Jean-Pierre De Caussade

Trattato sulla preghiera del cuore

 

 

 

 

   Notizie sull’autore

   Presentazione (Michel-Olphe Galliard, s.j.)

   Capitolo 1: La preghiera del cuore

   Capitolo 2: Nomi diversi attribuiti a questa preghiera

   Capitolo 3: Abusi ed errori da temere in questa preghiera

   Capitolo 4: L’umiltà che deve precedere questa preghiera e che vi si pratica in modo eccellente

   Capitolo 5: L’utilità di questa preghiera

   Capitolo 6: Le pause di attenzione

   Capitolo 7: La purezza di coscienza

   Capitolo 8: La purezza di cuore

   Capitolo 9: Alcuni importanti consigli per coloro che hanno cominciato ad entrare in questa preghiera con l’ausilio delle pause d’attenzione

   Capitolo 10: Consigli utili alle persone progredite in questo tipo di preghiera

   Capitolo 11: Il vuoto dello spirito, le impotenze che ne derivano e le straordinarie rivolte delle passioni

   Capitolo 12: Consigli e chiarimenti utili alle persone progredite che hanno fatto grandi progressi

   Capitolo 13: Ricapitolazione di quanto è stato detto

   Appendice: Modo breve e facile per fare la preghiera di fede e di semplice presenza di Dio ad opera di monsignor Bossuet, vescovo di Meaux

 

 

 

 

Notizie sull’autore

 

Jean-Pierre De Caussade nacque nel 1675 vicino a Cahors nella regione del Quercy (Guienna). Entrato nella Compagnia di Gesù nel 1693, ricoprì diversi incarichi di insegnamento, di predicazione e di governo, cambiando continuamente ruolo, soprattutto nel meridione della Francia, ma anche in Lorena per ben due volte. Fu particolarmente apprezzato come direttore spirituale delle Visitandine di Nancy. Le sue opere, rimaste inedite o pubblicate anonime, sono caratterizzate dalla tensione verso la maturazione spirituale raggiunta nell’esperienza di preghiera. Morì nel 1751.

 

 

 

 

Presentazione

(Michel-Olphe Galliard, s.j.)

 

La dottrina spirituale della preghiera del cuore è affine a quella dei gesuiti rappresentati da P. Louis Lallemant e dai suoi discepoli, tra i quali P. Surin era il più stimato. Naturalmente anche S. Francesco di Sales e S. Giovanna di Chantal sono tra le fonti principali di quest'insegnamento, e a loro bisogna aggiungere S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della croce.

Sono sinonimi: “pura preghiera del cuore", "preghiera del cuore", "quiete di dio", "preghiera di presenza di dio", "preghiera di silenzio", "preghiera cordiale", e, forse, “preghiera di quiete". A suo riguardo si usano anche termini come "pause d'attenzione", "preghiera di pace in Dio", "preghiera di fede", "preghiera di presenza di Dio", "preghiera di semplice sguardo", "preghiera di semplice raccoglimento", "semplice raccoglimento", "preghiera di silenzio", "preghiera dei gusti spirituali", "preghiera puramente cordiale dei gusti", "preghiera di semplicità".

Non sono da confondere le pause di attenzione con l'esperienza di rapimento che S. Teresa chiama "sospensione".

Quattro purezze favoriscono la preghiera del cuore: 1) purezza di coscienza che esclude il peccato; 2) purezza di cuore mediante il distacco da ciò che non è Dio; 3) purezza di spirito che esige una certa padronanza dell'immaginazione; 4) purezza dell'azione, che sta nella sottomissione della volontà all'ordine di Dio.

Le “pause d’attenzione” consistono nella sospensione delle riflessioni alimentate dalla meditazione. L’attenzione che caratterizza tale sospensione è un “atto diretto” che fissa lo sguardo interiore sulla presenza di Dio.

P. Surin aveva notato che le anime contemplative “hanno, per lo più per abitudine, la grazia di qualche pausa in presenza di Dio, che, per piccola che sia, deve essere loro sufficiente senza far ricorso ai vecchi metodi (discorsivi)”

Questa “pausa in presenza di Dio” è per Caussade il mezzo pratico per vivere la preghiera del cuore “attraverso la quale si apre la via della contemplazione”. Nel linguaggio di Caussade quest’ultima sarà “un’attenzione alla presenza di Dio”, come per Surin era “un semplice sguardo”.

Egli distingue la preghiera di cui si tratta e l’esperienza straordinaria che S. Teresa chiama “sospensione” e che è un “rapimento”, il cui verificarsi presuppone una grazia di “ordine affatto soprannaturale e divino”.

Le pause sono espressione di un desiderio che Dio vede e che non lo può lasciare insensibile. La fondatezza di tale affermazione trova riscontro negli effetti che tali “pause” producono: a volte sarà l’ingresso effettivo nel raccoglimento mediante una grazia divina che risponde all’umiltà della preghiera; sempre, comunque, il desiderio di entrarvi.

Nei periodi di aridità spirituale, che sembrano lasciare l’anima “senza fede, senza speranza, senza carità”, entra in gioco l’idea degli “atti semplici non percepiti”, la quale permette di affermare che l’anima non è inerte e privata della possibilità di agire, nonostante l’impressione così desolante di questo arido “vuoto”. La confessione di simile sofferenza attesta la sincerità di un attaccamento a Dio che di questa prova fa la salvaguardia dell’umiltà dell’anima.

L’essenziale della mistica caussadiana può esser sintetizzato in due principi: 1) “Dio solo: attaccarsi solo a lui e perciò distaccarsi da tutto ciò che non è lui; 2) Ammettere come regola di condotta soltanto l’”ordine di Dio”, cioè la sua gloria e la sua volontà. La sottomissine, che questa regola suppone, implica il distacco non soltanto dai beni temporali, ma anche dai beni spirituali, quindi dalle consolazioni e dai sentimenti di sicurezza, alimentati dal compiacimento in se stessi; ma tutto ciò implica un abbandono a Dio, fiducioso oltre che totale. La parola d’ordine è la necessità di “rinunciare all’uso proprietario delle facoltà dell’anima”.

 

 

 

 

Capitolo 1

La preghiera del cuore

 

La si chiama pura preghiera del cuore (prière purement cordiale, prière purement du coeur) per distinguerla da quella vocale, nella quale il cuore si esprime mediante la bocca, e da quella affettiva, nella quale il cuore si esprime mediante parole interiori, cioè mediante parole effettivamente pronunciate come le si pronuncerebbe esteriormente, qualora si avesse l’intenzione di far capire agli altri quanto in questo momento sta accadendo nel nostro cuore.

Questa pura preghiera del cuore si svolge quindi proprio nel cuore mediante atti non formulati, non espressi neppure interiormente, ma effettivamente vissuti nella profondità del cuore, oppure, come si esprime Bossuet, mediante semplici atti diretti, non riflessi, oppure, in altri termini, mediante una tendenza effettiva ed attuale del cuore verso Dio e verso ogni cosa amata per Dio.

Bossuet (Instruction sur les états d’oraison , libro V : «Atti diretti e riflessi, percepiti e non percepiti, ecc ») difende contro i “nuovi mistici” le esigenze della riflessione nella vita spirituale. Esso riserva al tempo della “pura contemplazione” la semplificazione degli atti intellettuali e volontari che sfocia nel “linguaggio del cuore”.

Una madre che ama teneramente il proprio figlio, quando lo guarda e pensa a lui anche per molto tempo, per tutto quel tempo sentirà nel cuore un amore attuale verso di lui, non già mediante atti formulati, espressi – ciò che è impossibile fare – bensì mediante semplici atti diretti, realmente vissuti nel suo cuore o, se si preferisce, mediante un unico atto continuato, protratto per tutto il tempo in cui lo guarda o pensa a lui.

Tutto questo viene vissuto in modo tanto reale e libero nei confronti di qualsiasi oggetto al quale il cuore si affeziona che, qualora tale oggetto sia criminale, si pecca veramente per tutto il tempo che lo si guarda o che vi si pensa con semplici inclinazioni del cuore, che, lungi dall’essere disapprovate, siano volute ed acconsentite, con quelle semplici tendenze del cuore alle quali si aderisce volontariamente; ed in tal caso non si pecca certo mediante atti formulati, espressi interiormente – si bada bene a non farlo; si vorrebbe piuttosto poter nascondere a se stessi questi misteri interiori di iniquità – si pecca invece mediante atti veramente vissuti nel cuore o mediante un solo e medesimo atto sussistente, perseverante, cosa che manifesta l’esistenza nel cuore di passioni, di malizia e di perversità ancora maggiori. Tutti gli atti vissuti esclusivamente nel cuore stanno davanti a Dio per il bene come vi stanno per il male, anche se con un valore esattamente opposto

Dio non vede il male vissuto  nel cuore mediante questi atti diretti non formulati meglio di quanto non veda il bene vissuto nella preghiera mediante atti semplici e della stessa specie.

Si tratta di atti vissuti e in nessun modo formulati

Di fronte a Dio hanno peso e valore sia i desideri a lui contrari sia quelli espressi mediante la preghiera del cuore.

La maggior parte delle persone virtuose ed anche i peccatori, qualora siano profondamente toccati, potrebbero fare facilmente, almeno ad intervalli, se la conoscessero bene, questa preghiera; infatti quando durante le meditazioni, le letture, le preghiere vocali ecc. sentono il loro cuore santamente toccato da qualche moto di pietà o di timore di Dio o di amore o di pentimento del passato, dal desiderio di far meglio per l’avvenire, chi impedisce loro in tali occasioni di abbandonarsi a quei semplici moti, di soffermarvisi per dar loro la possibilità di penetrare bene  fino in fondo all’anima? E successivamente, se ve n’è bisogno, dopo aver nuovamente suscitato tali sentimenti, chi impedisce loro di soffermarvisi ancora, di abbandonarvisi allo stesso modo, cercando di conservarne per tutto il tempo possibile tutte le semplici, eppur salutari, impressioni? Si darebbe spazio alle soavi impressioni della grazia che spesso si spengono o si interrompono a causa di eccessive agitazioni interiori o a causa delle proprie attività ordinarie.

Si tratta di moti di pietà o di timore di Dio o di amore, o da pentimento del passato, dal desiderio di far meglio per l'avvenire.

Le impressioni della grazia spesso di spengono o si interrompono a causa di eccessive agitazioni interiori o a causa delle proprie attività ordinarie.

Questi semplici atti puramente vissuti li si riconosce bene quando si riferiscono al male; infatti, se elargendo l’elemosina o praticando qualsiasi altra virtù, sorge nel mio cuore un semplice moto di vanità o di compiacenza che io non mi affretto ad allontanare, lasciandomi così travolgere dalla sua funesta dolcezza, mi accorgo subito di fare il male, mi accorgo che quest’atto del cuore per nulla espresso vizia tutta l’opera buona; e quanti hanno una certa delicatezza di coscienza non tralasciano di accusarsene, accusando anche la durata di questo semplice moto, al quale si è aderito per la verità soltanto con il cuore.

Tutta la bontà e la malizia dei nostri atti non hanno nessun’altra sorgente che il cuore, da cui proviene il bene e il male ed i diversi atti di queste semplici adesioni non vi aggiungono proprio nulla da soli, come dicono i teologi.

Esempi di atti del cuore volti al male: moti di vanità o compiacenza che sorgono nel cuore mentre si pratica la virtù (elemosina, ecc.)

La preghiera del cuore non deve e non può essere l’unico tipo di preghiera praticato: come potrebbe il cuore concepire e più ancora mantenersi in pie mozioni e in buoni desideri, se non viene mosso, toccato ed esplicitato? E come potrebbe esserlo senza una grazia speciale se non mediante la meditazione, la lettura, mediante diversi atti riflessi e discorsivi che devono mettere in cuore in movimento, in azione, e riscaldarlo quando si trova raffreddato?

Il compiere senza posa riflessioni o atti formulati esteriormente o interiormente costituisce una eccessiva sollecitudine che produce il turbamento invece della pace in cui Dio dimora ed opera; in altri nasce disgusto, noia, scoraggiamento nella preghiera, dal momento che sentono venir meno ciò che comunemente si chiama atti, benché quelli di cui stiamo parlando sussistono ancora nel cuore che è stato mosso e toccato o possano facilmente sussistervi, qualora si fosse in grado di conoscerli bene, di soffermarvisi, di dimorarvi mediante una semplice attenzione e di accontentarsene come della parte migliore della preghiera e di ciò che costituisce propriamente la preghiera… Infatti gli stessi atti formulati, espressi interiormente, hanno valore davanti a Dio solo in virtù di questi atti diretti, vissuti cioè  nel cuore prima di poter venire  in qualche modo formulati.

Dio intuisce perfino il primo moto di un cuore che si muove per concepire un semplice desiderio, secondo la bella espressione del grande vescovo di Meaux.

La preghiera del cuore è la più perfetta e potente di tutte. Infatti, costituisce il linguaggio naturale del cuore.

Si tratta di quelle grida interiori di cui parla S. Paolo, dei gemiti ineffabili anche per colui che li porta verso il cielo senza parole vocali o onteriori, troppo deboli per esprimere il semplice linguaggio del cuore.

Si tratta di un silenzio interiore  di rispetto, di ammirazione e di amore.

 

 

 

 

Capitolo 2

Nomi diversi attribuiti a questa preghiera

 

Per le persone di preghiera una parola bene appropriata della scrittura, una sola rappresentazione di qualcuno dei santi misteri, un determinato ricordo  di Dio e di Gesù Cristo è sufficiente per toccare, smuovere ed occupare santamente il cuore per una mezz’ora e talvolta per un’intera ora con questa pura preghiera.

Secondo la definizione di J.-J. Surin "si tratta di una pura quiete dell’anima, durante la quale essa ascolta e conosce le cose divine, senza far fatica a mantenersi alla presenza di Dio e a considerare con affetto le cose celesti".

Viene chiamata volta a volta “preghiera di pace di Dio” (J.J. Surin); “preghiera di fede” (Lallemant); “semplice raccoglimento” (De Caussade); “preghiera di silenzio” (S. Agostino); “preghiera dei gusti spirituali” (S. Teresa d’Avila).

S. Teresa d’Avila chiama “preghiera di semplice raccoglimento” l’entrata nella contemplazione mistica, praticamente da lei confusa con la preghiera di quiete. Essa distingue due tipi di raccoglimento: il primo è “un’abitudine che resta in nostro potere”, il secondo “è qualcosa di soprannaturale che non possiamo procurarci con i nostri sforzi, per grandi che siano”.

Lo spirito e il cuore non si riposano, come il corpo, cessando di agire, bensì continuando l'azione, ma in un modo più dolce che allieta la nostra anima. Così quando un avaro lascia riposare il suo spirito e il suo cuore, cioè i suoi pensieri ed affetti, nel suo tesoro; quando l'amante profano si lascia riposare nell'oggetto della sua passione ed ognuno in ciò che ama, gli uni e gli altri non cessano affatto per questo di agire. Non restano affatto oziosi, ma sono criminosamente occupati per tutto il tempo che dura quella funesta quiete di spirito e di cuore.

Questo perché gli uni e gli altri continuano a mantenere volontariamente i loro pensieri ed affetti fissati sul loro oggetto, vi si adagiano come nel loro centro; e ciò costituisce, secondo San Paolo, un'autentica idolatria del cuore; allo stesso modo quando un'anima è abituata dalla meditazione, dalla lettura, dalla preghiera e da certi altri esercizi a pensare a Dio, ad occuparsene interiormente, desta forse meraviglia se al momento della preghiera tutto ciò che risveglia in essa il soave ricordo delle passate impressioni fermi e fissi tutti i suoi pensieri ed affetti là dove c'è il suo tesoro, là dove ha già posto il suo cuore?

Come si può guardare gli oggetti materiali con gli occhi del corpo e quelli spirituali con gli occhi dello spirito, così si può pure guardare quelli divini e Dio stesso con gli occhi della fede.

L'anima può disertare la preghiera nel momento in cui esce fuori da se stessa, mediante pensieri ed affetti che vengono così a trovarsi diffusi e quasi dispersi sugli oggetti sensibili.

Con la preghiera del cuore lo spirito si rifugia per così dire su se stesso, dice S. Francesco di Sales, quasi come una chiocciola rientra nel suo guscio, secondo l'espressione di S. Teresa; ciò avviene nella prospettiva di dedicarsi a Dio che dimora nel centro dell'anima, nel più intimo della sua sostanza che è il suo tempio vivente, come dice l'apostolo.

Dio si fa conoscere molto di più attraverso il cuore che gusta e ama che non attraverso lo spirito che riflette e ragiona.

Come accade che a forza di gustare il mondo ed i piaceri ci si attacca sempre più fortemente ad esso, per la stessa ragone succede di vedere che anime semplici, senza studi, senza capacità di penetrazione, hanno più alte idee di Dio, sentimenti di Dio più profondi che non gli spiriti più sublimi nelle loro speculazioni.

Ugo di S. Vittore parla dei sintomi di questo stato: “Cosa mi tocca e mi allieta con tanta soavità e veemenza che incomincio in qualche modo ad alienarmi da me stesso? Mi sento elevare, ma senza sapere dove; la mia coscienza si allieta, il mio cuore si infiamma, perdo il ricordo dei miei mali, i miei desideri sono soddisfatti, abbraccio dentro di me non so che cosa con una specie di braccia di amore…”

In assenza dei vostri atti abituali, sentite che il vostro spirito è interiormente molto distaccato dalle cose della terra, completamente occupato da Dio, o rivolto verso Dio. Sentite il vostro cuore riempito da un certo gusto di Dio o da una grande pace e tranquillità alla presenza di Dio. Successivamente, nel corso della giornata, vi scoprite meno dissipati e più coraggiosi nell’evitare il male e praticare il bene

Molti autori, soprattutto tra gli antichi, parlano di questa preghiera soltanto sotto il nome di contemplazione

Si tratta in realtà di un puro atto di abbandono totale, ma abbastanza prolungato, mantenuto e perseverante nell’anima da meritare di essere chiamato non già un semplice atto, bensì una preghiera.

Vi sono nei Profeti, nei Salmi, nell’Antico e nel Nuovo Testamento, molti passi nei quali si parla di questa preghiera, ma in modo breve e velato. S. Dionigi, discepolo degli apostoli e dopo di lui la maggioranza dei Padri della Chiesa e dei più celebri scrittori spirituali ne hanno degnamente parlato.

 

 

 

 

Capitolo 3

Abusi ed errori da temere in questa preghiera

 

Si conosce l’albero dai frutti che porta; quindi ogni preghiera che mediante la sua pratica riforma, cambia, regola a poco a poco la condotta, i costumi, le azioni, le parole, i sentimenti, in una parola tutta l’esteriorità e l’interiorità, è incontestabilmente un’eccellente preghiera; se non presenta questi buoni effetti, allora diventa sospetta.

Dovunque c’è il vero raccoglimento, gli effetti e i frutti sono sensibili e tangibili in un arco di tempo abbastanza breve.

Questa preghiera, essendo più efficace di tutte, deve anche manifestarsi più presto mediante le opere; conseguentemente non bisogna attendere tanto a lungo per vederne i frutti, cosa che deve avvenire molto facilmente. Nel caso di una persona che si applicasse a questa semplice preghiera, se il direttore spirituale non percepisse in lei nessun notevole cambiamento entro lo spazio di due o tre mesi, dovrebbe cominciare a diffidare della bontà o per parlare più correttamente, della verità del  raccoglimento e successivamente non dovrebbe esitare a trattarla come pura immaginazione.

Se il raccoglimento è puramente attivo, senza nulla di infuso (cioè senza la grazia speciale che caratterizza la contemplazione passiva anche nel suo grado più basso, pur non escludendo la grazia ordinaria, cosa che si riconosce dalla difficoltà di applicarvisi e mantenervisi) è molto meno efficace e i frutti impiegano un po’ più tempo per manifestarsi.

Nella via semplice del raccoglimento ordinario, anche infuso, di cui parliamo, non c’è mai niente di straordinario (visioni, rivelazioni, estasi…)

Non vi è nessuna illusione di temere per la persona interessata, seguendo la regola del Beato Giovanni della Croce: 1. Respinga ordinariamente tutto ciò che le sembra straordinario. 2. non ne parli mai con il pretesto di esaminare donde vengono i fenomeni. 3. non se ne occupi mai volontariamente. "In tal modo – dice questo santo – si è al riparo dagli inganni del demonio".

 

 

 

 

Capitolo 4

L’umiltà che deve precedere questa preghiera e che vi si pratica in modo eccellente

 

Si tratta della più umiliante e della più annientante di tutte le preghiere

Questa preghiera non gonfia lo spirito alla maniera delle scienze umane, quanto piuttosto lo abbassa, lo umilia, lo annienta mediante il semplice sguardo del grande Tutto che è Dio e del nulla della creatura. Inabissa lo spirito nelle sante tenebre della fede, nelle quali si ha soltanto una nozione vaga, generale e confusa di Dio, senza forma o immagine o prospettive distinte; nelle quali si sente in verità che si ama ma senza sapere né chi né come. In essa ci si impoverisce di tutte le luci naturali e delle proprie grandi conoscenze, dei propri bei pensieri, delle proprie ricche idee, per rimanervi completamente povero di spirito.

Cristo diceva: “Vi rendo grazie, Padre onnipotente, perché vi è piaciuto rivelare queste cose agli umili, mentre le nascondete ai sapienti, ai superbi, agli illuminati, ai prudenti del secolo”. S. Bonaventura, trattando a fondo press’a poco il medesimo tema qui affrontato solo superficialmente, proibisce ai suoi discepoli di parlarne ai non dotti: "Cave ne…" ecc.

Ma scrivendo su questo argomento non si contravviene alla proibizione di S. Bonaventura e di S. Dionigi? Per niente. Infatti: 1) non c’è pericolo  che leggano questo scritto coloro ai quali si proibisce di parlarne;  2) questo non è che un piccolo saggio o piuttosto un preludio, un semplice avvio alla dottrina di questi santi e devoti personaggi; 3) quanto qui è detto ha soprattutto lo scopo di far recedere da alcuni pregiudizi molta gente di spirito e di virtù.

Per comprendere bene e praticare questa preghiera occorre un certo abbassamento di spirito, una certa sfiducia verso se stessi: verso il proprio sapere, verso le proprie certezze.

E' la preghiera dei deboli; le anime forti e coraggiose, dice S. Teresa d’Avila, non hanno infatti bisogno per farle camminare sulla vita della virtù, che Dio le spinga senza posa e le tenga per mano come piccoli fanciulli. Invece, con la preghiera del cuore, sentiamo di non aver alcun merito, ma che tutte le operazioni provengono dalla grazia.

Le persone abituate a questa preghiera divengono in grado di discernere e sentire ciò che viene dalla realtà loro propria e ciò che hanno di estraneo e di preso a prestito in tutto ciò che fanno, dicono o pensano (cioè le operazioni dello Spirito Santo).

E’ lo Spirito Santo che opera, che fa tutto in noi in modo tanto profondo e nascosto che si sente la sua libera cooperazione, in quanto essa avviene attraverso quegli atti diretti, non riflessi, non percepiti, di cui parla Bossuet. Soprattutto nelle fasi iniziali queste operazioni interiori diventano molto sensibili, si sente bene che non vengono dalla nostra profondità, che si tratta di qualcosa di così strano e importante che è impossibile attribuirlo a se stesso.

Esiste un amor proprio segreto tanto naturale e forse tanto frequente quanto la respirazione.

Si entra in una nozione semplice o meglio in un semplice sentimento di  quella sovrana grandezza che tutto assorbe, che tutto abbraccia. Ci si sente molto piccoli, tutto sembra annientato davanti a colui che è. Questo non avviene attraverso idee distinte, ma attraverso un sentimento segreto ed oscuro. Allo stesso modo non già durante l’oscurità di questa preghiera, bensì successivamente in circostanze favorevoli questi sentimenti  e queste idee confuse si sviluppano mediante conoscenze e certezze riguardanti il presente in persone per altri versi semplici e prive di studi.

Il divino raccoglimento entra ripetutamente nel profondo abisso della propria miseria, della propria debolezza, della propria impotenza a fare qualsiasi bene, di una perversità e corruzione del cuore che ci rende tutti capaci degli stessi disordini, eccessi, abominazioni; da ciò nasce quel disprezzo, quell’odio, quell’orrore verso se stessi, quella sfiducia così viva, così incalzante, come se attualmente  ci si sentisse  travolti verso ogni specie di crimini e sul punto di commetterli.

Coloro che non la hanno praticata non hanno mai imparato i bassi sentimenti che si provano verso se stessi nell'esercizio di questa preghiera.

Questa preghiera è tanto necessaria che senza di essa non vi è più alcun merito in nessuna specie di preghiera.

 

 

 

 

Capitolo 5

L’utilità di questa preghiera

 

Si va a Dio con la meditazione, ma lentamente e con fatica, come coloro che camminano a piedi; vi si va con la preghiera affettiva, già più velocemente e con minor fatica, come coloro che vanno a cavallo; vi si va con la pregheira di semplice raccoglimento molto velocemente e senza molta fatica, come coloro che navigano in mare aperto su un buon vascello con vento favorevole.

Non vi è quasi nessun santo che non abbia praticato questa preghiera.

Talvolta si sente i direttori spirituali più sperimentati lamentare in generale la scarsità di progresso di un grande numero di persone che, giunte ad una certa mediocrità di virtù, vi rimangono per tutta la vita; ma questi direttori confessano anche che, se sopraggiunge la preghiera del cuore, la direzione di queste stesse persone diventa ben presto più facile, più efficace e le si vede progredire ed avanzare a grandi passi con molto meno lavoro da parte loro.

Un peccatore pentito rivelò che approssimandosi il tempo della sua conversione egli si era dato alla solitudine; leggeva spesso ma molto poco; non riusciva a meditare né a pregare e ciò lo angustiava. Se ne conclude che era il suo cuore contrito che pregava per lui con la preghiera del cuore.

Questo peccatore pentito, senza ripetere continuamente le stesse parole cercava di conservarne i medesimi sentimenti e le segrete impressioni  il più lungamente possibile, cosa che appariva visibilmente dall’umile atteggiamento del suo corpo.

Molte persone semplici che si trattengono a lungo nelle chiese ripetendo sempre le sesse parole ad intervalli molto distanziati attuano la preghiera del cuore, che non ha bisogno di parole.

Tutti pensano allo stesso modo di non meditare mai bene, né di leggere con frutto, se non vivono in uno stato di perpetua agitazione per accumulare riflessioni su riflessioni, preghiere su preghiere, letture su letture; e passeranno così tutta la loro vita senza riuscire mai ad apprendere dalle anime semplici il grande segreto di sapersi mantenere di quando in quando un po’ in pace e in silenzio, attenti davanti a Dio, non solo quando mediante alcune sollecitazioni interiori cerca di attirarli verso quella santa quiete che è il frutto principale della preghiera; infatti per un verso si cerca solo Dio per trovarlo, per unirsi con lui, riposarsi in lui che è il centro del cuore, l’unico oggetto del suo vero riposo, come dice S. Agostino.

Si dovrebbe procedere dolcemente e fare piccole pause di attenzione durante tuti  i nostri esercizi di pietà.

Bisogna pregare lentamente e con le pause di attenzione.

 

 

 

 

Capitolo 6

Le pause di attenzione

 

Occorre procedere lentamente, dolcemente, parola per parola, sia vocale che interiore per i motivi seguenti: 1) per evitare ogni sforzo dannoso, ogni tensione dello spirito; 2) perché quanto normalmente viene preso per fervore, lungi dall’essere nel cuore o nello spirito, non è che un ardore del sangue o dell’immaginazione, una pura attività naturale che è una grande imperfezione se opposta alla dolce pace dello spirito di Dio, che non va tollerata che nei principianti.

Ogni impetuosità, alterando la pace dell’interiorità, vi spegne lo spirito pacifico di Dio o impedisce di sentirne le dolci impressioni, proprio come non si riuscirebbe a percepire le soavi agitazoni di un leggero zeffiro che non fa che increspare la superficie delle acque in uno stagno tranquillo, se in quel momento vi si getta una pietra.

In forme più alte del raccoglimento ordinario si parla a Dio attraverso quei tipi di parole interiori che si sentono in fondo all’anima, dice S. Teresa [Vita , XXV], proprio come se qualcuno le pronunciasse a viva voce alle nostre orecchie.

Dio parla attraverso le sue illuminazioni, attraverso le sue ispirazioni: bisogna dunque fermarsi per accoglierle.

Dio parla operando, perché per Dio parlare e fare quanto vuole è la stessa cosa. Bisogna quindi fermarsi di quando in quando  per fare spazio alle impressioni che Dio vuole produrre nei nostri cuori e nella nostra volontà che egli muove, orienta, plasma come gli sembra bene, in modo incomprensibile, ma, se non trova ostacoli, molto più facilmente di quanto la mano più esperta non sappia manipolare a suo piacimento un pezzo di cera molle.

Dio parla donando quanto gli si è chiesto. Fermiamoci ad intervalli e sospendiamo le nostre grida interiori per dare ai nostri desideri e alla nostra confidenza il tempo di dilatare bene e di aprire questo cuore in cui Dio, con le sue divine infusioni, deve far scorrere tanto soavemente quanto segretamente le grazie fermamente sperate e pazientemente attese

Le pause di attenzione si realizzano soltanto mediante la sospensione degli atti che si chiamano ordinari, formali, espliciti, riflessi, per applicarsi in tal modo all’interiorità e a quanto vi succede, press’a poco come quando si è sul punto di ascoltare una bella voce o una piacevole sinfonia, ognuno nell’attesa sospende i suoi pensieri, le riflessioni, i moti interiori, per essere maggiormente attento a quanto si spera di ascoltare. Sospensione e attesa, che da sole, sarebbero criminali, qualora lo fosse la cosa attesa. In questa sospensione attenta quindi, rimangono degli atti o, per parlare più correttamente, anche la sospensione, anche l’attesa sono dei veri atti, appartenenti al numero di quelli che il monsignore di Meaux [Instruction sur les ètats d’oraison , Libri V, XX, XXI] chiama diretti, non riflessi, in un certo senso non percepiti, cioè non percepiti mediante riflessione esplicita, ma soltanto mediante il puro sentimento che se ne ha nell’anima senza avvedersene, come succede in certe altre situazioni puramente naturali.

La sospensione di cui si parla qui non va confusa con quella completamente divina di cui parla S. Teresa.

Questa sospensione nel rapimento stesso – anche quella soprannaturale e divina, di cui parla S. Teresa d’Avila – non è priva di atti, dal momento che Dio sospende allora le potenze dell’anima e le sue normali operazioni solo per elevarle fino a farle produrre atti di ordine superiore, completamente soprannaturale e divino.

Alle persone che vivono questo raccoglimento si dice che per un certo tempo devono tenersi davanti a Dio o come una tela ben tesa davanti a colui che, con il pennello in mano, sta per dipingerla, o come una pietra tra le mani di colui che la gira e la rigira per tagliarla e modellarla a suo piacimento.

Possiamo fare il paragone di un’uomo che, per essere guarito da determinate malattie, nonostante tutte le sue ripugnanze si abbandona come un corpo morto a tutte le operazioni della medicina e della chirurgia.

Ecco il tipo di abbandono che si fa capire e praticare mediante questi paragoni: abbandono fermo e sostenuto per tutto il tempo che si può mantenervisi, abbandono che è uno degli atti più eroici di quella perfetta rinuncia e di quella morte a se stessi di cui parlano tutti i libri e soprattutto l’Imitazione di Gesù Cristo. Coloro che proveranno sentiranno allora per esperienza propria quanto costa alla natura, allo spirito e al cuore umano, non dico rimanere per lungo tempo completamente abbandonati a Dio nell’interiorità, ma solo compierne l’atto sincero e mantenervisi per uno o due minuti, tanto è difficile questa pretesa oziosità e passività che essi avevano immaginato.

Le pause debbono essere più o meno lunghe a seconda della capacità di ognuno, in quanto i principianti, che non hanno ancora né l’abitudine né la facilità di sapersi mantenere in pace e in silenzio, attenti davanti a Dio, devono farle ancora molto brevi. Nella misura in cui si progredisce, esse diventano quasi naturalmente più agevoli e più lunghe sia in virtù delle disposizioni acquisite che del sopraggiungere di qualche inizio di attrattiva.

Le pause debbono durare per tutto il tempo nel quale si sente nel cuore qualche buon sentimento eccitato o da qualche pia riflessione o da un atto affettivo o da qualche piccola attrazione interiore. E quando questi moti interiori passano, si cerca delicatamente di risvegliarli mediante gli stessi affetti o con altri simili, sempre ugualmente seguiti da nuove pause di attenzione; e così si continua fino al termine della preghiera.

Bisogna concludere che occorre mettersi in silenzio e rimanervi, come nelle audizioni, tutte le volte e per tutto il tempo che si sente o un desiderio di amare Dio, di unirsi con lui, o una dolce pace alla sua presenza, o un semplice gusto della pietà, o soltanto una grande calma nell’interiorità, una certa pace che non si è abituati a provare: quella pace che Gesù Cristo risorto donava sempre ai discepoli quando li incontrava: “Pax vobis!”, quella calma profonda delle nostre passioni che mostra, dice il beato Giovanni della Croce, “che in quel momento Dio mette a suo modo la pace e l’amore nella profondità del nostro cuore” [Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore , in particolare commenti del verso 3 della stessa strofa, dove il santo analizza le tappe della purificazione passiva e ha di mira soprattutto i direttori incompetenti che ostacolano i progressi delle anime chiamate all’unione divina].

Se le distrazioni e i pensieri durante le pause, anche i più criminosi, sono involontari, non nuocciono più di quanto non lo facciano in tutto il resto della preghiera e durante tutte le altre preghiere: tutto ciò, al contrario, pazientemente sopportato, è un grande motivo di merito; è allora, dicono i nostri maestri, che facciamo la preghiera di pazienza.

L’aver fatto per un tempo considerevole le preghiere con queste pause di attenzione senza aver mai provato nulla di ciò che è stato detto è tutt’altro che tempo perso. Allo stesso modo in cui Dio vede l’intenzione criminale di uno scellerato che aspetterà ore intere per fare il suo colpo, vede anche la buona intenzione delle pause di attenzione allo scopo di ascoltarlo meglio in silenzio, di essere meglio disposto a ricevere le sue illuminazioni, le sue impressioni, le sue operazioni, quando egli vorrà. Non occorre niente di più per acquisire meriti che per demeritare.

Inoltre, Dio vede  tutti i diversi atti vissuti, benché non formulati, durante le silenziose pause di attenzione:

1) Atti di viva fede, in quanto non si riuscirebbe a rimanere  in silenzio attento, se non si credesse fermamente che Dio è ovunque, che ci guarda, che penetra fino nella preparazione attuale del nostro cuore e che è abbastanza potente e abbastanza buono da voler risponderci con le grazie di cui sa che si ha maggiormente bisogno.

2) Atti di desiderio e di speranza che costituiscono l’essenza della preghiera, in quanto si attende solo nella misura in cui si desidera e si speara.

3) Atti di grande sfiducia verso se stessi e di piena fiducia in Dio, dal momento che si fanno cessare le proprie ordinarie operazioni solo perché si conta molto di più su quelle di Dio.

4) Atti della più grande umiltà, volendo rimanere davanti a Dio, secondo l’espressione del profeta, come una bestia da soma, alla quale il silenzio conviene meglio della parola davanti alla sua suprema maestà.

5) Atti di rassegnazione e di perfetto abbandono, dal momento che si è pronti a tutto, disposti a vedersi respinti o esauditi, rigettati o ascoltati secondo che piacerà al proprio Dio davanti al quale si rimane fermo nonostante tutte le distrazioni ed aridità interiori durante queste pause, talvolta molto penose, e durante queste attese molto noiose. Anche se durante le pause si attenzione non si pensa più a tutto ciò, tuttavia lo si pratica attualmente, e questo basta: la  propria attesa carica di desiderio comprende tutto ciò.

Quando un peccatore commette un crimine, di solito non pensa ad altro che a soddisfare la sua passione e non pensa affatto alla sua ingratitudine né all’abuso delle grazie, né al disprezzo delle parole e delle promesse di un Dio e neppure al sangue di Gesù Cristo o a tante altre prevaricazioni che i libri e i predicatori gli  rimproverano senza posa. Perché, dicono i teologi, tutto ciò è compreso nel suo atto libero. Perciò si ritiene che l’uomo di preghiera  veglia in modo efficace e pratico tutti i buoni atti di cui ho parlato, dal momento che sono tutti compresi in quelle pause volontarie, silenziose, attente, cariche di desiderio, umili e completamente rassegnate.

Ogni uomo che preghi regolarmente o faccia una lunga lettura in forma di meditazione si trova già in grado di entrare  nella pura preghiera del cuore; in realtà ciò accade più o meno facilmente a secondo delle buone disposizioni di cui parleremo tra poco. Egli si trova in certo qual modo all’ingresso di questo santo raccoglimento senza rischi e pericoli.

Secondo l’espressione di S. Agostino, “dopo aver gemuto, bussato, picchiato alla porta del padre celeste, attendo spesso senza scoraggiarmi, in pace e in attento silenzio, quanto alla bontà di Dio o alla sua pure liberalità piacerà di accordarmi”.

Talvolta i più grandi peccatori, vivamente toccati dalle loro colpe e dal desiderio di convertirsi, a forza di attese umili, desiderose e rassegnate otterranno che le loro meditazioni, letture, preghiere, ecc. siano molto presto intercalate da un raccoglimento a volte attivo, a volte in parte acquisito in parte infuso, affinché possano in tal modo più efficacemente  e più prontamente  giungere a quella completa conversione per la quale lavorano già con tutte le loro capacità.

A forza di praticare quanto si è detto e a forza di provare da parte di Dio quanto si dirà, la preghiera si trasforma a poco a poco in puro raccoglimento, in dolce pace del cuore in Dio.

Il raccoglimento può diventare abituale attraverso un certo ricordo di Dio ed una santa impressione che dura tutto il giorno. Prima si faceva un gran numero di propositi, forse senza molti risultati; ora li si esegue. Il proprio cuore nel corso di questa preghiera, essendosi offerto e totalmente abbandonato alle impressioni dello Spirito Santo, viene mosso, plasmato a suo piacimento e conseguentemente si trova in situazioni molto meglio disposte e molto più pronte ad evitare il male e a fare il bene di quanto non potrebbe esserlo attraverso tutti i propri abituali propositi.

In questa preghiera il nostro cuore fa in rapporto a Dio quanto fa l'avaro pensando al suo tesoro e l'amante profano tutto preso dal suo oggetto; in altre parole il nostro cuore si affeziona, si rivolge, si inchina, si espande verso Dio, si unisce, si riposa in Dio, che è il nostro centro.

Non si arriva tuttavia alla estinzione di ogni peccato, proprio alla nostra natura, e necessario per umiliarla.

Si entra in questo tipo di preghiera favorita dalle pause di attenzione solo in proporzione delle buone disposizioni di ognuno: a) purezza di coscienza; b) purezza di cuore; c) purezza di spirito; d) purezza di azione

 

 

 

 

Capitolo 7

La purezza di coscienza

 

Consiste in una ferma disposizione di cuore a non voler mai acconsentire in modo volontariamente deliberato alla sia pur minima offesa di Dio, disposizione abituale che può assai bene sussistere insieme con molte altre contrarie ma subito ritrattate.

Si può a poco a poco acquistare tale purezza di coscienza attraverso tutti i diversi mezzi insegnati dai libri e dai direttori, ma soprattutto attraverso una grande attenzione a tutti i moti dell'interiorità, affinché il costante sentimento della nostra debolezza ci porti a ricorrere a dio in tutte le occasioni di caduta e a pentirci a umiliarci dopo sia pur minime mancanze.

Il pentimento non deve esser né inquietante né turbolento, bensì moderato e tranquillo, come dice S. Francesco di Sales ("è necessario che anche alla fine del dolore per i nostri peccati ci sia la pace"). In genere occorre evitare tutte le turbolenze che provengono dall'amor proprio.

Ecco quanto dice del pentimento dei peccati il Combattimento spirituale, libro generalmente tanto stimato soprattutto da parte di S. Francesco di Sales:

 

Suppongo che siate caduto non già parecchie volte, bensì cento volte in un giorno, non inavvertitamente, bensì con piena conoscenza, non già in mancanze leggere, bensì molto rilevanti. Dopo averne chiesto perdono ed esservene umiliato, l'ultima volta come la prima, senza perdere tempo fate ritorno a Dio e a voi stesso, alle vostre occupazioni e ai vostri esercizi ordinari, con la stessa fiducia che avreste se non aveste affatto sbagliato.

 

La riluttanza a pentirsi e tornare di fronte a Dio che professano molte persone spirituali che non osano riapparire al cospetto di Dio è un peccato di superbia suggerito dal Diavolo e allontana da Dio.

Dalla caduta le persone spirituali imparano a conoscersi meglio, ad umiliarsi sempre più profondamente, ad essere diffidenti verso se stesse fino al punto da non sperare nulla da se stesse, per riporre la loro fiducia soltanto in Dio, aspettandosi ormai tutto soltanto dalla sua bontà.

Dio talvolta lascia ad anime molto progredite alcuni difetti, propri di uno stadio molto più basso del loro, con lo scopo di esercitare contemporaneamente sia la loro umiltà che la carità verso gli altri. Si tratta di difetti odiati, detestati, combattuti senza posa. Per questa ragione non vi è più ciò che unicamente dispiace a Dio, cioè l’affezione del cuore, il solo attaccamento del cuore. Vi rimane per permissione di Dio soltanto la debolezza, la povera miseria della natura, tanto idonea a conservare queste anime sempre interiormente umiliate, spesso anche esteriormente, nonostante il loro progresso.

 

 

 

 

Capitolo 8

La purezza di cuore

 

Consiste nell’avere il cuore libero da qualsisi attaccamento non solo criminale, ma anche da quello proprio di coloro che si dicono innocenti, benché nella realtà non possano mai esser tali, dal momento che condividono con la creatura un cuore che non è fatto che per Dio.

Un cuore che gusta con attaccamento i beni sensibili, i piaceri dei sensi – onore, stima, fama, riposo, legami con il mondo – come potrà gustare Dio se non dopo essersi purificato dai suoi gusti umani, terrestri e sensuali?

A un grande distacco del cuore corrisponde una grande facilità di entrare in questa preghiera e di farla bene; ad un distacco minimo corrisponde una minima facilità

Per quanto possa apparire paradossale, per ottenere purezza di cuore può utilizzarsi la stessa preghiera del cuore.

Ascoltino i maestri dell'arte: un altro insegnerà loro che quanto più queste operazioni sono profonde, delicate, quasi impercettibili, tanto più sono perfette, in quanto per questo sono più spirituali, più libere dai sensi.

Il nostro cuore è a tal punto fatto per Dio che, quando lo si gusta una volta, tutto il resto sembra insipido: quest'impronta del gusto di Dio in un cuore è un fascino segreto che lo fa incessantemente volgere dalla parte di Dio, quasi come un ago calamitato si volge senza posa verso levante.

Secondo S. Paolo ogni violento amore per la creatura è un’idolatria del cuore [Filippesi , 3, 19: “Il loro Dio è il ventre”]. Osservate un amante profano interiormente occupato dalla bellezza che egli idolatra; non è forse in quest’occupazione interiore che egli trova il dolce riposo del suo cuore, un gusto tanto delizioso quanto criminale, uno sciagurato raccoglimento che, non permettendogli di pensare ad altro che al suo idolo, sembra assorbire tutte le facoltà della sua anima? Quale continuità di sguardi interiori irremovibilmente attaccati all’idolo! E non cade egli talvolta in un profondo silenzio interiore che sospende ogni altro sentimento per non lasciar posto che al trasporto dell’amore?

Ecco qualcosa di  abbastanza sorprendente: quando si tratta  solo di un cuore posseduto dall’amore profano, si comprendono abbastanza agevolmente tute queste criminali disposizioni, fino alle parole volutamente usate per esprimerle. Se invece si tratta di un cuore donato alle impressioni dell’amore divino, tutte le sante disposizioni diventano incomprensibili; tutte le parole diventano mistiche, anche in riferimento a certi uomini spirituali. Credono essi quindi che quest’amore più forte della morte e dell’inferno abbia perso tutta la sua forza, il suo vetusto impero sui cuori? Oppure che ormai non vi sia più qualcuno che possa vivere di queste operazioni? O che queste operazioni, per il fatto di essere meno sensibili, meno tangibili di quelle relative all’amore profano, siano per questo meno reali, meno autentiche? Dice Bossuet: “durante le operazioni propriamente spirituali la nostra anima sembra svanire, sfuggire a se stessa; essa tuttavia mai opera meglio”. I maestri dell’arte dicono che in queste operazioni l’aspetto più sensibile dell’ispirazione non ne è, per così dire, che l’involucro; che quanto più queste operazioni sono profonde, delicate, quasi impercettibili, tanto più sono perfette, in quanto per questo sono più spirituali, più libere dai sensi.

Se il grado di facilità per entrare in questa preghiera e per farla bene è ordinariamente proporzionato al grado di purezza di cuore, coloro che non ne hanno quasi per nulla, per poter sperare in qualcosa, debbono avere almeno il sincero desiderio di acquistarla, di lavorarvi, di adottarne i diversi mezzi e, in particolare, di adottare questa stessa preghiera che è uno dei mezzi più efficaci. Come ricompensa di questa buona volontà di quando in quando Dio si fa sentire e gustare da parte di un’anima, non foss’altro che durante alcuni momenti di divino raccoglimento. Quest’anima farà ben presto grandi progressi. Infatti, il nostro cuore è a tal punto fatto per Dio che, quando lo si gusta una volta, tutto il resto sembra insipido: quest’impronta del gusto di Dio in un cuore è un fascino segreto che lo fa incessantemente volgere dalla parte di Dio, quasi come un ago calamitato si volge senza posa verso levante [Francesco di Sales, Trattato dell’amor di Dio, VI, VII].

Con il pretesto di progredire spiritualmente, quante vane riflessioni, quanti vani progetti con i quali l'amor proprio non fa che cercare garanzie quanto mai inutili, dal momento che ciò avviene sia con perdita per il presente sia senza frutto per un avvenire che non sarà più così come si pensa, se non altro perché si verrà spesso a trovarsi con disposizioni diverse!

Purezza di spirito: essa consiste nel fatto di essere diventati capaci di padroneggiare un certo libertinaggio dello spirito che lo porta naturalmente a pensare tutto ciò che gli piace, quando non vi è niente di male; o almeno nel fatto di aver acquistato sufficiente padronanza su di esso da fermarne, moderarne l'attività naturale che lo porta ad inseguir senza posa tutte le vane immagini degli oggetti sensibili, come i bambini inseguono le farfalle.

Si tratta di una cosa assolutamente necessaria, perché se gli spiriti si abituano a dissiparsi all'esterno con continue sortite, come potranno rientrare in se stessi soprattutto nel momento della preghiera che, più di ogni altra cosa. esige uno spirito raccolto, dal momento che si tratta proprio della preghiera di raccoglimento? E’ quindi necessario resistere continuamente a quel libertinaggio naturale dello spirito; è necessario reprimere senza posa la sua attività naturale senza permettergli mai di guardarsi volontariamente e di lasciarsi sviare dietro pensieri vani ed inutili e meno ancora di intrattenervisi, di pascersene, di nutrirsene. Occorre quindi considerare tutti questi pensieri semplicemente inutili o frivoli come la gente per bene considera i pensieri autenticamente criminali, per comportarsi alla stessa maniera nel momento in cui ci si accorge della loro presenza.

Per giungere gradualmente a questo punto, conviene:

1) Mediante la cura dello stesso raccoglimento lavorare per indebolire e per distruggere i nostri disgraziati attaccamenti; infatti, siccome tutti i pensieri più attraenti, i più difficili da scartare vengono proprio dai nostri attaccamenti, nella misura in cui questi ultimi si indeboliscono si fa meno fatica ad abbandonare con lo spirito e con il pensiero quanto si è incominciato ad abbandonare con il cuore e con l'affetto.

2) Siccome è soprattutto mediante il piacere e le vane gioie del cuore che lo spirito fissa i suoi sguardi interiori sugli oggetti donde gli provengono questi piacevoli sentimenti, dal momento che si sente un naturale piacere è necessario non fermarvisi più per gustarli, per assaporarli, come se si trattasse di un piacere criminale; e alla minima gioia per una buona notizia, per un felice successo, per un evento vantaggioso, occorre ritrarsi subito, distoglierne il cuore e dargli il cambio offrendogli il suo vero oggetto che è Dio, in modo da abituarsi a compiacersi e a gioire soltanto in Dio. Bisogna comportarsi allo stesso modo e per la medesima ragione nei confronti degli altri vivi sentimenti dell'anima, siano essi di speranza, di timore, di rimpianto, di afflizione, ecc. per paura che il nostro spirito vi dedichi tutti i suoi pensieri.

3) Quanto agli altri pensieri meno interessanti che sono soltanto inutili o frivoli, è necessario lasciarli cadere come una pietra nell'acqua senza soffermarvisi, oppure lasciarli passare come le immondizie i mezzo ad un torrente che le trascina; e se, per disavventura, ci si è lasciati sviare, occorre in modo affatto delicato e senza sforzi richiamare quanto prima lo spirito dai suoi sia pur minimi sbandamenti o mediante un semplice ricordo di Dio o mediante un'elevazione del cuore a Dio o mediante buoni pensieri precedentemente preparati ed immediatamente a disposizione per far cambiar strada quando occorre. Per evitare la legge di reazione (si pensi alla contrarietà che ci assale all'idea di lasciare perdere un piacere, di compiere un atto che ci costa difficoltà) occorre senz'altro agire con delicatezza e gradualità. 

4) Con il pretesto di progredire spiritualmente, quante vane riflessioni, quanti vani progetti con i quali l'amor proprio non fa che cercare garanzie quanto mai inutili, dal momento che ciò avviene sia con perdita per il presente sia senza frutto per un avvenire che non sarà più così come si pensa, se non altro perché si verrà spesso a trovarsi con disposizioni diverse!

5) Con il pretesto di prevedere quanto può accadere – per non tentare Dio, si dice – si macinano pensieri su pensieri, riflessioni su riflessioni, progetti su progetti. Ci si logora con inquiete previsioni, con penose sollecitudini, con precauzioni del tutto inutili, dal momento che, giunto il tempo, le cose cambiano aspetto o noi stessi cambiamo idea o sentimenti. Il grande rimedio per tutte queste dannose ed inesauribili miserie dello spirito umano consisterebbe nel dire a se stessi a seconda dei frangenti: "eseguite le tali cose, perché occuparsene ancora? Per quanto rimane ancora da intraprendere, da fare o da dire, Dio vi provvederà: ad ogni giorno basta la sua fatica; il giorno di domani ed i successivi non hanno forse con sé le loro grazie particolari?"

Si faccia quanto ancor oggi fanno molte anime buone, le quali in simili frangenti con un semplice gesto di abbandono e di fiducia in Dio sanno subito come rimediare  a tutto: “Signore, spero che a tempo e luogo mi darete la grazia, il pensiero, la capacità e la facilità di intraprendere o di eseguire queste cose o quelle altre che, spesso in contrattempo, si presenteranno al mio spirito. Ve le offro tutte insieme con il loro risultato, con l’intenzione di non occuparmi che di voi e di attendere che tutto accada secondo la vostra sapiente e soave Provvidenza”. In virtù di questo duplice sacrificio, di questa continua preparazione di spirito e di cuore, l’amabile provvidenza sempre attenta ai loro bisogni, alle loro vie, dispone a loro favore ed accomoda tutto fino ai minimi particolari: occasioni apparentemente fortuite, frangenti favorevoli; ed è anche in virtù delle frequenti  esperienza di questi felici accomodamenti che la loro fiducia e il loro abbandono progressivamente aumenta.

Beato colui che, per il fatto di essere maggiormente raccolto in Dio e più avanzato in questa preghiera, sa costantemente bandire dal suo spirito qualsiasi cosa, per conservarvi soltanto il puro necessario, molto ristretto su questo punto, sia per il momento presente che passa presto, ma molto di più per quell’avvenire che non è ancora giunto e che forse per noi non giungerà mai.

La purezza di azione consiste non già nel tessuto della nostra azione, bensì nella purezza dei motivi che ci fanno agire, in quanto si riducono tutte ad agire esclusivamene per amore di Dio o secondo l’ordine e le prospettive di Dio. Senza questo la nostra condotta sarà sempre puramente naturale e, normalmente, affetta dalla corruzione della natura e conseguentemente affatto piena di peccati o di grossolane imperfezioni

La purezza di azione si acquista in particolar modo con la purezza di coscienza, di cuore e di spirito.

La purezza di azione si acquista mediante una continua vigilanza all'inizio e soprattutto nel corso delle nostre azioni: all'inizio, perché, se queste azioni sono tanto piacevoli e conformi alla tendenza della natura, essa ben presto segue secondo il suo naturale movimento soltanto l'attrazione del piacere o dell'interesse. Occorre impedire alla volontà di lasciarsi trascinare all'inizio dall'impressione dei moti naturali che la lusingano, che l'attraggono. Quale padronanza, quale attenzione bisogna avere su se stessi!

La continua vigilanza necessita soprattutto nel corso delle nostre azioni. Infatti quando si fosse avuta la forza di rinunciare all’inizio a qualsiasi attrazione lusingante dei sensi o dell’amor proprio, per seguire in tutto solo le prospettive della fede con intenzioni pure, se in seguito si dimentica di osservarsi da vicino, poiché il godimento attuale del bene che si gusta o dell’interesse che si trova durante il godimento di alcune azioni provocano impressioni sempre più forti, il cuore a poco a poco si rammollisce, la natura, benché mortificata dai primi sacrifici, si risveglia e riprende il suo ascendente; e ben presto l’amor proprio fa sottilmente cedere e prepara a nostra insaputa le sue interessate mire, sostituendole al posto dei buoni motivi in forza dei quali le nostre azioni sono state intraprese ed incominciate

Occore osservarsi continuamente anche durante la azione: la salvaguardia del cuore non è altro che l'attenzione rivolta ai moti del proprio cuore e a tutto ciò che avviene nell'intriorità dell'uomo per regolare la sua condotta con lo spirito di Dio e farlo adeguare al suo dovere e alle obbligazioni del loro stato.

Rispetto alla mortificazione esteriore la mortificazione interiore ricercata con tali sforzi presenta due vantaggi: 1) si può spingerla lontano quanto si vuole senza timore di esagerare o di oltrepassare i limiti della discrezione; 2) siccome quest'ultima si impegna senza posa a far morire nel cuore tutte le passioni, il nemico non vi trova più presa per le sue tentazioni, neppure per una specie di illusione, dal momento che esse non possono mai provenire che da un amor proprio vivo o in se stesso o in qualcuno dei suoi germogli, sciagurato frutto della maledetta linfa di Adamo.

Necessita però anche la pace dell'anima: 1) perché è certo che lo spirito di Dio non abita e non opera che nella pace; 2) perché la mancanza di questa pace è per l’anima ciò che la mancanza di salute è in riferimento al corpo; e tutto ciò che turba ed altera  la pace, che è quasi la salute dell’anima, la rende debole, languida, malata e quasi incapace delle sue funzioni spirituali. Per questa ragione S. Francesco di Sales ripete tanto di frequente nelle sue opere che, dopo il peccato, niente è tanto funesto quanto il turbamento, il rimpianto, l'inquietudine, la tristezza, che sono autentiche malattie dell'anima.

 

 

 

 

Capitolo 9

Alcuni importanti consigli per coloro che hanno cominciato ad entrare in questa preghiera con l’ausilio delle pause d’attenzione

 

Occorre una grande attenzione  per saper approfittare di tutti i momenti favorevoli a questa preghiera. Infatti capita spesso alle persone di sentire improvvisamente un certo raccoglimento di spirito, un improvviso gusto di Dio o qualche altro moto ed effetto sensibili a volte dopo un altro pensiero, un buon moto del cuore verso Dio, qualche grosso sacrificio o qualche piccola vittoria, dopo la comunione, durante la messa, durante una pia lettura e in molte altre occasioni. Ecco l’arrivo dello Spirito Santo, ecco il momento favorevole non già di parlare a Dio bensì di ascoltarlo in grande silenzio nel profondo del cuore per timore di turbare le sue divine operazioni con la sola attività dei nostri atti ordinari. Occorre quindi sospenderli ed accontentarsi di rimanere in ascolto il più a lungo possibile in uno stato di attenzione interiore di cui Dio penetra bene il motivo e tutti gli atti che ne sono collegati.

Occorre cogliere i momenti opportuni per ascoltare e non per parlare a Dio. Questi momenti di ascolto sono chiamati discernimento spirituale da S. Ignazio, ritiri spirituali da Francesco di Sales, docilità alla condotta dello Spirito Santo da Lallemant, salvaguardia del cuore dal padre Rigoleuc.

Ci si forma così a poco a poco  la felice abitudine di sapersi conservare in pace, in attento silenzio davanti a Dio.

Il sapersi conservare in pace, in attento silenzio davanti a Dio è molto più difficile di quanto si pensi. Questa difficoltà deriva dal fatto che gli uomini tendono ad agire, e anche nel rapporto con la divinità, come dice Caterina da Siena, tendono a dire, a fare etc. senza voler rimanere passivi. Deriva ancora dal fatto che costa molto rinunciare in tal modo a se stessi, ai propri pensieri, riflessioni, operazioni, atti ordinari, per mantenersi nella semplicità di quegli atti diretti del cuore, cosa che rappresenta una specie di morte all’attività naturale dello spirito, forse addirittura quanto vi è di più mortificante, di più umiliante nell’abnegazione di se stessi.

Precauzioni che vanno prese all'inizio della pratica:

1) Dio manda molte consolazioni, che vanno prese con grande equilibrio.

2) Bisogna combattere la voglia di compiere molti atti, perché, se la gioia naturalmente chiassosa viene ad aumentare l'attività interiore, si spegne facilmente il soave soffio dello Spirito Santo, e, volendo avviare fuori tempo un colloquio di ringraziamento e d'amore, ci si trova ben presto fuori del raccoglimento, si sente turbarsi la dolce pace e spagnersi il fervore.

3) Niente curiosità per esaminare ciò che avviene in noi; non bisogna volerci penetrare ulteriormente.

4) Evitare ogni specie di riflessione su di sé, sul proprio raccoglimento: equivarrebbe a distogliere da Dio i nostri sguardi interiori.

5) Non angustiarsi per ottenere o conservare il raccoglimento, non bisogna esserne avidi.

6) Non bisogna lasciarsi andare a quelle precauzioni che S. Teresa d’Avila tratta da superstizioni quando parla di persone così gelose del loro dolce raccoglimento da non osare nè tossire, nè muoversi, quasi neppure respirare, come se con questi movimenti necessari, aggiunge S. Francesco di Sales, Dio volesse toglierci il favore che ci ha appena fatto.  

7) Occorre saper lasciar il raccoglimento e perfino privarsene per qualche tempo, non solo per obbedienza, per dovere, ma anche per carità, per zelo e perfino in occasione del minimo contrattempo spesso appositamente orchestrato dalla provvidenza con lo scopo di provare la docilità di un'anima che Dio vuole spogliare di tutte le proprie volontà per rivestirla delle sue.

Vi sono distrazioni che non distolgono affatto dalla preghiera, perché non sono che pensieri instabili che non fanno che passare, apparire e scomparire come dei lampi; basta non preoccuparsene affatto, dal momento che la pace dell’anima ha il sopravvento sulle distrazioni lievi, proprio come il piacere di ascoltare un bel concerto o una bella voce la spunta su qualche piccolo rumore provocato intorno.

Vi sono distrazioni che favoriscono il raccoglimento 1) perché il puro timore di perdere quanto ormai si sente di possedere raddoppia l’attenzione dello spirito e del cuore; 2) perché Dio se ne serve per far meglio conoscere donde viene quel dolce raccoglimento: capita frequentemente che dopo un certo raccoglimento acquisito con fatica e penoso da conservare, lo spirito si dissipi per disattenzione e si fermi esteriormente in inutili riflessioni; tuttavia nell’istante stsso in cui ci se ne avvede, si verifica nell’anima non so quale movimento interiore, non so quale improvviso ripiegamento di spirito; ci si sente improvisamente rientrare in se stessi senza sapere perché o come; ci si trova in un raccoglimento del tutto diverso, dolce, pacifico, profondo, durevole, addirittura senza sforzi.

Vi sono distrazioni che dividono sensibilmente le facoltà dell’anima, per far meglio percepire la loro distinzione, la loro differenza, che per essa è molto importante saper ben cogliere; in altre parole si tratta di distrazioni che molto spesso non accadono che nell’immaginazione, riempita di stravaganze, mentre lo spirito si trova occupato in una nozione generale di Dio e il cuore da un sentimento di amore conforme a questa confusa nozione; è una situazione molto penosa, senza nessun altro rimedio se non la pazienza.

Altre volte lo spirito stesso si svia seguendo l’immaginazione con grande turbolenza. Ma bisogna far attenzione a non corrergli dietro, perché con il pretesto di fermare queste follie, di ricondurre a sé l’immaginazione e lo spirito, si correrebbe il rischio di perdere la santa quiete e il gusto el cuore; in tal caso non resta proprio altro da fare  che tenersi fermi solo nella pace del cuore che, con la dolcezza della sua attrazione, richiamerà a poco a poco questo spirito errante, quest’immaginazione vagabonda.

Inizialmente il raccoglimento nel cuore procede indipendentemente dalla attività sregolata dello spirito e della immaginazione; ma poi le attira a sé.

Non di rado nella vita quotidiana sperimentiamo una separazione delle facoltà dell’anima. Quante volte infatti si sente  nel proprio cuore una dolce passione, mentre l’immaginazione e lo spirito non svolgono che pensieri tristi ed affliggenti? Ma il fascino segreto del cuore a poco a poco richiama anche le altre due facoltà, le conquista, se ne impadronisce con la sua dolcezza vittoriosa.

 

 

 

 

Capitolo 10

Consigli utili alle persone progredite in questo tipo di preghiera

 

Successivamente arriva la aridità per i progrediti. Si tratta di un raccoglimento chiamato secco o arido perché lo è veramente ed è la forma più comune tra le anime progredite. In tale situazione non bisogna affliggersi, inquietarsi, desolarsi.

Dice Fenelòn: “Dio non viene amato perché non è conosciuto"

Un’anima già abituata al raccoglimento interiore si accorge ben più presto di un’altra della sia pur minima distrazione e la blocca più facilmente nel suo sorgere.

Quando ci si è formati al semplice sguardo interiore, non appena ci si accorge della dissipazione, altro non resta da fare nell’interiorità se non ciò che fa esteriormente colui che, alla presenza di un uomo molto rispettabile, si sorprende a girare gli occhi qua e là ed allora si decide a fissarli modestamente e senza sforzo alcuno sulla persona alla quale si deve rispetto; allo stesso modo non si fa che girare su Dio gli sguardi interiori che si erano rivolti altrove.

Supponiamo che durante questa aridità le distrazioni diventino continue, violente, insuperabili, mescolate a follie, a stravaganze, e alle più orribili tentazioni, come vengono raccontate nella vita di alcuni santi. Non è certo che soltanto la volontà dipende assolutamente da me? Soltanto essa quindi costituisce completamente il merito o il demerito mediante i suoi liberi consensi; per questa ragione sono sicuro di non acconsentire a niente; ecco la migliore di tutte le disapprovazioni: il mio cuore lo fa senza posa, senza dir nulla. Perché? Per la continua fatica che ne prova, senza di che avrei un bel fare i cosiddetti atti di disapprovazione; non sarebbero che vane parole interiori, che in non poca gente creano spesso illusioni.

 “Si è segretamente in pace in forza di quella volontà che si conserva nel fondo dell’anima per sopportare la guerra” (Fénelon)

Vi sono punizioni, tra quelle inflitte da Dio, peggiori nei mali che affliggono la vita?

Il desiderio di progredire sempre, senza interruzione, è lodevole; ma se non vi entra nessuna specie di orgoglio e di amor proprio sarà sempre molto sottomesso alla volontà di Dio e conseguentemente senza inquietudine o turbamento. In caso diverso si tratterebbe di volere il proprio progresso per compiacervisi piuttosto che per piacere a Dio.

Tutto ciò che accade, ad eccezione del peccato, accade per volontà di Dio, fino alla caduta di un solo capello della nostra testa, di una foglia d’albero nelle foreste.

I teologi affermano che il vero amore di Dio consiste precisamente nel volere in tutto ciò che Dio vuole.

E' verità di fede che tutto ciò che accade, ad eccezione del peccato, accade per volontà di Dio.

Cristo dice: "Chiunque mi ama, farà la volontà del padre mio"; "proprio perché l'amo, io faccio sempre ciò che a lui piace e mi compiaccio sempre in ciò che egli fa"; "Ecco, ecco il mio cibo, la mia vita e quanto è principalmente scritto di me".

La deiformità non è altro che l’unione, la trasformazione della propria volontà in quella di Dio.

Si cerca di raggiungere una vera deiformità, una perfetta identificazione con Cristo. San Paolo dice: "Non vivo più io, ma è Gesù Cristo che vive, che parla, che vede e regna in me".

S. Teresa d’Avila dice che di tutte le unioni la più preziosa e desiderabile è quella della volontà.

Alcuni si sono fatti delle false idee della devozione e della perfezione, facendo leva soprattutto sul sensibile, pensando di aver devozione solo nella misura in cui si sentono inteneriti e toccati, credendo di fare preghiera solo nella misura in cui producono atti sensibili e tangibili che si possono contare come i grani del rosario. Non impareremo mai a cercare Dio attraverso la rettitudine del cuore, in semplicità di cuore, “in pura fede”, come dice S. Paolo?

 

 

 

 

Capitolo 11

Il vuoto dello spirito, le impotenze che ne derivano e le straordinarie rivolte delle passioni

 

Per “vuoto dello spirito” si intende uno spirito vuoto di ogni pensiero sia di Dio che del mondo. Mentre Dio per purificare un’anima, per distaccarla e farla progredire sempre di più la tiene in questo stato, a lei sembra di essere caduta in una specie di stupidità e di imbecillità, dal momento che passa giorni interi, così almeno a lei pare, senza pensare a nulla, non diversamente da un ceppo o da un tronco d’albero. Da ciò deriva la cosiddetta impotenza di occuparsi di Dio o di qualche altro buon pensiero. Se vuol riflettere il suo spirito si perde non so dove, perde di vista se stesso o rimane completametne inebetito. Se vuole pregare, le vengono impediti tutti gli atti ordinari; se vuole rientrare in se stessa, non riuscirebbe a ritrovarne l’entrata, trovandosi così quasi bandita, esiliata dal suo stesso cuore. Se vuole dedicarsi ad una lettura, legge più volte lo stesso passo senza ritenere nulla.

Nel normale dialogo con il prossimo le stesse persone nel corso di questa triste situazione interiore non cesseranno di apparire normalmente agli altri in modo completamente diverso da come esse si sentono, parlando a proposito, ragionando, pure scrivendo sulle cose di Dio con una facilità e una unzione di cui esse stesse restano sorprese.

Le persone impegnate in questa via e in questo stato transitorio, sono quasi costantemente occupate da Dio mediante semplici atti diretti non percepiti.

La tristezza e il dolore che provano nel vedersi incapaci di dedicarsi alle pratiche religiose provengono da un fondo di timore filiale, da un amore ardente che divora e che consuma le anime con mille desideri impotenti. Questi desideri che rimangono completamente nascosti e sepolti in fondo al cuore  riuscendo a sbocciare soltanto con qualche sospiro furtivo, saranno visti da Dio “come vede il frutto nel guscio” (Bossuet).

Si tratta di grida più profonde, più impenetrabili, meno consolanti, ma tanto più vive, tanto più toccanti per Dio che le ascolta.

Cristo dice: “là dove è il vostro tesoro, lì è il vostro cuore”. Ciò avviene soprattutto in forza di quei sentimenti e di quei semplici moti che volgarmente non vengono ritenuti atti, perché non appartenengono al numero degli atti riflessi, sensibili e tangibili, e che per questa ragione si chiamano atti semplici, diretti, ordinariamente non percepiti. La bella riflessione di S. Agostino sviluppa ulteriormente questo principio: “Tutte le cose sono mosse dal loro proprio peso: le leggere verso l’alto, le pesanti in basso”. “Il mio peso, continua, è il mio amore: è la sua forza che mi porta dovunque vado”. E aggiunge che si vive meno in sé che non nell’oggetto amato; perché è là che si trovano ordinariamente i nostri desideri e i nostri affetti che sono la vita del cuore. Da ciò deriva che un confessore non ha scoperto la tendenza dominante di un avaro o di un impudico fino a quando non intravvede confusamente nel suo cuore, non dico i peccati conosciuti e commesi mediante atti riflessi, bensì un altro abisso impenetrabile di peccati nascosti e sconosciuti di cui un cuore in preda alle passioni si macchia senza posa mediante quei semplici e pressoché continui moti della passione di cui è diventato schiavo; allo stesso modo quando mediante alcuni tratti o mediante parole sfuggite un direttore ha finalmente conosciuto la disposizione abituale, acquisita e dominante, di una delle persone di cui parliamo, comprende facilmente che, nonostante le mancanze inevitabili per la fragilità o per la debolezza umana, tutta l’interiorità di quest’anima tende ordinariamente verso Dio, perché là dov’è il suo tesoro, là vi è anche e vi sarà il suo cuore mediante quei semplici moti ed affetti che sono veramente degli atti, benché chi è volgare non li conosca, e anzi mediante tutti quei diversi sentimenti, sia d’amore o di odio, di speranza o di timore, di gioia o di tristezza, sia che ci se ne accorga o che non ci se ne accorga. Un fascino segreto che vi è nell’anima, quel peso d’amore spesso sconosciuto, la accompagna dovunque vada, sia con lo spirito che con il cuore, con riflessione o senza riflessione, dice Agostino, vivendo senza saperlo molto più nell’oggetto che non in se stessa. Perciò dal momento che ritiene di aver ritrovato il tesoro che credeva perduto, nell’interiorità tutto è calmo e sereno, la pace e la gioia ne scaturiscono anche all’eterno.

Per tutto il tempo in cui durano queste prove ed altre simili occorre evitare i turbamenti e gli scoraggiamenti volontari per mantenersi in pace mediante la fiducia e il totale abbandono in Dio; aspettare consolazione solo da Dio, non andare mai a mendicarne tra le sue creature, neppure presso i suoi ministri, se non nel caso di necessità pressanti o per la necessaria istruzione.

Occorre abbandonarsi una buona volta a Dio, senza fine, senza limiti, senza nessuna riserva, in quanto è una massima costante che nulla ferma il corso delle grazie e il progresso di un’anima quanto queste riserve.

Se addirittura non si potesse fare alcun atto sensibile di rassegnazione, di fiducia, di abbandono bisogna dirsi: “Bene! Non ho forse voluto farlo? Dio ha quindi conosciuto il mio desiderio: questo basta, perché in tutto ciò che riguarda specificamente l’interiorità, la volontà fa tutto e Dio lo vede nel fondo più riposto dei nostri sensi".

Se talvolta ci sfuggono impazienze, tristezze, turbamenti, scoraggiamenti volontari, dopo essersene umiliato e pentito occorre sempre far ritorno subito a Dio e a se stessi con costanza eroica. Certe persone, invece, si impazientiscono di essersi impazientite, si rattristano di essersi rattristate, si turbano di essersi turbate, si scoraggiano di essersi scoraggiate in un processo senza fine che finisce con lo sconvolgere l’interiorità.

Se ci si trovasse nei confronti del mondo in uno stato interiore analogo a quello in cui ci si trova ordinariamente  a riguardo di Dio, se tutte le disposizioni attuali ed abituali verso Dio fossero press’a poco le stesse tenute verso un oggetto profano o criminale, si riterrebbe di essere a posto? Non risponderebbe subito un direttore spirituale che ritrova tutti i sintomi di un cuore guastato, pervertito, che finisce di corrompersi mediante tutti quei sentimenti più profondi in cui non scorge che corruzione e peccato? Peccati in quei timori che ci desolano, peccati in quei dubbi che ci affliggono, in quelle tristezze che ci accasciano, in quelle specranze che animano la propria passione, nelle gioie passeggere che l’infiammano, in mille altri sentimenti che servono solo ad irritarla per raddoppiarne la violenza? Ebbene occorre molto di più per progredire nelle vie del santo amore mediante le operazioni della grazia che non per finire di pervertirsi nei rapidi progressi di un amore profano e criminale?

Riguardo le angosce dell’anima durante la notte oscura, il fatto che Dio sia lo scopo dei nostri desideri fa sì che anche le passioni diventino strumenti di purificazione.

Pare che passioni e tentazioni si intensifichino nel purificando, assumendo l'intensità di vere tempeste. In questo caso:

1) Ci si deve attenere ai consigli dati per le pure privazioni.

2) Non si deve dimenticare che ciò che si patisce nostro malgrado non è peccato bensì fonte di merito più grande, di perfezione e di progresso, in quanto il cuore, agitato da tali violente scosse, continuando a resistere per amore o per timore, si radica maggiormente nell’uno e nell’altro, come i giovani alberi in grado di resistere alla violenza dei venti gettano radici più profonde nella terra in cui li si è piantati.

3) Si ha solo bisogno di una invincibile pazienza, accompagnata da un totale abbandono e dalla frequente preghiera di essere preservati da ogni consenso.

4) Quanto più le rivolte e tentazioni saranno violente, bizzarre, straordinarie, sia in se stesse che riguardo il carattere delle persone, tanto più si deve prendere coraggio ed aver fiducia in Dio, perché  in tal caso la propria volontà permissiva è particolarmente accentuata.

5) Occorre ricordare la risposta di Cristo a Paolo che si duole dell’umiliazione dovuta al suo misterioso difetto: “ti basta la mia grazia, perché la virtù si perfeziona nell’infermità”

 

 

 

 

Capitolo 12

Consigli e chiarimenti utili alle persone progredite che hanno fatto grandi progressi

 

La purificazione va sempre crescendo quasi all’infinito e di essa non si vedrà mai la fine in questa vita, e non è altro che il distacco sempre più grande da tutto ciò che non è Dio. Tale distacco diventa sempre più grande in proporzione sia alla grandezza delle prove sia alla fedeltà nel sostenerle con maggiore fiducia ed abbandono in Dio, come è stato detto.

Il primo vantaggio delle prove è il distacco anche dai beni spirituali, dopo esserci distaccati da quelli temporali. In quante persone di pietà  non si rilevano in riferimento a cose sante gli stessi attaccamenti alla loro volontà, che si vedono nella gente di mondo in relazione alle cose profane! Quante altre persone  sono così gelose di tutte le loro pratiche di devozione, delle loro minime consolazioni spirituali sia interiori che esteriori, che, se Dio permette i più piccoli disguidi al riguardo, ne saranno tanto turbate, rattristate, inquiete e di umore altrettanto cattivo dei mondani in riferimento a tutto ciò che sconvolge i loro piaceri.

Sono disordini tanto più pericolosi in quanto non si impara a diffidarne né a conoscerli.

Vi è una infinità di tali disordini. Vi sono infatti ambizioni, avarizie, sensualità, invidie, gelosie spirituali etc.

Se Dio non ci mette una mano, purificarsi da tale corruzione quasi impercettibile è quasi impossibile; tuttavia mediante ripetute prove e privazioni di ogni consolazione, di ogni sostegno sensibile, Dio ci costringe a riconoscere i nostri veri attaccamenti, anche i più mascherati, come costringe la gente per bene nel mondo a riconoscere certi segreti impegnati con i beni della terra mediante la perdita di questi stessi beni.

Per ottenere tale distacco ci sono due principi:

1) Bisogna distaccarsi da tutto ciò che non è Dio per attaccarsi solo a Dio. Tutti i beni spirituali insieme, per quanto preziosi e desiderabili per altri versi siano, non sono Dio; quindi non bisogna attaccarvisi mai. Si può, si deve anzi stimarli, auspicarli, domandarli, cercarli come mezzi per unirsi a Dio, ma mai bisogna attaccarvi il cuore; significherebbe metterli al posto di Dio e capovolgere tutto cambiando i mezzi in fine.

2) Niente può essere regolato se non seguendo l’ordine di Dio. E l’ordine di Dio è: a) la gloria che egli deve a se stesso e di cui non può spogliarsi; b) la felicità dell’uomo che dobbiamo alla sua pura misericordia. Perciò, cercando la felicità e tutti i mezzi che vi conducono, bisognerà avere primariamente e principalmente di mira la volontà di Dio e la sua gloria che si identifica con essa. Rovesciare quest’ordine, ponendo al primo posto ciò che non deve stare che al secondo, equivarrebbe a volersi preferire a Dio e non adempiere mai il suo primo comandamento: “Amerete il Signore Dio vostro con tutto il vostro spirito e con tutto il vostro cuore, con tutte le vostre forze”. Conseguentemente, nella ricerca dei beni spirituali, nel loro possesso o privazione devo essere sottomesso alla volontà di Dio, dipendente da Dio, rassegnato, abbandonato a Dio, come lo devo essere in rierimento ai beni temporali pur facendo da parte mia tutto ciò che posso per acquistarli, conservarli, aumenttarli o recuperarli.

Senza dubbio, agli occhi dei peccatori appena convertiti e di tutti i principianti le stesse imperfezioni delle persone progredite appaiono una specie di perfezione. Ma pretendere di progredire conservando qualcosa di creato, sia umano che divino, ciò che tutti intendono come un vero attaccamento, è una cosa impossibile, perché significa voler progredire nell’amore di Dio restando attaccati con il cuore a ciò che Dio non è.

Persino coloro che hanno acquistato merito presso Dio con le loro grida interiori nei più violenti sentimenti delle loro privazioni, se talvolta succede loro di mancare volontariamente alla perfetta sottomissione allora: 1) incominciano a perdere il merito e i buoni frutti delle loro prove; 2) commettono peccati o imperfezioni proporzionatamente al grado di libertà che rimane loro durante queste violente situazioni; 3) le loro stesse prove ne risultano più forti e più lunghe. Tutto questo perché le nuove mancanze hanno bisogno di nuove purificazioni.

L'amor proprio si attacca ai beni spirituali. Occorre attaccarsi unicamente a Dio, e quindi rigettare anche i beni spirituali.

Occorre, in sintesi, la "rinuncia all'uso proprietario delle facoltà dell'anima" (De Caussade). Uno degli aspetti più nascosti dell’amor proprio è l’appropriazione dello spirito, della memoria e della volontà  servendosene a suo piacimento e con una certa indipendenza, anche quando sembra che se ne serva soltanto per Dio dal quale le ha ricevute, come farebbe colui al quale venga affidato un certo deposito affinché se ne serva solo per determinati usi, ma che volesse poi determinarne sempre il modo e la maniera, come se ne fosse il padrone assoluto. Anche alle persone più spirituali si riservano sempre la maniera di servirsene, il modo di quest’uso, secondo la propria volontà, come se anche in questo non dovessero essere interamente dipendenti da Dio. Lo spogliamento da ciò consiste nel conservarsi in una continua dipendenza da Dio, anche nell’uso più santo delle facoltà della nostra anima. Tale dipendenza consiste nell’ascoltare, consultare, nel seguire in tutte le operazioni interiori soltanto il movimento della grazia, senza voler mai prevenirlo ed agire in modo diverso e senza andare più lontano di quanto essa conduca. Infatti, come dice S. Teresa d’Avila: "non bisogna voler volare prima di avere le ali"

Non bisogna attendere una mozione interiore per compiere il proprio dovere: tutto ciò che è non solo dovere del proprio stato, ma è secondo la ragione e il buon senso, è sempre  volontà di Dio manifestata; a ciò non si deve mai mancare; la continua dipendenza da Dio e dalla sua grazia va intesa in riferimento a tutto ciò che è puramente libero e di nostra scelta. Vi sono persone che si ostinano a voler compiere atti riflessi e di preghiera attiva mentre Dio li chiama agli atti diretti di una pura e semplice attesa, che Davide ha così bene espresso con l’immagine  di una serva che ha gli occhi fisse sulla sua padrona, non già per agire da se stessa, bensì per tenersi tutta pronta e sempre disposta ad obbedire al minimo batter d’occhio.

Quando Dio vede un’anima così disappropriata di tutte le volontà proprie anche nell’uso santo delle sue facoltà, un’anima nella quale egli non trova nulla di determinato dalla propria scelta, ma un smplice desiderio che Dio operi in lei secondo il suo beneplacito, Dio agisce allora senza il minimo ostacolo in tutta l’estensione della sua bontà e della sua sapienza e secondo le disposizioni più convenienti al suo cuore così desideroso, retto e semplice.

Queste persone, durante quasi tutta la giornata devono vivere in preghiera di semplice raccoglimento o attivo o infuso o misto. Cristo e san paolo dicono: pregate senza posa. Quando Dio le chiama a compiere atti riflessi, affetti espressi, colloqui interiori, esse li compiono. Se questo impulso della grazia viene meno, anche esse si fermano subito e si mantengono di nuovo nel loro semplice raccoglimento, pieno di tutte quelle silenziose attese, cariche di desiderio e sempre rassegnate.

Occorre conservarsi costantemente imprigionati nella propria interiorità, quasi legati mani e piedi senza altri desideri o movimenti all’infuori di quanto Dio vuole e di un’attesa continua di quanto vorrà. Questa prigionia è tanto scomoda che, per conservarsi bene in essa, occorre che ogni amor proprio e ogni attività naturale siano state precedentemente quasi annientate a forza di prove e di impotenze e che Dio l’addolcisca poi con certe attrazioni senza di che questa schiavitù interiore sarebbe insostenibile.

Il pericolo viene dalla grande voglia di agire all’interno di se stessi secondo le proprie idee e a proprio piacimento, secondo le prime forme più sensibili, più coscienti.

L'errore di quasi tutte le persone, anche spirituali, consiste nel credere che si progredisca nella misura in cui si compie con l'aiuto della grazia un numero piú grande di atti sensibili e riflessi e ci si arricchisce visibilmente di certe grazie, favori e doni del cielo. Gli inizi e i primi progressi avvengono in questo modo; ma il grande avanzamento, e il relativo progresso, avviene al contrario per via di spogliamento e di morte a tutto il sensibile per non vivere che per Dio.

Poiché Dio é un essere unico e semplice, quanto piú ci si avvicina a questa unitá e semplicitá mediante gli atti diretti che non lacerano affatto l'anima come i riflessi, tanto piú vi é proporzione tra Dio e la creatura che deve unirsi con lui.

Perché Dio é un puro spirito ci si puó unire con lui solo nella misura in cui si diventa un puro spirito, per quanto in questa vita é possibile con le grazie speciali che Dio dá a questo scopo. Conseguentemente quanto piú un'anima é spogliata della sensibilitá, cosa che si chiama nuditá di spirito, tanto piú la sua unione con Dio si avvicina alla perfezione, perché in tale circostanza ci sono meno intermediari tra Dio e l'anima.

Queste anime fanno anche atti ordinari e riflessi, ma in modo tanto profondo e tanto spirituale, tanto lontano dai sensi, che dopo i loro piú lunghi colloqui con Dio esse non potrebbero ricordare un solo atto.

L'anima progredita è assalita da un desiderio violento di amare Dio mentre essa sente in un'impotenza di amare che la lacera; ma questa impotenza è in realtà nient'altro che un amore insaziabile che non può mai amare quanto vorrebbe.

 

 

 

 

Capitolo 13

Ricapitolazione di quanto è stato detto

 

Nel cuore é l'origine di tutti gli atti riflessi ed espressi sia con la bocca o con parole puramente interiori; infatti tutto proviene dai liberi e tuttavia semplici moti del cuore e niente ne puó uscire, in qualsiasi modo, senza essere stato precedentemente concepito. E' nel loro concepimento che bisogna guardare questi atti diretti, benché spesso non si possa generarli, per cosí dire, in nessun modo mediante atti riflessi.

Ciascuno si dedichi con impegno alla propria preghiera normale, perché, da una parte, non ci possono essere pause di attenzione senza preghiera e, dall'altra, nessuno puó abbandonare la propria preghiera se non nella misura in cui Dio   e lo ritira a poco a poco, quando a lui piacerá e nel modo che vorrá. Siccome Dio ordinariamente non si comunica che in proporzione alla purezza dell'anima, ci si impegni quindi ad acquistare questi quattro tipi di purezza.

In mancanza di un'applicazione sufficientemente costante alla purezza di coscienza o di cuore o di spirito o di azione, la maggioranza delle anime buone non vanno mai al di lá del piú basso grado del raccoglimento che si chiama misto, in parte acquisito in parte infuso, praticato quasi sempre con molte imperfezioni e talvolta cosí debole che, per mantenervisi, ha bisogno di ricorrere ai loro primi atti discorsivi, ai loro antichi affetti interiori, espressi e sviluppati.

(M.me Guyon) Lo scopo della preghiera consiste nell'insegnare alle anime a gioire del loro fine che é Dio.

 (M.me Guyon) La vita dei sensi muove ed irrita la passione, anziché spegnerla; le austeritá possono sí indebolire il corpo , mai peró la punta dei sensi o il loro vigore. Una cosa sola puó farlo e consiste nel fatto che l'anima mediante il raccoglimento rientri in se stessa per occuparsi di Dio che vi é presente. Se essa rivolge tutta la sua forza e il suo vigore all'interno di se stessa, lascia i sensi senza vigore; quanto piú progredisce e s'avvicina a Dio, tanto piú si distacca da se stessa, lascia i sensi senza vigore; quanto piú progredisce e s'avvicina a Dio, tanto piú si distacca da se stessa.

 

 

 

 

Appendice

Modo breve e facile per fare la preghiera di fede e di semplice presenza di Dio

ad opera di monsignor Bossuet, vescovo di Meaux

 

Bisogna abituarsi a nutrire la propria anima con un semplice e amoroso sguardo in Dio e in Cristo; a questo scopo occorre separarla dolcemente dal ragionamento, dal discorso e dalla moltitudine di affetti, per mantenerla in semplicitá, rispetto ed attenzione e cosí avvicinarla sempre piú a Dio.

La perfezione di questa vita consiste nell'unione col nostro sovrano bene: quanto piú la semplicitá é grande, tanto piú l'unione é perfetta. Per questo la grazia stimola interiormente coloro che vogliono essere perfetti a semplificarsi.

La meditazione é molto buona a suo tempo e molto utile all'inizio  della vita spirituale. Ma non bisogna fermarvisi, perché l'anima, in forza della sua fedeltá a mortificarsi e a racccogliersi, riceve ordinariamente una preghiera piú pura e piú intima, che si puó chiamare preghiera di semplicitá, che consiste in una semplice intenzione, sguardo o attenzione amorosa in sé verso  qualche oggetto divino, sia Gesú Cristo o qualcuno dei suoi misteri o qualche altra veritá cristiana. L'anima, abbandonando il ragionamento, si serve di una dolce contemplazione che la tiene in pace, attenta ed aperta alle operazioni ed alle impressioni divine che lo Spirito Santo le comunica: essa fa poco e riceve molto; il suo lavoro é dolce e ció nonostante fruttuoso; quanto piú si avvicina sempre maggiormente alla fonte di ogni bene, di ogni grazia e di ogni virtú, tanto più glie ne viene elargita con maggiore abbondanza.

La pratica di questa preghiera deve incominciare sin dal risveglio, facendo un atto di fede nella presenza di Dio, che é ovunque, e di Gesú Cristo, i cui sguardi non ci abbandonano neppure quando fossimo inabbissati al centro della terra. Quest'atto é compiuto in modo semplice e ordinario, come nel caso che qualcuno dicesse interiormente: credo ched il mio Dio é presente; oppure é un semplice ricordo di fede del Dio presente, che avviene in modo piú puro e spirituale.

In seguito non bisogna darsi da fare a produrre molti atti o disposizioni diverse, ma rimanere semplicemente attenti alla presenza di Dio, esposti ai suoi divini sguardi, continuando cosí quella devota attenzione o esposizione, finché Nostro Signore ce ne fará grazia, senza avere fretta di fare altre cose se non ció che ci capita, dal momento che questa preghiera é una preghiera con Dio solo e una unione che dispone l'anima alla passivitá; in altre parole Dio diventa l'unico signore della sua interioritá e vi opera in modo piú particolare di quanto ordinariamente avviene: quanto meno la creatura lavora, tanto piú Dio opera potentemente; e poiché l'operazione di Dio è una quiete, l'anima in questa preghiera diventa in qualche modo simile a lui e ne riceve anche effetti meravigliosi; come i raggi del sole fanno crescere, fiorire e fruttificare le piante, cosí l'anima che é attenta ed esposta in tranquillitá ai raggi del divino sole di giustizia ne riceve meglio i divini influssi, che l'arricchiscono di ogni specie di virtú.

Il perdurare di quest'attenzione di fede le servirá per ringraziare Dio delle grazie ricevute durante la notte e in tutta la vita, per offrire se stessa e tutte le sue azioni, per orientare l'intenzione e per altro.

(M.me Guyon) Non é la mancanza di luce che conduce a non distinguere piú le stelle, bensí l'eccesso di luce. Lo stesso avviene in questo caso: la creatura non distingue piú il suo operare, perché una luce forte e diffusa assorbe tutte le piccole luci distinte e le fa completamente scomparire per il fatto che il suo eccesso le supera tutte.

(M.me Guyon) Bisogna assecondare i disegni di Dio che mirano a spogliare l'anima delle sue operazioni per sostituirle con le proprie. Lasciatelo dunque fare e non legatevi a nulla da soli, per quanto vi sembri una cosa buona.

Tutto ció non impedisce che essa non produca alcuni atti di virtú interiori o esteriori, quando vi si sentirá portata dal movimento della grazia; ma la profonditá e lo stato ordinario della sua interioritá deve essere costituita dalla suddetta attenzione di fede o unione con Dio, che la terrá abbandonata tra le sue mani e dedicata al suo amore, per realizzare in essa tutte le sue volontá.

(M.me Guyon) Per quanto riguarda la pratica, essa deve tendere ad abbandonare senza posa qualsiasi volontá propria alla volontá di Dio, a rinunciare a tutte le considerazioni particolari, per buone che appaiano, non appena le si sente sorgere per mettersi in uno stato di indifferenza e volere soltanto ció che Dio ha voluto sin dall'eternitá: essere indifferente a tutte le cose, sia per quanto riguarda il corpo che l'anima, i beni temporali ed eterni; lasciare il passato nell'oblio, il futuro alla provvidenza e offrire il presente a Dio; accontentarsi del momento attuale che ci mette in contatto con l'ordine eterno di Dio in noi.

(M.me Guyon) A proposito dell'esame di coscienza: non appena si entra in questo modo di pregare, Dio non manca di rimproverare l'anima per tutte le mancanze che fa. Non appena ha compiuto una mancanza, sente un rimorso che glie la rimprovera; si tratta di un esame, compiuto da Dio, che non lascia sfuggire nulla; all'anima non resta altro che rivolgersi con semplicitá a Dio, soffrendo la pena e la correzione che le riserva.

Bisogna ricrearsi con la stessa disposizione per dare al corpo e allo spirito alcuni sollievi senza dissiparsi con curiose notizie, risa smodate o altre parole indiscrete, ecc. ma conservarsi puri e liberi nell'interioritá, senza dar fastidio agli altri, unendosi frequentemente con Dio con ritorni semplici e amorosi, ricordandosi che si é alla sua presenza e che egli non vuole che in nessun nomento ci si separi da lui e dalla sua santa volontá. Voler vedere tutto da Dio e andare da tutto a Dio é quanto sostiene e fortifica l'anima in ogni specie di eventi e di occupazioni e quanto ci conserva anche il possesso della semplicitá

Ci si deve comportare allo stesso modo e con lo stesso spirito e conservarsi in questa semplice ed intima unione con Dio in tutte le azioni e nella propria condotta in parlatorio, in cella, in refetorio e in ricreazione e negli incontri col prossimo.

Infine si terminerá la giornata con questa santa presenza, con l'esame di coscienza, con la  preghiera della sera, con il riposo; e ci si addormenterá con quest'attenzione amorosa, frammezzando il riposo con alcune parole fervorose piene d'unzione, quando ci si sveglia durante la notte, simili ad altrettante frecce e grida del cuore verso Dio.

E' il caso di sottolineare che questa vera semplicitá fa vivere in una morte continua e in un perfetto distacco, perché ci fa andare a Dio con una perfetta rettitudine e senza fermarci in nessuna creatura.

La fedeltá dei religiosi alle osservanze secondo il loro istituto li fa continuamente morire a se stessi, al loro proprio giudizio, alla propria volontá, alle inclinazioni e ripugnanze naturali e li dispone cosí in modo ammirevole, ma sconosciuto, a quell'eccellente specie di preghiera.

(M.me Guyon) La semplicitá di cui si parla è una conversione verso l'interioritá che si ottiene soprattutto attraverso una mortificazione degli occhi e dell'udito: se l'anima rivolge tutto il suo vigore e la sua forza all'interno di se stessa, lascia i sensi senza vigore; quanto piú progredisce e si avvicina a Dio, tanto piú si distacca da se stessa.

Occorre leggere i libri spirituali con semplicitá e con spirito di preghiera e non spinti da una ricerca curiosa: si intende che si legge a questo modo quando si lascia che si imprimano nella nostra anima le illuminazioni e i sentimenti che la lettura ci svela e quando tale impressione avviene per la presenza di Dio piuttosto che per la nostra abilitá.

(M.me Guyon) Per leggere con semplicitá occorre, non appena si sente un piccolo raccoglimento, fermarsi e rimanere in pace, leggendo poco e senza riprendere fino a quando ci si sente interiormente attratti.

Durante la lettura è lo Spirito che ci suggerisce il senso.

Una dei piú grandi segreti della vita spirituale consiste nel fatto che lo Spirito Santo ci guida non solo con le illuminazioni, con le dolcezze, con le consolazioni, con le tenerezze e con le facilitá, ma anche con le oscuritá, con gli accecamenti, con le insensibilitá, con i rimpianti, con le angosce, con le rivolte delle passioni e degli uomini; di piú: questa via della croce é necessaria, é buona, é la migliore, la piú garantita che ci fa arrivare molto piú presto alla  perfezione.