o il successo improvviso.

D’altro canto non è in grado di far fronte a ciò che chiamiamo “malattia mentale”, né è molto valido riguardo stati di umore che non sono diretti a una particolare situazione ma che, come la depressione, investono qualsiasi situazione ci si trovi ad affrontare.

Le tecniche stoiche ci aiutano a vedere in modo differente una particolare situazione. Esse hanno poco da dire riguardo i bambini, perché sono di tipo razionalistico. Vedremo che altri filosofi antichi hanno molto più da dire riguardo gli umori e riguardo i bambini. Lo stoicismo non dice molto a riguardo gli effetti emozionali di una persona su un’altra (Platone e Aristotele dicono di più).

In definitiva, ciò che necessita è un pluralismo nella terapia. Nessuno ha il monopolio della saggezza.

Lo stoico Crisippo distaccò la terapia dall’etica e dalla teologia stoica e la propose a persone che non credevano in esse. Tutto ciò di cui avete bisogno per applicare la terapia stoica a voi stessi è una comprensione delle teorie stoiche sulla natura delle emozioni

E’ lo stoico Crisippo (circa 280-206 a.c.) che sviluppò le idee stoiche standard su cosa sia l’emozione in modo molto diverso dal suo predecessore Zenone. Secondo Crisippo tutte le emozioni consistono in due giudizi: a) il giudizio sul fatto che c’è un beneficio o un danno imminente; b) il giudizio che è appropriato reagire nelle maniere che lui specificamente precisa. Crisippo stabilì, in contrasto con ciò che aveva supposto Zenone, che le emozioni non sono la percezione di un’intima contrazione o espansione né alcun tipo di reazione fisica, come contrazioni, cambiamenti corporei, alterazioni del corpo che possono seguire o (come Seneca fece notare) possono anche precedere le emozioni. L’emozione in sé consiste in giudizi. Le alterazioni che precedono l’emozione sono chiamate “primi movimenti” e vedremo che pure esse rivestono una notevole importanza.

Mentre non si può evitare che le cose ci appaiano in un certo modo, si può però evitare che la ragione dia il consenso alle apparenze. La maggior parte delle persone dà il consenso automaticamente a qualsiasi cosa appare, ma lo stoicismo insegna come negare/trattenere il proprio assenso mentre si mette in questione l’apparenza e fornisce moltissimi esercizi con cui mettere in questione le apparenze. Le apparenze non divengono un giudizio finché noi non diamo l’assenso, e per Crisippo è questo giudizio che costituisce l’emozione.

Se egli è nel giusto c’è una speranza di lasciar cadere, disfarsi delle emozioni tramite mezzi razionali, precisamente perché non sono involontarie. Gli esercizi aiutano a stabilire razionalmente se c’è realmente beneficio o danno e se la reazione è specificamente appropriata.

Gli stoici insegnano a disfarsi dei primi movimenti. Esistono due tipi di primi movimenti: se si rabbrividisce, si diventa pallidi o si spargono lacrime, questi sono primi movimenti fisici. I primi movimenti mentali sono più difficili da identificare. Richard Sorabji, un importante studioso delle scuole filosofiche dell’antichità, ritiene che siano quelle “contrazioni” o “espansioni” che sentiamo nel petto quando siamo angustiati o lieti e altri simili movimenti che avvertiamo. I primi movimenti risultano dalla pura apparenza che ci sia beneficio o danno, ma non presuppongono ancora il giudizio, e quindi non genuina emozione. E’ molto utile essere capaci di distinguere queste reazioni dalle emozioni e lasciarle cadere, perché altrimenti è facile entrare in uno stato emozionale semplicemente osservando le proprie reazioni. Come William James ha detto, noi non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo.

A differenza dell’analisi filosofica delle emozioni, molti degli esercizi terapeutici sono comuni a differenti scuole filosofiche. Essi hanno come bersaglio il giudizio che è appropriato reagire in un certo modo (con l’emozione) oppure il giudizio che c’è beneficio o danno.

Esercizi del primo tipo sono :”la vostra tristezza vi fa trascurare la vita”. Esercizi del secondo tipo sono: “non siete i soli a soffrire” oppure: “è cattivo in se stesso o semplicemente inaspettato?”

Gli esercizi possono essere praticati preventivamente o successivamente e retrospettivamente. Tipici esercizi stoici sono quelli di rietichettare le cose: si può descrivere la propria amata come curvacea, e del color del miele per propositi di seduzione; oppure grassa e giallastra allo scopo di sbarazzarsi dell’amore. Alcuni esercizi coinvolgono un’ulteriore analisi filosofica della natura del tempo e del sé o personalità individuale.

Altri filosofi greci sostenevano approcci differenti per far fronte alle emozioni. Perfino nella scuola stoica Posidionio riteneva che il training emozionale dovesse cominciare durante la gravidanza, e successivamente proseguire, con dieta, musica ginnastica e un ambiente esteticamente adeguato.

Posidonio riteneva, con Platone, che c’erano due forze irrazionali nell’animo –quelle che Platone paragonava ai cavalli – e che non era corretta l’immagine di Crisippo di un’anima unitaria che consiste largamente di ragione. Questi due cavalli vanno acquietati con tutta una serie di discipline corporee.

Galeno metteva in risalto l’importanza della dieta. Socrate dice che altri antichi filosofi facevano uso di terapia comportamentistica. Altri filosofi praticavano la ridirezione della loro attenzione (come Epicuro), invece di cambiare i loro giudizi. Il cristiano Evagrio perfezionò delle tecniche per mettere in conflitto i pensieri emozionali prima che potessero trasformarsi in giudizi completi.

Controesempi di Posididonio mostrano che i due giudizi di Crisippo non sono necessari per l’emozione, e altri non sono sufficienti. Anche nella moderna filosofia questo è stato dibattuto, ma raramente con tale rigore.

Seneca sostenne che i casi di Posidonio non erano casi di emozioni. Esempio: la reazione alla musica senza parole al massimo è un primo movimento. Come anche la commozione a teatro. Anche l’asserzione che gli animali, pur senza giudizi, sperimentano emozioni, è un’illusione.

Gli stoici ignorano la teoria della catarsi artistica di Aristotele. Con tutta probabilità perché pensano che a teatro non vi sia catarsi, in quanto non sorgono emozioni. Il dibattito si fece generale circa il quesito se l’arte facesse sorgere le emozioni.

Importanti scoperte neurofisiologiche del ricercatore Joseph LeDoux (illustrate nel suo libro The emotional brain ) hanno mostrato che i segnali di pericolo nei ratti viaggiano lungo due vie: una che va direttamente all’amigdala e innesca segnali fisiologici prima ancora che venga raggiunta la corteccia e si crei consapevolezza; una via più lenta che raggiunge la corteccia. Si possono verificare situazioni in cui non si riesce a riconoscere/determinare qual è la causa dell’allarme fisiologico: e quindi tanto meno verrà determinato il pericolo. Oppure, anche se si riconosce qual è la causa (es. il chiudersi sbattendo di una porta, che in realtà non è un segnale di pericolo) non si riesce ad acquietare l’amigdala.

Le scoperte neurofisiologiche di LeDoux mostrerebbero forse che i “cavalli irrazionali” di Posidionio sono le reazioni dell’amigdala, che sono fuori della portata della razionalità, della corteccia cerebrale.

Non facendo proprio il giudizio che un accrescimento è pericoloso non calma automaticamente l’amigdala. Forse la musica agisce tramite il meccanismo dell’amigdala, talvolta. D’altro canto, i nostri giudizi, quando prevediamo un pericolo, possono mancare di stimolare l’amigdala. Quest’ultima considerazione potrebbe portare a dire che l’emozione non consiste solo nel giudizio intellettuale, soprattutto se si ritiene che sia difficile negare che la persona che ha delle vertigini, è commossa dalla musica, non sperimenta emozioni.

Ma la terapia stoica in qualche caso potrebbe non funzionare. La corteccia può mandare dei messaggi che acquietano l’amigdala

I primi movimenti di Seneca sarebbero le reazioni dell’amigdala

Non riesco a tradurre molto bene, ma pare che Zenone sostenga che l’emozione coinvolge anche, se pure in misura limitata, un giudizio erroneo che va contro il proprio giudizio esatto e corretto. Ma Zenone era stato criticato da Crisippo perché riteneva che l’emozione consistesse negli elementi psicologici. Secondo Seneca il fatto che Crisippo crede di riconoscere qualcosa di affine alle sue teorie in questo successivo alterarsi del giudizio, non è coerente con le sue critiche a Zenone consistenti nel fatto che si sia già in un giudizio errato. E quindi Seneca propone un terzo movimento, che consiste nell’andare ancora contro il proprio iniziale giudizio sbagliato, e indulgere in un giudizio ancora peggiore.

I filosofi antichi dibattevano anche il valore delle emozioni. Alcune poche emozioni erano altamente valutate in alcune scuole (certe forme di amore per es.). Il dibattito principale era tra Aristotele (la maggior parte delle emozioni sono utili purché nella moderazione, nel giusto mezzo) e gli stoici (la maggior parte delle emozioni sono perniciose e dovrebbero essere eradicate: apatheia ).

La dottrina aristotelica del “giusto mezzo” non è così banale.

Dovremmo parlare di “emozioni”, perché parlare di “passioni” significherebbe parlare solo di emozioni estreme e su quelle tutti i filosofi antichi erano praticamente d’accordo che andavano evitate. Ma essi, parlando di “passiones” parlavano anche di emozioni ordinarie, riguardo alle quali Crisippo si opponeva praticamente a tutte le emozioni. Non è necessario essere d’accordo con questo punto di vista, forse inaccettabe ed estremo, per imparare dagli Stoici come liberarci dalle emozioni non gradite o controproducenti. E sicuramente molte lo sono, come la rabbia, che è controproducente molto più spesso di quanto non si creda.

Secondo Crisippo solo la razionalità e la forza di carattere sono buone. Poiché le emozioni sono un giudizio e giudicano che un bene del mondo ci è necessario, secondo lui sono tutte sbagliate, perché tutte le cose sono alla fine indifferenti, e quindi egli è contrario a tutte le emozioni. A quanto è dato capire, egli ritiene che l’emozione non sia il tipo di giudizio con cui lo stoico ritiene che tuttavia certi beni della vita, come la salute, la prosperità, ecc. vadano perseguiti in maniera energica, perché, a differenza del giudizio delle emozioni, il giudizio dello stoico ritiene che è come un gioco in cui bisogna fare tutto il possibile ma non bisogna poi dolersi se non si ottiene ciò che si cerca.

E’ giusto non solo perseguire i beni “indifferenti” che si preferiscono, ma anche il bene genuino della razionalità. Giudicare questo come giusto non comporta alcun errore, e condurrà all’assenza di perturbazioni. Perfino nelle statue Crisippo ha un atteggiamento di energico perseguimento del suo pensiero e del suo insegnamento, con una intensità che era evidentemente pensata compatibile col rifiuto di quasi tutte le emozioni.

Fortunatamente la teoria dell’indifferenza non fu usata da Crisippo come una parte essenziale della sua terapia: da un lato, se aveste accettato l’idea dell’indifferenza sareste già un saggio; dall’altro lato, Crisippo si offriva di aiutare le persone che rigettavano totalmente il sistema stoico di valori.

La teoria stoica su come evitare l’agitazione fu trasformata dai primi cristianiin una teoria su come evitare la tentazione. Origene, almeno nelle traduzioni latine del IV secolo, trasformò i primi movimenti in “cattivi pensieri”, oscurando così la distinzione tra primi movimenti, che non sono pensiero, ed emozioni. Mentre per gli stoici i primi movimenti sono del tutto involontari, i cristiani annetterono vari livelli di colpa ai primi pensieri: “Vi siete messo volontariamente sulla strada di tali pensieri?”; “Vi avete indugiato?” ecc.

In molti casi, idee bibliche sono riformulate in modo da presentare gli ideali biblici come ideali stoici corretti. Il pianto di Cristo, il dolore di Abramo erano solo primi movimenti. Ma d’altro lato i primi movimenti sono ora concepiti in un modo che non è chiaro whether the Bible is endorsing a little bit of emotion or not.

La figura più innovativa in questo contesto è Evagrio, eremita del IV secolo. Gli otto cattivi pensieri con cui egli combatte nel deserto possono essere visti come primi movimenti con travestimento cristiano. Essi si sarebbero poi trasformati nei sette peccati capitali. Evagrio fornisce una teoria completa delle interrelazioni causali tra emozioni (gli stoici avevano solo una teoria delle emozioni prese singolarmente). Egli mostra come l’eremita può mettere un cattivo pensiero contro un altro. Lussuria e vanità possono essere messi in conflitto, ma la vanità è particolarmente difficile da estirpare: se avete sconfitto gli altri sette pensieri, probabilmente cadrete preda della vanità. Anche la sconfitta della vanità può far risorgere la vanità. Per sconfiggere la vanità si può ricorrere alla evocazione di pensieri di lussuria, che sono tanto umilianti da ucciderla. Ma alla fine, con l’aiuto della preghiera, potete sperare di sconfiggerla ed attingere l’ideale stoico di libertà dalle emozioni senza l’aiuto di questi esercizi.

Noi siamo visitati ogni giorno dai cattivi pensieri, ma essi non si trasformano in peccati a meno che non vi indugiamo o non ne traiamo piacere.

Agostino è infuriato con chi pensa di aver raggiunto la libertà dalle passioni senza bisogno di chiedere ogni giorno perdono con la preghiera al Signore, indulgendo così nel peccato dell’orgoglio. Egli trova così l’ideale stoico né pratico (practical) né desiderabile.

Egli rientra tra i sostenitori delle emozioni moderate (moderate emotions), i quali comunque considerano indesiderabili alcune emozioni. Agostino considera indesiderabili l’orgoglio e la lussuria.

Agostino sostiene erroneamente che la teoria stoica dei primi movimenti dimostra che essi accettarono in realtà le emozioni, e questo per tre ragioni: a) Origene aveva introdotto confusione circa i primi movimenti; b) Agostino non pensa che sia possibile evitare le emozioni; c) Agostino è influenzato da una visione platonica dell’anima, che, in contrasto con gli stoici, sostiene che l’emozione è il prodotto di forze irrazionali e non deve chiedere l’assenso della ragione, come invece suppongono gli Stoici.

Aulo Gellio narra di un marinaio stoico che diviene pallido durante una tempesta e rimarca, quotando da Epitteto, che essendo solo un movimento, e non un’emozione, è permesso agli stoici. Purtroppo Aulo Gellio aggiunge anche che non solo è ammesso pallescere , ma anche pavescere (parola che si situa ambiguamente tra le manifestazioni fisiche della paura e la paura come emozione). Agostino disambigua pavescere  intendendola come emozione.

Agostino riconosce che i primi movimenti della lussuria sono fuori dell’influenza della volontà. Così facendo ignora forse deliberatemente gli esempi di primi movimenti involontari portati da Seneca riguardo a tutte  le emozioni, non solo riguardo la lussuria.

Per Evagrio la lussuria non è la tentazione più pericolosa. It will not arise if gluttony is under control.

I filosofi pagani avevano adottato ogni concepibile punto di vista riguardo la lussuria e il suo rapporto con l’amore e il matrimonio. Ciascuno di questi tre termini era stato separatamente ritenuto valido in contrasto con gli altri. Porfirio raccomanda ai filosofi  di evitare ogni tentazione di lussuria, compreso il linguaggio osceno. Giamblico difende invece il linguaggio osceno delle feste falliche, che secondo lui costituisce una catarsi aristotelica che consente di liberarsi dei sentimenti erotici.

In molti filosofi pagani noi troviamo una o più componenti di un concetto di volontà, ma sempre in separation from others. E’ Agostino che per primo raccoglie una gamma completa di componenti e rende inoltre la volontà un concetto chiave della filosofia. A differenza di quanto si possa pensare, quindi, l’analisi della volontà più penetrante non è quella di Massimo il Confessore, il cui concetto favorito di volontà non è che una versione dell’attaccamento (oikeiosis) stoico.

Il rigetto della lussuria discende secondo Agostino dal fatto che, sin dalla caduta originale, essa non obbedisce alla nostra volontà. L’avversario pelagiano di Agostino, Giuliano vescovo di Eclanum, controbatte distinguendo opportunamente l’assenso della volontà dal comando della volontà: la lussuria può non aver bisogno di un comando della volontà, ma ha bisogno dell’assenso della volontà, esattamente come il desiderio di mangiare e bere, la salivazione che lo accompagna e la successiva sonnolenza. Quindi non c’è una differenza morale tra la lussuria ed altri istinti. Lo studioso del pensiero antico Richard Sorabji ritiene che Agostino sia risultato perdente in questa disputa filosofica, ma avendo vinto sul piano politico (il pelagianesimo fu sconfitto) furono le sue idee ad affermarsi.

Fu nel medioevo che i “cattivi pensieri” di Evagrio furono trasformati nei sette peccati capitali, che sono spesso dei comportamenti.

Gli stoici hanno persino un nome (prosokhe) per la supervisione introspettiva dei propri pensieri e azioni. Sebbene tutti i filosofi greci in una certa misura vedevano l’uomo come membro del gruppo sociale, tuttavia negli stoici noi troviamo un concetto del sé alquanto distaccato dalla società

 

 

 

L’emozione come fenomeno cognitivo e la sua terapia

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In questa sezione si accennerà a due sviluppi: l’idea della filosofia come psicoterapia e il punto di vista che le emozioni sono cognitive. Queste idee furono sviluppate nel periodo dei presocratici, di Platone e Aristotele, e approfondite con gli Stoici, cosicché i neoplatonici e i cristiani poterono presupporle e adattarne il lavoro

Democrito, nel V sec. A.c. compara la filosofia alla medicina. La medicina cura le malattie del corpo, la saggezza libera l’anima dalle emozioni. Ci sono molti più frammenti di Democrito riguardo l’etica che riguardo la teoria atomistica per la quale è comunemente celebrato.

Democrito è conosciuto negli antichi testi e comunque nel pensiero greco successivo come il filosofo che ride delle follie umane come Eraclito ne piange. Una sua famosa citazione dice: “ho cercato sempre di essere un filosofo, ma è sempre sbucata l’allegria”.

Comunque, in uno dei suoi interventi terapeutici nei confronti di Dario re di Persia in lutto per la moglie lo scherniva perché diceva “non sei l’unico a soffrire, tutti soffrono”

Antifone, contemporaneo di Democrito, espose un avviso che offriva una terapia tramite parole contro l’angoscia, il dolore e includeva qualsiasi contingenza, comprese le difficoltà coniugali

Gorgia, sempre nel V secolo, scrisse una difesa di Elena di Troia dove argomentava che non ci si doveva sorprendere che le parole di Paride avessero la meglio su di lei, perché la parola ha il potere di fermare la paura, rimuovere l’angoscia, creare gioia, aumentare la compassione. Egli ne compara gli effetti con quelli delle droghe

Platone ha un’idea diversa: egli è preoccupato in primo luogo di curare il vizio e solo secondariamente l’infelicità; e per mezzo di quella che chiama un’”arte politica” piuttosto che con gli altri tipi di terapia

Crisippo lo stoico, nel III sec. A.c. ripete che c’è un’arte per l’animo ammalato che corrisponde alla medicina per il corpo

Tuttavia Cicerone rivela nel I sec. A.c. che l’arte dello spirito era molto meno accettata; nondimeno rivela che c’erano libri su come affrontare la povertà, la mancanza di cariche (“offices”), l’esilio, la rovina del proprio paese, la schiavitù, l’infermità, la cecità.

 

L’emozione come fenomeno cognitivo

Dai primi filosofi in poi le emozioni furono pensate come cognitive. In Gorgia questa posizione non è tuttavia molto chiara, perché le paragona a “incantamenti”, “magie” e “droghe”.

 

L’interpretazione cognitiva di Platone

Platone, in due antichi dialoghi, fa dire a Socrate – e ripeterà poi successivamente nelle Leggi – che la paura effettivamente è una cognizione

Platone, in alcune sue opere, sostiene che la paura è una conoscenza, l’attesa di un male imminente. Ma Platone non arriva a identificare le emozioni con i giudizi; perlomeno rimane fermo alla paura. Più avanti sembra parlare negli stessi termini del desiderio. Più precisamente però parla della volontàe dice che non èa nella natura umana che la volontà segua cose che riteniamo cattive, ma non arriva a identificare la volontà-desiderio con il giudizio circa la bontà delle cose.

Sicuramente è caratteristica di Crisippo e solo di lui l’idea che i giudizi coinvolti nella paura o in altri emozioni sono sempre falsi

 

Aristotele e gli aristotelici sulla conoscenza

Nell’Etica nicomachea  Aristotele dice che dovremmo evitare gli estremi e trovare il giusto mezzo per quanto riguarda le emozioni. Le implicazioni di questo sono che certe emozioni debbono essere calmate, ma altre intensificate.

Aristotele è molto preciso nel descrivere i pensieri che accompagnano ciascuna emozione ma la sua trattazione presenta per altri versi gravi incertezze: intanto, per quanto riguarda l’aspetto cognitivo egli parla indifferentemente di “opinione” (doxa), “apparenza” (phantasia) o pensiero e inoltre non chiarisce bene i rapporti tra il piacere e l’angoscia e le emozioni: se cioè piacere e angoscia siano un accompagnamento delle emozioni o siano il nucleo centrale delle emozioni. Infine, non presenta bene i rapporti tra cognizione ed emozione; in proposito usa varie proposizioni: “attraverso”, “con”, ecc.

E’ interessante comunque la trattazione di Aristotele riguardo la possibilità di capovolgere le emozioni riguardo tipicamente l’oratore: capovolgere la pietà in ostilità o in paura etc e viceversa

Aristotele tratta il piacere e l’angoscia in senso cognitivo. In un punto egli le definisce “percezioni del bene in quanto bene e del male in quanto male”

Abbiamo poi la famosa teoria della catarsi riguardo la funzione della tragedia, nella quale alcune nozioni sono amplificate per poi essere purgate. Le emozioni di cui parla Aristotele sono la pietà e la paura.

Comunque, nella poetica e nella retorica la descrizione (account) delle emozioni è cognitiva

Un altro spunto importante che si trova nei trattati naturalistici come il De Anima , è che l’emozione non ha solo un aspetto cognitivo, ma anche un aspetto caratterizzato da processi e movimenti corporei, che offre due vie alla terapia delle emozioni, che si può indirizzare sia ai processi fisiologici, sia all’aspetto cognitivo. Nell’aspetto fisiologico potrebbero essere compresi quelli che oggi sono stati scoperti essere i meccanismi cerebrali dell’emozione

Aristo di Ceo, un aristotelico del III sec. A.c. ci presenta una importante trattazione di terapia cognitiva delle emozion

 

Gli epicurei e il punto di vista cognitivo

Gli epicurei credevano anch’essi che le emozioni fossero cognitive e questo si vede soprattutto in Filodemo, un epicureo del I sec. A. c. Egli tra l’altro ci presenta l’idea di Epicuro che esistono desideri, emozioni, vuoti e non naturali: vuoti perché non necessari, perché in realtà non deriverebbe alcun male dal fatto che il desiderio non sia soddisfatto. Filodemo aggiunge che la rabbia dipende dall’opinione di essere stati in qualche modo feriti, oltraggiati, ma la supposizione del danno non è una sufficiente causa di rabbia

Non si capisce bene se gli epicurei pensavano che gli animali dovessero avere un minimo di cognizione per avere impulsi, oppure non hanno impulsi perché non possono avere cognizioni. Comunque le emozioni umane sono basate sulla visione o aspettazione di qualcosa. Non solo: ma anche su tutto il sistema di opinioni che ci rende passibili di emozione. Questo background deve essere cambiato, secondo Epicuro, memorizzando le idee epicuree tipiche della scarsa importanza della morte etc.

La terapia epicurea è molto differente dalla stoica perché gli epicurei pensano che le emozioni possono essere calmate distogliendo (switch) la nostra attenzione senza cambiare le nostre opinioni.

Gli epicurei attribuivano un ruolo non solo alle convinzioni che occorrono durante l’emozione, ma anche agli antecedenti, alle convinzioni precedenti che rendono una persona suscettibile di provare emozione se non ha assorbito la filosofia di Epicuro

Le opinioni di Epicuro debbono essere memorizzati, specie quelli sull’irrilevanza della morte

Comunque la terapia epicurea è molto differente da quella stoica perché gli epicurei pensavano che le emozioni possano essere calmate spostando la propria attezione senza cambiare le proprie credenze (beliefs)

Gli epicurei attribuiscono un ruolo alle credenze inconsce. Platone aveva già discusso desideri inconsci che emergono nei sogni, come il desiderio di dormire con la madre. Lucrezio vede nell’ambizione di ammassare onori, poteri e ricchezza una inconscia paura della morte e la ricerca di onori come una via per raggiungere in qualche modo l’immortalità. Gli epicurei si ispiravano presumibilmente a Platone, che aveva già trattato del desiderio di discendenza e fama e di nobili gesta come desiderio di immortalità

 

Gli scettici Pirroniani e il punto di vista cognitivo

Similmente agli stoici essi distinguevano nettamente le emozioni dalla pura sensazione di dolore. Quest’ultima non poteva essere rimediata, ma si poteva evitare l’angoscia rifiutandosi di aggiungere la credenza che la sensazione sia cattiva. Essi forniscono una lunga lista di agitazioni oltre l’angoscia (distress) che dipendono interamente dalle credenze soggettive, e la credenza soggettiva è distinta, come fanno gli Stoici, dalla semplice apparenza

 

Plotino e il punto di vista cognitivo

Plotino torna a Platone, in contrasto con Aristotele e gli stoici, nel non riconoscere una netta distinzione tra l’apparenza (phantasia ) e la credenza (doxa ). L’emozione, per lui, comincia da credenze, ma queste producono un’apparenza acritica, che come una specie di credenza oscura e questo a sua volta produce una scossa nel corpo che secondo il punto di vista sostenuto qui è l’unica cosa ad essere influenzata passivamente. L’anima, così, causa l’emozione piuttosto che subirla; e la credenza causa l’emozione piuttosto che costituirla

 

 

 

Le emozioni come giudizi di valore in Crisippo

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Le quattro emozioni generiche come giudizi di valore

Nel secolo successivo ad Aristotele gli stoici selezionarono quattro emozioni come le più generali, sotto le quali potevano essere esposte le altre come specie: angoscia (distress), dolore, piacere, paura, appetito. Essi giungono a questo distinguendo due emozioni dirette al presente e due al futuro, una coppia riguardante beni apparenti e un’altra mali apparenti. Gli autori moderni concordano sostanzialmente, aggiungendo talvolta  emozioni dirette al passato o sostituendo il criterio della incertezza con quello della natura futura.

Ogni emozione, secondo gli stoici, coinvolge due distinti giudizi di valore. One is that there is good or bad (benefit or harm) at hand, the other that it is appropriate to react. Distress è il giudizio che incombe un male e che è appropriato provare un mancamento (sinking). Il piacere è il giudizio che incombe un bene e che è appropriato provare una espansione. La paura è il giudizio che incombe un male e che è appropriato evitarlo. L’appetito è il giudizio che incombe un bene e che è appropriato volgersi ad esso (reach for it). I due giudizi possono spesso essere espressi come un unico giudizio complesso, ma per alcuni scopi vedremo che è importante separare i giudizi.

Le sottospecie delle emozinoi  sono spesso distinte , sebbene non sempre, in base al particolare tipo di bene o danno in che viene in considerazione.  La pietà  è angoscia (distress) di fronte ad un male  che accade  ad un altro, la rabbia (anger) è appetito (appetite) per il supposto bene della vendetta. Le quattro emozinoi più generiche (distress, pleasure, fear and appetite) sono definite in termini di un bene o un male generico, non di particolaritipi di bene o male.

 “ubcinbvebte qui vuol dire “presente o futuro”.. “appropriato”  può essere reso con “oportere”, “rectum esse”, “aequum esse”, “ad officium pertinere”, “officium”, “debitum”, “ius” e “intolerabile”. Non si limita assolutamente ad un giudizio di tipo morale sebbene include  il caso che coloro che sono in lutto per una persona hanno un dovere morale di reagire.

Il giudizio circa la reazione ha ad oggetto due tipi di reazione molto differenti. Nel caso di piacere e distress la reazione  giudicata  giusta è interna, presente e involontaria. E’ una contrazione interna (“demitti”, “contrahi”) o una espansione (“profusa”) Ciò che si contrae o espande è detto essere la mente (animus) e la mente è uno spirito fisico per i materialisti stoci.  Gli studiosi  non hanno oggi il minimo accordo circa il carattere psicologico delle espansioni o contrazinoi stoiche. Ma verrà mostrato che la contrazione è  una stretta avvertita come localizzata nel cuore e  infine  è sentita come cattiva, mentre una espansione è  un sentirsi sollevato (lift) sentito come hene

Nel caso di paura e appetito, per contro, le reazioni giudicate opportune sono comportamentali, volontarie, e dirette al futuro. C’è l’opinione che la cosa cattiva vada evitata, non vada tollerata o che la cosa buona deve essere ottenuta e che la sau immediata presenza sarebbe utile. Nella rabbia, ad esempiio, l’iddea è che è appropriato per me essere vendicato o per l’altro essere punito.. Non è importante che si pensi di poter poratre a termine la treazione o che  qualcun altro lo possa.. La punizione è semplicemente avvertita come giusta.

Sebbene la rabbia è classificata come un appetito che guarda avanti a sé per la vendetta, l’idea di vendetta comporta un riferimento a un male presente, che rende la rabbia affine con il dolore (grief. Dolore e rabbia possono tramutarsi l’uno nell’altra.

reazioni interne ed esterne possono essere casualmente connesse perché, sebbene paura ed appetito guidino, piacere e angoscia possono seguirle secondo che  non otteniamo o otteniamo ciò che temiamo o desideriamo.

Talvolta i testi non dono univoci circa il tipo di esperienza psicilogica, ma l’autore ritiene logich che se si pensa che è ok sperimentare una contrazione, si può parimenti pensare sia ok indulgere negli altri fenomeni ad es. dell’angoscia (distress)

 

La necessità di un secondo giudizio

Crisippo aveva 4 ragioi per  postulare un secondo giudizio sula fatto che fosse appropriato reagire: 1) E’ di poca utilità attaccare l’erroneità del primo giudizio per scopi terapeutici, perché  ad es. dire che tutte le emozioni sono inutili, come faceva cleante  è  un argomento che solo chi è già saggio può apprezzare: 2)  Distinguere i due giudizi consente di rispondere all’obiezioen di socrate che un certo alcibiade, essendo privo di virtù,  giudica  CORRETTAMENTE di essere in una cattiva situazione: Crisippo può rispondere che questo (primo) giudizio è adeguato, ma non la reazione di contrazione (sinking);  Presumibilmente la reazione più appropriata sarebbe la determinazione di migliorare.  Un novizio può in tal modo trarre vantaggio dal sinking: secondo gli stoici l’errore sta nel considerare tale reazione come SEMPRE appropriata, mentre al cambiare della situazione essa si rivela inappropriata: Cicerone nota come alla fine  questa reazione  pregiudica la  compostezza, la costanza, la gravità e quindi si rivela un ostacolo sulla via della saggezza. 3) Una emozione coinvolge un particolare tipo di giudizio, cioè un impulso, ma un impulso non è mosso dall’apparenza che c’è del buono o del cattivo incombente ma dal giudizio che è appropriato reagire in quel modo. 4) Va spiegato il perché le emozioni svaniscono anche se permane il giudizio che siamo di fronte al buono o al cattivo: in realtà si può dire che svanisce il secondo giudizio, che reagire in un certo modo è appropriato

 

Il giudizio di validità, appropriatezza o di non validità effettivamente possibile?

Per quanto riguarda il primo giudizio esso può avvenire anche riguardo ciò che potrebbe essere capitato o potrebbe stare per capitare ma non è ancora capitato, o anche di fronte a finzioni narrative (Seneca non concorda su quest’ultimo punto). Anche il secondo giudizio di tipo comportamentale riguardo il pursuit o la avoidance è aperto a simili qualificazioni, ma in questi casi risulta ozioso. Le cose sono differenti invece quando il secondo giudizio (sull’appropriatezza della reazione) ha ad oggetto le espansioni e le contrazioni intime: perché noi potremmo considerarle appropriate perfino in relazione a ciò che potrebbe essere accaduto. Al limite una persona potrebbe giudicare adeguata una reazione che non c’è stata, una espansione o contrazione che non si è verificata. Ma Crisippo dubita che questo sia un secondo giudizio legato ad uno stato di piacere o di stress

 

Giudizi, non contrazioni o espansioni

Il primo stoicismo dette altre, alternative definizioni delle quattro emozioni generiche. Secondo Zenone, il distress è una contrazione irrazionale, il piacere è una espansione irrazionale, l’appetito un desiderio irrazionale e la paura una disinclinazione irrazionale. Zenone e molti altri stoici pensavano che le emozioni occorressero in occasine  di giudizi, ma effettivamente fossero contrazioni o espanzioni. Secondo la definzione di Zenone l’emozione è movimento dell’anima. Dal momento che l’anima consiste di  pneuma fisico, Zennoe indaga i suoi movimenti. Oltre alle contrazioni e alle  espansioni abbiamo lo stendersi, allungarsi (reaching) e il tirarsi indietro (leaning away). Ogni emozine, secondo Zenone, è anche un’agitazione (fluttering). Con tutta probabilità Zenone riteneva che i giudizi fossero le cause di questi movimenti dell’anima, cause che Crisippo cambiò nelle emozioni stesse.

Espansioni e contrazioni sono uno stato pre-emozionale. Anche per quanto riguarda gli impulsi, Zenone non ritiene che si identifichino con le emozioni, ma che occorrano in occasione di esse.

 

Contrazioni ed espansioni come pensieri concomitanti ma non componenti l’angoscia e il piacere

Crisippo non nega che la contrazione, sebbene non sia una componente, è un necessario concomitante dell’angoscia. Egli dice che, esattamente come la contrazione svanisce, così talvolta si attenua l’angoscia.

 

Il riassunto di Cicerone

La breve e concisa definizione di Cicerone delle quattro emozioni fondamentali non aggiunge nulla a quanto detto.

 

Contrazioni ed espansioni

Cosa sono le contrazioni e le espansioni di cui parla Crisippo? Intanto sono contrazioni ed espansioni fisiche della mente, che era vista dagli stoici come avente una natura fisica. Crisippo riteneva che il centro di comando dell’anima sia localizzato nel cuore e quindi una contrazione dell’anima viene avvertita come una contrazione nella regione del cuore. Galeno lo corregge dicendo che viene avvertita una contrazione nella regione del torace. Nel caso particolare della rabbia Crisippo parlava di un’impressione che qualcosa fosse vaporizzato dal cuore e spinto fuori nella faccia e nelle mani. Galeno critica l’azzardata catena di supposizioni di Crisippo, che dal fatto che i movimenti percepiti siano nella regione del torace inferisce che lì sono le emozioni e quindi che lì è la mente, e infine che lì è il centro di comando della mente.

Ma in che senso si giudica appropriata una espansione o una contrazione? Appaiono possibili due risposte: 1) le sensazioni vengono pensate appropriate perché sono state associate con cose spiacevoli nel passato; 2) (mi pare di capire) esse stesse vengono giudicate spiacevoli. Si potrebbe pensare a questo proposito che gli stoici distinguano una pura sensazione (non emozione) di spiacevolezza come pura apparenza, una apparenza che non richiede l’assenso della mente, a cui poi (mi pare di capire) si aggiunge l’assenso della mente.

Si è già parlato delle esopansioni e contrazioni nel caso dell’angoscia (distress). Si è già detto che l’ira (anger) è accompagnata da una sensazione di vaporizzazione. La paura coinvolge una contarzione interna, un ammassarsi della mente al centro

Galeno, Plotino, Gregorio di Nissa reinterpreteranno questa psicologia in termini fisiologici: per loro le emozioni coinvolgono non movimenti di un’anima fisica, ma movimenti fisiologici che sono sentiti come contrazioni o espansioni o “morsi” dall’anima

 

Apparenza o opinione?

Platone non distingueva l’apparenza dall’opinione, ma Aristotele per primo le distinse. Tuttavia nel suo pensiero rimasero poco chiari i rapporti tra l’emozione, l’apparenza e l’opinione, le quali ultime due, in rapporto all’emozione, venivano usate intercambiabilmente. Alcuni tardi aristotelici e gli stoici distinguevano invece nettamente: l’opinione rispetto all’apparenza coinvolge un’operazione mentale addizionale: l’assenso alla proposizione contenuta nell’apparenza. Seneca insiste che la pura apparenza dell’ingiustizia non equivale all’ira senza un assenso della mente. La mente deve convenire che c’è realmente un’ingiustizia.

Posidonio cercherà di dare degli esempi di emozioni in cui non c’è assenso. Questi casi esistono, tuttavia non vanno sovrastimati: come gli stoici infatti affermano, persone non addestrate al controllo emozionale possono non notare il momento in cui essi danno l’assenso all’apparenza, perché esso è in loro automatico, e così non riescono a distinguere i due processi, che tuttavia sono dsitinti.

 

Mente o volontà?

Parlando del secondo giudizio, di assenso, che riguarda la rabbia, Seneca non parla di assenso, ma di volontà (voluntas ). Tanto per cominciare, voluntas qui significa “desiderio”: non desiderio razionale, che è il significato di voluntas  presso gli stoici, ma desiderio irrazionale, che malamente viene tradotto come “impulso”, ma si potrebbe meglio tradurre come “desiderio”, “conato”. Il desiderio viene visto da Seneca e dagli stoici come assenso da parte della ragione, che si distingue dagli altri assensi per il fatto che riguarda ciò che è appropriato FARE. Quindi voluntas e impetus  (desiderio) significano “assenso a una apparenza riguardo a ciò che è appropriato fare”.

Per noi moderni è difficile aderire al punto di vista di Crisippo. Giudicare un’azione come adeguata non vuol dire desiderarla e di converso desiderarla non vuol dire che la si giudichi adeguata; ma se anche desiderio e giudizio andassero sempre di pari passo si tratterebbe tuttavia di cose diverse. Di fatto, come nota Aristotele nella sua critica a Platone, che distingue: a) volontà, b) ira o rabbia, c) appetito, le ultime due appartenenti all’anima irrazionale e la prima all’anima razionale, il desiderio può essere considerato una facoltà a sé e (da quanto capisco) non dovrebbe essere accomunato all’anima razionale, come fa Crisippo con la sua psicologia unitaria. L’effetto della psicologia unitaria di Crisippo è che le emozioni possono essere equiparate a giudizi, ma d’altro lato essere definite un’impulso, un impetus , un desiderio. L’emozione è infatti ripetutamente definita un’impulso eccessivo. Ma è chiaro che si sta parlando semplicemente di un assenso della ragione ad un altro tipo di proposizione, riguardo ciò che è adeguato fare.

Seneca non cambia sostanzialmente il punto di vista di Crisippo. Il termine voluntas  nel senso larghissimo di “impulso”, “desiderio”, può certamente essere scambiato col termine “mente” o “intelletto”.

 

L’impulso emotivo non è sufficiente per l’azione

E’ improbabile che l’impulso coinvolto nell’emozione sia sufficiente a produrre  azione. Ad es. per la vendetta il tempo potrebbe non essere maturo; o quando giunge il tempo l’impulso potrebbe essere cambiato. Un’altra particolare ragione è che per gli stoici le emozioni  comportano  una oscillazione tra due impulsi, assensi o giudizi, l’impulso emozionale e il proprio giudizio che è migliore. Non è possibile che entrambi siano tradotti in azione

 

Le emozioni come fenomeni volontari in quanto eradicabili

 Gli stoici rappresentano le emozinoi come volontarie, perché si può  mettere in dubbio le apparenze e trattenere il proprio assenso ad esse.. Ci sono molte tecniche terapeutiche per gettare dubbi sull’apparenza.  Per gli stoici il giudizio comporta assenso volontario. Esempi mostrano che le emozinoi possono essere inibite o autoindotte.. Il tempo per riflettere ci consente di fermarle. Anche gli scettici pirroniani  trattano le emozioni come in quanche senso volontarie. Tutti coloro che asseriscono che si può raggiungere la libertà da ese avanzano una simile affermazione.

Altre scuole rigettano le pretese di volontarietà. Gli aristotelici, gli epicurei pensano che le emozioni sono inevitabili,  anche se in pratica la differenza tra stoici e epicurei su questo punto sia più ridotta di quanto appaia, perché Filodemo crede che sia ottenibile un tipodi rabbia che gli stoici considererebbero libertà dalla rabbia. Comunque gli epicurei  sostengono che dipende dall’individuo quali particolari emozioni si sperimentano, perché dipende dall’individuo  quali tra le innumerevoli immagini in arrivo si selezionano per focalizzarsi su esse. Il platonico Didaslalikos  si schiera contro Crisippo e nega che le emozioni dipendano da noi. Ma porta poca evidenza a favore di questa tesi. Lidea che leemozioni diipendano da noi può sembrare bizzarra ad un moderno, e in particolare ad un freudiano.  Quando considereremo le antiche tecniche terapeutiche  si vedrà che questa opinione ha un elemento di verità.

 

Decidere di credere

 L’idea della volontarietà delle emozioni è opposta all’idea tipica della filosofia moderna che non possiamo decidere di credere alcunché.

Gli stoici non parlano di volontà “will” se non quando l’opinione riguarda in modo rilevante una azione. Vedremo che Agostino considera l’assenso alle apparenze un atto di volontà in tutti i casi. Egli sarà seguito sul punto da Cartesio.

 

I sentimenti buoni: eupatheiai.

Quando gli stoici parlano di eradicare le emozioni, occorre comprendere che essi espungono un certo numero di stati mentali dal novero delle emozioni

Ci sono anzitutto the good states of feeling (eupatheiai) che sono propri del solo saggio: gioia (khara), volontà in senso stretto (boulesis) e prudenza (eulabeia). Ci sono 4 specie di volontà in senso stretto: volontà buona (good will) (eunoia): desidera il bene di un altro. Gentilezza (kindness) (eumeneia): è euonia che perdura. Accoglienza (welcoming) ( aspasmos): è l’ininterrotta eunoia. Amore (love) (agapesis).

Ci sono tre specie di gioia: diletto (delight) (terpsis) è una gioia appropriata per il proprio vantaggio. Contentezza (gladness) (euphrosune): gioia at the deeds of temperate. Allegrezza (cheerfulness) (euthumia): gioia  per il governo (conduct) dell’universo e per il fatto che esso non lascia niente da desiderare.

Ci sono due specie di cautela: modestia (aidos): is caution about due blame (colpa, responsabilità). Pietà (piety) (piety: anche devozione): cautela riguardo i peccati verso gli dei.

La cautela potrebbe sembrare poco ovvia come emoziione. Ciò che distingue la gioia dalla emozione del piacere, che è condannata non è la struttura di giudizio: anche qui si giudica che qualcosa sia buono e che la conseguente espansione sia adeguata. Ma si tratta di “ragionevole” espansione (nel caso della gioia), di “ragionevole” volontà (nel caso del desiderio), di “ragionevole” scarsa propensione (disinclination) nel caso della cautela. Inoltre, i giudizi sono veri, laddove quelli coinvolti nelle emozioni sono falsi. I giudizi dei good states of feeling sono razionali anche nel senso cche evitano quel particolare tipo di disobbedienza alla ragione di cui si tratterà nel terzo capitolo. Il fatto che i good states of feeling sono riservati al saggio dovrebbe poi comportare uno sfondo ulterioredi comprensione che li rende razionali e stabili (Cicerone li definisce stati costanti e pacifici; Seneca conferma che la gioia non cessa né si muta nel suo opposto, anche se ci sono resoconti in cui la gioia non dura)

Crisippo tratta gli eupatheiai separatamente dalle emozioni, sulla base della loro ragionevolezza e verità, anche se Plutarco riconduce gli eupatheiai alla paura (caso della cautela). Egli considera poi le inclinazioni istintive come identificantesi con l’emozione dell’appetito.

Dato che il requisito della ragionevolezza non implica per gli Stoici quello della conoscenza (knowledge, katalepsis) non è agevole vedere come gli eupatheiai possano essere solo del saggio. Una giustificazione potrebbe essere che i non-saggi mancano delel informazioni necessarie per riconoscer la condotta da evitare o quella in cui compiacersi in confronto della divinità o degli altri uomini, mancanza che pregiudica la costanza e la stabilità che contraddistingue lo stato mentale del saggio.

Gli eupatheiai sono pochi e i loro esempi rari. Perdipiù manca un corrispondente del distress, perché anche se una angoscia derivante dalla contemplazione del cattivo carattere degli uomini può sembrare corretta in realtà priva il saggio della sua serenità (il saggio potrebbe anche considerare la malvagità degli uomini come inserita in un disegno complessivo di saggezza e bontà).

Si noti che la volontà appartenente agli eupatheiai riguarda solo gli altri. Il suo ambito può essere lievemente allargato se si aderisce all’interpretazione che la heiresis is teh sage’s calculated selection of indifferentes as an example of genuinely good action. Ma anche così è uno stato riservato ai saggi.

Gli stoici appoggiavano l’amore platonico omosessuale. Ma questo non allarga la lista delle emozioni perché non è pathos, come sarà spiegato.

I non-stoici aggiungono altri stati mentali alla lista stoica delle eupatheiai: amore mistico (Plotino); i piaceri dell’intelletto (Proclo e Damascio); la consuetudine con Dio di Mosè (Filone di Alessandria); morsi (bites) e contrazioni (Filone di Alessandria).

Gli Stoici affermano che le persone sagge traggono vantaggio l’una dall’altra anche se non si conoscono. Forse questo vuol dire che la vista o la consapevolezza dell’esistenza di caratteri saggi provoca l’eupatheia della gioia.

 

Le emozioni temporaneamente utili per il principiante ma alla fine da rigettare da parte del saggio

Un’altra emozione accetabile per gli stoici, ma solo nello stato di novizio, è il desiderio ardente di un buon carattere. Gli stoici esortano addirittura a sentire angoscia o vergogna per il proprio presente carattere e a rallegrarsi per il progresso fatto, o ad essere cauto riguardo gli errori. L’inconveniente di questi stati è che ad es. questa angoscia turba alla lunga la serenità del saggio, come si è già detto. Il godere dei progressi fatti non è neanche esso conforme all’ideale del saggio, perché il progresso è un preferred indifferent. Anche la cautela è una emozione che ricorre a caso e facilmente può ingannare riguardo ciò che è da evitare.

 

Prothumia: inclinazione istintiva

La prothumia  o inclinazione istintiva (latino desiderium naturae ) è indicata da Plutarco come una reazione accettabile. Esempi ne sono l’unirsi in gioco con bambini; parlare con persone che ci prestano attenzione etc. Le pecore hanno una prothumia  a mangiare il giusti tipo di erbe. La nostra prothumia  per il sesso ci fa adempiere i doveri naturali nella famiglia. La prothumia  è accettata perché è involontaria; quando è volontaria (epithumia ) si trasforma in appetito. Essa, in quanto inclinazione preliminare, non coinvolge l’assenso; tuttavia può essere vista talvolta come apparenza di qualcosa di buono e in questo modo stimola i primi movimenti.

 

Le “selectioni” (ekloge) che mostrano gli indifferenti preferiti come tali e gli indifferenti non preferiti come tali

Così come l’emozione non è altro che vedere gli indifferenti come bene e l’eupatheia  non è altro che vedere il bene come bene, ci può essere un terzo stato, l’ekloge : vedere i preferred indifferents come preferred indifferents e i dispreferred indifferents come dispreferred indifferents

 

Volere con riserva

Qualificare un desiderio e una speranza con la clausola “se dio vuole” o “se non vi sono ostacoli” (“nothing prevents”) è l’ultimo degli atteggiamenti raccomandati che sono stati qui presi in rassegna. Questo atteggiamento, secondo gli Stoici, evita o alleggerisce la frustrazione. Si può fare l’esempio di uno stoico che dica “io giudico appropriato evitare la malattia, e che sia fatto il volere di Zeus, ma, se non è possibile questo, che sia fatto il volere di Zeus”. Il secondo corno dell’alternativa, il secondo desiderio, ha una continuità e la prontezza ad abbandonare il primo consente la tranquillità.

Praticare la riserva riguardo i propri desideri, può aiutare ad evitare emozioni. La prontezza ad abbandonare l’opzione che si preferisce conduce a valutare diversamente quell’opzione come qualcosa che è naturale e giusta da preferire ma è soltanto un “preferred indifferent”. Questa riserva può essere utilizzata da una persona che sta semplicemente selezionando degli indifferenti, che sia saggio o meno. Forse può essere esercitata anche da un saggio  che desidera un buon carattere, un bene genuino per le altre persone

 

 

 

Il punto di vista di Seneca. I “terzi movimenti” che conciliano le vedute di Crisippo e di Zenone

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Esiste un problema. Il punto di vista di Crisippo sembra ben diverso da quello di Zenone di Cizio (Citium), ma secondo Galeno Crisippo appoggia le vedute di Zenone

 

Il punto di vista di Zenone, incompatibile con quello degli altri stoici

Zenone dice che l’emozione è una disobbedienza alla ragione e non un errore della ragione.

Si dovrebbe interpretarla come “consapevolezza di andare contro il proprio miglior giudizio” piuttosto che, come è stato proposto, “impulso irrazionale” o “azione contro ciò che è obiettivamente ragionevole, ma senza saperlo”. Non si tratta di un errore della ragione, ma di andare contro il proprio (retto) giudizio. Crisippo, riportando questa opinione di Zenone, distingue da questo caso altri casi in cui la ragione è invece indotta in errore (es. il sacrificio che Agamennone fa della figlia Ifigenia perché i troiani possano salpare) ed esclude esplicitamente che voglia dire “ingannarsi con la propria ragione” (che sembrerebbe la tesi di Crisippo del falso giudizio).

Crisippo è d’accordo con la tradizione stoica secondo cui all’emozione si accompagna una agitazione, e più precisamente questa deriva dall’oscillazione tra pensieri opposti. Platone si era opposto all’idea di pensieri opposti. Crisippo aveva escogitato una oscillazione così veloce che in realtà non c’è pensiero opposto, ma alla mente sembra di essere combattuta.

Crisippo non interpreta “disobbedienza alla ragione” neanche come “rigettare a causa dello stato emozionale la giusta ragione che venga presentata”

 La stranezza è che Crisippo si dichiara d’accordo sul fatto che tutte le emozioni coinvolgono akrasia , che dall’originario significato letterale “essere fuori controllo” è passata tradizionalmente a significare, dopo Aristotele, “andare contro il proprio miglior giudizio”. Questa stranezza ha fatto supporre che Crisippo stia in realtà esponendo le opinioni di Zenone che paiono sue per l’ambiguità con cui è scritto il testo.

Non è del tutto chiaro, nei passi citati, dove Crisippo espone le teorie di Zenone e dove le sue, e dove approva le teorie di Zenone. Ma Galeno e Posidonio, che riportano i passi, sono convinti di esprimere anche il pensiero di Crisippo.

 Stobeo riporta una simile osservazione per gli stoici in generale: è loro opinione che una persona realizza di sentire dolore o paura per qualcosa, tuttavia essa non vi rinuncia viene trascinata (“carried away”) via dalla ragione.

 Medea rappresenta un buon esempio di emozione come la concepisce Zenone: essa non incappa in un falso giudizio, ma è piuttosto consapevole a livello razionale delle cattive conseguenze del comportamento che si prefigge di tenere per vendicarsi di Giasone (come ulteriore differenza dagli esempi di Crisippo, si noti che il giudizio di Medea è, almeno in parte corretto, ciò che non si dà mai in Crisippo).

Zenone asserisce inoltre che l’emozione è un’agitazione (fluttering) dell’animo. L’agitazione è intesa come oscillazione tra pensieri opposti (Platone non aderisce a questa veduta). Crisippo si dichiara d’accordo: per superare l’obiezione di Platone che un animo unitario non può trovarsi in due stati contemporaneamente, dichiara che non si tratta tanto di compresenza di pensieri opposti, quanto di rapida oscillazione tra due pensieri. Ma ancora una volta questo non sembra in linea con le teorie accreditate a Crisippo.

 Secondo Galeno e Posidonio Crisippo sostiene che le persone sono trascinate (carried away) dall’emozione in modo da essere distolte (turned away) dalla ragione, quando l’emozione supera una certa soglia.

Si potrebbe sviluppare questo punto di vista nel senso che il secondo giudizio, dell’appropriatezza della emozione dipende dalla stima dalla stima (dalla grandezza) del male o del bene che ci si attende o anche dalla debolezza dell’animo.

Ma Posidonio controbatte che Agamennone, malgrado debole d’animo e malgrado stimi imminente un grande male (la sconfitta ad opera dei troiani) tuttavia segue la ragione, nella forma del consiglio di Nestore. La teoria di Crisippo non dà quindi conto del perché certe persone si fanno trascinare dall’emozione e altre no.

Secondo Posidonio e Galeno, c’è un’altra contraddizione nella teoria di Crisippo, la sua affermazione che nell’appetito può esserci un conflitto tra due opinioni, quella che qualcosa è svantaggioso e quella che tuttavia la si deve perseguire

 

Il terzo movimento di Seneca come conciliazione tra le vedute in conflitto

Seneca compie il primo tentativo di comporre queste contraddizioni. Egli distingue almeno tre movimenti nel caso dell’ira. Con il secondo movimento la mente asserisce all’apparenza di ingiustizia che chiede di essere vendicata. Nel terzo stadio si conferma una volontà will persino in eventuale disobbedienza alla ragione: “Io debbo vendicarmi, capiti quel che capiti”. E’ sparita la clausola “se è giusto/necessario”.

C’è qui una certa differenza rispetto al caso di Medea: Medea andava contro le conclusioni della sua stessa ragione: qui l’anima ne prescinde, semplicemente, che le abbia raggiunte o meno.

Anche nel terzo stadio c’è un giudizio, perché la volontà (will) è concepita dagli stoici come un tipo di giudizio. Only the judgement is now something like “I must be avenged, come what may”. E’ anch’esso infatti un “giudizio di appropriatezza”: è appropriato vendicarsi “capiti ciò che può”. Può esserci un’oscillazione tra il terzo e il secondo movimento, but it will be  an oscillation not like Medea’s between a correct and an incorrect judgement, but between an incorrect judgement and an even more incorrect judgement.

Seneca’s postulation of a third movement is very true to life. An observer can even time the shift from “revenge is appropriate” to “I must be revenged”. Modern psychologists have observed the same phenomenon, and it bears some relation to what they call “flooding” (c’è un richiamo a Intelligenza emotiva  di Daniel Goleman).

Seneca dice in un punto di un suo trattato che la disobbedienza alla ragione spesso svanisce se i giudizi sono ritrattati. In tal caso, non essendoci disubbidienza alla ragione, non si può però parlare di emozione, e quindi la descrizione dell’emozione non viene scalfita da questa considerazione. Ma probabilmente Seneca non si riferiva a veri giudizi, ma ad apparenze, e in tal caso non fa altro che esporre la tradizionale tesi stoica che l’acritica adesione alle apparenze non è emozione.

 

Le divergenze di Crisippo rispetto a Zenone

Secondo S. Zenone non distingue una parte razionale e una irrazionale dell’anima, cui appartiene l’emozione (come fa Platone) né è per l’unitarietà dell’anima (come è Crisippo), ma pensa ad un’anima unitaria che fronteggia il corpo. Crisippo ritiene che la sede delle emozioni sia unitaria e non assegna alcun ruolo del genere al corpo

Crisippo è il primo in assoluto ad identificare completamente l’emozione col giudizio. Zenone l’angoscia (distress) e il piacere occorrono “in occasione” (epi) di un giudizio, e il giudizio non sempre è causa sufficiente delle emozioni, che possono svilupparsi e illanguidire indipendentemente da esso.

Zenone e Crisippo concordano che l’emozione è un “impulso” (almeno, per Crisippo, l’appetito e la paura): ad evitare o ottenere qualcosa. Zenone parla delle emozioni come impulsi eccessivi (akrasia ) e come si è visto, anche Crisippo si riferisce alla akrasia , che per lui è disobbedienza alla ragione. Ma Crisippo identifica l’impulso col giudizio e considera le contrazioni e espansioni come meri fatti concomitanti l’emozione, mentre Zenone pare considerare piacere e angoscia come espansioni e contrazioni in occasione (epi ) di giudizi. Zenone considera le emozioni anche come impulsi eccessivi ed è poco chiaro come esse possano essere contemporaneamente questo e quello. Gli stoici più tardi non considereranno comunque espansioni e contrazioni come impulsi.

Crisippo innova distinguendo due movimenti. Questo gli consente tra l’altro di spiegare perché l’emozione può illanguidire mentre i giudizi rimangono fermi: in realtà solo alcuni  dei giudizi rimangono fermi.

Crisippo innova anche distinguendo eupatheiai , la serenità (good states of feeling) dalle emozioni (pathe ), malgrado questi due stati abbiano la stessa struttura di giudizi, e a questo scopo introduce il concetto di volizione con riserva (wanting with reservation)

 

Riepilogo

Zenone considera tutte le emozioni impulsi che nascono a causa del giudizio (si ricordi che fino a Crisippo c’era un solo giudizio). Ma altrove la tesi di Zenone è riportata come “nascono in occasione (epi) del giudizio”.

Il carattere psicologico dei primi movimenti, secondo Crisippo è che vengono “sensed”.

Per Zenone i primi movimenti sono movimenti fisici nell’anima (che è formata di pneuma fisico). Ma altrove, è detto che per Zenone l’anima fronteggia il fisico e i movimenti sono “sensed” da un’anima unitaria che fronteggia il corpo. Ma credo che per tutti gli stoici l’anima sia fisica.

Solo con Gregorio di Nissa l’emozione coinvolge spesso non movimenti di un’anima di natura fisica, ma movimenti fisiologici che sono sentiti come contrazioni o espansioni

Seneca, riguardo il secondo giudizio, parla di “will”. Per gli stoici “will” è semplicemente “reasonable desire”; altrove o impropriamente può significare “unreasonable desire”. Secondo S. il “will” che è coinvolto nel secondo giudizio è per Seneca “unreasonable desire”, ma a me pare più plausibile il primo significato.

 

 

 

Il punto di vista di Seneca. I primi movimenti come risposta alle teorie di Posidonio

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I primi movimenti in Seneca

Per Seneca esistono primi movimenti consistenti in piccole contrazioni ed espansioni della mente che sono indipendenti dal giudizio (mentre altri ne dipendono) e ricorrono prima di esso. Cicerone parla di essi come di “morsus et contractiunculae animi” (bits and little contractions of the mind). Essi non sono ancora”emozione”.

Questi primi(ssimi) movimenti, nel caso dell’ira sono provocati dall’apparenza di ingiustizia.

Esistono anche primi(ssimi) movimenti fisici: pallore, lacrime, flashing eyes (if someone’s eyes flash, they suddenly show a strong emotion, especlally anger), irritazione sessuale. Neanch’essi sono “emozione”.

Il nome di “primi movimenti” andrebbe riservato alle sole espansioni e contrazioni mentali e alle scosse fisiche che sono involontarie e precedono l’emozione vera e propria e sono determinate dalla pura apparenza, quindi non alle espansioni e contrazioni che dipendono dal giudizio che vi sia un bene o un male incombente

 

Primi movimenti involontari

I primi shocks o movimenti sono involontari e non possono essere evitati neanche dal saggio

 

L’importanza dei primi movimenti nella terapia

Se si riesce a individuare in tempo I primi(ssimi) movimenti e a dire a se stesso “questa non è ancora l’emozione, è solo una scossa (shock)” e contemporaneamente a revocare in dubbio l’apparenza cui tenderemmo ad aderire, possiamo non badare alle scosse come meri sintomi dell’apparenza.

 

Quando vennero distinti i primi movimenti dagli Stoici?

I primi movimenti acquisteranno un ruolo centrale solo nel tardo stoicismo. Zenone non pare conoscerli e Crisippo ne tratta di straforo, parlando di chi piange contro la sua volontà, lasciando perdipiù in dubbio se qui siamo di fronte a veri primi movimenti involontari (= l’anima abbraccia l’apparenza) o a oscillazione tra giudizi confliggenti (= il nostro giudizio abbraccia l’apparenza ma il momento dopo abbraccia la conclusione che essa è erronea).

 

I primi movimenti fisiologici in Aristotele e Galeno

I primi movimenti erano già stati descritti da Aristotele. Egli parla di come il cuore o il pene possono essere mossi da una mera apparenza senza un comando dell’intelletto. Questo può anche capitare quando l’intelletto stesso pensi a qualcosa di spaventoso o piacevole senza comandare la paura.

Per Galeno le contrazioni non si verificano nell’anima (come dice Crisippo), ma sono dovute alla bile gialla che fluisce entro lo stomaco. Anche Aristotele rigetta l’idea di un’anima fisica e propone una interpretazine fisiologica di tali fenomeni.

Aristotele ritiene che i primi movimenti possano precedre l’emozione: ad es. l’ira comporta un ribollire del sangue or a warm stuff around the heart.

Secondo Crisippo the soul’s poor state of tension made it liable to emotion

 

Seneca sui primi movimenti, in risposta a Posidonio ed Aristotele

Il concetto di “primi movimenti” viene usato da stoici come Seneca per difendere Crisippo dall’obiezione di Posidonio che vi sono casi in cui l’emozione subentra senza un giudizio. Egli cita: a) il caso delle emozioni negli animali; b) le emozioni suscitate da musica puramente strumentale; c) le lacrime che noi stessi riconosciamo ingiustificate.

Per Seneca, gli animali sperimentano solo apparenze iniziali; la musica induce solo apparenze e primi movimenti; le lecrime sono primi movimenti.

Il concetto di primi movimenti è molto importante nella tarda Stoa: esso viene usato anche contro la teoria aristotelica della catarsi ed è indispensabile per (capire) la terapia stoica.

Viene riportata per esteso la descrizione dei tre movimenti che si trova in Seneca

(Parole di Seneca) In order that you may know how emotions (adfectus) (1) begin, or (2) grow, or (3) are carried away (efferri), (1) the first movement is involuntary (non coluntarius), like a preparation for emotion and a kind of threat. (2) The second movement is accompanied by will (voluntas) not an obstinate one, to the effect that it is appropriate (oporteat) for me to be avenged since I am injured, or it is appropriate for him to be punished since he has committed a crime. (3) The third movement is by now uncontrolled (impotens) and wills (vult) to be avenged, not if it is appropriate (si oportet) but come what may (utique), and it has overthrown (evicit) reason. We cannot escape that first shock (ictus), of the mind by reason, just as we cannot escape those things we mentioned which befall (capita a) the body either, so as to avoid anothr’s yawn (sbadiglio) infecting us, or avoid our eyes blinking when fingers are suddenly poked towards us. Reason cannot control those things, though perhaps familiarity and constant attention may weaken them. The second movement, which is born of judgement, is removed by judgement.

 

 

 

Le arti. I primi movimenti e i dibattiti sul teatro e la musica. Aristotele, Filodemo e gli stoici.

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Seneca sul dramma e la catarsi

Gli stoici non degnarono di attenzione la teoria della catarsi di Aristotele, secondo la quale la rappresentazione teatrale suscita le emozioni e poi le purifica, perché, secondo loro non sono emozioni ma primi movimenti. Quindi è in errore Aristotele quando parla di “purificazione di emozioni”, perché in realtà non sorgono emozioni

 

La controversia circa la emozioni reali nella tragedia

Le obiezioni contro l’esistenza di reali emozioni nella tragedia sono molte. Principale è quella che guardando un episodio noi vediamo un’apparenza, ma non diamo la nostra adesione all’apparenza, perché se vediamo un omicidio non saliamo sul palco per impedirlo. Si potrebbero citare molte altre obiezioni del genere

Gli stoici ammettevano che in certo numero di casi a teatro si potessero dare vere emozioni. Un caso è quello in cui si pensa: “questo potrebbe succedere anche a me”

Si potrebbe anche ammettere che l’angoscia o il piacere nei confronti di ciò che sta capitando al personaggio sono reali emozioni, perché nel caso del piacere e dell’angoscia l’emozione non è altro che il giudizio della adeguatezza della nostra reazione. Ma anche nel caso della paura, in cui l’emozione consiste nel giudicare adeguata una linea di comportamento, si può avere una reale emozione (ad es. leggendo un libro di ghost stories ) perché ci può essere un comportamento (quello di chiudere il libro o di evitare gli angoli bui).

Un altro caso è quello in cui noi giudichiamo adeguato che qualcuno salvi i figli di Medea, perché è simile al caso in cui nella vita ci troviamo di fronte ad una situazione in cui non possiamo intervenire e speriamo, giudichiamo adeguato che altri intervengano.

Quanto al giudizio che è incombente un bene o un male, in linea di principio nella tragedia noi sappiamo che non incombe alcun bene o male, però potremmo giudicare che le cose della tragedia potrebbero accadere anche nella vita ordinaria, anche a noi.

Consideriamo ora il caso di eventi storici. Secondo gli stoici si può avere emozione solo quando il giudizio riguarda qualcosa che è incombente (presente) o che si verificherà nel futuro (futuro), quindi una cosa presente o futura, mentre il giudizio della storia riguarda eventi passati. Per questa ragione, secondo gli stoici, non può esserci emozione.

Abbiamo quindi due principali obiezioni che eliminano la maggior parte delle situazioni del teatro o della lettura di libri storici: l’obiezione “solo nella tragedia” e l’obiezione “tempo fa”. Certe volte occorre ricordare a noi stessi che si tratta solo di una rappresentazione teatrale, perché la tensione giunge a livelli insopportabili. Quindi egli ritiene che la mancanza delle emozioni dipenda non solo dal fatto che esista o meno un giudizio, ma anche dal fatto se stiamo attenti a ricordarci che si tratta di una finzione o no. Se manca questa “attenzione” si può dare genuina emozione.

Breve riepilogo delle obiezioni e delle contro-obiezioni

 

Seneca sulla musica

Ci sono due vie per ribattere l’obiezione di Posidonio che la musica senza parole scateni genuine emozioni: 1) Ci sono emozioni, ma ci sono anche giudizi; 2) Non ci sono giudizi, ma non ci sono neanche emozioni.

Seneca afferma che non ci sono né emozioni né giudizi

Alcuni lettori potrebbero essere di opinione diversa. Ad esempio quando noi ci aspettiamo e desideriamo che una melodia termini in un certo modo potremmo dire che c’è una aspetattiva, un desiderio, e anche un giudizio su come dovrebbe finire la melodia, e quindi c’è una emozione.

C’è anche il caso in cui ricolleghiamo la musica a qualcosa nella vita (amore, guerra, morte etc.) e giudichiamo un bene o un male questa cosa della vita

 

Le teorie che assimilano la causa all’effetto

La base dell’obiezione di Posidonio riposa sul fatto che si ritiene che la causa sia  simile all’effetto: se la causa (la musica senza parole) non coinvolge nessun giudizio o apparenza, sembra a costoro che non possa sorgere una emozione, perché essa coinvolge il giudizio o l’apparenza. Ma l’idea che la causa debba essere simile all’effetto è un principio aristotelico che trae in inganno

 

Posidonio

Torniamo un attimo indietro per citare un punto della discussione sulla musica che pare importante. Damon il musico, Platone, Diogene di Babilonia, avanzano una argomentazione secondo cui l’emozione nasce per una affinità di qualche genere tra la musica e l’emozione. Ad esempo certe musiche sembrano una voce umana venata di tristezza.

L’idea che il simile produce il simile porta Posidonio ad argomentare che poiché la musica senza parola è irrazionale, non ne può nascere una emozione, che è un giudizio, e come tale razionale.

Si ricorda che Posidonio credeva che l’anima fosse fisica e che i movimenti fisici dell’aria stimolassero movimenti corporei, che poi si trasferivano a quella che egli riteneva la parte irrazionale dell’anima. Anche Platone asseriva che attraverso il corpo, che recepisce i movimenti esterni, il sangue e il cervello, queste impressioni si trasferiscono all’anima.

Tuttavia Posidonio trae la conclusione sbagliata: un movimento non razionale, come quello dell’aria o del corpo potrebbe creare un movimento razionale. Ad es. il caldo di una bottiglia di acqua calda potrebbe indurmi a pensieri circa la confortevolezza della mia posizione nel mondo o ancora – al limite – il fatto che l’anima sia una cosa fisica vuol dire che sia la musica che il pensiero (e questo è vero per gli stoici) hanno una base fisica e le due basi fisiche possono interagire: la musica può cancellare un giudizio preesistente o farne emergere un altro.

 

Filodemo e Seneca

Secondo Filodemo la musica ha l’effetto che viene indicato da Epicuro: non cambia i giudizi, non stimola emozioni, ma semplicemente distrae una persona dai propri problemi emozionali. Secondo Filodemo la melodia per se  non causa emozione. Questo è anche il punto di vista di Seneca, perché per Seneca la musica produce solo primi movimenti.

 

Zenone di Cizico

Come sappiamo Zenone riteneva che le emozioni sono razionali e non nel senso che coincidono con i giudizi, ma che sono causate dai giudizi. Poiché secondo Zenone la musica è razionale (perché ha logos ) il cambiamento dei giudizi può essere provocato anche dalla musica. L’argomento che la musica ha logos  è però debole: questa espressione non può significare che la musica contiene giudizi, ma solo una struttura intelligibile dalla ragione.

 

Due reazioni a Diogene di Babilonia

Filodemo pensava non solo che le emozioni fossero razionali (posizione vicina a quella di Crisippo), ma anche che il disaccordo riguardo l’armonia è dovuto a opinioni (“beliefs”) differenti. Anche Diogene di Babilonia ritiene che l’armonia è percepita da una percezione che è scientifica, sebbene ritiene che i toni alti e bassi siano oggetto di percezioni irrazionali. Damon il musico ha influenzato Platone dicendo prima di lui che la musica influenza il carattere e ottiene questo attraverso l’imitazione (“imitation”, “likeness”) del carattere. Diogene dice che la musica può essere usata per inculcare giustizia, e quindi può influenzare le emozioni.

Diogene sostiene che le nostre disposizioni possono essere calmate o intensificate diventando simili alla musica, anche se concede che questa somiglianza non è imitativa. Ma in questo caso si crea un problema per la visione della emozione come giudizio, perché quando l’emozione è suscitata semplicemente attraverso l’affinità (come visto sopra) non è probabile che siamo capaci di formare un giudizio

 

Storia successiva della controversia sulla musica

L’argomentazione di Posidonio che le emozioni sono irrazionali perché sono suscitate dalla musica si trova in molti pensatori successivi. Circola la storia di un oboista greco che calma i giovani semplicemente cambiando la chiave con cui suona l’oboe, o il tipo di oboe. Per Agostino, poiché l’impulso sessuale può essere calmato dalla musica, esso può anche essere assoggettato al comando della volontà

 

 

 

Posidonio sulle forze irrazionali presenti nelle emozioni. Lindagine di Galeno.

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Il dibattito se le emozioni fossero giudizi di valore si è avuto anche nel XIV secolo e in epoca odierna, ma la sua forma più sottile e acuta è quella antica, perché nel dibattito moderno sono stati offerti pochi esempi e precisata alquanto vagamente la tesi della natura valutativa. Le obiezioni che i giudizi sono non necessari o non sufficienti, che è richiesto qualcos’altro (es. il desiderio) o che le emozioni non sono riducibili a giudizi, desideri o a qualsivoglia altra cosa del genere hanno caratterizzato anche il dibattito moderno.

 

Posidonio

Posidonio scrive 150 anni dopo Crisippo (135-151 a.C.)

Posidonio ha una grande ammirazione per Platone e condivide le sue vedute circa l’esistenza di due parti irrazionali dell’anima. Egli chiama le varie parti dell’anima come Platone: parte razionale, irascibile e appetitiva. La parte irascibile, è legata all’ira e al dominio. La parte appetitiva concerne gli appetiti bassi. Non c’è forse nessuno più di Posidonio che ha dato un ruolo centrale alle emozioni in etica. Egli afferma “io penso che l’esame delle cose buone e cattive, l’esame degli scopi e l’esame delle virtù, dipende da un corretto esame delle emozioni”. E dall’esame delle emozioni dipende anche il regime dell’educazione di un fanciullo. Egli ritiene tra l’altro che gli impulsi derivano dalle immagini. Posidonio fa sua l’immagine platonica dell’auriga che conduce due cavalli.

Il regime delle emozioni comincia prima della nascita, facendo attenzione e cercando di vedere in anticipo ciò che verrà dal seme, dalla razza del bimbo, ciò che verrà dal regime del cibo, delle bevande, dell’esercizio, del riposo, del sonno e della sveglia, dell’appetito (“appetite”), dell’ira della madre incinta. Questo aiuterà a rendere l’elemento emozionale dell’animo assoggettabile a quello razionale, ciò che dovrebbe compirsi verso i 14 anni.

Secondo Posidonio occorre un addestramento razionale che mira a dare la comprensione della natura delle cose, ma anche un addestramento non-razionale per la parte non-razionale dell’anima, che è a kind of non-rational habituation che include anche la musica, che può stimolare gli spiriti torpidi e duri e invece calmare gli spiriti eccessivamente vivaci.

C’è anche un tipo di abitudine dell’elemento razionale che aiuta a prevedere le cose (mi viene in mente “saetta avvisa fa men duolo”) che potrebbero accadere in modo da togliere loro il carattere di non-familiarità. The result of this can be that the emotional movements occur not at all or only a little. Il valore della familiarità consiste nell’evitare che le nostre opinioni siano “fresche”: qualcosa che Crisippo lega in modo poco chiaro alla nascita dell’emozione.

L’obiettivo della vita è vivere in conformità con la natura, ma la natura superiore, quella affine all’elemento divino. Vivere in contemplazione dellaverità e dell’ordine di tutte le cose, non distratti dalla parte irrazionale dell’animo.

Va desiderata la saggezza, non il piacere o il dominio, che sono invece desiderati dall’elemento animale (“animal-like”) dell’anima

Posidonio muove feroci critiche alle teorie di Crisippo, che secondo lui non sono in grado di spiegare moltissime cose: ad es. perché gli impulsi siano talvolta eccessivi; perché persone differenti presentano notevoli variazioni nelle reazioni emotive; etc.

 

L’attacco di Galeno come fonte per conoscere il pensiero di Posidonio

Occorre una certa cautela nell’utilizzare Galeno come fonte di Posidonio, perché Galeno polemizza con Posidonio, ma non c’è ragione di negare completamente, come molti fanno, la fedeltà della sua esposizione.

Chrysippus went as far as anyone could in making plausible the idea that emotions consist in evaluative judgements. Correcting his predecessor Zeno who made emotions result from, but not consist in, judgements, he was able to go further in one respect than his modern counterparts. He was able drawing on zeno, to specify precisely which two judgements are involved in all emotions, so that the theory becomes highly testable. Emotions all involve a judgement of good or bad and the judgement that it is appropriate to react. This theory has the permanent value  of showing  us two points at which we may seek to attack unwanted emotions. In the end, the theory will not work, partly (not only) because there are cases, at least at the margins,  which will not fit. It is to the further credit of Chrysippus and zeno that they foresaw some of these cases, brought them out, and suggested some answers. Posidonius was to pur forward an importantly different view of the emotions, and at the same time to attack Chrysippus’ theory at at some of its most vulnerable points. Some of his attack would raise questionis for modern versions of the idea that emotions are judgements

 

Prima critica al resoconto di Galeno: sua ricerca pretestuosa di difetti nelle teorie di Crisippo

Galen accuses Chrysippus of contradicting himself on emotions occurring without judgement or reason. On one view, there is no incompatibility to be complained of. On the contrary, there is real incompatibility between Chrysippus’ account of emotion as mistaken judgement and Zeno’s account of it. The quotations from Chrysippus do not make clear whether he is endorsing Zeno.

 

Seconda critica al resoconto di Galeno: chi è lo stoico ortodosso, Posidonio o Crisippo?

E’ stato affermato che Posidonio è uno stoico troppo ortodosso per abbandonare il punto di vista di Crisippo che le emozioni sono giudizi della ragione e aderire al punto di vista platonico secondo cui ci sono due parti irrazionali nell’anima, l’appetitiva e l’irascibile, ma questa obiezione, se esaminata accuratamente, si rivela inconsistente.

Si possono qui fare alcune considerazioni: a) Crisippo può aver avuto qualche oscillazione; b) Posidonio pensa che i platonisti siano Zenone e Cleante (Cleante pare dividere l’anima al modo platonico); c) L’insegnamento di Zenone aveva carattere orale e può aver lasciato spazio a delle incertezze; d) Il titolo di “ortodosso” era facile ad essere indossato (era considerato un atto doveroso nei confronti dei fondatori) verso filosofi diversi dai fondatori, anche se talvolta si era ben poco ortodossi; e) era pure costume asserire che le vedute di un filosofo rivale in realtà non differissero dalle proprie; f) In nessun punto delle sue opere Crisippo pare aderire alla divisione platonica delle facoltà dell’anima

Posidonio sostiene che Crisippo aderiva all’idea che le emozioni diminuiscono (fade) con la sazietà. Ma questo sembra trattare la ragione come una entità distinta che è sostituita da altre quando c’è subbuglio (turmoil) emozionale.

Panezio, il maestro di Posidonio, affermava che la ragione si trovava di fronte all’impulso (appetitus), che va controllato con la “temperanza”. Ma questo non implica che le sue vedute siano incompatibili con quelle di Crisippo ed egli potrebbe addirittura aver condiviso l’idea di Crisippo dell’impulso come giudizio razionale, come tale controllabile dalla ragione

 

Terza critica al resoconto di Galeno: le emozioni implicano giudizi o sono esse stesse giudizi?

The third objection to Galen’s reporting exploits (sfrutta) the fact that Posidonius does after all allow a major role to judgements in emotion. This is perfectly true, but some scholars doubt if the texts in which Posidonius gives a role to judgement go as far as identifying them with judgements.

The truth is that Posidonius sees emotions as standardly, but not always, involving judgements, and as not identical with judgements

 

Quarta critica al resocondo di Galeno: non è forse vero che un elemento emotivo nell’anima impedisce l’eradicazione delle emozioni e il giudizio di indifferenza?

It may be thought that Galen must be wrong to ascribe to Posidonius Plato’s two emotional powers of the soul. For Posidonius would then have to abandon the Stoic belief that emotion can be eradicated (apatheia) and the belief that everything except character and rationality can be viewed as indifferent.

Posidonio non ritiene che si debba vivere l’intera vita in accordance with emotions.

Ma non ritiene neanche che le emozioni siano contrarie alla “natura” e quindi da eradicare completamente (come pensa Crisippo). Egli anzi ritiene che per mezzo della musica si debba stimolare le emozioni nei fanciulli dalla mente ottusa.

Con tutta probabilità Posidonio pensava che solo le emozioni eccessive, come quelle di Medea, dovessero essere eradicate

Per Panezio “freedom from pathos “ consiste in nient’altro che nel moderare le emozioni

Per quanto riguarda gli indifferenti, alcuni passi suggeriscono che Posidonio pone la salute, la ricchezza e forse il dolore fisico tra i non-indifferenti (veri mali e beni). Ma a parte il fatto che la lista potrebbe essere più ridotta di quanto sembri perché a scopo terapeutico gli stoici consigliavano di considerare certi stati mentali (che parlando rigorosamente erano indifferenti) come male e rifuggirli o cercare di evitarli.

Even the sage will need to use the spirited and appetitive powers of his soul, and not only when he engages in eupatheia. Simply in his correct selection of indifferents, he must avoid the listlessness which Posidonius condemns. Of course, in engaging in emotion, Posidonius’ sage is not erroneously taking indifferent things to be good or bad. For Posidonius simply does not accept that Chrysippan account of what an emotion is. Nor is there any reason why he should, since Zeno did not accept that definition of emotion either.

 

 

 

La controversia pro e contro leradicamento delle emozioni

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Studiosi come Richard Sorabji dissentono sull’ideale di Crisippo dell’eradicazione completa delle emozioni. Ci sono emozioni positive e preziose, come l’amore tra genitori e figli o tra partner sessuali. Moderni studi neurobiologici mostrano che un sistema emozionale automatico è uno strumento di cui siamo stati dotati per la sopravvivenza. La ragione migliora ulteriormente questo sistema. Tuttavia è estremamente interessante analizzare le ragioni pro e contro la posizione di Crisippo.

 

Le ragioni per il rigetto delle emozioni: l’indifferenza

La convinzione che non ci sia niente di veramente buono o cattivo al difuori del carattere porta a considerare tutte le emozioni come un primo giudizio sbagliato. Persino nel caso in cui lo sconforto riguardi il proprio carattere, è lo sconforto, cioè il secondo giudizio, ad essere errato.

 

Le ragioni per il rigetto delle emozioni: tranquillità, dignità

Democrito e Seneca pregiavano la serenità e buonumore (cheerfulness, tranquillitas, euthumia), mentre gli epicurei e gli scettici pirroniani ricercavano l’assenza di disturbi (ataraxia). Per tutte queste scuole le emozioni sono disturbanti e quindi precludono la serenità (tranquillity). Cicerone dice anche che tolgono la dignità.

 

Perché non conservare le emozioni piacevoli?

Non si può sperare, per filosofi come gli stoici o I pirroniani, di tenere solo le emozioni piacevoli, perché emozioni piacevoli e spiacevoli vanno insieme. Non si può sperare il piacere di ottenere ciò che si vuole senza essere vulnerabile  all’ansietà circa la possibilità di ottenerlo, alla depressione se non lo si ottiene, all’orgoglio se lo si è ottenuto, alla paura di perderlo e probabilmente all’esperienza di perdita, di gelosia, rabbia o remissività.

Un’altra ragione è che in molte emozioni l’aspetto doloroso è inestricabilmente unito con l’aspetto piacevole.

 

Le ragioni per il rigetto delle emozioni: gli affetti domestici si trasformano in odio

Gli stoici (almeno Seneca e Cicerone) erano giunti a considerare l’amore familiare come una base positiva per sviluppare una benevolenza e una solidarietà estesa a tutto il genere umano. Ma Epitteto lo condanna perché, non tratatndo le cose indifferenti come indifferenti, facilmente si muta in odio quando una donna, un oggetto, una terra viene gettata tra i familiari. Ciò che è riposto nel processo di oikeiosis (processo di crescita dell’amore per l’umanità) sono cose diverse (dall’interesse per) dalla qualità della nostra volontà.

Oltre che nell’amore familiare le persone danno erroneamente un valore alla donna, alla terra, alla gloria. Epitteto esortava a pensare alla mortalità dei propri familiari mentre li si baciava.

Epitteto ritorna alle prime vedute stoiche di Zenone e, a differenza di Seneca e Cicerone, non considera appartenenti alla comunità ideale degli uomini le persone che non soddisfano l’alto ideale di virtù stoica, perché questi ultimi sono capaci di fare qualsiasi cosa l’uno agli altri.

 

Obiezioni al rigetto delle emozioni: si tratta realmente di una soppressione definitiva e totale?

La moderna psichiatria ammonisce che in certi casi si sbaglia a sopprimere le emozioni: quando abbiamo patito per una situazione realmente cattiva; o quando le si sopprime senza averne compreso le cause profonde.

Ma questa obiezione fraintende l’approccio Stoico which is not to suppress emotion (that would be enkrateia , karteria ) but to dispel (dissipare, disperdere, cacciar via) it through understanding the real situation.

 

Obiezioni al rigetto delle emozioni: le emozioni sono utili?

Aristotele riconosce che una vita di pura contemplazione non è possibile per noi. Persino i filosofi debbono vivere in società ed avere nutrimento e anche la vita più felice richiede l’esercizio delle virtù in seno ad una società e la capacità di cogliere il giusto mezzo nelle emozioni. Una delle virtù più interessanti è l’amicizia, che coinvolge (involves) l’emozione in un modo particolarmente diretto.

Non abbiamo forse bisogno delle emozioni quando combattiamo, quando addestriamo animali, per autodifesa, per l’ambizione, per l’indipendenza di spirito, per l’obbedienza, per la stabilità delle leggi, per la prudenza, per somministrare la punizione o per offrire soccorso?

Gli stessi peripatetici riconoscono che le emozioni eccessive non sono utili. Ad esempio l’ira non è utile per chi punisce: per lo stoico la punizione ha a che fare con la correzione, e non con la vendetta. Richard Sorabji ritiene che Seneca sia nel giusto affermando che l’ira è spesso controproducente e che in realtà ciò che sarebbe auspicabile nelle situazioni in cui ne siamo colti è la fermezza di propositi, ciò che essa non giunge ad assicurare. Con ciò non si nega che l’ira è spesso non evitabile: si afferma che non serve a scopi utili o necessari.

Seneca afferma che il secondo giudizio dell’ira è “è appropriata per lui la punizione, perché ha commesso un crimine”, ma sarebbe meglio distinguere questo giudizio – che potrebbe essere accettato dal saggio – dal giudizio “è appropriato per me essere vendicato, perché sono stato ferito (injured)”, che è tipico dell’ira nelle persone ordinarie, e che è errato.

L’ira potrebbe essere utile per far capire al prossimo che occorre tenere in considerazione i sentimenti altrui. Ma secondo gli stoici in questo caso è sufficiente fingere l’ira.

Gli stoici avrebbero concordato con autori moderni che affermano che le emozioni sono necessarie per la comprensione di quanto ci circonda, in particolare (ad es. nell’amore) per focalizzarci sulle altrui emozioni e comprenderle, come necessaria risposta ad esse: è probabilmente per mezzo di molte esperienze affettive che il saggio stoico guadagna la sua libertà dalle emozioni.

 

 

 

Le tradizioni della moderazione e della eradicazione

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Il dibattito sulla scelta tra moderazione ed eradicazione delle emozioni era aperto prima degli stoici, già ai tempi di Aristotele, e esistevano modelli per l’eradicazione già con i Presocratici.

 

Aristotele: moderazione e giusto mezzo

Secondo Aristotele ciò che è richiesto per un buon carattere, per il coraggio, per la temperanza o l’autostima è la giusta quantità, la tempestività (timing) e la direzione di rabbia, paura, piacere o orgoglio.

Dalla esposizione di Aristotele ricaviamo l’impressione che la tesi della apatheia (libertà dalle emozioni) era universalmente diffusa nelle scuole filosofiche del suo tempo; nell’accademia platonica Speusippo, successore di Platone, parlava di aokhlesia, freedom from disturbance.

E’ stato detto che, riguardo emozioni come l’ira, il desiderio di oggetti illeciti, non debbono essere tollerate, e quindi la dottrina del giusto mezzo nei loro confronti fallisce. D’altro canto non pare giusto frenare la gioia per la liberazione da un tiranno. Ma la dottrina di Aristotele è perfettamente d’accordo con questo, dipendendo il “giusto mezzo” dalla persona, dall’occasione, dall’oggetto dell’emozione, dal probabile risultato e dalla maniera di reagire ed inoltre avendo certe emozioni l’idea di nocività (badness) built into them, cosicché nel loro caso non c’è spazio per l’idea di moderazione nel loro esercizio.

 

L’eradicazione stoica delle emozioni

Gli stoici non furono dunque né i primi né gli ultimi ad invocare l’eradicazione delle emozioni, ma piuttosto i più influenti. Ma apatheia significa cose differenti presso diversi stoici. Per Crisippo era libertà da tutte le emozioni tranne un piccolo numero di eupatheiai  godute solo dal saggio, se mai ve ne fosse uno. E questa divenne l’opinione stoica canonica. Per Zenone (vedi cap. 3) apatheia era qualcosa di più ristretto: libertà dalla disobbedienza emozionale esemplificata dal caso di Medea. Posidonio (vedi cap. 6) è contro l’emozione come definita da Zenone o Crisippo: disobbedienza alla ragione o cattiva valutazione degli indifferenti. Ma non accetta il modo in cui gli altri descrivono l’emozione: gli uomini hanno una parte emozionale dell’anima, come descritto da Platone, e ciò che conta è il suo conformarsi alla parte razionale

 

I cicli cosmici

Raramente la credenza nei cicli cosmici è usata a scopo terapeutico-consolatorio, sia che implichi una reincarnazione, sia che l’esistenza individuale ricorra solo una volta. Seneca, nel consolare Marcia, ritiene che la vita delle anime beate si interrompa comunque alla conflagrazione conclusiva.

Agostino nota che la ripetizione della storia svilirebbe la croficissione di Cristo

 

I cicli cosmici e l’anima

C’è molta incertezza nel pensiero antico se le persone che ritornano ad esistere in cicli successivi sono gli stessi sé qualora siano identiche ed indistinguibili o poco distinguibili

 

La terapia e l’anima

Alcune terapie, anche nella filosofia moderna (es. Derek Parfit) si rivolgono allanatura del sé, anche se alcuni moderni appelli ad una nozione di sé in filosofia morale sono stati pesantemente criticati.

 

La varietà dei sé

I concetti antichi di sé sono molto divesi e possono differire persino nello stesso contesto e nello stesso autore. Una ragione è che i filosofi may want to talk of a self acting on a self. We shall see that in Plutarch a self weaves a life, in Epictetus a self moulds a self, in Plotinus a self can direct a self so that it becomes different self, while in Hierocles the stoic a self is conscious of and attached to a self. I self coinvolti in questi scambi non sono tutti concepiti allo stesso modo: includenti il corpo, o l’intera mente, o perfino any of the mind. Essi possono richiedere di essere costruiti o solo essere lì per una ispezione. Possono essere o non essere continui. E possono includere la personality o no

 

Idee terapeutiche in Plutarco: la vita ricondotta ad unità e la vita discontinua

Plutarco ci esorta a tessere la nostra vita into a single whole mediante la memoria allo scopo di guadagnare la tranquillità. Se non facciamo così siamo come chi envisages il cosiddetto growing argument, e diventa diverso ad ogni variazione di dimensioni.

Ma secondo filosofi moderni che attaccano il concetto di sé questo non implica la continuità del sé che è solo una finzione biografica

Secondo costoro le biografie sono solo tessute attraverso l’interazione di separati sistemi nel cervello, che non sono più unificati delle formiche in un formicaio

Anche Plutarco pare rispondere negativamente, ma va notato che ciò che va contessuto non è un unico sé, ma un’unica VITA. Plutarco comunque sembra concepire an ordinary concept of a continuing physical person. Presumably, then, it is this person who does the weaving. Il costrutto (construct) terapeutico è la vita della persona e non il sé di una persona. Per l’uso terapeutico el sé bisogna volgersi ad Epitteto

 

Epitteto e la mente inespugnabile

Per Epitteto noi possiamo decidere di localizzare noi stessi o in externals o nella nostra proairesis, che meglio che con “volontà” può essere tradotta come disposition of reason towards certain kinds of moral decision.

Una volta che il nostro sé è la nostra proairesis esso sarà divenuto inviolabile. Epitteto era stato schiavo e gli erano state rotte le gambe. Egli scrisse: “tu romperai le mie gambe, ma la mia volontà (proairesis)  nemmeno Zeus può conquistarla”

Una simile dissociazione tra la persona e il suo corpo era attribuita all’atomista di indirizzo scettico Anassarco (IV sec. A.c.), maestro di Pirrone e probabilmente compagno della sua marcia verso l’India: “colpisci l’ombra di Anassarco, perché non puoi colpire Anassarco”. Ma l’uso del concetto di “proairesis” è solo di Epitteto.

In Epitteto abbiamo almeno due sé sfruttati: il sé che è formato per ragioni terapeutiche è mentale, ma non l’intera mente, bensì solo la proairesis. Il sé che forma il primo sé è the embodied self, as we know from the exercises by which Epictetus’ students are to do the shaping. Thy are to go walking at dawn and asking themselves questions about the emotive situations they encounter, and whether these are subject to their will.

Questi due sé sono distinti dal sé inferiore e dal sé demonico, to which it ought to conform and with which it si in constant dialogue, discussi da Adolf Bonhöffer.

 

 

 

Il concetto di volontà

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Una terminilogia dell’accademia platonica utilizzata o presupposta talvolta anche da Aristotele è la seguente:

·    Boulēsis = Desiderio razionale del bene (good)

·    Thumos = Desiderio di onori (“honour”)

·    Epithumia = Desiderio del piacere

In questo contesto boulesis  viene spesso tradotta con “volontà”

In epoca cristiana divenne più importante il termine thelein piuttosto che quello boulēsthai : la salvezza deriva dalla volontà (thelein ) di Dio piuttosto che dalla volontà (thelein) dell’uomo (Origene).  Tra i pagani non era molto usato come sostantivo, ma lo si trova in Plotino (la “volontà” dell’Uno) mentre come verbo lo troviamo in Epitteto e presso gli stoici (è una sorta di boulēsthai ).

Il cristiano che rese standard l’uso di thelein  per “volontà” è Massimo il Confessore

Libera voluntas  appare in Lucrezio (I secolo a.C.), seguito da Cicerone.

In Lucrezio al concetto di volontà viene assimilato quello di libertà, che però è dovuto agli impredicibili scarti degli atomi di cui è composto il corpo

Tertulliano usa libera arbitrii potestas  (libero potere di scelta) e arbitrii libertas  (libertà di scelta), ma traduce con questo il termine greco per autodeterminazione (autexousion ), che non ha alcun riferimento con la scelta o con la volontà.

Liberum arbitrium voluntatis (libera scelta della volontà) secondo molti è un termine che si origina con Agostino

Non c’è un unico concetto di volontà, e tantomeno oggi esiste un accordo sul termine. Tutto ciò che si può dire è che “volontà” è un desiderio con una relazione speciale con la ragione  e un certo numero di funzioni associate con esso: libertà (freedom) e responsabilità (responsibility) (“moral responsibility, that is, what you can be praised or blamed for”) sono associate con potere della volontà (will-power) (lo scrivente non ha capito se “will power” sia il concetto di volontà o uno dei concetti componenti). Tutti questi concetti esistevano ed erano stati elaborati nella filosofia greca ben prima che venissero unificati nel concetto di “volontà” da Agostino. Quando si associarono essi apparvero sin dall’inizio insieme ad alcuni altri concetti: a) il concetto di volontà che si perverte (perverted will): non semplicemente allontanandosi dal proprio better judgement secondo il modello stoico, ma volgendosi lontano da Dio (o dall’Uno plotiniano o pitagorico) con atto moralmente riprovevole (è un concetto connesso intimamente con quello di responsabilità morale), b) Il concetto di ubiquità della volontà in tutte le decisioni: concept of the will in Descartes and in modern philosophy as involved in every intentional action.

In tutto questo ci sono anche altre idee: a) ) di dominio, comando della volontà sulle passioni e di conflitto della volontà con le passioni; b) che ciò che domina le passioni non è la pura ragione (come ancora sostiene Aristotele) ma un desiderio razionale o volontà distinto dalla ragione, di cui ci può addirittura chiedere (e se lo chiesero nel 1270) se possa opporsi alla ragione; c) di debolezza (della volontà o desiderio razionale) cui, più che all’errore morale o all’ignoranza è dovuto il non-conformarsi alla ragione

Aristotele è uno dei primi a muoversi nella direzione del concetto di volontà come desiderio razionale distinto dalla (pura) ragione, distinguendo, rispetto alla ragione, una boulēsis – desiderio di beni superiori a quelli oggetto di thumos  ed epithumia che risponde alla ragione ovvero desiderio razionale del vero bene – che appartiene alla parte razionale dell’anima insieme alla ragione (con questo egli propone una bipartizione: ragione-boulēsis  da un lato e thumos ed epithumia dall’altro, invece della tripartizione platonica). Sebbene Aristotele in altri passi dica che l’epithumia è posseduta anche dai bambini non ancora dotati di ragione o intelletto, questa affermazione è tuttavia isolata e comunque la boulēsis  è collegata alla ragione. L’epithumia è rivolta a ciò che è o appare (qui Aristotele si discosta da Platone, che ritiene che essa non si inganni) il genuino bene, superiore agli obiettivi dei tipi di desiderio inferiori.

Platone parla di una parte dell’anima, thumos , high spirit or the spirited part, che è sempre alleata della ragione e non si mette contro di essa nella lotta contro gli appetiti e che fa da cane da guardia dei bassi appetiti per conto della ragione. Nel 1270 d.C. nascerà un dibattito sul quesito se la volontà è libera di opporsi alla ragione.

Il thumos non è però collegato alla responsabilità morale o alla libertà. Questi temi vengono sviluppati separatamente, quando si parla della scelta e della responsabilità di chi sceglie la propria vita successiva prima di reincarnarsi. Viene detto anche in proposito che la virtù è libera.

I platonisti legano anch’essi (più strettamente di Platone), il concetto di virtù senza padrone (adespoton ), di volontarietà,  di scelta e di ciò che è “up to someone/something”: la virtù è senza padrone, deve essere volontaria e dal momento che lanimo sceglie la vita successiva e non ha padrone is up to it whether it acts or not (Didaskalikon , medio platonismo); virtue is up to us and without a master, if we will and choose (Plotino); virtù e animo non hanno padrone, la virtù è volontaria e questo è connesso con l’autodeterminazione della volontà o dell’animo umano e col fatto che l’animo è guidato dalla sua propria volontà (Gregorio di Nissa). Ma non è al thumos che si riferiscono le idee di assenza di padrone etc.

Per il tardo platonista Galeno thumos può opporsi alla ragione e comunque non è l’unico a potersi opporre agli impulsi (c’è anche epithumia ). Boulēsis  è alleato della ragione ma non è dominante: boulēsis , thumos ed epithumia possono essere di volta in volta dominanti.

Aristotele, accanto alla boulēsis , desiderio razionale del bene, introduce la proairesis , che è il desiderio dei mezzi come boulēsis è il desiderio dei fini. Come tale è chiaramente connesso alla ragione.

Ma la proairesis di Aristotele non è un buon candidato per il concetto di volontà; il fallimento nel conformarsi alla proairesis  non deriva dalla debolezza di questa, ma da errore o da ignoranza o dagli stati mentali che favoriscono una visione poco lucida delle cose. Inoltre, la proairesis  non coincide col concetto di volontarietà, che per aristotele ha la stessa estensione di “ciò che dipende da noi” (“up to us”) e abbraccia anche i bambini non ancora giunti all’età della ragione e gli animali.

Alessandro di Afrodisia sostiene che ciò che è up to us è solo ciò che facciamo usando la proairesis . Epitteto dice lo stesso anche se il suo concetto di proairesis è alquanto differente. Egli afferma che solo in un senso più debole proairesis può essere concessa anche agli animali, perché accetta il concetto stoico di proairesis  come legato ad un impulso razionale (logikē hormē ).

Tommaso d’Aquino riecheggia Alessandro: traduce proairesis con electio e dice un comportamento è propriamente volontario solo se c’è electio mentre il comportamento degli animali può essere considerato volontario solo in un senso secondario del termine.

Con Alessandro di Afrodisia il concetto di volontà come proairesis diviene ubiquitario: tutto ciò che facciamo e che dipende da noi è volontario: è l’idea tipica di Cartesio e della filosofia moderna della volontà come coinvolta in ogni azione intenzionale.

Alessandro di Afrodisia presenta boulēsis come necessaria per dare il via libera all’hormē o all’orexis (rispettivamente impulso e desiderio) dopo che questi hanno assentito alla scelta dell’obiettivo come degno di perseguimento.

Il concetto stoico di impulso (horme ) è ancora troppo intellettualistico per essere il moderno concetto di volontà. Seneca usa voluntas in senso ampio, per indicare ogni desiderio o hormē  (impulso). L’impulso è visto intellettualisticamente come assenso della ragione a ciò che ci appare dinanzi, il giudizio che una linea di azione è appropriata: esso è un giudizio, ed è ancora alquanto lontano dal concetto odierno di volontà. Seneca distingue una voluntas nel vero senso del termine, che è il giudizio infallibile del saggio, e una volontà in un senso più debole che è l’assenso (fallibile) che il non-saggio dà alle apparenze.

In Seneca accanto al concetto di voluntas  si sviluppa il concetto di voluntarius collegato alla responsabilità morale.

Il concetto di will-power degli stoici rimase sempre troppo intellettualistico per poter essere considerato pienamente coincidente col senso odierno del termine. Si parla di un “centro di comando”, ma il ruolo di comando è quello della ragione. Essi in particolare non posseggono un reale concetto di conflitto, in cui entri la lotta della volontà, perché per essi può solo esserci conflitto di apparenze e di giudizi.

Posidonio è l’unico stoico che parla di una volontà che si oppone senza successo al pianto. Ma questo perché il suo stoicismo, rispetto a quello di Crisippo, ammette una parte irrazionale dell’anima, e quindi un conflitto.

Epitteto adotta un concetto di proairesis che è, tra le varie accezioni che il termine assunse nello stoicismo, quella più vicina alla nozione di volontà. Egli connette la proairesis  con ciò che dipende da noi e con la libertà. Epitteto, parzialmente anticipato da Antipater, introduce l’idea che ciò che dipende da noi è solo mentale, mentre l’attività fisica può sempre essere ostacolata e frustrata.

Epitteto connette proairesis con la responsabilità morale (ciò per cui si può essere lodati o biasimati). Stoici più tardi ruppero la connessione tra “up to me” e responsabilità morale con l’ammettere che il comportamento non-responsabile degli animali è up to them.

Per Epitteto possiamo essere lodati o biasimati solo per la nostra attività mentale, per i nostri giudizi.

Epitteto connette proairesis non exactly with will-power, but with freedom and with is up to us e con la responsabilità morale.

Epicuro parla di “things which are because of us” e dice che per queste possiamo essere lodati o biasimati, ma non le connette esplicitamente col will-power.

Lucrezio e Cicerone parlano di libera voluntas , ma la libertà è legata da Lucrezio alle impredicibili traiettorie degli atomi piuttosto che con la volontà.

In Plotino e nei neopitagorici l’orgoglio (tolma ) e la conseguente volontà (thelēma , boulēthēnai ) è la causa della separazione dell’intelletto (Plotino) o Diade (neopitagorici) dall’Uno. Ad esso si accompagna la volontà to belong to themselves alone.

Agostino riunisce per la prima volta tutti i concetti che gravitano intorno alla idea di volontà: a) la volontà appartiene all’anima razionale; b) la volontà è connessa con la libertà perché la scelta che essa fa è libera; c) la volontà è connessa con la responsabilità; d) la volontà può pervertirsi, volgersi lontano da dio e non solo dal proprio miglior giudizio; e) idea di will-power e di fallimento del will-power (la volontà combatte contro i bassi istinti, in particolare contro la lussuria); f) ubiquità della volontà in tutte le azioni, anche di quelle che compiamo con animo combattuto o vinti dalle passioni per il peccato, pur se in questo secondo caso si tratta di una volontà non piena; g) l’orgoglio è alla base della volontà pervertita (Agotino sviluppa questo concetto in particolare per la caduta dell’uomo paradisiaco); h) la volontà non è solo alla base delle decisioni e dei comportamenti etici, ma esercita funzioni di direzione dell’attenzione, unisce la percezione con il percettibile, la memoria con la visione interna, l’intelletto con gli oggetti presi dalla memoria; è responsabile dell’immaginazione e della fede; le emozioni sono pure esse atti di volontà (si sta parlando della volontà non piena?); i) la volontà è un desiderio razionale del bene distinto dalla ragione stessa.

Se è vero che Agostino ha compiuto la piena unificazione di tutti gli aspetti del concetto di volontà, tuttavia non fa altro che completare un processo che era iniziato molto prima di lui.

Alcuni credono che per avere un pieno concetto di volontà occorre attendere Massimo il Confessore (VII sec. d.C.), ma il concetto era già formato con Agostino. Massimo aggiunse un concetto copiato dagli stoici, quello di oikeiōsis , che perdipiù non è dogmaticamente incontroverso nella dottrina cattolica.

Massimo elabora il concetto di “volontà naturale”, modellato su quello stoico di oikeiōsis, per spiegare come, sebbene Cristo abbia due volontà, quella che proviene dalla sua natura divina e quella che proviene dalla sua natura umana, quest’ultima sia sempre diretta al bene, dissimilmente dalla volontà degli uomini dopo la caduta (definita “volontà gnomica”) che può volgersi al male.

Ecco il passo in cui Massimo il Confessore descrive questa volontà naturale: “They say that natural thelēsis or thelēma is a capacity desirous ( orektikē ) of what is in accordance with nature, a capacity which holds together in being (sunektikē ) all the distinctive attributes (idiōmata ) which belong essentially to a being’s nature. The substance, being naturally held together by this, desires (oregetai ) being and living and moving in accordance with perception and intellect, striving for (epiesthai ) its own natural and complete existence (ontotēs). A thing’s nature has a will (thelētikē) for itself, and for all that is set to create its constitution (sustasis ), and it is suspended in a desiderative way over the rational structure of its being, the structure in accordance with which it exists and has come into being. That is why others, in defining this natural thelēma , say that it is a rational and vital desire (orexis ) whereas proairesis is a desire, based on deliberation, for things that are up to us. So thelēsis is not proairesis, if thelēsis is a simple rational and vital desire, whereas proairesis is a coming together of desire, deliberation, and judgement. For it is after first desiring that we deliberate, and after having deliberated that we judge, and after having judged that we deliberately choose (proaireisthai ) what has been shown by judgement better in preference to the worse. And thelēsis depends only on what is natural, proairesis on what is up to us and capable of being brought about through us”.

La volontà naturale fu una idea di grande successo tra gli scolastici. Essa aveva tra i tratti distintivi quello di essere sempre rivolta al bene (ciò che la distingueva dalla volontà gnomica, che è quella nel senso proprio del termine, o così almeno pare allo scrivente) e quello di prescindere dall’esercizio della ragione, anche se la ragione riconosce gli stessi beni (ma dal 1270 fu riconosciuta la possibilità della volontà di agire indipendentemente dalla ragione).

L’idea di un desiderio naturale per il bene non era nuova anche prima degli stoici: Aristotele già sostiene che tutti desiderano una vita felice.

Secondo Richard Sorabji l’operazione di Agostino è discutibile. Qualcuno degli accostamenti appare avere un senso da un punto di vista moderno e può servire a mostrare ad es. cosa implica l’azione umana (what human action involves). Ma ad es. l’idea di perversione della volontà implica una metafisica che non è più comunemente condivisa; l’idea della volontà come presente in tutti i nostri atti è più lontana dalla sensibilità moderna di quella aristotelica che in tutte le azioni volontarie è presente una causa interna, che sia desiderio, che sia negligenza, che siano bassi desideri come ira o altri appetiti, ma non sempre una volontà razionale; l’idea di libertà e i problemi connessi se le azioni umane siano necessitate o inesplicabili (Sorabji propone come possibile risposta quella che le azioni possono essere spiegate, e anche causate, senza essere necessitate) può essere trattata meglio senza l’idea di volontà; l’idea di responsabilità non necessariamente si deve legare con quella di volontà razionale e anzi sembrano preferibili le vedute di Aristotele secondo cui essa si può ricollegare anche ad animali o bambini che non hanno pienamente sviluppato la razionalità; il fenomeno dello sforzo che proviamo nel perseguire ciò che pensiamo sia meglio contro altri desideri, che approviamo meno, effettivamente esiste ma Richard Sorabji commenta scetticamente: “I doubt that anything is gained by thinking of this effort in terms of the exercise of a rational faculty, rather than in terms of the varied thoughts, imaginings, and acts of attention involved”; il concetto di libertà è stato analizzato in modo alternativo da certa psicologia moderna che lo descrive in modo alternativo in termini di first-order e second-order attitudes: la libertà implica essere capaci di dare l’approvazione di secondo ordine alle proprie attitudini del primo ordine.

 

 

 

Agostino su concupiscenza e volontà

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Autobiografia di Agostino

Nel 386 Agostino rinunciò al matrimonio, lasciò il suo incarico di professore di retorica con l’intenzione di aderire al cristianesimo e di iniziare una vita di contemplazione e filosofia con i suoi amici a Cassiaco (Cassiacum). Ma di lì a poco torna in Africa e diviene assistente vescovo e poi vescovo di Ippona nel 397.

 

Difesa del matrimonio contro i manichei e San Girolamo

Nel 401 Agostino scrisse “Sul bene del matrimonio”, dove difese il matrimonio contro I manichei e contro l’intransigenza di Girolamo, mostrandosi favorevole alla procreazione e sostenendo che il matrimonio fa buon uso di una cosa cattiva come il sesso. Egli condanna il concubinato, ma mitiga la condanna della donna che dopo lo scioglimento del concubinato non abbia avuto altri uomini. I tre beni del matrimonio sono la prole, la fedeltà e il legame sacramentale. Egli loda anche il cameratismo, sebbene altrove affermi che il migliore cameratismo intellettuale sia tra uomini.

 

Contrattacco dei Pelagiani sulle concezioni di Agostino

Pelagio era un britanno giunto a Roma. Intorno al 410 le sue idee avevano raggiunto l’Africa. Egli negava la dottrina, che Agostino difendeva, del peccato originale. Secondo questa dottrina il peccato originale era trasmesso da Adamo, il primo uomo, a tutti gli uomini attraverso la lussuria (lust) dell’unione sessuale, in modo che i neonati potevano essere salvati dalla colpa solo dalla grazia non meritata del battesimo.

Agostino cominciò a replicare ai pelagiani nel 412, con I deserti dei peccatori  (On the Deserts of Sinners ), sebbene l’argomento della lussuria prese il posto centrale solo quando iniziò la controversia con Giuliano.

Nel 418 i pelagiani furono condannati con ancor più decisione del passato e Giuliano fu esiliato da Eclano in Cilicia e iniziò la controvesia con Agostino, a base di repliche e contro-repliche inviate dall’uno all’altro e ad alti personaggi della corte Ravennate.

Agostino fu accusato di avere idee manichee sul matrimonio (ricordiamo che i manichei consideravano la procreazione un male, lo ammettevano solo tra i seguaci di secondo piano (second rank) e raccomandavano comunque la contraccezione) e che la sua condanna della lussuria come una condanna ereditata dal peccato originale, per la quale non valeva l’ideale di metriopatheia che egli accettava dalle altre emozioni era manichea e incompatibile con il matrimonio (i pelagiani ritenevano invece che fosse una emozione naturale che richiedesse solo moderazione). Al centro dell’argomentazione difensiva di Agostino venne la particolare natura e posizione della lussuria, che la differenziava, ai suoi occhi, dalle altre passioni.

 

La disobbedienza della concupiscenza alla volontà e le ragioni per condannarla

La principale linea di attacco di Agostino contro la lussuria è basata sul suo rapporto con la volontà: la lussuria non è sotto il controllo della volontà perché le reazioni fisiche maschili non intervengono quando chiamate dalla volontà e intervengono quando non chiamate dalla volontà; in secondo luogo, prescindendo dalle reazioni fisiche non è sotto controllo neanche la emozione in sé, che non riconosce né la soggezione della volontà né quella della ragione. Tra le altre argomentazioni a sostegno di queste tesi c’è quella della influenza della musica sulla lussuria, che proverebbe la sua refrattarietà alla volontà: un argomento che rischia decisamente di provare troppo.

Giuliano pensa che la lussuria animale sia fuori controllo mentre nell’uomo può essere controllata dalla ragione. Agostino pensa che la lussuria animale non sia fuori controllo, mentre è fuori controllo nell’uomo; Tommaso d’Aquino pensa che dopo la caduta né gli umani né gli animali possono moderare la lussuria con la ragione.

 

L’obbedienza alla volontà prima della Caduta

Il pensiero di Agostino sul sesso prima della caduta ha seguito tre stadi. Dapprima egli pensa che i corpi paradisiaci non avessero parti sessuali; poi pensa che ne avessero ma che non ci fosse sesso; infine (sotto la pressione dell’attacco di Giuliano) ammette la possibiltà di piacere sessuale nel paradiso terrestre (dichiarando però che potrebbe anche non essere stata necessaria o effettiva, ma solo accettabile e plausibile dal punto di vista del pensiero teologico). Il sesso ideale paradisiaco dovrebbe comunque essere caratterizzato da: a) sottomissione alla volontà: la decisione verrebbe presa non al fine del sesso in sé ma per motivi di salute o di discendenza; b) limitazione ai soli movimenti necessari; c) mancanza di conseguenze negative (es. adulterii); d) assenza dell’intenzione di fare sesso per il sesso; d) non intorbidamento dei pensieri più elevati

Tommaso d’Aquino pensava che anche nel paradiso terrestre poteva esistere piacere sessuale e che, PROPRIO IN QUANTO moderato dalla ragione esso era probabilmente più grande che quello dell’uomo caduto.

 

Il confronto fatto da Giuliano della concupiscenza con la fame, la sete e il bisogno di sonno

Giuliano introduce la distinzione, che non si nota in precedenti pensatori, tra il comando (imperium ) e il consenso (consensus ) della volontà. Le reazioni fisiologiche non sono sotto il comando, ma hanno il consenso della volontà.

Anche la fame (sete etc.) ha primi movimenti che non sono sotto il comando della volontà: la salivazione e la digestione.

Anche il desiderio stesso, come quello di copulare, non è sotto il comando della volontà. Il desiderio di bere o mangiare o dormire, la salivazione e la digestione non sono comandati dalla volontà, ma, nei casi di comportamento sano essi hanno il consenso. Non sembra quindi esservi una distinzione rispetto alla lussuria. Il sonno prevale spesso sulla volontà e, esattamente come l’orgasmo, obnubila i pensieri.

Agostino replica che il sonno non oppone la volontà because it rather divorces the will from that kind of command (imperium ). Ma secondo Giuliano la lussuria non si oppone alla volontà, perché normalmente ha il suo consenso.

Agostino ammette che anche la fame e la sete sono arrivate dopo la caduta, ma esse, a differenza della lussuria, non sono reprensibili e, a differenza da essa, sono assolutamente necessarie alla sopravvivenza.

Tutto in qualche modo gravita intorno all’idea che la lussuria sia reprensibile e che questo sia rivelato dalla vergogna che proviamo. Giuliano replica che non è dimostrabile che la promiscuità è una caratteristica della lussuria, e fornisce esempi di amore fedele (come quello di Plutarco). Anche riguardo la fame si può dire che esistono dei pericoli di pervertimento: il cibarsi eccessivamente o il rubare.

Agostino sostiene che il sesso è sovente importuno e molesto, ma si può replicare che la necessità di mangiare tre volte al giorno lo è altrettanto. Inoltre i casi di bulimia e anoressia mostrano come anche l’istinto di nutrirsi può essere molesto, e anzi fuori del controllo della volontà. Il consiglio di Girolamo a Blesilla di digiunare continuamente per evitare le tentazioni sessuali del suo stato di vedova, la condusse probabilmente a morte e rappresenta un caso molto imbarazzante per lo Stridonense. Tra l’altro, anche il disordine anoressico è al difuori dell’influsso della volontà.

Il desiderio di appartarsi sembrerebbe un effettivo carattere distintivo della lussuria. Ma secondo , whatever is the explanation, Augustine’s is not satisfactory. Secondo Agostino la vergogna rivela che la lussuria è un male; e poiché è un male iniziato dopo la caduta, la sola spiegazione è che è una punizione.

 

La disobbedienza della concupiscenza alla volontà non deriva dalla natura di istinto basilare, ma costituisce invece malvagità

Il conflitto con la volontà scaturisce perché la volontà pensa che un impulso sia cattivo per altre ragioni: il fatto del conflitto non è in sé un argomento.

E’ da ritenersi più esatto il punto di vista stoico che un impulso dannoso per una persona non lo è per un’altra: evidentemente (a sentire Agostino) per Agostino l’impulso sessuale era dannoso, e questo è tutto quel che si può dire.

 

Un argomento sovrannaturale in Agostino

Possiamo trovare traccia in Agostino di un argomento (neoplatonico, non stoico) che forse risulta più convincente, se si aderisce alla teologia cristiana: che, se la vita oltremondana dei perfetti sarà la ininterrotta contemplazione di Dio, allora il sesso è una distrazione. Questo argomento del distoglimento si trova anche nella difesa cristiana della castità contro il matrimonio.

 

Il cedimento della volontà nei sogni erotici

Agostino in realtà riconosce che può esistere consenso della volontà: il caso di consenso della volontà ai sogni erotici. Questo argomento non era sconosciuto alla filosofia antica: ne trattano persino Platone, Zenone il fondatore dello stoicismo, Epitteto, Porfirio.

Se Cristo aveva detto che osservare una donna con desiderio è già peccato, come può non essere peccato il consenso dato nel sogno? Agostino ha già presentato altrove una difesa valida: la semplice titillatio , lasciar indugiare il pensiero nella propria mente, non è sufficiente, è necessario che vi sia già una volontà formata, tale che, se non vi fossero ostacoli, si compirebbe l’atto: e nessuno può dire se, una volta fuori dal sogno, il soggetto compirebbe l’atto.

Agostino avrebbe potuto addurre a sostegno della non colpevolezza dei sogni erotici il fatto che il sonno agisce come una droga.

Altrove Agostino adduce il fatto che non si può evitare il sogno erotico più di quanto si possa evitare la reazione fisiologica da svegli.

Tommaso d’Aquino considera l’emissione notturna di seme primo movimento

 

Consenso nell’acconsentire alla trasgressione della volontà

Ma se Agostino, nel caso di chi guardi con lussuria una donna, può parlare di consenso o di mancanza di consenso della volontà, che valore ha il suo argomento che la lussuria è un male perché essa non è soggetta alla volontà? Al riguardo non appare sussistere contraddizione. Una ragione è che Augustine can say that, in the case in question, both features are present, consent and lack of consent. The consent of the will is consent to a train of events that increasingly bypasses the will. Thinking about procreation can lead to the act which prevents you thinking about procreation, and thinking about restoring your body can lead to sleep which prevents you thinking about restoring it. Una seconda ragione è che in questo secondo caso non stiamo parlando della non-bontà del sesso in generale, ma del sesso illecito, e gli argomenti sono differenti.

 

La responsabilità morale maschile nella concupiscenza

Esiste una curiosa difficoltà teologica: se, come ammettono Agostino e Giuliano, una donna può dormire con un uomo senza lussuria, allora la responsabilità del peccato originale è solo maschile, visto che esso si trasmette tramite la lussuria. Ma non è certo questa la interpretazione che Agostino darebbe della frase di Paolo che il peccato originale è entrato nel mondo attraverso unus homo : egli ritiene anche Eva parimenti responsabile

 

Genetica e volontà

Un quesito che Giuliano solleva ad Agostino è: come è possibile che un peccato di Adamo ed Eva abbia conseguenze genetiche e si trasmetta automaticamente tramite il seme? Agostino non non pare fornire una risposta su questo punto.

 

Una valutazione comparativa delle posizioni di Giuliano e di Agostino

Julian won the philosophical battle, but Augustin won the political one. Uno dei fattori determinanti è l’abilità di Agostino di invocare l’autorità degli altri padri della Chiesa

Sorabji professa la più alta ammirazione per Agostino. Egli non conosce una trattazione delle emozioni più sottile di quella delle Confessioni , né una migliore introduzioen alla filosofia occidentale. E’ invece il caso di dolersi che anche le sue posizioni più deboli e meno difendibili siano state accettate nella tradizione occidentale e che egli deliberatamente abbia cercato di fornire loro autorità con mezzi estranei alla pura disputa filosofica. Questo vale sia per la posizione sulla lussuria che per quella sulla legittimità di uccidere gli animali. Se avesse prevalso Pelagio, forse il nostro atteggiamento nei confronti del sesso sarebbe stato meno ossessivo.