S U M M E R E
I L S U O V I O L I N O |
SUMMER
Mi svegliai alle tre, nell'appartamento di Whitechapel che
condividevo con altre tre persone, riposata e con una visione delle cose molto
più positiva.
La sera prima avevo fatto il punto della situazione, non senza
un po' di pessimismo. Ero arrivata a Londra un anno prima dalla Nuova Zelanda. Sono
una violinista, e l'estate del mio arrivo avevo trovato un ingaggio all'ultimo
minuto per suonare in un concerto un pezzo di Arvo Pärt al posto di un musicista
che si era ammalato, ma dopo quello avevo lavorato solo saltuariamente.
Attualmente ottenevo lavoro dagli organizzatori delle manifestazioni in strada
e servivo part-time in una caffetteria. Sono un'ottimista per natura. Ci
vogliono un certo grado di follia o un atteggiamento molto positivo o un
pizzico di entrambi per indurre una persona a trasferirsi dall'altra parte del
mondo con nient'altro che una valigia, un conto in banca in rosso e il sogno di
farcela. I miei malumori non duravano mai a lungo.
Avevo un guardaroba pieno di vestiti per suonare in strada, la
maggior parte recuperati nei mercatini e comperati su eBay, dato che non avevo
troppi soldi. Mettevo raramente i jeans perché, avendo la vita molto più
stretta dei fianchi, detestavo provarmi i pantaloni, così indossavo quasi
sempre gonne e abiti. Avevo un paio di jeans tagliati al ginocchio per i giorni
da cowboy, quando suonavo musica country, ma quella era una giornata da
Vivaldi, il che imponeva un look più classico. Il vestito di velluto nero
sarebbe stato l'ideale, ma era appallottolato sul pavimento dove l'avevo
lasciato quella mattina e aveva bisogno di un altro giro in lavanderia. Presi
invece una gonna nera a coda di pesce e una camicetta di seta color crema con
un delicato colletto di pizzo che avevo trovato in un negozio vintage, lo
stesso dove avevo comprato il vestito nero. Misi dei collant opachi e un paio
di stivaletti alla caviglia con le stringhe e il tacco basso. L'effetto,
speravo, era pudico, gotico-vittoriano, il genere di look che io amavo e che
l'uomo con cui avevo convissuto negli ultimi tre anni detestava; era convinto
che il vintage fosse uno stile per aspiranti alternativi che si lavavano poco.
Quando arrivai a Tottenham Court Road, la stazione dove si
trovava il mio posto prestabilito per suonare, la folla dei pendolari aveva
appena iniziato a infittirsi. Mi sistemai vicino al muro ai piedi della prima
rampa di scale mobili. Su una rivista avevo letto uno studio secondo il quale
la gente era più disposta a dare qualcosa a un musicista di strada se aveva
avuto prima qualche secondo per decidere di metter mano al portafoglio. Quindi
la mia postazione era perfetta, perché i pendolari mi guardavano mentre
scendevano con la scala mobile e avevano l'opportunità di tirar fuori il denaro
prima di passare oltre. Non ero proprio sul loro percorso, comunque, e la cosa
sembrava funzionare con i londinesi, ai quali piaceva avere la sensazione di
aver fatto la scelta di spostarsi di lato per lasciar cadere gli spiccioli nella
custodia del violino.
Sapevo che avrei dovuto cercare il contatto visivo e sorridere
per ringraziare le persone che mi davano le monete, ma ero così persa nella
musica che spesso me ne dimenticavo. Mentre suonavo Vivaldi, non avrei potuto
connettermi con nessuno. Se nella stazione fosse scattato l'allarme
antincendio, probabilmente non me ne sarei neanche accorta. Appoggiavo il
violino sotto il mento e nel giro di qualche minuto i pendolari scomparivano.
Tottenham Court Road scompariva. Rimanevamo solo io e Vivaldi in loop.
Suonai finché le braccia cominciarono a farmi male e lo
stomaco si mise a brontolare, indizi certi del fatto che mi ero fermata più a
lungo del previsto. Arrivai a casa alle dieci di sera.
Contai i soldi solo il mattino dopo e mi accorsi che c'era una
banconota rossa nuova di zecca ripiegata con cura all'interno di un piccolo
strappo nella fodera di velluto della custodia.
Qualcuno mi aveva dato cinquanta sterline.
DOMINIK
La lezione di quel giorno era durata più del solito: troppe
domande da parte degli studenti ne avevano interrotto il flusso. Non che questo
fosse un problema per lui. Più domande facevano e più obiezioni sollevavano,
meglio era. Significava che erano attenti, interessati all'argomento. Il che
non succedeva sempre. Quell'anno accademico c'era un buon gruppo di studenti,
uno stimolante mix di stranieri e inglesi nella giusta proporzione, che lo
teneva vigile e allerta. A differenza di altri professori, lui variava molto i
suoi corsi, se non altro per evitare le trappole della noia e della
ripetitività. Quel trimestre i suoi seminari di letteratura comparata
esploravano il ricorrere del tema del suicidio e della morte negli scrittori
degli anni Trenta e Quaranta del Novecento, esaminando i romanzi dell'americano
F. Scott Fitzgerald, del francese Drieu La Rochelle, spesso erroneamente
etichettato come fascista, e dell'italiano Cesare Pavese. L'argomento non era
particolarmente allegro, ma sembrava toccare un nervo scoperto in buona parte
del suo pubblico, soprattutto femminile. Colpa di Sylvia Plath, concluse.
Almeno finché non avesse spinto troppi di loro a mettere la testa nel forno per
emulazione, pensò sorridendo.
Lui non aveva bisogno di lavorare. Una decina d'anni prima,
dopo la morte di suo padre, aveva ereditato una somma considerevole. Non si sarebbe
mai aspettato una cosa del genere. Il loro non era stato un rapporto facile e per
molto tempo lui aveva immaginato che a ereditare sarebbero stati i suoi
fratelli, con cui non aveva contatti regolari né molto in comune. Era stata una
piacevole sorpresa. Un'altra di quelle svolte impreviste sulla strada della
vita.
Dopo la lezione aveva incontrato un paio di studenti nel suo
ufficio. prendendo accordi per futuri seminari e rispondendo alle loro domande,
e aveva scoperto di avere poco tempo. Secondo i suoi piani sarebbe dovuto
andare a vedere un nuovo film al cinema
Curzon West End, allo spettacolo del tardo pomeriggio, ma a questo punto era
impossibile. Poco male. L'avrebbe visto nel weekend.
Prese la logora giacca di pelle nera dal gancio sul muro, mise i libri e i fogli
della lezione nella borsa di iuta e scese in strada. Ben coperto contro il
vento gelido che soffiava dal fiume, si incamminò in direzione della metropolitana.
Era già quasi buio, l'oscurità grigio piombo dell'autunno londinese. La folla
si faceva minacciosa a mano a mano che l'ora di punta si avvicinava, fiotti di
pendolari si affrettavano in entrambe le direzioni, lambendolo animatamente. In
genere a quell'ora Dominik era già lontano dal centro. Era un po' come vedere
un altro aspetto della città, una dimensione insolita in cui il mondo robotico
del lavoro prendeva il sopravvento, opprimente e plumbeo, fuori posto. Accettò
distrattamente il quotidiano gratuito che qualcuno gli porgeva ed entrò nella
stazione.
Il treno si fermò mentre lui era perso nei suoi pensieri. Era
arrivato alla fermata in cui doveva cambiare
per prendere la Northern Line attraverso un altro labirinto di corridoi.
Detestava la metropolitana, ma la lealtà verso gli anni in cui era stato meno
ricco gli impediva quasi sempre di prendere un taxi per andare e tornare
dall'università. Avrebbe potuto usare la macchina e al diavolo la congestion charge, ma la zona
dell'università era afflitta da una cronica mancanza di parcheggi, per non
parlare dell'ingorgo in Finchley Road che lo mandava regolarmente in bestia.
Il familiare odore dell'ora di punta – sudore, rassegnazione e
depressione – di tanto in tanto gli assaliva i sensi, mentre lui si dirigeva
verso la scala mobile e udiva il suono di una musica lontana. Mentre percorreva
il corridoio in direzione del marciapiede della Northern Line scortato dalla
folla dell'ora di punta come un prigioniero sorvegliato a vista, Dominik udì
una melodia familiare.
Il suono di un violino si fece strada verso di lui attraverso
il sordo rumore dei viaggiatori serali, finché all'improvviso si rese conto che
qualcuno in lontananza stava suonando la seconda parte delle Quattro stagioni, anche se solo la
partitura per violino, senza l'animato contrappunto dell'orchestra. Ma il
timbro era così penetrante che non aveva bisogno del supporto di un'orchestra.
Dominik affrettò il passo, mentre la musica inondava le sue orecchie.
All'incrocio di quattro gallerie, in uno spazio più ampio in
cui due rampe di scale mobili parallele inghiottivano torrenti di pendolari e
li vomitavano nelle profondità del sistema di trasporto sotterraneo, una
giovane donna suonava il violino ad occhi chiusi. I capelli rossi le ricadevano
sulle spalle come un alone, elettrici.
Dominik si fermò, a disagio, bloccando la strada alla folla
dall'ora di punta. Alla fine si spostò in un angolo dove non intralciava il
flusso e osservò la musicista più da vicino. No, non aveva l'amplificatore. La
ricchezza del suono era dovuta solo all'acustica di quel punto e al vigoroso
glissando del suo archetto sulle corde.
"Accidenti se è brava" pensò.
Era molto tempo che non ascoltava musica classica suonata dal
vivo. Quando era bambino, sua madre gli aveva regalato un abbonamento a una
serie di concerti che si tenevano il sabato mattina al Théatre du Châtelet di
Parigi, la città in cui suo padre aveva avviato un'attività e dove tutta la
famiglia era vissuta per dieci anni. Per sei mesi, generalmente usando i
concerti del mattino come una specie di prova generale per quelli che si
tenevano la sera destinati a un pubblico adulto, l'orchestra e i solisti ospiti
avevano offerto una straordinaria introduzione al mondo e al repertorio della
musica classica. Dominik ne era rimasto affascinato e in seguito, con grande
stupore di suo padre, aveva speso gran parte dei pochi soldi che aveva per
comprare dischi (erano ancora gli anni del glorioso vinile): Čajkovskij, Grieg,
Mendelssohn, Rachmaninov, Berlioz e Prokof'ev erano tra le figure principali
del suo pantheon personale. Sarebbero trascorsi altri dieci anni prima del suo
passaggio al rock, quando Bob Dylan
aveva sperimentato l'accompagnamento di strumenti elettrici e lui aveva
cominciato a farsi crescere i capelli, come al solito in ritardo nell'aderire a
mode e tendenze. Ancora adesso, quando viaggiava in macchina, ascoltava sempre
musica classica. Lo rasserenava, gli schiariva le idee, metteva a tacere gli
insulti degli altri automobilisti causati dalla sua guida spesso impaziente.
La giovane violinista teneva gli occhi chiusi e si dondolava
leggermente da una parte all'altra, fondendosi con la melodia. Indossava una
gonna nera al ginocchio e una camicetta color crema con il colletto vittoriano
che riluceva debolmente sotto l'illuminazione artificiale del tunnel e
scivolava sul suo corpo senza rivelarne le forme. Dominik fu immediatamente
conquistato dal delicato pallore del suo collo e dalla fragilità del suo polso che
si piegava per accompagnare con enfasi il movimento dell'archetto.
Il violino aveva l'aria di essere vecchio, rattoppato con il
nastro adesivo e ormai prossimo alla rottamazione, ma il colore del legno si
intonava perfettamente con quello della fiera capigliatura della musicista.
Dominik rimase fermo ad ascoltare per cinque minuti buoni, il
tempo come congelato. Ignorando il flusso dei pendolari che si affrettavano
verso esistenze e impegno anonimi, guardava la violinista con rapita attenzione
mentre lei eseguiva le complesse melodie di Vivaldi con passione e con un
completo disinteresse per ciò che la circondava, per il pubblico involontario o
per la logora fodera della custodia dello strumento ai suoi piedi, dove si
stavano lentamente accumulando le monete (anche se, finché Dominik si trattenne
ad ascoltare affascinato, nessuno fece un'offerta).
La giovane non aprì mai gli occhi, persa nella trance, la
mente inghiottita nel mondo dei suoni, volando con le ali della musica.
Dominik chiuse gli occhi a propria volta, cercando
inconsciamente di unirsi a lei in quel suo universo privato dove la melodia
cancellava ogni altra cosa. Ma continuava a riaprirli, desideroso di cogliere
il modo in cui il corpo della giovane si muoveva impercettibilmente, ogni
tendine dei suoi invisibili muscoli teso nell'estasi dell'alterità. Accidenti,
moriva dalla voglia di sapere cosa stesse provando in quel momento, mentalmente
e fisicamente.
La violinista stava arrivando velocemente alla fine dell'allegro dell'Inverno. Dominik tirò fuori il portafoglio dalla tasca interna
della giacca di pelle e frugò in certa di una banconota. Aveva prelevato a un
bancomat prima di andare all'università.
Esitò un attimo tra venti e cinquanta sterline, guardò la giovane donna dai
capelli rossi e seguì l'onda nascente del movimento che attraversava il suo
corpo mentre il polso si piegava a una strana angolatura per appoggiare
l'archetto sulle corde. Per un istante la seta della sua camicetta si tese fin
quasi a strapparsi, aderendo alla schiena e rivelando il sottostante reggiseno
nero.
Dominik avvertì una tensione nel basso ventre, che non poté
attribuire alla musica. Prese la banconota da cinquanta sterline e la mise in
fretta nella custodia del violino, seppellendola sotto le monete perché non
attirasse l'attenzione di qualche avido passante. Il tutto senza che la giovane
desse segno di averlo visto.
Se ne andò proprio nel momento in cui la musica cessava e gli
abituali rumori della metropolitana riprendevano il sopravvento, mentre i
pendolari continuavano a fluire in tutte le direzioni.
Più tardi, rientrato a casa, si sdraiò sul divano ad ascoltare
una registrazione dei concerti di Vivaldi recuperata da uno dei suoi scaffali,
un CD che non toglieva dalla custodia da anni. Non ricordava nemmeno di averlo
comprato. Forse glie l'avevano dato in omaggio con qualche rivista.
Ripensò alla giovane violinista con gli occhi chiusi (chissà
di che colore erano) mentre suonava con trasporto, e si chiese che odore
potesse avere. La mente divagò, immaginando la fessura di Claudia, la sua
amante attuale, la sua profondità, le sue dite che la esploravano, il membro
che le premeva contro, la volta in cui lei gli aveva chiesto di possederla con
il pugno e il modo in cui la sua mano era scivolata senza sforzo nel recesso
bagnato, poi i gemiti di lei, l'urlo sulla punta della lingua e le unghie conficcate
selvaggiamente nella pelle sensibile della sua schiena. Trattenendo il respiro
decise che la prossima volta che avesse fatto l'amore con Claudia avrebbe messo
quella musica. Sul serio. Anche se nella sua mente non era con Claudia che
stava facendo l'amore.
Il giorno successivo aveva lezione; nel suo orario tutti i
corsi erano concentrati in due giorni della settimana. Eppure, d'impulso,
Dominik uscì di casa all'ora di punta, e andò alla stazione di Tottenham Court
Road. Voleva rivedere la giovane musicista. Forse scoprire di che colore aveva
gli occhi. Capire quali altri pezzi aveva nel suo repertorio. Vedere se si
vestiva in modo diverso a seconda della
giornata o del tipo di musica.
Ma lei non c'era. Al suo posto un tizio con i capelli lunghi e
unti e l'atteggiamento arrogante infliggeva agli indifferenti passanti una
versione malamente suonata di Wonderwall
degli Oasis, seguita da una versione ancora più penosa di Roxanne dei Police.
Dominik imprecò sottovoce.
Speranzoso, tornò alla stazione per cinque sere consecutive.
Ma si imbatté solo in una serie di artisti che suonavano – più
o meno bene – Dylan e gli Eagles o cantavano pezzi d'opera con un
accompagnamento orchestrale preregistrato. Nessuna violinista. Sapeva che i
suonatori di strada avevano ore e luoghi prestabiliti per esibirsi, ma non
aveva modo di scoprire quali fossero quelli della giovane violinista. Per
quello che ne sapeva, avrebbe anche potuto essere un'abusiva e non ricomparire
mai più.
Passò un mese, durante il quale Dominik non ascoltò più musica
classica quando era a casa da solo. Non sembrava la cosa giusta da fare. Si
stava avvicinando la fine del trimestre e lui avvertiva l'urgenza di fare un
viaggio. Amsterdam? Venezia? Un altro continente? Seattle? New Orleans? Per qualche
ragione tutte quelle mete che un tempo aveva apertamente vagheggiato non
esercitavano più la medesima attrazione. Era uno stato d'animo che lo turbava
profondamente e che aveva provato di rado in passato.
Mentre andava a vedere un film al National Film Theatre nel
South Bank, prese un quotidiano gratuito da un uomo davanti all'ingresso della
stazione di Waterloo e senza pensarci lo infilò nella borsa di iuta,
dimenticandosene completamente fino a metà pomeriggio del giorno dopo.
Sfogliando il giornale, Dominik si imbatté in una notizia di cronaca locale che
non aveva trovato posto sul "Guardian" del mattino. Si trovava nella
sezione Notizie dalla metropolitana,
che in genere riportava storie di oggetti smarriti strampalati o aneddoti
insulsi su animali domestici e pendolari arrabbiati.
A quanto pareva, il giorno prima una violinista di strada era
rimasta involontariamente coinvolta in una rissa, mentre suonava nella stazione
di Tottenham Court Road. Un gruppo di tifosi ubriachi di una squadra di calcio
locale che erano diretti a una partita allo stadio di Wembley avevano scatenato
un violento tafferuglio, costringendo i
funzionari del trasporto pubblico a intervenire con la forza; sebbene non
coinvolta direttamente, la giovane era stata presa a spintoni e aveva perso il
suo strumento, che era stato calpestato e distrutto durante lo scontro.
Dominik lesse il trafiletto due volte, correndo con gli occhi
alla chiusa. Il nome della donna era Summer. Summer Zahova. Nonostante il
cognome dell'Europa orientale, a quanto pareva era neozelandese.
Doveva essere lei.
Tottenham Court Road, il violino… Chi altri poteva essere?
Era improbabile che la giovane tornasse a suonare dato che non
aveva più il suo strumento, perciò le occasioni
di incontrarla di nuovo, per non dire di ascoltare la sua musica, erano
svanite come la neve a sole. Dominik si appoggiò allo schienale della sedia e
senza volerlo appallottolò il giornale, gettandolo a terra in un impeto di
rabbia.
Si ricordò che qualche anno prima aveva "pedinato"
in modo nient'affatto invasivo un'ex
amante su Icnternet, solo per sapere che cosa e era stato di lei dopo la fine
della loro storia. Si era trattato di stalking
a senso unico, dal momento che lei era rimasta del tutto all'oscuro della sua
discreta sorveglianza.
Andò nel suo studio, avviò il computer e cercò su Google il
nome della musicista. C'erano pochissimi risultati, che però rivelavano che lei
aveva un profilo su Facebook.
La foto allegata era semplice e vecchia di qualche anno, ma
lui riconobbe subito la giovane violinista. Forse era stata scattata in Nuova
Zelanda, il che lo indusse a chiedersi da quanto tempo lei fosse a Londra o in
Inghilterra. Aveva un'aria rilassata e le sue labbra,non contratto nello sforzo
di suonare il violino, erano dipinte di un rosso brillante. Dominik non poté
fare a meno di chiedersi come sarebbe stato avere il membro dentro quella bocca
deliziosa.
La pagina di Summer Zahova era in parte protetta e lui non
riuscì a dare un'occhiata alla bacheca né alla lista dei suoi amici. A parte il
nome, la città d'origine e la residenza a Londra, i dettagli personali erano
scarsi: un interesse dichiarato sia per gli uomini sia per le donne, un elenco
di compositori classici e qualche artista pop. Nessun accenno a libri o film;
chiaramente non era il genere di persona che passava molto tempo su Facebook
Se non altro, adesso lui aveva un punto di partenza.
Quella sera, dopo aver valutato una serie di pro e contro,
Dominik tornò al suo portatile, si registrò su Facebook e creò un nuovo account
con un nome falso, inserendoci il minimo possibile di dati personali, cosa che
in confronto faceva sembrare la pagina di Summer ricca di dettagli. Esitò sulla
scelta della foto, prendendo in considerazione la possibilità di scaricare
l'immagine di qualcuno con un'elaborata maschera di carnevale, ma alla fine
lasciò lo spazio vuoto. Sarebbe risultato un po' melodrammatico. A suo parere,
il testo di per sé era abbastanza intrigante ed enigmatico.
Adesso, con la sua nuova identità, digitò un messaggio per
Summer:
Cara
Summer Zahova,
mi
è dispiaciuto moltissimo apprendere della tua disavventura.
Sono
un grande ammiratore del tuo talento musicale, e per essere sicuro che tu possa
continuare a esercitarti vorrei regalarti un violino nuovo. Ti va di accettare
la mia offerta e le mie condizioni?
Evitò deliberatamente di firmarsi e cliccò sul tasto INVIA.
SUMMER
Fissai i pezzi del mio violino con una strana sensazione di
distacco.
Senza lo strumento tra le mani era come se non fossi davvero presente,
come se osservassi la scena dall'alto. "Dissociazione" l'aveva
chiamata il mio consulente per l'orientamento al liceo, quando avevo cercato di
spiegargli come mi sentivo nei momenti in cui non tenevo in mano un violino. Io
preferivo pensare ai miei strani voli mentali dentro e fuori della musica come
a una specie di magia, anche se immaginavo che la mia capacità di scomparire
nella melodia, in realtà, fosse solo
l'accresciuta consapevolezza in una parte del cervello, risultante da
una sorta di desiderio molto concentrato.
Avrei potuto piangere, se fossi stata il tipo che piangeva.
Non che non rimanessi turbata dagli eventi, ma avevo un modo diverso di
affrontare le emozioni: i sentimenti penetravano in me a poco a poco e in
genere si sfogavano attraverso l'archetto del violino o altre manifestazioni
fisiche, come il sesso arrabbiato ed emotivo o le furiose nuotate in piscina.
"Spiacente dolcezza" aveva farfugliato uno degli
ubriachi, avvicinandosi barcollante e alitandomi in faccia il suo fiato puzzolente
di alcol.
Quel giorno c'era una partita da qualche parte in città e due
gruppi di supporter vestiti con i
colori della loro squadra e appartenenti a tifoserie avversarie si erano
scontrati nella stazione della metropolitana mentre andavano allo stadio. Il
tafferuglio era scoppiato a pochi metri dal punto in cui stavo suonando. Come
al solito, ero così immersa nella musica che non avevo sentito le parole che si
erano scambiati e che avevano scatenato la rissa. Non mi ero nemmeno accorta
dello scontro finché un uomo grande e grosso non mi era venuto addosso, facendo
volare il violino contro il muro, rovesciando la custodia e mandando le monete
a rotolare dappertutto come biglie nel cortile di una scuola.
La stazione di Tottenham Court Road è sempre affollata e ben
sorvegliata. Un paio di corpulenti funzionari del trasporto pubblico avevano
diviso i contendenti e minacciato di chiamare la polizia. I bollenti spiriti si
erano rapidamente calmati e i tifosi erano scomparsi come ratti nei meandri
della stazione, precipitandosi giù dalle scale mobili e lungo le gallerie,
rendendosi forse conto che, se avessero indugiato ancora, avrebbero fatto tardi
alla partita, o addirittura sarebbero stati arrestati.
Mi afflosciai contro la parete dove poco prima stavo suonando Bittersweet Symphony e mi strinsi al
petto il violino rotto come se fosse un bambino. Non era uno strumento costoso,
ma aveva un suono bellissimo e mi
sarebbe mancato. Mio padre l'aveva comprato usato e me l'aveva regalato per Natale cinque anni
prima. Preferisco i violini di seconda mano e mio padre ha sempre avuto fiuto,
una particolare abilità nello scegliere, in mezzo ad un mucchio di robaccia, lo
strumento che poteva ancora essere utile. Per lui era diventata un'abitudine
comperarmi i violini – un po' come mia madre e mia sorella mi compravano abiti
e libri che pensavano potessero piacermi – e ognuno di essi era perfetto. Mi
piaceva immaginare le persone che l'avevano suonato prima di me, il modo in cui
l'avevano tenuto, le mani per cui era passato; tutti i precedenti proprietari
avevano lasciato un frammento della loro storia, un pizzico di amore, di
perdita e di follia nella cassa dello strumento, emozioni che io potevo tirar fuori dalle corde.
Quel violino aveva viaggiato attraverso la Nuova Zelanda e poi
attraversato il mondo insieme a me. Era sicuramente agli sgoccioli; avevo
dovuto ripararlo con il nastro adesivo in un paio di punti in cui aveva preso
un colpo nel corso del lungo viaggio verso Londra l'anno precedente, ma il
suono era ancora puro e tra le mie braccia era perfetto. Trovare un sostituto
sarebbe stato un incubo. Avrei dovuto assicurarlo, ma non avevo mai avuto il
denaro per farlo. Non potevo permettermi un altro violino, né nuovo né usato,
né buono né scadente. Perlustrare i mercatini
in ceca di un affare avrebbe potuto richiedere settimane e non riuscivo
a indurmi a comprarlo su eBay senza prima averlo tenuto in mano e averne
ascoltato il suono.
Mentre mi aggiravo per la stazione della metropolitana
raccogliendo le monete sparpagliate ovunque, con il violino distrutto in mano,
mi sentii una miserabile. Uno dei funzionari del trasporto pubblico mi chiese i
dettagli per scrivere il rapporto sull'incidente e fu chiaramente contrariato
dalle poche informazioni che potei fornirgli.
"Non è una buona osservatrice, eh?" commentò
beffardo.
"No" risposi, fissando le sue mani grassocce mentre
tamburellava sul taccuino. Aveva le dita
pallide e tozze, simili a qualcosa che si guarderebbe con disgusto se lo trovasse infilzato su uno stuzzicadenti
sopra un vassoio a un ricevimento. Quelle erano le mani di una persona che non
suonava uno strumento musicale né sedava risse molto spesso.
A dir la verità, io detesto il calcio, anche se non lo
ammetterei mai chiacchierando con un inglese. Come regola generale, i
calciatori sono troppo fini per i miei gusti. Durante le partite di rugby,
perlomeno, posso dimenticarmi lo sport e concentrami sulle cosce forti e
muscolose degli attaccanti e sui calzoncini che si sollevano minacciando di
rivelare natiche straordinariamente sode. Non pratico nessun gioco di squadra,
preferendo sport più individuali come il nuoto, la corsa e il sollevamento pesi
in palestra, che mi consente di tenere allenate le braccia per affrontare lunghe
sessioni di musica.
Alla fine, riuscii a recuperare tutte le mie cose, a infilare
i pezzi del violino nella custodia e sfuggire allo sguardo corrucciato e vigile
dei funzionari del trasporto pubblico.
Avevo raccolto meno di dieci sterline dai pendolari di
passaggio prima che i teppisti mi distruggessero il violino. Era passato un mese
da quando il misterioso passante mi aveva lasciato cinquanta sterline. Avevo
ancora la banconota, nascosta al sicuro nel cassetto della biancheria intima,
anche se Dio solo sapeva quanto avessi disparatamente bisogno di spenderla.
Avevo aumentato le ore di servizio alla caffetteria dove lavoravo part-time, ma
da qualche settimana non avevo un ingaggio pagato, e nonostante vivessi di cibo
da fast food e spaghetti in scatola avevo dovuto intaccare i miei risparmi per
pagare l'affitto dell'ultimo mese.
Rimasi ferma all'incrocio fuori della stazione della
metropolitana, con il traffico che sfrecciava e i passanti che sgomitavano in
tutte le direzioni, e riflettei sul da farsi. Non avevo nessun amico a Londra.
A casa dormii tutto il giorno successivo. Quando mi svegliai,
lanciai un'occhiata all'orologio sopra il forno della cucina. Erano le tre di
pomeriggio. Mi feci un bagno e poi passai mezz'ora a districare i nodi nei capelli. Poi mi misi davanti al
computer che Charlotte, la mia compagna di stanza, mi permetteva di usare e
mossi il mouse per riportare in vita lo schermo. Controllai la pota su Gmail.
Niente di importante. Poi mi collegai a Facebook. Un messaggio nella posta in
arrivo. Veniva da un profilo che non riconobbi, senza foto.
Cliccai sul messaggio, vagamente incuriosita.
Una introduzione educata.
Quindi:
…
vorrei regalarti un violino nuovo.
Ti
va di accettare la mia offerta e le mie condizioni?
Cliccai sul profilo, ma era quasi completamente vuoto, a parte
la residenza – Londra – nei dati personali. Il nome era solo un'iniziale: D.
Chi poteva essere? Derek? Donald? Diablo?
Passai mentalmente in rassegna le persone che avrebbero potuto
sapere del violino e farmi un'offerta del genere, ma non mi venne in mente
nessuno. L'unica persona che conosceva tutti i particolari dell'incidente era
il funzionario del trasporto pubblico con le mani grassocce, che aveva l'aria
di essere romantico come la sua professione, ossia per niente. Se il violino mi
fosse stato rubato o, peggio, lasciato "impiccato" sulla soglia di
casa, avrei potuto temere che dietro tutto ciò ci fosse uno stalker online, ma il messaggio non mi
sembrava malevolo.
Si era accesa una scintilla che, per quanto ci provassi, non
riuscivo a spegnere.
Rimasi a fissare lo schermo per dieci minuti, senza venirne a
capo, finché Charlotte non entrò rumorosamente in casa carica di sacchetti
della spesa.
Lei guardò lo schermo, inarcò un sopracciglio e fece un
sorrisetto.
"Quale offerta?" chiese. "E quali
condizioni?"
"Non lo so. Devo rispondere?"
"Bé, sarebbe un inizio. Dài… rispondigli."
"Come fai a sapere che è un uomo?"
"Ma certo che è un uomo. C'è scritto "maschio
dominante" a caratteri cubitali in quel messaggio. Probabilmente è qualcuno
che ti ha visto suonare e si è arrapato."
Ci pensai un attimo, poi cliccai su RISPONDI e scrissi:
Buonasera,
grazie
per le gentili parole.
Qual
è la tua offerta? E le condizioni?
Saluti,
Summer
Zahova
La risposta arrivò nel giro di qualche minuto-
Sarei
onorato di rispondere in modo esauriente alle tue domande.
Incontriamoci
Una richiesta platealmente priva di sfumature interrogative.
Sfidando il buonsenso, e incalzata da Charlotte, fissai un
appuntamento con lo sconosciuto: a mezzogiorno del giorno successivo.
– o
– o –
o –
Ero in ritardo di dieci minuti.
Lui aveva suggerito di vederci in un caffè italiano che stava
in St Katharine Docks. Avevo fatto finta di conoscere il posto, anche se non
era vero, risparmiandomi così di dover proporre un'alternativa.
Quando arrivai, scoprii che si trovava in mezzo all'acqua.
Percorrendo la passeggiata lungo i dock, mi accorsi che la strada era chiusa
per lavori, per cui fui costretta a tornare indietro e a fare un altro giro.
Sul molo c'ero solo io e mentre camminavo avanti e indietro, disorientata come
una formica che si trova la strada sbarrata da una briciola, immaginai che lo
sconosciuto mi stesse osservando seduto comodamente nel caffè. Indossavo gli abiti meno sexy che ero
riuscita a trovare nel guardaroba di Charlotte, per non dargli un'impressione
sbagliata.
Charlotte mi aveva trovato un abito blu a righine sottili di
lana e tessuto elasticizzato, che aveva comprato in occasione di un brevissimo
intermezzo lavorativo come addetta alla reception
di uno studio legale prima di cominciare la sua carriera di giocatrice di poker
online. Mi arrivava appena sotto il ginocchio ed era accollato, con quattro
bottoncini sul petto in stile militare. Era un po' stretto sulle cosce, ma
morbido in vita, e io lo indossavo con una sottile cintura color crema, gli
stivaletti alla caviglia con le stringhe, che fortunatamente portavo il giorno
della rissa in metropolitana, e un paio di autoreggenti color carne, sulla cui
confezione c'era scritto: "Leggermente lucide. Effetto nudo".
"Penserò che voglio scoparmelo, se vede queste
calze" avevo detto a Charlotte.
"Beh, forse vorrai scopartelo" aveva ribattuto lei.
Poi mi aveva detto di non fare la sciocca: mi sarei dovuta
chinare fino a terra per mostrare che cosa avevo sotto il vestito, attraverso
lo spacco, il quale per fortuna era piuttosto basso. Ciò rendeva un po' più
difficile camminare, ma significava che nessuno si sarebbe accorto che non
indossavo biancheria intima. Sì, perché Charlotte si era rifiutata di farmi
uscire con gli slip addosso, dal momento che la stoffa del vestito lasciava
vedere il segno delle mutandine. Mi ero arresa sulla porta, come un soldato che
consegna la bandiera al nemico.
Mi aveva prestato anche il suo cappotto di lana color crema,
ammonendomi di non dimenticarlo in giro perché era molto costoso. La stoffa era
impregnata di un profumo muschiato che non era proprio il mio genere.
Comunque, fui molto contenta di averlo addosso, perché nel
frattempo aveva cominciato a piovere a dirotto. Avevo con me l'ombrello rosso
di Charlotte e, quando lo aprii, mi sentii come una prostituta che cercava di
attirare l'attenzione: l'unica nota di colore in un mare di nero e grigio.
Perlustrai l'interno del locale dell'appuntamento. Niente di
speciale, ma dall'aspetto dell'italiano che stava dietro il bancone, immaginai
che il caffè dovesse essere buono. Quello che servono negli aeroporti del resto
d'Europa è meglio di qualunque surrogato che si possa trovare in Inghilterra.
Un'altra delle cose che non avrei mai detto a un inglese, un popolo di bevitori
di tè.
Un bancone, pochi tavolini e sedie. Una scala a giorno saliva
verso un'altra sala. Guardai fuori della vetrina. Una visione perfetta dei
dock. Lui doveva sicuramente avermi
vista arrivare, se era qui. Non scorgendo nessuno al pianoterra, presi la scala
che portava al piano superiore. Non c'era nessuno nemmeno lì, a parte una donna
di mezza età che leggeva un giornale davanti ai resti di un cappuccino. Il
cellulare vibrò. Ci eravamo scambiati i numeri in caso di ritardi o
contrattempi.
"Sono giù" diceva il messaggio.
Maledizione. Scesi, cercando di dissimulare il nervosismo, e
notai un tavolo dietro la scala a giorno da cui si vedeva perfettamente il
sotto dei gradini di legno ben spaziati tra loro. L'uomo seduto al tavolo, con
l'angolazione e il grado di attenzione giusti, molto probabilmente aveva visto
benissimo sotto i mio vestito. Avvertii una fitta di eccitazione al pensiero di
aver appena offerto a quello sconosciuto la visione del mio corpo completamente
nudo. Poi mi vergognai. Avrei fatto meglio a ricompormi, e in fretta.
Lui sorrise, senza un'ombra di disappunto per il mio ritardo e
senza lasciar trapelare il minimo segno di aver appena sbirciato sotto la mia
gonna mentre salivo goffamente le scale.
"Tu sei Summer." Non era una domanda. Aveva gli
occhi scuri. penetranti, ma indecifrabili.
"Sì" risposi, allungando la mano per stringere la
sua, come in un incontro di affari. Ricordai l'aria sicura che mi aveva dato il
corsetto e raddrizzai le spalle di proposito.
Lui mi diede una stretta rapida e formale, ma salda.
"Mi chiamo Dominik. Grazie per essere venuta."
Le sue mani erano calde e forti, persino più grandi di quelle
del mio ex fidanzato. Arrossii a quel pensiero e mi affrettai a sedermi.
"Posso ordinarti qualcosa?" mi chiese.
"Un marocchino, se lo fanno. Oppure un espresso
doppio" risposi, sperando che il tono di voce non tradisse il mio
nervosismo.
Lui si alzò dirigendosi al bancone e mentre mi passava accanto
percepii il suo odore. Non sapeva di acqua di colonia, ma aveva solo un
lievissimo sentore di muschio, l'odore della pelle calda. Trovo che ci sia
qualcosa di molto virile in un uomo che non si mette il profumo, nella sua
pelle non adulterata da prodotti artificiali. Dominik era il tipo d'uomo che
immaginavo fumasse sigari e si radesse con un rasoio a lama libera.
Lo guardai mentre ordinava i caffè.
Era abbastanza alto – un po' più di un metro e ottanta,
calcolai – e snello, ma non eccessivamente muscoloso. Aveva le braccia e la
schiena scolpite di un nuotatore. Un uomo molto sexy, nonostante
l'atteggiamento freddo. O forse proprio per quello. Ho sempre preferito gli
uomini che non sorridono né cercano a tutti i costi di far colpo su di me.
Quando chiese al barista una zuccheriera, lo fece con estrema
educazione.
Aveva una voce profonda e ricca, da scuola di lusso – il
genere che preferisco – ma aveva un'inflessione particolare e mi chiesi se
fosse inglese. Ho un'autentica fissazione per gli accenti, forse perché vengo
da un altro paese. In ogni caso cercai di darmi un contegno e di non lasciar
trapelare che lo trovavo attraente, mettendolo così in una posizione di
vantaggio.
Indossava un maglione a coste marrone scuro con il collo alto
che sembrava comodo e morbido, forse di cachemire, un paio di jeans scuri e
scarpe di pelle lucidate di recente. Il suo abbigliamento e i suoi modi non rivelavano
niente di particolare, a parte il fatto che pareva un uomo gradevole e non
pericoloso. Perlomeno, "pericoloso" nel senso di
"psicopatico". Forse pericoloso in altri sensi.
Presi il cellulare dalla borsa e mandai un SMS a Charlotte per
dirle che non mi aveva ancora fatta a pezzi. Lui tornò con un vassoio e io feci
per alzarmi e aiutarlo a posare le tazze sul tavolo, ma lui mi segnalò di stare
ferma e, tenendo il vassoio in equilibrio con una mano, mi mise davanti la mia
tazza di caffè con l'altra. Mentre lo faceva, mi si avvicinò un po' più del
necessario per offrirmi lo zucchero e mi sfiorò il braccio con la mano,
prolungando il contatto abbastanza da sollecitare una mia reazione, di
approvazione o disapprovazione, ma poi tolse la mano e io finsi di non
essermene accorta.
Scossi la testa per rifiutare lo zucchero, aspettandomi che
commentasse con il solito "Sei già abbastanza dolce", ma non lo fece.
Rimanemmo seduti in silenzio stranamente confortevole, mentre
lui metteva una zolletta di zucchero nel caffè, poi una seconda, una terza e
infine una quarta. Aveva le unghie molto curate, ma tagliate squadrate, per cui
l'effetto era virile, anziché effeminato. La pelle era lievemente olivastra,
non avrei saputo dire se per natura o per effetto di una recente abbronzatura.
Tolse il cucchiaino dalla tazza con grande cura e lo appoggiò sul piattino,
guardandosi la mano mentre lo faceva, come se il suo sguardo avesse potuto
impedire che una goccia cadesse sulla tovaglia. Al polso destro portava un
orologio d'argento: il modello antiquato con le lancette, non quello digitale.
Ho sempre trovato difficile stabilire l'età delle persone, soprattutto degli
uomini, ma immaginai che Dominik avesse passato i quaranta: probabilmente non
ne aveva più di quarantacinque, a meno che non ne dimostrasse di meno.
Se aveva un violino, non l'aveva portato con sé.
Si appoggiò allo schienale della sedia. Un altro attimo di
silenzio.
"Allora, Summer Zahova" disse poi, pronunciando le
sillabe come se le stesse assaporando, una alla volta. Gli osservai le labbra,
che sembravano straordinariamente morbide, anche se la linea della bocca era
decisa. "Probabilmente ti stai chiedendo chi sono e che significato ha
tutto questo."
Annuii e bevvi un sorso di caffè. Era persino meglio di quanto
mi aspettassi.
"Un ottimo caffè" osservai.
"Sì" replicò. Sul viso gli comparve un'espressione
perplessa. Aspettai che continuasse.
"Vorrei sostituire il tuo violino."
"In cambio di cosa?" gli chiesi, protendendomi verso
di lui con interesse.
Anche lui si protese verso di me, i suoi palmi adesso
appoggiati sul tavolino, le dita allargate, quasi a sfiorare le mie, un gesto che
mi invitava a toccarlo. Avvertii una lievissima zaffata di caffè nel suo alito
e, come mi era successo quando Charlotte aveva voluto provare una crema per il
corpo alla cannella, provai l'impulso di avvicinarmi e leccarlo.
"Vorrei che tu suonassi per me. Vivaldi, magari?"
Si appoggiò di nuovo allo schienale della sedia, pigramente,
con un lieve sorriso sulle labbra, come se avesse notato che ero attratta da
lui e mi stesse stuzzicando.
Quello era un gioco a cui si poteva giocare in due. Raddrizzai
le spalle e lo guardai negli occhi, fingendo di non notare l'eccitazione che
stava aumentando tra noi e assumendo l'espressione di chi è perso nei propri
pensieri, mentre valutavo la sua bizzarra offerta come uno avrebbe fatto con
una proposta d'affari. Ricordai l'ultima volta
in cui avevo suonato le Quattro
stagioni. Era stato in quell'occasione che qualcuno aveva messo cinquanta
sterline nella custodia del mio violino. Probabilmente Dominik, immaginai
adesso. Lo sentii muovere le gambe sotto il tavolino e vidi un lampo
attraversargli lo sguardo. Soddisfazione? Desiderio? Forse non sembravo così
controllata come avevo sperato.
Arrossii quando le nostre gambe si toccarono e mi resi conto
di essere seduta a ginocchia divaricate come un uomo. La mia astinenza durava
ormai da diversi mesi e mi sarei scopata una delle gambe del tavolo, ma non era
necessario che lui lo sapesse.
Dominik continuò: "Solo una volta, per cominciare, e
potrai avere il violino. Deciderò io il posto, ma tu sarai comprensibilmente
preoccupata per la tua sicurezza. Sentiti libera di portare un'amica, se
preferisci".
Annuii. Avevo deciso di accettare la sua proposta, ma avevo
bisogno di guadagnare un po' di tempo per rifletterci sopra. I sottintesi della
sua offerta erano ovvi, e la sua arroganza era irritante, ma mio malgrado
trovavo Dominik attraente e avevo disperatamente bisogno di un violino.
"Bene, Summer Zahova, vuol dire che accetti?"
"Sì."
Ci avrei riflettuto sopra più tardi e, se necessario, avrei
rinunciato via mail.
Ordinò altri due caffè senza consultarmi. La sua presunzione
mi irritò e feci per protestare, ma volevo un altro caffè e sarebbe sembrato
sciocco rifiutare adesso, per poi prenderne uno prima di uscire dal locale.
Sorseggiammo la bevanda, parlammo del tempo e ci soffermammo brevemente su
dettagli insignificanti delle nostre vite normali. In realtà la mia vita non
era più tanto normale, senza il violino.
"Ti manca il violino?"
All'improvviso provai una strana emozione, come se senza un
archetto e uno strumento con cui sfogare le sensazioni che si accumulavano
dentro di me avessi potuto spezzarmi in due, esplodere, essere consumata da un
fuoco interno. Rimasi in silenzio.
"Bene, allora dovremmo farlo presto. Forse la settimana
prossima. Mi terrò in contatto con te per confermare il posto e procurerò il
violino per l'occasione, e poi, se tutto sarà di mia soddisfazione, potremo
andare a comprare uno strumento più definitivo."
Mi dissi d'accordo, ignorando di nuovo il suo tono arrogante e
sprezzante e, tenendo per me le mie riserve, almeno per il momento, presi il
cappotto dalla sedia. Uscimmo dal caffè e ci avviammo a piedi insieme finché le
nostre strade non si separarono. Ci salutammo con un educato arrivederci.
"Summer" mi chiamò mentre mi allontanavo.
"Sì?" risposi.
"Mettiti un vestito nero."
DOMINIK
Dominik era sempre stato un attento lettore di thriller di
spionaggio e aveva memorizzato alcune delle fondamentali tattiche da spia
apprese dai molti libri che aveva divorato avidamente . Di conseguenza, si era
seduto nel caffè al pianoterra in una posizione arretrata, un angolo vicino
alle scale dove aveva una buona visuale della porta ma non era immediatamente
visibile a causa del riverbero della luce esterna. In quel caso, comunque, non
c'era stato bisogno di una via di fuga.
L'aveva vista entrare, con qualche minuto di ritardo e
lievemente ansimante, e guardarsi intorno con fare distratto nel locale
pressoché deserto pervaso dal penetrante aroma del caffè e dal rumore della
macchina per l'espresso. Si era reso conto che lei non l'aveva notato nel suo
angolo ed era quindi salita a cercarlo al primo piano col tubino blu che, a
ogni passo, si allargava e si stringeva intorno alle sue cosce, offrendogli una
chiara visuale sotto la gonna prima che l'oscurità tra le sue gambe gli
impedisse ulteriori esplorazioni. Dominik aveva sempre avuto una tendenza al
voyeurismo e quell'involontario, anche se troppo breve, svelamento dei recessi
di lei era stato una gioia e una mirabile promessa di delizie future.
Senza la distrazione del violino e senza l'effetto ipnotico
della musica, adesso poteva concentrarsi sull'aspetto fisico della giovane: la
massa fiammeggiante dei capelli, il vitino di vespa e un che di mascolino nel
modo di muoversi. Si accorse che non era alta quanto gli era sembrata sotto il
soffitto basso dell'affollato corridoio della metropolitana. Pur non essendo
una bellezza da passerella, attirava l'attenzione, sia in mezzo alla folla che
da sola, mentre camminava sul molo e entrava trafelata nel caffè. Sì, era
diversa, e la cosa lo intrigava parecchio.
Rintracciò il suo numero sulla rubrica e le mandò un
messaggio, avvisandola dov'era. Lei scese le scale, sul viso un lievissimo
rossore per l'imbarazzo di non averlo visto subito.
Adesso era di fronte a lui.
"Tu sei Summer" le disse e si presentò, invitandola
a sedersi
Lei lo fece.
Dominik percepì un lieve sentore di cannella. Non era la
fragranza che si sarebbe aspettato da lei. Pensava che al pallore della sua
carnagione si sarebbe intonato meglio un profumo con una nota verde forte, sec
a, discreta, furtiva. Oh, bé…
Guardò Summer negli occhi. Lei sostenne il suo sguardo,
spavalda ma curiosa, sicura di sé e leggermente divertita. Era una persona
molto determinata, questo era chiaro. Il che avrebbe potuto rivelarsi alquanto
interessante.
Si esaminarono a vicenda in silenzio, osservando, giudicando,
soppesando, facendo ipotesi. Come giocatori di scacchi prima di una partita,
cercavano il punto debole dell'avversario, la breccia attraverso cui penetrare
per invadere il campo avversario.
Poi Dominik si alzò per andare a fare le ordinazioni al
bancone e aspettò che il barista preparasse il vassoio. Nel frattempo Summer
mandò in fretta un SMS a qualcuno, probabilmente per rassicurare un'amica che
stava bene e che lui, almeno a prima vista, non era né un serial killer da
manuale né un viscido da primato. Dominik si concesse un sorrisetto. A quanto
pareva, aveva superato l'esame iniziale. Adesso la palla era nella sua metà di
campo.
Tornato al tavolo con i caffè, spiegò a Summer che cosa
intendeva proporle, delineando i contorni di un'iniziativa apparentemente
lineare, mentre nella sua mente prendeva lentamente forma un piano più
complesso. Le fantasie erano scatenate, le visioni si precisavano come una foto
Polaroid che emerge da uno sfondo nero. Quanto lontano poteva spingersi? Quanto
lontano l'avrebbe portata?
Mezz'ora dopo, mentre si congedavano, un po' a disagio per
tutto il non detto che ancora aleggiava tra loro, Dominik si rese conto che ce
l'aveva duro; la sua erezione premeva contro la stoffa dei jeans mentre la
guardava allontanarsi ancheggiando lungo la passeggiata di St Katharine Docks
in direzione del Tower Bridge. Lei non si girò nemmeno una volta, ma Dominik
sapeva che era consapevole del suo sguardo che la seguiva.
Oh, quella sì che era una sfida interessante… Rischiosa ed
eccitante, eppure…
–
o – o
– o –
Pur avendo passato la maggior parte della vita nel regno dei
libri, Dominik non era solo una fonte di sapere, per quanto teorico a volte
potesse sembrare, ma era anche un uomo d'azione. Durante l'università aveva
trascorso ore in biblioteca per poi passare senza sforzo alla posta delle gare
di atletica. Era stato un ottimo saltatore, sia in alto sia in lungo e anche un
eccezionale corridore sulla media distanza e nelle corse campestri, anche se
riusciva meno bene negli sport di squadra, perché faceva fatica a entrare in
sintonia con gli altri. Non vedeva alcuna contraddizione in quelle due sfere
distinte della propria esistenza.
Per anni la sua vita sessuale era stata tradizionale,
addirittura conservatrice. Non era mai stato una gran perdita per le sue
compagne di letto, nemmeno da giovane, quando aveva la tendenza a idealizzare
alcune donne e a innamorarsi di quelle che non poteva avere con sconcertante
regolarità. Come amante, riteneva di essere nella media: non esageratamente fantasioso,
ma tenero. Essendo un introverso, non si era mai preoccupato davvero di come lo
considerassero le donne con cui andava a letto. Il sesso era un'occupazione tra
le tante, necessaria, certo, ma era solo una parte della complessa trama
dell'esistenza, accanto ai libri, all'arte e al cibo.
Fino al giorno in cui aveva conosciuto Kathryn.
Naturalmente aveva letto il marchese de Sade e molti dei moderni
classici dell'erotismo. Consumava materiale pornografico (e ne ricavava
periodici orgasmi) e sapeva dei rapporti sadomaso, della dominazione, della
sottomissione e della gamma di perversioni esistenti, come pure dell'armamentario
degli appassionati di fetish, ma
tutto ciò non era mai entrato davvero nella sua realtà quotidiana. Era qualcosa
di astratto, remoto, qualcosa in cui altri indulgevano. Lui osservava con
interesse intellettuale quel mondo parallelo, che però non lo attirava, non esercitava
alcun richiamo concreto su di lui.
Anche Kathryn era docente universitaria, benché di un'altra
materia, e si erano conosciuti a un congresso nelle Midlands: un divertito
scambio di sguardi nel corso di una delle sue lezioni principali, seguito da
una conversazione impacciata nel bar affollato. Tornati a Londra, erano
diventati amanti, anche se lei era sposata e Dominik aveva una relazione
stabile con un'altra donna.
La maggior parte dei loro incontri si era svolta in alberghi a
ore o sulla moquette del piccolo ufficio di Dominik tra l'ora dell'aperitivo e
quella dell'ultimo treno in partenza da Charing Cross verso i sobborghi
meridionali.
Ogni minuto era risultato prezioso e il sesso era stato una
rivelazione per entrambi, come se tutte le loro esperienze precedenti avessero portato
a quel momento. Frenetico, violento, disperato, compulsivo come una droga.
In ginocchio sulla spessa moquette marrone chiaro, lei sotto
di lui, entrambi ansimanti, quasi senza fiato, con la sua erezione che, a ogni
colpo, la penetrava sempre più in profondità, gli occhi di lei chiusi per il
godimento, Dominik aveva fatto una pausa e si era impresso quel momento nella
mente. Immagazzinando ricordi. Chiedendosi se un giorno nel futuro (fra quanto
tempo?) avrebbe dovuto risolversi a evocare quella particolare immagine per
gratificarsi nel deserto della propria solitudine.
Aveva osservato il rossore che si irradiava dal collo fino
alla sommità dei piccoli seni di Kathryn, ascoltando i gemiti dei loro
amplesso, oscenamente amplificati dalle pareti dell'ufficio vuoto. Gli ansiti
che sfuggivano dalle labbra contratte di lei mentre respirava con un ritmo
simile a quello di uno staccato musicale. Il velo di sudore sulla sua fronte,
un'immagine speculare delle gocce che iniziavano a imperlargli il petto, le
braccia, le gambe, tutto il corpo, mentre si alzava e si abbassava gioiosamente
sopra e dentro di lei.
"Oddio" gemette lei.
"Sì" concordò Dominik, stabilizzando il ritmo dei
suoi affondi, ogni singolo sussurro di Kathryn una resa volontaria alle estreme
conseguenze del loro desiderio. Lei chiuse gli occhi fece un profondo sospiro.
"Va tutto bene?" le chiese, rallentando il ritmo,
preoccupato.
"Sì. Sì…"
"Vuoi che faccia più piano? Che sia più delicato?"
"No" rispose Kathryn, la voce roca e tesa.
"Continua. Ancora. Ti prego."
Dominik cambiò posizione per alleviare la pressione sulle
ginocchia, perse l'equilibrio per un attimo e per poco non le cadde addosso;
spostando d'istinto le mani avanti in cerca di appoggio, le sfiorò i polsi con
le dita. Li strinse.
A quel contatto il corpo di lei fu percorso da un sussulto
nervoso, quasi elettrico.
"Mm…"
"Che cosa c'è?"
"Oh… niente…"
Ma il suo sguardo diceva qualcos'altro. Lei lo fissava negli
occhi, esplorando i recessi della sua anima con domande? No, con una richiesta,
un'implorazione. Una supplicante inchiodata alla croce del loro amplesso.
Per tutta risposta lui le strinse i polsi più forte che poté e
le spostò le braccia in alto, sopra la testa, continuando a muoversi dentro di
lei, inchiodandola al pavimento come una farfalla nella teca di un entomologo
Adesso lei aveva le guance di un rosso acceso. "Deve farle male"
pensò lui, ma i suoi deboli gemiti di piacere sembravano invitarlo a aumentare
la pressione, ad abusare del suo corpo.
Lei lo fissò di nuovo a lungo, senza parlare ma con una
richiesta impossibile da equivocare. "Ancora." Lui le tolse le mani
dai polsi sottili, temendo di averle lasciato dei lividi, e gliele fece
scorrere lungo le braccia alzate fino a raggiungere la gola e a circondarla
come un gioiello, un girocollo stretto. Il battito del cuore di Kathryn – il
suo segno vitale – si irradiava dalla superficie della sua pelle alla punta
delle dita contratte di lui.
Lei fece un respiro profondissimo e gridò: "Più
forte".
Lui era spaventato e al tempo stesso eccitato; il suo membro
duro come il marmo affondato dentro di lei crebbe ancora, enorme, e riempì la
cavità morbida e bagnata di Kathryn, mentre le sue dita si stringevano intorno
alla gola iniziando a soffocarla. Il viso di lei assunse tutti i colori
dell'arcobaleno.
Kathryn venne con un grido rauco, un suono quasi mascolino di
abominevole trionfo. Quando Dominik allentò a stretta, lei espirò
selvaggiamente.
Per tutto quel tempo lui aveva continuato a possederla,
sbattendole dentro il membro senza tregua come una macchina, impietoso,
crudele, sfrenato. Adesso chiuse gli occhi e finalmente si concesse di godere:
fu come se tutto il suo corpo esplodesse in una fiammata. Una sensazione
elementare. Primitiva. Probabilmente l'orgasmo più intenso che avesse mai
avuto.
Dopo, fradici di sudore, con gli occhi che già correvano
all'orologio, pensando all'ultimo treno, lei gli disse: "Sai, mi ero
sempre chiesta come fosse… il sesso violento. Sei stato davvero bravo".
"Non l'avevo mai provato prima. Certo, ne avevo letto, ma
era solo teoria, solo parole, concetti su una pagina."
"Sapevo che avrei potuto fidarmi di te, che non ti
saresti spinto troppo oltre."
"Non volevo farti male. Non ti farei mai del male."
Lei gli si era avvicinata, appoggiandogli la testa sulla
spalla, e aveva sussurrato: "Lo so".
Erano cominciate così settimane di sperimentazione sessuale in
cui Kathryn a poco a poco aveva svelato i suoi desideri più segreti, le sue
fantasie più profonde, il fuoco interiore che tradiva la sua attitudine alla
sottomissione. Non era masochista, nient'affatto, ma la ricerca del dolore, del
superamento dei limiti, era inequivocabilmente presente, lo era stata per molti
anni, dormiente sotto la patina esterna di educazione e buone maniere, e non
aveva mai avuto l'opportunità di liberarsi. Dominik era stato il primo a riconoscere
in lei quel tratto e lo aveva istintivamente incanalato nella giusta direzione,
dominandola e, così facendo, liberandola.
Aveva letto romanzi, conosceva storie, ma questo non era il
classico cliché padrone-schiava, dominatore-sottomessa. In quella situazione
erano coinvolti entrambi e insieme avevano scavato sotto la superficie, strato
dopo strato, arrivando alle fondamenta del desiderio e dell'attrazione sessuale.
Non c'era alcuna necessità di tutto l'armamentario che un tempo veniva
associato a quel nuovo territorio di godimento spinto all'eccesso: il latex, la
pelle, gli strumenti barocchi e crudeli.
Ormai avevano entrambi aperto gli occhi e Dominik, almeno,
sapeva che non sarebbe mai più riuscito a chiuderli.
Era stato anche, inevitabilmente, l'inizio della fine della
loro relazione clandestina. A ogni passo che li avvicinava all'abisso del non
ritorno, a ogni nuova improvvisazione e a ogni movimento che li allontanava dal
fiume tranquillo del sesso convenzionale, lui vedeva i semi del dubbio
attecchire nella mente di Kathryn. La paura di dove tutto ciò avrebbe potuto
portarli.
Alla fine Kathryn aveva ceduto al peso della realtà,
dell'appartenenza borghese, di una laurea in letteratura a Cambridge e di un
matrimonio noioso con un uomo gentile ma privo di fantasia, e aveva deciso di
chiudere. Non si erano mai più parlati ed entrambi avevano fatto in modo di non
incontrarsi casualmente a cerimonie o eventi, finché con il marito non si erano
trasferiti fuori città e lei si era ritirata dall'insegnamento.
Dominik, però, aveva scoperchiato il vaso di Pandora e
l'intero vasto mondo si era trasformato in una giungla piena di deliziose
tentazioni. E la consapevolezza che con Kathryn aveva raggiunto un'altra
dimensione, che nella vita c'erano più cose di quante avesse creduto, non
l'avrebbe mai più abbandonato.
Per prima cosa Dominik sapeva di dover mettere Summer alla
prova, accertandosi della sua disponibilità, della sua propensione a giocare.
Aveva già capito che era una che pensava con la propria testa e che non sarebbe
stata sensibile a una manipolazione grossolana o al ricatto. Voleva che lei si
lanciasse nell'avventura, nell'esperimento, con la piena consapevolezza dei
rischi e delle conseguenze. Non stava cercando una marionetta di cui avrebbe
potuto manovrare i fili a piacimento, una mera comparsa. Voleva una complice
che provasse lo stesso brivido che provava lui.
Dalla brevità del loro incontro e dalle molte cose non dette
lei doveva aver già capito che il violino era solo un'esca, che quello a cui
mirava andava oltre la musica. Forse non un patto col il diavolo – Dominik non
si vedeva in quel ruolo machiavellico – ma un gioco in cui entrambi i
partecipanti avrebbero potuto giocare l'uno contro l'altro fino alla fine. In
realtà lui non aveva la minima idea del fine che voleva raggiungere. Sì, c'era
un'oscurità che desiderava sondare, ma non sapeva ancora quanto profonda
potesse essere.
Telefonò a un conoscente che bazzicava gli ambienti di un
conservatorio nella City e poteva rispondere alle sue domande. Sì, c'era un
negozio dove avrebbe potuto noleggiare un violino di discreta qualità per un
giorno, una settimana o anche un mese e, sì, lui sapeva qual era il posto
migliore dove mettere un annuncio rivolto a musicisti classici in cerca di un
ingaggio.
"Tieni presente che è per una festa molto privata"
puntualizzò Dominik. "Potrebbero trovare da ridire sul fatto di essere
bendati?"
All'altro capo del telefono il suo interlocutore sghignazzò.
"Accidenti! Credo che mi piacerebbe essere invitato a questa festa!"
commentò. Poi, ritornando serio, aggiunse: "Se conoscono il pezzo che
devono suonare e la paga è buona, sono sicuro che potrete raggiungere un
accordo soddisfacente. Magari è meglio non citare il particolare della benda
nell'annuncio".
"Capisco" disse Dominik.
"Fammi sapere com'è andata" aggiunse l'altro.
"A questo punto sono molto curioso".
"Ti terrò informato, Victor. Promesso."
Il giorno successivo andò al negozio che gli era stato
consigliato. Era a metà di Denmark Street, nel West End, vicinissimo a Charing Cross
Road. Da fuori, come la maggior parte degli altri
negozi della via che un tempo era chiamata Tin Pan Alley, sembrava vendere solo
chitarre elettriche, bassi e amplificatori; nella vetrina non erano esposti
altri strumenti. Credendo di aver ricevuto un'informazione sbagliata, Dominik
entrò nel negozio con una certa esitazione, ma la vista di una grande teca di
vetro in cui erano esposti una mezza dozzina di violini lo rassicurò subito.
Una ragazza dietro il bancone lo salutò. Aveva capelli
corvini, chiaramente tinti, che le arrivavano alla vita, jeans aderenti come
una seconda pelle e il viso pesantemente truccato su cui risaltava la bocca
scarlatta. Esibiva un vistoso piercing
al naso e le sue orecchie erano cariche di orecchini di varie fogge. Per un
attimo Dominik si divertì a immaginare
gli altri piercing che molto
probabilmente aveva. Tra i suoi desideri di sempre c'era quello di possedere una donna con un piercing ai genitali o magari ai
capezzoli, ma finora gli era capitato solo un piercing all'ombelico, che purtroppo non si era rivelato abbastanza
erotico per i suoi gusti. C'era sicuramente un che di scadente o, meglio,
proletario nei piercing all'ombelico.
"Mi hanno detto che noleggiate strumenti musicali"
disse Dominik.
"Esatto, signore."
"Mi serve un violino" spiegò.
La ragazza dark indicò la teca di vetro. "Scelga
pure:"
"Sono tutti a noleggio?"
"Sì, ma chiediamo un deposito cauzionale in contanti o
con la carta di credito, e un documento di identità."
"Naturalmente" convenne Dominik. Portava sempre con
sé il passaporto nella tasca interna della giacca, una vecchia abitudine che
non aveva mai perso. "Posso dare un'occhiata più da vicino?"
"Certo."
La commessa scelse una chiave tra le tante che pendevano da
una catena attaccata al registratore di cassa e aprì la teca.
"Non me ne intendo
molto di violini, temo. Sto facendo un favore a un'amica. Suona
soprattutto musica classica, comunque. Lei ne sa più di me, per caso?"
"Non molto. Sono più il tipo da musica rock,
elettrica" rispose la ragazza con un sorriso. Le sue labbra risaltavano
come fari nella notte.
"Capisco. Be', quale di questi è considerato il
migliore?"
"Suppongo il più caro."
"Mi pare sensato" commentò Dominik.
"Non è scientifico, comunque" replicò la commessa
con un sorriso civettuolo.
"Già."
Gli porse uno dei violini. Sembrava vecchio, con il legno
arancione brunito dall'uso di generazioni di proprietari precedenti e
scintillante sotto le luci al neon del negozio. Dominik prese in mano lo
strumento con aria pensierosa. Era molto più leggero di quanto si sarebbe
aspettato. Suppose che la sua sonorità dipendesse da chi lo suonava. Per un momento
si irritò con se stesso. Avrebbe dovuto farsi dare qualche informazione in più
sui violini prima di andare in quel negozio. Doveva essere sembrato un
dilettante totale.
Passò le dita sul bordo dello strumento.
"Lei suona qualcosa?" chiese alla commessa. La
T-shirt le era scivolata giù dalla spalla destra e lui occhieggiò un grande
tatuaggio.
"La chitarra" rispose lei. "Ma da bambina sono
stata costretta a prendere lezioni di violoncello. Forse un giorno ricomincerò
a suonarlo."
Dalle fantasie sui presunti piercing della ragazza Dominik passò velocemente ad un immaginario
filmino privato su di lei su un palco con il violoncello tra le gambe. Sorrise
al pensiero e disse bruscamente: "Prendo questo. Diciamo per una
settimana?"
"Perfetto" confermò
la commessa, tirando fuori un blocchetto e mettendosi a calcolare
l'importo del noleggio, mentre Dominik continuava a fissarle la spalla nuda,
seguendo con gli occhi i fiori neri, verdi e rossi del tatuaggio e accorgendosi
nel frattempo che aveva anche una minuscola lacrima tatuata sotto l'occhio
sinistro.
Nel negozio c'era un via vai di altri clienti, serviti da un
commesso che indossava un abbigliamento dark, in sintonia con quello della
collega, ed esibiva un taglio di capelli geometrico e minimalista.
Alla fine la ragazza alzò lo sguardo, lanciando un'ultima
occhiata alla colonna di numeri.
Il violino veniva noleggiato insieme alla sua custodia.
Tornato a casa, Dominik appoggiò con cura il costoso strumento
su uno dei divani e andò a controllare sul computer le previsioni del tempo per
la settimana. Per il primo episodio dell'avventura che aveva in mente avrebbe
preferito non essere in un luogo chiuso. Quello sarebbe venuto dopo, quando la
prudenza non sarebbe stata mai troppa e gli eventi sarebbero potuti degenerare
in esibizioni illecite, se effettuate in pubblico.
Le previsioni erano buone. Niente pioggia, perlomeno nei
quattro giorni successivi.
Mandò a Summer un SMS con il giorno, l'ora e il posto del loro
prossimo incontro.
Una risposta arrivò nel giro di mezz'ora. Lei era libera e
ancora disponibile.
"Devo portare uno spartito?" si informò.
"Non credo. Suonerai Vivaldi."
–
o – o
– o –
Su Hampstead Heath – un grande parco pubblico nella zona nord
di Londra – splendeva il sole e gli uccelli cinguettavano, mentre sfrecciavano
avanti e indietro contro l'orizzonte. Era mattina presto e l'aria era pungente.
Summer era uscita dalla metropolitana a Belsize Park e si era incamminata giù
per la collina, oltrepassando il Royal Free Hospital, il negozio della catena
Marks & Spencer che era stato costruito sul sito di un vecchio cinema, la
fila di negozi in South End Road, la bancarella di frutta e verdura vicino
all'ingresso della stazione ferroviaria, arrivando infine al parcheggio dove
lei e Dominik avevano convenuto di incontrarsi. Era già stata in quel parco
alcuni mesi prima con alcuni amici per un picnic durante il weekend.
Nel parcheggio c'era solo un'auto, una BMW grigio
metallizzato, e da lontano lei riconobbe il profilo di Dominik seduto al posto
di guida. Stava leggendo un libro.
Come da istruzioni, Summer indossava un abito nero – quello di
velluto, che le lasciava la schiena scoperta – e per proteggersi dal freddo si
era messa il cappotto che non aveva ancora restituito a Charlotte.
Lui la vide arrivare, aprì la portiera e rimase ad aspettarla
in piedi accanto all'auto, mentre lei camminava con difficoltà sul ghiaino di
quel parcheggio municipale improvvisato, che nei giorni festivi ospitava un
luna park.
Le guardò i piedi, notando i tacchi alti. Le sue scarpe
d'ordinanza per le esibizioni. Lui era vestito tutto di nero: maglione a
girocollo di cachemire e pantaloni con la piega.
"Forse avresti dovuto metterti un paio di stivali"
commentò. "Dobbiamo fare un pezzo di strada in mezzo all'erba per raggiungere
la nostra destinazione".
"Mi dispiace" disse Summer.
"C'è ancora parecchia rugiada a quest'ora del mattino. Ti
si bagneranno le scarpe. Può anche darsi che si rovinino. Dovresti togliertele.
Vedo che indossi collant o calze. Ti dispiace?"
Nient'affatto. Calze, in realtà."
"Bene." Dominik sorrise. "Autoreggenti o
giarrettiere?"
Summer si sentì arrossire. Un pizzico di sfacciataggine la
spinse a ribattere: "Tu cosa avresti preferito?"
"Una risposta perfetta" commentò Dominik, senza aggiungere
altro. Poi aprì la portiera posteriore dell'auto e prese dal sedile una
custodia da violino nera e lucida. Summer rabbrividì.
Lui premette il telecomando per chiudere la BMW e indicò la vasta distsa erbosa che si
estendeva al di là della bassa recinzione
del parcheggio.
"Seguimi."
Quando arrivarono sull'erba, Summer si tolse le scarpe.
Dominik aveva ragione: il terreno era umido e cedevole. Dopo pochi minuti la
sensazione divenne abbastanza piacevole. Lui la precedeva, facendo strada.
Oltrepassarono gli stagni, attraversarono un ponticello che dava sulla zona dei
laghetti balneabili e risalirono un sentiero. A quel punto lei dovette
rimettersi le scarpe perché i ciottoli le si conficcavano dolorosamente nelle
piante dei piedi. La sensazione del nylon bagnato delle calze contro il cuoio
duro delle scarpe era sgradevole, ma presto arrivarono a un'altra distesa
erbosa e lei si sfilò di nuovo le scarpe tenendole per il cinturino in una mano
e seguendo Dominik, che camminava a passo sostenuto e deciso. Si chiese dove
fossero diretti. Non conosceva quella zona del parco, ma per qualche ragione si
fidava di quell'uomo. Una sensazione istintiva. Non credeva che lui la stessa
attirando in qualche oscuro recesso dei boschi per approfittarsi di lei. Il
pensiero di una simile eventualità non la preoccupava affatto.
Per qualche centinaio di metri la chioma degli alberi nascose
l'azzurro del cielo e il calore del sole, poi furono di nuovo alla luce. Uno
spiazzo circolare completamente aperto. Una distesa infinita di verde, come
un'isola che emerge da un mare agitato, un lieve pendio e, in cima, un
padiglione per l'orchestra. Il ferro battuto foggiato in un antiquato stile
vittoriano e le colonnine punteggiate qua e là di ruggine si affacciavano su
una distesa meravigliosamente deserta. Summer trattenne il fiato. Era
bellissimo, davvero, un posto perfetto, stranamente deserto e misterioso.
Adesso capiva perché lui aveva scelto quell'ora del mattino. Non ci sarebbero
stati spettatori, o comunque pochissimi, a meno che il suono del violino non
avesse cominciato ad attirare qualcuno da altre zone del parco.
Dominik fece un inchino e indicò la struttura.
"Eccoci arrivati." Le porse la custodia del violino
e lei salì i gradini di pietra che conducevano al palco.
Dominik si sistemò in un angolo, appoggiandosi con noncuranza
a una delle colonnine di metallo.
Summer provò un fugace moto di ribellione. Perché stava obbedendo
ai dannati ordini di quell'uomo, mostrandosi così docile e sottomessa? Una
parte di lei avrebbe volto puntare i piedi e dire: "No" o
"Scordatelo", ma un'altra parte, di cui non conosceva l'esistenza
fino a poco tempo prima, le sussurrò seducente all'orecchio di stare al gioco.
"Di' di sì."
Si paralizzò.
Poi si riscosse, si portò al centro del palco e aprì la
custodia del violino. Lo strumento sembrava magnifico, molto meglio del suo
vecchio violino ormai distrutto. Mentre percorreva avidamente con le dita il
legno brunito, il manico, le corde, colse lo sguardo di lui.
"E' solo uno strumento provvisorio" disse Dominik.
"Quando avremo definito le cose con reciproca soddisfazione, ti procurerò
un violino definitivo, di qualità migliore."
In quel momento Summer non riusciva a immaginare di poter
tenere tra le mani uno strumento migliore di quello. Il peso, l'equilibrio, le
curve… tutto sembrava assolutamente perfetto.
"Suona per me" le ordinò
Lei si sfilò il cappotto, lasciandolo cadere a terra. A quel
punto il freddo mattutino sulla sua schiena nuda era solo una brezza gentile mentre
lei prendeva posizione, e dimentica del posto in cui si trovava, di
quell'innaturale isolamento, dei sottintesi della relazione – sì, sapeva che
sarebbe diventata una relazione – con quell'uomo intrigante e pericoloso.
Si chinò in avanti per prendere l'archetto dalla custodia che
aveva appoggiato sul pavimento, permettendo a Dominik – lo sapeva benissimo –
di cogliere il movimento del suo seno sotto la stoffa. Non metteva mai il reggiseno
fon il vestito nero. Summer gli lanciò un'occhiata – lui se ne stava lì, in
paziente attesa, il volto imperturbabile – e poi iniziò ad accordare il
violino. Aveva un suono così pieno e ricco che si propagò per tutto il padiglione,
mentre ogni nota fluttuava verso il soffitto ella struttura e si riverberava
come un'eco silenziosa.
Poi cominciò a suonare Vivaldi.
Ormai conosceva a memoria quei quattro concerti. Erano il suo
pezzo forte, sia quando si esibiva in strada o davanti agli amici, sia quando
si esercitava. La musica vecchia di secoli faceva cantare il suo cuore e,
mentre la suonava, gli occhi sempre chiusi, poteva evocare i paesaggi del
Rinascimento italiano che aveva visto in così tanti quadri, il dispiegarsi
della vita della natura e degli elementi. Stranamente quei sogni a occhi aperti
ispirati da Vivaldi erano popolati da poche persone, anche se lei non si era
mai preoccupata di trovare una spiegazione per quel fatto bizzarro, quell'omissione
dal sapore freudiano.
Il tempo si fermò.
I suoni che uscivano in quel momento dal violino erano davvero
stupendi e Summer sentì che stava scoprendo una nuova e finora inesplorata
dimensione della musica. Non aveva mai suonato così bene, rilassata, trovando
la verità al centro della melodia, cavalcandone l'onda, lasciandosi risucchiare dal suo vortice. Era bello quasi
quanto il sesso.
Quando iniziò il terzo concerto, aprì brevemente gli occhi per
guardare Dominik. Era sempre lì, nello stesso posto, immobile, pensieroso, gli
occhi ipnoticamente fissi su di lei. Si ricordò che una volta qualcuno le aveva
detto che la forma del suo corpo ricordava quella del violino: vita stretta,
fianchi generosi. Era questo che lui stava vedendo sotto la stoffa del vestito
di velluto nero?
Notò un gruppetto di passanti ai margini della radura, senza
dubbio attirati da quella musica. Spettatori anonimi.
Fece un respiro profondo, gratificata e al tempo stesso
contrariata dal fatto che non fosse più un'esibizione per una sola persona.
Terminò l'esecuzione del terzo concerto e smise di suonare. L'incantesimo si
era rotto.
Un paio di donne in tenuta da jogging applaudirono da lontano.
Un uomo risalì in sella alla bici e riprese il suo giro nel
parco.
Dominik tossì con discrezione.
"Il quarto concerto è tecnicamente un po' più
difficile" si giustificò Summer. "Non sono sicura di riuscire a
suonarlo bene senza lo spartito" spiegò.
"Nessun problema" disse Dominik.
Summer aspettava il suo giudizio. Lui continuava a fissarla.
Su di lei iniziò a scendere un pesante silenzio. Sentì il
freddo del mattino morderle la pelle nuda. Rabbrividì. Lui non reagì.
Dominik non le staccò gli occhi di dosso mentre lei diventava
sempre più nervosa. La musica e la sua esecuzione erano state sublimi:
esattamente come aveva sperato. Portarla lì a suonare era stata un'idea
brillante e l'assolo gli aveva suscitato una serie di potenti emozioni, un
senso di connessione estremamente intimo. Adesso avrebbe voluto sapere come
sarebbe stata la sensazione della pelle di lei, la curva morbida delle sue spalle sotto le sue dita, a contatto con la sua
lingua, i milioni di segreti celati da quel vestito. Riusciva già a immaginare
la forma del suo corpo. Aveva sempre rimpianto di non aver imparato a leggere
la musica o a suonare uno strumento quando era più giovane, e sapeva che adesso
sarebbe stato troppo tardi per cominciare, eppure sentiva che Summer era un
strumento che lui avrebbe potuto suonare per ore. E l'avrebbe fatto.
"E' stato bellissimo."
"Grazie, gentile signore." Lei non poté trattenersi
dal prenderlo in giro. Forse perché in quel momento era sommamente felice.
Dominik si accigliò.
Aveva notato il sollievo sul volto di Summer quando le aveva
comunicato il proprio verdetto, ma lei era ancora tesa: lo intuiva dalla
posizione delle spalle e dalla mascella contratta. Forse sapeva che quello era
solo l'inizio. Che ci sarebbe stato altro.
"Avrai il violino" le disse.
"Sei sicuro che non possa tenere questo?" protestò
lei, accarezzando il lungo manico liscio con fare possessivo. "E'
meraviglioso."
"Non ne dubito, ma, come ho detto, te ne troverò uno
migliore. Te lo meriti."
"Davvero?"
"Sì." il tono era deciso. Dominik non avrebbe
accettato ulteriori discussioni.
Si avvicinò a Summer, raccolse da terra il cappotto e l'aiutò
a indossarlo. Poi tornarono all'auto, dove lei gli restituì il violino.
Avrebbe avuto moltissime domande da fargli, ma non sapeva da
dove cominciare.
Lui le indicò il sedile del passeggero.
Lei obbedì.
Aveva temuto che l'interno dell'auto puzzasse di tabacco –
Dominik aveva l'aria del fumatore – ma non era così. C'era un odore lievemente
muschiato, ma non sgradevole.
Dominik avvertì la sua vicinanza mentre si sedeva al volante.
Lei non sapeva più di cannella e l'unico odore che lui riuscì a distinguere fu
un vago sentore del sapone con cui doveva essersi lavata quella mattina. Dolce,
pulito, rassicurante. Percepiva il calore del suo corpo irradiarsi da sotto il
cappotto.
"La prossima volta che suonerai per me avrai il tuo
violino quello che adesso andrò a cercarti, uno strumento che ti si adatterà
come un guanto, Summer. Il prezzo non è un problema" disse.
"Okay" replicò lei.
"Adesso parlami della tua prima volta con un uomo, del
sesso."
Per un attimo Summer sembrò colta alla sprovvista dalla
brutalità della domanda e Dominik pensò di essersi sbagliato: forse lei non
avrebbe retto il suo gioco.
Summer tacque, raccogliendo i pensieri e i ricordi. In fondo,
per quanto in un modo inconsueto, era già intima con quell'uomo e non avrebbe
avuto senso tirarsi indietro adesso.
Il parabrezza dell'auto si stava appannando e Dominik accese
l'aria condizionata.
Lei gli raccontò la sua prima volta.
–
o – o
– o –
Lo strumento era stato costruito da un certo Pierre Bailly a
Parigi nel 1900 e gli costò una cifra esorbitante. Aveva attirato la sua
attenzione sul catalogo di un rivenditore specializzato. Il colore del legno
virava verso il giallo più che verso l'arancione o il marrone, una sfumatura
riposante che evocava serenità e pazienza, ma che in realtà custodiva più di un secolo di
melodie e di esperienza. Il proprietario del piccolo negozio nella Burlington
Arcade rimase sorpreso che Dominik non volesse suonarlo prima di acquistarlo e,
sulle prime, sembrò non credergli quando lui gli spiegò che lo comprava per una
conoscente. Sapeva di avere le dita lunghe, dita da musicista – glie lo avevano
fatto notare molti amici molte donne che
aveva conosciuto – ma aveva forse l'aria di uno che suonava? Il violino, poi!
Il costoso strumento aveva un certificato di provenienza che
elencava tutti coloro che l'avevano posseduto negli ultimi centododici anni.
Erano stati solo cinque, perlopiù con nomi stranieri che evocavano un passato
di guerre e migrazioni continentali. L'ultima proprietaria si chiamava Edwina Christiansen.
Dopo la sua morte, gli spiegò il proprietario del negozio, gli eredi avevano
venduto il violino all'asta, dove lui lo aveva acquistato insieme ad altri
oggetti di minor valore. Quando Dominik gli chiese se fosse in grado di
fornirgli ulteriori informazioni sulla defunta Miss Christiansen, l'uomo
rispose di no.
Il violino Bailly non era provvisto di custodia e Dominik ne
ordinò una online, nuova di zecca, perché aveva la sensazione che per Summer
sarebbe stato meglio non far sapere a tutti che possedeva uno strumento
prezioso portandolo in giro in una custodia visibilmente antica. Dominik era
sempre stato un tipo molto pratico, oltre che prudente.
Quando la custodia arrivò, lui trasferì il violino nella sua
nuova dimora e lo imballò con cura prima di affidarlo a un corriere che l'avrebbe recapitato a Summer Zahova nell'appartamento
che condivideva con altre persone nell'East End. Le istruzioni erano chiare:
lei avrebbe dovuto firmare personalmente la ricevuta. La avvertì dell'imminente
consegna e le chiese di avvertirlo, una volta avvenuta.
Ricevette da Summer un SMS di una sola parola:
"Bellissimo".
Nella lettera che accompagnava il prezioso pacco Dominik la
esortava a esercitarsi il più possibile, fino al momento in cui le avrebbe
chiesto di suonare di nuovo per lui, e le vietava di esibirsi in pubblico, per
il momento, e meno che mai nella metropolitana.
Adesso lui doveva procedere con l'organizzazione della parte
successiva del piano.
Il suo annuncio nella bacheca del conservatorio dedicata agli
ingaggi richiedeva tre musicisti, preferibilmente sotto i trent'anni, abituati
a suonare in un quartetto d'archi e disponibili per un'unica esibizione in una
cornice insolita e con pochissimo tempo per le prove. La discrezione sarebbe
stata adeguatamente ricompensata. Si chiedeva di allegare alla propria
candidatura anche una foto.
Solo una delle risposte che ricevette presentava tutti i
requisiti: un gruppo di studenti del secondo anno che si ara esibito per tutto
il primo anno come quartetto, ma al quale adesso mancava un membro, la seconda
violinista, tornata poche settimane prima nella natia Lituania. I due maschi,
che suonavano uno il violino, l'altro la viola erano presentabili, mentre la
violoncellista, una giovane con una massa di riccioli biondi, era decisamente carina.
Tutte le altre candidature erano di solisti che avevano
suonato raramente insieme ad altri, per cui la scelta si rivelò piuttosto
facile. Prima di organizzare un colloquio formale con i tre studenti
selezionati, Dominik mandò loro il questionario preparato per l'occasione e,
dopo aver ricevuto tutte risposte positive, come si era aspettato (visto il
sostanzioso compenso che poteva offrire), fece in modo di parlare con loro su
Skype, ponendo le ultime domande e valutando le reazioni ad alcune delle
richieste più insolite.
Avrebbero dovuto vestirsi completamente di nero e fare una
rapida prova con il quarto musicista; per l'esibizione vera e propria, inoltre,
sarebbero stati bendati. Avrebbero firmato un documento che li avrebbe costretti al
pagamento di una penale nel caso in cui avessero lasciato trapelare
informazioni sul concerto privato che avrebbero tenuto. Non avrebbero più
dovuto cercar di mettersi in contatto né con lui né con il quarto membro del
quartetto dopo l'esibizione.
Tutti e tre i musicisti rimasero sconcertati da quella
proposta, ma il compenso economico bastò a fugare i loro dubbi.
La violoncellista suggerì a Dominik un posto che avrebbe
potuto essere affittato per l'occasione, la cripta di una chiesa sconsacrata
dove l'acustica era perfetta per gli strumenti ad arco e che "garantisce
totale privacy per qualunque cosa lei abbia in mente". Sembrava quasi
sapere che casa sua non era adatta allo scopo.
Come aveva fatto a intuire che cosa aveva in mente? si chiese,
notando una scintilla di divertimento negli occhi della giovane bionda.
Fu scelto il repertorio e lui prese nota dei dati dei tre
musicisti prima di concludere la chiamata. Adesso che era tutto a posto, poteva
decidere la data. Prese il telefono.
"Summer?"
"Sì."
"Sono Dominik. Suonerai di nuovo per me la settimana
prossima" la informò, precisando il luogo e l'ora. Le fece, inoltre,
sapere ch cosa avrebbe suonato e aggiunse che avrebbe fatto parte di un
quartetto e che avrebbe potuto provare per due ore insieme agli altri prima del
concerto privato.
"Due ore non sono molte" gli fece notare lei.
"Lo so, ma è un pezzo che gli altri conoscono bene, il
che renderà le cose un po' più facili."
"Okay" accettò Summer. Poi aggiunse: "Il Bailly
sarà divino in una cripta".
"Non ne dubito" disse Dominik, "E…"
"E?"
"Suonerai nuda."
SUMMER
Dominik mi aveva chiesto di raccontargli della mia prima
volta.
In seguito, ripensandoci, mi parve strano che avessi accettato
di parlargliene, ma suonare le Quattro
stagioni mi aveva fatto precipitare in uno stato onirico, come sempre.
Diedi la colpa a questo.
Ecco ciò che gli raccontai.
–
o – o
– o –
"Ho fatto le mie prime esperienze sessuali da sola.
Masturbandomi. Ho cominciato da piccola. Prima delle mie amiche, credo, anche
se non ne ho mai parlato con nessuno. Mi vergognavo sempre un po'. In realtà,
non sapevo quello che stavo facendo. Non venivo neanche, perlomeno i primi
anni.
"Quando suono, come forse hai notato, la musica mi induce
una sorta di trance, per cui a un certo punto mi isolo in un mondo che è solo
mio. Non appena smetto, però, tutto torna a sommergermi come un'onda di piena.
Vedi, suonare il violino ha sempre avuto un effetto fisico su di me, una specie
di sfogo, ma al contempo sembra acuirmi i sensi."
Lanciai un'occhiata a Dominik, per sondare le sue reazioni.
Aveva abbassato lo schienale del sedile e stava sdraiato,
rilassato. Mi sdraiai anch'io, inalando il profumo della sua auto, un odore di
pulito e di fresco che tendevo ad associare ai proprietari delle BMW. L'interno
della macchina era immacolato, privo di personalità: nessuna traccia di uno
spuntino consumato di recente, della fondina di una pistola o di involucri
sospetti, solo il libro che stava leggendo posato sul cruscotto.
Dominik non mi guardò, si limitò a fissare davanti a sé. Aveva
l'aria di chi è completamente a proprio agio, come se fosse immerso nella
meditazione. Nonostante la stranezza della situazione, la sua reazione, o
piuttosto la mancanza di reazioni, mi tranquillizzò. Stavo rivelando segreti
che non avevo mai confidato a nessuno, ma il modo in cui lui si confondeva con
l'auto mi dava quasi l'impressione di parlare a me stessa.
Proseguii. "Talvolta suonavo nuda, con la finestra
aperta, godendomi l'aria fredda sulla pelle. Lasciavo le luci accese e le tende
aperte, immaginando che i vicini potessero vedermi suonare il violino senza
niente addosso. Se mi hanno vista, non ne hanno mai fatto cenno.
"La cosa andò avanti per un po' e io finii per passare
così tanto tempo da sola che, quando iniziai il liceo, mia madre si preoccupò
che potessi diventare paranoica e ossessiva, e cercò di indurmi a praticare uno
sport scolastico o a frequentare un corso di teatro. Voleva che facessi
qualcosa di "normale". Litigammo e alla fine fu lei a spuntarla,
anche se mi concesse di scegliere lo sport a cui dedicarmi.
"Optai per il nuoto, soprattutto per farle un dispetto,
perché sapevo che avrebbe voluto qualcosa di più "sociale", come
l'hockey o il netball, ma io vinsi quel
round sostenendo che braccia più forti mi sarebbero state utili per suonare il
violino."
Dominik fece un sorrisetto mentre gli raccontavo quel
particolare, ma rimase in silenzio, aspettando pazientemente che proseguissi.
"Scoprii che nuotare mi faceva praticamente lo stesso
effetto che suonare il violino. Mi piacevano la sensazione dell'acqua e il modo
in cui il tempo scompariva, una bracciata dopo l'altra. Non sono mai stata
molto veloce, ma avrei potuto nuotare all'infinito. Nuotavo così a lungo e con
tale facilità che il mio istruttore doveva darmi un colpetto sulla spalle per dirmi che
l'allenamento era finito e potevo andare a casa.
"Era un bel ragazzo ed era stato campione regionale
quando andava alle superiori. Aveva smesso di gareggiar nel momento in cui
aveva cessato di vincere. Era diventato istruttore, ma aveva ancora il fisico
del campione. Indossava la tenuta regolamentare da bagnino: pantaloncini corti,
T-shirt e fischietto per darsi un tono. Io perlopiù lo ignoravo. Pensavo che si
desse un po' troppe arie e che la cosa, in qualche modo non gli si addicesse.
Era come se stesse recitando una parte. Tutte le altre ragazze gli sbavavano
dietro. Non so quanti anni avesse. Era più grande di me, comunque.
"Alla fine, è stato lui. Il mio istruttore di nuoto. La mia
prima volta."
Lanciai un'altra occhiata a Dominik. La sua espressione era impassibile,
divertita.
"Continua" disse.
"Un pomeriggio lui non mi fermò. Mi lasciò continuare a
nuotare. Dopo non so quante vasche mi resi conto all'improvviso che stava
facendo buio e che ero rimasta sola nella piscina. Tutti gli altri se n'erano
andati. Quando uscii dalla vasca, lui mi disse che voleva vedere se avrei
continuato a nuotare finché non mi avesse fermata.
"Presi l'asciugamano e mi diressi negli spogliatoi, e quando
iniziai ad asciugarmi mi resi conto che ero… be'… eccitata. In realtà non
riuscivo a capire bene che cose fosse, ma era una sensazione così forte che non
potei aspettare di arrivare a casa. Mi stavo toccando quando mi accorsi che lui
mi osservava dalla porta dello spogliatoio. Forse mi ero dimenticata di
chiuderla.
"Non mi fermai. Avrei dovuto farlo, immagino, ma il modo
in cui lui mi guardava… Continuai a toccarmi. E fu la prima volta che ebbi un
orgasmo. Mentre lui mi guardava.
"Poi, dopo avermi vista godere, entrò nello spogliatoio.
E quando tirò fuori l'uccello non riuscii a smettere di guardarlo.
" 'Non ne avevi mai visto uno, vero?' " mi disse.
"Risposi di no.
"Poi mi chiese se mi sarebbe piaciuto sentirlo dentro, e
io dissi di sì."
Mi girai verso Dominik, per vedere se voleva che continuassi.
Lui si riscosse dalle sue fantasticherie quasi subito.
"Bene" disse, riportando il sedile in posizione
verticale. "Questo è tutto ciò che volevo sapere. Un'altra volta, magari,
potrai raccontarmi i particolari."
"Certo" ribattei e armeggiai con la leva per
riportare anche il mio sedile in posizione verticale. Forse il fatto di
raccontare la mia storia a quell'uomo avrebbe dovuto mettermi a disagio, ma non
fu così. Anzi, mi sentivo più leggera dopo aver affidato a Dominik il peso di
segreti passati.
"Dove vuoi che ti accompagni?"
"Alla stazione della metropolitana va benissimo,
grazie."
"Perfetto."
Ero disposta a raccontare a Dominik i dettagli della mia vita
sessuale, ma non a fargli vedere dove abitavo, e comunque non ero ancora sicura
che lui volesse saperlo.
–
o – o
– o –
Non avrei più dovuto preoccuparmi di difendere la mia privacy
con lui. Nel giro di una settimana mi aveva chiesto l'indirizzo di casa e mi
aveva indicato una data e un'ora in cui avrei dovuto farmi trovare
nell'appartamento per firmare la ricevuta di un pacco. Prima di dirgli dove
abitavo, esitai. A parte il tizio che consegnava le pizze nella via, sarebbe
stato l'unico uomo di Londra ad avere i miei dati personali. Lui, però, doveva
spedirmi qualcosa e se mi fossi rifiutata di dargli il mio recapito sarei
sembrata sgarbata o paranoica. Il pacco, come mi aspettavo, era il violino che mi
aveva promesso. Data la qualità dello strumento provvisorio che mi aveva
fornito per il concetto di Vivaldi al parco, pensavo che avrebbe scelto
qualcosa di bello, ma non mi sarei mai immaginata uno strumento di tale
splendore. Era un Bailly di prim'ordine, il legno di un giallo caldo, quasi
caramello, il colore di un vasetto di miele di manuka osservato controluce. Mi
fece venire in mente la Nuova Zelanda, le sfumature dorate del fiume Waihou
quando il sole si riflette sulla sua superficie.
Secondo il certificato accluso, l'ultima proprietaria era
stata una certa Miss Edwina Christiansen. Curiosa come sempre delle storie
riguardanti i miei violini, cercai informazioni su Google, ma non trovai
niente. Oh, be', la mia immaginazione avrebbe avuto di che sbizzarrirsi.
La custodia era nuovissima, nera con la fodera di velluto
rosso scuro. Un po' morbosa per i miei gusti, e per niente intonata al colore
caldo del Bailly, ma Dominik sembrava un tipo sveglio e non romantico nel senso
deteriore del termine, così supposi che quella custodia fosse solo un modo per
mascherare l valore di ciò che conteneva.
C'era una lettera di istruzioni allegata: avrei dovuto fargli
sapere di aver ricevuto il violino e poi esercitarmi il più possibile, ma senza
esibirmi in pubblico. E avrei dovuto aspettare ulteriori istruzioni.
Esercitarmi e aspettare.
Esercitarmi con il Bailly era una gioia. Lo strumento mi si
adattava alla perfezione, come se il mio corpo si fosse trasformato per
accoglierlo. Avevo chiesto un periodo di aspettativa agli organizzatori delle
esibizioni in strada e loro, viste le circostanze – la rissa in cui ero rimasta
coinvolta in metropolitana – si erano mostrati molto comprensivi. Suonavo il
Bailly tutto il giorno, meglio di quanto avessi mai suonato prima; la musica
usciva dalle mie dita come se fosse intrappolata dentro di me e il violino di Dominik
fosse la chiave per liberarla.
Aspettare era tutt'altra cosa. Sono paziente per natura e ho
sempre preferito gli sport di resistenza. Tuttavia, avrei voluto sapere in che
cosa esattamente mi stavo impegnando. Ero convinta che nessuno desse niente per
niente, perciò presumevo che Dominik volesse un ritorno dal suo investimento;
decisi, così, di considerare il violino un prestito anziché un regalo, almeno
finché non avessi capito i termini di pagamento. Lui aveva proposto un accordo
di reciproca soddisfazione, non di fare di me la sua mantenuta. L'avrei
respinto sena esitazione se l'avesse fatto. Eppure, finché non sapevo che cosa
voleva, non potevo decidere se gliel'avrei concesso oppure no.
Non ero in cerca di una nuova relazione. Speravo di rimanere
single per un po' E Dominik non sembrava un uomo in cerca di una ragazza. Era
riservato, solitario; non aveva l'aria disperata di chi va a caccia di una partner.
Ripensai al suo contatto iniziale via mail. Un po' da imbranato, forse, uno con
una ricca collezione di porno artistici sul PC, ma non il tipo con un profilo
su un sito per cuori solitari.
Se non voleva uscire con me, che cosa voleva?
Guardai di nuovo il violino, feci scorrere le dita sulla curva
aggraziata del manico e immaginai che dovesse costare una cifra nell'ordine
delle decine di migliaia di sterline.
A fronte di un simile investimento che genere di ritorno, e di
quale entità, si aspettava Dominik? Che cosa avrebbe soddisfatto un uomo
simile?
Il sesso? Era la risposta più ovvia. Ma, pensai, non quella
giusta.
Un uomo alla ricerca del sesso
si sarebbe limitato a invitarmi a cena. Un mecenate desideroso di
sostenere una giovane musicista senza mezzi mi avrebbe mandato il violino senza
tutto quello sfoggio di teatralità.
L'approccio di Dominik nascondeva qualcos'altro. Lui non aveva
l'aria dello psicopatico, ma sembrava godere del gioco che stava facendo, qualunque
esso fosse. Mi chiesi se avesse in mente uno scopo, un fine partita, oppure se
fosse solo ricco e annoiato.
Avrei potuto restituire il violino, ovviamente, e forse
sarebbe stata la cosa giusta da fare. Ma non era solo lo strumento a interessarmi;
in realtà, ero curiosa.
Quale sarebbe stata la prossima mossa di Dominik?
Pochi giorni dopo squillò il telefono.
Lui parlò prima che avessi la possibilità di dire
"pronto". In altre circostanze la cosa mi avrebbe dato fastidio, ma
questa volta decisi di starlo a sentire.
"Summer?"
"Sì."
Mi informò freddamente che avrei suonato per lui la settimana
successiva, nel pomeriggio. Il Quartetto
per archi n. 1 di Bedřich Smetana, fortunatamente un pezzo che mi
piaceva e mi era abbastanza familiare, dato che era uno dei preferiti del mio
maestro, Mr. Van der Vliet. Mi sarei esibita insieme ad altri tre musicisti che
conoscevano benissimo quel brano, poiché a quanto pareva il violinista e il
violista l'avevano eseguito varie volte. Non avrei dovuto preoccuparmi per la
mia privacy o per la discrezione degli altri membri del quartetto, dal momento
che si erano impegnati a non rivelare alcun particolare di quell'evento. Il che
era una fortuna, visto che avrei suonato nuda.
Ai miei colleghi musicisti sarebbe stato chiesto di bendarsi
gli occhi prima che io mi spogliassi, per cui Dominik sarebbe stato il solo a
vedermi nuda.
Non appena ebbe finito di parlare, mi sentii invadere da
un'ondata di calore. Avrei dovuto rifiutare, immaginai ancora una volta. Mi
aveva appena chiesto di punto in bianco di spogliarmi di fronte a lui. Ma se
gli avessi detto di no, non avrei mai saputo che cos'aveva in mente. E poi,
pensai oziosamente, in fondo quello sarebbe stato il nostro terzo appuntamento.
Visto che talvolta finivo a letto con un uomo al primo appuntamento, non faceva
poi tanta differenza, a parte il fatto che avevo accettato in anticipo.
Avevo accettato?
Dominik non aveva detto che voleva scoparmi
Forse voleva solo guardarmi.
Il pensiero mi stuzzicò parecchio, e nonostante tutti i miei
sforzi per ignorare la sensazione scoprii di essere eccitata e bagnata.
D'altronde, non c'era da stupirsi: ero così stravolta dalla
perdita del violino e da tutti gli eventi che ne erano conseguiti che non avevo
avuto il tempo di vedere nessuno. Non scopavo da molto tempo. Però mi dava
fastidio il pensiero che Dominik avesse questo effetto. Gi dava un vantaggio su
di me in qualunque trattativa avesse in mente di condurre.
Nuda con lui che mi guardava, temevo che avrebbe capito l'effetto
che mi faceva. Dopo le rivelazioni in auto, quel giorno ad Hampstead Heath,
dubitavo che ne sarebbe rimasto sorpreso. Probabilmente stavo per offrirgli
proprio la reazione che si aspettava.
Se quello doveva essere uno scontro di volontà, allora gli
avevo fornito tutte le munizioni di cui aveva bisogno.
Una settimana dopo mi recai nel posto indicatomi da Dominik,
un cripta privata in Central London. Non la conoscevo, ma non mi stupii che
esistesse un luogo simile. Londra è una città piena di sorprese. Lui mi aveva
dato l'indirizzo quando mi aveva telefonato, consigliandomi di non andare a vederla
prima per non rovinare la spontaneità dell'esibizione. Avevo preso in considerazione
di andarci lo stesso, ma mi sentivo stranamente obbligata a seguire le sue
istruzioni alla lettera. Aveva comprato il violino e in fin dei conti quello
era il suo concerto.
La cripta era nascosta in una via laterale: l'unico indizio
della sua esistenza era una piccola targa di ottone sullo stipite sinistro di
una porta di legno. Spinsi il battente
con circospezione ed entrai, scoprendo una ripida scala che si immergeva
in una pozza di oscurità.
Poco prima mi ero tolta le scarpe basse e avevo indossato
quelle con il tacco, e adesso inciampai sui gradini di pietra sconnessi, persi
l'equilibrio e per poco non ruzzolai in fondo alle scale, mentre cercavo invano
un corrimano sulla parete alla mia destra.
Mi si fermò il respiro in gola. Non si trattava di paura,
anche se il buonsenso diceva che avrei dovuto dire a qualcuno dove andavo, fare
in modo che un'amica mi telefonasse a un'ora stabilita. Ma non avevo parlato
con nessuno del Bailly né della cripta, nemmeno con Charlotte. Questa svolta
nella mia vita sembrava troppo strana perché potessi condividerla con qualcuno.
Inoltre, pensai stringendomi nelle
spalle, se Dominik avesse voluto uccidermi aveva già avuto più di un'occasione
per farlo. La stretta allo stomaco e il battito accelerato non erano imputabili
solo al nervosismo. Ero eccitata. Suonare con tre musicisti nuovi sarebbe stata
una sfida, questo era certo, ma avevo provato il pezzo fino a poterlo eseguire
al meglio in qualunque circostanza. E sapevo che Dominik non avrebbe tratto
alcun piacere da un pomeriggio che non si fosse svolto come lui voleva.
Qualunque cosa avesse in serbo, ero certa che avesse pianificato ogni dettaglio
– inclusa la mia esibizione – in modo da ottenere la perfezione.
C'era, poi, la faccenda della mia nudità, ovviamente, ma il
pensiero di suonare nuda per Dominik in realtà mi eccitava più di quanto mi
infastidisse. Ero sempre stata un po' esibizionista, un'informazione che lui
aveva evidentemente ricavato dal racconto della mia prima esperienza sessuale e
di cui aveva fatto tesoro.
Eppure ero ancora un po' reticente, in parte, immaginavo, per
il pensiero di mostrarmi svestita in pubblico. Mi piaceva camminare nuda per
casa, ma spogliarmi deliberatamente per un estraneo era tutt'altra cosa. Non
ero sicura di riuscire ad affrontarla. Ero
combattuta. Se mi fossi rifiutata, gli avrei fatto capire che mi aveva turbata,
che mi aveva irritata; ma se avessi accettato, lui avrebbe avuto il coltello
dalla parte del manico. E poi, in un angolo della mente, c'era un pensiero di
cui non riuscivo a liberarmi: tutta quella situazione mi eccitava sessualmente.
Ma perché? Che cosa c'era che non andava in me?
Decisi di prepararmi perlomeno all'eventualità di dovermi
togliere i vestiti. Poi, quando sarebbe arrivato il momento di farlo davvero,
avrei valutato la situazione.
Mi ero preparata con impegno per l'evento, non solo dal punto
di vista musicale. Quella mattina mi ero fatta la doccia con calma, mi ero
accuratamente depilata le gambe e poi
avevo fatto una riflessione sulla zona inguinale. Radermi o non radermi? Questo
era il dilemma. Il mio ex fidanzato mi preferiva completamente rasata, motivo
per cui, in un gesto di ribellione, mi ero fatta ricrescere i peli. Tanto,
difficilmente lui avrebbe avuto ancora occasione di indugiare tra le mie gambe.
Dominik che cosa avrebbe preferito? mi ero chiesta.
Era un uomo insolito, che fino a quel momento aveva mostrato
una predilezione per l'opulenza, per i dettagli, e sospettavo che i suoi gusti
sessuali propendessero per l'esotico. Forse i peli gli sarebbero piaciuti. Il
lieve odore muschiato, la copertura. La mia mente si perse in meandri oscuri,
pensieri che il buonsenso richiamò subito indietro. Mi affrettai ad allontanare
quelle fantasie. Dominik aveva già avuto più di un'occasione di guardarmi
nell'anima. Per fortuna, gli altri membri del quartetto sarebbero stati bendati
e non avrebbero potuto assistere a quello spettacolo. Alla fine avevo stabilito
di dare solo una spuntatina ai peli, decidendo di mantenere un ultimo schermo a
difesa della mia privacy, appena un centimetro o due. Non sarei rimasta
completamente nuda sotto lo sguardo di quell'uomo, non ancora.
Lentamente arrivai in fondo alla scala, trovai un'altra porta
di legno e l'aprii. Fui subito investita dall'aria pesante e dolciastra che
aleggiava all'interno della cripta ed ebbi l'impressione di trovarmi in un
sepolcro sotterraneo. La stanza era alta, ma stretta e il soffitto ad archi
dava una claustrofobica sensazione di chiuso. Quella cripta corrispondeva
all'idea che mi facevo di una segreta.
Le pareti erano illuminate da una fioca luce elettrica che
contrastava singolarmente con l'atmosfera antica del luogo, e c'era un odore di
candele accese da poco. Faceva piuttosto freddo, anche se ero sicura che là
dove c'era un interruttore della luce doveva esserci anche un sistema di
riscaldamento. Forse Dominik aveva ordinato di spegnerlo perché l'ambiente
sembrasse più autentico. O forse voleva godere la reazione della mia pelle a
contatto con l'aria fredda. Strinsi forte la custodia del Bailly e respinsi
quel pensiero.
Vidi i tre musicisti sulla pedana centrale leggermente
rialzata e mi diressi verso di loro, con i tacchi che battevano sul pavimento
di pietra e rimandavano echi musicali. All'improvviso il mio nervosismo si
trasformò in gioia: l'acustica era davvero incredibile e il Bailly sarebbe risultato in modo straordinario lì sotto. Ben
presto Dominik avrebbe assistito al concerto della sua vita. Almeno quello
potevo garantirlo. Come previsto, di lui non c'era traccia. Mi presentai agli
altri musicisti e sulle prime la conversazione stentò a decollare: la
situazione era assolutamente fuori dell'ordinario per tutti.
Indossavano abiti neri, camicie bianche immacolate e papillon
neri. Due di loro, il violinista e il violista, erano soggetti piuttosto
silenziosi. La violoncellista, che disse di chiamarsi Lauralynn, sembrava la
leader del gruppo e parlò per tutti e tre. Era sicura di sé, ma non arrogante.
Americana, di New York, era a Londra per studiare musica, Era alta, con le
gambe lunghe e un'aria da amazzone, vestita come gli uomini, con camicia a papillon,
ma indossava una marsina corta, tagliata in modo da mettere in risalto la vita
e i fianchi. Con la criniera di capelli biondi e i lineamenti delicati, era un
curioso mix di virilità e femminilità, ed era molto attraente.
"Così conosci Dominik?" mi informai.
"E tu?" ribatté evasiva.
La fugace espressione di divertita malizia che le passò sul
volto mi fece pensare che Dominik le avesse rivelato più cose di quelle che
aveva detto a me riguardo al suo piano, anche se lei continuava a eludere tutte
le mie domande. Alla fine, smisi di chiedere e mi decisi a cominciare le prove
del concerto. Non avevamo molto tempo.
Il brano che avremmo suonato era piuttosto intenso, un po'
cupo, una scelta eccellente per quell'ambiente, e Dominik aveva ragione: Lauralynn
e i suoi due timidi compagni lo conoscevano bene.
Udii i passi di Dominik prima di accorgermi che stava
arrivando, le scarpe che percuotevano con un rumore secco il pavimento di
pietra, uno staccato di tamburo che si sovrapponeva al prolungato e lacerante
Mi armonico dell'ultimo movimento che stavo suonando mentre lui si avvicinava
al palco.
Mi fece un cenno d'intesa con la testa e poi segnalò ai
musicisti di mettersi la benda sugli occhi.
Loro obbedirono.
Evidentemente non gli aveva detto che sarei stata nuda durante
il concerto. Poi salì sul palco e mi sussurrò all'orecchio quello che avrei
dovuto fare. Le sua labbra mi sfiorarono appena il lobo e io arrossii.
"Puoi spogliarti."
Questa volta indossavo un vestito nero corto invece di quello
lungo di velluto, perché attirava meno l'attenzione durante un tragitto diurno
in metropolitana. Era un modello con una spallina sola e una cerniera laterale
nascosta, e aderiva perfettamente al mio corpo. Avevo evitato di mettermi il
reggiseno, così quando mi fossi spogliata – se mai l'avessi fatto – non
sarebbero rimasti i segni delle spalline sulla pelle. Ero stata sul punto di non
mettermi nemmeno le mutandine per la stessa ragione, ma avevo cambiato idea
all'ultimo momento, cosa di cui ero stata ben contenta quando l'orlo del
vestito mi era risalito lungo le cosce mentre allungavo la gamba per colmare
l'ampio divario tra la banchina e il treno alla stazione di Bank.
Dominik si allontanò e si accomodò su una sedia sistemata
davanti al palco. Mi fissava con aria impassibile dietro l'abituale espressione educata, protetto da un sottile muro di riservatezza che supponevo
nascondesse una natura molto più animalesca di quanto si intravedeva al primo
sguardo.
Mi sarebbe piaciuto provare a far breccia in quel muro,
costasse quel che costasse.
Respirai a fondo e mi decisi.
Sostenendo lo sguardo di Dominik, feci scivolare una mano
lungo il fianco e abbassai la cerniera.
Che a un certo punto si bloccò.
Un bagliore infiammò i suoi occhi, mentre lottavo contro il vestito.
E quello sulla faccia di Lauralynn era un sorriso malizioso? Riusciva a vedermi
nonostante la spessa benda?
Avvampai immaginando anche il suo sguardo sul mio corpo.
Dovevo essere rossa come un peperone. Avevo sperato di
riuscire almeno a lasciar cadere il vestito con un unico movimento fluido, come
fanno sempre le protagoniste dei film. Forse avrei dovuto fare qualche prova.
In ogni caso, adesso avrei preferito morire, piuttosto che chiedere aiuto a
Dominik. Alla fine, mi liberai maldestramente dell'abito e arrossii
ulteriormente, quando mi resi conto che mi sarei dovuta chinare per togliermi
le mutandine. Mi voltai leggermente, per nascondere il seno, prima di
accorgermi di quanto dovesse sembrare sciocca quella mia reticenza, visto che
sapevo di dover suonare nuda davanti a lui.
Alla fine presi il violino, vincendo l'improvviso impulso di
usarlo per coprirmi il corpo, mi raddrizzai e iniziai a suonare. Vaffanculo la
nudità e vaffanculo Dominik. Un lampo di irritazione mi passò sul volto prima
che la musica avesse la meglio.
La prossima volta, se ce ne fosse stata una, non mi sarei
mostrata così vulnerabile nello spogliarmi.
–
o – o
– o –
Quando la musica finì, allentai la presa sul manico del
violino, quindi abbassai lo strumento, deponendolo al mio fianco. Di fronte a
me Dominik applaudiva con deliberata lentezza e un sorriso enigmatico. Mi resi
conto che la mano con cui tenevo l'archetto stava tremando, mentre io ansimavo
e avevo la fronte madida di sudore, come se avessi appena finito di correre una
maratona. Probabilmente era stato proprio così, anche se non mi ero accorta di
niente mentre suonavo, la testa piena di pensieri sull'Europa orientale, Edwina
Christiansen e tutte le storie che il Bailly doveva custodire dentro di sé.
Mi chiesi quando mi sarei potuta permettere una breve vacanza.
Vista la mia situazione economica, avevo potuto viaggiare per l'Europa molto
meno di quanto mi sarebbe piaciuto.
Dominik interruppe le mie divagazioni con un colpetto di
tosse.
"Grazie" disse.
Gli feci un cenno d'intesa con la testa.
"Puoi andare, adesso. Ti accompagnerei volentieri alla
porta, ma devo congedare gli altri musicisti e sistemare le questioni relative
al loro compenso. Immagino che tu sia in grado di uscire di qui senza
problemi."
"Certo."
Mi rimisi il vestito, affettando una nonchalance che ero ben
lungi dal provare, e ignorai la battuta sull'uscire senza problemi.
Forse Dominik sapeva che all'arrivo ero quasi ruzzolata giù
dalle scale.
"Grazie" dissi agli altri musicisti, tutti ancora
seduti e bendati, in attesa delle
istruzioni di Dominik. Avevano evidentemente ricevuto precisi ragguagli su come si sarebbe svolta la sequenza degli
eventi e su come avrebbero dovuto comportarsi.
Ancora una volta, avrei voluto sapere che cosa aveva fatto esattamente
Dominik per assicurarsi la loro obbedienza. Era questo l'effetto che produceva
sulle persone? Soprattutto sulle ragazze?
Lauralynn non mi era affatto sembrata un tipo obbediente.
Tutto il contrario.
Avevo notato il modo in cui stringeva il violoncello tra le
cosce e, ripensandoci, mi venne in mente che, a dispetto di una presa in
apparenza delicata intorno al manico, aveva suonato lo strumento quasi con
crudeltà, come se volesse estrarne la melodia a forza.
La ragazza fece un altro sorriso malizioso, rivolto
direttamente a me; questa volta fui sicura che fosse complice del gioco o
riuscisse in qualche modo a vedermi attraverso la benda.
Presi il violino, mi voltai e mi diressi verso l'uscita, con
l'aria più professionale che riuscii ad assumere. Avevamo reciprocamente
rispettato i termini del nostro accordo; io avevo il mio violino, lui aveva
avuto il suo concerto nudo. Aprii la porta che conduceva alla base delle scale
e mi fermai, appoggiandomi al muro di pietra per riordinare i pensieri.
Era davvero così? Il nostro accordo era chiuso? Avrei dovuto
esserne contenta, ma non riuscivo a liberarmi da una persistente sensazione di
rimpianto. Era come se non gli avessi dato abbastanza in cambio dello
strumento. Charlotte avrebbe detto che ci avevo guadagnato, ma io mi sentivo in
qualche modo incompleta.
Feci un respiro e iniziai a salire le scale senza voltarmi.
–
o – o
– o –
Arrivai nel mio appartamento di Whitechapel, lieta di non
incontrare nessuno nel corridoio e nel bagno comune. I miei vicini erano fuori.
Bene. Non sarei stata costretta alle consuete chiacchiere di circostanza né mi
sarei dovuta preoccupare, vedendomi scomparire in fretta nella mia stanza, del
sospetto di tutti su quanto mi apprestavo a fare per dar sfogo all'ormai quasi dolorosa
eccitazione che mi aveva turbata lungo tutto il tragitto verso casa.
Non appena ebbi chiuso la porta con un calcio, mi misi una
mano tra le gambe e mi infilai dentro l'indice per lubrificarlo prima di
iniziare a toccarmi con veloci massaggi circolari. Lanciai un'occhiata al
portatile, riflettendo se guardare un video su un sito pornografico per
accelerare un po' le cose. Nello stato in cui ero in quel momento non mi ci
sarebbe voluto molto a raggiungere l'orgasmo: non valeva la pena perdere tempo
a trovare un video di mio gusto. Invece, mi misi a ripensare a quello che era
successo nel pomeriggio.
Mi venne in mente all'improvviso che mi si erano induriti i
capezzoli per l'aria fredda della cripta… o era stato per lo sguardo di Dominik?
E per quello di Lauralynn? Aprii la finestra con la mano sinistra, senza
smettere di toccarmi con la destra, poi abbassai la cerniera del vestito –
ovviamente, questa volta, con facilità – e me lo tolsi in fretta. Dopo il
concerto non mi ero rimessa le mutandine: piuttosto che contorcermi davanti a
Dominik per infilarmele, le avevo gettate nella borsa. Così adesso ero
completamente nuda, a parte le scarpe con il tacco, mi godevo l'aria fredda che entrava dai vetri
aperti e mi accarezzava il corpo.
Chiusi gli occhi, e invece di buttarmi sul letto come facevo
di solito, allargai le gambe e mi toccai davanti a un pubblico immaginario
davanti alla finestra.
Ciò che mi fece godere fu il ricordo dell'ultimo ordine di Dominik, il tono della sua voce mentre mi
abbassavo per sganciare il cinturino delle scarpe.
"No. Tienile addosso."
Non si era trattato di una sfida; non c'erano sfumature
interrogative nel suo tono, nessun dubbio che io potessi non fare quello che
lui mi diceva, anche se non mi ritenevo in alcun modo una persona docile. Quel
senso di autorità, per una ragione che non ero in grado di spiegare, mi mandò
in estasi.
Venni in fretta, con fitte di acuto piacere che dal centro del
corpo si irradiavano in ogni direzione, risaldandomi piacevolmente.
A pensarci bene, ero sempre stata così. Ricordai come mi
eccitava il mio maestro di violino, il piacere che provavo nel seguire alla
lettera le sue indicazioni durante le lezioni, per quanto lui non fosse affatto
bello in senso tradizionale. O come mi ero eccitata quando il mio istruttore di
nuoto mi aveva detto che voleva vedere quanto avrei nuotato se lui non mi
avesse detto di fermarmi.
Che cosa significava tutto ciò?
Mi sdraiai sul letto e cercai di allontanare quei pensieri,
poi caddi in un sonno agitato.
DOMINIK
Dominik guidava in preda a una sorta di stordimento,
ripercorrendo mentalmente ogni singolo istante di quel pomeriggio. Senza far
troppo caso alla strada, diresse meccanicamente la BMW nel labirinto di lavori
in corso intorno a Paddington, avanzando con lentezza esasperante verso la
Westway.
Il colore della pelle di lei.
Il pallore soprannaturale. Le migliaia di sfumature che
passavano senza soluzione di continuità da una tonalità di bianco all'altra,
con impercettibili velature di rosa, grigio e beige chiarissimo che reclamavano
a gran voce il bacio del sole. L'intricata geografia di nei e imperfezioni
minori che punteggiavano la sua pelle. Il modo in cui la luce artificiale della
cripta sottolineava le sue curve, danzando
sopra la loro superficie, accentuando le zone d'ombra, il bagliore dei
muscoli sotto la sottile protezione della carne, i tendini dei polpacci mentre
si muoveva impercettibilmente per raggiungere un'altra nota, il modo in cui il
bordo arrotondato del violino premeva contro i suo collo, la velocità delle
dita che percorrevano le corde mentre l'altra mano manovrava con energia
l'archetto planando sullo strumento come un guerriero in volo.
Per poco Dominik non perse l'uscita e per un attimo fu
costretto a mettere da parte i ricordi mentre svoltava bruscamente, scatenando
il clacson del guidatore di una Fiat vicina, infuriato per quella manovra
azzardata.
Gli avevano sempre detto che assomigliava a un giocatore di
poker, perché raramente lasciava trapelare i propri sentimenti in pubblico,
meno che mai quelli più intimi. Aveva osservato lo spettacolo in religioso
silenzio, il viso una maschera, vigile, concentrato sulla musica e su tutte le
sue sottili sfumature, intento a cogliere i movimenti dei musicisti a mano a mano
che procedevano nella loro magnifica esecuzione, vestiti di nero e di bianco.
Summer, naturalmente, svestita.
Era stato una sorta di rituale. Una sinfonia di contrasti tra
gli abiti da sera scuri con le camicie bianche formali e l'audace nudità di Summer
impegnata in un corpo a corpo con il suo strumento per estrarne ogni singola
nota, ogni frammento di melodia, cavalcando e domando la musica. A un certo
punto, una minuscola perla di sudore le
era scivolata dalla punta del naso, aveva sfiorato uno dei suoi capezzoli
turgidi ed era caduta sul pavimento di pietra della cripta a pochi centimetri
dalle scarpe, quelle con i tacchi alti che lui le aveva ingiunto di tenere
addosso.
Forse il rituale sarebbe stato ancora più eccitante, pensò
Dominik, se le avesse chiesto di mettersi un paio di autoreggenti. Nere,
ovviamente. O forse no.
Lui aveva osservato tutto con un misto di desiderio ardente e
autocontrollo che gli scorreva sotto la pelle. Al pari di un grande inquisitore
a un festino particolare – sommamente distaccato in apparenza, come qualunque
ipotetico spettatore avrebbe potuto confermare, ma febbrilmente coinvolto – con
la mente correva senza freni, i pensieri un folle turbinio, mentre osservava,
esaminava, sondava, interrogava. Tutto con l'aggraziato accompagnamento delle
immortali melodie che quel quartetto improvvisato aveva suonato con tanta
maestria, evocando visioni e parole come la musica migliore non manca mai di
fare.
La forma dei seni di lei, la delicatezza delle loro
dimensioni, il solco lievissimo che li separava, la mezzaluna di oscurità
sottostante come una promessa di altri segreti, la minuscola fessura
dell'ombelico, la fenditura verticale che puntava come una freccia verso il
territorio del suo sesso.
Dominik aveva apprezzato il fatto che, a differenza di tante
giovani donne, lei non fosse completamente depilata, la sottile copertura di
peli pubici ben curati in scure tonalità di castano rossiccio a mo' di
necessaria barriera ai suoi possedimenti più intimi. Un giorno, aveva deciso, l'avrebbe
depilata. Con le sue mani. Ma avrebbe riservato quel compito a un'occasione
molto speciale. Una cerimonia. Una celebrazione. Lo Stige, al di là del quale
lei sarebbe stata per sempre ancora più nuda per lui. Aperta. Esposta. Sua.
La solidità delle sue cosce, la lunghezza dei polpacci, le
cicatrici quasi invisibili su un ginocchio – indubbio retaggio di qualche zuffa
infantile – la vita sorprendentemente stretta, quasi che la sua morbidissima
carne fosse stata plasmata da un corsetto vittoriano come il bronzo fuso nello
stampo di uno scultore.
Adesso la strada saliva attraverso Hampstead e l'auto si
infilò sotto una tettoia di alberi con i rami bassi che emergevano dalle
distesa del parco. Dominik fece un profondo respiro, archiviando nella sua mente
ogni suono e visione seducente per crearsi un album di emozioni da sfogliare
nelle giornate uggiose.
A quel punto era su strade familiari e gli venne in mente
distrattamente il lieve sorriso sulle labbra della giovane violoncellista, di
cui non riusciva a ricordare il nome, mentre si sistemava la benda di velluto
nero e gli lanciava un'ultima occhiata prima di piombare nella sua personale
oscurità. La scintilla nei suoi occhi, come se sapesse che cosa stava per succedere,
come se avesse intuito la natura dei suoi piani. Si era persino ritrovato a
pensare fugacemente che gli avesse strizzato l'occhio con complice malizia.
E poi il rossore sul volto di Summer quando era venuto il
momento di spogliarsi, dopo che gli altri musicisti si erano bendati, il modo
in cui si era girata per togliersi le mutandine, mostrandogli la rotondità del
sedere pallido in tutto il suo splendore, il solco tra le natiche mentre si piegava
in avanti rivelando una minuscola valle di ombre. Quindi si era voltato si
nuovo verso di lui e per un attimo aveva portato il violino davanti ai genitali
come se volesse nascondersi al suo sguardo, anche se sapeva fin troppo bene che
avrebbe dovuto suonare in piedi e non avrebbe potuto custodire la propria
privacy se non per un breve momento.
Dominik
era già sicuro che avrebbe goduto di quei ricordi per molto tempo.