Summer nel
fetish club |
«Hai
impegni per stasera?» mi chiese all'improvviso Charlotte, un'amica che non
vedevo da un anno e che mi aveva invitato ad andare a trovarla nel suo appartamento
di Notting Hill.
Ero
intenta a sorseggiare un espresso doppio da una delicata tazzina di porcellana
con piattino abbinato. La situazione di Charlotte era decisamente cambiata
dall'ultima volta che l'avevo vista.
«No»
risposi, scuotendo la testa. L'avevo chiamata perché ero parecchio giù di corda
per la faccenda del mio violino andato distrutto accidentalmente la sera prima.
Avevo confidato nel fatto che mi avrebbe tirato su di morale facendomi
dimenticare la catastrofe del mio strumento. Non mi ero sbagliata.
«Perfetto.
Voglio portarti fuori»
Protestai
che non ero dell'umore giusto e che non avevo né vestiti adatti né denaro.
Inoltre, detestavo i nightclub, pieni di ragazze che sbattevano le ciglia finte
per rimediare un drink e di vecchi che cercavano di palparti senza darlo a
vedere.
«Servirà
a distrarti. Offro io. Ho la mise che fa per te. E poi questo posto è diverso.
Ti piacerà»
Qualche
ora dopo ero a bordo di una grande barca ancorata sul Tamigi che una volta al mese
si trasformava in un fetish club.
«Che
cosa vuol dire esattamente fetish?»
avevo chiesto nervosa a Charlotte.
«Oh,
niente di che» aveva risposto lei. «Le persone indossano meno vestiti del
solito, ma alla loro maniera. E sono più simpatiche»
Mi
aveva fatto un sorriso radioso e mi aveva detto di rilassarmi con un tono che
lasciava intendere che stavo facendo esattamente l'opposto.
Indossavo
un corsetto azzurro con le stecche, culottes con i merletti e calze con una
cucitura blu che andava dalla coscia alla caviglia e finiva dentro scarpe color
argento con il tacco a stiletto. Charlotte mi aveva cotonato i capelli in una
massa di riccioli, raddoppiando il volume già consistente della mia zazzera
rossa, poi mi aveva messo sulla testa un cappello a cilindro inclinato in modo
sbarazzino. Mi aveva accuratamente profilato gli occhi con una generosa dose di
eyeliner nero, mi aveva messo un rossetto vivace e lucido sulle labbra, e mi
aveva passato un po' di vaselina sulle guance per dar loro una lieve luminosità
argentea. Il corsetto era un po' troppo grande per me e lei aveva dovuto
stringermelo in vita, mentre le scarpe erano piccole e mi rendevano difficile
camminare, ma l'effetto complessivo, speravo, era piacevole.
«Wow!»
aveva esclamato Charlotte, squadrandomi dalla testa ai piedi dopo aver finito
di agghindarmi. «Sei eccitante.» Mi ero avvicinata goffamente allo specchio.
Accidenti, alla fine di quella serata avrei avuto un terribile mal di piedi: le
scarpe stringevano già.
Avevo
constatato con piacere che la definizione che Charlotte aveva dato di me era
appropriata, anche se non l'avrei ammesso a voce alta, in ossequio a presunte
regole di comportamento. Avevo assunto, anzi, un' aria modesta. La ragazza
nello specchio non mi assomigliava molto. Era più simile a una sorella maggiore
ribelle con addosso un costume da burlesque. Il corsetto, benché un po' largo,
mi costringeva a stare più dritta e anche se avvertivo una punta di nervosismo
all'idea di uscire vestita in quel modo, in quella specie di nuova pelle,
immaginavo che la postura eretta da ballerina mi avrebbe fatta sentire più
sicura di me.
Charlotte
si era spogliata completamente di fronte a me e si era unta il corpo con il
lubrificante, poi mi aveva chiesto di aiutarla a infilarsi un abitino di latex
giallo brillante con due fulmini rossi che correvano ai lati del busto fino
alla vita. Il vestito aveva una profonda scollatura che metteva in mostra quasi
tutto il seno generoso e un provocante accenno di capezzoli, fasciati
strettamente dalla stoffa. Il lubrificante era aromatizzato alla cannella e per
un attimo avevo avuto la tentazione di dare una leccata a Charlotte. Avevo
notato che non indossava le mutandine, anche se l'abito le copriva a malapena
il culo.
La
mia amica era sfacciata, non c'erano dubbi, ma io ammiravo la sua sicurezza e,
dopo una giornata passata con lei, stavo cominciando ad abituarmici. Era una
delle poche persone di mia conoscenza che faceva esattamente quello che le
andava di fare, infischiandosene di ciò che pensavano gli altri.
Io
con le mie scarpe troppo piccole tacco tredici e lei con le sue altissime zeppe
rosse eravamo state costrette ad aggrapparci l'una all'altra, ridacchiando, per
scendere la ripida scaletta di metallo che portava alla barca.
«Non
preoccuparti» mi aveva assicurato Charlotte, «ti sentirai a tuo agio prima di
quanto pensi.»
Ah
sì?
Era
circa mezzanotte quando arrivammo e il club era animatissimo. Un po'
imbarazzata, mi tolsi la giacca e mi unii alla festa esibendo più corpo nudo di
quanto fossi abituata a fare, ma Charlotte continuava a ripetere che mi sarei
trovata benissimo. Mostrammo i biglietti all'ingresso e in cambio ci misero un
timbro sul polso, poi lasciammo i cappotti al guardaroba e salimmo barcollando
una rampa di scale, attraversammo una porta a due battenti e ci ritrovammo nel
bar principale.
Fu
una specie di assalto per i sensi. Ovunque c'erano uomini e donne con mise
stravaganti. Il latex abbondava, ma non mancavano la lingerie vecchio stile, i
cilindri e le marsine, le uniformi militari; c'era persino un uomo che portava
solo un anello fallico, con il pene flaccido che sobbalzava allegramente a ogni
passo. Una donna bassa con indosso soltanto una gonna voluminosa e il seno che
ballonzolava liberamente fendeva la folla tenendo in mano un guinzaglio alla
cui estremità c'era un uomo molto alto e magro, con le spalle e la schiena così
curve che lei se lo tirava dietro senza sforzo. Mi fece venire in mente Mr Van
der Vliet, il mio insegnante di violino. Seduto da solo su uno dei divanetti
c'era un uomo piccolo, o forse una donna androgina, che indossava un body di
lattice e una maschera. Charlotte non era stata del tutto precisa quando aveva
descritto gli amanti del fetish come gente con meno vestiti. Certo, molti di
loro non indossavano quasi niente, e lo facevano con disinvoltura, ma parecchi
portavano elaborati costumi che coprivano ogni centimetro di pelle, e
ciononostante riuscivano a essere sensuali. Gli abiti da carnevale dozzinali e
i vestiti di tutti i giorni erano banditi, un dettaglio raffinato che elevava
quasi tutti i presenti da pacchiani a teatrali.
«Che
cosa bevi, tesoro?» mi chiese Charlotte, distogliendo la mia attenzione dalla
folla. Mi sforzavo di non fissare le persone, ma avevo la sensazione di essere
finita sul set di un film per soli adulti o di aver imboccato un corridoio
verso un universo parallelo dove tutti erano come Charlotte e non si
preoccupavano affatto di quello che il resto del mondo avrebbe pensato di loro.
Sulla
mia mise, comunque, la mia amica ci aveva azzeccato.
Non
solo mi sentivo a mio agio, ma ero anche una di quelle vestite in modo più
sobrio. Con ogni probabilità erano convinti che fossi assolutamente pudica.
Quel pensiero mi tranquillizzava. In genere, nelle riunioni tra amici o nelle
occasioni sociali, mi preoccupavo di risultare strana, con il mio atteggiamento
disinvolto riguardo al sesso e ai rapporti con gli altri. Nessuno mi aveva mai
considerata pudica.
«Solo
acqua per me, grazie» risposi.
Non
volevo approfittare della generosità di Charlotte e desideravo godermi quello
spettacolo con la mente lucida, così il mattino dopo non mi sarei svegliata
pensando che era stato solo un sogno.
Charlotte
si strinse nelle spalle e tornò qualche minuto dopo con due bicchieri.
«Vieni»
mi disse. «Ti faccio fare un gìro.»
Mi
prese per mano e mi condusse attraverso un' altra porta a due battenti che
immetteva sulla prua scoperta della barca, dove c'era un gruppetto di uomini
con indosso pesanti giacche militari dall'aria sexy che fumavano o prendevano
una boccata d'aria, o entrambe le cose. Le donne, che in genere erano più
svestite, erano raggruppate intorno alle stufe a gas in mezzo al ponte. Due di
loro indossavano gonne di latex con la parte posteriore tagliata e le loro
natiche pallide splendevano sotto le luci artificiali come lune gemelle basse
nel CIelo.
Mi
spostai di lato e rimasi immobile per un momento, stringendo la mano di
Charlotte e fissando il Tamigì che si snodava nella notte come un lungo nastro
nero, insinuandosi discreto tra le due parti della città. L'acqua sembrava
densa e vischiosa, e lambiva il fianco della barca con un leggero sciabordio.
il Waterloo Bridge era alle nostre spalle, il Blackfriars Bridge davanti a noi
mentre le luci del Tower Bridge erano appena visibili sullo sfondo, come un'oscura
promessa di cose a venire. Sentii Charlotte che rabbrividiva.
«Andiamo»
disse. «Fa freddo qui fuori,»
Ritornammo
sui nostri passi oltrepassando di nuovo la porta a due battenti e il bar
principale e, attraverso un'altra serie di porte, raggiungemmo una pista da ballo.
Guardai a bocca aperta una donna bellissima con i capelli neri e un aria
vampiresca versarsi addosso della benzina e poi soffiare una vampata di fuoco
sopra la testa, ballando una pole dance al ritmo di una canzone hard rock.
Trasudava sesso. Accanto a Charlotte e in presenza di così tante persone che
sembravano non vergognarsi del proprio corpo e, anzi, essere orgogliose della
propria sessualità, sentii, per la prima volta in vita rrua, che forse non ero
un' anomalia. O quantomeno che, se lo ero, c'erano altri come me.
Un
uomo alto ai bordi della pista da ballo attirò il mio sguardo. Indossava un
paio di leggings azzurri coperti di paillette, alti stivali da cavallerizzo,
una giacca militare rossa e oro e un berretto in tinta. Teneva un frustino in
una mano e un bicchiere nell' altra e chiacchierava animatamente con una
ragazza dall' aspetto gotico che indossava hot pants di latex e aveva lunghi
capelli neri con una ciocca bianca sulla fronte. I leggings dell'uomo
nascondevano a maapena il grosso rigonfiamento in mezzo alle gambe, e io mi
immobilizzai per un attimo, affascinata. Avevo visto un paio dì leggìngs simili
nella vetrina di un negozio di abbigliamento femminile, ma su quell'uomo
l'effetto era decisamente virile.
Charlotte mi tirò la mano. «Dopo» mi sussurrò
all' orecchio, lanciando un' occhiata al tizio con i leggings. «Lo spettacolo è
in corso. Il che significa che al piano di sotto la situazione sarà tranquilla»
Mi
condusse lungo un piccolo corridoio con tende di velluto rosso, poi in un bar
più piccolo, pieno di gente che si godeva la festa, e infine giù per una rampa
di scale.
«Questo
è il dungeon, la "segreta", l'alcova sadomaso» disse. La stanza non
aveva l'aspetto che pensavo dovesse avere una segreta, anche se in realtà non
avevo idea di come dovesse essere una segreta moderna né che esistesse una cosa
del genere. Mi fermai e mi guardai intorno, assorbendo tutti i particolari, nel
caso in cui non avessi mai più rivisto un posto simile.
L'arredamento era come quello del bar al
piano di sopra, ma con qualche elemento in più dall' aspetto strano. C'era una
grande croce rossa imbottita, che in realtà aveva piuttosto la forma di una X,
alla quale era appoggiata una donna nuda con le gambe e le braccia spalancate, mentre
un'altra donna la picchiava con uno strumento che Charlotte chiamò
"flagellatore". Non riuscivo a vederne l'impugnatura, stretta nella
mano della donna, ma invece di una sola striscia di cuoio, come una frusta,
aveva parecchie strisce di pelle morbida. La donna che teneva il flagellatore
alternava le frustate sul culo della compagna a carezze con il palmo della
mano, e talvolta le sfiorava il corpo con le strisce di pelle. La donna sulla
croce gemeva di piacere e si inarcava involontariamente, mentre quella con il
flagellatore le si avvicinava spesso per sussurrarle qualcosa all' orecchio:
parole dolci, immaginavo. Sorrideva, rideva e si chinava verso la compagna
sulla croce. Erano circondate da un gruppetto di osservatori attenti, ma
parevano in un mondo tutto loro, come se uno schermo invisibile le avesse
separate dalla gente che guardava.
Quella
scena mi avrebbe sconvolta se l'avessi vista in una fotografia o se ne avessi
letto una piccante descrizione su un giornale. Avevo sentito parlare di cose simili,
naturalmente, ma le avevo archiviate in un angolo della mente, lo stesso in cui
mettevo le storie di gente che correva all'ospedale dopo uno sfortunato
incidente con un criceto e il tubo di un aspirapolvere; immaginavo che qualcuno
finisse in situazioni del genere, ma pensavo che perlopiù si trattasse di
leggende metropolitane o di eccessi di eccentricità. Le persone lì, invece,
sembravano tutte normali e carine, anche se avevano le stesse mise stravaganti
che si vedevano ovunque su quella barca. Mi avvicinai un po' per vedere meglio.
Sì, la donna che prendeva le frustate se la stava decisamente spassando. Non so
cosa avrei dato per sapere che cosa provava. E l'atto del frustare in sé -
l'alzarsi e l'abbattersi del flagellatore - era preciso, ritmico, orchestrato
ad arte. Una scena piuttosto bella.
Charlotte,
notando il mio interesse, si avvicinò a un uomo in piedi vicino alla croce e
gli batté un colpetto sulla spalla, poi mi chiamò con un cenno.
«Mark»
gli disse, «lei è Summer. È la sua prima volta.» Lui mi squadrò con uno sguardo
più compiaciuto che rapace. «Carino il corsetto!» disse, baciandomi su entrambe
le guance. Era piuttosto basso e grasso e si stava stempiando, ma aveva un viso
amichevole e un bagliore affascinante negli occhi. Indossava pesanti stivali,
un grembiule di gomma e una vestaglia. Il grembiule aveva parecchie tasche,
piene di attrezzi che, a una prima occhiata, sembravano simili al flagellatore.
«Grazie»
risposi. «Vieni qui spesso?»
«Non
tanto quanto vorrei» rispose lui ridendo, mentre io arrossivo.
«Mark
è il padrone del dungeon» spiegò Charlotte.
«In
sostanza» disse lui «mi assicuro che tutto quaggiù fili liscio e che nessuno
faccia il cazzone,»
Annuii,
spostando il peso da una gamba all'altra. I piedi cominciavano a farmi male sul
serio.
Mi
guardai intorno in cerca di una sedia libera, ma non vidi nulla a parte una
struttura metallica con una parte piatta imbottita che mi arrivava circa all'altezza
della vita e che sospettavo non fosse un sedile.
«Posso
sedermi lì?» chiesi, indicando la struttura con un cenno della testa.
«No»
rispose Charlotte. «Non ci si può sedere sull'attrezzatura. Qualcuno potrebbe
volerla usare,» Poi si illuminò. «Ooohl» esclamò, lanciandomi un sorriso
malizioso e dando un colpetto nelle costole a Mark. «Potresti darle una
sculacciata, Mark. Così potrebbe far riposare i pìedì,»
Mark
mi guardò. «Per me sarebbe un piacere» commentò «se la signora gradìsse.»
«Oh,
no... Grazie, ma non sono sìcura,»
Mark
replicò educatamente: «Nessun problema», mentre Charlotte insisteva: «Dai... Di
che cosa hai paura? Lui è un esperto. Prova».
Guardai
di nuovo la donna sulla croce, che adesso sembrava in estasi, indifferente allo
spettacolo che offriva agli astanti.
Avrei
voluto essere anch'io come lei, così coraggiosa e incurant~. Se me ne fossi
infischiata dell' opinione degli altri, probabilmente non avrei passato più di
una notte con Darren. «lo rimango vicina a te» aggiunse Charlotte, che senza
dubbio si era accorta che stavo per cedere. «Che cosa potrebbe mai succederti?»
E
che cazzo! Lì nessuno avrebbe pensato male di me e io ne avrei approfittato per
sdraiarmi un po'. E poi ero curiosa. Se fosse stato così brutto, tutta quella
gente non l'avrebbe fatto. «Okay» dissi, accennando un sorriso. «Proverò,.
Charlotte si dimenò, in preda all'eccitazione.
«Quale
strumento preferisci?» chiese Mark, indicando con un gesto della mano gli
attrezzi nelle tasche del suo grembiule.
Seguii
i suoi movimenti. Pur non essendo alto, aveva mani grandi dall' aria solida,
tipiche di una persona che svolge un lavoro manuale invece di rammollirsi
digitando sulla tastiera di un computer.
Charlotte
seguì il mio sguardo con interesse. «Credo che Summer preferisca le mani nude,
Mark» disse.
lo
annuii.
Poi
lei mi condusse verso la struttura metallica imbottita, che sembrava una panca.
Con
gentilezza Mark mi fece voltare in modo da guardarmi in faccia. «Va bene»
disse. «Comincerò con molta delicatezza. Se, in qualunque momento, ti senti a
disagio, basta che alzi una mano e io smetterò subito. Charlotte rimarrà qui,
accanto a te. Capito?»
«Sì»
risposi.
«Okay,
bene» disse lui. «Però le culottes con i merletti non sono adatte. Ti dispiace
se te le tolgo?»
Trattenni
il fiato. Accidenti! In che situazione mi ero andata a cacciare? Del resto
sapevo che, ovviamente, non sarebbe stata la stessa cosa con addosso biancheria
intima elaborata. E poi la stanza era piena di gente nuda, per cui nessuno
avrebbe fatto caso a me.
«Fai
pure.»
Mi
girai e mi piegai in avanti sulla struttura imbottita, alleggerendo il peso sui
piedi e provando un immediato sollievo. La vita e il busto erano appoggiati
all'imbottitura centrale, mentre ai lati c'erano due ulteriori imbottiture su
cui distendere le braccia e impugnature da stringere con le mani.
Sentii
un dito che si infilava sotto l'elastico delle culottes e me le sfilava con
gentilezza facendole scivolare lungo le cosce e i polpacci inguainati nelle
calze. Mark mi sollevò prima un piede e poi l'altro, aiutandomi a toglierle.
Avevo le gambe spalancate e immaginai che lui, accucciato ai miei piedi, avesse
una visuale completa del mio corpo. Sentii le guance imporporarsi, ma
cominciavo già ad arrendermi e ad avvertire un piacevole calore irradiarsi
dalle parti basse. Lui si rialzò in piedi e Charlotte mi strinse la mano.
Per
un attimo non sentii niente, a parte la lieve carezza dell' aria sul sedere
nudo e - immaginai - gli occhi di sconosciuti sulla mia carne esposta.
Poi
un palmo forte si chiuse a coppa sulla mia natica destra, con un delicato
movimento circolare, seguito da un'impercettibile brezza quando la mano si
alzò, per poi abbassarsi di nuovo e colpirmi prima su una natica e poi sull'altra.
Un
bruciore acuto.
Quindi
il tocco leggero della mano fresca di Mark sulla mia carne ardente, per
accarezzarla, lenirla.
Un
altro soffio d'aria mentre la mano si alzava nuovamente. E un sussulto quando
mi colpì, questa volta con più forza.
Strinsi
le sbarre di metallo, inarcai la schiena, premetti le cosce contro
l'imbottitura e sentii un'altra vampata di rossore mentre mi rendevo conto di
essere bagnata fradicia e immaginavo che Mark vedesse la mia eccitazione, ne
sentisse l'odore. Si rendeva conto che il mio corpo iniziava a cedere sotto il
suo tocco, mentre io inarcavo ancora di più la schiena per offrirmi alle sue
mani.
Un
altro colpo, molto più forte, davvero doloroso. Il bruciore acuto mi fece
sobbalzare e per una frazione di secondo pensai di chiedergli di smettere, ma
poi la sua mano fu nuovamente su di me, proprio nel punto in cui mi aveva
colpita, e il dolore si trasformò in una sensazione calda che mi attraversò la
spina dorsale fino alla nuca.
Continuando
a tenermi una mano sul culo, Mark risalì con l'altra lungo la schiena e,
allargando le dita, me la infilò tra i capelli e diede uno strattone, prima
delicatamente, poi con più forza.
Mi
ritrovai in un'altra dimensione. La stanza si allontanò.
Gli
sguardi degli estranei svanirono. Charlotte scomparve. C'eravamo solo io e la
sensazione della sua mano che mi tirava i capelli mentre inarcavo il corpo e
gemevo sotto i suoi colpi.
Poi
tornai al presente. Due mani appoggiate con delicatezza sulle mie natiche
doloranti e Charlotte che mi stringeva la mano. TI rumore della stanza cominciò
di nuovo a filtrare nella mia coscienza. Voci, musica, cubetti di ghiaccio che
tintinnavano nei bicchieri e il suono di qualcun altro che veniva sculacciato.
«Tutto
okay, tesoro? Sei ancora tra noi? Wow» disse Charlotte, presumo a Mark, «è
partita come un razzo,»
«Sì»
le fece eco lui, «ha un talento naturale.»
Girai
la testa per sorridergli e quindi cercai di rimettermi in piedi, ma scoprii di
non riuscire a camminare. Barcollavo come un puledro appena nato ed ero
palesemente eccitata, bagnata tra le cosce. Ero imbarazzata dall'intensità
della mia reazione, ma né Mark né Charlotte né gli altri spettatori sembravano
minimamente stupiti o sorpresi. Per loro era un normale evento da weekend
(forse addirittura quotidiano). «Vieni qui, tigre» disse Mark, mettendomi un
braccio intorno alla vita e guidandomi verso una sedia che si era liberata solo
perché un' occhiataccia sua e di Charlotte avevano indotto l'occupante a
balzare in piedi e allontanarsi.
Mi
sedetti e Mark mi accarezzò i capelli, facendomi appoggiare la testa e un
fianco alla sua coscia. TI grembiule di gomma era freddo e strano sulla mia
faccia e uno degli attrezzi mi premeva fastidiosamente contro il braccio.
Sentii
che mi stavo allontanando di nuovo mentre lui mi passava le dita tra i capelli,
e le loro voci mi arrivavano come dal fondo di un tunnel.
«Credo
che dovresti riportarla a casa» disse Mark a Charlotte. «Ha bevuto parecchio?»
«Nemmeno
un goccio. Solo acqua minerale. Hai iniziato
una
vergine».
«Che
meraviglia!» ridacchiò lui.
«Ha
l'aria di essersela spassata parecchio» commentò Charlotte «e non le ho neppure
fatto vedere la stanza delle coppìe»
Mi
addormentai appoggiata alla spalla di Charlotte sul taxi che ci riportava al
suo appartamento. La mattina dopo, quando mi svegliai, indossavo ancora il
corsetto, di cui erano stati allentati i lacci. Il cuscino era coperto di
brillantini e macchiato di eyeliner nero. Mi sembrava di essere in preda ai
postumi di una sbornia, anche se non avevo bevuto alcolici.