Jean-Pierre De Caussade Trattato
sulla preghiera del cuore |
❍ Notizie sull’autore
❍ Presentazione (Michel-Olphe Galliard, s.j.)
❍ Capitolo 1: La preghiera del cuore
❍ Capitolo 2: Nomi diversi attribuiti a questa
preghiera
❍ Capitolo 3: Abusi ed errori da temere in
questa preghiera
❍ Capitolo 4: L’umiltà che deve precedere
questa preghiera e che vi si pratica in modo eccellente
❍ Capitolo 5: L’utilità di questa preghiera
❍ Capitolo 6: Le pause di attenzione
❍ Capitolo 7: La purezza di coscienza
❍ Capitolo 8: La purezza di cuore
❍ Capitolo 9: Alcuni importanti consigli per
coloro che hanno cominciato ad entrare in questa preghiera con l’ausilio delle
pause d’attenzione
❍ Capitolo 10: Consigli utili alle persone
progredite in questo tipo di preghiera
❍ Capitolo 11: Il vuoto dello spirito, le
impotenze che ne derivano e le straordinarie rivolte delle passioni
❍ Capitolo 12: Consigli e chiarimenti utili
alle persone progredite che hanno fatto grandi progressi
❍ Capitolo 13: Ricapitolazione di quanto è stato
detto
❍ Appendice: Modo breve e facile per fare la preghiera di fede e di semplice
presenza di Dio ad opera di monsignor Bossuet, vescovo di Meaux
Notizie
sull’autore
Jean-Pierre De Caussade nacque nel 1675 vicino a
Cahors nella regione del Quercy (Guienna). Entrato nella Compagnia di Gesù nel
1693, ricoprì diversi incarichi di insegnamento, di predicazione e di governo,
cambiando continuamente ruolo, soprattutto nel meridione della Francia, ma
anche in Lorena per ben due volte. Fu particolarmente apprezzato come direttore
spirituale delle Visitandine di Nancy. Le sue opere, rimaste inedite o
pubblicate anonime, sono caratterizzate dalla tensione verso la maturazione
spirituale raggiunta nell’esperienza di preghiera. Morì nel 1751.
Presentazione
(Michel-Olphe Galliard, s.j.)
La dottrina spirituale della preghiera del cuore
è affine a quella dei gesuiti rappresentati da P. Louis Lallemant e dai suoi
discepoli, tra i quali P. Surin era il più stimato. Naturalmente anche S.
Francesco di Sales e S. Giovanna di Chantal sono tra le fonti principali di
quest'insegnamento, e a loro bisogna aggiungere S. Teresa d’Avila e S. Giovanni
della croce.
Sono sinonimi: “pura preghiera del cuore",
"preghiera del cuore", "quiete di dio", "preghiera di
presenza di dio", "preghiera di silenzio", "preghiera
cordiale", e, forse, “preghiera di quiete". A suo riguardo si usano
anche termini come "pause d'attenzione", "preghiera di pace in
Dio", "preghiera di fede", "preghiera di presenza di
Dio", "preghiera di semplice sguardo", "preghiera di
semplice raccoglimento", "semplice raccoglimento",
"preghiera di silenzio", "preghiera dei gusti spirituali",
"preghiera puramente cordiale dei gusti", "preghiera di semplicità".
Non sono da confondere le pause di attenzione
con l'esperienza di rapimento che S. Teresa chiama "sospensione".
Quattro purezze favoriscono la preghiera del
cuore: 1) purezza di coscienza che esclude il peccato; 2) purezza di cuore
mediante il distacco da ciò che non è Dio; 3) purezza di spirito che esige una
certa padronanza dell'immaginazione; 4) purezza dell'azione, che sta nella
sottomissione della volontà all'ordine di Dio.
Le “pause d’attenzione” consistono nella
sospensione delle riflessioni alimentate dalla meditazione. L’attenzione che
caratterizza tale sospensione è un “atto diretto” che fissa lo sguardo
interiore sulla presenza di Dio.
P. Surin aveva notato che le anime contemplative
“hanno, per lo più per abitudine, la grazia di qualche pausa in presenza di
Dio, che, per piccola che sia, deve essere loro sufficiente senza far ricorso
ai vecchi metodi (discorsivi)”
Questa “pausa in presenza di Dio” è per Caussade
il mezzo pratico per vivere la preghiera del cuore “attraverso la quale si apre
la via della contemplazione”. Nel linguaggio di Caussade quest’ultima sarà
“un’attenzione alla presenza di Dio”, come per Surin era “un semplice sguardo”.
Egli distingue la preghiera di cui si tratta e
l’esperienza straordinaria che S. Teresa chiama “sospensione” e che è un
“rapimento”, il cui verificarsi presuppone una grazia di “ordine affatto
soprannaturale e divino”.
Le pause sono espressione di un desiderio che
Dio vede e che non lo può lasciare insensibile. La fondatezza di tale
affermazione trova riscontro negli effetti che tali “pause” producono: a volte
sarà l’ingresso effettivo nel raccoglimento mediante una grazia divina che
risponde all’umiltà della preghiera; sempre, comunque, il desiderio di
entrarvi.
Nei periodi di aridità spirituale, che sembrano
lasciare l’anima “senza fede, senza speranza, senza carità”, entra in gioco
l’idea degli “atti semplici non percepiti”, la quale permette di affermare che
l’anima non è inerte e privata della possibilità di agire, nonostante
l’impressione così desolante di questo arido “vuoto”. La confessione di simile
sofferenza attesta la sincerità di un attaccamento a Dio che di questa prova fa
la salvaguardia dell’umiltà dell’anima.
L’essenziale della mistica caussadiana può esser
sintetizzato in due principi: 1) “Dio solo: attaccarsi solo a lui e perciò
distaccarsi da tutto ciò che non è lui; 2) Ammettere come regola di condotta
soltanto l’”ordine di Dio”, cioè la sua gloria e la sua volontà. La
sottomissine, che questa regola suppone, implica il distacco non soltanto dai
beni temporali, ma anche dai beni spirituali, quindi dalle consolazioni e dai
sentimenti di sicurezza, alimentati dal compiacimento in se stessi; ma tutto
ciò implica un abbandono a Dio, fiducioso oltre che totale. La parola d’ordine
è la necessità di “rinunciare all’uso proprietario delle facoltà dell’anima”.
Capitolo
1
La
preghiera del cuore
La si chiama pura preghiera del cuore (prière purement cordiale, prière purement du coeur) per
distinguerla da quella vocale, nella quale il cuore si esprime mediante la
bocca, e da quella affettiva, nella quale il cuore si esprime mediante parole
interiori, cioè mediante parole effettivamente pronunciate come le si
pronuncerebbe esteriormente, qualora si avesse l’intenzione di far capire agli
altri quanto in questo momento sta accadendo nel nostro cuore.
Questa pura preghiera del cuore si svolge quindi
proprio nel cuore mediante atti non formulati, non espressi neppure
interiormente, ma effettivamente vissuti nella profondità del cuore, oppure,
come si esprime Bossuet, mediante semplici atti diretti, non riflessi, oppure,
in altri termini, mediante una tendenza effettiva ed attuale del cuore verso
Dio e verso ogni cosa amata per Dio.
Bossuet (Instruction
sur les états d’oraison , libro V : «Atti diretti e riflessi,
percepiti e non percepiti, ecc ») difende contro i “nuovi mistici” le
esigenze della riflessione nella vita spirituale. Esso riserva al tempo della
“pura contemplazione” la semplificazione degli atti intellettuali e volontari
che sfocia nel “linguaggio del cuore”.
Una madre che ama teneramente il proprio figlio,
quando lo guarda e pensa a lui anche per molto tempo, per tutto quel tempo
sentirà nel cuore un amore attuale verso di lui, non già mediante atti
formulati, espressi – ciò che è impossibile fare – bensì mediante semplici atti
diretti, realmente vissuti nel suo cuore o, se si preferisce, mediante un unico
atto continuato, protratto per tutto il tempo in cui lo guarda o pensa a lui.
Tutto questo viene vissuto in modo tanto reale e
libero nei confronti di qualsiasi oggetto al quale il cuore si affeziona che,
qualora tale oggetto sia criminale, si pecca veramente per tutto il tempo che
lo si guarda o che vi si pensa con semplici inclinazioni del cuore, che, lungi
dall’essere disapprovate, siano volute ed acconsentite, con quelle semplici
tendenze del cuore alle quali si aderisce volontariamente; ed in tal caso non
si pecca certo mediante atti formulati, espressi interiormente – si bada bene a
non farlo; si vorrebbe piuttosto poter nascondere a se stessi questi misteri
interiori di iniquità – si pecca invece mediante atti veramente vissuti nel
cuore o mediante un solo e medesimo atto sussistente, perseverante, cosa che
manifesta l’esistenza nel cuore di passioni, di malizia e di perversità ancora
maggiori. Tutti gli atti vissuti esclusivamente nel cuore stanno davanti a Dio
per il bene come vi stanno per il male, anche se con un valore esattamente
opposto
Dio non vede il male vissuto nel cuore mediante questi atti diretti non
formulati meglio di quanto non veda il bene vissuto nella preghiera mediante
atti semplici e della stessa specie.
Si tratta di atti vissuti e in nessun modo
formulati
Di fronte a Dio hanno peso e valore sia i
desideri a lui contrari sia quelli espressi mediante la preghiera del cuore.
La maggior parte delle persone virtuose ed anche
i peccatori, qualora siano profondamente toccati, potrebbero fare facilmente,
almeno ad intervalli, se la conoscessero bene, questa preghiera; infatti quando
durante le meditazioni, le letture, le preghiere vocali ecc. sentono il loro
cuore santamente toccato da qualche moto di pietà o di timore di Dio o di amore
o di pentimento del passato, dal desiderio di far meglio per l’avvenire, chi
impedisce loro in tali occasioni di abbandonarsi a quei semplici moti, di
soffermarvisi per dar loro la possibilità di penetrare bene fino in fondo all’anima? E successivamente,
se ve n’è bisogno, dopo aver nuovamente suscitato tali sentimenti, chi
impedisce loro di soffermarvisi ancora, di abbandonarvisi allo stesso modo,
cercando di conservarne per tutto il tempo possibile tutte le semplici, eppur
salutari, impressioni? Si darebbe spazio alle soavi impressioni della grazia
che spesso si spengono o si interrompono a causa di eccessive agitazioni
interiori o a causa delle proprie attività ordinarie.
Si tratta di moti di pietà o di timore di Dio o
di amore, o da pentimento del passato, dal desiderio di far meglio per
l'avvenire.
Le impressioni della grazia spesso di spengono o
si interrompono a causa di eccessive agitazioni interiori o a causa delle
proprie attività ordinarie.
Questi semplici atti puramente vissuti li si
riconosce bene quando si riferiscono al male; infatti, se elargendo l’elemosina
o praticando qualsiasi altra virtù, sorge nel mio cuore un semplice moto di
vanità o di compiacenza che io non mi affretto ad allontanare, lasciandomi così
travolgere dalla sua funesta dolcezza, mi accorgo subito di fare il male, mi
accorgo che quest’atto del cuore per nulla espresso vizia tutta l’opera buona;
e quanti hanno una certa delicatezza di coscienza non tralasciano di accusarsene,
accusando anche la durata di questo semplice moto, al quale si è aderito per la
verità soltanto con il cuore.
Tutta la bontà e la malizia dei nostri atti non
hanno nessun’altra sorgente che il cuore, da cui proviene il bene e il male ed
i diversi atti di queste semplici adesioni non vi aggiungono proprio nulla da
soli, come dicono i teologi.
Esempi di atti del cuore volti al male: moti di
vanità o compiacenza che sorgono nel cuore mentre si pratica la virtù
(elemosina, ecc.)
La preghiera del cuore non deve e non può essere
l’unico tipo di preghiera praticato: come potrebbe il cuore concepire e più
ancora mantenersi in pie mozioni e in buoni desideri, se non viene mosso,
toccato ed esplicitato? E come potrebbe esserlo senza una grazia speciale se
non mediante la meditazione, la lettura, mediante diversi atti riflessi e
discorsivi che devono mettere in cuore in movimento, in azione, e riscaldarlo
quando si trova raffreddato?
Il compiere senza posa riflessioni o atti
formulati esteriormente o interiormente costituisce una eccessiva sollecitudine
che produce il turbamento invece della pace in cui Dio dimora ed opera; in
altri nasce disgusto, noia, scoraggiamento nella preghiera, dal momento che
sentono venir meno ciò che comunemente si chiama atti, benché quelli di cui
stiamo parlando sussistono ancora nel cuore che è stato mosso e toccato o
possano facilmente sussistervi, qualora si fosse in grado di conoscerli bene,
di soffermarvisi, di dimorarvi mediante una semplice attenzione e di
accontentarsene come della parte migliore della preghiera e di ciò che
costituisce propriamente la preghiera… Infatti gli stessi atti formulati,
espressi interiormente, hanno valore davanti a Dio solo in virtù di questi atti
diretti, vissuti cioè nel cuore prima di
poter venire in qualche modo formulati.
Dio intuisce perfino il primo moto di un cuore
che si muove per concepire un semplice desiderio, secondo la bella espressione
del grande vescovo di Meaux.
La preghiera del cuore è la più perfetta e
potente di tutte. Infatti, costituisce il linguaggio naturale del cuore.
Si tratta di quelle grida interiori di cui parla
S. Paolo, dei gemiti ineffabili anche per colui che li porta verso il cielo
senza parole vocali o onteriori, troppo deboli per esprimere il semplice
linguaggio del cuore.
Si tratta di un silenzio interiore di rispetto, di ammirazione e di amore.
Capitolo
2
Nomi
diversi attribuiti a questa preghiera
Per le persone di preghiera una parola bene
appropriata della scrittura, una sola rappresentazione di qualcuno dei santi
misteri, un determinato ricordo di Dio e
di Gesù Cristo è sufficiente per toccare, smuovere ed occupare santamente il
cuore per una mezz’ora e talvolta per un’intera ora con questa pura preghiera.
Secondo la definizione di J.-J. Surin "si
tratta di una pura quiete dell’anima, durante la quale essa ascolta e conosce
le cose divine, senza far fatica a mantenersi alla presenza di Dio e a
considerare con affetto le cose celesti".
Viene chiamata volta a volta “preghiera di pace
di Dio” (J.J. Surin); “preghiera di fede” (Lallemant); “semplice raccoglimento”
(De Caussade); “preghiera di silenzio” (S. Agostino); “preghiera dei gusti
spirituali” (S. Teresa d’Avila).
S. Teresa d’Avila chiama “preghiera di semplice
raccoglimento” l’entrata nella contemplazione mistica, praticamente da lei
confusa con la preghiera di quiete. Essa distingue due tipi di raccoglimento:
il primo è “un’abitudine che resta in nostro potere”, il secondo “è qualcosa di
soprannaturale che non possiamo procurarci con i nostri sforzi, per grandi che
siano”.
Lo spirito e il cuore non si riposano, come il
corpo, cessando di agire, bensì continuando l'azione, ma in un modo più dolce
che allieta la nostra anima. Così quando un avaro lascia riposare il suo
spirito e il suo cuore, cioè i suoi pensieri ed affetti, nel suo tesoro; quando
l'amante profano si lascia riposare nell'oggetto della sua passione ed ognuno
in ciò che ama, gli uni e gli altri non cessano affatto per questo di agire.
Non restano affatto oziosi, ma sono criminosamente occupati per tutto il tempo
che dura quella funesta quiete di spirito e di cuore.
Questo perché gli uni e gli altri continuano a
mantenere volontariamente i loro pensieri ed affetti fissati sul loro oggetto,
vi si adagiano come nel loro centro; e ciò costituisce, secondo San Paolo,
un'autentica idolatria del cuore; allo stesso modo quando un'anima è abituata
dalla meditazione, dalla lettura, dalla preghiera e da certi altri esercizi a
pensare a Dio, ad occuparsene interiormente, desta forse meraviglia se al momento
della preghiera tutto ciò che risveglia in essa il soave ricordo delle passate
impressioni fermi e fissi tutti i suoi pensieri ed affetti là dove c'è il suo
tesoro, là dove ha già posto il suo cuore?
Come si può guardare gli oggetti materiali con
gli occhi del corpo e quelli spirituali con gli occhi dello spirito, così si
può pure guardare quelli divini e Dio stesso con gli occhi della fede.
L'anima può disertare la preghiera nel momento
in cui esce fuori da se stessa, mediante pensieri ed affetti che vengono così a
trovarsi diffusi e quasi dispersi sugli oggetti sensibili.
Con la preghiera del cuore lo spirito si rifugia
per così dire su se stesso, dice S. Francesco di Sales, quasi come una chiocciola
rientra nel suo guscio, secondo l'espressione di S. Teresa; ciò avviene nella
prospettiva di dedicarsi a Dio che dimora nel centro dell'anima, nel più intimo
della sua sostanza che è il suo tempio vivente, come dice l'apostolo.
Dio si fa conoscere molto di più attraverso il
cuore che gusta e ama che non attraverso lo spirito che riflette e ragiona.
Come accade che a forza di gustare il mondo ed i
piaceri ci si attacca sempre più fortemente ad esso, per la stessa ragone
succede di vedere che anime semplici, senza studi, senza capacità di
penetrazione, hanno più alte idee di Dio, sentimenti di Dio più profondi che
non gli spiriti più sublimi nelle loro speculazioni.
Ugo di S. Vittore parla dei sintomi di questo
stato: “Cosa mi tocca e mi allieta con tanta soavità e veemenza che incomincio
in qualche modo ad alienarmi da me stesso? Mi sento elevare, ma senza sapere
dove; la mia coscienza si allieta, il mio cuore si infiamma, perdo il ricordo
dei miei mali, i miei desideri sono soddisfatti, abbraccio dentro di me non so
che cosa con una specie di braccia di amore…”
In assenza dei vostri atti abituali, sentite che
il vostro spirito è interiormente molto distaccato dalle cose della terra,
completamente occupato da Dio, o rivolto verso Dio. Sentite il vostro cuore
riempito da un certo gusto di Dio o da una grande pace e tranquillità alla
presenza di Dio. Successivamente, nel corso della giornata, vi scoprite meno
dissipati e più coraggiosi nell’evitare il male e praticare il bene
Molti autori, soprattutto tra gli antichi,
parlano di questa preghiera soltanto sotto il nome di contemplazione
Si tratta in realtà di un puro atto di abbandono
totale, ma abbastanza prolungato, mantenuto e perseverante nell’anima da
meritare di essere chiamato non già un semplice atto, bensì una preghiera.
Vi sono nei Profeti, nei Salmi, nell’Antico e
nel Nuovo Testamento, molti passi nei quali si parla di questa preghiera, ma in
modo breve e velato. S. Dionigi, discepolo degli apostoli e dopo di lui la
maggioranza dei Padri della Chiesa e dei più celebri scrittori spirituali ne
hanno degnamente parlato.
Capitolo
3
Abusi
ed errori da temere in questa preghiera
Si conosce l’albero dai frutti che porta; quindi
ogni preghiera che mediante la sua pratica riforma, cambia, regola a poco a
poco la condotta, i costumi, le azioni, le parole, i sentimenti, in una parola
tutta l’esteriorità e l’interiorità, è incontestabilmente un’eccellente
preghiera; se non presenta questi buoni effetti, allora diventa sospetta.
Dovunque c’è il vero raccoglimento, gli effetti
e i frutti sono sensibili e tangibili in un arco di tempo abbastanza breve.
Questa preghiera, essendo più efficace di tutte,
deve anche manifestarsi più presto mediante le opere; conseguentemente non
bisogna attendere tanto a lungo per vederne i frutti, cosa che deve avvenire
molto facilmente. Nel caso di una persona che si applicasse a questa semplice
preghiera, se il direttore spirituale non percepisse in lei nessun notevole
cambiamento entro lo spazio di due o tre mesi, dovrebbe cominciare a diffidare
della bontà o per parlare più correttamente, della verità del raccoglimento e successivamente non dovrebbe
esitare a trattarla come pura immaginazione.
Se il raccoglimento è puramente attivo, senza
nulla di infuso (cioè senza la grazia speciale che caratterizza la
contemplazione passiva anche nel suo grado più basso, pur non escludendo la
grazia ordinaria, cosa che si riconosce dalla difficoltà di applicarvisi e
mantenervisi) è molto meno efficace e i frutti impiegano un po’ più tempo per
manifestarsi.
Nella via semplice del raccoglimento ordinario,
anche infuso, di cui parliamo, non c’è mai niente di straordinario (visioni,
rivelazioni, estasi…)
Non vi è nessuna illusione di temere per la
persona interessata, seguendo la regola del Beato Giovanni della Croce: 1.
Respinga ordinariamente tutto ciò che le sembra straordinario. 2. non ne parli
mai con il pretesto di esaminare donde vengono i fenomeni. 3. non se ne occupi
mai volontariamente. "In tal modo – dice questo santo – si è al riparo
dagli inganni del demonio".
Capitolo
4
L’umiltà
che deve precedere questa preghiera e che vi si pratica in modo eccellente
Si tratta della più umiliante e della più
annientante di tutte le preghiere
Questa preghiera non gonfia lo spirito alla
maniera delle scienze umane, quanto piuttosto lo abbassa, lo umilia, lo
annienta mediante il semplice sguardo del grande Tutto che è Dio e del nulla
della creatura. Inabissa lo spirito nelle sante tenebre della fede, nelle quali
si ha soltanto una nozione vaga, generale e confusa di Dio, senza forma o
immagine o prospettive distinte; nelle quali si sente in verità che si ama ma
senza sapere né chi né come. In essa ci si impoverisce di tutte le luci
naturali e delle proprie grandi conoscenze, dei propri bei pensieri, delle
proprie ricche idee, per rimanervi completamente povero di spirito.
Cristo diceva: “Vi rendo grazie, Padre
onnipotente, perché vi è piaciuto rivelare queste cose agli umili, mentre le
nascondete ai sapienti, ai superbi, agli illuminati, ai prudenti del secolo”.
S. Bonaventura, trattando a fondo press’a poco il medesimo tema qui affrontato
solo superficialmente, proibisce ai suoi discepoli di parlarne ai non dotti: "Cave
ne…" ecc.
Ma scrivendo su questo argomento non si
contravviene alla proibizione di S. Bonaventura e di S. Dionigi? Per niente.
Infatti: 1) non c’è pericolo che leggano
questo scritto coloro ai quali si proibisce di parlarne; 2) questo non è che un piccolo saggio o
piuttosto un preludio, un semplice avvio alla dottrina di questi santi e devoti
personaggi; 3) quanto qui è detto ha soprattutto lo scopo di far recedere da
alcuni pregiudizi molta gente di spirito e di virtù.
Per comprendere bene e praticare questa
preghiera occorre un certo abbassamento di spirito, una certa sfiducia verso se
stessi: verso il proprio sapere, verso le proprie certezze.
E' la preghiera dei deboli; le anime forti e
coraggiose, dice S. Teresa d’Avila, non hanno infatti bisogno per farle
camminare sulla vita della virtù, che Dio le spinga senza posa e le tenga per
mano come piccoli fanciulli. Invece, con la preghiera del cuore, sentiamo di
non aver alcun merito, ma che tutte le operazioni provengono dalla grazia.
Le persone abituate a questa preghiera divengono
in grado di discernere e sentire ciò che viene dalla realtà loro propria e ciò
che hanno di estraneo e di preso a prestito in tutto ciò che fanno, dicono o
pensano (cioè le operazioni dello Spirito Santo).
E’ lo Spirito Santo che opera, che fa tutto in
noi in modo tanto profondo e nascosto che si sente la sua libera cooperazione,
in quanto essa avviene attraverso quegli atti diretti, non riflessi, non
percepiti, di cui parla Bossuet. Soprattutto nelle fasi iniziali queste
operazioni interiori diventano molto sensibili, si sente bene che non vengono
dalla nostra profondità, che si tratta di qualcosa di così strano e importante
che è impossibile attribuirlo a se stesso.
Esiste un amor proprio segreto tanto naturale e
forse tanto frequente quanto la respirazione.
Si entra in una nozione semplice o meglio in un
semplice sentimento di quella sovrana
grandezza che tutto assorbe, che tutto abbraccia. Ci si sente molto piccoli,
tutto sembra annientato davanti a colui che è. Questo non avviene attraverso
idee distinte, ma attraverso un sentimento segreto ed oscuro. Allo stesso modo
non già durante l’oscurità di questa preghiera, bensì successivamente in
circostanze favorevoli questi sentimenti
e queste idee confuse si sviluppano mediante conoscenze e certezze
riguardanti il presente in persone per altri versi semplici e prive di studi.
Il divino raccoglimento entra ripetutamente nel
profondo abisso della propria miseria, della propria debolezza, della propria
impotenza a fare qualsiasi bene, di una perversità e corruzione del cuore che
ci rende tutti capaci degli stessi disordini, eccessi, abominazioni; da ciò
nasce quel disprezzo, quell’odio, quell’orrore verso se stessi, quella sfiducia
così viva, così incalzante, come se attualmente
ci si sentisse travolti verso
ogni specie di crimini e sul punto di commetterli.
Coloro che non la hanno praticata non hanno mai
imparato i bassi sentimenti che si provano verso se stessi nell'esercizio di
questa preghiera.
Questa preghiera è tanto necessaria che senza di
essa non vi è più alcun merito in nessuna specie di preghiera.
Capitolo
5
L’utilità
di questa preghiera
Si va a Dio con la meditazione, ma lentamente e
con fatica, come coloro che camminano a piedi; vi si va con la preghiera
affettiva, già più velocemente e con minor fatica, come coloro che vanno a
cavallo; vi si va con la pregheira di semplice raccoglimento molto velocemente
e senza molta fatica, come coloro che navigano in mare aperto su un buon
vascello con vento favorevole.
Non vi è quasi nessun santo che non abbia
praticato questa preghiera.
Talvolta si sente i direttori spirituali più
sperimentati lamentare in generale la scarsità di progresso di un grande numero
di persone che, giunte ad una certa mediocrità di virtù, vi rimangono per tutta
la vita; ma questi direttori confessano anche che, se sopraggiunge la preghiera
del cuore, la direzione di queste stesse persone diventa ben presto più facile,
più efficace e le si vede progredire ed avanzare a grandi passi con molto meno
lavoro da parte loro.
Un peccatore pentito rivelò che approssimandosi
il tempo della sua conversione egli si era dato alla solitudine; leggeva spesso
ma molto poco; non riusciva a meditare né a pregare e ciò lo angustiava. Se ne
conclude che era il suo cuore contrito che pregava per lui con la preghiera del
cuore.
Questo peccatore pentito, senza ripetere
continuamente le stesse parole cercava di conservarne i medesimi sentimenti e
le segrete impressioni il più lungamente
possibile, cosa che appariva visibilmente dall’umile atteggiamento del suo
corpo.
Molte persone semplici che si trattengono a
lungo nelle chiese ripetendo sempre le sesse parole ad intervalli molto
distanziati attuano la preghiera del cuore, che non ha bisogno di parole.
Tutti pensano allo stesso modo di non meditare
mai bene, né di leggere con frutto, se non vivono in uno stato di perpetua
agitazione per accumulare riflessioni su riflessioni, preghiere su preghiere,
letture su letture; e passeranno così tutta la loro vita senza riuscire mai ad
apprendere dalle anime semplici il grande segreto di sapersi mantenere di
quando in quando un po’ in pace e in silenzio, attenti davanti a Dio, non solo
quando mediante alcune sollecitazioni interiori cerca di attirarli verso quella
santa quiete che è il frutto principale della preghiera; infatti per un verso
si cerca solo Dio per trovarlo, per unirsi con lui, riposarsi in lui che è il
centro del cuore, l’unico oggetto del suo vero riposo, come dice S. Agostino.
Si dovrebbe procedere dolcemente e fare piccole
pause di attenzione durante tuti i
nostri esercizi di pietà.
Bisogna pregare lentamente e con le pause di
attenzione.
Capitolo
6
Le
pause di attenzione
Occorre procedere lentamente, dolcemente, parola
per parola, sia vocale che interiore per i motivi seguenti: 1) per evitare ogni
sforzo dannoso, ogni tensione dello spirito; 2) perché quanto normalmente viene
preso per fervore, lungi dall’essere nel cuore o nello spirito, non è che un
ardore del sangue o dell’immaginazione, una pura attività naturale che è una
grande imperfezione se opposta alla dolce pace dello spirito di Dio, che non va
tollerata che nei principianti.
Ogni impetuosità, alterando la pace
dell’interiorità, vi spegne lo spirito pacifico di Dio o impedisce di sentirne
le dolci impressioni, proprio come non si riuscirebbe a percepire le soavi
agitazoni di un leggero zeffiro che non fa che increspare la superficie delle
acque in uno stagno tranquillo, se in quel momento vi si getta una pietra.
In forme più alte del raccoglimento ordinario si
parla a Dio attraverso quei tipi di parole interiori che si sentono in fondo
all’anima, dice S. Teresa [Vita , XXV],
proprio come se qualcuno le pronunciasse a viva voce alle nostre orecchie.
Dio parla attraverso le sue illuminazioni,
attraverso le sue ispirazioni: bisogna dunque fermarsi per accoglierle.
Dio parla operando, perché per Dio parlare e
fare quanto vuole è la stessa cosa. Bisogna quindi fermarsi di quando in
quando per fare spazio alle impressioni
che Dio vuole produrre nei nostri cuori e nella nostra volontà che egli muove,
orienta, plasma come gli sembra bene, in modo incomprensibile, ma, se non trova
ostacoli, molto più facilmente di quanto la mano più esperta non sappia
manipolare a suo piacimento un pezzo di cera molle.
Dio parla donando quanto gli si è chiesto.
Fermiamoci ad intervalli e sospendiamo le nostre grida interiori per dare ai
nostri desideri e alla nostra confidenza il tempo di dilatare bene e di aprire
questo cuore in cui Dio, con le sue divine infusioni, deve far scorrere tanto
soavemente quanto segretamente le grazie fermamente sperate e pazientemente
attese
Le pause di attenzione si realizzano soltanto
mediante la sospensione degli atti che si chiamano ordinari, formali,
espliciti, riflessi, per applicarsi in tal modo all’interiorità e a quanto vi
succede, press’a poco come quando si è sul punto di ascoltare una bella voce o
una piacevole sinfonia, ognuno nell’attesa sospende i suoi pensieri, le
riflessioni, i moti interiori, per essere maggiormente attento a quanto si
spera di ascoltare. Sospensione e attesa, che da sole, sarebbero criminali,
qualora lo fosse la cosa attesa. In questa sospensione attenta quindi, rimangono
degli atti o, per parlare più correttamente, anche la sospensione, anche
l’attesa sono dei veri atti, appartenenti al numero di quelli che il monsignore
di Meaux [Instruction sur les ètats
d’oraison , Libri V, XX, XXI] chiama diretti, non riflessi, in un certo
senso non percepiti, cioè non percepiti mediante riflessione esplicita, ma
soltanto mediante il puro sentimento che se ne ha nell’anima senza avvedersene,
come succede in certe altre situazioni puramente naturali.
La sospensione di cui si parla qui non va
confusa con quella completamente divina di cui parla S. Teresa.
Questa sospensione nel rapimento stesso – anche quella
soprannaturale e divina, di cui parla S. Teresa d’Avila – non è priva di atti,
dal momento che Dio sospende allora le potenze dell’anima e le sue normali
operazioni solo per elevarle fino a farle produrre atti di ordine superiore,
completamente soprannaturale e divino.
Alle persone che vivono questo raccoglimento si
dice che per un certo tempo devono tenersi davanti a Dio o come una tela ben
tesa davanti a colui che, con il pennello in mano, sta per dipingerla, o come
una pietra tra le mani di colui che la gira e la rigira per tagliarla e
modellarla a suo piacimento.
Possiamo fare il paragone di un’uomo che, per
essere guarito da determinate malattie, nonostante tutte le sue ripugnanze si
abbandona come un corpo morto a tutte le operazioni della medicina e della
chirurgia.
Ecco il tipo di abbandono che si fa capire e
praticare mediante questi paragoni: abbandono fermo e sostenuto per tutto il
tempo che si può mantenervisi, abbandono che è uno degli atti più eroici di
quella perfetta rinuncia e di quella morte a se stessi di cui parlano tutti i
libri e soprattutto l’Imitazione di Gesù Cristo. Coloro che proveranno
sentiranno allora per esperienza propria quanto costa alla natura, allo spirito
e al cuore umano, non dico rimanere per lungo tempo completamente abbandonati a
Dio nell’interiorità, ma solo compierne l’atto sincero e mantenervisi per uno o
due minuti, tanto è difficile questa pretesa oziosità e passività che essi
avevano immaginato.
Le pause debbono essere più o meno lunghe a
seconda della capacità di ognuno, in quanto i principianti, che non hanno
ancora né l’abitudine né la facilità di sapersi mantenere in pace e in silenzio,
attenti davanti a Dio, devono farle ancora molto brevi. Nella misura in cui si
progredisce, esse diventano quasi naturalmente più agevoli e più lunghe sia in
virtù delle disposizioni acquisite che del sopraggiungere di qualche inizio di
attrattiva.
Le pause debbono durare per tutto il tempo nel
quale si sente nel cuore qualche buon sentimento eccitato o da qualche pia
riflessione o da un atto affettivo o da qualche piccola attrazione interiore. E
quando questi moti interiori passano, si cerca delicatamente di risvegliarli
mediante gli stessi affetti o con altri simili, sempre ugualmente seguiti da
nuove pause di attenzione; e così si continua fino al termine della preghiera.
Bisogna concludere che occorre mettersi in
silenzio e rimanervi, come nelle audizioni, tutte le volte e per tutto il tempo
che si sente o un desiderio di amare Dio, di unirsi con lui, o una dolce pace
alla sua presenza, o un semplice gusto della pietà, o soltanto una grande calma
nell’interiorità, una certa pace che non si è abituati a provare: quella pace
che Gesù Cristo risorto donava sempre ai discepoli quando li incontrava: “Pax
vobis!”, quella calma profonda delle nostre passioni che mostra, dice il beato
Giovanni della Croce, “che in quel momento Dio mette a suo modo la pace e
l’amore nella profondità del nostro cuore” [Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore , in particolare
commenti del verso 3 della stessa strofa, dove il santo analizza le tappe della
purificazione passiva e ha di mira soprattutto i direttori incompetenti che
ostacolano i progressi delle anime chiamate all’unione divina].
Se le distrazioni e i pensieri durante le pause,
anche i più criminosi, sono involontari, non nuocciono più di quanto non lo
facciano in tutto il resto della preghiera e durante tutte le altre preghiere:
tutto ciò, al contrario, pazientemente sopportato, è un grande motivo di
merito; è allora, dicono i nostri maestri, che facciamo la preghiera di
pazienza.
L’aver fatto per un tempo considerevole le
preghiere con queste pause di attenzione senza aver mai provato nulla di ciò
che è stato detto è tutt’altro che tempo perso. Allo stesso modo in cui Dio
vede l’intenzione criminale di uno scellerato che aspetterà ore intere per fare
il suo colpo, vede anche la buona intenzione delle pause di attenzione allo
scopo di ascoltarlo meglio in silenzio, di essere meglio disposto a ricevere le
sue illuminazioni, le sue impressioni, le sue operazioni, quando egli vorrà.
Non occorre niente di più per acquisire meriti che per demeritare.
Inoltre, Dio vede tutti i diversi atti vissuti, benché non
formulati, durante le silenziose pause di attenzione:
1) Atti di viva fede, in quanto non si
riuscirebbe a rimanere in silenzio
attento, se non si credesse fermamente che Dio è ovunque, che ci guarda, che
penetra fino nella preparazione attuale del nostro cuore e che è abbastanza
potente e abbastanza buono da voler risponderci con le grazie di cui sa che si
ha maggiormente bisogno.
2) Atti di desiderio e di speranza che
costituiscono l’essenza della preghiera, in quanto si attende solo nella misura
in cui si desidera e si speara.
3) Atti di grande sfiducia verso se stessi e di
piena fiducia in Dio, dal momento che si fanno cessare le proprie ordinarie
operazioni solo perché si conta molto di più su quelle di Dio.
4) Atti della più grande umiltà, volendo
rimanere davanti a Dio, secondo l’espressione del profeta, come una bestia da
soma, alla quale il silenzio conviene meglio della parola davanti alla sua suprema
maestà.
5) Atti di rassegnazione e di perfetto abbandono,
dal momento che si è pronti a tutto, disposti a vedersi respinti o esauditi,
rigettati o ascoltati secondo che piacerà al proprio Dio davanti al quale si rimane
fermo nonostante tutte le distrazioni ed aridità interiori durante queste
pause, talvolta molto penose, e durante queste attese molto noiose. Anche se
durante le pause si attenzione non si pensa più a tutto ciò, tuttavia lo si
pratica attualmente, e questo basta: la propria
attesa carica di desiderio comprende tutto ciò.
Quando un peccatore commette un crimine, di
solito non pensa ad altro che a soddisfare la sua passione e non pensa affatto
alla sua ingratitudine né all’abuso delle grazie, né al disprezzo delle parole
e delle promesse di un Dio e neppure al sangue di Gesù Cristo o a tante altre
prevaricazioni che i libri e i predicatori gli
rimproverano senza posa. Perché, dicono i teologi, tutto ciò è compreso
nel suo atto libero. Perciò si ritiene che l’uomo di preghiera veglia in modo efficace e pratico tutti i
buoni atti di cui ho parlato, dal momento che sono tutti compresi in quelle
pause volontarie, silenziose, attente, cariche di desiderio, umili e
completamente rassegnate.
Ogni uomo che preghi regolarmente o faccia una
lunga lettura in forma di meditazione si trova già in grado di entrare nella pura preghiera del cuore; in realtà ciò
accade più o meno facilmente a secondo delle buone disposizioni di cui
parleremo tra poco. Egli si trova in certo qual modo all’ingresso di questo
santo raccoglimento senza rischi e pericoli.
Secondo l’espressione di S. Agostino, “dopo aver
gemuto, bussato, picchiato alla porta del padre celeste, attendo spesso senza
scoraggiarmi, in pace e in attento silenzio, quanto alla bontà di Dio o alla
sua pure liberalità piacerà di accordarmi”.
Talvolta i più grandi peccatori, vivamente
toccati dalle loro colpe e dal desiderio di convertirsi, a forza di attese
umili, desiderose e rassegnate otterranno che le loro meditazioni, letture,
preghiere, ecc. siano molto presto intercalate da un raccoglimento a volte attivo,
a volte in parte acquisito in parte infuso, affinché possano in tal modo più
efficacemente e più prontamente giungere a quella completa conversione per la
quale lavorano già con tutte le loro capacità.
A forza di praticare quanto si è detto e a forza
di provare da parte di Dio quanto si dirà, la preghiera si trasforma a poco a
poco in puro raccoglimento, in dolce pace del cuore in Dio.
Il raccoglimento può diventare abituale
attraverso un certo ricordo di Dio ed una santa impressione che dura tutto il giorno.
Prima si faceva un gran numero di propositi, forse senza molti risultati; ora
li si esegue. Il proprio cuore nel corso di questa preghiera, essendosi offerto
e totalmente abbandonato alle impressioni dello Spirito Santo, viene mosso,
plasmato a suo piacimento e conseguentemente si trova in situazioni molto
meglio disposte e molto più pronte ad evitare il male e a fare il bene di
quanto non potrebbe esserlo attraverso tutti i propri abituali propositi.
In questa preghiera il nostro cuore fa in
rapporto a Dio quanto fa l'avaro pensando al suo tesoro e l'amante profano
tutto preso dal suo oggetto; in altre parole il nostro cuore si affeziona, si
rivolge, si inchina, si espande verso Dio, si unisce, si riposa in Dio, che è
il nostro centro.
Non si arriva tuttavia alla estinzione di ogni
peccato, proprio alla nostra natura, e necessario per umiliarla.
Si entra in questo tipo di preghiera favorita
dalle pause di attenzione solo in proporzione delle buone disposizioni di
ognuno: a) purezza di coscienza; b) purezza di cuore; c) purezza di spirito; d)
purezza di azione
Capitolo
7
La
purezza di coscienza
Consiste in una ferma disposizione di cuore a
non voler mai acconsentire in modo volontariamente deliberato alla sia pur
minima offesa di Dio, disposizione abituale che può assai bene sussistere
insieme con molte altre contrarie ma subito ritrattate.
Si può a poco a poco acquistare tale purezza di
coscienza attraverso tutti i diversi mezzi insegnati dai libri e dai direttori,
ma soprattutto attraverso una grande attenzione a tutti i moti
dell'interiorità, affinché il costante sentimento della nostra debolezza ci
porti a ricorrere a dio in tutte le occasioni di caduta e a pentirci a
umiliarci dopo sia pur minime mancanze.
Il pentimento non deve esser né inquietante né
turbolento, bensì moderato e tranquillo, come dice S. Francesco di Sales
("è necessario che anche alla fine del dolore per i nostri peccati ci sia
la pace"). In genere occorre evitare tutte le turbolenze che provengono
dall'amor proprio.
Ecco quanto dice del pentimento dei peccati il Combattimento spirituale, libro
generalmente tanto stimato soprattutto da parte di S. Francesco di Sales:
Suppongo
che siate caduto non già parecchie volte, bensì cento volte in un giorno, non
inavvertitamente, bensì con piena conoscenza, non già in mancanze leggere,
bensì molto rilevanti. Dopo averne chiesto perdono ed esservene umiliato,
l'ultima volta come la prima, senza perdere tempo fate ritorno a Dio e a voi
stesso, alle vostre occupazioni e ai vostri esercizi ordinari, con la stessa
fiducia che avreste se non aveste affatto sbagliato.
La riluttanza a pentirsi e tornare di fronte a
Dio che professano molte persone spirituali che non osano riapparire al
cospetto di Dio è un peccato di superbia suggerito dal Diavolo e allontana da
Dio.
Dalla caduta le persone spirituali imparano a
conoscersi meglio, ad umiliarsi sempre più profondamente, ad essere diffidenti
verso se stesse fino al punto da non sperare nulla da se stesse, per riporre la
loro fiducia soltanto in Dio, aspettandosi ormai tutto soltanto dalla sua bontà.
Dio talvolta lascia ad anime molto progredite
alcuni difetti, propri di uno stadio molto più basso del loro, con lo scopo di
esercitare contemporaneamente sia la loro umiltà che la carità verso gli altri.
Si tratta di difetti odiati, detestati, combattuti senza posa. Per questa
ragione non vi è più ciò che unicamente dispiace a Dio, cioè l’affezione del
cuore, il solo attaccamento del cuore. Vi rimane per permissione di Dio
soltanto la debolezza, la povera miseria della natura, tanto idonea a
conservare queste anime sempre interiormente umiliate, spesso anche
esteriormente, nonostante il loro progresso.
Capitolo
8
La
purezza di cuore
Consiste nell’avere il cuore libero da qualsisi
attaccamento non solo criminale, ma anche da quello proprio di coloro che si
dicono innocenti, benché nella realtà non possano mai esser tali, dal momento
che condividono con la creatura un cuore che non è fatto che per Dio.
Un cuore che gusta con attaccamento i beni
sensibili, i piaceri dei sensi – onore, stima, fama, riposo, legami con il
mondo – come potrà gustare Dio se non dopo essersi purificato dai suoi gusti
umani, terrestri e sensuali?
A un grande distacco del cuore corrisponde una
grande facilità di entrare in questa preghiera e di farla bene; ad un distacco
minimo corrisponde una minima facilità
Per quanto possa apparire paradossale, per
ottenere purezza di cuore può utilizzarsi la stessa preghiera del cuore.
Ascoltino i maestri dell'arte: un altro
insegnerà loro che quanto più queste operazioni sono profonde, delicate, quasi
impercettibili, tanto più sono perfette, in quanto per questo sono più
spirituali, più libere dai sensi.
Il nostro cuore è a tal punto fatto per Dio che,
quando lo si gusta una volta, tutto il resto sembra insipido: quest'impronta
del gusto di Dio in un cuore è un fascino segreto che lo fa incessantemente
volgere dalla parte di Dio, quasi come un ago calamitato si volge senza posa
verso levante.
Secondo S. Paolo ogni violento amore per la
creatura è un’idolatria del cuore [Filippesi
, 3, 19: “Il loro Dio è il ventre”]. Osservate un amante profano interiormente
occupato dalla bellezza che egli idolatra; non è forse in quest’occupazione
interiore che egli trova il dolce riposo del suo cuore, un gusto tanto
delizioso quanto criminale, uno sciagurato raccoglimento che, non
permettendogli di pensare ad altro che al suo idolo, sembra assorbire tutte le
facoltà della sua anima? Quale continuità di sguardi interiori irremovibilmente
attaccati all’idolo! E non cade egli talvolta in un profondo silenzio interiore
che sospende ogni altro sentimento per non lasciar posto che al trasporto
dell’amore?
Ecco qualcosa di
abbastanza sorprendente: quando si tratta solo di un cuore posseduto dall’amore
profano, si comprendono abbastanza agevolmente tute queste criminali
disposizioni, fino alle parole volutamente usate per esprimerle. Se invece si
tratta di un cuore donato alle impressioni dell’amore divino, tutte le sante
disposizioni diventano incomprensibili; tutte le parole diventano mistiche,
anche in riferimento a certi uomini spirituali. Credono essi quindi che
quest’amore più forte della morte e dell’inferno abbia perso tutta la sua
forza, il suo vetusto impero sui cuori? Oppure che ormai non vi sia più qualcuno
che possa vivere di queste operazioni? O che queste operazioni, per il fatto di
essere meno sensibili, meno tangibili di quelle relative all’amore profano,
siano per questo meno reali, meno autentiche? Dice Bossuet: “durante le
operazioni propriamente spirituali la nostra anima sembra svanire, sfuggire a
se stessa; essa tuttavia mai opera meglio”. I maestri dell’arte dicono che in
queste operazioni l’aspetto più sensibile dell’ispirazione non ne è, per così
dire, che l’involucro; che quanto più queste operazioni sono profonde,
delicate, quasi impercettibili, tanto più sono perfette, in quanto per questo
sono più spirituali, più libere dai sensi.
Se il grado di facilità per entrare in questa
preghiera e per farla bene è ordinariamente proporzionato al grado di purezza
di cuore, coloro che non ne hanno quasi per nulla, per poter sperare in
qualcosa, debbono avere almeno il sincero desiderio di acquistarla, di
lavorarvi, di adottarne i diversi mezzi e, in particolare, di adottare questa
stessa preghiera che è uno dei mezzi più efficaci. Come ricompensa di questa
buona volontà di quando in quando Dio si fa sentire e gustare da parte di
un’anima, non foss’altro che durante alcuni momenti di divino raccoglimento.
Quest’anima farà ben presto grandi progressi. Infatti, il nostro cuore è a tal
punto fatto per Dio che, quando lo si gusta una volta, tutto il resto sembra
insipido: quest’impronta del gusto di Dio in un cuore è un fascino segreto che
lo fa incessantemente volgere dalla parte di Dio, quasi come un ago calamitato
si volge senza posa verso levante [Francesco di Sales, Trattato dell’amor di Dio, VI, VII].
Con il pretesto di progredire spiritualmente,
quante vane riflessioni, quanti vani progetti con i quali l'amor proprio non fa
che cercare garanzie quanto mai inutili, dal momento che ciò avviene sia con
perdita per il presente sia senza frutto per un avvenire che non sarà più così
come si pensa, se non altro perché si verrà spesso a trovarsi con disposizioni
diverse!
Purezza di spirito: essa consiste nel fatto di
essere diventati capaci di padroneggiare un certo libertinaggio dello spirito
che lo porta naturalmente a pensare tutto ciò che gli piace, quando non vi è
niente di male; o almeno nel fatto di aver acquistato sufficiente padronanza su
di esso da fermarne, moderarne l'attività naturale che lo porta ad inseguir
senza posa tutte le vane immagini degli oggetti sensibili, come i bambini
inseguono le farfalle.
Si tratta di una cosa assolutamente necessaria,
perché se gli spiriti si abituano a dissiparsi all'esterno con continue
sortite, come potranno rientrare in se stessi soprattutto nel momento della
preghiera che, più di ogni altra cosa. esige uno spirito raccolto, dal momento
che si tratta proprio della preghiera di raccoglimento? E’ quindi necessario
resistere continuamente a quel libertinaggio naturale dello spirito; è
necessario reprimere senza posa la sua attività naturale senza permettergli mai
di guardarsi volontariamente e di lasciarsi sviare dietro pensieri vani ed
inutili e meno ancora di intrattenervisi, di pascersene, di nutrirsene. Occorre
quindi considerare tutti questi pensieri semplicemente inutili o frivoli come
la gente per bene considera i pensieri autenticamente criminali, per
comportarsi alla stessa maniera nel momento in cui ci si accorge della loro
presenza.
Per giungere gradualmente a questo punto,
conviene:
1) Mediante la cura dello stesso raccoglimento
lavorare per indebolire e per distruggere i nostri disgraziati attaccamenti;
infatti, siccome tutti i pensieri più attraenti, i più difficili da scartare
vengono proprio dai nostri attaccamenti, nella misura in cui questi ultimi si
indeboliscono si fa meno fatica ad abbandonare con lo spirito e con il pensiero
quanto si è incominciato ad abbandonare con il cuore e con l'affetto.
2) Siccome è soprattutto mediante il piacere e
le vane gioie del cuore che lo spirito fissa i suoi sguardi interiori sugli
oggetti donde gli provengono questi piacevoli sentimenti, dal momento che si
sente un naturale piacere è necessario non fermarvisi più per gustarli, per
assaporarli, come se si trattasse di un piacere criminale; e alla minima gioia
per una buona notizia, per un felice successo, per un evento vantaggioso,
occorre ritrarsi subito, distoglierne il cuore e dargli il cambio offrendogli
il suo vero oggetto che è Dio, in modo da abituarsi a compiacersi e a gioire
soltanto in Dio. Bisogna comportarsi allo stesso modo e per la medesima ragione
nei confronti degli altri vivi sentimenti dell'anima, siano essi di speranza,
di timore, di rimpianto, di afflizione, ecc. per paura che il nostro spirito vi
dedichi tutti i suoi pensieri.
3) Quanto agli altri pensieri meno interessanti
che sono soltanto inutili o frivoli, è necessario lasciarli cadere come una
pietra nell'acqua senza soffermarvisi, oppure lasciarli passare come le
immondizie i mezzo ad un torrente che le trascina; e se, per disavventura, ci
si è lasciati sviare, occorre in modo affatto delicato e senza sforzi
richiamare quanto prima lo spirito dai suoi sia pur minimi sbandamenti o
mediante un semplice ricordo di Dio o mediante un'elevazione del cuore a Dio o
mediante buoni pensieri precedentemente preparati ed immediatamente a
disposizione per far cambiar strada quando occorre. Per evitare la legge di
reazione (si pensi alla contrarietà che ci assale all'idea di lasciare perdere
un piacere, di compiere un atto che ci costa difficoltà) occorre senz'altro
agire con delicatezza e gradualità.
4) Con il pretesto di progredire spiritualmente,
quante vane riflessioni, quanti vani progetti con i quali l'amor proprio non fa
che cercare garanzie quanto mai inutili, dal momento che ciò avviene sia con
perdita per il presente sia senza frutto per un avvenire che non sarà più così
come si pensa, se non altro perché si verrà spesso a trovarsi con disposizioni
diverse!
5) Con il pretesto di prevedere quanto può
accadere – per non tentare Dio, si dice – si macinano pensieri su pensieri,
riflessioni su riflessioni, progetti su progetti. Ci si logora con inquiete
previsioni, con penose sollecitudini, con precauzioni del tutto inutili, dal
momento che, giunto il tempo, le cose cambiano aspetto o noi stessi cambiamo
idea o sentimenti. Il grande rimedio per tutte queste dannose ed inesauribili
miserie dello spirito umano consisterebbe nel dire a se stessi a seconda dei
frangenti: "eseguite le tali cose, perché occuparsene ancora? Per quanto
rimane ancora da intraprendere, da fare o da dire, Dio vi provvederà: ad ogni
giorno basta la sua fatica; il giorno di domani ed i successivi non hanno forse
con sé le loro grazie particolari?"
Si faccia quanto ancor oggi fanno molte anime
buone, le quali in simili frangenti con un semplice gesto di abbandono e di
fiducia in Dio sanno subito come rimediare
a tutto: “Signore, spero che a tempo e luogo mi darete la grazia, il
pensiero, la capacità e la facilità di intraprendere o di eseguire queste cose
o quelle altre che, spesso in contrattempo, si presenteranno al mio spirito. Ve
le offro tutte insieme con il loro risultato, con l’intenzione di non occuparmi
che di voi e di attendere che tutto accada secondo la vostra sapiente e soave
Provvidenza”. In virtù di questo duplice sacrificio, di questa continua
preparazione di spirito e di cuore, l’amabile provvidenza sempre attenta ai
loro bisogni, alle loro vie, dispone a loro favore ed accomoda tutto fino ai
minimi particolari: occasioni apparentemente fortuite, frangenti favorevoli; ed
è anche in virtù delle frequenti
esperienza di questi felici accomodamenti che la loro fiducia e il loro
abbandono progressivamente aumenta.
Beato colui che, per il fatto di essere
maggiormente raccolto in Dio e più avanzato in questa preghiera, sa
costantemente bandire dal suo spirito qualsiasi cosa, per conservarvi soltanto
il puro necessario, molto ristretto su questo punto, sia per il momento
presente che passa presto, ma molto di più per quell’avvenire che non è ancora
giunto e che forse per noi non giungerà mai.
La purezza di azione consiste non già nel
tessuto della nostra azione, bensì nella purezza dei motivi che ci fanno agire,
in quanto si riducono tutte ad agire esclusivamene per amore di Dio o secondo
l’ordine e le prospettive di Dio. Senza questo la nostra condotta sarà sempre
puramente naturale e, normalmente, affetta dalla corruzione della natura e
conseguentemente affatto piena di peccati o di grossolane imperfezioni
La purezza di azione si acquista in particolar
modo con la purezza di coscienza, di cuore e di spirito.
La purezza di azione si acquista mediante una
continua vigilanza all'inizio e soprattutto nel corso delle nostre azioni: all'inizio,
perché, se queste azioni sono tanto piacevoli e conformi alla tendenza della
natura, essa ben presto segue secondo il suo naturale movimento soltanto
l'attrazione del piacere o dell'interesse. Occorre impedire alla volontà di
lasciarsi trascinare all'inizio dall'impressione dei moti naturali che la
lusingano, che l'attraggono. Quale padronanza, quale attenzione bisogna avere
su se stessi!
La continua vigilanza necessita soprattutto nel
corso delle nostre azioni. Infatti quando si fosse avuta la forza di rinunciare
all’inizio a qualsiasi attrazione lusingante dei sensi o dell’amor proprio, per
seguire in tutto solo le prospettive della fede con intenzioni pure, se in
seguito si dimentica di osservarsi da vicino, poiché il godimento attuale del
bene che si gusta o dell’interesse che si trova durante il godimento di alcune
azioni provocano impressioni sempre più forti, il cuore a poco a poco si
rammollisce, la natura, benché mortificata dai primi sacrifici, si risveglia e
riprende il suo ascendente; e ben presto l’amor proprio fa sottilmente cedere e
prepara a nostra insaputa le sue interessate mire, sostituendole al posto dei
buoni motivi in forza dei quali le nostre azioni sono state intraprese ed
incominciate
Occore osservarsi continuamente anche durante la
azione: la salvaguardia del cuore non è altro che l'attenzione rivolta ai moti
del proprio cuore e a tutto ciò che avviene nell'intriorità dell'uomo per
regolare la sua condotta con lo spirito di Dio e farlo adeguare al suo dovere e
alle obbligazioni del loro stato.
Rispetto alla mortificazione esteriore la
mortificazione interiore ricercata con tali sforzi presenta due vantaggi: 1) si
può spingerla lontano quanto si vuole senza timore di esagerare o di
oltrepassare i limiti della discrezione; 2) siccome quest'ultima si impegna
senza posa a far morire nel cuore tutte le passioni, il nemico non vi trova più
presa per le sue tentazioni, neppure per una specie di illusione, dal momento
che esse non possono mai provenire che da un amor proprio vivo o in se stesso o
in qualcuno dei suoi germogli, sciagurato frutto della maledetta linfa di Adamo.
Necessita però anche la pace dell'anima: 1)
perché è certo che lo spirito di Dio non abita e non opera che nella pace; 2) perché
la mancanza di questa pace è per l’anima ciò che la mancanza di salute è in
riferimento al corpo; e tutto ciò che turba ed altera la pace, che è quasi la salute dell’anima, la
rende debole, languida, malata e quasi incapace delle sue funzioni spirituali.
Per questa ragione S. Francesco di Sales ripete tanto di frequente nelle sue
opere che, dopo il peccato, niente è tanto funesto quanto il turbamento, il
rimpianto, l'inquietudine, la tristezza, che sono autentiche malattie
dell'anima.
Capitolo
9
Alcuni
importanti consigli per coloro che hanno cominciato ad entrare in questa
preghiera con l’ausilio delle pause d’attenzione
Occorre una grande attenzione per saper approfittare di tutti i momenti
favorevoli a questa preghiera. Infatti capita spesso alle persone di sentire
improvvisamente un certo raccoglimento di spirito, un improvviso gusto di Dio o
qualche altro moto ed effetto sensibili a volte dopo un altro pensiero, un buon
moto del cuore verso Dio, qualche grosso sacrificio o qualche piccola vittoria,
dopo la comunione, durante la messa, durante una pia lettura e in molte altre
occasioni. Ecco l’arrivo dello Spirito Santo, ecco il momento favorevole non
già di parlare a Dio bensì di ascoltarlo in grande silenzio nel profondo del
cuore per timore di turbare le sue divine operazioni con la sola attività dei
nostri atti ordinari. Occorre quindi sospenderli ed accontentarsi di rimanere
in ascolto il più a lungo possibile in uno stato di attenzione interiore di cui
Dio penetra bene il motivo e tutti gli atti che ne sono collegati.
Occorre cogliere i momenti opportuni per
ascoltare e non per parlare a Dio. Questi momenti di ascolto sono chiamati discernimento spirituale da S. Ignazio, ritiri spirituali da Francesco di Sales,
docilità alla condotta dello Spirito Santo
da Lallemant, salvaguardia del cuore
dal padre Rigoleuc.
Ci si forma così a poco a poco la felice abitudine di sapersi conservare in
pace, in attento silenzio davanti a Dio.
Il sapersi conservare in pace, in attento
silenzio davanti a Dio è molto più difficile di quanto si pensi. Questa
difficoltà deriva dal fatto che gli uomini tendono ad agire, e anche nel
rapporto con la divinità, come dice Caterina da Siena, tendono a dire, a fare
etc. senza voler rimanere passivi. Deriva ancora dal fatto che costa molto
rinunciare in tal modo a se stessi, ai propri pensieri, riflessioni,
operazioni, atti ordinari, per mantenersi nella semplicità di quegli atti
diretti del cuore, cosa che rappresenta una specie di morte all’attività
naturale dello spirito, forse addirittura quanto vi è di più mortificante, di
più umiliante nell’abnegazione di se stessi.
Precauzioni che vanno prese all'inizio della
pratica:
1) Dio manda molte consolazioni, che vanno prese
con grande equilibrio.
2) Bisogna combattere la voglia di compiere
molti atti, perché, se la gioia naturalmente chiassosa viene ad aumentare
l'attività interiore, si spegne facilmente il soave soffio dello Spirito Santo,
e, volendo avviare fuori tempo un colloquio di ringraziamento e d'amore, ci si
trova ben presto fuori del raccoglimento, si sente turbarsi la dolce pace e
spagnersi il fervore.
3) Niente curiosità per esaminare ciò che
avviene in noi; non bisogna volerci penetrare ulteriormente.
4) Evitare ogni specie di riflessione su di sé,
sul proprio raccoglimento: equivarrebbe a distogliere da Dio i nostri sguardi
interiori.
5) Non angustiarsi per ottenere o conservare il
raccoglimento, non bisogna esserne avidi.
6) Non bisogna lasciarsi andare a quelle
precauzioni che S. Teresa d’Avila tratta da superstizioni quando parla di
persone così gelose del loro dolce raccoglimento da non osare nè tossire, nè
muoversi, quasi neppure respirare, come se con questi movimenti necessari,
aggiunge S. Francesco di Sales, Dio volesse toglierci il favore che ci ha
appena fatto.
7) Occorre saper lasciar il raccoglimento e
perfino privarsene per qualche tempo, non solo per obbedienza, per dovere, ma
anche per carità, per zelo e perfino in occasione del minimo contrattempo
spesso appositamente orchestrato dalla provvidenza con lo scopo di provare la
docilità di un'anima che Dio vuole spogliare di tutte le proprie volontà per
rivestirla delle sue.
Vi sono distrazioni che non distolgono affatto
dalla preghiera, perché non sono che pensieri instabili che non fanno che
passare, apparire e scomparire come dei lampi; basta non preoccuparsene
affatto, dal momento che la pace dell’anima ha il sopravvento sulle distrazioni
lievi, proprio come il piacere di ascoltare un bel concerto o una bella voce la
spunta su qualche piccolo rumore provocato intorno.
Vi sono distrazioni che favoriscono il
raccoglimento 1) perché il puro timore di perdere quanto ormai si sente di
possedere raddoppia l’attenzione dello spirito e del cuore; 2) perché Dio se ne
serve per far meglio conoscere donde viene quel dolce raccoglimento: capita frequentemente
che dopo un certo raccoglimento acquisito con fatica e penoso da conservare, lo
spirito si dissipi per disattenzione e si fermi esteriormente in inutili
riflessioni; tuttavia nell’istante stsso in cui ci se ne avvede, si verifica
nell’anima non so quale movimento interiore, non so quale improvviso
ripiegamento di spirito; ci si sente improvisamente rientrare in se stessi
senza sapere perché o come; ci si trova in un raccoglimento del tutto diverso,
dolce, pacifico, profondo, durevole, addirittura senza sforzi.
Vi sono distrazioni che dividono sensibilmente
le facoltà dell’anima, per far meglio percepire la loro distinzione, la loro
differenza, che per essa è molto importante saper ben cogliere; in altre parole
si tratta di distrazioni che molto spesso non accadono che nell’immaginazione,
riempita di stravaganze, mentre lo spirito si trova occupato in una nozione
generale di Dio e il cuore da un sentimento di amore conforme a questa confusa
nozione; è una situazione molto penosa, senza nessun altro rimedio se non la
pazienza.
Altre volte lo spirito stesso si svia seguendo
l’immaginazione con grande turbolenza. Ma bisogna far attenzione a non
corrergli dietro, perché con il pretesto di fermare queste follie, di
ricondurre a sé l’immaginazione e lo spirito, si correrebbe il rischio di
perdere la santa quiete e il gusto el cuore; in tal caso non resta proprio
altro da fare che tenersi fermi solo
nella pace del cuore che, con la dolcezza della sua attrazione, richiamerà a
poco a poco questo spirito errante, quest’immaginazione vagabonda.
Inizialmente il raccoglimento nel cuore procede
indipendentemente dalla attività sregolata dello spirito e della immaginazione;
ma poi le attira a sé.
Non di rado nella vita quotidiana sperimentiamo
una separazione delle facoltà dell’anima. Quante volte infatti si sente nel proprio cuore una dolce passione, mentre
l’immaginazione e lo spirito non svolgono che pensieri tristi ed affliggenti?
Ma il fascino segreto del cuore a poco a poco richiama anche le altre due facoltà,
le conquista, se ne impadronisce con la sua dolcezza vittoriosa.
Capitolo
10
Consigli
utili alle persone progredite in questo tipo di preghiera
Successivamente arriva la aridità per i
progrediti. Si tratta di un raccoglimento chiamato secco o arido perché lo è
veramente ed è la forma più comune tra le anime progredite. In tale situazione
non bisogna affliggersi, inquietarsi, desolarsi.
Dice Fenelòn: “Dio non viene amato perché non è
conosciuto"
Un’anima già abituata al raccoglimento interiore
si accorge ben più presto di un’altra della sia pur minima distrazione e la
blocca più facilmente nel suo sorgere.
Quando ci si è formati al semplice sguardo
interiore, non appena ci si accorge della dissipazione, altro non resta da fare
nell’interiorità se non ciò che fa esteriormente colui che, alla presenza di un
uomo molto rispettabile, si sorprende a girare gli occhi qua e là ed allora si
decide a fissarli modestamente e senza sforzo alcuno sulla persona alla quale
si deve rispetto; allo stesso modo non si fa che girare su Dio gli sguardi
interiori che si erano rivolti altrove.
Supponiamo che durante questa aridità le
distrazioni diventino continue, violente, insuperabili, mescolate a follie, a
stravaganze, e alle più orribili tentazioni, come vengono raccontate nella vita
di alcuni santi. Non è certo che soltanto la volontà dipende assolutamente da
me? Soltanto essa quindi costituisce completamente il merito o il demerito
mediante i suoi liberi consensi; per questa ragione sono sicuro di non
acconsentire a niente; ecco la migliore di tutte le disapprovazioni: il mio
cuore lo fa senza posa, senza dir nulla. Perché? Per la continua fatica che ne
prova, senza di che avrei un bel fare i cosiddetti atti di disapprovazione; non
sarebbero che vane parole interiori, che in non poca gente creano spesso
illusioni.
“Si è
segretamente in pace in forza di quella volontà che si conserva nel fondo
dell’anima per sopportare la guerra” (Fénelon)
Vi sono punizioni, tra quelle inflitte da Dio,
peggiori nei mali che affliggono la vita?
Il desiderio di progredire sempre, senza
interruzione, è lodevole; ma se non vi entra nessuna specie di orgoglio e di
amor proprio sarà sempre molto sottomesso alla volontà di Dio e
conseguentemente senza inquietudine o turbamento. In caso diverso si
tratterebbe di volere il proprio progresso per compiacervisi piuttosto che per
piacere a Dio.
Tutto ciò che accade, ad eccezione del peccato,
accade per volontà di Dio, fino alla caduta di un solo capello della nostra
testa, di una foglia d’albero nelle foreste.
I teologi affermano che il vero amore di Dio
consiste precisamente nel volere in tutto ciò che Dio vuole.
E' verità di fede che tutto ciò che accade, ad
eccezione del peccato, accade per volontà di Dio.
Cristo dice: "Chiunque mi ama, farà la volontà
del padre mio"; "proprio perché l'amo, io faccio sempre ciò che a lui
piace e mi compiaccio sempre in ciò che egli fa"; "Ecco, ecco il mio
cibo, la mia vita e quanto è principalmente scritto di me".
La deiformità non è altro che l’unione, la
trasformazione della propria volontà in quella di Dio.
Si cerca di raggiungere una vera deiformità, una
perfetta identificazione con Cristo. San Paolo dice: "Non vivo più io, ma
è Gesù Cristo che vive, che parla, che vede e regna in me".
S. Teresa d’Avila dice che di tutte le unioni la
più preziosa e desiderabile è quella della volontà.
Alcuni si sono fatti delle false idee della
devozione e della perfezione, facendo leva soprattutto sul sensibile, pensando
di aver devozione solo nella misura in cui si sentono inteneriti e toccati,
credendo di fare preghiera solo nella misura in cui producono atti sensibili e
tangibili che si possono contare come i grani del rosario. Non impareremo mai a
cercare Dio attraverso la rettitudine del cuore, in semplicità di cuore, “in pura
fede”, come dice S. Paolo?
Capitolo
11
Il
vuoto dello spirito, le impotenze che ne derivano e le straordinarie rivolte
delle passioni
Per “vuoto dello spirito” si intende uno spirito
vuoto di ogni pensiero sia di Dio che del mondo. Mentre Dio per purificare
un’anima, per distaccarla e farla progredire sempre di più la tiene in questo
stato, a lei sembra di essere caduta in una specie di stupidità e di
imbecillità, dal momento che passa giorni interi, così almeno a lei pare, senza
pensare a nulla, non diversamente da un ceppo o da un tronco d’albero. Da ciò
deriva la cosiddetta impotenza di occuparsi di Dio o di qualche altro buon
pensiero. Se vuol riflettere il suo spirito si perde non so dove, perde di
vista se stesso o rimane completametne inebetito. Se vuole pregare, le vengono
impediti tutti gli atti ordinari; se vuole rientrare in se stessa, non
riuscirebbe a ritrovarne l’entrata, trovandosi così quasi bandita, esiliata dal
suo stesso cuore. Se vuole dedicarsi ad una lettura, legge più volte lo stesso
passo senza ritenere nulla.
Nel normale dialogo con il prossimo le stesse
persone nel corso di questa triste situazione interiore non cesseranno di
apparire normalmente agli altri in modo completamente diverso da come esse si
sentono, parlando a proposito, ragionando, pure scrivendo sulle cose di Dio con
una facilità e una unzione di cui esse stesse restano sorprese.
Le persone impegnate in questa via e in questo
stato transitorio, sono quasi costantemente occupate da Dio mediante semplici
atti diretti non percepiti.
La tristezza e il dolore che provano nel vedersi
incapaci di dedicarsi alle pratiche religiose provengono da un fondo di timore
filiale, da un amore ardente che divora e che consuma le anime con mille
desideri impotenti. Questi desideri che rimangono completamente nascosti e
sepolti in fondo al cuore riuscendo a
sbocciare soltanto con qualche sospiro furtivo, saranno visti da Dio “come vede
il frutto nel guscio” (Bossuet).
Si tratta di grida più profonde, più
impenetrabili, meno consolanti, ma tanto più vive, tanto più toccanti per Dio
che le ascolta.
Cristo dice: “là dove è il vostro tesoro, lì è
il vostro cuore”. Ciò avviene soprattutto in forza di quei sentimenti e di quei
semplici moti che volgarmente non vengono ritenuti atti, perché non
appartenengono al numero degli atti riflessi, sensibili e tangibili, e che per
questa ragione si chiamano atti semplici, diretti, ordinariamente non
percepiti. La bella riflessione di S. Agostino sviluppa ulteriormente questo principio:
“Tutte le cose sono mosse dal loro proprio peso: le leggere verso l’alto, le
pesanti in basso”. “Il mio peso, continua, è il mio amore: è la sua forza che
mi porta dovunque vado”. E aggiunge che si vive meno in sé che non nell’oggetto
amato; perché è là che si trovano ordinariamente i nostri desideri e i nostri
affetti che sono la vita del cuore. Da ciò deriva che un confessore non ha
scoperto la tendenza dominante di un avaro o di un impudico fino a quando non
intravvede confusamente nel suo cuore, non dico i peccati conosciuti e commesi
mediante atti riflessi, bensì un altro abisso impenetrabile di peccati nascosti
e sconosciuti di cui un cuore in preda alle passioni si macchia senza posa
mediante quei semplici e pressoché continui moti della passione di cui è
diventato schiavo; allo stesso modo quando mediante alcuni tratti o mediante
parole sfuggite un direttore ha finalmente conosciuto la disposizione abituale,
acquisita e dominante, di una delle persone di cui parliamo, comprende
facilmente che, nonostante le mancanze inevitabili per la fragilità o per la
debolezza umana, tutta l’interiorità di quest’anima tende ordinariamente verso
Dio, perché là dov’è il suo tesoro, là vi è anche e vi sarà il suo cuore
mediante quei semplici moti ed affetti che sono veramente degli atti, benché
chi è volgare non li conosca, e anzi mediante tutti quei diversi sentimenti, sia
d’amore o di odio, di speranza o di timore, di gioia o di tristezza, sia che ci
se ne accorga o che non ci se ne accorga. Un fascino segreto che vi è
nell’anima, quel peso d’amore spesso sconosciuto, la accompagna dovunque vada,
sia con lo spirito che con il cuore, con riflessione o senza riflessione, dice
Agostino, vivendo senza saperlo molto più nell’oggetto che non in se stessa.
Perciò dal momento che ritiene di aver ritrovato il tesoro che credeva perduto,
nell’interiorità tutto è calmo e sereno, la pace e la gioia ne scaturiscono
anche all’eterno.
Per tutto il tempo in cui durano queste prove ed
altre simili occorre evitare i turbamenti e gli scoraggiamenti volontari per
mantenersi in pace mediante la fiducia e il totale abbandono in Dio; aspettare
consolazione solo da Dio, non andare mai a mendicarne tra le sue creature,
neppure presso i suoi ministri, se non nel caso di necessità pressanti o per la
necessaria istruzione.
Occorre abbandonarsi una buona volta a Dio,
senza fine, senza limiti, senza nessuna riserva, in quanto è una massima
costante che nulla ferma il corso delle grazie e il progresso di un’anima
quanto queste riserve.
Se addirittura non si potesse fare alcun atto
sensibile di rassegnazione, di fiducia, di abbandono bisogna dirsi: “Bene! Non
ho forse voluto farlo? Dio ha quindi conosciuto il mio desiderio: questo basta,
perché in tutto ciò che riguarda specificamente l’interiorità, la volontà fa
tutto e Dio lo vede nel fondo più riposto dei nostri sensi".
Se talvolta ci sfuggono impazienze, tristezze,
turbamenti, scoraggiamenti volontari, dopo essersene umiliato e pentito occorre
sempre far ritorno subito a Dio e a se stessi con costanza eroica. Certe persone,
invece, si impazientiscono di essersi impazientite, si rattristano di essersi
rattristate, si turbano di essersi turbate, si scoraggiano di essersi
scoraggiate in un processo senza fine che finisce con lo sconvolgere
l’interiorità.
Se ci si trovasse nei confronti del mondo in uno
stato interiore analogo a quello in cui ci si trova ordinariamente a riguardo di Dio, se tutte le disposizioni
attuali ed abituali verso Dio fossero press’a poco le stesse tenute verso un
oggetto profano o criminale, si riterrebbe di essere a posto? Non risponderebbe
subito un direttore spirituale che ritrova tutti i sintomi di un cuore
guastato, pervertito, che finisce di corrompersi mediante tutti quei sentimenti
più profondi in cui non scorge che corruzione e peccato? Peccati in quei timori
che ci desolano, peccati in quei dubbi che ci affliggono, in quelle tristezze
che ci accasciano, in quelle specranze che animano la propria passione, nelle
gioie passeggere che l’infiammano, in mille altri sentimenti che servono solo ad
irritarla per raddoppiarne la violenza? Ebbene occorre molto di più per
progredire nelle vie del santo amore mediante le operazioni della grazia che
non per finire di pervertirsi nei rapidi progressi di un amore profano e
criminale?
Riguardo le angosce dell’anima durante la notte
oscura, il fatto che Dio sia lo scopo dei nostri desideri fa sì che anche le
passioni diventino strumenti di purificazione.
Pare che passioni e tentazioni si intensifichino
nel purificando, assumendo l'intensità di vere tempeste. In questo caso:
1) Ci si deve attenere ai consigli dati per le
pure privazioni.
2) Non si deve dimenticare che ciò che si
patisce nostro malgrado non è peccato bensì fonte di merito più grande, di
perfezione e di progresso, in quanto il cuore, agitato da tali violente scosse,
continuando a resistere per amore o per timore, si radica maggiormente nell’uno
e nell’altro, come i giovani alberi in grado di resistere alla violenza dei
venti gettano radici più profonde nella terra in cui li si è piantati.
3) Si ha solo bisogno di una invincibile
pazienza, accompagnata da un totale abbandono e dalla frequente preghiera di
essere preservati da ogni consenso.
4) Quanto più le rivolte e tentazioni saranno
violente, bizzarre, straordinarie, sia in se stesse che riguardo il carattere
delle persone, tanto più si deve prendere coraggio ed aver fiducia in Dio,
perché in tal caso la propria volontà
permissiva è particolarmente accentuata.
5) Occorre ricordare la risposta di Cristo a
Paolo che si duole dell’umiliazione dovuta al suo misterioso difetto: “ti basta
la mia grazia, perché la virtù si perfeziona nell’infermità”
Capitolo
12
Consigli
e chiarimenti utili alle persone progredite che hanno fatto grandi progressi
La purificazione va sempre crescendo quasi all’infinito
e di essa non si vedrà mai la fine in questa vita, e non è altro che il
distacco sempre più grande da tutto ciò che non è Dio. Tale distacco diventa
sempre più grande in proporzione sia alla grandezza delle prove sia alla
fedeltà nel sostenerle con maggiore fiducia ed abbandono in Dio, come è stato
detto.
Il primo vantaggio delle prove è il distacco
anche dai beni spirituali, dopo esserci distaccati da quelli temporali. In
quante persone di pietà non si rilevano
in riferimento a cose sante gli stessi attaccamenti alla loro volontà, che si
vedono nella gente di mondo in relazione alle cose profane! Quante altre
persone sono così gelose di tutte le
loro pratiche di devozione, delle loro minime consolazioni spirituali sia
interiori che esteriori, che, se Dio permette i più piccoli disguidi al
riguardo, ne saranno tanto turbate, rattristate, inquiete e di umore
altrettanto cattivo dei mondani in riferimento a tutto ciò che sconvolge i loro
piaceri.
Sono disordini tanto più pericolosi in quanto
non si impara a diffidarne né a conoscerli.
Vi è una infinità di tali disordini. Vi sono
infatti ambizioni, avarizie, sensualità, invidie, gelosie spirituali etc.
Se Dio non ci mette una mano, purificarsi da
tale corruzione quasi impercettibile è quasi impossibile; tuttavia mediante
ripetute prove e privazioni di ogni consolazione, di ogni sostegno sensibile,
Dio ci costringe a riconoscere i nostri veri attaccamenti, anche i più
mascherati, come costringe la gente per bene nel mondo a riconoscere certi
segreti impegnati con i beni della terra mediante la perdita di questi stessi
beni.
Per ottenere tale distacco ci sono due principi:
1) Bisogna distaccarsi da tutto ciò che non è
Dio per attaccarsi solo a Dio. Tutti i beni spirituali insieme, per quanto
preziosi e desiderabili per altri versi siano, non sono Dio; quindi non bisogna
attaccarvisi mai. Si può, si deve anzi stimarli, auspicarli, domandarli,
cercarli come mezzi per unirsi a Dio, ma mai bisogna attaccarvi il cuore;
significherebbe metterli al posto di Dio e capovolgere tutto cambiando i mezzi
in fine.
2) Niente può essere regolato se non seguendo
l’ordine di Dio. E l’ordine di Dio è: a) la gloria che egli deve a se stesso e
di cui non può spogliarsi; b) la felicità dell’uomo che dobbiamo alla sua pura
misericordia. Perciò, cercando la felicità e tutti i mezzi che vi conducono,
bisognerà avere primariamente e principalmente di mira la volontà di Dio e la
sua gloria che si identifica con essa. Rovesciare quest’ordine, ponendo al
primo posto ciò che non deve stare che al secondo, equivarrebbe a volersi
preferire a Dio e non adempiere mai il suo primo comandamento: “Amerete il
Signore Dio vostro con tutto il vostro spirito e con tutto il vostro cuore, con
tutte le vostre forze”. Conseguentemente, nella ricerca dei beni spirituali,
nel loro possesso o privazione devo essere sottomesso alla volontà di Dio,
dipendente da Dio, rassegnato, abbandonato a Dio, come lo devo essere in
rierimento ai beni temporali pur facendo da parte mia tutto ciò che posso per
acquistarli, conservarli, aumenttarli o recuperarli.
Senza dubbio, agli occhi dei peccatori appena
convertiti e di tutti i principianti le stesse imperfezioni delle persone
progredite appaiono una specie di perfezione. Ma pretendere di progredire
conservando qualcosa di creato, sia umano che divino, ciò che tutti intendono
come un vero attaccamento, è una cosa impossibile, perché significa voler
progredire nell’amore di Dio restando attaccati con il cuore a ciò che Dio non
è.
Persino coloro che hanno acquistato merito
presso Dio con le loro grida interiori nei più violenti sentimenti delle loro
privazioni, se talvolta succede loro di mancare volontariamente alla perfetta
sottomissione allora: 1) incominciano a perdere il merito e i buoni frutti
delle loro prove; 2) commettono peccati o imperfezioni proporzionatamente al
grado di libertà che rimane loro durante queste violente situazioni; 3) le loro
stesse prove ne risultano più forti e più lunghe. Tutto questo perché le nuove
mancanze hanno bisogno di nuove purificazioni.
L'amor proprio si attacca ai beni spirituali.
Occorre attaccarsi unicamente a Dio, e quindi rigettare anche i beni
spirituali.
Occorre, in sintesi, la "rinuncia all'uso
proprietario delle facoltà dell'anima" (De Caussade). Uno degli aspetti
più nascosti dell’amor proprio è l’appropriazione dello spirito, della memoria
e della volontà servendosene a suo
piacimento e con una certa indipendenza, anche quando sembra che se ne serva
soltanto per Dio dal quale le ha ricevute, come farebbe colui al quale venga
affidato un certo deposito affinché se ne serva solo per determinati usi, ma
che volesse poi determinarne sempre il modo e la maniera, come se ne fosse il
padrone assoluto. Anche alle persone più spirituali si riservano sempre la
maniera di servirsene, il modo di quest’uso, secondo la propria volontà, come
se anche in questo non dovessero essere interamente dipendenti da Dio. Lo
spogliamento da ciò consiste nel conservarsi in una continua dipendenza da Dio,
anche nell’uso più santo delle facoltà della nostra anima. Tale dipendenza
consiste nell’ascoltare, consultare, nel seguire in tutte le operazioni
interiori soltanto il movimento della grazia, senza voler mai prevenirlo ed
agire in modo diverso e senza andare più lontano di quanto essa conduca.
Infatti, come dice S. Teresa d’Avila: "non bisogna voler volare prima di
avere le ali"
Non bisogna attendere una mozione interiore per
compiere il proprio dovere: tutto ciò che è non solo dovere del proprio stato,
ma è secondo la ragione e il buon senso, è sempre volontà di Dio manifestata; a ciò non si deve
mai mancare; la continua dipendenza da Dio e dalla sua grazia va intesa in
riferimento a tutto ciò che è puramente libero e di nostra scelta. Vi sono
persone che si ostinano a voler compiere atti riflessi e di preghiera attiva
mentre Dio li chiama agli atti diretti di una pura e semplice attesa, che
Davide ha così bene espresso con l’immagine
di una serva che ha gli occhi fisse sulla sua padrona, non già per agire
da se stessa, bensì per tenersi tutta pronta e sempre disposta ad obbedire al
minimo batter d’occhio.
Quando Dio vede un’anima così disappropriata di
tutte le volontà proprie anche nell’uso santo delle sue facoltà, un’anima nella
quale egli non trova nulla di determinato dalla propria scelta, ma un smplice
desiderio che Dio operi in lei secondo il suo beneplacito, Dio agisce allora
senza il minimo ostacolo in tutta l’estensione della sua bontà e della sua
sapienza e secondo le disposizioni più convenienti al suo cuore così
desideroso, retto e semplice.
Queste persone, durante quasi tutta la giornata
devono vivere in preghiera di semplice raccoglimento o attivo o infuso o misto.
Cristo e san paolo dicono: pregate senza posa. Quando Dio le chiama a compiere
atti riflessi, affetti espressi, colloqui interiori, esse li compiono. Se
questo impulso della grazia viene meno, anche esse si fermano subito e si
mantengono di nuovo nel loro semplice raccoglimento, pieno di tutte quelle
silenziose attese, cariche di desiderio e sempre rassegnate.
Occorre conservarsi costantemente imprigionati
nella propria interiorità, quasi legati mani e piedi senza altri desideri o
movimenti all’infuori di quanto Dio vuole e di un’attesa continua di quanto
vorrà. Questa prigionia è tanto scomoda che, per conservarsi bene in essa, occorre
che ogni amor proprio e ogni attività naturale siano state precedentemente
quasi annientate a forza di prove e di impotenze e che Dio l’addolcisca poi con
certe attrazioni senza di che questa schiavitù interiore sarebbe insostenibile.
Il pericolo viene dalla grande voglia di agire
all’interno di se stessi secondo le proprie idee e a proprio piacimento,
secondo le prime forme più sensibili, più coscienti.
L'errore di quasi tutte le persone, anche
spirituali, consiste nel credere che si progredisca nella misura in cui si
compie con l'aiuto della grazia un numero piú grande di atti sensibili e
riflessi e ci si arricchisce visibilmente di certe grazie, favori e doni del
cielo. Gli inizi e i primi progressi avvengono in questo modo; ma il grande
avanzamento, e il relativo progresso, avviene al contrario per via di
spogliamento e di morte a tutto il sensibile per non vivere che per Dio.
Poiché Dio é un essere unico e semplice, quanto
piú ci si avvicina a questa unitá e semplicitá mediante gli atti diretti che non
lacerano affatto l'anima come i riflessi, tanto piú vi é proporzione tra Dio e
la creatura che deve unirsi con lui.
Perché Dio é un puro spirito ci si puó unire con
lui solo nella misura in cui si diventa un puro spirito, per quanto in questa
vita é possibile con le grazie speciali che Dio dá a questo scopo.
Conseguentemente quanto piú un'anima é spogliata della sensibilitá, cosa che si
chiama nuditá di spirito, tanto piú la sua unione con Dio si avvicina alla
perfezione, perché in tale circostanza ci sono meno intermediari tra Dio e
l'anima.
Queste anime fanno anche atti ordinari e
riflessi, ma in modo tanto profondo e tanto spirituale, tanto lontano dai
sensi, che dopo i loro piú lunghi colloqui con Dio esse non potrebbero
ricordare un solo atto.
L'anima progredita è assalita da un desiderio
violento di amare Dio mentre essa sente in un'impotenza di amare che la lacera;
ma questa impotenza è in realtà nient'altro che un amore insaziabile che non
può mai amare quanto vorrebbe.
Capitolo
13
Ricapitolazione
di quanto è stato detto
Nel cuore é l'origine di tutti gli atti riflessi
ed espressi sia con la bocca o con parole puramente interiori; infatti tutto
proviene dai liberi e tuttavia semplici moti del cuore e niente ne puó uscire,
in qualsiasi modo, senza essere stato precedentemente concepito. E' nel loro
concepimento che bisogna guardare questi atti diretti, benché spesso non si
possa generarli, per cosí dire, in nessun modo mediante atti riflessi.
Ciascuno si dedichi con impegno alla propria
preghiera normale, perché, da una parte, non ci possono essere pause di
attenzione senza preghiera e, dall'altra, nessuno puó abbandonare la propria
preghiera se non nella misura in cui Dio
e lo ritira a poco a poco, quando a lui piacerá e nel modo che vorrá. Siccome
Dio ordinariamente non si comunica che in proporzione alla purezza dell'anima,
ci si impegni quindi ad acquistare questi quattro tipi di purezza.
In mancanza di un'applicazione sufficientemente
costante alla purezza di coscienza o di
cuore o di spirito o di azione, la maggioranza delle anime buone non vanno mai
al di lá del piú basso grado del raccoglimento che si chiama misto, in parte
acquisito in parte infuso, praticato quasi sempre con molte imperfezioni e
talvolta cosí debole che, per mantenervisi, ha bisogno di ricorrere ai loro
primi atti discorsivi, ai loro antichi affetti interiori, espressi e
sviluppati.
(M.me Guyon) Lo scopo della preghiera consiste
nell'insegnare alle anime a gioire del loro fine che é Dio.
(M.me
Guyon) La vita dei sensi muove ed irrita la passione, anziché spegnerla; le
austeritá possono sí indebolire il corpo , mai peró la punta dei sensi o il
loro vigore. Una cosa sola puó farlo e consiste nel fatto che l'anima mediante
il raccoglimento rientri in se stessa per occuparsi di Dio che vi é presente.
Se essa rivolge tutta la sua forza e il suo vigore all'interno di se stessa,
lascia i sensi senza vigore; quanto piú progredisce e s'avvicina a Dio, tanto
piú si distacca da se stessa, lascia i sensi senza vigore; quanto piú progredisce
e s'avvicina a Dio, tanto piú si distacca da se stessa.
Appendice
Modo breve e
facile per fare la preghiera di fede e di semplice presenza di Dio
ad
opera di monsignor Bossuet, vescovo di Meaux
Bisogna abituarsi a nutrire la propria anima con
un semplice e amoroso sguardo in Dio e in Cristo; a questo scopo occorre
separarla dolcemente dal ragionamento, dal discorso e dalla moltitudine di
affetti, per mantenerla in semplicitá, rispetto ed attenzione e cosí
avvicinarla sempre piú a Dio.
La perfezione di questa vita consiste
nell'unione col nostro sovrano bene: quanto piú la semplicitá é grande, tanto
piú l'unione é perfetta. Per questo la grazia stimola interiormente coloro che
vogliono essere perfetti a semplificarsi.
La meditazione é molto buona a suo tempo e molto
utile all'inizio della vita spirituale.
Ma non bisogna fermarvisi, perché l'anima, in forza della sua fedeltá a
mortificarsi e a racccogliersi, riceve ordinariamente una preghiera piú pura e piú
intima, che si puó chiamare preghiera di semplicitá, che consiste in una
semplice intenzione, sguardo o attenzione amorosa in sé verso qualche oggetto divino, sia Gesú Cristo o
qualcuno dei suoi misteri o qualche altra veritá cristiana. L'anima, abbandonando
il ragionamento, si serve di una dolce contemplazione che la tiene in pace,
attenta ed aperta alle operazioni ed alle impressioni divine che lo Spirito
Santo le comunica: essa fa poco e riceve molto; il suo lavoro é dolce e ció
nonostante fruttuoso; quanto piú si avvicina sempre maggiormente alla fonte di
ogni bene, di ogni grazia e di ogni virtú, tanto più glie ne viene elargita con
maggiore abbondanza.
La pratica di questa preghiera deve incominciare
sin dal risveglio, facendo un atto di fede nella presenza di Dio, che é
ovunque, e di Gesú Cristo, i cui sguardi non ci abbandonano neppure quando
fossimo inabbissati al centro della terra. Quest'atto é compiuto in modo
semplice e ordinario, come nel caso che qualcuno dicesse interiormente: credo
ched il mio Dio é presente; oppure é un semplice ricordo di fede del Dio
presente, che avviene in modo piú puro e spirituale.
In seguito non bisogna darsi da fare a produrre
molti atti o disposizioni diverse, ma rimanere semplicemente attenti alla
presenza di Dio, esposti ai suoi divini sguardi, continuando cosí quella devota
attenzione o esposizione, finché Nostro Signore ce ne fará grazia, senza avere
fretta di fare altre cose se non ció che ci capita, dal momento che questa
preghiera é una preghiera con Dio solo e una unione che dispone l'anima alla
passivitá; in altre parole Dio diventa l'unico signore della sua interioritá e
vi opera in modo piú particolare di quanto ordinariamente avviene: quanto meno
la creatura lavora, tanto piú Dio opera potentemente; e poiché l'operazione di
Dio è una quiete, l'anima in questa preghiera diventa in qualche modo simile a
lui e ne riceve anche effetti meravigliosi; come i raggi del sole fanno
crescere, fiorire e fruttificare le piante, cosí l'anima che é attenta ed
esposta in tranquillitá ai raggi del divino sole di giustizia ne riceve meglio
i divini influssi, che l'arricchiscono di ogni specie di virtú.
Il perdurare di quest'attenzione di fede le
servirá per ringraziare Dio delle grazie ricevute durante la notte e in tutta
la vita, per offrire se stessa e tutte le sue azioni, per orientare
l'intenzione e per altro.
(M.me Guyon) Non é la mancanza di luce che
conduce a non distinguere piú le stelle, bensí l'eccesso di luce. Lo stesso
avviene in questo caso: la creatura non distingue piú il suo operare, perché
una luce forte e diffusa assorbe tutte le piccole luci distinte e le fa
completamente scomparire per il fatto che il suo eccesso le supera tutte.
(M.me Guyon) Bisogna assecondare i disegni di
Dio che mirano a spogliare l'anima delle sue operazioni per sostituirle con le
proprie. Lasciatelo dunque fare e non legatevi a nulla da soli, per quanto vi
sembri una cosa buona.
Tutto ció non impedisce che essa non produca
alcuni atti di virtú interiori o esteriori, quando vi si sentirá portata dal
movimento della grazia; ma la profonditá e lo stato ordinario della sua
interioritá deve essere costituita dalla suddetta attenzione di fede o unione
con Dio, che la terrá abbandonata tra le sue mani e dedicata al suo amore, per
realizzare in essa tutte le sue volontá.
(M.me Guyon) Per quanto riguarda la pratica,
essa deve tendere ad abbandonare senza posa qualsiasi volontá propria alla
volontá di Dio, a rinunciare a tutte le considerazioni particolari, per buone
che appaiano, non appena le si sente sorgere per mettersi in uno stato di
indifferenza e volere soltanto ció che Dio ha voluto sin dall'eternitá: essere
indifferente a tutte le cose, sia per quanto riguarda il corpo che l'anima, i
beni temporali ed eterni; lasciare il passato nell'oblio, il futuro alla
provvidenza e offrire il presente a Dio; accontentarsi del momento attuale che
ci mette in contatto con l'ordine eterno di Dio in noi.
(M.me Guyon) A proposito dell'esame di coscienza:
non appena si entra in questo modo di pregare, Dio non manca di rimproverare
l'anima per tutte le mancanze che fa. Non appena ha compiuto una mancanza,
sente un rimorso che glie la rimprovera; si tratta di un esame, compiuto da
Dio, che non lascia sfuggire nulla; all'anima non resta altro che rivolgersi
con semplicitá a Dio, soffrendo la pena e la correzione che le riserva.
Bisogna ricrearsi con la stessa disposizione per
dare al corpo e allo spirito alcuni sollievi senza dissiparsi con curiose
notizie, risa smodate o altre parole indiscrete, ecc. ma conservarsi puri e
liberi nell'interioritá, senza dar fastidio agli altri, unendosi frequentemente
con Dio con ritorni semplici e amorosi, ricordandosi che si é alla sua presenza
e che egli non vuole che in nessun nomento ci si separi da lui e dalla sua
santa volontá. Voler vedere tutto da Dio e andare da tutto a Dio é quanto
sostiene e fortifica l'anima in ogni specie di eventi e di occupazioni e quanto
ci conserva anche il possesso della semplicitá
Ci si deve comportare allo stesso modo e con lo
stesso spirito e conservarsi in questa semplice ed intima unione con Dio in
tutte le azioni e nella propria condotta in parlatorio, in cella, in refetorio
e in ricreazione e negli incontri col prossimo.
Infine si terminerá la giornata con questa santa
presenza, con l'esame di coscienza, con la
preghiera della sera, con il riposo; e ci si addormenterá con
quest'attenzione amorosa, frammezzando il riposo con alcune parole fervorose
piene d'unzione, quando ci si sveglia durante la notte, simili ad altrettante
frecce e grida del cuore verso Dio.
E' il caso di sottolineare che questa vera
semplicitá fa vivere in una morte continua e in un perfetto distacco, perché ci
fa andare a Dio con una perfetta rettitudine e senza fermarci in nessuna
creatura.
La fedeltá dei religiosi alle osservanze secondo
il loro istituto li fa continuamente morire a se stessi, al loro proprio
giudizio, alla propria volontá, alle inclinazioni e ripugnanze naturali e li
dispone cosí in modo ammirevole, ma sconosciuto, a quell'eccellente specie di
preghiera.
(M.me Guyon) La semplicitá di cui si parla è una
conversione verso l'interioritá che si ottiene soprattutto attraverso una
mortificazione degli occhi e dell'udito: se l'anima rivolge tutto il suo vigore
e la sua forza all'interno di se stessa, lascia i sensi senza vigore; quanto
piú progredisce e si avvicina a Dio, tanto piú si distacca da se stessa.
Occorre leggere i libri spirituali con
semplicitá e con spirito di preghiera e non spinti da una ricerca curiosa: si
intende che si legge a questo modo quando si lascia che si imprimano nella nostra
anima le illuminazioni e i sentimenti che la lettura ci svela e quando tale
impressione avviene per la presenza di Dio piuttosto che per la nostra abilitá.
(M.me Guyon) Per leggere con semplicitá occorre,
non appena si sente un piccolo raccoglimento, fermarsi e rimanere in pace,
leggendo poco e senza riprendere fino a quando ci si sente interiormente
attratti.
Durante la lettura è lo Spirito che ci
suggerisce il senso.
Una dei piú grandi segreti della vita spirituale
consiste nel fatto che lo Spirito Santo ci guida non solo con le illuminazioni,
con le dolcezze, con le consolazioni, con le tenerezze e con le facilitá, ma
anche con le oscuritá, con gli accecamenti, con le insensibilitá, con i
rimpianti, con le angosce, con le rivolte delle passioni e degli uomini; di
piú: questa via della croce é necessaria, é buona, é la migliore, la piú
garantita che ci fa arrivare molto piú presto alla perfezione.