POESIA
DELL'OCCIDENTE MEDIEVALE |
❍ Dante
Alighieri, Vita Nuova, I-III
❍ Dante Alighieri, A ciascun’alma presa e gentil core (Vita Nuova, sonetto introduttivo)
❍ Dante Alighieri, Oltre la spera che più larga gira (Vita Nuova, sonetto XLII)
❍ Dante Alighieri, Perché ti vedi giovinetta e bella
❍ Guido Cavalcanti, Al cor gentil repara sempre amore
❍ Arnaut Daniel, Una canzone le cui parole sono semplici e delicate
❍ Arnaut Daniel, Ovunque vada vagando
❍ Arnaut Daniel, Quando cade la foglia
❍ Arnaut Daniel, Quando sono passate le brinate
❍ Dante Alighieri, Vita Nuova, I-III
I.
In
quella parte del libro del la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe
leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le
parole le quali è mio intendimento d’assemplare in questo libello; e se non
tutte, almeno la loro sententia.
II.
Nove
fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a
uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi
apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti
Beatrice li quali non sapeano che si chiamare. Ella era in questa vita già
stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte
d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del
suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono.
Apparve vestita di nobilissimo colore, umile, onesto e sanguigno, cinta e
ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello punto
dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima
camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi
polsi orribilmente; e tremando disse queste parole: "Ecce deus fortior me,
qui veniens dominabitur michi". In quello punto lo spirito animale, lo
quale dimora ne l’alta camera ne la quale tutti li spiriti sensitivi portano le
loro percezioni, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spezialmente a li
spiriti del viso, sì disse questa parole: "Apparuit iam beatitudo
vestra". In quello punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella
parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere, e piangendo
disse queste parole: "Heu miser, quia frequenter impeditus ero
deinceps!". D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la
quale fu sì tosto a lui disponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta
sicurtade e tanta signoria per la vertù che li dava la mia imaginazione, che me
convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente. Elli mi comandava molte
volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima; onde io ne la mia
puerizia molte volte l’andai cercando, e vedeala di sì nobili e laudabili
portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero:
"Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di deo". E avvegna che
la sua imagine, la quale continuamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a
segnoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima vertù, che nulla sofferse che
Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove
cotale consiglio fosse utile a udire. E però che soprastare a le passioni e
atti di tanta gioventudine pare alcuno parlare fabuloso, mi partirò da esse; e
trapassando molte cose le quali si potrebbero trarre de l’essemplo onde nascono
queste, verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto
maggiori paragrafi.
III.
Poi
che fuoro passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso
l’apparimento soprascritto di questa gentilissima, ne l’ultimo di questi die
avvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo,
in mezzo a due gentili donne, le quali erano di più lunga etade; e passando per
una via, volse li occhi verso quella parte ov’io era molto pauroso, e per la
sua ineffabile cortesia, la quale oggi è meritata nel grande secolo, mi salutoe
molto virtuosamente, tanto che me parve allora vedere tutti li termini de la
beatitudine. L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse, era fermamente
nona di quello giorno; e però che quella fu la prima volta che le sue parole si
mossero per venire a li miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato
mi partio da le genti, e ricorsi a lo solingo luogo d’una mia camera, e puosimi
a pensare di questa cortesissima.
E
pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, ne lo quale m’apparve una
maravigliosa visione: che me parea vedere ne la mia camera una nebula di colore
di fuoco, dentro a la quale io discernea una figura d’uno segnore di pauroso
aspetto a chi la guardasse; e pareami con tanta letizia, quanto a sé, che
mirabile cosa era; e ne le sue parole dicea molte cose, le quali io non
intendea se non poche; tra le quali intendea queste: "Ego dominus
tuus". Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda, salvo
che involta mi parea in uno drappo sanguigno leggermente; la quale lo giorno
innanzi degnato di salutare. E ne l’una de le mani mi parea che questi tenesse
una cosa la quale ardesse tutta, e pareami che mi dicesse queste parole:
"Vide cor tuum". E quando elli era stato alquanto, pareami che
disvegliasse questa che dormia; e tanto si sforzava per suo ingegno, che le facea
mangiare questa cosa che in mano li ardea, la quale ella mangiava
dubitosamente. Appresso ciò poco dimorava che la sua letizia si convertia in
amarissimo pianto; e così piangendo, si ricogliea questa donna ne le sue
braccia, e con essa mi parea che si ne gisse verso lo cielo; onde io sostenea
sì grande angoscia, che lo mio deboletto sonno non poteo sostenere, anzi si
ruppe e fui disvegliato. E mantenente cominciai a pensare, e trovai che l’ora
ne la quale m’era questa visione apparita, era la quarta de la notte stata; s’
che appare manifestamente ch’ella fua la prima ora de le nove ultime ore de la
notte.
❍ Dante Alighieri, A ciascun’alma presa e gentil core (Vita Nuova, sonetto introduttivo)
A ciascun’alma presa1 e gentil core
nel cui cospetto ven lo dir presente,
in ciò che mi rescrivan suo parvente2,
salute in lor segnor, cioè Amore.
Già eran quasi che atterzate l’ore3
del tempo che onne stella n’è lucente4,
quando m’apparve Amor subitamente,
cui essenza membrar mi dà orrore5.
Allegro mi sembrava Amor tenendo
meo core in mano, e ne le braccia
avea madonna involta in un drappo dormendo6.
Poi la svegliava, e d’esto core ardendo lei
paventosa7 umilmente pascea:
appresso gir lo ne vedea piangendo8.
(1) Innamorata
(2) Affinché mi rispondano quel che a loro sarà
parso
(3) Era trascorso ormai un terzo
(4) Della notte (il tempo in cui le stelle
rilucono)
(5) Mi atterrisce
(6) Che dormiva
(7) Che ne era intimorita
(8) Dopo lo vedevo allontanarsi in lacrime
❍ Dante Alighieri, Oltre la spera che più larga gira (Vita Nuova, sonetto XLII)
Oltre la spera che più larga gira1
passa ’l sospiro ch’esce dal mio core:
intelligenza nova2, che l’Amore
piangendo3 mette in lui, pur su lo
tira.
Quand’elli è giunto là dove disira,
vede una donna, che riceve onore,
e luce sì, che per lo suo splendore
lo peregrino spirito la mira.
Vedela tal4, che quando ’l mi5
ridice,
io no lo intendo, sì parla sottile
al cor dolente, che lo fa parlare.
So io6 che parla di quella gentile,
però che spesso ricorda Beatrice,
sì ch’io lo ’ntendo ben, donne mie care.
(1) E’ il cristallino o Primo Mobile. Si trova
oltre il cielo delle stelle fisse e non ha altri cieli di là da sé. Oltre c’è,
infatti, il trapasso nell’Empireo, sede propria di Dio, fuori di ogni
dimensione, sia spaziale sia temporale
(2) Una capacità di intendere del tutto nuova
(3) Che l’Amore dolorosamente profonde al sospiro
(4) La vede divenuta tale
(5) Me lo ridice
(6) So soltanto
❍ Dante Alighieri, Perché ti vedi giovinetta e bella
Perché ti vedi giovinetta e bella
tanto che svegli ne la mente Amore,
pres’hai orgoglio e durezza nel core.
Orgogliosa se’ fatta e per me dura,
po’ che d’ancider me, lasso, ti prove:
credo che ’l facci per esser sicura
se la vertù d’Amore a morte move.
Ma perché preso più ch’altro mi trove1,
non hai respetto alcun del mi’ dolore.
Possi tu spermentar lo suo valore.
(1) Siccome mi sorprendi più innamorato di
qualsiasi altro
❍ Guido Cavalcanti,
Al cor gentil repara sempre amore
Al cor gentil repara sempre Amore
Com’a la selva augello ‘n la verdura:
né fe’ Amore anti che gentil core,
né gentil core anti ch’Amor, Natura.
Ch’adesso con fo ‘l sole, [tosto che fu creato
il sole]
sì tosto lo sprendore fo lucente, [subito fu
creata la luce]
né fo davanti ‘l sole; [né ciò fu prima del
sole]
e prende Amore in gentilezza loco
così propiamente
come calore in clarità de foco. [in una fiamma
splendente]
Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in pietra preziosa,
che da la stella valor no i descende [non le
discende]
anti che ‘l sol la faccia gentil cosa,
Poi che n’à tratto fore
Per soa forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor, ch’è fatto da Natura
asletto, pur, gentile, [asletto: eletto]
donna a guisa de stella lo ‘nnamura.
Amor per tal ragion sta ‘n cor gentile,
per qual lo foco in cima del dolero [torcia di
cera]
splendeli al so diletto, clar, sottile; [vi
splende, a piacer suo, limpido e sottile]
no li star’ altra guisa, tant’è fero. [Amore non
starebbe nel cuore in altra guisa, tanto è altero]
Però prava natura
Rencontra Amor come fa l’aigua ‘l foco [è
contraria ad Amore come l’acqua è contraria al caldo fuoco, per la sua natura
fredda]
Caldo, per la freddura,
Amore in gentil cor prende rivera [prende
stanza]
Per so consimel loco; [luogo di natura ad essa
consimile]
com’adamas del
ferr’en la miniera. [come la preziosa
calamita sta nella miniera del ferro]
Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno;
vile reman, né ’l
sol perde calore :
dis’omo alter « Gentil per schiatta
torno » ; [divengo nobile per la mia stirpe]
lui sembl’al fango, al sol gentil valore. [lui
lo paragono al fango, e la vera nobiltà al sole]
Chè non de’ dare om fede [Ché non si deve
credere]
Che gentilezza sia, for de coraggio, [che la
gentilezza venga, al difuori del coraggio, nella dignità che viene dai diritti
ereditari]
in degnità de rede:
s’e’ da vertute non à gentil core, [se egli non
riceve dalla virtù un cuore gentile]
com’aigua porta raggio; [come l’acqua serve da
tramite al raggio luminoso]
e’l ciel riten le stelle e lo sprendore. [e il
cielo trattiene in sé lo splendore delle stelle]
Sprende ‘n la ‘ntelligenzia de lo cielo [Dio
effonde il suo lume nella intelligenza celeste]
Deo criator, più che ‘n nostr’occhi ‘l sole:
[più che il sole non splenda negli occhi di noi mortali]
quella, che ‘ntende so fatto oltra ‘l velo, [e
quella (l’intelligenza angelica) la quale intende senza l’impedimento del velo
corporeo quello che le spetta di fare (per volontà celeste)]
lo ciel volgiando, a Lui obedir tole. [prende ad
obbedire al creatore dando movimento ai cieli]
E con segue, al primero [e consegue il giusto
compimento della idea creatrice primordiale]
Da Deo creato, giusto compimento,
così d’adovra ‘l vero [fa nascere la verità]
la bella donna – poi che ‘n gli occhi sprende
de l’om gentil – talento, [splende, effonde
talento negli occhi dell’uomo gentile]
che mai da le’ obedir non si disprende. [che non
si distoglie mai dall’obbedirla]
Donna, Deo me dirà, che prosumisti? [O donna,
Dio mi dirà “che prosumisti?”]
(siando l’anima mia a lui davante) [quando la
mia anima sarà dinanzi a Lui]
lo ciel passasti, e ‘nfino a me venisti
e desti, in vano amor, me per semblante; [e
recasti me come paragone di un vano amore terreno]
ch’a me conven la laude
e a la Reina del reame degno, [e alla regina
dell’alto regno (la Madonna)]
per cui cessa onne fraude. [per opera della
quale ogni male si allontana]
Dir li potrò: tenea d’angel sembianza [aveva la
sembianza di un angelo del tuo regno]
Che fosse del tu’ regno;
non me fo fallo, s’eo li posi amanza. [non vi
colpa da parte mia se presi ad amarla]
❍ Arnaut Daniel, Una canzone le cui parole sono semplici e delicate
Una
Canzone le cui parole sono semplici e delicate
faccio
ora che germogliano i salici,
e le
più alte cime
son
del colore
di
molti fiori,
e
verdeggiano le foglie,
e
canti e gridi d'uccelli
risuonano
all'ombra
del bosco.
❍ Arnaut Daniel, Ovunque vada vagando
Ovunque
vada vagando,
là
dove siete il mio pensiero vi assale,
perché
io canto e valgo
per
la gioia che ci demmo
quando
ci separammo
per
cui spesso l'occhio mi si bagna
di
tristezza e di rimpianto
e di
dolcezza
perché
ho abbastanza di che dolermi di Amore.
❍ Arnaut Daniel, Quando cade la foglia
Quando
cade la foglia
dalle
più alte cime
e
s'inasprisce il freddo
per
cui si secca il nocciolo e il salice,
dei
dolci gorgheggi
vedo
impoverirsi il bosco
ma io
resto vicino
ad
Amore, chiunque se ne allontani.
Tutto
quanto esiste gela,
ma io
non posso rabbrividire
perché
un nuovo amore
mi fa
rinverdire il cuore;
non
devo tremare
perché
Amore mi copre e ripara
e mi
fa conservare
il
mio valore e mi dirige.
❍ Arnaut Daniel, Quando sono passate le brinate
Quando
sono passate le brinate
e a
loro non resta più né monte né valle
e nel
giardino il fiore trema
sulla
cima dell'albero dove si fa frutto,
il
fiore e i canti e i limpidi trilli
con
la stagion dolce e bella
mi
insegnano che mi unisca alla gioia,
qui,
sull'entrar d'aprile.