Summer venduta
all'asta |
Il
primo concerto della stagione era imminente e Summer e i suoi colleghi erano
costretti a passare la maggior parte dei fine settimana a provare in uno
scantinato umido nei pressi del Battery Park, ripetendo la loro parte fino alla
nausea.
Si
lavò la faccia con l'acqua fredda nel bagno dello spazio per le prove e fu una
delle ultime ad andarsene.
L'appuntamento
a Londra con la persona che si occupava di reclutare i musicisti che ancora
mancavano per l'orchestra in America era andato particolarmente bene, un mese
prima, e meno di una settimana dopo Summer era atterrata all'aeroporto JFK di
New York, dopo aver lasciato senza rimpianti il monolocale di Whitechapel. Chi
l'aveva ingaggiata le aveva offerto una sistemazione temporanea in un
appartamento in condivisione con altri musicisti stranieri dell'orchestra poco
lontano dalla Bowery. La prima settimana a New York - tra prove urgenti con
l'orchestra, disbrigo delle formalità burocratiche per il soggiorno e necessità
di ambientarsi nella peculiare geografia del Lower East Side e abituarsi alla
vita in quella città singolare e straordinaria - le aveva lasciato pochissimo
tempo libero. La sua esibizione in pubblico insieme alla sua nuova orchestra,
la Gramercy Symphonia, la prima nell'ambito di una stagione di concerti, si
sarebbe svolta in un auditorium che era stato recentemente restituito al suo
antico splendore.
La
luce morente del giorno sbiadiva sull'Hudson. In quel momento i suoi unici
desideri erano qualcosa da mangiare - magari un sashimi preso da ToTo in
Thompson Street - e una buona notte di sonno.
Mentre
emergeva dallo scantinato e stava per incamminarsi verso nord si sentì
chiamare.
«Summer?
Summer Zahova?»
Si
girò e vide un uomo attraente di mezza età, di altezza media, con i capelli
sale e pepe tagliati corti e una barba curatissima dello stesso colore.
Indossava una giacca estiva a righine azzurre, pantaloni neri e scarpe dello
stesso colore lucidissime
Summer
non lo conosceva
«Sì?»
«Mi
scusi se la disturbo, ma ho assistito alle prove, grazie ad alcune conoscenze
nell'ambito dell'orchestra, e sono rimasto molto colpito.» Aveva una voce ricca
e profonda, con un'inflessione insolita. Non era americano, ma lei non riuscì a
stabilire che accento avesse.
«Siamo
ancora all'inizio» disse Summer. «Il direttore ci sta facendo lavorare per
ottenere una maggiore coesione.»
«Lo
so» ribatté l'uomo. «Ci vuole tempo. Ho esperienza di orchestre, ma secondo me
lei si è integrata bene, anche in questa fase iniziale.»
«Come
fa a sapere che sono nuova?»
«Me
l'hanno detto.»
«Chi?»
«Diciamo
solo che abbiamo amici in comune» rispose con un ampio sorriso.
«Ah»
commentò Summer, e fece per andarsene.
«Ha
un violino bellissimo» aggiunse l'uomo, lo sguardo fisso sulla custodia che lei
teneva nella mano destra. Summer indossava una minigonna di pelle, una cintura
stretta in vita con una fibbia enorme, niente calze e stivali marroni che le
arrivavano a metà polpaccio. «Un Bailly, mi verrebbe da dire.»
«Sì»
confermò Summer, aprendosi in un sorriso per aver riconosciuto un appassionato
come lei.
«Senta»
proseguì lui, «visto che lei è nuova qui, mi stavo chiedendo se le andrebbe
diunirsi a me e ad alcuni amici, domani sera, per una piccola festa. Si tratta
perlopiù di persone dell'ambiente musicale, per cui si sentirebbe a casa. New
York è una grande città e di sicuro lei non si sarà ancora fatta molti amici,
vero? Non sarà niente di speciale: solo qualche drink in un bar e poi magari
facciamo un salto da ma per quattro chiacchiere; ho un appartamento in affitto.
Potrà andarsene quando vuole.»
«Dove
abita?» indagò Summer.
«In
un attico a Tribeca» rispose l'uomo. «Vivo a New York solo pochi mesi all'anno,
ma tengo l'appartamento. Di solito sto a Londra.»
«Posso
pensarci?» disse Summer. «Dubito che le prove di domani finiranno prima delle
sette. Dove vi incontrate?»
L'uomo
le porse il suo biglietto da visita: victor
rittenberg, dottore di ricerca. "Dev' essere dell'Europa
orientale" pensò Summer.
«Da
dove viene?» gli chiese.
«Oh,
è una storia complicata. Magari un giorno ...»
«Ma
le origini?»
«Ucraina»
rispose lui.
Quella
piecola informazione la rassicurò.
«Anche
i miei nonni venivano da li» spiegò Summer. «Emigrarono in Australia e poi in
Nuova Zelanda. Non li ho mai conosciuti. Il mio cognome è originario di quelle
parti.»
«E
così abbiamo qualcos' altro in comune» commentò Victor, con un sorriso
enigmatico.
«Suppongo
di sì» ribatté Summer.
«Conosce
il Raccoon Lodge in Warren Street, a Tribeca?»
«No.»
«Ci
troviamo li. Domani dalle sette e mezzo in poi. Se lo ricorderà?»
«Certo»
disse Summer.
«Magnifico.»
Victor le rivolse un cenno di saluto e si incamminò nella direzione opposta a
quella in cui andava lei.
"Perché
no?" pensò Summer. Non poteva fare l'eremita all'infinito, e cercò di
immaginare chi potessero essere gli amici che aveva in comune con quell'uomo.
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Victor
sedusse Summer gradualmente, usando tutta la sua astuzia. Sulla base di quello
che era venuto a sapere di lei dai racconti sporadici di Dominik in risposta
alle sue domande casuali si era reso conto che quella ragazza, che ne fosse
consapevole o meno, aveva i tratti tipici della sottomessa. Era stata una
meravigliosa coincidenza che Lauralynn, la sua vecchia complice, l'avesse
indirizzata verso quel lavoro a New York proprio nello stesso periodo in cui
lui si era trasferito nella Grande Mela in seguito ad accordi presi tempo
prima, quando aveva accettato un incarico all'Hunter College per tenere un
corso sulla filosofia posthegeliana.
Libertino
di lungo corso, Victor era anche un fine conoscitore dei sottomessi e
padroneggiava i 'molti modi per manipolarli e attirarli a sé nella maniera più
subdola, sfruttando le loro debolezze e giocando con le loro esigenze.
Da
come Summer era volontariamente caduta tra le braccia di Dominik - il suo amico
e l'uomo con cui lei si era appena lasciata - e da ciò che aveva osservato
nell'unica occasione in cui aveva potuto vederla in azione, aveva capito quali
erano i tasti giusti da premere, i centri nervosi da stimolare, le corde
invisibili da manovrare. Sfruttando la sua solitudine di nuova arrivata a New
York, Victor portò alla luce la naturale sottomissione della ragazza con
circospezione, un passo alla volta, ora incoraggiando la sua vena
esibizionista, ora assecondando la sconsiderata forma di orgoglio che la
spingeva a mettersi in imbarazzanti situazioni di natura sessuale per puro
capriccio. In confronto a lui, lei era una dilettante e non si rese mai conto
di essere manipolata.
Victor
sapeva che l'esperienza con Dominik aveva infiammato i desideri di Summer e ne
aveva acuito i bisogni sessuali. New York era una grande città dove la
solitudine poteva farsi sentire. Dominik era dall'altra parte dell'oceano e lei
era li, indifesa, sola.
In
occasione della prima serata passata insieme, alla festa nel suo attico di
Tribeca, Victor rivelò cautamente il proprio interesse per il sadomasochismo,
portando la conversazione su certi club privati a Manhattan e nel New Jersey.
Notò la reazione di Summer, il desiderio che le ardeva negli occhi,
l'incapacità di negare le proprie inclinazioni sessuali. Il fuoco era stato
acceso e in breve lei si trovò irresistibilmente e ineluttabilmente attratta
verso quella fiamma come una falena verso la luce.
Per
quanto ci provasse, non poteva resistere alla voce del suo corpo, alla
complessa ragnatela che Victor stava tessendo. Summer sentiva, la mancanza di
Dominik, dei suoi strani giochi sessuali e del piacere che aveva tratto dall'assecondare
il suo volere. La voce di Victor era diversa, il suo tono era fermo e
intransigente, privo della morbida inflessione di Dominik, eppure se chiudeva
gli occhi Summer riusciva quasi a immaginare che a darle ordini fosse Dominik,
che fosse lui a piegare la sua volontà.
Si
rese conto in fretta che Victor sapeva su di lei più cose di quante avrebbe
dovuto sapere e iniziò a sospettare che la sua informatrice fosse Lauralynn.
Non era un'ingenua, ma voleva vedere dove tutto ciò avrebbe portato. Non poteva
più ignorare il richiamo delle fantasie perverse e il canto di sirena del suo
corpo desideroso.
Alloro
terzo incontro, in un bar buio di Lafayette Street, Summer scoprì di trovarsi a
proprio agio con la sottile opera di adescamento che Victor stava conducendo e
fu tutt' altro che sorpresa quando, nel bel mezzo di una conversazione su
quanto fossero brutte le forme più moderne di musiea classica (anche se lei
mostrava un indulgente apprezzamento per l'opera di Philip Glass, che invece Victor
non sopportava), lui le chiese di punto in bianco: «Hai già servito, vero?».
Lei
annuì. «Tu sei un dominatore, giusto?» Victor sorrise.
Il
tempo dei giochetti psieologici era finito.
«Penso
che tu e io ci capiamo, Summer» disse Victor, mettendole una mano sulle sue.
Sì,
si capivano; il mondo reale, quel mondo segreto intorno al quale lei aveva
girato freneticamente come una gallina decapitata, la stava chiamando di nuovo,
seducendola con una melodia soave.
Pur
sapendo di aver imboccato una strada senza via d'uscita, si va avanti lo
stesso, perché non farlo significherebbe rimanere incompleti.
❖ ❖ ❖ ∼∼∼ ❖ ❖ ❖
L'incontro
successivo con Victor avvenne dopo una lunga sessione di prove, due giorni
prima dell'esibizione che avrebbe inaugurato la nuova stagione concertistica.
Summer era euforica: la musiea fluiva senza sforzo e il suono del suo meraviglioso
Bailly adesso si fondeva armoniosamente con il resto dell'orchestra. Aveva
lavorato sodo e l'impegno stava dando i suoi frutti. Con l'adrenalina che le
scorreva nelle vene, si sentiva pronta ad affrontare qualunque dannata
perversione Victor avesse in mente. Anzi, non vedeva l'ora.
L'appuntamento
era in un dungeon improvvisato nel seminterrato di un imponente edificio di
mattoni rossi nei quartieri alti, ad appena un isolato dalla Lexington. Le era
stato detto di presentarsi alle otto di sera e lei aveva deciso di mettersi il
corsetto già usato quando aveva fatto la cameriera a londra; le sembrava passata
un' eternità da quella festa a casa di Charlotte.
Indossando
un capo che Dominik aveva comprato per lei, Summer poteva immaginare che si
trattasse di una festa a cui lui le aveva chiesto di partecipare e fingere di
comportarsi come se stesse obbedendo ai suoi desideri.
Mentre
si preparava, si meravigliò di nuovo della morbidezza della stoffa. L'accarezzò
con le dita e non poté fare a meno di pensare a lui. Perché era così difficile
dimenticarlo?
Quel
pensiero insistente fu accantonato quando il suo cellulare vibrò. La limousine
che Victor aveva mandato a prenderla aspettava in strada. Anche questa volta,
infilò il lungo soprabito rosso. Faceva caldo per un capo simile, ma la copriva
fino alle caviglie, nascondendo lo scioccante spettacolo del corsetto, dei seni
in mostra e delle calze nere che le era stato detto di indossare e che le
arrivavano a metà delle cosce lasciando scoperta la pelle lattea fino al tanga
quasi invisibile. Aveva notato, con un certo disappunto, che i peli del pube
stavano iniziando a rierescere in ciuffi disordinati, ma non aveva avuto tempo
di porvi rimedio.
Victor
indossava un elegante smoking, al pari di tutti gli ospiti maschi, mentre le
donne sfoggiavano abiti di alta sartoria di tutte le sfumature pastello.
Qualcuno le prese il s0- prabito e Summer si sentì a disagio perché era l'unica
donna a seno nudo nella grande sala da pranzo, affollata di ospiti che bevevano
e fumavano. Nell'aria aleggiava una spessa nube di fumo di sigari e sigarette.
«L'ultima
arrivata» annunciò Victor. «Questa è Summer.
Da
oggi si unirà al nostro piccolo gruppo privato. Ci è stata molto raccomandata,»
"Raccomandata
da chi?" si chiese Summer.
Percepì
gli occhi di una ventina di persone che la fissavano, esaminandola e
soppesandola. Sentì i capezzoli che si indurivano.
«Vogliamo
andare?» disse Victor, indicando la porta del seminterrato con un gesto
teatrale.
Summer
seguì il movimento della mano di lui e si avviò in equilibrio precario sui
tacchi alti. Adesso che il momento si avvicinava, le girava un po' la testa.
Era la prima volta che si ntrovava m una scena fetish dopo l'orgia di Londra
che aveva portato alla separazione da Dominik.
Una
decina di scalini conducevano a una grande cantina ben illuminata con le pareti
ricoperte di tappeti dall' aria esotica. Sape:a come si chiamavano ma adesso il
termine le sfuggiva, distratta com'era dalla vista di sei donne che se ne
stavano in piedi in cerchio al centro di quel dungeon improvvisato.
Erano
tutte nude dalla vita in giù. Niente biancheria intima né calze. né scarpe: avevano
la parte superiore del corpo coperta da mdumenti di vario genere - camicette,
magliette, sottili top di seta - tutti più o meno trasparenti e i capelli - dal
biondo platino al nero corvino - raccolti in uno chignon. Summer era l'unica
rossa del gruppo. Due di loro indossavano un sottile girocollo di velluto,
mentre le altre portavano veri e propri cocollari di metallo, o simili a quelli
dei cani con borchie; una esibivaa una fascia di cuoio chiusa da un pesante
lucchetto.
Schiave?
Gli
ospiti si riversarono nel dungeon e si disposero lungo le pareti.
«Come
vedi, mia cara» Victor le era arrivato silenziosamente accanto e le stava
sussurrando all' orecchio, «non sei sola.» Summer fece per replicare, ma lui si
portò velocemente un dito alle labbra imponendole il silenzio. Parlare non
rientrava nel suo ruolo.
Le
accarezzò un fianco, tirandole l'elastico del minuscolo tanga.
«Mostrati»
le intimò. Summer si sfilò il tanga.
«Il
resto» continuò lui.
Lei
lanciò un' occhiata alle altre donne, nude dalla vita in giù, e comprese
l'ordine. Consapevole di avere gli occhi di tutti puntati addosso e cercando di
rimanere in equilibrio, arrotolò le calze e, dopo essersi liberata delle
scarpe, se le sfilò. Victor non si offrì di aiutarla. il pavimento era freddo.
Pietra.
Adesso
era nuda, a parte il corsetto stretto in vita che le sosteneva il seno, offerto
agli occhi di tutti.
Guardando
le donne in cerchio, messe in mostra come lei, Summer si rese conto di quanto
tutte loro fossero tremendamente oscene. La nudità era naturale, anche in
pubblico, ma qui si trattava di qualcos'altro, una parodia dell'erotismo, un'
abile forma di umiliazione.
Un
lieve tocco sulla spalla la sospinse verso le donne in mostra, che si
scostarono per accoglierla nel cerchio. Notò che erano tutte depilate. Con la
pelle liscissima, come se la depilazione fosse permanente. Un atto cui, a un
certo punto, si erano sottoposte per sottolineare il loro ruolo di schiave, la
perdita del potere. Si sentì sciatta. Proprio mentre quel pensiero le
attraversava il cervello Victor disse: «Dovresti curarti di più, Summer. La tua
fica è in disordine. In futuro dovrai essere completamente depilata. Più tardi
ti punirò».
Le
leggeva nella mente? Summer arrossì.
Qualcuno
strofinò un fiammifero e lei fremette, temendo per un attimo che fosse l'inizio
di qualche rituale doloroso, ma era solo una persona che si accendeva una
sigaretta.
«Allora,
Summer, ti unisci a noi» disse Victor, girandole intorno. Le infilò una mano
tra i capelli, mentre posava l'altra su una delle sue natiche.
«Sì»
mormorò Summer.
«Sì,
signore!» ruggì lui, colpendola con forza sulla natica destra.
Summer
sobbalzò. Gli spettatori trattennero il fiato. Una delle donne che osservavano
la scena fece un sorriso laido da regina cattiva delle fiabe. Summer ne scorse
un'altra che si leccava le labbra. Pregustando la scena?
«Sì,
signore» disse docile, vincendo la riluttanza a entrare nel ruolo con tanta
facilità.
«Bene»
disse lui. «Conosci le regole: ci servirai; non farai domande; ci mostrerai
rispetto. Capito?»
«Sì,
signore.» Ormai aveva imparato come rispondere.
Le
afferrò un capezzolo e lo strinse con forza. Summer trattenne il respiro per
controllare il dolore. Victor adesso era alle sue spalle e le sue parole le
martellavano le orecchie. «Sei una piccola troia.» Quando lei non replicò, lui
la sculacciò con forza.
«Sono
una piccola troia.»
«"Sono
una piccola troia" e poi?» Un altro colpo e un'altra fitta di dolore.
«Sono
una piccola troia, signore» si corresse lei.
«Così
va meglio.»
Ci
fu un momento di silenzio e con la coda dell' occhio Summer vide che una delle
schiave faceva un sorrisetto compìacìuto, Stavano ridendo di lei?
Victor
continuò: «TI piace che tutti vedano il tuo corpo vero troia? Ti piace essere
guardata, essere esibita?»,
«Sì,
signore, mi piace» rispose lei.
«Ti
comporterai bene, allora,»
«Grazie,
signore.»
«Da
questo momento, ti possiedo» dichiarò Victor. S~er.a:rebbe vol~to protestare.
Da un lato c'era qualcosa dì terribilmente eccitante in quell'idea, ma
dall'altro una parte della sua personalità si ribellava.
Per
il momento, però, mentre lei se ne stava in piedi in quel d~nge~n, con le tette
e la fica mal rasata esposte agli sguardi di tutti, bagnata tra le cosce a
conferma della sua eccitazione, quelle erano solo parole. Summer si sentì
baldanzosa, pronta ad affrontare tutto ciò che il futuro le avrebbe riservato.
❖ ❖ ❖ ∼∼∼ ❖ ❖ ❖
La
prima sculacciata fu così violenta che io capii subito che il segno mi sarebbe
rimasto per ore, bordato di rosa come la versione infantile di un disegno
astratto.
Deglutii
con forza.
Avevo
tutti gli sguardi puntati addosso: aspettavano la mia reazione, forse sperando
di vedermi trasalire. Mi limitai a stringere i denti. Non gli avrei dato quella
soddisfazione. Non ancora, perlomeno.
Nella
voce di Victor c'era una durezza mai colta in precedenza, come se la sua vera
natura stesse emergendo solo adesso. Mi aveva fatto togliere tutto ciò che
indossavo, a parte il corsetto, lasciandomi esposta come piaceva a lui.
"Signore" qui, "signore" là, autoritario, incalzante.
Obbedivo alle sue istruzioni, anche se il modo in cui dovevo rivolgermi a lui
mi irritava. Dominik non mi aveva mai chiesto di chiamarlo "signore".
Avevo sempre pensato che fosse un termine stupido, che trasformava una situazione
piccante in una farsa. Cercai di mantenere la mia dignità, nonostante quella
messinscena dozzinale.
Rimasi
immobile in quella parata di schiave. La bionda esile con il seno piccolo, la
brunetta olivastra con il sedere basso, quella con i capelli color topo, le
curve generose e una vistosa voglia sulla natica destra, quella alta, quella
bassa, quella rotondetta. E poi io, la rossa con il corsetto che attirava
ancora di più l'attenzione sulla sua sessualità, sui capezzoli turgidi, sulla
fica bagnata e pronta.
«In
ginocchio» disse una voce. Questa volta non era Victor, che si era allontanato
per unirsi agli altri ospiti, confondendosi nella folla di uomini e donne.
Ci
inginocchiammo tutte. «Giù la testa»
Le
schiave accanto a me obbedirono, sfiorando con il mento il pavimento di pietra.
Se questa era la completa subordinazione, non faceva per me. Abbassai la testa,
tenendola comunque a distanza dal suolo. Sentii un piede sulla base della
schiena che mi spingeva giù per costringermi a inarcarmi e a sollevare il
sedere, esponendolo ulteriormente.
«Quel
culo ha l'aria molto invitante» disse una donna. «La vita così stretta lo mette
ancora più in risalto.»
Il
piede si ritrasse. Lucide scarpe scure e tacchi alti tredici centimetri
iniziarono a passeggiare intorno a me e alle altre schiave: gli ospiti si
muovevano in mezzo a noi giudicando, valutando la merce. Con la coda dell'
occhio vidi qualcuno inginocchiarsi accanto a me; una mano mi soppesò il seno.
Un altro ospite invisibile mi fece scivolare un dito nel solco tra le natiche,
me lo infilò nella fica per vedere quant'era bagnata, poi lo ritrasse per
tastarmi l'ano. Io mi contrassi, tentando di impedirglielo, ma lui riuscì a
introdursi lo stesso per un attimo. Rimasi stupita che ci fosse riuscito senza
usare illubrificante. Certo, la posizione in cui stavo, con le parti intime
completamente esposte, rendeva la cosa più facile.
«Non
è stata usata granché, qui» commentò, poi mi diede una pacca sul sedere prima
di passare a un altro dei corpi in mostra.
D'un
tratto sentii il respiro di Victor nel mio orecchio. «Ti piace essere esibita,
eh, Summer?» commentò in tono divertito. «Ti dà una scossa. Lo capisco da
quanto sei bagnata. Non puoi nasconderlo. Non hai nessuna vergogna?»
Ero
fradieia e senza dubbio dovevo essere arrossita mentre lui continuava a
esaminarmi.
«Può
essere usata?» chiese uno dei presenti. Un uomo. «Non del tutto» rispose Victor.
«Per oggi solo la bocca. Ho in serbo cose più interessanti per lei.»
«Per
me va benissimo» replicò l'altro.
«Lei
gode a essere messa in mostra, usata in pubblico» continuò Victor. Udii un
fruscio: era lui che trascinava un piede sul pavimento, a pochi centimetri dal
mio naso; una lievissima zoppia rendeva riconoscibile il suo passo. Ero
furiosa, ma non potevo manifestarlo. Victor mi mise una mano sotto il mento
costringendomi ad alzare la testa, poi mi posizionò all'altezza del cavallo dei
pantaloni dell'uomo che aveva parlato prima e che nel frattempo aveva abbassato
la cerniera e stava tirando fuori l'uccello, avvicinandomelo alla bocca.
Percepii un lieve odore di urina e per poco non. vomitai, ma Victor mi prese
saldamente per le spalle, costringendomi a fare quello che voleva. Aprii la
bocca.
Lo
sconosciuto aveva un cazzo corto e grosso. Iniziò a muoversi velocemente,
tenendomi per i capelli e costringendomi a prenderlo fino in fondo, come se fossi
avida di succhiarglielo.
Venne
in fretta, spruzzandorm lo sperma m gola. Poi nu tenne ferma, rifiutandosi di
ritrarsi finché non ebbi deglutito, riluttante, dopo essermi pulita la bocca.
Alla fine mi lasciò andare. Il sapore amaro della sua sborra non se ne andava e
avrei voluto precipitarmi in bagno per sfregarmi la lingua. In quel momento
avrei fatto i gargarismi con l'acido, pur di eliminare quel gusto. Mi guardai intorno:
tutte le altre infelici schiave venivano usate, scopate in bocca dagli ospiti
maschi o montate da dietro come pezzi di carne, a parte quella con i capelli
color topo che mi faceva pensare a una casalinga dei sobborghi. Lei era
occupata a leccare una donna che teneva il vestito di seta scarlatta sollevato
fino alla vita ed emetteva acuti strilli da uccellino ogni volta che la lingua
della schiava le toccava il clitoride o un'altra zona erogena.
Non
ebbi il tempo di analizzare ulteriormente quella situazione perché Victor mi
ordinò di sdraiarmi sulla schiena, dopo aver steso una spessa coperta sul
pavimento di pietra. Mi fece allargare le gambe e avanzò verso di me con i
pantaloni abbassati e l'uccello di dimensioni più che rispettabili già
inguainato nel preservativo. A differenza di Dominik, aveva scelto di
proteggersi. Non si fidava del fatto che fossi sana, oppure era stato Dominik a
comportarsi da irresponsabile?
Mi
penetrò con forza e cominciò a scoparmi. D'un tratto mi resi conto che sebbene
avessi scelto di consegnare il mio corpo alla sua volontà, ero ancora padrona
della mia mente e potevo fare quello che volevo. Cercai nella mia testa quel
posto speciale che mi avrebbe consentito di allontanarmi da tutto, se non
fisicamente, almeno mentalmente. Presto ciò che mi circondava sbiadì, gli
uomini, le donne e le schiave scivolarono in una sorta di assenza: i corpi, i
grugniti, tutto. Chiusi gli occhi, abbandonai la presa sulla realtà e mi
lasciai sommergere dalle ondate di desiderio. Victor venne in fretta e fece due
passi indietro.
Ebbi
appena il tempo di riprendermi che mi trovai la bocca invasa dal pene di un
altro uomo. Una diversa sfumatura di rosa e marrone, una grossa punta, un altro
lieve odore, questa volta di sapone alle erbe. Non volli guardare l'uomo a cui
apparteneva quel membro. Che importanza aveva? Lo succhiai fingendo che mi
piacesse.
Il
resto della serata trascorse in una nebbia indistinta. Uomini anonimi. Donne
che davano ordini con una punta di crudeltà e un leggero malessere che emanava
dai loro corpi profumati. Ben presto mi staccai dal mio io pensante; la fila
mente e il mio corpo inserirono il pilota automatico.
Quando
alla fine mi guardai intorno, la folla di ospiti si era quasi dispersa, mentre
gli ultimi ritardatari se ne andavano o si ricomponevano. Era rimasto solo il
nostro cerchio di schiave al centro della stanza: sporche, esauste, rassegnate.
Qualcuno
mi diede un colpetto sulla testa come si farebbe con un cagnolino.
«Brava,
Summer. Ti sei rivelata davvero promettente.» Era Victor.
Il
suo commentò mi stupì. Sapevo di essere stata distaccata, distante, meccanica,
fredda, come un'attrice sul set. Di un film pomo, per la precisione.
«Vieni»
mi disse, allungando una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi dalla mia
posizione indecente. Aveva recuperato il mio soprabito e me lo mise sulle
spalle.
Fuori
dall' edificio la limousine ci stava aspettando per riportarmi a casa.