La moneta

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Il “portafoglio” dei soggetti economici privati (famiglie e imprese)

 

I mezzi di pagamento

 

Le funzioni della moneta

 

La moneta ideale

 

Le “variabili reali” e le “variabili monetarie” dell’economia

 

Terminologia

 

Creazione e distruzione di moneta. Creazione e distruzione di base monetaria

 

Casi di creazione e distruzione di moneta:

 

Rapporti tra moneta e credito; tra creazione/distruzione di moneta e creazione/distruzione di credito

 

I canali di creazione / distruzione di moneta

 

Quali “canali di creazione di moneta” sono sotto il controllo delle Autorità Centrali?

 

La banca e la creazione di depositi. I sistemi di pagamento tra banche

 

Il moltiplicatore dei depositi bancari

 

L’incontro tra la domanda e l’offerta di moneta

 

La politica monetaria: La “politica economica”

 

La politica monetaria: La “politica di bilancio”

 

La politica economica: La “politica monetaria”. La “politica monetaria espansiva”. La “politica monetaria restrittiva”

 

La crescente importanza della politica monetaria nel secondo dopoguerra

 

La politica monetaria: La “politica creditizia”

 

La politica monetaria: La efficacia della politica monetaria. La “asimmetria” della politica monetaria

 

La politica monetaria: Le operazioni di mercato aperto della Banca Centrale o del Tesoro mediante acquisto o vendita di titoli del Tesoro a famiglie e imprese

 

La politica monetaria: La “politica valutaria”

 

La politica monetaria: La “politica di sconto e prestito della Banca centrale”

 

Le vicende del credito alle imprese in Italia

 

La evoluzione del sistema bancario italiano

 

La evoluzione normativa dell'ordinamento bancario italiano

 

Cosa si intende per "eccesso di offerta di moneta"?

 

Cosa succede quando famiglie e imprese cercano di liberarsi della moneta in eccesso secondo l'equazione degli scambi di Fisher?

 

Quanti tipi di scorte di moneta tiene una famiglia o una impresa?

 

Quali sono i fattori che influenzano la quantità di scorte delle famiglie e delle imprese secondo i neoclassici? E secondo Keynes? Che rapporto c’è tra scorte monetarie e saggio di interesse?

 

Cosa succede quando famiglie ed imprese cercano di liberarsi della moneta in eccesso, secondo la scuola di Cambridge?

 

Cosa succede quando famiglie e imprese cercano di liberarsi dalla moneta in eccesso secondo Keynes?

 

Cosa determina in particolare la domanda di scorte speculative? Come agisce lo speculatore? Cos’è la “trappola della liquidità”?

 

Come utilizzavano i neoclassici lo strumento della politica monetaria contro le crisi economiche?

 

Un aumento della quantità di moneta, secondo Keynes, è sempre capace di abbassare il saggio di interesse?

 

La diminuzione del saggio di interesse i, secondo Keynes, è in grado di far aumentare gli investimenti?

 

Quali sono, in sintesi, le posizioni della Scuola Monetarista o Scuola di Chicago?

 

Le critiche dell’economista John Kenneth Galbraith ai monetaristi

 

I vari tipi di inflazione

 

Gli indici Paasche e Laspeyres dei prezzi

 

Il Reddito o PNL reale e il Reddito o PNL nominale

 

Il deflatore del PNL

 

Le conseguenze negative dell’inflazione

 

La “spirale prezzi-salari”

 

La curva di Phillips

 

La “politica dei redditi” contro l’inflazione e la spirale prezzi-salari

 

La stagflazione e le sue cause

 

Qual è la politica delle autorità di fronte alla stagflazione?

 

Il mercato monetario e la borsa

 

 

 


Il “portafoglio” dei soggetti economici privati (famiglie e imprese)

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  Tutti i soggetti della economia (stato, enti pubblici, imprese, famiglie, banche, ecc.) posseggono un portafoglio.

  Un portafoglio è un insieme di attività con diverso rendimento, rischio e scadenza

Per "attività patrimoniale" o, semplicemente, "attività" si intende qualsiasi cosa appartenga ad un soggetto e costituisca ricchezza. Il portafoglio di un soggetto può contenere attività che vanno dalle più liquide (moneta) alle meno liquide:

a) Moneta

b) Obbligazioni, altri titoli a reddito fisso e crediti con scadenza a breve termine

c) Obbligazioni, altri titoli a reddito fisso e crediti con scadenza a lungo termine

d) Azioni

e) Beni di consumo durevoli

f) Beni di consumo non durevoli

g) Beni aziendali (le imprese)

h) Capitale umano (le abilità e le conoscenze "spendibili" sul mercato del lavoro)

  A tutte le attività del portafoglio sono ricollegabili rendimenti

A tutte le attività del portafoglio sono ricollegabili rendimenti positivi o negativi. Le attività reali forniscono un rendimento che si differenzia da una attività all'altra. Ad es. il rendimento dei beni di proprietà è pari al valore dei servizi che altrimenti il soggetto dovrebbe procurarsi pagando (così una casa di abitazione di proprietà del soggetto ha come rendimento una somma pari al canone di locazione che egli dovrebbe altrimenti pagare); il rendimento del capitale umano è pari al reddito che esso può o potrà procurare con l'attività lavorativa; le macchine offrono alla impresa che le possiede un contributo alla produzione e quindi alla crazione di profitti.

  Le scelte di portafoglio

Per "Scelte di portafoglio" si intendono le scelte che continuamente i soggetti compiono per determinare la composizione del proprio portafoglio (ad es. scelta tra moneta, titoli a breve, titoli a lungo termine) in modo da massimizzare i rendimenti di tale portafoglio. Molte di tali scelte sono estremamente importanti per spiegare variazioni o perturbazioni nella attività economica. Ad esempio, se tutte le famiglie decidono di diminuire la quota di ricchezza detenuta sotto forma di moneta e di sostituirla con titoli si avrà un aumento del valore dei titoli, una diminuzione del saggio di interesse, un (probabile) aumento degli investimenti e un (probabile) incremento del reddito nazionale.

Attività reali e attività finanziarie

In sintesi, si può dire che un portafoglio è composto principalmente da attività finanziarie: (moneta, obbligazioni e azioni) e attività reali (macchine, terreni, fabbricati posseduti dalle imprese, beni di consumo durevoli, abitazioni possedute dalle famiglie).

  Attività liquide e attività non liquide

Quanto più facilmente un credito che non è mezzo di pagamento può essere convertito in mezzi di pagamento, cioè quanto più facilmente esso può essere impiegato per la creazone di mezzi di pagamento, tanto più tale credito è liquido.

I crediti 

Nel portafoglio sono compresi crediti verso altri soggetti economici. Ad esempio le obbligazioni, le quote di fondi di investimento, i depositi bancari sono crediti

 

 

 

I mezzi di pagamento

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I crediti detenuti nel proprio portafoglio dai soggetti economici (famiglia, imprese, istituti di credito, Stato) possono essere classificati in modo generale come crediti:

·    verso famiglie

·    verso imprese

·    verso istituti di credito (banche, casse di risparmio) o uffici di conto corrente postale

·    verso lo Stato.

Di questi crediti sono utilizzati e accettati come mezzi di pagamento:

·    Crediti verso la banca centrale nella forma di monete e banconote

·    Crediti esigibili a vista verso istituti di credito e di uffici di conto corrente postale (“depositi a vista”)

La moneta legale è tecnicamente definita come "credito nei confronti della banca centrale": questa terminologia risale al periodo in cui i possessori di banconote potevano cambiarle con oro presso la banca centrale.

I crediti a termine e i depositi a risparmio presso istituti di credito, dei quali si può disporre soltanto dopo un determinato periodo di tempo, non sono mezzi di pagamento, poiché il diritto di disposizione è stato abbandonato dal creditore per un certo periodo di tempo.

Alcune grandi imprese mantengono crediti a vista non solo verso banche ordinarie, ma anche verso la banca centrale. I mezzi di pagamento delle imprese sono quindi:

·    Monete e banconote

·    Depositi a vista presso banche ordinarie

·    Depositi a vista presso la banca centrale (solo le grandi imprese)

Lo stato è in possesso di:

·    Monete e banconote

·    Depositi a vista presso le banche ordinarie

·    Depositi a vista presso la banca centrale

In conclusione, i mezzi di pagamento dei vari soggetti non sono del tutto identici. Per semplicità considereremo come “moneta” le monete e banconote e i depositi a vista presso le banche ordinarie.

I depositi a vista ammettono il prelievo senza preavviso, la emissione di assegni ma non sono produttivi di interessi.

I depositi a risparmio non ammettono il prelievo senza preavviso, non ammettono la emissione di assegni e sono produttivi di interessi.

Gli economisti non considerano mezzi di pagamento all’interno di uno stato le divise estere.

Giuridicamente la moneta è un bene mobile (moneta legale) o un credito (moneta bancaria). Dal punto di vista economico è un bene economico che dà una peculiare utilità: facilita e consente gli scambi. Come tutti i beni esiste una domanda e una offerta di moneta, un suo prezzo (saggio di interesse), un suo mercato.

 

 

 

Le funzioni della moneta

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  Le funzioni della moneta sono:

Riserva di valore

Mezzo di scambio

Misura di valore

  Il baratto

Il baratto è lo scambio di cosa contro cosa

 

 

 

La moneta ideale

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  Le caratteristiche della moneta ideale sono:

Inalterabilità

Universale accettazione

Alto valore (trasportabilità)

Divisibilità

Valore stabile nel tempo

  L’oro ha caratteristiche che lo fanno avvicinare alla moneta ideale, ma ha un difetto: ne esiste una quantità troppo limitata per le necessità degli scambi mondiali. Sin dagli anni ’60 del secolo scorso esso è stato quindi abbandonato a favore della carta-moneta.

 

 

 

Le “variabili reali” e le “variabili monetarie” dell’economia

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Variabili monetarie dell’economia sono quelle che gli economisti misurano in moneta o che ha a che fare con la moneta, come ad es.:

   Livello generale dei prezzi

   Saggio di interesse monetario (cioè espresso in moneta e non in termini di potere d’acquisto)

   Reddito nazionale (PIL, PNL) monetario

   Salari monetari

   Valore dei titoli

   Quantità di moneta in circolazione

   Credito totale interno

   Tassi di cambio tra le monete

Variabili reali dell’economia sono quelle che gli economisti misurano in stock o flussi di beni e servizi, o come numero di persone che svolgono determinate attività economiche, come ad es.:

   Investimenti

   Reddito nazionale (PIL, PNL) reale (inteso come prodotto annuo di beni e servizi del sistema)

   Consumi

   Domanda aggregata

   Occupazione

   Esportazioni e importazioni

Gli economisti hanno a lungo discusso se modifiche delle variabili monetarie (modifiche del "settore monetario della economia") possano provocare modifiche alle variabili reali (modifiche al "settore reale della economia").

Per esempio si sono chiesti che effetto avrebbe sulla produzione e quindi sulla occupazione (variabili reali) un aumento della quantità di moneta in circolazione (variabili monetarie).

Gli economisti neoclassici e keynesiani ritenevano che l'effetto di cambiamenti nel settore monetario della economia non avesse che scarse o nulle ripercussioni sul settore reale della economia. Per i neoclassici, un aumento della quantità di moneta avrebbe fatto aumentare la spesa per beni e servizi, ma poiché il sistema è normalmente in stato di massima occupazione, non vi può che essere inflazione, e cioè aumento dei prezzi senza aumento di produzione.

Per i keynesiani un aumento della quantità di moneta avrebbe fatto aumentare gli acquisti di titoli e provocato in tal modo una diminuzione del saggio di interesse. Ma il saggio di interesse è legato molto debolmente agli investimenti, e quindi alla produzione.

 

 

 

Terminologia

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   AGGREGATI MONETARI

Vedi M1, M2, M3

   BASE MONETARIA

E’ lo stock di moneta legale detenuta dalle banche.

Moneta legale = Circolante + Base monetaria

   BANCONOTA (BIGLIETTO DI BANCA)

Un tempo era un titolo al portatore, contenente la obbligazione della banca emittente di pagare a vista una determinata somma ("tonda"), cioè a convertirla in moneta metallica avente valore intrinseco, o in verghe d'oro, o in monete straniere a loro volta convertibili in oro.

Esso rappresenta quindi formalmente un "debito" della Banca Centrale e viene pertanto segnato al passivo nel suo bilancio.

   CIRCOLANTE (MONETA CIRCOLANTE)

E' lo stock di moneta legale detenuto dal pubblico, con esclusione quindi delle riserve di moneta legale delle banche.

   CREAZIONE DI MONETA

DISTRUZIONE DI MONETA

Vedi più avanti

   CREDITO TOTALE INTERNO

Totale dei crediti concessi dalle banche (esclusa la Banca d’Italia)

   DOMANDA DI MONETA

Domanda di scorte monetarie da parte delle famiglie e delle imprese (settore privato) a scopo transattivo, precauzionale e speculativo

   IMPIEGHI

Nel linguaggio bancario "impieghi" significa prestiti in lire o in valuta a breve o a medio-lungo termine concessi dalle banche o dagli istituti di credito speciale alla clientela ordinaria

   LIQUIDITA'

Il termine assume numerosi significati:

"Liquidità di una banca" E' la capacità di una banca di far fronte ai pagamenti in contanti richiesti dai clienti

"Liquidità di una banca" In un secondo significato indica la capacità di una banca di concedere credito o di aumentare il volume di credito al pubblico

"Liquidità a disposizione di famiglie e imprese" Disponibilità presso tali soggetti di attività di portafoglio che non sono mezzi di pagamento, ma sono immediatamente trasformabili in mezzi di pagamento (ad es. titoli di stato a breve termine)

"Liquidità di una attività di portafoglio" Qualità di una attività per cui essa può essere prontamente trasformata in moneta. Ad esempio, quanto più facilmente un credito che non è un mezzo di pagamento può essere convertito in mezzi di pagamento, tanto più tale credito è "liquido".

"Liquidità primaria e liquidità secondaria" Nel significato di moneta (moneta legale + moneta bancaria)

   M1 (LIQUIDITA’ PRIMARIA)

Circolante + Depositi a vista

Attività utilizzabili direttamente dal pubblico come mezzi di pagamento: moneta legale (biglietti e monete) + conti correnti bancari e postali + depositi a vista presso la Banca d'Italia e il Tesoro. Di solito, quando nei testi economici si definisce "moneta" come l'insieme "moneta legale + depositi a vista", ci si riferisce ad M1.

   M2 (LIQUIDITA’ PRIMARIA + LIQUIDITA’ SECONDARIA)

Circolante + Depositi a vista + Depositi a risparmio

M1 + Liquidità secondaria (Depositi a risparmio bancari e postali + buoni postali fruttiferi)

   M3

Circolante + Depositi a vista + Depositi a risparmio + BOT

   MONETA

“Moneta” è l’insieme dei mezzi di pagamento universalmente accettati; nel senso generico può significare M1 o M2 o M3; il significato più comune, che adotteremo è quello di Circolante + Depositi a vista in possesso del settore privato (Settore privato = famiglie + imprese), cioè di M1.

   MONETA A CORSO LEGALE

MONETA A CORSO FORZOSO (CARTA MONETA INCONVERTIBILE)

Lo stato può imporre ("corso legale") o non imporre ("corso fiduciario") la accettazione della sua moneta come mezzo legale di pagamento, cioè di estinzione dei debiti pecuniari.

Il “corso forzoso” si ha quando, nel caso di moneta a corso legale la banca di emissione nega il cambio in moneta metallica ("corso forzoso")

L’euro è una moneta a corso legale e a corso forzoso

   MONETA BANCARIA

Depositi a vista creati dalle banche. Gli assegni NON sono moneta bancaria, ma solo strumenti (ordini) di trasferimento di moneta bancaria. La moneta bancaria è anche chiamata "moneta di conto".

   MONETA CARTACEA (CARTA MONETA)

MONETA CARTACEA INCONVERTIBILE

Termine usato normalmente per le banconote. E’ formata dalle banconote accettabili a vista  nelle transazioni commerciali e creditizie. Viene emessa dalla banca centrale secondo le leggi dello stato.

Può essere convertibile (in altre monete, lingotti d’oro o di altri metalli preziosi) o inconvertibile

   MONETA COMMERCIALE

Sono monete commerciali gli assegni bancari e circolari, i vagli postali, le cambiali, le carte di credito

   MONETA DI CONTO

Unità di moneta che non circola materialmente ma in depositi, versamenti, registrazioni di dare e avere, bilanci di enti, che sono espressi in questa moneta. Per i pagamenti viene prima trasformata nella moneta che si usa nei pagamenti.

Ad esempio, fino al 2001 il bilancio dell’Unione Europea, i contributi versati dai vari paesi, i fondi erogati dall’Unione Europea erano denominati in Euro, ma i pagamenti ai privati avvenivano nelle monete nazionali

Un altro esempio è dato dai contratti che prevedono pagamenti futuri in cui, per evitare gli effetti dell’inflazione sulla moneta nazionale, la prestazione viene calcolata in una moneta estera caratterizzata da una maggiore stabilità di valore, che funziona come moneta di conto. Il pagamento può essere effettuato in moneta nazionale, ma dopo averne rapportato il valore alla moneta estera in base al cambio del giorno.

   MONETA DIVISIONARIA

Meglio nota come “spiccioli”, è la moneta di piccolo taglio coniata generalmente in metalli non preziosi (ma esistono anche “biglietti di banca” cartacei, come i vecchi biglietti da cinquecento lire del secolo scorso), il cui valore intrinseco è, almeno all’origine, notevolmente inferiore al valore nominale impresso sulla moneta stessa.

   MONETA ELETTRONICA

Serve per indicare la moneta costituita da registrazioni nella memoria di computer, il cui pagamento avviene trasmettendo ordini al computer. Un conto corrente relativamente al quale si può usare una carta bancomat o una carta di credito (per fare acquisti presso negozi o su internet) è considerabile moneta elettronica.

   MONETA LEGALE (MONETA AVENTE CORSO LEGALE) (MONETA DELLA BANCA CENTRALE)

Mezzi di pagamento coniati (monete) o emessi (biglietti di banca) dallo stato (raramente qualche stato attribuisce corso legale anche a monete straniere) aventi corso legale: cioè che tutti sono tenuti ad accettare in pagamento (obbligo stabilito dall'art. 1277 codice civile e dall'art. 693 codice penale) Anche i pagamenti di somme espresse in moneta straniera o fuori corso possono essere fatti con valore liberatorio al corrispondente valore della moneta legale.

   MONETA-MERCE

MONETA-SEGNO

   OFFERTA DI MONETA (QUANTITA’ DI MONETA DELL’ECONOMIA) (STOCK DI MONETA) (QUANTITA’ DI MONETA IN CIRCOLAZIONE)

Per "offerta di moneta" gli economisti intendono "stock di moneta esistente nel sistema", e cioè normalmente l'insieme di banconote, monete metalliche e depositi bancari a vista che costituiscono l'aggregato M1, anche designato col nome di "quantità di moneta in circolazione" o "quantità di moneta dell'economia".

"Offerta" non ha quindi il significato che si è studiato in macroeconomia: insieme di quantità che un soggetto è disposto ad offrire in relazione ai vari possibili prezzi.

   PORTAFOGLIO

SCELTE DI PORTAFOGLIO

Vedi il paragrafo specifico

   RACCOLTA (MASSA FIDUCIARIA)

Complesso dei fondi depositati in una banca ordinaria dal pubblico. Sono segnati al passivo del bilancio della banca

   RISERVE BANCARIE

Normalmente indica la parte di base monetaria in possesso delle banche, costituita dalle banconote e monete metalliche da esse detenute + i depositi presso la banca centrale. Tali depositi sono moneta legale a tutti gli effetti, perché la Banca Centrale si impegna a consegnare alla banca ordinaria, su richiesta, la corrispondente quantità di moneta legale. Essi possono essere utilizzati per fare pagamenti ad altre banche o essere trasformati in circolante mediante pagamento al pubblico del contante prelevato.

   SETTORE PUBBLICO DELL’ECONOMIA

SETTORE PRIVATO DELL’ECONOMIA

Per "Settore privato della economia" si intende Famiglie + Imprese non bancarie + banche ordinarie. Per "Pubblico" si intende invece Famiglie + Imprese non bancarie.

Quindi "Settore privato della economia" = "Pubblico" + Banche ordinarie.·  Sistema monetario

   SISTEMA MONETARIO A CARTA MONETA INCONVERTIBILE

E' il sistema monetario vigente in tutti gli attuali stati del mondo, compresa l'Italia. La carta moneta circola convenzionalmente, cioè in virtù di una norma inderogabile di legge: lo stato ordina il corso legale e insieme il corso forzoso della carta moneta, cioè dispone che sia obbligatoriamente usata e accettata in pagamento da tutti secondo il valore stampato su di essa (corso legale), ma che non possa essere cambiata in oro (corso forzoso).

   TESORO

E' il ministero (attualmente è una sottodivisione del ministero dell’economia e delle finanze) che funge da tesoriere (cioè gestisce gli incassi e i pagamenti) dello stato: ad esso vanno versati tutti gli introiti di denaro dello stato (in particolare quelli riscossi dal ministero delle finanze) e tramite esso, mediante ordini inviati dalle altre amministrazioni, vanno fatti i pagamenti. Il Tesoro si occupa anche di reperire i fondi necessari per finanziare le spese dello stato quando le entrate tributarie non siano sufficienti o vi siano sfasamenti tra incassi e pagamenti, tramite emissione di titoli del debito pubblico (BOT, CCT, ecc.) o prestiti (anticipazioni) da parte della Banca d'Italia o prestiti da banche ordinarie o da governi stranieri. Il Tesoro ha facoltà di coniare la sola moneta divisionaria: monete metalliche e biglietti di stato (in passato erano i biglietti da 500 lire), ora scomparsi.

   TRANSAZIONI

Sono le compravendite e in genere gli scambi che possono avvenire tra i soggetti economici (tra famiglie e famiglie; tra imprese e famiglie; tra imprese estere e famiglie italiane; ecc.)

   VALORE INTRINSECO (VALORE REALE) (POTERE DI ACQUISTO)

VALORE NOMINALE

Il potere di acquisto di una moneta è la quantità di beni e servizi  acquistabili con un’unità di moneta

Gli "strumenti monetari" sono cose mobili (banconote, divise metalliche), su cui è impresso un numero di "unità monetarie", che esprime i valore nominale della moneta

   VARIABILI MONETARIE E VARIABILI REALI

Vedi paragrafo specifico

 

 

 

Creazione e distruzione di moneta. Creazione e distruzione di base monetaria

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Per "creazione di moneta" e "distruzione di moneta" gli economisti intendono normalmente "aumento dello stock M1" e "diminuzione dello stock M1".

Si ha pertanto creazione di (nuova) moneta quando famiglie e imprese (= il settore privato) vedono aumentare la quantità di moneta legale o di depositi a vista a loro disposizione per effettuare pagamenti; il contrario (diminuzione) si verifica nel caso di distruzione della moneta

Per "creazione di base monetaria" e "distruzione di base monetaria" gli economisti intendono l'aumento o la diminuzione dello stock di moneta legale, costituito da circolante + riserve bancarie. Come già detto, il circolante è detenuto dal pubblico, mentre le riserve bancarie sono quelle delle banche ordinarie.

"Creazione di moneta" e "Creazione di base monetaria" non sono ovviamente la stessa cosa:

A)     Vi sono casi di creazione di base monetaria cui non si accompagna creazione di moneta.

Si pensi all'acquisto, da parte della Banca Centrale, di titoli di stato di proprietà delle banche ordinarie; questa operazione fa aumentare lo stock di base monetaria, in quanto incrementa le riserve bancarie, ma non fa aumentare lo stock di moneta in mano al pubblico.

B)     Vi sono casi di creazione di moneta cui non si accompagna creazione di base monetaria.

Si pensi alla concessione di una apertura di credito in conto corrente da parte di una banca ad un imprenditore: aumenta lo stock di moneta, ma rimangono invariate le riserve bancarie, e quindi la base monetaria.

C)     Vi sono casi in cui si ha, insieme, creazione di base monetaria e creazione di moneta.

Si pensi all'acquisto, da parte della Banca Centrale, di titoli di stato in mano al pubblico: questa operazione fornisce al pubblico una quantità di moneta legale aggiuntiva pari al controvalore dei titoli, e in tal modo aumentano sia la base monetaria sia la moneta utilizzabile dal settore privato dell'economia.

 

 

 

Casi di creazione e distruzione di moneta:

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Forniamo ora delle esemplificazioni dei principali casi di creazione/distruzione di moneta o di base monetaria.

 

(1)    La Banca Centrale (Bankitalia) acquista da una banca ordinaria BOT (buoni ordinari del Tesoro) per un valore di 1000 €

∆ Circolante =

∆ Base monetaria = + 1000

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) =

 

(2)    La banca Alfa concede un prestito all’imprenditore Tizio accreditandogli la somma di 1000 € sul suo deposito a vista presso la banca stessa

∆ Circolante =

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = + 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = + 1000

 

(3)    La Banca Centrale (Bankitalia) acquista BOT (buoni ordinari del tesoro) dalle famiglie per un controvalore di 1000 € pagandole in contanti

∆ Circolante = + 1000

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = + 1000

 

(4)    La banca Alfa acquista dollari da un esportatore per un controvalore di 1000 €, che vengono accreditati sul deposito a vista dell’esportatore presso la banca Beta.

(Nota Bene: La moneta straniera non è “moneta” per l’economia nazionale)

∆ Circolante =

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = + 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = + 1000

 

(5)    La banca Alfa sconta una cambiale all’imprenditore Tizio per un controvalore di 1000 € che gli accredita sul suo deposito a vista presso la banca stessa.

(Nota bene: cambiali ed assegni in possesso della banca non sono base monetaria, essendo questa costituita solo da moneta legale)

∆ Circolante =

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = + 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = + 1000

 

(6)    Tizio, che ha un deposito a vista presso la banca Alfa, acquista un terreno da Caio, pagandolo con un assegno di 1000 € che Caio deposita sul suo deposito a vista presso la banca Beta.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) =

 

(7)    La Signora Rosa deposita 1000 € in contanti sul suo deposito a vista presso la banca Alfa.

∆ Circolante = - 1000

∆ Base monetaria = + 1000

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = + 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) =

 

(8)    La Signora Rosa, cliente della banca Alfa, sposta 1000 € da un deposito a vista ad un deposito a risparmio.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = - 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = - 1000

 

(9)      Tizio paga in contanti alla scadenza alla banca Alfa una cambiale di 1000 € che aveva firmato.

(Nota Bene: il denaro pagato alla banca, che finisce nel patrimonio della banca, e non nei depositi dei clienti, è considerato distrutto)

∆ Circolante = - 1000

∆ Base monetaria = + 1000

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = - 1000

 

(10)  Tizio acquista un televisore da Caio, che gli fa credito per 1000 € (Tizio pagherà tra un anno).

∆ Circolante =

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) =

 

(11)  Tizio restituisce alla scadenza il prestito ricevuto dalla banca Alfa pagando 600 € in contanti e 400 € con assegno emesso su un deposito che ha presso la banca Beta.

∆ Circolante = - 600

∆ Base monetaria = + 600

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = - 400

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = - 1000

 

(12)  La Banca Centrale (Bankitalia) acquista dalla famiglia Rossi BOT (buoni ordinari del Tesoro) per un controvalore di 1000 €. La somma viene accreditata sul deposito a vista che la famiglia Rossi ha presso la banca Alfa. Per far questo la Banca Centrale accredita 1000 € sul deposito della banca Alfa presso la stessa Banca Centrale.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria = + 1000

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = + 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = + 1000

 

(13)  Tizio, importatore italiano di scarpe USA, dà ordine alla banca Alfa, presso cui ha un deposito a vista, di pagare 1000 $ (controvalore 1000 €) al produttore USA di scarpe. La banca Alfa utilizza le sue riserve di dollari USA (cambiali e crediti in dollari depositati da esportatori) ed addebita il conto di Tizio del controvalore in euro.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = - 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = - 1000

 

(14)  Lo Stato preleva 1000 € di imposte a Tizio, che paga con bonifico dal suo deposito a vista presso la banca Alfa.

(Nota Bene: la moneta ceduta allo Stato si considera distrutta)

∆ Circolante =

∆ Base monetaria = - 1000

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = - 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = - 1000

 

(15)  Lo Stato acquista un computer per la Pubblica Amministrazione pagandolo 1000 € che il venditore ritira in contanti presso uno sportello della Tesoreria dello Stato.

∆ Circolante = + 1000

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = + 1000

 

(16)  La banca Alfa acquista un edificio da Tizio, e gli accredita 1000 € sul suo deposito a vista presso la stessa banca Alfa.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = + 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = + 1000

 

(17)  La Banca Centrale (Bankitalia) risconta una cambiale presentatagli dalla banca Alfa, accreditandole 1000 € sul suo deposito a vista presso la stessa Bankitalia.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria = + 1000

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) =

 

(18)  La Banca Centrale (Bankitalia) accorda un prestito alla banca Alfa accreditandogli 1000 € sul deposito a vista che la banca Alfa ha presso la stessa Bankitalia.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria = + 1000

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) =

 

(18)  La Banca Centrale (Bankitalia) accorda un prestito allo Stato accreditandogli 1000 € sul deposito a vista che lo stato ha presso la stessa Bankitalia.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) =

 

(19)  Lo Stato vende BOT (buoni ordinati del Tesoro) alla famiglia Rossi per un controvalore di 1000 €. La famiglia Rossi paga con un bonifico dal suo deposito a vista presso la banca Alfa sul conto del Tesoro.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria = - 1000

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = - 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) = - 1000

 

(20)  La banca Alfa acquista BOT (buoni ordinari del Tesoro) dallo Stato per un controvalore di 1000 €. Per pagare trasferisce 1000 € dal suo deposito a vista presso Bankitalia al deposito a vista dello Stato presso Bankitalia.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria = - 1000

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) =

 

(21)  Il signor Rossi concede un prestito al suo amico Bianchi, dandogli un assegno tratto sul suo deposito a vista presso la banca Alfa. Bianchi deposita l’assegno sul suo deposito a vista presso la banca Beta.

∆ Circolante =

∆ Base monetaria =

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) =

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) =

 

(22)  Il signor Bianchi rimborsa al suo amico Rossi il prestito di 1000 € che questi gli aveva fatto, pagandolo in contanti. Rossi versa la somma sul suo deposito a vista presso la banca Beta.

∆ Circolante = - 1000

∆ Base monetaria = + 1000

∆ Moneta bancaria (Depositi a vista) = + 1000

∆ M1 (Circolante + Depositi a vista) =

 

 

 

Rapporti tra moneta e credito; tra creazione/distruzione di moneta e creazione/distruzione di credito

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Ogni forma di moneta nei sistemi moderni è un credito: le banconote sono formalmente crediti esigibili nei confronti della Banca Centrale e da essa segnate al passivo del suo bilancio; la moneta bancaria è costituita da depositi a vista che rappresentano altrettanti debiti della banca ordinaria nei confronti del depositante. Quindi la moneta moderna è un credito nei confronti della Banca Centrale o è un credito nei confronti di una banca ordinaria. Ma non tutti i crediti sono moneta: si pensi ad un credito incorporato in una cambiale: esso non è universalmente accettato come mezzo di pagamento. Si pensi ancora ad un credito pecuniario di un soggetto nei confronti di un altro: la cessione di tale credito non è normalmente accettata come pagamento.

 

 

 

I canali di creazione / distruzione di moneta

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Si parla di "canali di creazione di moneta" per indicare quelle operazioni che fanno aumentare lo stock di moneta (M1) nel sistema:

(A)    Acquisti da parte delle banche ordinarie di attività dal settore privato

Esempio (16)

(B)    Moltiplicatore dei depositi bancari

La banca, concedendo prestiti, o scontando cambiali crea depositi a favore di soggetti privati, che costituiscono moneta: esempi (2) e (5)

(C)    Commercio con l’estero

Vedi esempi (4) e (13)

(D)    Manovra dell’aliquota di riserva obbligatoria

(vedi più avanti)

(E)    Massimale del credito

Lo stato impone un limite massimo ai prestiti che ciascuna banca può concedere

(F)    Manovra del saggio di sconto

Vedi più oltre

(G)   Operazioni di mercato aperto del Tesoro o della Banca Centrale

Se lo Stato (tramite il Tesoro) o Bankitalia acquistano titoli di stato (BOT, CCT ecc.) dalle famiglie la quantità di moneta aumenta (creazione di moneta)

Se lo stato vende titoli di stato (BOT, CCT ecc.) alle famiglie la quantità di moneta diminuisce (distruzione di moneta)

Esempi (1), (3), (12), (19)

(H)   Prelievo fiscale

Esempio (14)

(I)     Spesa pubblica

Esempio (15)

(J)    Spostamenti di somme, che una famiglia o una impresa compie, da depositi a risparmio a depositi a vista.

Esempio (8)

(K)    Si può anche citare la modifica del rapporto desiderato contante/depositi da parte del settore privato come una causa di aumento o diminuzione di moneta

 

 

 

Quali “canali di creazione di moneta” sono sotto il controllo delle Autorità Centrali?

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Esistono diversi canali attraverso i quali può essere aumentata la quantità di moneta presente nel sistema economico (chiamati “canali di creazione di moneta).

In particolare sono canali controllabili dalle autorità centrali:

Operazioni di mercato aperto

Politica valutaria

Politica delle riserve obbligatorie

Politica di sconto e prestito della Banca Centrale

 

 

 

La banca e la creazione di depositi. I sistemi di pagamento tra banche

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Esponiamo ora il sistema di pagamento tra banche ordinarie mediante stanza di compensazione

Supponiamo che Tizio, che ha un conto corrente di 300 €  presso la banca Alfa, emetta un assegno di 150 € a favore di Caio, che ha un deposito di 400 € presso la banca Beta.

Contemporaneamente Mevio, che ha un conto corrente di 300 € presso la banca Beta emette un assegno di 200 € a favore di Sempronio, che ha un conto di 150 € presso la banca Alfa.

La banca Alfa deve 150 € alla banca Beta e contemporaneamente la banca Beta deve 200 € alla banca Alfa.

Le due banche, attraverso la “stanza di compensazione” compensano il credito di 150 € che ciascuna ha verso l’altra. Rimangono da pagare 50 € da parte della banca Beta alla banca Alfa.

La banca Beta può materialmente inviare contante o a sua volta spostare denaro da un deposito che ha presso la banca Alfa o presso altre banche

La banca Beta può anche pagare spostando una parte dei depositi che tutte le banche ordinarie hanno presso la Banca d’Italia

Infine, la banca Alfa rettifica le sue scritture: ora il conto corrente di Tizio è di 150 € e non più di 300 € mentre il conto di Sempronio è di 350 € e non più di 150 €

Anche la banca Beta rettifica le sue scritture: ora il conto corrente di Caio è di 550 €, e non più di 400 €, mentre il conto corrente Mevio sarà di 100 € e non più di 300 €

Le banche effettuano la maggior parte dei pagamenti tramite compensazioni, senza spostamenti materiali di moneta.

 

 

 

Il moltiplicatore dei depositi bancari

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  L’aliquota r di riserva obbligatoria

Normalmente la legge prescrive alle banche di tenere una somma in moneta legale pari ad una frazione r dei loro depositi. Questa somma consiste in realtà di depositi a vista presso la Banca Centrale (da noi la Banca d’Italia). La frazione r ha un valore compreso tra 0 ed 1.

  La percentuale c di moneta tenuta presso di sé dal pubblico

Normalmente, famiglie e imprese tengono una parte della propria moneta sotto forma di depositi bancari a vista, e una parte presso di sé, sotto forma di moneta legale. La percentuale di moneta tenuta presso di sé sul totale della moneta posseduta è chiamata c, e può assumere un valore compreso tra 0 ed 1

  Il moltiplicatore dei depositi bancari

Supponiamo che una banca ottenga moneta legale pari ad L dalla vendita di titoli di stato (BOT, CCT ecc.) di sua proprietà; essa vuole sapere quanti nuovi depositi M può creare sfruttando la quantità L di moneta che è venuta in suo possesso.

La banca sa che, per legge, non deve tenere una quantità di moneta legale inferiore ad una percentuale r dei suoi depositi.

La banca sa anche che il pubblico ritirerà una frazione c dei nuovi depositi che essa creerà, perché c è la percentuale di moneta che il pubblico desidera tenere presso di sé sotto forma di moneta legale.

Dopo un certo tempo dalla creazione dei depositi, quindi, la moneta legale in possesso della banca si sarà ridotta a:

L – (c M)

a seguito del prelievo di una somma c M da parte dei correntisti

I depositi della banca si saranno pure ridotti della quantità c M prelevata, e ora saranno pari a:

M – c M

Se la banca vorrà rispettare la legge sull’aliquota di riserva obbligatoria r potrà espandere i depositi M solo fino al limite:

 

 

dove, come già detto, L è la moneta legale depositata in banca da Tizio; e M è l’ammontare dei depositi originariamente creati dalla banca

Il membro di sinistra reca al numeratore , che è la quantità di moneta legale che rimane nella banca dopo che i depositanti hanno prelevato una somma da tenere presso di sé in contanti.

Il membro di sinistra reca al denominatore , che è il totale dei depositi rimasto dopo l’uscita della somma

Il rapporto tra numeratore e denominatore è quindi il rapporto tra il contante della banca e e depositi della banca, e tale rapporto, per legge, non deve essere inferiore ad r. Se la banca volesse creare la quantità massima consentita di depositi, dovrebbe quindi eguagliare ad r il membro di sinistra.

Risolvendo per M si ha:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

 

L’espressione:

 

 

 

che, in relazione ai valori di r e di c ha un valore superiore ad 1, prende il nome di “moltiplicatore dei depositi bancari”

Qual è il limite massimo di espansione dei depositi tenendo presente il deflusso di contante e il rischio di prelievi eccezionali da parte della clientela?

Se interpretiamo r come percentuale imposta dall’esperienza e non dalla legge, la formula del moltiplicatore dei depositi bancari:

 

 

 

rappresenta il limite massimo di espansione dei depositi cui la banca può arrivare senza rischio

Supponiamo che i depositi sono mantenuti sempre al massimo livello dalle banche, che, non appena viene restituito un deposito, ne creano un altro per un altro correntista.

La creazione di moneta dipende dalla domanda di moneta della clientela: se la banca ha sufficiente domanda essa può espandere i depositi fino ad un determinato limite, che può essere il limite teorico segnato dal moltiplicatore.

La domanda di credito da parte degli imprenditori si colloca nella domanda di moneta a scopo transattivo.

Ovviamente può pur sempre esserci creazione di credito senza creazione di moneta.

Per rimborsare il proprio prestito di (supponiamo) 100 milioni, il mutuatario deve acquisire un deposito altrui o del contante altrui, da riconsegnare alla banca.

Nel momento in cui riconsegna alla banca il contante o i depositi, 100 milioni di moneta legale e/o bancaria vengono distrutti.

Successivamente, la banca presta nuovamente 100 milioni ad un altro imprenditore, e i depositi ritornano al livello originario, pari a:

 

 

A prima vista l’affermazione che “dal deposito defluisce solo una quantità di contante pari a una frazione c del deposito stesso”, e quindi che “la banca deve tenere di riserva solo una frazione c del deposito” non sembra vera.

Sembrerebbe che, a poco a poco, il titolare del deposito ritiri una quantità di contante pari all’intero ammontare del deposito.

Ma questo non è vero. Anzitutto, molti dei pagamenti vengono fatti con assegno, e quindi vengono compensati tra banche e danno luogo a partite di giro. Ma supponiamo pure che un depositante ritiri tutto il deposito in moneta.

Supponiamo che il totale dei depositi di tutte le banche sia di 80 milioni, e che “c” sia di 0,2: vuol dire che esisterà moneta per un valore di 100 milioni (80 milioni di moneta bancaria, e 20 milioni di moneta legale detenuta dal pubblico). A questo punto il depositante Tizio, che aveva un deposito di 10 milioni e aveva ritirato già due milioni, ritira l’intero deposito di 10 milioni. Ma questo contraddice il fatto che le sue preferenze sono per una detenzione di contante di 0,2. Possiamo quindi avere solo due possibilità: o il soggetto rimette il contante eccedente in banca, o lo dà ad altro soggetto (Caio). Caio, ha una nuova ricchezza di 8 milioni, e ne deposita 8∙80% = 6.400.000 in banca. A sua volta Tizio, coerentemente con l’ipotesi, sceglierà di tenere 2.000.000 ∙ 80% = 1.600.000 in banca. E abbiamo così dimostrato che gli 8 milioni sono tornati in banca.

La formula dei depositi nel caso che la quantità di moneta L sia ottenuta dalla banca dal versamento di un correntista

Nel caso di un correntista che deposita una somma in contante presso una banca, la formula dell’espansione dei depositi è lievemente diversa:

 

 

Infatti, ora il deflusso è pari a:

 

c M – c L

 

perché possiamo supporre che il correntista che ha depositato la somma sia soddisfatto della ripartizione del denaro tra depositi e moneta presso di sé, e non ritiri una frazione c di contante

Qual è il limite massimo di espansione dei depositi in condizioni normali (cioè se non esistessero rischi di prelievi eccezionali da parte dei correntisti)?

Teoricamente la banca potrebbe trascurare la riserva r e quindi espandere i depositi fino al limite:

 

 

 

e cioè:

 

 

 

e cioè:

 

Possiamo considerare  come il “moltiplicatore dei depositi in assenza di obbligo di riserva r

In condizioni normali, se i depositi sono pari a , la banca avrà una uscita di contante pari ad , e non si dovrà preoccupare di altre uscite.

Se la banca tiene una riserva di contante non pari, ma superiore a , questo è dovuto al fatto che possono verificarsi situazioni di eccezionale richiesta di contante da parte dei correntisti.

Una anomala richiesta di contante alla banca si ha ad esempio nei periodi di grandi acquisti (festività pasquali e natalizie, inizio delle vacanze, giorni di fiere e mercati, periodi di incentivi pubblici per l’acquisto di una nuova auto, ecc.)

Cosa vuol dire che se le banche “muovono ad egual passo” non si avrà emorragia di contante né rischio di insolvenza?

Partiamo dal presupposto che i nuovi depositi si ripartiscono in modo casuale tra le banche. Ciò vuol dire che se esistono quattro banche, A, B, C, D e la banca A crea un deposito di 100 milioni, ben presto ciascuna delle banche avrà 25 milioni di deposito.

In questa situazione, se le banche creano ciascuna la stessa quantità di nuovi depositi ogni mese, non ci sarà deflusso di contante oltre quello costituito dalla frazione c dei depositi che i correntisti vorranno tenere in moneta presso di sé.

Consideriamo il caso delle banche A, B, C, D: ciascuna di queste banche raccoglie il 25% dei depositi totali. Supponiamo che esse aumentino ciascuna i propri depositi di 100 milioni. Dopo breve tempo, supponendo c = 0,2 ciascuna di esse possiederà depositi per 80 milioni, perché i correntisti ritireranno una parte della somma da tenere presso di sé. Consideriamo ora la situazione della banca A. Il 75% dei depositi rimasti, pari a 60 milioni, uscirà dalla banca A. Ma contemporaneamente vi rientrerà il 25% dei depositi creati dalla banca B (20 milioni) più il 25% dei depositi creati dalla banca C (20 milioni) più il 25% dei depositi creati dalla banca D (20 milioni): nel complesso, la banca A riceve 60 milioni e non avrà alcun deflusso di moneta.

Non è necessario supporre che tutte le banche abbiano eguali dimensioni: supponiamo che, ad es. in relazione al numero di sportelli, una banca acquisisce normalmente il 70% dei depositi, mentre un’altra ne acquisisce il 30%. Di fatto le quote di mercato cambiano molto lentamente, come dimostra il caso del salvataggio della Chrysler da parte di Lee Iacocca. “Muovere ad egual passo” vuol dire che la banca crea depositi in proporzione alla sua quota di depositi sul totale (se le banche hanno eguali dimensioni, questo vuol dire che esse creano contemporaneamente lo stesso ammontare di depositi).

Se la banca A ha 400 sportelli (e quindi il 40% della raccolta) e le banche B, C, D hanno ciascuna 200 sportelli (e quindi il 20% della raccolta ciascuna), quando la banca A crea depositi per 100 milioni, per muovere ad egual passo ed evitare rischi, le altre banche debbono creare ciascuna 50 milioni di depositi. I correntisti ritireranno una frazione c = 0,2 dei depositi per tenerli in contante presso di sé, e in questo modo, dopo breve periodo la situazione dei depositi sarà la seguente:

 

BANCA

Deposito  originariamente creato

Deposito dopo il prelievo dei correntisti

Fuga dei depositi verso altre banche

Arrivo di depositi dalla banca A

Arrivo di depositi dalla banca B

Arrivo di depositi dalla banca C

Arrivo di depositi dalla banca D

A

100.000.000

80.000.000

48.000.000

-

16.000.000

16.000.000

16.000.000

B

50.000.000

40.000.000

32.000.000

16.000.000

-

8.000.000

8.000.000

C

50.000.000

40.000.000

32.000.000

16.000.000

8.000.000

-

8.000.000

D

50.000.000

40.000.000

32.000.000

16.000.000

8.000.000

8.000.000

-

 

Come si può vedere, la fuga dei depositi è esattamente compensata dall’afflusso dalle altre banche.

Se invece le banche non rispettassero queste proporzioni, si avrà una uscita di contante dalla banca che espande i depositi più delle altre. Facciamo la seguente ipotesi:

 

BANCA

Deposito originariamente creato

Deposito dopo il prelievo dei correntisti

Fuga dei depositi verso altre banche

Arrivo di depositi dalla banca A

Arrivo di depositi dalla banca B

Arrivo di depositi dalla banca C

Arrivo di depositi dalla banca D

A

100.000.000

80.000.000

48.000.000

-

32.000.000

16.000.000

16.000.000

B

100.000.000

80.000.000

64.000.000

16.000.000

-

8.000.000

8.000.000

C

50.000.000

40.000.000

32.000.000

16.000.000

16.000.000

-

8.000.000

D

50.000.000

40.000.000

32.000.000

16.000.000

16.000.000

8.000.000

-

 

I dati in corsivo rappresentano la variazione rispetto alla prima ipotesi. Come si può vedere, mentre le banche A, C, D espandono la moneta “di pari passo”, la banca B espande la moneta in modo non proporzionale alla espansione attuata dalle altre. Questo provoca una fuga di depositi pari a 64.000.000, a fronte di un arrivo di nuovi depositi di soli 32.000.000. Ciò vuol dire che la banca B dovrà versare alle altre banche moneta legale per un ammontare di 32.000.000

 

 

 

L’incontro tra la domanda e l’offerta di moneta

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Qualunque sia la domanda di moneta, la massa monetaria esistente in ogni momento è frutto di decisioni delle autorità monetarie, e rappresenta un'offerta di moneta. I privati e le società, ossia i richiedenti, possono soltanto adattarsi a detenere la massa monetaria esistente, ma, nel tentativo di scambiare la moneta eventualmente eccedente rispetto ai loro piani o di ottenere quella mancante, finiscono per far variare il prezzo di mercato o i saggi di interesse di altre attività finanziarie. Dopo aver influenzato le variabili monetarie, tutto ciò influenza le variabili reali dell'economia

 

 

 

La politica monetaria: La “politica economica”

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La "Politica economica" è l'insieme delle azioni intraprese dalle autorità centrali per influenzare l'economia utilizzando, in base alle conoscenze fornite dalla economia politica, gli strumenti a loro disposizione: creazione di divieti o obblighi che impongano ai soggetti economici determinati comportamenti; incentivi e disincentivi monetari, fiscali, ecc.; imposte; spese pubbliche; ecc. "Politica economica" è anche il nome della scienza che studia, applicando le conoscenze della economia politica, gli strumenti con i quali si possono modificare le variabili economiche e i loro effetti.

 

 

 

La politica monetaria: La “politica di bilancio”

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La "Politica di bilancio" è l'insieme delle decisioni di spesa e di tassazione attuate dallo Stato e fissate nel documento di bilancio approvato annualmente dal Parlamento su proposta del Governo. Mediante un aumento o una diminuzione di spesa si può influenzare la domanda aggregata di beni e servizi e quindi il livello del reddito nazionale (vale a dire l'ammontare di beni e servizi prodotti in un dato anno). Mediante un aumento o una diminuzione del prelievo fiscale si può egualmente influenzare la domanda di beni e servizi delle famiglie e delle imprese, con identici effetti.

 

 

 

La politica economica: La “politica monetaria”. La “politica monetaria espansiva”. La “politica monetaria restrittiva”

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E' la politica attuata dalla banca d'Italia e dal sistema bancario su direttive del Ministero dell’economia e delle finanze (ma oggi la Banca d’Italia è largamente indipendente dal Ministero per quanto riguarda la politica monetaria).

La "Politica monetaria" è l'insieme delle azioni intraprese dalle autorità per controllare lo stock di moneta e, in tal modo, influenzare o controllare variabili macroeconomiche importanti quali livello generale dei prezzi, saggio di interesse, livello dei cambi, investimenti, ecc.

I legami tra la politica di bilancio e la politica monetaria sono molteplici. Facciamo alcuni esempi:

   Il deficit pubblico può considerarsi una concausa di inflazione soprattutto se la sua copertura è affidata ad emissioni monetarie

   I tassi di rendimento applicati dallo stato ai titoli di debito pubblico, per renderli più appetibili ai risparmiatori influiscono sui livelli dei tassi del mercato monetario e comunque il risparmio che affluisce alle casse dello stato è sottratto ad altri impieghi, causando un aumento del tasso di interesse

   Per contro, l'aumento dei tassi deciso dalla banca centrale provoca, anche per lo stato e gli altri soggetti pubblici, un maggior onere per il loro indebitamento. Ciò accresce la spesa pubblica, con conseguenti movimenti sia sulle entrate (eventuali aumenti tributari), sia sulle altre spese oltre quelle per interessi (minori investimenti) e sia sul disavanzo (che può aumentare)

Da questi pochi esempi si può comprendere che la politica di bilancio, pur operando sulle entrate e sulle spese dello stato, ha anche effetti monetari (sia sulla massa di moneta sia sui tassi) e per contro che la politica monetaria pur operando sull'offerta di moneta, può influire sulle entrate e sulle spese pubbliche

Fanno parte della politica monetaria:

·    la politica creditizia (solo in parte)

·    la politica valutaria

·    la politica delle riserve obbligatorie

·    la politica di sconto e prestito da parte della Banca Centrale

·    La politica di mercato aperto

La politica creditizia e la politica valutaria potrebbero tuttavia avere obiettivi diversi dall'aumento o diminuzione dello stock di moneta.

Si parla di "politica monetaria espansiva" quando le azioni delle autorità hanno l'obiettivo di incrementare lo stock di moneta; di "politica monetaria restrittiva" quando l'obiettivo è la diminuzione dello stock di moneta.

 

 

La crescente importanza della politica monetaria nel secondo dopoguerra

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La politica monetaria ha assunto, a partire dal secondo dopoguerra, un rilievo sempre maggiore.

La politica monetaria non era considerata da neoclassici e keynesiani un efficace strumento per influenzare le variabili reali della economia: reddito, consumi, investimenti, occupazione, ecc. Si riteneva generalmente che un aumento della quantità di moneta in circolazione avrebbe influenzato unicamente le variabili monetarie, principalmente elevando il livello dei prezzi, senza modificare le variabili reali.

A partire dagli anni '50 la scuola monetarista e poi un sempre maggior numero di altri economisti, da un lato hanno denunciato gli aspetti negativi delle politiche di bilancio di tipo keynesiano e dall'altro hanno mostrato come le variabili monetarie sono in molti casi in grado di influenzare le variabili reali della economia.

Quanto al primo punto essi hanno denunciato:

(1)    Gli effetti inflazionistici di politiche di bilancio keynesiane. Aumentando la spesa dello stato si immette moneta nel portafoglio di famiglie e imprese senza badare al controllo di questo stock di moneta in circolazione.

(2)    Il crescente indebitamento pubblico derivante dalle politiche di bilancio keynesiane Per ragioni politiche (è più facile chiedere prestiti che non rendersi impopolari con nuove imposte) ed economiche (se lo stato si limita a rimettere in circolazione somme prelevate con le imposte, che famiglie e imprese avrebbero comunque speso, la spesa aggregata non aumenterebbe significativamente; se invece lo stato si finanzia con i risparmi di famiglie e imprese spende somme che queste non avrebbero speso, ed apporta un significativo incremento alla spesa aggregata) la spesa pubblica è stata regolarmente finanziata con prestiti pubblici piuttosto che con imposte.

(3)    Il danno per gli investimenti privati Le crescenti necessità di finanziamento da parte dello stato lo hanno portato a fare concorrenza alle imprese per accaparrarsi il risparmio disponibile; come risultato il costo del denaro è salito e gli investimenti privati sono diminuiti, senza che a compensarli vi fosse un adeguato volume di investimenti pubblici (la spesa pubblica finisce perlopiù in stipendi e in altre spese correnti non di investimento)

Quanto al secondo punto essi hanno messo in evidenza che:

(4)    Se l'economia non è in una situazione di massima occupazione, allora, secondo il pensiero neoclassico o monetarista l'aumento di spesa provocato dall'aumento dello stock di moneta può contribuire a far aumentare la produzione (variabile reale).

(5)    Se invece si ritiene, con Keynes, che i soggetti cercano di liberarsi dell'eccesso di moneta acquistando titoli, allora potrà aversi una diminuzione del saggio di interesse sui prestiti e gli imprenditori, notato che il denaro è più a buon mercato, aumenteranno gli investimenti, facendo crescere il reddito nazionale (variabile reale)

La politica monetaria è diventata sempre più importante anche per un'altra ragione. Nel corso del tempo la spesa dello stato, destinata per una parte sempre maggiore a coprire le necessità correnti (stipendi, materiali di consumo, ecc.) è diventata sempre meno modificabile.

Una efficace politica keynesiana di bilancio, basata su variazioni della spesa per far fronte alla congiuntura economica, è divenuta quindi praticamente impossibile, e l'unico strumento importante di politica economica in mano alle autorità è rimasta la politica monetaria.

Questo ha portato a una grande influenza politica della Banca d'Italia, e a un rafforzamento della sua indipendenza come autorità monetaria, culminato con il cosiddetto "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro, consistente nel fatto che la Banca d'Italia non è più obbligata ad acquistare i titoli del tesoro, e potrebbe non farlo qualora ciò contrasti con obiettivi di stabilità monetaria.

 

 

 

La politica monetaria: La “politica creditizia”

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La "Politica creditizia" è quell'insieme di azioni delle autorità centrali volte a controllare la creazione di credito da parte delle banche ordinarie.

Il credito è infatti, come sappiamo, un importante strumento di creazione di moneta, e inoltre condiziona gli investimenti, i consumi e in genere il livello della attività economica.

Molte delle azioni volte a controllare la quantità di moneta esistente hanno l'effetto di controllare il credito

"Politica creditizia" e "Politica Monetaria" hanno perciò una serie di strumenti e di interventi in comune.

Un importante strumento di politica creditizia è, oltre che l'aliquota di riserva obbligatoria, il massimale degli impieghi, che impone alle banche ordinarie di non superare un certo volume di crediti concessi (normalmente vi sono tetti diversi a seconda del tipo di credito: al consumo o produttivo, a medio o a breve termine, interno o all'esportazione, ecc.)

 

 

 

La politica monetaria: La efficacia della politica monetaria. La “asimmetria” della politica monetaria

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Una politica monetaria espansiva non avrà effetto se banche ordinarie, Tesoro, famiglie e imprese non decidono di approfittare delle opportunità di sfruttare una maggiore quantità di base monetaria che le autorità concedono loro dichiarandosi disponibili al risconto di cambiali, all'acquisto di titoli, alla concessione di prestiti alle banche ordinarie, al cambio di divise estere o diminuendo la aliquota di riserva obbligatoria:

   Le banche ordinarie potrebbero infatti giudicare non necessario aumentare le proprie riserve di moneta legale, e quindi non chiedere anticipazioni o risconti alla Banca Centrale.

   Le banche ordinarie potrebbero voler aumentare le riserve ma giudicare prudente non aumentare comunque il volume dei prestiti e quindi dei depositi, ad es. perché la congiuntura non è favorevole.

In tal caso non sfrutterebbero neanche la possibilità di espandere i depositi offerta dalla diminuzione della aliquota di riserva obbligatoria.

   Il Tesoro potrebbe non voler vendere titoli alla Banca Centrale o ottenerne prestiti, o comunque potrebbe decidere di rimandare la spesa delle somme così ottenute.

   Il pubblico potrebbe non aver bisogno di nuovi prestiti da parte delle banche ordinarie, o non voler vendere i titoli di stato in proprio possesso.

Invece, una politica restrittiva avrà più facilmente effetto sulla base monetaria e sullo stock di moneta M1.

Infatti, a meno che le banche ordinarie non dispongano di riserve eccedenti o siano in grado di procurarsi nuova base monetaria (ad es. vendendo titoli a breve o altre attività prontamente liquidabili in loro possesso) l'aumento della aliquota di riserva obbligatoria, unito al rifiuto della Banca Centrale di concedere prestiti o risconti o alla limitazione del cambio delle divise, le metterà in difficoltà, costringendole a diminuire il volume dei depositi.

Anche le operazioni di vendita di titoli sul mercato da parte del Tesoro o della Banca Centrale a famiglie e imprese vengono finanziati attingendo dai depositi presso le banche ordinarie. Nel momento in cui il Tesoro o la Banca Centrale pretendono il pagamento in contanti degli assegni emessi su questi depositi le banche ordinarie si vedono private di una corrispondente quantità di riserve.

Per esprimere il fatto che una politica monetaria restrittiva è normalmente di più sicuro effetto, mentre l'effetto di una politica monetaria espansiva è solo eventuale si usa parlare di "asimmetria" della politica monetaria.

 

 

 

La politica monetaria: Le operazioni di mercato aperto della Banca Centrale o del Tesoro mediante acquisto o vendita di titoli del Tesoro a famiglie e imprese

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Sia la Banca Centrale che il Tesoro, acquistando o vendendo titoli al settore privato ("operazioni di mercato aperto") possono far aumentare o diminuire lo stock di base monetaria o di moneta M1.

La Banca Centrale può far aumentare la base monetaria anche acquistando titoli direttamente dal Tesoro.

Una famiglia o una impresa che acquista titoli cede moneta al Tesoro o alla Banca Centrale. Supponiamo che essa paghi tali titoli con un assegno. Quando il Tesoro o la Banca Centrale presentano alla banca ordinaria l'assegno per la riscossione, chiedendo di essere pagati in moneta legale, si verifica contemporaneamente una diminuzione di eguale ammontare dei depositi (e quindi di M1) e delle riserve (e quindi di base monetaria) della banca. Quando la banca ordinaria vede diminuire dello stesso ammontare sia la quantità di depositi che la quantità delle riserve di moneta legale, anche il suo rapporto riserve/depositi diminuisce

Infatti, sottraendo al numeratore e al denominatore di una frazione la stessa cifra il valore della frazione diminuisce, se era minore di 1, o aumenta, se era maggiore di 1; il rapporto riserve/depositi è sempre minore di 1 e quindi il suo valore diminuisce

Il rapporto riserve/depositi può così trovarsi al disotto del minimo legale imposto dalla Banca Centrale.

La banca ordinaria si trova allora in una situazione simile a quella in cui la Banca Centrale abbia aumentato la aliquota di riserva obbligatoria: deve procurarsi nuove riserve di moneta legale o diminuire i depositi.

Se sceglie la seconda alternativa lo stock di moneta M1 diminuisce.

Se la Banca Centrale acquista titoli direttamente dal Tesoro e lo Stato spende poi le somme ricavate si ha un immediato aumento di moneta M1 in possesso del settore privato.

Come abbiamo visto parlando degli effetti della politica monetaria, le operazioni di mercato aperto, facendo aumentare la quantità di moneta nel portafoglio di famiglie e imprese potrebbero spingerle a liberarsene acquistando beni e servizi o titoli; in entrambi i casi possono verificarsi importanti effetti sul reddito, la occupazione e altre variabili reali.

 

 

 

La politica monetaria: La “politica valutaria”

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La "Politica valutaria" è l'insieme delle azioni decise dalle autorità centrali allo scopo di controllare il mercato dei cambi.

Da tali decisioni può derivare creazione o distruzione di base monetaria e di moneta in quantità rilevante. Si supponga che lo stato voglia difendere un determinato livello di cambio.

Normalmente in questi casi le autorità dichiarano che a quel livello di cambio sono disposte a vendere e ad acquistare qualsiasi quantitativo di divise estere in controvalore di lire italiane. In periodi di esportazioni eccedenti sulle importazioni lo stato effettuerà quindi ingenti vendite di lire agli esportatori, che gli cederanno le divise ricevute in pagamento delle merci esportate. Si verificherà quindi un aumento continuo della base monetaria in mano al settore privato (agli esportatori). In periodi di importazioni eccedenti sulle esportazioni lo stato effettuerà invece ingenti vendite di divise estere, richieste dagli importatori per acquistare merci straniere, e in tal modo ritirerà dalla circolazione le lire offerte in cambio. Si verificherà quindi una diminuzione continua della base monetaria in mano al settore privato (agli importatori).

 

 

 

La politica monetaria: La “politica delle riserve obbligatorie”

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La "Politica delle riserve obbligatorie" della Banca Centrale è la manovra con cui la Banca Centrale stabilisce l'aliquota o percentuale di riserva obbligatoria delle banche (normalmente indicata dagli economisti con il simboli “r"), cioè la percentuale dei depositi che esse debbono tenere sotto forma di moneta (contante o depositi presso la banca centrale). Se la Banca Centrale aumenta l'aliquota r, allora il valore dei moltiplicatori dei depositi:

 

 

diminuisce.

Le banche si trovano con un rapporto riserve/depositi troppo alto e debbono aumentare le riserve o diminuire i depositi. Per aumentare le riserve esse debbono ottenere altra moneta legale, principalmente vendendo i titoli in loro possesso o chiedendo moneta alla Banca Centrale, come anticipazione (prestito) o presentando al risconto delle cambiali. Ma se la Banca Centrale rifiuta le anticipazioni o il risconto e se la banche ordinarie non dispongono di titoli in quantità sufficiente, è allora necessario ridurre i depositi, richiamando i prestiti concessi o non rinnovando i prestiti alla scadenza. In tal modo diminuisce la moneta bancaria (depositi) a disposizione del pubblico e con essa anche lo stock M1.

 

 

 

La politica monetaria: La “politica di sconto e prestito della Banca centrale”

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La "Politica di sconto e prestito della Banca Centrale" è l'insieme di decisioni riguardo il risconto di cambiali delle banche ordinarie e i prestiti da concedere ad esse e soprattutto allo stato tramite il Tesoro. Come si è visto parlando della politica delle riserve obbligatorie, la decisione della Banca Centrale di non scontare e di non concedere prestiti può mettere in difficoltà le banche ordinarie, che in tal modo sono costrette a ridurre il totale dei loro depositi. Se invece la Banca Centrale decide di accordare prestiti e risconti le banche ordinarie potranno ottenere per tali vie nuova base monetaria da utilizzare per espandere ulteriormente i depositi.

 

 

 

Le vicende del credito alle imprese in Italia

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In Italia è da sempre esistito il problema del finanziamento del capitale di rischio delle imprese: i piccoli risparmiatori sono diffidenti, le imprese si rivolgono all'autofinanziamento o all'indebitamento con le banche o alla compressione dei dividendi (nelle aziende grandi), generando così una disaffezione del pubblico dei risparmiatori. In tal modo, chi vuole guadagnare in borsa deve darsi ad attività speculative. Queste attività falsano il valore dei titoli, che dovrebbe essere l'indicatore del valore delle imprese e guidare i risparmiatori ad un corretto investimento a medio-lungo termine. E questa situazione accentua il carattere di rischiosità dell'investimento in borsa, rafforzando il circolo vizioso di sfiducia e disaffezione del risparmiatore. Per questo stato di cose, si può dire che in Italia la borsa non è necessaria alle imprese. Diventa il luogo dove si compiono passaggi di mano azionari e speculazioni. Negli ultimi decenni la politica dei finanziamenti delle imprese si è deteriorata rapidamente, con i debiti a breve che sono divenuti prevalenti su quelli a medio-lungo termine. Questo è dovuto a incertezza sulle prospettive economiche che in parte deriva dall'oscillante andamento della economia italiana, in parte è sicuramente una conseguenza dell'aumento vertiginoso della velocità dei cambiamenti della economia mondiale. Inoltre, in presenza di inflazione finanziare le imprese con obbligazioni diviene difficile, perché tali obbligazioni sarebbero rimborsate con denaro svalutato. L'inflazione è stata una piaga costante della economia italiana. Tra le ragioni: a) la imponente spesa pubblica, che, essendo finanziata con prestiti delle famiglie, si affianca alla spesa di tali famiglie anziché sostituirla, come avverrebbe se invece fosse finanziata con imposte; b) la ristrutturazione industriale che ha sostituito macchinari a lavoro, e in tal modo ha reso difficoltoso per le imprese diminuire o controllare i prezzi comprimendo i salari; c) la fragilità di larghe parti del sistema produttivo italiano, che non riesce a far fronte a richieste di aumenti salariali con corrispondenti incrementi di produttività, e quindi deve scaricare sul prezzo gli effetti di tali aumenti; d) l'aumento del prezzo delle materie prime per un paese, come il nostro, che deve importare la quasi totalità delle risorse non agroalimentari. Per lottare contro l'inflazione, le autorità monetarie iniziano, sin dagli anni '70, le cosiddette politiche di "stop and go", in cui cioè si alternano pesanti strette creditizie (stop) a periodi in cui l'attività economica è lasciata libera di espandersi (go). Le strette creditizie danneggiano prevalentemente le imprese e le loro fonti di finanziamento, visto anche che con la concorrenza dello stato nell'accaparrarsi risparmi la restrizione del credito si ripercuote a loro danno. Quando, negli anni '70, il governo si sforzò di venire incontro alle necessità di finanziamento alle imprese per favorire la ripresa industriale, cercando in tutti i modi di tenere basso il costo del denaro, i tassi di interesse più alti presenti all'estero drenarono denaro dalle banche, il tasso di cambio crollò, e si dovettero prendere misure drastiche per limitare le importazioni e per controllare la inflazione, finendo con operare... restrizioni al credito. Il finanziamento alle imprese ha sofferto, poi, fino alla legge di riforma bancaria, del peso di una doppia intermediazione: dati gli steccati tra credito ordinario e credito a medio-lungo termine posti dalla legge del 1936 (le banche che raccolgono depositi in conti correnti possono solo esercitare il credito a breve termine e lo sconto cambiario, mentre le banche che esercitano il credito a medio-lungo termine si debbono finanziare prevalentemente con prestiti di altre istituzioni o emissioni di titoli) e la scarsa propensione dei risparmiatori ad investire in capitale di rischio, gli istituti mobiliari potevano disporre di somme sufficienti solo facendo sottoscrivere le proprie obbligazioni alle banche ordinarie, e questo rappresentava un onere di doppia intermediazione per le imprese che venivano a loro volta finanziate.

 

 

 

La evoluzione del sistema bancario italiano

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Oggi il sistema bancario si trova in una fase di mutamenti profondi. Il dato essenziale è, a livello mondiale, l'avvento della società dei servizi e del capitalismo finanziario, e, a livello continentale, il processo di unificazione europea. Per oltre un decennio ('75-'85 all'incirca), nei paesi industrializzati c'era stato un freno allo sviluppo delle forze produttive e il modello degli anni cinquanta non funzionava più. Le imprese cercarono di ristabilire i margini di profitto aumentando la produttività e bloccando i salari. In queste condizioni il sostegno della domanda poteva avvenire soltanto attraverso l'espansione della occupazione nei servizi, ed il risultato fu una profonda trasformazione nella struttura sociale, con il prevalere dei servizi in tutti gli stati di capitalismo avanzato. Il profitto derivante dalle transazioni finanziarie è diventato superiore a quello ricavabile dalla produzione. Si svilupparono quindi le transazioni puramente finanziarie, all'interno dei mercati dei vari paesi, ma specialmente nei rapporti internazionali. Oggi ogni giorno vengono scambiati 1000 miliardi di dollari, ma solo il 3% di queste transazioni è riconducibile a scambio di beni e servizi. La crescente velocità con cui l'economia mondiale muta non può che accentuare il rilievo di questi spostamenti finanziari. Il capitale diviene sempre più volatile, nel senso che cerca ormai quasi esclusivamente il profitto a breve termine, e disinveste prontamente o non investe in attività, come quelle produttive, che necessitano invece di immobilizzazioni a medio-lungo termine. Questo, tra l'altro, costituisce un serio pericolo per la stabilità e la crescita del sistema produttivo internazionale. Ciò sconvolge il vecchio modo di fare banca attraverso la amministrazione dei prestiti e il rapporto con i depositi. Gli utili che le banche fanno sulle operazioni sul denaro, compra e vendita di titoli, intermediazione, operazioni speculative, vanno crescendo sistematicamente rispetto a quelli che si fanno con l'esercizio del credito e questo vale non solo per le banche di affari (che curano il finanziamento e la consulenza finanziaria delle iniziative produttive, anche mediante il collocamento di capitale), ma anche per le banche di credito ordinario. Le banche italiane, come rileva anche Romano Prodi, non sono ancora riuscite a ristrutturarsi adeguatamente e rischiano di lasciare agli altri competitori internazionali (paesi anglosassoni in testa) il ricco mercato dei nuovi servizi finanziari sui derivati e sulle attività immateriali. Una ragione della lentezza con cui si muovono le banche è dovuta anche al fatto che tali servizi sono molto più rischiosi delle tradizionali attività produttive, e Istituti di grande storia come la Banca Barings o il Crédit Lyonnais si sono trovati in piena crisi per ragioni connesse appunto a tale trasformazione. In Italia la finanza ha cercato effettivamente, seppure sempre in ritardo rispetto alla concorrenza internazionale, sempre nuovi sistemi per realizzare profitti col maneggio di solo denaro. Ma senza grande successo. Per un certo periodo andarono di moda i servizi alle imprese, il leasing e il factoring. Nel 1995 la grande moda, che ha aumentato fortemente la instabilità del commercio internazionale, è quella dei derivati, del commercio cioè di titoli che non hanno un proprio valore nominale, ma derivato dal valore che acquistano altri titoli o altre grandezze, come le azioni, i tassi di interesse, i tassi di cambio, per cui la valutazione el titolo dipende dal naso dell'operatore. In Italia si è tentato di espandere il parabancario, cioè i servizi alle imprese, attraverso società controllate, ma ciò non ha dato, a tutt'oggi (1995), grandi risultati. La graduale liberalizzazione dei movimenti di capitale e la prospettiva del mercato unico europeo hanno influito sulle istituzioni creditizie europee facendo sentire maggiormente la pressione della concorrenza proveniente dagli altri sistemi finanziari e dalle banche estere. Le difficoltà a competere a livello internazionale del sistema bancario italiano sono dovute in parte al suo frazionamento. Attualmente le banche più grandi vanno conducendo una politica di acquisizioni allo scopo di acquisire la dimensione necessaria per competere a livello internazionale, e quelle di minori dimensioni danno vita a fusioni con lo stesso obiettivo. Perdipiù, il sistema bancario italiano ha un punto debole, che frena la sua modernizzazione, nelle condizioni delle banche meridionali. Tanto il Banco di Napoli quanto il Banco di Sicilia registrano una cifra eccessiva di crediti in sofferenza, incagliati o addirittura inesigibili, ed una notevole debolezza nei mezzi propri, cosa che influisce pesantemente sui conti economici e sulla solvibilità. Lo stato e la Regione non sono stati in grado di ricapitalizzare tali istituti, che versano in serie difficoltà, e per uno almeno dei quali (Banco di Sicilia) si chiede da più parti la liquidazione.

 

 

 

La evoluzione normativa dell'ordinamento bancario italiano

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Il tentativo di adeguare l'ordinamento bancario ai tempi nuovi è stato fatto, con risolutezza e cautela insieme, da Carlo Azeglio Ciampi. All'inizio degli anni novanta il sistema ha una normativa del tutto nuova che ha soppiantato la legge bancaria del 1936. Si partì dall'esigenza di allargare il numero di soggetti abilitati ad agire sul mercato finanziario in relazione ai nuovi mezzi di sottoscrizione del capitale, come i fondi comuni di investimento. L'obiettivo era quello di sollecitare la partecipazione dei risparmiatori al capitale di rischio delle imprese, per rimediare alla cronica riluttanza dei risparmiatori italiani a sottoscrivere azioni. Si costituivano quindi le SIM (società di intermediazione mobiliare) con facoltà di fare tutte le operazioni su titoli. Una forte spinta venne dalla Unione Europea, in relazione alla libertà di circolazione dei capitali ed alla libertà di installazione delle banche nel territorio degli altri paesi dell'unione. La Commissione dell'Unione aveva emanato una direttiva che fu ratificata con un certo ritardo dall'Italia ma che portò ad innovare profondamente la struttura del sistema. Per prima cosa si stabilisce la libertà per gli istituti creditizi dei paesi dell'unione di installare sedi e filiali negli altri paesi, con le prerogative assegnate nei paesi di origine. La vigilanza dovrebbe essere esercitata dalle autorità del paese di origine, ma si prevedono eccezioni nei casi di interesse generale, peraltro mai definito. La parte più rilevante della nuova legislazione era l'obbligo per gli enti creditizi di diventare società per azioni. Unica eccezione, le Casse Rurali e Artigiane, che diventarono Casse di Credito Cooperativo. Le Banche Popolari diventarono anch'esse delle società per azioni cooperative, per cui l'unico tratto distintivo era la denominazione  del capitale. Le Banche di Interesse Nazionale erano già delle società per azioni, controllate dall'IRI.

Le Casse di Risparmio, gli Enti Pubblici e gli Istituti di diritto pubblico dovevano cambiare carattere, ma questo non significò che diventarono immediatamente delle società private. Per le Casse di Risparmio si adottò l'espediente di costituire delle fondazioni di natura pubblica, che detenevano il controllo in molti casi la totalità del capitale della Cassa, trasformata in società per azioni. Per gli Enti Pubblici e gli Istituti di diritto pubblico la soluzione fu l'assegnazione al Tesoro del capitale. Di fatto quindi la privatizzazione è ancora lontana. Le banche venivano poste tutte sullo stesso piano per quanto riguarda gli interventi; scomparvero gli istituti speciali e tutte le banche furono autorizzate a fare tutte le operazioni; solo a fini statistici si cominciò a distinguere tra banche con prevalente raccolta a breve o a lungo, ma tutte possono raccogliere depositi o emettere obbligazioni. Nei rapporti col capitale delle imprese si verificarono rilevanti mutamenti.

Le banche furono autorizzate a mantenere partecipazioni in società non di credito fino ad una quota del 15% dei fondi propri di quella società, mentre l'insieme delle partecipazioni non può superare il 60% dei fondi propri della banca. Si cercava in questo modo di evitare che le partecipazioni fossero coperte dai depositi. La legge prevede eccezioni non meglio definite per le ristrutturazioni aziendali o situazioni temporanee, nonché deroghe per “circostanze eccezionali" per cui il limite, come è nella tradizione delle leggi bancarie italiane, è molto elastico. Per quanto riguarda il capitale delle banche invece ogni acquisto di azioni per un importo superiore al 5% del capitale deve essere autorizzato dalla Banca d'Italia e nessun socio può possedere più del 15% del capitale di una banca.

 

 

 

Cosa si intende per "eccesso di offerta di moneta"?

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Si tratta della situazione in cui lo stock di moneta legale e bancaria in circolazione - cioè presente nei portafogli di famiglie e imprese - è superiore a quello da esse desiderato.

In tale situazione esse cercheranno di liberarsi della moneta in eccesso.

 

 

 

Cosa succede quando famiglie e imprese cercano di liberarsi della moneta in eccesso secondo l'equazione degli scambi di Fisher?

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Agli inizi del 1900 Irving Fisher, ispirandosi alle idee dell'autore seicentesco David Hume elaborò nella sua forma matematica la "Teoria quantitativa della moneta", introducendo l'identità:

 

M · v  =  P · Q

 

dove M è l'offerta di moneta o quantità di moneta presente nei portafogli di famiglie e imprese; P è la media ponderata dei prezzi (i “pesi” sono costituiti dalle quantità scambiate q1,…,qn  di ogni singolo bene):

 

 

e Q è la somma di tutte le quantità di beni scambiate nel sistema:

 

Q = q1 + … + qn

 

P · Q  è quindi il valore in moneta di tutti gli scambi avvenuti nel sistema (beni di consumo contro prezzo; lavoro contro salario; fattori produttivi contro remunerazioni dei fattori; beni all'ingrosso contro prezzo; beni strumentali durevoli e non durevoli contro prezzo; ecc.) tra famiglie e famiglie, imprese e imprese, imprese e famiglie, imprese e Stato, famiglie e Stato. Il valore monetario di tutti gli scambi è infatti pari a:

 

 

“v" è la "velocità di circolazione della moneta", data dal rapporto tra volume complessivo degli scambi e quantità di moneta in circolazione:

 

 

in pratica, v indica il numero di volte che una unità di moneta è stata usata. Infatti, se sono avvenuti scambi per 100 milioni, ma la quantità di moneta utilizzata è stata di 10 milioni, è evidente che ogni lira è stata in media riusata dieci volte (ad es. dapprima per l'acquisto di carne del sig. Rossi presso il macellaio sig. Verdi; poi per l'acquisto di benzina da parte di Verdi presso il benzinaio Bianchi; poi da Bianchi per l'acquisto di altri beni presso Neri... ecc. Nella formula:

 

M · v  =  P · Q

 

sia Q che v sono invariabili. Q è invariabile perché secondo Hume e i neoclassici il sistema viaggia sempre a livello di piena occupazione delle risorse, e quindi si può ulteriormente aumentare il volume degli scambi per produrre nuovi beni. "v" è invariabile perché dipende dalle abitudini di pagamento dei soggetti e da altri fattori istituzionali che non mutano facilmente. Ad es. se gli operai venissero pagati ogni 30 giorni e non ogni 15 giorni v aumenterebbe, perché le imprese avrebbero bisogno di più moneta per fare i pagamenti mensili; se aumentassero le fusioni tra banche e tra imprese v diminuirebbe, perché molti pagamenti tra banche e imprese fuse sarebbero sostituiti da semplici passaggi interni di beni e servizi. Le uniche grandezze che possono variare nella formula sono M a sinistra e P a destra: il che vuol dire che se aumenta M aumenta anche P

Secondo i neoclassici, che hanno fatto propria la teoria di Hume, le famiglie e le imprese si liberano della moneta in eccesso acquistando beni di consumo o investendo in borsa in modo da finanziare nuovi investimenti da parte delle imprese. Un aumento di M aumenterebbe quindi la domanda C di beni di consumo e la domanda I di beni di investimento, ma, poiché il sistema produce già la massima quantità di beni possibile, l'unica cosa che potrà aumentare saranno i prezzi.

 

 

 

Quanti tipi di scorte di moneta tiene una famiglia o una impresa?

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  Scorte transattive: una famiglia o una impresa deve tenere scorte per effettuare i pagamenti

  Scorte precauzionali: è la quantità di moneta tenuta per le spese impreviste

  Scorte speculative: è la moneta tenuta per speculare sulla vendita e l’acquisto dei titoli

Fu Keynes il primo a distinguere con chiarezza le scorte precauzionali da quelle transattive e ad introdurre e studiare le scorte speculative.

 

 

 

Quali sono i fattori che influenzano la quantità di scorte delle famiglie e delle imprese secondo i neoclassici? E secondo Keynes? Che rapporto c’è tra scorte monetarie e saggio di interesse?

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I neoclassici ritenevano che l’unico motivo per detenere scorte monetarie fosse quello transattivo (essi prestavano poca attenzione al motivo precauzionale) e che nessuno avrebbe accumulato volontariamente scorte monetarie oziose (precauzionali o speculative).

La quantità di scorte transattive è quella necessaria per gli scambi che si verificano nel sistema economico, è quindi determinata dal reddito Y, e non varia apprezzabilmente nel tempo.

Anche Keynes pensava che il reddito contribuisse a determinare la domanda di moneta (egli infatti riconosceva l’esistenza di scorte transattive), ma riteneva che l’influenza del reddito fosse meno importante di quella di fattori quali il saggio di interesse

Egli infatti introdusse le “scorte oziose”, la cui quantità non è collegata al reddito nazionale Y ma al saggio di interesse i

Anche i neoclassici ammettevano che le scorte transattive e precauzionali fossero influenzate dal saggio di interesse, ma davano scarsa importanza a questo collegamento, che per Keynes è invece molto importante.

Secondo Keynes, sia le scorte transattive che quelle precauzionali che quelle speculative aumentano al diminuire del saggio di interesse e diminuiscono all’aumentare del saggio di interesse:

 

 

 

Cosa succede quando famiglie ed imprese cercano di liberarsi della moneta in eccesso, secondo la scuola di Cambridge?

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Secondo gli studiosi neoclassici della Scuola di Cambridge (primi decenni del 1900) la equazione di Fisher andava riformulata così:

 

M = k · (P · Q)

 

che si legge: "La quantità di moneta M presente nel sistema rappresenta una frazione k del volume monetario P · Q  degli scambi; precisamente quella frazione che famiglie e imprese, in relazione al volume degli scambi e ad altri fattori (primo fra tutti il saggio di interesse) desiderano tenere sotto forma di scorte transattive, precauzionali e speculative". Una forma lievemente diversa della formula di Cambridge è:

 

M = k ·( P · Y)

 

dove P · Y  non è più il volume di TUTTI gli scambi, ma solo il valore monetario del reddito nazionale. Le conclusioni della Scuola di Cambridge rimasero sostanzialmente simili a quelle di Fisher e di Hume: il valore di k è stabile nel tempo, perciò, quando la quantità M è superiore alla frazione k desiderata, famiglie e imprese si liberano dalla moneta in eccesso facendo aumentare C, I  e per questa via i prezzi o la produzione.

Se il sistema è in una situazione di piena occupazione delle risorse, Q non può aumentare, perciò aumenta P

Se il sistema è in una situazione di parziale occupazione delle risorse, allora aumenta la produzione Q mentre i prezzi P rimangono invariati.

I neoclassici ammettevano che il sistema andasse incontro nel breve periodo a temporanee situazioni di sotto occupazione delle risorse, ma la consideravano una ipotesi eccezionale e limitata al breve periodo: quindi, per loro, l’ipotesi normale era quella di aumento dei prezzi P

 

 

 

Cosa determina in particolare la domanda di scorte speculative? Come agisce lo speculatore? Cos’è la “trappola della liquidità”?

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Osserviamo il grafico di FIGURA 13, che mostra la curva di domanda di moneta speculativa ( Md ) di un solo speculatore in funzione del saggio di interesse ( i ).

 

 

 

 

Il valore iatteso è molto importante per lo speculatore: è il saggio di interesse che egli si aspetta a più o meno breve termine sul mercato.

Possiamo notare come per un qualsiasi valore i1 del saggio di interesse di mercato al disotto di iatteso lo speculatore terrà tutta la sua ricchezza in forma di moneta liquida (scorte oziose, pari a M1).

Questo perché egli si attenderà che il saggio di interesse di mercato risalga verso iatteso, e, per una nota legge economica, se aumenta il saggio di interesse il valore dei titoli diminuisce. Lo speculatore evita pertanto di tenere titoli nel suo portafoglio, dal momento che avrebbe delle perdite per la loro diminuzione di valore.

Al disopra del saggio di interesse atteso, ad es. al livello i2, lo speculatore si attenderà una discesa i2 à iatteso e quindi un aumento del valore dei titoli (sempre per la legge già esposta che se i diminuisce il valore del titolo aumenta e viceversa).

Perciò egli si affretterà ad acquistare titoli, e nel grafico si può notare che la sua liquidità sopra iatteso è pari a zero.

Perché esiste un rapporto inverso tra saggio di interesse e valore del titolo?

Consideriamo per capirlo una obbligazione, emessa per il valore di 100 € (“valore nominale”) e che reca scritta la promessa di pagare annualmente 10 € (“interesse nominale”: 10%)

Cosa succede se il saggio di interesse di mercato (“tasso effettivo”) passasse dal 10% al 20%? Sicuramente nessuno vorrebbe acquistare l’obbligazione al prezzo di 100 €, per avere solo 10 € di interessi: dato che il tasso di mercato è del 20% sarà infatti sempre possibile dare in prestito la somma in modo da avere 20 €. Lo sfortunato proprietario della obbligazione potrà quindi al massimo venderla a 50 €, perché in tal modo essa offrirebbe un interesse del 20%, e sarebbe presa in considerazione dagli acquirenti.

Se invece il saggio di interesse scende dal 10% al 5% il proprietario dell’obbligazione capisce che può venderla a 200 €: infatti 10 € rappresentano un interesse del 5% su 200 € e gli acquirenti non troverebbero nel mercato condizioni esattamente eguali.

Osserviamo ora il grafico di FIGURA 14, che mostra il comportamento di 4 speculatori, ciascuno dei quali ha un diverso saggio di interesse atteso: il saggio atteso del primo speculatore è i1, quello del secondo è 12, quello del terzo è i3, quello del quarto è i4.

 

 

Quando il saggio di interesse supera il livello i1 il primo speculatore decide di ritirare i suoi fondi (la sua moneta liquida) dai depositi a vista in banca e investire (egli infatti si attende a questo punto una discesa del saggio e un aumento del valore dei titoli che acquista): la quantità di moneta complessiva è ora M2.

Quando il saggio di interesse supera il livello i2 il secondo speculatore decide di ritirare i suoi fondi dai depositi a vista in banca e di investire: la quantità di moneta complessiva è ora M2.

Quando il saggio di interesse supera il livello i3 il terzo speculatore decide di ritirare i suoi fondi dai depositi a vista in banca e di investire: la quantità di moneta complessiva è ora M3.

Quando il saggio di interesse supera il livello i4 il quarto speculatore decide di ritirare i suoi fondi dai depositi a vista in banca e di investire: la quantità di moneta complessiva è ora pari a zero.

Se aumentiamo il numero degli speculatori la curva diventa quella di FIGURA 15:

 

 

Come si vede, mano a mano che il numero dei soggetti aumenta, la curva diviene sempre più liscia, fino ad arrivare, nel caso di decine di migliaia di speculatori, alla forma comunemente mostrata dai libri di testo:

 

 

 

 

Cosa succede quando famiglie e imprese cercano di liberarsi dalla moneta in eccesso secondo Keynes?

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Gli effetti di un aumento della quantità di moneta sono esaminati da Keynes in un grafico che riporta, in funzione del saggio di interesse, sia la domanda che l’offerta di moneta:

Nel grafico, la quantità di moneta nel portafoglio delle famiglie passa da M1 ad M2; se le famiglie erano in equilibrio con la quantità M1, esse cercheranno di eliminare l’eccesso di moneta. Tutto questo provocherà la discesa del saggio di interesse da i1 ad i2

Secondo Keynes, le famiglie non si liberano dell’eccesso di moneta mediante una spesa C, ma mediante acquisto di titoli (azioni e obbligazioni)

Si crea quindi un eccesso di domanda di titoli che, per un ben noto meccanismo, spinge in basso il saggio di interesse: è ovvio infatti che acquistare un titolo che rende 10 € l’anno ad un prezzo di 100 € equivale a contrattare un interesse del 10%; acquistarlo ad un prezzo di  200 € equivale a contrattare un interesse del 5%; acquistarlo ad un prezzo di 400 equivale a contrattare un interesse del 2,5% e così via.

Ma quando il saggio di interesse scende, famiglie, imprese e speculatori aumenteranno le loro scorte: alla fine essi accetteranno di tenere la quantità M2

Secondo Keynes l’unico effetto dell’aumento della quantità di moneta non sarà stato l’aumento della produzione, ma la diminuzione del saggio di interesse. La produzione non aumenta perché le famiglie non utilizzano moneta per finanziare spese C di consumo; ma non aumenta neanche quando le famiglie acquistano azioni e obbligazioni. Secondo Keynes, infatti, il denaro delle famiglie non va che in minima parte a finanziare nuovi investimenti, perché il “flottante”, cioè la quantità di titoli già emessi, e che non corrisponde più a nuovi investimenti, è enormemente maggiore della quantità di titoli di nuova emissione. Gli acquisti delle famiglie si scaricano quindi sul “flottante”, e non danno luogo che in misura irrilevante a nuovi investimenti.

Il rapporto tra moneta e investimenti è, per Keynes, come vedremo, più complesso, e passa attraverso la diminuzione del saggio di interesse.

Quando la quantità di moneta immessa nel sistema è tale che il saggio di interesse sia diventato estremamente basso, ogni tentativo delle autorità di abbassarlo ulteriormente fallisce: infatti tutti gli speculatori sono a questo punto convinti che il tasso risalirà e terranno tutta la moneta che continua ad entrare nei loro portafogli in forma liquida: in questo modo non si verificano altri acquisti di titoli, e il valore del saggio di interesse non scende.

 

 

Come utilizzavano i neoclassici lo strumento della politica monetaria contro le crisi economiche?

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I neoclassici affermavano che il sistema economico possedeva una serie di meccanismi automatici (cosiddetta “mano invisibile”) in grado di assicurare nel medio-lungo periodo:

   La piena occupazione delle risorse

   La migliore allocazione possibile delle risorse

   La migliore distribuzione possibile del prodotto ottenuto con l’impiego delle risorse

Tuttavia essi, di fronte all’evidenza dei fatti, non potevano negare che il sistema economico andasse incontro a crisi economiche, caratterizzate da sotto-occupazione delle risorse, discesa dell’occupazione, dei prezzi, della produzione e degli investimenti.

I neoclassici ritenevano che tali crisi fossero:

   Occasionali (non cicliche o regolari)

   Di piccola intensità

   Di breve durata

   Dovute a shock esterni che venivano a colpire il sistema economico (scioperi, carestie, guerre etc.)

   Destinate ad estinguersi da sole nel medio-lungo periodo

In questi casi essi si limitavano a consigliare di non turbare con attività sindacali il mercato del lavoro, in modo che l’abbassamento dei salari favorisse il riassorbimento della manodopera disoccupata.

Inoltre, poiché ammettevano che il sistema poteva incontrare disoccupazione delle risorse, essi consigliavano anche una manovra di politica monetaria espansiva, consistente nell’aumentare la quantità di moneta in circolazione, facendo sì che famiglie e imprese si liberassero delle scorte di moneta eccedente facendo aumentare la spesa di consumo C o acquistando titoli (azioni e obbligazioni) emessi dalle imprese, e per questa via facendo aumentare anche gli investimenti. A tale scopo le autorità erano solite rimuovere i vincoli al credito bancario e fornire alle banche  liquidità aggiuntiva in modo che aumentasse il credito disponibile per gli operatori economici.

I saggi di interesse troppo alti erano considerati un impedimento alla espansione del credito e quindi le autorità dovevano adoperarsi per favorire il loro abbassamento. Questo obiettivo sarebbe stato anch’esso raggiunto aumentando la quantità di moneta in circolazione.

 

 

 

Un aumento della quantità di moneta, secondo Keynes, è sempre capace di abbassare il saggio di interesse?

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Le opinioni di Keynes possono essere riassunte nei seguenti punti:

   Un aumento della offerta di moneta Mo (cioè della moneta M presente nel portafoglio di famiglie e imprese o, come si dice, “in circolazione”) non provoca un aumento della spesa C di consumo

Infatti, per Keynes, le famiglie non si liberano della moneta in eccesso con una spesa C, bensì acquistando titoli (azioni e obbligazioni)

   Un aumento della offerta di moneta Mo non sempre provoca il tentativo delle famiglie di liberarsene, perché la preferenza per la liquidità (cioè l’ammontare delle scorte liquide che gli operatori economici desiderano tenere) varia in dipendenza da molteplici fattori:

Le scorte, specie quelle speculative, sono molto sensibili al saggio di interesse

Se il saggio di interesse inizia a diminuire a seguito dei tentativi delle famiglie di liberarsi delle scorte, questo può bloccare i tentativi delle famiglie di liberarsi delle scorte

La moneta ha tre funzioni: mezzo di scambio, riserva di valore e misura di valore. Per ciascuna di queste funzioni essa ha dei surrogati (ad esempio, come riserva di valore essa è in concorrenza con i beni durevoli). Quando, per cause eccezionali, essa perde la capacità di svolgere una di queste funzioni, si verifica la “fuga dalla moneta”, verso i suoi sostituti, e le scorte monetarie si riducono al minimo indispensabile.

Ad esempio, in momenti di forte inflazione, la moneta perde la sua funzione di riserva di valore e di misura di valore, e i soggetti fuggono dalla moneta, rivolgendosi ai suoi sostituti, i cosiddetti beni-rifugio: terreni, edifici, beni durevoli, beni di lusso etc.

Ad esempio, in momenti di forte insicurezza economica (momenti di depressione economica, di prospettive incerte di guadagno per gli imprenditori, di guerra imminente ecc.) i soggetti liquidano le proprie attività commerciali, riducono le scorte di moneta e si rivolgono ai beni-rifugio o alle scorte necessarie per la sopravvivenza

Famiglie e imprese tengono la loro ricchezza distribuita in un “portafoglio” di attività economiche con vario grado di liquidità: moneta, titoli a breve termine, titoli a lungo termine, beni durevoli, ecc.

Con una certa frequenza esse rivedono le loro preferenze e ridistribuiscono la ricchezza tra le varie attività. Questo provoca spesso anche un cambiamento della preferenza della liquidità, cioè della quantità di ricchezza che esse tengono investita in moneta

   Poiché la preferenza per la liquidità di famiglie e imprese potrebbe variare improvvisamente, l’effetto sul saggio di interesse di un aumento della quantità di moneta non è sicuro. Si possono avere due possibilità:

La preferenza per la liquidità di famiglie e imprese non varia quando le autorità aumentano la offerta di moneta

Famiglie e imprese cercano allora di disfarsi della moneta e il saggio di interesse diminuisce

La preferenza per la liquidità di famiglie e imprese diminuisce proprio nel momento in cui le autorità aumentano l’offerta di moneta

Anche in questo caso le famiglie si libereranno di moneta e il saggio di interesse scenderà

Nella formula della teoria quantitativa questo significa che nel membro di sinistra è aumentato M, ma nel membro di destra non è variato P o Q, ma è aumentato k, che è collegato alla preferenza per la liquidità

La preferenza per la liquidità di famiglie e imprese aumenta proprio nel momento in cui le autorità aumentano l’offerta di moneta (“trappola della liquidità”)

Se la preferenza per la liquidità aumenta, le famiglie terranno tutta la moneta sotto forma di scorte liquide e non cercheranno di liberarsene: perciò il saggio di interesse non scenderà.

Si parla in questo caso di “trappola della liquidità”.

Un caso tipico di trappola della liquidità, esaminato da Keynes, si ha quando la discesa del saggio di interesse i si blocca perché tra gli speculatori si diffonde l'idea che il saggio di interesse sia già arrivato troppo in basso e sia destinato ad aumentare. In tale situazione, essi preferiscono, anziché liberarsi della moneta acquistando titoli, trattenerla sotto forma di scorta liquida speculativa, in attesa del rialzo del saggio di interesse.

 

 

 

La diminuzione del saggio di interesse i, secondo Keynes, è in grado di far aumentare gli investimenti?

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Keynes era molto scettico al riguardo. Egli notava le seguenti cose:

   La domanda di moneta per investimenti da parte degli imprenditori dipende dal "saggio di efficienza marginale del capitale" ("e"), calcolato risolvendo rispetto ad "e" l'equazione:

 

dove “I” è la somma che l’imprenditore progetta di spendere per l’investimento ed R1,…,Rn sono le somme che l’imprenditore si aspetta di guadagnare negli anni 1,…,n prima che l’investimento cessi di essere produttivo di reddito.

In pratica, “e” è il profitto percentuale annuo atteso dall’investimento della somma

Consideriamo due casi distinti:

Imprenditori che non abbiano capitali propri da investire, e si debbano rivolgere alla banca, pagando un interesse annuo.

Se “e” (percentuale di profitti atteso dall'investimento) è superiore ad "i" (interesse che l'imprenditore deve pagare alla banca) l'imprenditore non realizzerà l'investimento: infatti dovrebbe pagare ogni anno alla banca una somma superiore a quella che ottiene come profitto dall’investimento

Se "e" (percentuale di profitti atteso dall'investimento) è inferiore ad "i" (interesse che l'imprenditore deve pagare alla banca) l'imprenditore realizzerà l'investimento: infatti, una volta pagati gli interessi annuali alla banca, rimane un profitto residuo di cui potrà appropriarsi.

Imprenditori che hanno capitali propri da investire

Anche essi confronteranno l’efficienza marginale del capitale col saggio di interesse.

Infatti, se il saggio di interesse è eguale all’efficienza marginale del capitale essi preferiranno acquistare obbligazioni che danno lo stesso rendimento di un investimento senza dover sopportare i rischi di una attività produttiva.

Solo quando l’efficienza. Al limite, essi potrebbero acquistare azioni di imprese già esistenti, invece di crearne delle nuove (per effetto dei meccanismi di borsa i rendimenti delle azioni tendono a livellarsi ai rendimenti delle obbligazioni, con uno scarto positivo dovuto al rischio dell’investimento azionario).

Solo se l’efficienza marginale del capitale sarà superiore al saggio di interesse gli imprenditori saranno indotti a rischiare i propri capitali in un’attività produttiva, e quindi ad investire.

Keynes faceva notare che “e” non è un valore oggettivo ed esatto, ma esprime piuttosto l’ottimismo o il pessimismo dell’imprenditore (quelli che Keynes chiamava gli “animal spirits” dell’imprenditore)

Non bisogna dimenticare che "e" dipende da "R1", "R2",...,"Rn" che sono le somme che l'imprenditore si aspetta di guadagnare dall'investimento. Cosicché in definitiva "e" dipende dalle aspettative dell'imprenditore. Se le aspettative sono ottimistiche, "R1",..., "Rn" saranno molto elevati, e quindi "e" sarà molto elevato: l'imprenditore farà l'investimento anche se "i" è molto alto. Se invece le aspettative sono basse, "R1",...,"Rn" saranno bassi, "e" sarà basso e l'imprenditore non farà l'investimento anche se "i" sarà molto basso. In sintesi: anche se a prima vista un tasso di interesse basso dovrebbe invogliare gli imprenditori a imprestarsi denaro e a fare investimenti, in realtà sono le aspettative, gli "animal spirits" degli imprenditori a dire l'ultima parola.

   Infine, gli investimenti sono condizionati dalla quantità di investimenti già effettuata. La spesa per investimento, a differenza della spesa di consumo, ha un importantissmo effetto: quello di aumentare la capacità produttiva delle imprese. Se per diversi anni gli investimenti delle imprese sono stati elevati, alla fine del periodo le imprese si troveranno con un eccesso di capacità produttiva e di produzione che bloccherà per un certo tempo ulteriori investimenti, anche se il saggio di interesse rimane basso.

 

 

 

Quali sono, in sintesi, le posizioni della Scuola Monetarista o Scuola di Chicago?

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A partire dagli anni '50 la scuola monetarista (cosiddetta Scuola di Chicago) e poi un sempre maggior numero di altri economisti, da un lato hanno denunciato gli aspetti negativi delle politiche di bilancio di tipo keynesiano e dall'altro hanno mostrato come le variabili monetarie sono in molti casi in grado di influenzare le variabili reali della economia.

Quanto al primo punto essi hanno denunciato:

   Gli effetti inflazionistici di politiche di bilancio keynesiana

Aumentando la spesa dello stato si immette moneta nel portafoglio di famiglie e imprese senza badare al controllo di questo stock di moneta in circolazione

   Il crescente indebitamento pubblico derivante dalle politiche di bilancio keynesiane

Per ragioni politiche (è più facile chiedere prestiti che non rendersi impopolari con nuove imposte) ed economiche (se lo stato si limita a rimettere in circolazione somme prelevate con le imposte, che famiglie e imprese avrebbero comunque speso, la spesa aggregata non aumenterebbe significativamente; se invece lo stato si finanzia con i risparmi di famiglie e imprese spende somme che queste non avrebbero speso, ed apporta un significativo incremento alla spesa aggregata) la spesa pubblica è stata regolarmente finanziata con prestiti pubblici piuttosto che con imposte

   Il danno per gli investimenti privati

Le crescenti necessità di finanziamento da parte dello stato lo hanno portato a fare concorrenza alle imprese per accaparrarsi il risparmio disponibile; come risultato il costo del denaro è salito e gli investimenti privati sono diminuiti, senza che a compensarli vi fosse un adeguato volume di investimenti pubblici (la spesa pubblica finisce perlopiù in stipendi e in altre spese correnti non di investimento)

Quanto al secondo punto essi hanno messo in evidenza che:

   Se l'economia non è in una situazione di massima occupazione, allora, secondo il pensiero neoclassico o monetarista l'aumento di spesa provocato dall'aumento dello stock di moneta può contribuire a far aumentare la produzione (variabile reale)

   Se invece si ritiene, con Keynes, che i soggetti cercano di liberarsi dell'eccesso di moneta acquistando titoli, allora potrà aversi una diminuzione del saggio di interesse sui prestiti e gli imprenditori, notato che il denaro è più a buon mercato, aumenteranno gli investimenti, facendo crescere il reddito nazionale (variabile reale)

I punti principali del pensiero della Scuola di Chicago, il cui principale esponente è il premio Nobel per l’economia Milton Friedman, sono i seguenti:

   La ricostruzione da parte di Keynes delle cause della crisi del 1929 è errata e quindi la affermazione che la politica monetaria si fosse rivelata inefficace era sbagliata

Secondo Friedman la crisi del 1929 non fu una crisi da carenza di domanda, ma da carenza di moneta. Essa non era quindi dovuta a scarsa influenza della politica monetaria, ma al contrario la (cattiva) politica monetaria delle autorità USA fu responsabile della crisi: la Federal Reserve statunitense, durante la crisi economica, diminuì notevolmente l’offerta di moneta, provocando in tal modo un ristagno dell’economia.

   La affermazione di Keynes secondo cui le economie ricche richiedono costanti spese dello Stato perché le famiglie dei paesi ricchi tendono sempre più a risparmiare è falsa, e dovuta alla adozione di un concetto di reddito – il reddito effettivo di una famiglia – che non è collegato col suo risparmio, che dipende invece dal “reddito permanente”

L’idea che i paesi più ricchi risparmino più dei meno ricchi è smentita dai fatti, che mostrano che la percentuale S/Y del risparmio aggregato sul reddito nazionale si mantiene costante nel tempo.

Keynes aveva dedotto, dal fatto che le famiglie più povere risparmino meno delle famiglie ricche, la conseguenza errata che quando il livello di reddito dello Stato si fosse elevato anche le famiglie povere avrebbero aumentato il loro risparmio. Questo perché egli pensava che il consumo dipendesse dal reddito effettivo della famiglia. Secondo Friedman, invece, la differenza di risparmio tra famiglie povere e famiglie ricche è collegata non al reddito effettivo ma al “reddito permanente”, che è un concetto che tiene conto della variazione di reddito che le famiglie si aspettano nel tempo: coloro che si trovano nelle classi di reddito più alte rendono a risparmiare molto, in previsione di ritornare a livelli di reddito più bassi. Allo stesso modo, coloro che si trovano a livelli di reddito bassi, tenderanno a spendere una proporzione elevata del loro rddito, dato che si apsettano di spostarsi verso livelli di reddito più elevati. Perciò, quando un paese diventa più ricco, i livelli di risparmio delle classi più abbienti e di quelle meno abbienti non dovrebbero significativamente cambiare.

   La domanda di moneta è molto più stabile di quanto pensava Keynes, che la faceva dipendere dalle aspettative instabili degli imprenditori. Perciò la teoria quantitativa della moneta era sostanzialmente esatta.

La teoria quantitativa della moneta della scuola di Cambridge, sintetizzata dalla formula:

 

M · v  =  P ·Q

 

è sostanzialmente esatta, e va interpretata nel senso che esiste un rapporto abbastanza stabile tra il volume degli scambi e la quantità di moneta M: “v” può essere considerata una costante, perché dipende dalla domanda di moneta, che è stabile e collegata ad un numero limitato di variabili (come vedremo) e scarsamente sensibile al saggio di interesse. Al massimo si può dire che tende a diminuire nei periodi di recessione o ristagno, e ad aumentare nei periodi di espansione economica. Nel lungo periodo, per tutta una serie di fattori, v tende a diminuire.

Comunque, quese lente modifiche non hanno niente a che vedere con le variazioni repentine e violente che Keynes pensava interessassero “k” e quindi “v”.

   La teoria quantitativa era nel giusto anche per quanto riguarda il modo in cui famiglie e imprese si liberano dell’eccesso di moneta: esse aumentano i loro acquisti di qualsiasi tipo di bene o servizio diverso dalla moneta e non si limitano solamente ad acquistare titoli.

Queste attività non liquide possono essere le più varie: le famiglie possono acquistare titoli a breve termine, titoli a lungo termine, beni durevoli che forniscono utilità (es. macchine, appartamenti, che forniscono quello che i monetaristi chiamano un “reddito in natura”), beni di lusso (che non forniscono alcun reddito, ma, al massimo un impiego durevole della ricchezza), in capitale umano (cioè in istruzione e qualificazione professionale, che è simile ad un investimento che darà redditi futuri) e in altro ancora.

Le vie e i meccanismi attraverso cui un aumento della quantità di moneta porta all’acquisto di questi beni possono essere i più vari, e non sono certamente limitati all’acquisto dei titoli, come pensava Keynes: la spesa di beni durevoli può aumentare direttamente quando i soggetti utilizzano la maggiore ricchezza posseduta, ma anche indirettamente, quando le banche che hanno ricevuto i depositi di moneta espandono il loro credito finanziando acquisti tramite mutui-casa o altri prestiti al consumo.

Poiché le famiglie e le imprese non concentrano tutta la loro spesa sui titoli, come pensava Keynes, l’effetto di un aumento della quantità di moneta sul saggio di interesse è notevolmente più basso.

Una consistente discesa del saggio di intersse si potrà avere solo se le autorità scelgano, tra tutti i mezzi per far aumentare la moneta, le operazioni di mercato aperto tramite l’acquisto di titoli presso le famiglie. Ma anche in tal caso i tassi di interesse tenderanno rapidamente a risalire.

   I monetaristi sono ancora più scettici di Keynes sul legame tra saggio di interesse e investimenti

   L’offerta di moneta è “esogena”, cioè non è sotto il controllo di famiglie e imprese, ma è largamente controllata dalle autorità

   La domanda di moneta proveniente dagli operatori privati (famiglie e imprese) è di due tipi:

·    Domanda fatta da famiglie che desiderano investire la propria ricchezza

·    Domanda fatta da imprenditori che chiedono finanziamenti per le loro attività produttive

   La domanda di moneta fatta da soggetti che desiderano investire la propria ricchezza dipende da due fattori:

·    Reddito degli individui

Anche Keynes pensava che il reddito Y contribuisse a determinare la domanda di moneta (egli infatti riconosceva l’esistenza di scorte transattive), ma riteneva che l’influenza del reddito fosse meno importante di quella di fattori quali il saggio di interesse, legato alla esistenza di scorte “oziose” (precauzionali e soprattutto speculative)

Il reddito condiziona le possibilità di spesa, e quindi anche la quantità di moneta che eventualmente un individuo può permettersi di tenere.

Ma non è il reddito dei singoli anni che i soggetti considerano nel programmare i loro acquisti, bensì il “reddito permanente”, cioè una sorta di media di ciò che i soggetti guadagneranno nell’arco della loro vita lavorativa.

·    Rendimento comparativo delle attività acquistabili come “portafoglio” (cioè “patrimonio”) dagli individui

Ogni soggetto deve decidere come ripartire la propria ricchezza tra una serie di attività patrimoniali: moneta, titoli a breve termine, titoli a lungo termine, beni durevoli, beni di lusso, capitale umano (cioè istruzione e qualificazione professionale per sé e per i propri figli)

Nel far questo egli considera che ogni attività patrimoniale ha un “reddito” o “rendimento”, che può essere in denaro o in natura. Ad esempio il reddito della moneta è un reddito in natura, e consiste nella utilità (in senso economico) e nella comodità di avere scorte di moneta a disposizione. Contemporaneamente la moneta produce un reddito negativo consistente nella mancata percezione degli interessi che si otterrebbero dandola in prestito. Un’auto o un appartamento danno un reddito che è pari rispettivamente al costo del trasporto pubblico e all’affitto che si dovrebbe pagare per un’abitazione non di proprietà.

E’ importante notare che le famiglie confrontano comunque sempre “rendimenti reali”, cioè depurati dalla influenza dei prezzi. Anche le scorte monetarie che esse considerano sono “scorte monetarie reali”, cioè scorte rapportate al livello dei prezzi degli scambi cui esse sono destinate a far fronte.

La scelta di tenere scorte di moneta di un certo ammontare dipende da questi calcoli, ed è scarsamente influenzata dal saggio di interesse, come ritenevano Keynes e i neoclassici.

   La domanda di moneta fatta dalle imprese che desiderano finanziare le loro attività produttive dipende dagli stessi fattori (reddito e rendimenti delle attività) che influenzano le scelte dei consumatori.

Tuttavia il reddito, e cioè le dimensioni dell’impresa ha una importanza limitata: anche una piccola impresa può ottenere un grande finanziamento

Per quanto riguarda i rendimenti delle attività è ovvio che l’impresa li valuta in modo diverso da una famiglia: le imprese saranno ad esempio molto più sensibili ai rendimenti delle azioni e delle obbligazioni rispetto alle famiglie.

   Se un sistema economico non dispone di una quantità di moneta pari a k · Y esso avrà difficoltà a finanziare gli scambi necessari per produrre un reddito Y

Se invece la quantità di moneta è superiore a quella richiesta, si genera inflazione.

   Se invece la quantità di moneta è eccessiva, si genera infallibilmente inflazione.

I monetaristi non si stancano di far notare come la storia economica mostri che “ogni consistente aumento della quantità di moneta è stato accompagnato da un consistente aumento dei prezzi”, cioè da inflazione.

   Un eccesso di moneta non solo produce inflazione, ma produce anche instabilità economica.

I monetaristi pensano che possa innescarsi una catena di aggiustamenti difficile da interrompersi: un gruppo di famiglie si libera della moneta in eccesso acquistando beni da un altro gruppo di famiglie; successivamente il secondo gruppo di famiglie cerca di disfarsi a sua volta della moneta, scatenando un’altra ondata di acqusiti, e così di seguito.

   Keynes aveva probabilmente sovrastimato le potenzialità di espansione produttiva del sistema economico. Egli riteneva che nei paesi industrializzati il reddito effettivo fosse sempre largamente al disotto del reddito potenziale (=reddito ottenibile con l’impiego al 100% di tutti i fattori produttivi), ma probabilmente egli era stato influenzato in senso pessimistico dalla crisi tra le due guerre.

I monetaristi, rifacendosi alle vecchie analisi neoclassiche, rivalutano tutta una serie di fattori, trascurati da Keynes, e diversi dalla carenza di domanda aggregata, che limitano per un sistema economico, la possibilità di andare oltre un certo grado di sfruttamento delle risorse.

Tra questi fattori essi menzionano:

·    La “disoccupazione strutturale” dovuta a mancanza di impianti sufficienti per assumere forza lavoro.

Questa argomentazione potrebbe essere avvicinata oggi alla constatazione che il continuo sviluppo delle tecniche produttive rende possibile produrre sempre di più con una frazione sempre più piccola di lavoratori.

·    La “disoccupazione volontaria” dei lavoratori che non sono disposti a lavorare per saggi di salario non di loro gradimento

·    La forza contrattuale dei sindacati, che talvolta perseguono una politica di alti redditi per gli occupati, impedendo di fatto agli imprenditori di assumere lavoro straordinario, lavoro temporaneo, lavoro a cottimo, lavoro non specializzato sottopagato

·    La “disoccupazione frizionale” dei lavoratori temporaneamente in cerca di lavoro

·    Lo stesso equilibrio nel mercato dei beni: la argomentazione di Keynes secondo cui nei paesi ricchi i consumatori raggiungono l’equilibrio ottimale dei consumi senza spendere tutto il loro reddito viene ribaltata dai monetaristi per mostrare che è vano cercare di spingersi oltre quel punto.

In sostanza, mentre Keynes riteneva che il principale fattore di disoccupazione delle risorse fosse la “carenza di domanda” e che questa potesse essere superata con una politica di spesa pubblica, o di alti redditi ai lavoratori, i monetaristi fanno notare che si tratta invece di una situazione di equilibrio, dovuta a fattori complessi, molteplici e non modificabili, perlomeno nel breve periodo.

Essi chiamano questa condizione “tasso naturale di disoccupazione delle risorse”, che le autorità non dovrebbero cercare di abbassare con politiche keynesiane di aumento della spesa pubblica o con politiche monetarie espansive, perché in tal modo provocherebbero solo inflazione.

In particolare, per quanto riguarda l’occupazione lavorativa, l’inflazione ridurrebbe il potere d’acquisto dei salari dei lavoratori e i lavoratori marginali, che avevano offerto il loro lavoro a seguito degli ultimi aumenti salariali, si ritirerebbero dal mercato facendo ritornare il tasso di disoccupazione ai livelli precedenti

   Compito delle autorità monetarie è quindi quello di fornire la quantità di moneta M che il sistema richiede, cercando di evitare di creare una quantità eccessiva di moneta,  che provocherebbe il tentativo di famiglie e imprese di disfarsene con acquisto di beni e avrebbe solo il risultato di far aumentare i prezzi (inflazione)

   Nell’attuare politiche di spesa pubblica per garantire occupazione e servizi alle classi meno abbienti occorre tenere d’occhio la capacità di crescita del sistema economico: le politiche keynesiane di spesa sociale provocano un aumento della quantità di moneta nel portafoglio delle famiglie, e se la spesa che ne consegue supera le capacità produttive del sistema, ne segue solo inflazione, e non aumento del tenore di vita e del benessere.

Friedman propone le sue misure frenanti sul credito e la creazione di moneta per mantenere un ritmo eguale tra l’aumento della massa monetaria e della domanda che ne deriva e l’aumento dell’offerta di beni e servizi. Al di fuori di questo equilibrio, tutto ciò che potrebbe stimolare i prestiti bancari, la creazione di moneta e di domanda, dovrebbe essere soggetto a severi controlli. Questa sarebbe la chiave del mantenimento della stabilità dei prezzi.

Nel complesso i monetaristi appaiono dare un po’ più di importanza alla competitività e alla salute del sistema economico, e quindi al pareggio del bilancio pubblico e alle politiche monetarie austere contro l’inflazione di quanto non abbiano fatto molti keynesiani preoccupati principalmente di estendere benessere ed occupazione anche alle classi meno abbienti.

   Esiste una interessante correlazione tra tasso di crescita della offerta di moneta M e tasso di crescita dell’economia: se le autorità monetarie faranno crescere la quantità di moneta M al tasso di crescita normale del sistema economico (che nei paesi più industrializzati oscilla tra il 2% e il 5%), ne seguirà una analoga crescita percentuale del PIL e del reddito nazionale

I neoclassici sbagliavano nel ritenere che un aumento della quantità di moneta portasse il più delle volte inflazione: esiste un certo grado di quantità produttive non sfruttate, che l’espansione della offerta di moneta può favorire.

   Un aumento della quantità di moneta in circolazione si riflette lentamente sui prezzi e sui salari e sull’inflazione, anche se l’occupazione non può ulteriormente crescere perché è al suo livello naturale (disoccupazione frizionale). Nel breve periodo aumenta la spesa aggregata che questi avevano assunto, e di conseguenza fa ritornare al livello precedente produzione occupazione. Ma nel lungo periodo la scarsità di lavoro innalza i salari e spinge gli imprenditori a licenziare i lavoratori che essi avevano assunto, facendo ritornare la produzione al livello iniziale. Tutto questo è confermato dalla curva di Phillips, che mostra che nel medio periodo aumenta l’occupazione, sia pure mentre i salari iniziano anch’essi a salire. Ma la legge indicata dalla curva di Phillips non è, secondo Friedman, destinata a durare: una volta che i lavoratori e le imprese abbiano imparato che un certo tasso di inflazione e di aumento di salari è normale e riporta i salari reali e i profitti reali al livello di partenza, essi, a quel tasso di inflazione, non varieranno né l’offerta né la domanda di lavoro. Occorrerà di anno in anno la immissione di una quantità maggiore di moneta, che provocherebbe una inflazione crescente.

 

 

 

Le critiche dell’economista John Kenneth Galbraith ai monetaristi

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E’ vero che la politica monetaria è efficace contro l’inflazione. Se la Banca Centrale dà al credito un giro di vite sufficiente a ridurre i fondi che possono essere prestati dalle banche commerciali, e se le obbliga ad aumentare i tassi di interesse, gli investimenti delle imprese e le spese dei privati ne risentiranno. Ma il maggior costo e la maggiore rarità del denaro  colpiranno in primo luogo l’edilizia, le piccole imprese impossibilitate a rinnovare magazzino e macchinario, e i privati che non possono più comprare a credito automobili ed elettrodomestici; per la semplice ragione che tutte queste attività sono finanziate dal credito. E se le misure restrittive vengono spinte abbastanza avanti perché i depositi bancari non siano più investiti e reinvestiti, verranno a capo dell’inflazione.

Gli effetti di queste costrizioni penalizzano le parti sociali in modo immancabilmente molto ineguale. La portata della politica monetaria è la compressione della capacità generale di spesa di imprese e famiglie, che gli economisti chiamano domanda globale o domanda aggregata. La sua caduta non costringerà la General Motors, né la Exxon, né la Renault o la Shell, né alcuna corporation gigante a frenare l’aumento dei propri prezzi. I primi colpi di freno saranno per la produzione e la vendita. Infatti, le corporation hanno il potere contrastare la tendenza alla diminuzione dei prezzi e di mantenere i prezzi che desiderano. E’ per poter fare questo che sono divenute sempre più grandi. Hanno la possibilità di assorbire l’aumento dei salari o di qualunque altro costo di produzione aumentando i prezzi. E possono decidere di tenerli stabili e resistere agli aumenti salariali solo di fronte a un’altissima capacità di produzione inutilizzata. Allora il tasso di disoccupazione sarebbe tale che i sindacati modererebbero le loro rivendicazioni. Nel settore delle grandi corporation la politica monetaria agisce quindi creando o aggravando la disoccupazione. E’ questa la triste ed evidente lezione che si deve trarre dalle prime applicazioni in grande stile degli anni ’70 della politica monetarista.

Ma la politica monetaria ha un altro effetto altrettanto discriminatorio a vantaggio dei potenti. Abbiamo visto che la corporation dispone di una fonte di autofinanziamento indipendente dalle risorse bancarie. Potendo attingere  ai propri profitti, si sottrae ai decreti della Banca centrale e alle restrizioni del credito delle banche commerciali. Poi, le corporation sono i clienti privilegiati delle banche, le prime ad essere servite quando si libera qualche disponibilità di credito. E poiché hanno il controllo dei loro prezzi, possono ripercuotere un aumento dei tassi di interessi sui prezzi imposti ai consumatori. Sono quindi più che armate contro gli inconvenienti della politica monetaria.

Le cose vanno in modo ben diverso per l’agricoltore, per il piccolo commerciante che ha bisogno di liquidi per ricostituire gli stock, e prima di tutto per l’edilizia, che lavora con capitali presi a prestito e con clienti che dipendono anch’essi dai prestiti per la casa. Le prime vittime della politica monetaria saranno questi rami. Quindi le sue conseguenze sono chiare: crea disoccupazione, ha riguardo dei grandi e dei potenti e penalizza i piccoli.

Secondo Galbraith, i monetaristi, Milton Friedman in testa, sono di opinioni politiche conservatrici, e tendono quindi a non preoccuparsi eccessivamente degli effettivi una politica che favorisce la grande impresa a spese della piccola o che aggrava la disoccupazione. Friedman è rimasto fedele più di altri ad una visione di una società in cui famiglie e imprese obbediscono agli stimoli della concorrenza e del mercato. Per lui l’economia della libera concorrenza è ancora viva e presente: la grande corporation non ha un posto di grande rilievo nelle sue ricerche. Se si ammette questa idea che esiste un mercato con molte imprese in concorrenza tra loro, si può anche pensare che gli effetti della politica monetaria si distribuiscono più o meno uniformemente su un insieme di aziende concorrenziali. E se queste subiscono più o meno allo stesso modo le leggi impersonali della concorrenza, una restrizione del credito bancario e della domanda globale le obbligherà ad abbassare i prezzi o almeno a rinunciare ad aumentarli. La disoccupazione è una conseguenza solo accessoria.

In sintesi, la restrizione del credito bancario non colpisce le grandi corporations e non le induce a diminuire i propri prezzi. Colpisce invece duramente il settore dell’economia di mercato. E se colpisce l’insieme dell’economia è per aggravare la disoccupazione.

 

 

 

I vari tipi di inflazione

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  Si ha inflazione da domanda  quando la domanda di beni e servizi è superiore all’offerta di piena occupazione delle risorse

  Una inflazione da domanda può essere provocata da un aumento della quantità di moneta in circolazione.

Infatti, secondo le scuole neoclassica e monetarista, un aumento della quantità di moneta si scarica sempre in una domanda aggiuntiva sul mercato dei beni e servizi. A questo proposito Keynes ammette solo che a certe condizioni il tentativo delle famiglie di liberarsi dell’eccesso di moneta può far aumentare la domanda per investimenti.

In particolare, se il reddito è già al livello del reddito potenziale, un aumento della domanda provocherà inflazione.

Ma anche una politica keynesiana che mira ad aumentare la domanda globale ad esempio aumentando la spesa pubblica G, se condotta nel momento sbagliato (piena occupazione delle risorse, momento ascendente del ciclo economico) può creare inflazione.

  Si parla di “vuoto inflazionistico” per indicare la differenza tra la domanda aggregata di un periodo e la produzione disponibile di beni e servizi.

  Secondo i monetaristi, i continui tentativi delle autorità di far scendere la disoccupazione al disotto del tasso naturale di disoccupazione delle risorse provocano un condizionamento delle aspettative, per cui all’atto della stipulazione dei nuovi contratti di lavoro si prevede che si verificherà la stessa inflazione che si è verificata sotto il vigore del contratto precedente.

In queste condizioni si crea una sorta di “profezia auto-avverantesi” e le politiche delle autorità per far diminuire l’inflazione divengono inefficaci. In particolare, i soggetti economici sono poco portati a prestar fede agli annunci da parte delle autorità di imminenti politiche rigorose di contenimento dell’inflazione.

  Si ha inflazione da costi quando i costi di produzione aumentano determinando una pressione sui prezzi.

  Un caso tipico di inflazione da costi si ha quando i prezzi internazionali delle materie prime aumentano a causa di nazionalizzazioni, guerre, politiche di cartello degli stati produttori ecc.

Il nascere di forti organizzazioni sindacali provoca un aumento del costo del lavoro e può innescare una inflazione da costi.

Un caso tipico di inflazione da costi è la inflazione scatenata da rivendicazioni salariali, in particolare la spirale prezzi-salari.

L’aumento dei prezzi causa un aumento della domanda di scorte monetarie da parte dei soggetti economici. Secondo i monetaristi questo offre una possibilità di controllo dell’inflazione: se le autorità rifiutano di assecondare la maggiore domanda di moneta le famiglie cercheranno di ottenerla vendendo titoli. Questo fa diminuire il prezzo dei titoli, aumentare il saggio di interesse e quindi  fa diminuire gli investimenti, in tal modo riducendo la domanda aggregata.

Esiste anche una inflazione da squilibri settoriali dal lato dei costi e dal lato della domanda.

Gli squilibri settoriali dal lato dei costi si verificano quando gli aumenti salariali concessi nei settori più dinamici dell’economia, che in tali settori non provocano aumenti dei prezzi perché si verificano in presenza di alti profitti ed aumenti di produttività, vengono estesi ai settori più arretrati, che non potendo contare su un aumento dei profitti o della produttività sono costretti a fronteggiare l’aumento dei salari con un aumento dei prezzi.

Gli squilibri settoriali dal lato della domanda sono determinati da fattori (nuove mode, importazione di modelli di consumo da altri paesi ecc) che possono determinare una concentrazione della domanda in alcuni settori più che in altri. La pressione dell’eccesso di domanda fa aumentare i prezzi in questi settori; d’altronde è noto che i prezzi  al consumo sono caratterizzati da una certa vischiosità, cioè dalla lentezza a scendere, in casi di eccesso di offerta. Perciò i prezzi dei settori la cui domanda è diminuita non caleranno altrettanto rapidamente di quelli che sono cresciuti. Da tutto questo possono risultare, nel complesso, tendenze inflazionistiche.

 

 

 

Gli indici Paasche e Laspeyres dei prezzi

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Per "livello generale dei prezzi" o "indice dei prezzi" o "numero indice dei prezzi" relativo all’anno m si intende il valore di una formula del tipo:

 

 

o del tipo:

 

 

dove:

 

n è il numero di beni considerati

p i (t=m) è il prezzo dell'i-esimo bene nell'anno m-esimo contato a partire dall'anno 0, cioè a partire dall'anno preso come inizio della serie ("anno base")

q i (t=m) è la quantità prodotta e scambiata dell'i-esimo bene nell'anno m-esimo della serie

p i (t=0) è il prezzo del bene i-esimo nell'anno base

q i (t=0) è la quantità prodotta e venduta del bene i-esimo nell'anno base.

 

Le quantità servono per attribuire dei pesi ai prezzi nel caso di indici dei prezzi: il prezzo di un bene avrà tanto più peso nella media quanto maggiore è la quantità prodotta e venduta di quel bene. I prezzi servono per attribuire dei pesi alle quantità negli indici delle quantità: una quantità avrà tanto più peso nella media quanto maggiore è il prezzo (e quindi l'impiego di risorse) collegato al bene cui la quantità si riferisce.

La prima formula, che utilizza come pesi dei prezzi le quantità dell’anno m è detta “Indice Paasche”

La seconda formula, che utilizza come pesi dei prezzi le quantità dell’anno 0 (anno base) è detta “Indice Laspeyres”

 

 

 

Il Reddito o PNL reale e il Reddito o PNL nominale

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Gli economisti definiscono "PNL reale dell'anno m" il valore dato dalla formula:

 

 

dove:

 

m è il numero di beni considerati

p i (t=0) è il prezzo del bene i-esimo nell'anno base

q i (t=m) è la quantità prodotta e venduta del bene i-esimo nell'anno m-esimo

 

Contrariamente a quanto potrebbe aspettarsi lo studente il PNL "reale" non esprime quantità fisiche (semmai valori monetari). L'aggettivo "reale" vuole indicare il fatto che tale valore consente il confronto delle grandezze reali (produzione fisica) relative ad anni diversi.

Capita talvolta che certi testi, anche universitari, definiscano affrettatamente "reddito reale" il rapporto Y/P, senza precisare quale nozione di reddito (PIL?, PNL?) e di livello dei prezzi (indici Paasche? Indici Laspeyres? Media pesata?) si debba adottare.

E' bene, per abituarsi ad una maggiore precisione, interpretare il "reddito reale" così genericamente indicato come "PNL reale", secondo la definizione che ne abbiamo qui dato.

Il "PNL nominale (o monetario) dell'anno m" è dato invece dalla formula:

 

 

dove:

 

m è il numero di beni considerati

p i (t=m) è il prezzo dell'i-esimo bene nell'anno m-esimo contato a partire dall'anno 0, cioè a partire dall'anno preso come inizio della serie ("anno base")

q i (t=m) è la quantità prodotta e scambiata dell'i-esimo bene nell'anno m-esimo della serie

 

Questa formula non è altro che un valore monetario risultante dalla moltiplicazione delle quantità prodotte nell'anno m-esimo per i prezzi dell'anno m-esimo.

 

 

 

Il deflatore del PNL

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Il "numero indice dei prezzi impliciti" o "deflatore del PNL" non è altro che l'indice Paasche dei prezzi (vedi sopra). Viene chiamato "deflatore" perché, moltiplicando il suo inverso per il PNL o PIL monetario si ottiene un valore che contiene (o dovrebbe contenere) le sole variazioni dovute ad aumento di produzione.

Il PIL reale è una misura con cui si cerca di isolare le variazioni della produzione fisica del sistema economico da un periodo ad un altro, valutando tutti i beni prodotti nei due periodi agli stessi prezzi ovvero a lire costanti.

Per capire come l'indice Paasche possa funzionare da "deflatore" (che letteralmente significa "sgonfiatore"), cioè possa eliminare gli effetti degli incrementi del reddito monetario dovuti all'aumento dei prezzi (lasciando quelli dovuti all'aumento della produzione), proviamo a moltiplicare il suo inverso per il PNL nominale:

 

 

In tale moltiplicazione la quantità:

 

 

è l’inverso dell’indice Paasche dei prezzi, mentre la quantità:

 

 

è il PIL nominale o monetario dell’anno m

Semplificando il denominatore col PNL monetario si ottiene infine:

 

 

Che non è altro che la formula del PNL reale dell’anno m e cioè, come sappiamo, il valore dei beni finali prodotti nell’anno, valutati però al prezzo dell’anno-base.

Facendo questa operazione per ciascun anno si otterranno i valori dei redditi nazionali dei vari anni valutati però sempre ai medesimi prezzi (quelli dell'anno-base), e quindi si potranno confrontare i soli aumenti dovuti a crescita della produzione e non a crescita dei prezzi.

In base alle definizioni date, lo studente può verificare che il deflatore implicito può anche essere definito come:

 

Deflatore del PNL =  =

 

 

Il tasso di inflazione (che è il tasso di crescita del deflatore del PNL) può essere approssimato dalla formula:

 

Tasso di crescita del deflatore del PNL = Tasso di crescita del PNL nominale - Tasso di crescita del PNL reale

 

Il deflatore del PIL può essere visto come una media ponderata dei prezzi dei beni commerciabili e non commerciabili.

 

 

 

PIL reale e PIL nominale. Il deflatore del PIL

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Vedi quadro su indice generale dei prezzi

 

 

 

Le conseguenze negative dell’inflazione

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Si creano discriminazioni tra i titolari dei vari redditi: i titolari dei redditi monetari che variano solo a intervalli relativamente lunghi per effetto della contrattazione con la controparte sono più penalizzati di coloro che possono ritoccare al rialzo i loro redditi monetari.

In genere vengono danneggiati maggiormente i percettori di redditi fissi rispetto ai percettori di redditi variabili.

Tra gli stessi lavoratori le categorie di lavoratori più forti, in condizione di inflazione, riescono ad ottenere aumenti salariali, le altre no

Diminuzione del risparmio a favore del consumo

Quando il reddito nominale si riduce le famiglie tentano di mantenere i consumi precedenti diminuendo il risparmio piuttosto che diminuire i consumi.

Questo effetto è però controbilanciato dal fatto che la redistribuzione di ricchezza dalle famiglie meno abbienti a quelle più abbienti aumenta la propensione al consumo della collettività.

Si verifica una redistribuzione di ricchezza dai titolari dei redditi fissi ai titolari dei redditi variabili

All’aumentare del valore monetario del reddito nazionale, alcune categorie aumentano i propri redditi individuali, altre no: questo porta le prime ad avere una percentuale più alta di reddito nazionale. In particolare il primo effetto dell’inflazione è far aumentare i profitti degli imprenditori prima dei salari.

Vengono favoriti i debitori a scapito dei creditori, che si vedono pagare con moneta svalutata

I prodotti nazionali diventano meno competitivi e compare uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti

Si crea incertezza sui prezzi e in genere sul costo dei fattori, e questo può frenare gli investimenti

Si modifica la struttura degli investimenti: vengono privilegiati gli investimenti a breve termine, perché, in una condizione di incertezza, sono più sicuri di quelli a lungo termine.

Il potere di acquisto del reddito delle famiglie diminuisce

In un sistema fiscale con imposte progressive si verifica il fenomeno del “fiscal drag”: l’aumento del reddito nominale fa scattare aliquote più elevate, anche se il reddito reale rimane lo stesso.

Una perdurante inflazione può generare nei soggetti economici (imprenditori e lavoratori) aspettative inflazionistiche. In una situazione di aspettative inflazionistiche i contratti stipulati dalle organizzazioni sindacali presuppongono la presenza di inflazione futura e sono essi stessi inflazionistici, creando i presupposti per la spirale prezzi-salari. Inoltre, in queste condizioni, è difficile per le autorità utilizzare con successo politiche antinflazionistiche.

Sebbene da un lato si deve considerare che lo Stato, debitore delle somme mutuate con i titoli del debito pubblico è avvantaggiato dall’inflazione, dall’altro è inevitabile che l’inflazione faccia aumentare le spese della Pubblica Amministrazione, col rischio di aggravare il deficit pubblico.

 

 

 

La “spirale prezzi-salari”

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Gli aumenti salariali dei lavoratori comprimono i margini di profitto degli imprenditori: il prezzo di ogni unità di prodotto venduta copre infatti sia i vari tipi di costi (del lavoro, delle materie prime, dei servizi, degli ammortamenti...) sia la quota di profitto dell'imprenditore. Se aumenta la parte di costo e il prezzo rimane invariato, deve diminuire la quota di profitto su ogni unità venduta.

Per salvare i propri margini di profitto gli imprenditori normalmente, se le autorità non intervengono, aumentano i prezzi, scatenando la spirale inflazionistica nota come "prezzi-salari-prezzi": l'aumento dei prezzi dei prodotti fa sì infatti che il costo della vita aumenti e presto annulli i benefici degli aumenti di salario. Inizierà così di nuovo il ciclo: i lavoratori chiederanno nuovi aumenti salariali, che gli imprenditori neutralizzeranno con nuovi aumenti dei prezzi

In sintesi: una delle principali ragioni per cui i lavoratori chiedono aumenti salariali è appunto il "recupero dell'inflazione", cioè l’aumento delle retribuzioni necessario per far ritornare il loro potere d’acquisto come era prima che esso fosse diminuito dall’inflazione. Ma se le richieste sono eccessive, con gli aumenti viene prodotta nuova inflazione: quando i lavoratori ottengono aumenti di salario gli imprenditori vedono ridursi i profitti e aumentano i prezzi dei prodotti; questo provoca un aumento del costo della vita dei lavoratori che chiedono un nuovo aumento di salario, e così avanti all'infinito ("spirale prezzi-salari")

La teoria che vede la principale causa di aumento dei prezzi in una inflazione da costi scatenata dall’aumento dei salari presuppone la teoria del mark-up circa la determinazione del prezzo da parte degli imprenditori.

Secondo questa teoria il prezzo di vendita non si determina dall’incontro della domanda e dell’offerta. Soprattutto nei moderni mercati oligopolistici, dove le grandi imprese sono in grado di controllare il prezzo, questo viene fissato aggiungendo ai costi una quota di ricarico (“mark-up”) a titolo di profitto.

 

 

 

La curva di Phillips

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La curva di Phillips, tracciata nel 1960 da economisti anglosassoni sulla base della osservazione dell’economia britannica dal 1961 al 1957, mostra una relazione inversa tra tasso di disoccupazione e tasso di inflazione:

 

 

Come si può vedere, ad es. ad un tasso di disoccupazione del 3% il tasso di inflazione (cioè il tasso di crescita annua del livello generale dei prezzi) è del 5%, mentre ad un tasso di disoccupazione dell’1,5% l’inflazione è raddoppiata. La spiegazione più diffusa è che, col diminuire della disoccupazione la difficoltà di reperire lavoratori da parte delle imprese mette in grado questi ultimi di chiedere aumenti salariali, che a loro volta si riflettono sui prezzi, spiegando l’inflazione. Viceversa, quando la disoccupazione è alta (ad es. al 7% nel grafico) il potere contrattuale dei lavoratori è molto basso, i salari non crescono e l’inflazione è pari a zero; o addirittura i salari diminuiscono (disoccupazione 10%) e quindi i prezzi diminuiscono (–1%).

Le analisi statistiche più recenti effettuate nei paesi industrializzati non hanno confermato la validità della curva di Phillips ed hanno anzi dimostrato che le retribuzioni (e quindi l’inflazione) aumentano anche in presenza di una elevata disoccupazione (situazione tipica della stagflazione).

I monetaristi criticano la curva di Phillips sostenendo che essa vale solo nel breve periodo: esiste un tasso di disoccupazione naturale al quale il sistema economico tende a tornare nel lungo periodo. Se nel breve periodo si registrano una crescita dei salari e dei prezzi i lavoratori saranno indotti ad offrire più lavoro e gli imprenditori ad assumere più lavoratori. Ma nel lungo periodo i lavoratori che avevano cercato impiego si rendono presto o tardi conto che l’aumento dei prezzi ha riportato il loro salario reale al livello di partenza e cessano di cercare impiego, mentre gli imprenditori che avevano assunto lavoratori aggiuntivi si rendono conto che gli aumenti dei ricavi, in presenza di aumenti dei prezzi, sono solo fittizi, e licenzieranno nuovamente (cosiddetta “disillusione monetaria”).

 

 

 

La “politica dei redditi” contro l’inflazione e la spirale prezzi-salari

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La “politica dei redditi” è l'intervento dello Stato per evitare che i salari e i profitti crescano eccessivamente provocando inflazione.

Uno dei principali pericoli è l’inasprirsi della conflittualità sindacale. Le autorità intervengono cercando di promuovere un accordo sui salari che eviti scioperi e paralisi dell'economia con scioperi ripetuti.

Un secondo grande pericolo è che si inneschi la cosiddetta “spirale salari-prezzi” (vedi più avanti di cosa si tratta).

Per evitare questi pericoli e in generale che i prezzi dei prodotti crescano, lo stato propone a imprenditori e lavoratori un "patto sociale" di cui egli si fa garante: gli imprenditori non aumenteranno i prezzi e i lavoratori non chiederanno aumenti dei salari. E’ importante che ciascuna delle due parti mantenga il patto: gli aumenti salariali dei lavoratori comprimono i margini di profitto degli imprenditori, spingendoli ad aumentare i prezzi dei prodotti. A sua volta, se gli imprenditori aumentassero i prezzi dei prodotti, i lavoratori vedrebbero aumentare il costo della vita e chiederebbero aumenti di stipendio.

Lo stato, da parte sua, si impegna ad effettuare tutta una serie di interventi che rendano più facile agli imprenditori tenere bassi i prezzi ed aumentare i margini di profitto e ai lavoratori contenere i salari:

   Lo stato interviene per mantenere bassi i redditi dei proprietari di appartamenti in modo che il lavoratore non debba pagare affitti troppo alti

   Lo stato interviene per mantenere bassi i costi dei trasporti pubblici, del gas, dell’elettricità, dell’acqua, che costituiscono altrettante spese per le famiglie dei lavoratori. Lo Stato può ottenere questo principalmente controllando le imprese pubbliche che forniscono servizi alla collettività

   Per determinati prodotti (medicinali ecc.) lo Stato instaura un regime di prezzi controllati

   Lo stato può cercare di alleggerire alcuni costi delle imprese:

   [Tittarelli-Cernesi>Econ.finanziaria pubbl. e normativa trib.>1996 220] Lo stato può attuare la “fiscalizzazione degli oneri sociali” (cioè può accollarsi in tutto o in parte i versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali obbligatori che i datori di lavoro sono tenuti ad effettuare)

   Lo stato può concedere agevolazioni, ad esempio tributarie alle imprese, specie a quelle in difficoltà

   Lo stato può concedere alle imprese incentivi monetari

   Lo stato può concedere mutui a tasso agevolato

   Lo Stato può potenziare le infrastrutture (reti di trasporto, porti, dogane ecc.) e rendere più efficienti gli uffici della Pubblica Amministrazione che si occupano dei rapporti con le imprese, in modo che le imprese, riuscendo a produrre in modo più veloce ed efficiente, possano tenere bassi i costi

   Lo stato può incentivare la ricerca scientifica e la innovazione, in modo che processi produttivi più efficienti abbassino i costi degli imprenditori

In occasione della contrattazione collettiva tra sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro il ministro del lavoro prende parte alla trattativa allo scopo di favorire l'accordo delle parti sociali.

Lo stato ha poi un potente strumento per contenere i salari e gli stipendi: infatti è esso stesso un datore di lavoro, e può cercare di limitare gli aumenti salariali dei dipendenti pubblici, in modo da non scatenare “rincorse” da parte dei lavoratori dell’industria privata

 

 

 

La stagflazione e le sue cause

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La stagflazione è una situazione caratterizzata contemporaneamente da inflazione e da depressione (cioè da ristagno dell'attività economica). La stagflazione è un fenomeno relativamente recente, sconosciuto agli economisti della prima metà di questo secolo, quando una scarsità della domanda e un ristagno produttivo si accompagnavano non a prezzi crescenti, ma a prezzi in diminuzione. La stagflazione ha investito le economie capitalistiche avanzate negli anni '70.

Tra le cause della stagflazione vi sono:

   L'incertezza provocata tra gli imprenditori dalla inflazione da costi fa diminuire gli investimenti

Come è stato detto, l’aumento dei salari, non collegato agli aumenti di produttività del lavoro, provoca inflazione.

Di fronte alle continue rivendicazioni salariali che fanno aumentare i loro costi, gli imprenditori si fanno più cauti: alcuni sanno di essere ben piazzati sul mercato e quindi di poter assorbire l'aumento dei costi del lavoro con un aumento dei prezzi; ma molti altri non sono sicuri che il mercato consentirà loro di aumentare i prezzi per assorbire la continua spinta salariale.

Fino agli anni '70 gli imprenditori sapevano che una situazione di scarsa domanda, che rende loro difficile aumentare i prezzi, provocava però anche disoccupazione, e quindi contrastava l'aumento dei salari. Ma dagli anni '70 in poi, grazie alla forza delle organizzazioni sindacali, gli aumenti salariali non sono più collegati alla situazione di occupazione o disoccupazione.

Il risultato di tutto questo è che gli imprenditori si fanno più cauti, ridimensionano i progetti di investimento.

   Le politiche monetarie restrittive poste in essere dalle autorità aumentano l’incertezza e il timore tra gli imprenditori e frenano gli investimenti

Di fronte ad una situazione di inflazione, facilmente le autorità adottano una politica monetaria restrittiva, che provoca una scarsità di capitali e un aumento del costo del denaro (saggio di interesse). Questo fa ulteriormente diminuire gli investimenti degli imprenditori ed aumenta la situazione di incertezza e di timore da parte loro

   La carenza di investimenti rende il sistema fragile e non in grado di assorbire con aumenti di produttività l’aumento del costo del lavoro

Abbiamo visto che in una situazione di inflazione può facilmente verificarsi una diminuzione degli investimenti.

Ma un sistema che non investe a sufficienza è un sistema fragile, in cui la produttività non aumenta nella misura necessaria per compensare la richiesta di aumenti salariali

In una situazione del genere gli imprenditori, non potendo assorbire gli aumenti del costo del lavoro mediante aumenti di produttività del lavoro, sono costretti sistematicamente ad aumentare i prezzi, innescando la spirale prezzi-salari-prezzi

   Aumento del prezzo delle materie prime

A partire dagli anni ’70 i paesi produttori di materie prime, in particolare petrolifere, attraverso una aggressiva politica di nazionalizzazioni e di accordi di cartello tra produttori, sono riusciti ad aumentare sensibilmente il prezzo delle loro esportazioni. Questo ha scatenato nei paesi occidentali una ondata di inflazione da costi.

   La spesa pubblica indiscriminata può provocare “colli di bottiglia” in grado di far esplodere l’inflazione anche in condizioni di disoccupazione non grave delle risorse.

In condizioni di disoccupazione non grave la spesa pubblica può provocare inflazione senza far aumentare la produzione In caso di disoccupazione grave, che colpisca tutti i settori produttivi, lo stato può aumentare la sua spesa pubblica senza timore che questo provochi inflazione, e sperando anzi che faccia aumentare la produzione e l'occupazione. Ma nelle economie del secondo dopoguerra le politiche economiche messe in atto dagli stati hanno avuto come effetto di mantenere il sistema in uno stato di disoccupazione lieve, con alcune imprese che producono sfruttando quasi completamente le proprie capacità produttive e altre che producono sfruttando solo parzialmente le proprie capacità produttive. In questa situazione, se la spesa pubblica non è ben indirizzata alle imprese in condizione di disoccupazione, ma a quelle che già stanno sfruttando tutta la propria capacità produttiva, si producono con estrema facilità dei "colli di bottiglia" ("bottlenecks"), delle strozzature, che fanno crescere i prezzi senza che vi sia un apprezzabile effetto sulla occupazione e le quantità prodotte. In queste condizioni la spesa pubblica andrebbe ridotta e soprattutto meglio indirizzata a sfruttare le capacità produttive inutilizzate.

 

 

 

Qual è la politica delle autorità di fronte alla stagflazione?

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Una politica keynesiana che contrasti l'inflazione può aggravare la depressione e una politica keynesiana che contrasti la depressione può aggravare l'inflazione.

La stagflazione rappresenta un problema molto difficile per le autorità. Se esse intervengono per far diminuire i prezzi e quindi l'inflazione mediante una diminuzione della domanda aggregata ottenuta con una riduzione delle spese pubbliche o un aumento delle entrate pubbliche, esse rischiano di aggravare la depressione.

Se viceversa intervengono contro la depressione aumentando la domanda aggregata tramite un aumento delle spese pubbliche o una riduzione delle entrate pubbliche, esse rischiano di far aumentare i prezzi e quindi di scatenare l'inflazione.

In genere le autorità cercano di risanare il bilancio pubblico e di incoraggiare gli investimenti da parte degli imprenditori.

Risanare il bilancio pubblico, come già detto, vuol dire diminuire il deficit annuale e il debito pubblico complessivo, e, insieme, migliorare la qualità della spesa pubblica, evitando le spese improduttive e che non creano investimenti e crescita di produttività. In una situazione di incertezza quale è quella stagflazionistica, si crea una situazione di timore che frena gli investimenti degli imprenditori. Le autorità debbono cercare di incoraggiare gli investimenti con provvedimenti a favore delle imprese (sgravi fiscali, incentivi e contributi, manovre della banca centrale per far diminuire il costo del denaro, ecc.) che ristabiliscano la fiducia degli operatori economici e rilancino l'economia.

 

 

 

Il mercato monetario e la borsa

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(1)    Che differenza c’è tra mercato monetario e finanziario?

Che tipo di titoli viene normalmente negoziato nel mercato monetario e che tipo di titoli viene normalmente negoziato nel mercato finanziario?

 

(2)    Cosa sono le obbligazioni?

Cosa sono i titoli del debito pubblico?

Cosa sono le azioni?

 

(3)    Cosa significa “emissione sopra la pari” o “emissione sotto la pari” di un titolo?

I titoli possono essere emessi alla pari (cioè ad un prezzo pari al loro valore nominale) o sotto la pari (ossia ad un prezzo inferiore al loro valore nominale) o sopra la pari (cioè ad un prezzo superiore al loro valore nominale)

 

(4)    In quale luogo avvengono le contrattazioni del mercato monetario?

In quale luogo avvengono le contrattazioni del mercato finanziario?

Le contrattazioni del mercato monetario avvengono principalmente nelle banche

Le contrattazioni del mercato finanziario avvengono principalmente nelle borse valori

 

(5)    Cosa si intende per “valore nominale” di un titolo?

Cosa si intende per “valore reale” o “valore intrinseco” di un titolo?

Cosa si intende per “valore di mercato” o “prezzo di mercato” di un titolo?

Il “valore nominale” è quello impresso sul titolo

Per le azioni si parla di “valore intrinseco o reale”, che si ottiene dividendo il valore del patrimonio della società per il numero delle azioni emesse.

Il “valore di mercato” di un titolo è il prezzo al quale viene scambiato in borsa

 

(6)    Per quale ragione se il saggio di interesse praticato nel mercato finanziario (es. quello per le nuove emissioni di obbligazioni) scende il valore di mercato o prezzo del titolo di vecchia emissione diminuisce, e viceversa?

Se un titolo di vecchia emissione reca scritto “10 €” come interesse annuale, il suo valore sarà capitalizzato al tasso di interesse attuale, mediante il rapporto:

 

 

e cioè

 

 

come si vede, se il saggio di interesse sale, il prezzo di mercato scende, e viceversa.

Il saggio di interesse potrebbe salire perché le autorità aumentano il saggio di risconto alle banche e queste sono costrette a loro volta a praticare un interesse più alto alla clientela. Oppure perché le autorità annunciano che venderanno titoli del debito pubblico ad un interesse più alto di quello corrente. Oppure in genere perché fanno diminuire lo stock di moneta in circolazione (offerta di moneta).

 

(7)    Per quale ragione, se il prezzo o valore di mercato di un titolo aumenta a seguito di un eccesso di domanda (es. perché le famiglie tentano di liberarsi delle scorte di moneta acquistando titoli) il saggio di interesse diminuisce?

Se, prima dell’aumento di valore, un titolo di vecchia emissione con valore di mercato di 100 € dava un interesse annuo di 10 € una famiglia poteva cedere il suo denaro alle imprese ottenendo non meno del 10% di interesse (diversamente essa avrebbe acquistato il titolo di vecchia emissione), dopo l’aumento (es. raddoppio) di valore dei titoli, per ottenere 10 € occorrerà sborsare 200 € (il titolo che valeva 100 € è raddoppiato di valore): questo vuol dire che esistono famiglie disposte a dare in prestito il proprio denaro al 5% e quindi che nessuna impresa emetterà titoli con un saggio di interesse superiore al 5%.

 

(8)    Come viene attuata una speculazione al rialzo mediante un contratto di compravendita di titoli a termine?

Se lo speculatore ritiene che il valore del titolo aumenterà egli acquisterà titoli a termine, impegnandosi a pagarli, il mese successivo, al loro valore attuale, poniamo di 100 €

Se, al momento della esecuzione del contratto (mese successivo) il valore del titolo è effettivamente aumentato da 100 a 150 €, tutto quel che deve fare lo speculatore è farsi consegnare i titoli, rivenderli a 150 €, pagare 100 € al venditore e tenersi la differenza.

 

(9)    Come viene attuata una speculazione al ribasso mediante un contratto di compravendita di titoli a termine fermo?

Se lo speculatore ritiene che il valore del titolo diminuirà egli venderà titoli a termine, impegnandosi a consegnarli, il mese successivo, in cambio del loro valore attuale, poniamo di 100 €

Se, al momento della esecuzione del contratto (mese successivo) il valore del titolo è effettivamente diminuito da 100 a 50 €, tutto quel che deve fare lo speculatore è farsi dare il corrispettivo di 100 €, acquistare sul mercato il quantitativo pattuito sborsando 50 €, consegnare i titoli all’acquirente e tenersi la differenza di 50 €.

 

(10)  Esponi la classificazione dei contratti di borsa.

   Contratti (di compravendita) a pronti

   Contratti (di compravendita) a termine

   Contratti a termine fermo

   Contratti a premio

   Contratto dont

Il compratore si riserva la facoltà di non dare esecuzione al contratto pagando un premio consistente in una determinata somma per titolo

   Contratto put

Il venditore si riserva la facoltà di non dare esecuzione al contratto pagando un premio consistente in una determinata somma per titolo

   Contratto noch

Il contraente, pagando un premio, si riserva la facoltà di vendere o comperare un quantitivo di titoli multiplo (doppio, triplo ecc.) rispetto a quello pattuito

   Contratto stellage

Il contraente che paga il premio si riserva la facoltà  di dichiararsi, nel giorno di risposta premi, compratore o venditore del titolo. Il contratto di stellage non comporta diritto di recesso, perché il contratto deve essere comunque eseguito.

   Contratti di riporto

   Contratto di riporto

Un soggetto (riportatore) ottiene da un altro (riportato) la disponibilità di una quantità di denaro per un determinato periodo in cambio della consegna di una data quantità di titoli.

Al termine del periodo il riportatore restituisce al riportato, in cambio dei titoli, una somma maggiore  di quella che aveva ricevuto

   Contratto di deporto

Un soggetto (riportato) ottiene da un altro (riportatore) la disponibilità di una quantità di titoli per un determinato periodo in cambio della consegna di una data quantità di denaro.

Al termine del periodo il riportato restituisce al riportatore i titoli, in cambio di una somma minore  di quella che aveva pagato.

 

(11)  Come può essere utilizzato un contratto di riporto per prolungare una operazione di speculazione al rialzo (in gergo: mantenere la posizione rialzista)?

Se alla fine del mese non si verifica il rialzo che lo speculatore aveva sperato, questi, che aveva contrattato a termine come acquirente, può farsi consegnare i titoli, darli a riporto con scadenza al mese successivo, ottenendo dal riportato la somma necessaria per pagare l’acquisto e liquidare il vecchio contratto, sia pure con una perdita. Se al momento di restituire il denaro al riportatore in cambio dei titoli il valore di questi avesse subito un rialzo, lo speculatore venderebbe i titoli e con la differenza tra prezzo da restituire al riportatore e prezzo di mercato dei titoli conseguirebbe un guadagno che potrebbe essere maggiore della perdita subita il mese precedente.

Si consideri ancora il seguente esempio:

1° Gennaio   Quotazione azioni Fiat: 1 €

                   Tizio acquista 1000 azioni Fiat a termine 1 mese

                   Prezzo: 1 €

1° Febbraio  La quotazione non è cambiata: 1 €

                   Tizio prende a riporto le 1000 azioni acquistate al prezzo di 1 € con premio di 0,50 € per azione ed ha così soldi per pagare il contratto. Dovrà restituire la somma maggiorata di 0,10 € per azione

1° Marzo  La quotazione è cambiata: 2 €

                   Tizio si fa riconsegnare le azioni dal riportatore, le rivende a 2 € per azione; paga 1,10 € per azione al riportato e si tiene la differenza

 

(12)  Come può essere utilizzato un contratto di riporto per prolungare una operazione di speculazione al ribasso (in gergo: mantenere la posizione ribassista)?

Se alla fine del mese non si verifica il ribasso che lo speculatore aveva sperato, questi, che aveva contrattato a termine come venditore, può farsi consegnare il denaro, darlo al riportato con scadenza al mese successivo, ottenendo da questi  i titoli da consegnare per liquidare il vecchio contratto, sia pure con una perdita. Se al momento di restituire i titoli al riportato in cambio del denaro ricevuto il valore di questi avesse subito un ribasso, lo speculatore, fattosi consegnare il denaro, acquisterebbe i titoli da restituirgli e, con la differenza tra quanto ricevuto dal riportato e quanto sborsato per i titoli (che nel frattempo è ribassato) conseguirebbe un guadagno che potrebbe essere maggiore della perdita subita il mese precedente.

Si consideri ancora il seguente esempio:

1° Gennaio   Quotazione azioni Fiat: 1 €

                   Tizio vende 1000 azioni Fiat a termine 1 mese

                   Prezzo: 1 €

1° Febbraio  La quotazione non è cambiata: 1 €

                   Tizio, che sperava fosse ribassata, prende a deporto 1000 azioni e le consegna al compratore; riceverà una somma minore di quella consegnata: 0,10 € in meno per azione

1° Marzo  La quotazione è cambiata: 0,50 €

                   Tizio si fa restituire 0,90 € per azione dal riportato; acquista 1000 azioni a 0,50 € e le dà al riportato (deportato) tenendosi la differenza di 0,40 €

 

(13)  Cos’è lo “stripping”?

La banca Alfa ha acquistato CCT quinquennali ad un’asta del Tesoro pagandoli 10 milioni di euro. Il saggio di interesse nominale è del 10%. Se il saggio di interesse di mercato sale al 20% prima che la banca Alfa possa piazzare i CCT presso i risparmiatori, essa si vedrà costretta a piazzarli a 5 milioni di euro.

Per non dichiarare in bilancio una conseguente perdita di 5 milioni di euro si attua lo stripping: la banca mantiene la proprietà dei titoli e vende separatamente il diritto a riscuotere le cedole. Questa procedura presenta il vantaggio che la banca recupera liquidità per 5 milioni di euro e non realizza alcuna perdita sul capitale perché alla scadenza lo Stato rimborserà esattamente 10 milioni di euro (di cui 5 milioni vanno restituiti agli obbligazionisti cui è stato venduto il diritto di riscuotere le cedole).

 

(14)  Cos’è la Federal Reserve ? (detta anche FED)

La Federal Reserve (abbreviata usualmente in Fed) è la Banca Centrale USA, il cui presidente è Alan Greenspan. Essa governa la quantità di moneta in circolazione ed è in grado, con la sua manovra (soprattutto con la manovra del saggio di sconto) di influenzare il saggio di interesse praticato dalle banche ordinarie.

 

(15)  In che modo una famiglia può contrattare una pensione privata?

Come vengono gestiti i premi che essa paga?

In che modo il meccanismo assicurativo garantisce un trattamento teoricamente migliore di quello ottenuto investendo i propri risparmi in fondi di investimento o in titoli pubblici o in beni-rifugio?

Una famiglia contratta una pensione privata stipulando con una società di assicurazione un contratto assicurativo che, dietro pagamento di un premio mensile per un dato numero di anni, garantisce, al termine di quel periodo o un capitale o una rendita destinata a durare fino alla morte del beneficiario.

Le assicurazioni investono normalmente i premi nel mercato immobiliare o in borsa (le assicurazioni sono i principali clienti dei fondi di investimento), cercando di ottenere degli interessi e comunque di non perdere il capitale fino al momento in cui il corrispettivo dovrà essere versato all’assicurato.

Talvolta le somme sono gestite dalla stessa azienda (fondi pensione aziendali).

Nulla garantisce che questi fondi non vadano persi in operazioni speculative errate. In questo caso l’assicurazione fallisce e l’assicurato non ottiene nulla.

Il meccanismo assicurativo si fonda su principi statistici. Ad esempio la percentuale di persone che rimane in vita dopo i 65 anni varia di pochissimo, come pure quella delle persone che rimangono in vita dopo i 70 anni, quella delle persone che rimangono in vita dopo i 75 anni ecc.

I gestori dei fondi pensione possono così offrire ai sopravvissuti una pensione più alta di quello che essi hanno versato.

Supponiamo ad esempio che un gestore di fondi pensione pattuisca di pagare, dopo i 75 anni, a coloro che avranno versato per quella data 20 anni di contributi mensili, una pensione di 1000 € al mese. Supponiamo che tutti coloro che iniziano a pagare i contributi a 40 anni li paghino per 20 anni e che nessuno di loro muoia prima di aver completato il pagamento dei contributi, a 60 anni.

Se il gestore delle pensioni sa che di 10 persone in vita a 60 anni dopo i 75 anni rimangono in vita solo 5 persone, e dopo gli 85 anni non rimane in vita più nessuno, egli dovrà al più pagare:

 

1000 · 12 (mesi) · 5 (persone) · 10 (anni) = 600.000 €

 

Pertanto egli chiederà a ciascuna delle 10 persone di pagare mensilmente:

 

60.000/(20 anni *12 mesi * 10 persone) = 250 €

 

contro i 500 € che avrebbe chiesto se avesse considerato una sopravvivenza del 100% tra i 75 e gli 85 anni.

La legge dei grandi numeri gli assicura che ciò che è avvenuto in passato (il numero dei sopravvissuti) non cambierà in futuro, a patto che egli gestisca le pensioni di un gran numero di persone.

Ma attenzione: la legge dei grandi numeri non funziona se il numero delle persone che si assicurano presso il gestore è molto basso: le statistiche dei sopravvissuti sono infatti stabili perché si riferiscono a centinaia o migliaia di persone, altrimenti non lo sono. Questa è una delle ragioni per cui nell’Ottocento fallirono i tentativi di creare delle “società di mutuo soccorso” tra operai di una fabbrica, che versavano dei contributi per prelevare poi in vecchiaia una pensione: il numero estremamente basso (al massimo un centinaio) di persone che partecipavano a questi fondi faceva sì che vi fossero grandi oscillazioni: era sufficiente che per dieci anni il numero dei sopravvissuti dopo i 75 anni fosse molto alto, e il fondo si trovava a dover pagare cifre molto alte per le pensioni. Questa condizione di incertezza  impediva ai gestori delle società di mutuo soccorso di sfruttare la legge dei grandi numeri, che invece poteva essere sfruttata dalle grandi compagne assicurative private o dallo stato: per poter garantire una pensione fissa, essi erano costretti a chiedere somme molto più alte delle società private o dello stato, perché i margini di incertezza erano più alti.

 

(16)  Cos’è l’arbitraggio?

L’arbitraggio è una speculazione che punta a guadagnare nei due seguenti modi:

   Sul diverso valore di uno stesso titolo (o valuta) in due borse diverse

Se una obbligazione Fiat è quotata 1 € alla Borsa di Milano e 5 € alla Borsa di Francoforte, l’arbitraggista la acquista a Francoforte e poi la vende a Milano. Così facendo, per la legge della domanda e dell’offerta, il prezzo di Milano diminuisce e quello di Francoforte aumenta.

   Sul diverso rendimento di due titoli aventi lo stesso rischio

Se due obbligazioni, della società Alfa e della società Beta, hanno stesso rischio e rendimenti rispettivamente del 5% e del 10%, l’arbitraggista acquista una obbligazione con rendimento 10% (spesa 10 €) e la rivende a 15 € al soggetto che aveva acquistato l’obbligazione con rendimento 5%, guadagnando 5 €. L’arbitraggista fa allora da intermediario nella vendita delle obbligazioni al 5%

 

(17)  Da quali leggi è stata attuata la riforma della Borsa italiana?

Legge 2 Gennaio 1991 n. 1

Decreto Legislativo 23 Luglio 1996 n. 415

 

(18)  Cosa sono la “concentrazione degli affari nella borsa” e la “trattazione telematica” introdotti dalla riforma della borsa?

Tutti coloro che ricevono dal pubblico incarichi o proposte di acquisto o di vendita di valori mobiliari  sono tenuti ad eseguire le operazioni sui mercati ufficiali (cioè regolamentati), attraverso gli intermediari a ciò autorizzati e secondo le modalità fissate dalla legge.

Gli ordini di acquisto e vendita dei titoli sono effettuati attraverso un circuito telematico, con un sistema di trattazione continua cui gli operatori si collegano tramite workstation e che collega le dieci borse italiane.

 

(19)  Quali sono i soggetti a cui la legge italiana consente di operare come intermediari di borsa?

Società di intermediazione immobiliare (s.i.m.) italiane, che sostituiscono gli agenti di borsa.

Imprese di investimento comunitarie che devono avere ottenuto l’autorizzazione dell’autorità di vigilanza del loro paese di origine

Imprese di investimento extracomunitarie autorizzate dalla CONSOB

Banche (italiane, comunitarie ed extracomunitarie), che possono operare in borsa direttamente o mediante la creazione di una s.i.m.

Altri intermediari finanziari iscritti in un elenco speciale tenuto dalla Banca d’Italia.

 

(20)  Che cos’è il “nuovo mercato”?

il 28.01.1999 ha preso il via il “nuovo mercato”, ossia il listino di borsa delle piccole e medie imprese. Vi sono ammesse società italiane ed estere con delibera di Borsa italiana s.p.a. che abbiano un capitale minimo, abbiano emesso azioni per almeno una parte del capitale sociale ed adottino la certificazione di bilancio.

 

(21)  Chi sono gli investitori istituzionali del mercato finanziario?

Gli investitori istituzionali sono organismi pubblici o privati che, per effetto della loro natura giuridica, dei loro statuti e dei loro atti costitutivi, investono le disponibilità liquide che possiedono in titoli del mercato finanziario:

Banche

Istituti di assicurazione

Fondi comuni di investimento (Investment trusts)

I fondi di investimento si sostituiscono al singolo risparmiatore nell’acquisto dei titoli, che sceglie accuratamente secondo i criteri della redditività e della crescita di valore. Consentono alle famiglie di imiegare anche modeste somme, limitando i rischi connessi alle oscillazioni dei valori finanziari

Fondi chiusi

Fanno capo a società in tutto simili a quelle che amministrano i fondi comuni di investimento. Sono fondi ad accumulazione, nel senso che i proventi ricavati dagli utili e dividendi vanno ad accumularsi al valore delle quote (il cui taglio minimo è piuttosto elevato). Si chiamano chiusi perché: a) Il capitale può essere ritirato solo alla fine della vita del fondo (5-10 anni); b) Il fondo è mirato a finanziare le imprese di un determinato settore produttivo.

Società finanziarie

Hanno lo scopo di acquisire il controllo del pacchetto azionario di società quotate per amministrarne la gestione attingendo a fondi propri o a quelli del gruppo cui appartengono.

S.i.ca.v. (Società di intermediazione a capitale variabile)

Sono assai simili ai fondi comuni: raccolgono il risparmio presso il pubblico e lo impiegano sul mercato finanziario. Presentano però la particolarità che le risorse raccolte confluiscono nel loro capitale sociale. In pratica, i risparmiatori che aderiscono alle s.i.ca.v. sottoscrivono le azioni da queste emesse e ne diventano pertanto azionisti.