M R S. A S C H |
La
gente pensa che se insegni ai bambini lo fai come missione. Che se insegni ai
bambini tu li ami. La gente è stupida e convenzionale. Pensa quel che vuol
credere.
La
gente è malevola. Se sei una persona enormemente grassa e sorridi e ti mostri
gioviale per renderti bene accetta ai bambini e ai genitori non fai altro che
renderti più ridicola. Il tuo trucco vistoso è ridicolo. Le tue smorfie allegre
sono ridicole, come quelle di una scimmia vestita a festa.
La
gente è molesta. Pensa che se sei una persona mostruosamente grassa tu abbia
qualche problema e vada aiutata. Durante la mia adolescenza questo ritornello
era ripetuto all'infinito: Non sai che
vogliamo aiutarti? Puoi dirci cos'è che non va nella tua vita? Io guardavo
le loro graziose facce, le loro graziose bocche, i loro graziosi capelli, i
loro graziosi occhi e li odiavo. Guardavo al di là dello loro spalle la carta
del muro, senza battere ciglio, finché non rinunciavano e se ne andavano. Io
non avevo niente. Io ero a posto. Li sentivo bisbigliare con mio padre prima di
andarsene: Un vero peccato, speriamo che
si riprenda...
Li
lasciavo dire. Passavo ore vuote a guardare le linee bianche che non si
toccavano mai su quella carta da parati gialla. Correvano fin quasi a toccarsi,
ma poi erano separate di nuovo da tutto quel giallo che sembrava essudare dalla
parete come grasso rancido. I visitatori parlavano sottovoce a mio padre e ad
Eliza e se ne andavano.
Eliza,
la mia matrigna, l'usurpatrice di mia madre. La mia nemica.
La
gente pensa che una insegnante di asilo infantile sulla cinquantina
grottescamente obesa deve essere veramente affezionata ai loro figli, perché
non è possibile che abbia una vita privata. I genitori ti sono quasi grati che
tu sia così grottesca, perché ciò significa, secondo i loro insulsi cervelli,
che tieni ai loro figli. Dopotutto, sebbene evidentemente tu non sia riuscita a
trovare di meglio che quel lavoro,
tutti sanno che uno spazzino guadagnerebbe di più e faticherebbe meno, senza
correzione di compiti, preparazione di lezioni, valutazioni periodiche dei
superiori. Non hai certo scelto di prenderti cura dei loro adorabili figli per
diventare ricco, e quindi, pur con tutta la loro mistura di commiserazione e
disprezzo, ti mostrano – bontà loro – una piccola dose di gratitudine.
Oggi,
molti anni dopo la mia adolescenza, gli altri non sono più un problema per me.
Mi appaiono poco più che fantasmi, prodotti della mia immaginazione, ombre
della mia percezione. Solo, quando sono affettuosi e mi chiamano cara, non posso evitare che dentro di me
si scateni una tempesta di ghiaccio e fuoco che risale per la gola e rischia di
strozzarmi. Ma riesco a restare impassibile.
Con
i bambini uso i metodi che la mia matrigna usava per terrorizzarmi. Alcuni dei metodi che Eliza sperimentava
su di me. Prima che io sperimentassi i miei
su di lei.
Il
primo metodo entra in gioco quando un bambino diventa disobbediente o
disattento. Chiamo il piccolo discolo alla cattedra, da solo, e inizio a fissarlo finché non comincia ad agitarsi per
l'imbarazzo. Non di rado arrossisce o trema. Io attendo implacabile i segni di
vergogna o disagio... Poi pronuncio il nome del bambino Tori, dico solamente. I suoi occhi infantili sono calamitati dai
miei. Tu sai che ciò che hai fatto è sbagliato,
VERO?. Invariabilmente il bambino annuisce, come per riflesso. E non lo rifarai, VERO? Il bambino, a
questo punto, è incapace di parlare. E' questo il momento in cui mi chino su di
lui, e la mia faccia grottescamente grassa e rossa di collera incombe sul
malcapitato. ALTRIMENTI… gli dico in
un tono profondo e gutturale che lo terrorizza. So che la mia faccia si
trasforma. Il male che è in me tenta di uscire allo scoperto e la deforma come
una maligna zucca di Halloween. Il bambino lo vede. Lo percepisce.
Un
altro sistema lo adotto quando la classe sfugge al mio controllo. Talvolta la
mia mente vaga entro se stessa contemplando molte cose diverse. Eliza morta a
faccia in giù nel suo giardino. Mio padre curvo sul tavolo da cucina, attaccato
alla bottiglia di liquore. Le voci di mia madre e di Eliza. Nella mia mente ci
sono molti luoghi diversi. C'è un luogo dove urlano i miei angeli della
vendetta. C'è il luogo delle ceneri e della luce, dove giacciono seppellite
molte cose.
E'
a quel punto, mentre mi perdo nelle stanze della mia memoria, che i piccoli
discoli iniziano ad agire tutti insieme in modo insubordinato. Uno
tira i capelli alla compagna. Un altro
getta una pallina di carta alla lavagna. Un altro si getta a terra. La
mia reazione è immediata. Prima che le piccole bestiole se ne rendano conto ho
percorso come una furia la classe e raggiunto l'interruttore della luce. Giro
l'interruttore e la stanza piomba nell'oscurità. Sto immobile e faccio emergere
i miei angeli della vendetta. La mia sagoma sembra gonfiarsi in modo mostruoso
nella penombra, e la classe piomba nel silenzio, costellato da ansiti
terrorizzati. Qualcuno piange. Non devo fare niente. Non pronuncio che sei
parole: SAPETE COSA PUO' ACCADERE NEL
BUIO? Dopo un minuto interminabile riaccendo la luce e la classe da quel
momento smette di parlare.
Perché
loro sanno. Nel loro modo infantile e
profondo di intuire le cose, sanno cosa accade nel buio. Sanno cosa è realmente accaduto a Tori.
Tori
è – o dovrei meglio dire era – una bambina
adorabile, figlia di genitori che ogni persona definirebbe stupendi. Suo padre
è un giovane e brillante avvocato, Arnold Zoeller. I suoi capelli sono tagliati
con cura all'ultima moda. La sua bella giovane moglie, la madre di Tori, si
chiama Kathi, Kathi con una "i".
Kathi
e Arnold: ogni volta che li ricevevo, incastrata dietro la mia scrivania,
osservavo questi due attraenti giovani genitori tentare di cancellare dalle
loro facce ben curate il disprezzo e la pietà nei miei confronti. Poiché sono
individui che cercano di fare la cosa giusta, provavano, senza riuscirci, a
nascondere la commiserazione. Negli occhi di Arnold e Kathi potevo cogliere
anche una punta di gratitudine nei miei confronti. Dopotutto, una patetica
massa di carne come me doveva sicuramente amare la loro adorabile piccola Tori.
Tori con la "i".
Ma
prima di parlare di Tori devo fare un passo indietro. Molto, molto tempo fa c'è
stato un periodo incantato della mia vita. I miei genitori erano vivi e io ero
viva e felice con loro. Una ragazzina carina e snella nelle foto che sono state
distrutte. Il loro cognome era Asch, e io ora sono conosciuta come Mrs. Asch,
un titolo onorifico in verità, perché un Mr. Asch non è mai stato neanche
remotamente in vista. Poi la mamma adorata della ragazzina amata che ero morì
d'improvviso e mio padre la seppellì e la sostituì in fretta con Eliza.
Eliza
era una vedova, come mio padre. Una vedova molto bella, ma con un animo duro
come la selce e la mente di un predatore, che aveva fissato gli occhi su mio
padre.
La
convivenza fu subito difficile. La rivalità accesa. Un giorno mio padre chiese
alle sue due donne cosa avrebbero desiderato come regalo al ritorno dal suo
viaggio. "Un anello con diamante", disse prontamente Eliza. "Un
anello con diamante" replicai prontamente io. Mio padre mi guardò e rise.
"No", disse, "tu non puoi averlo". "Allora non avrò
niente" risposi. E non ebbi niente. Per colmare quel vuoto, la notte del
ritorno di mio padre, quando portò l'anello ad Eliza, andai in cucina e iniziai
a mangiare tutto quello che trovavo. Non ho più smesso di mangiare, per
riempire il vuoto che si era creato in me. Il cibo ingurgitato durante il resto
dell'adolescenza ha finito per deformare irreparabilmente il mio corpo, che è
diventato tozzo e informe come quello di un enorme dolmen. Mio padre assisteva dapprima con perplessità, poi con
costernazione, infine con disgusto a questa trasformazione.
Mia
madre, piantata come una scheggia tagliente dentro di me urlava contro Eliza.
Un'altra parte di me, un'altra scheggia tagliente, urlava contro mia madre per
il suo tradimento, il suo abbandono.
Queste voci rischiavano di frantumare la mia mente, di farla andare in pezzi.
Finché non scoprii il potere dell'azione creativa. Dell'azione che crea effetti
come onde violente che irradiano da colui che agisce.
Un
giorno, al ritorno da scuola, entrai nella mia camera, mi spogliai
completamente e riposi i miei abiti accuratamente piegati sul cuscino del
letto. Mi accovacciai sul pavimento ed espulsi un cilindro di feci pastose –
avevo mangiato di tutto mentre gli altri dormivano: un grosso filone di pane ai
cereali, un intero cartoccio di uva passa, un sacchetto di noccioline, mezzo
chilo di salsiccia e altro ancora. Presi quel materiale pastoso tra le mani e
per renderlo ancora più pastoso sfregai le mani una contro l'altra
ripetutamente. Poi mi cosparsi il corpo di feci e col resto decorai la stanza,
compreso il tappeto immacolato che giaceva ai piedi del mio letto. Poi feci la
cosa più audace e creativa: uscii nel giardino di fronte alla casa e rimasi
immobile, cosparsa di feci, sotto gli sguardi sconvolti dei passanti e dei
vicini.
Quel
giorno sperimentai una gioia pura, intensa e senza nome. La stessa gioia che
avrei sperimentato ogni volta che porto a termine un altro lavoro d'arte che
coinvolge la vita delle persone. La stessa gioia che provo alla conclusione
delle mie varie avventure artistiche. Come un artista, avevo creato delle
reazioni non riconducibili direttamente al contenuto dell'opera, ma che derivavano
dal contesto e dalle persone su cui l'opera agiva. Ma che non erano per questo
meno potenti. Come artista contemplavo affascinata gli effetti che la mia prima
opera generava.
Quel
giorno ebbi una ispirazione su come è possibile agire sulle vite altrui con il
proprio comportamento, come produrre effetti simili a quelli che un artista
produce sulla tela – solo che gli effetti in questo caso erano affascinanti e
imprevedibili, dipendevano dalla tela, cioè dalle vite che venivano investite
dalle mie azioni. Questo è ciò che ho continuato a fare. Che faccio ancora
oggi. Col tempo ho imparato ad essere più disciplinata, ad agire con metodo, a
procedere con cautela, per cambiare irreversibilmente le vite di chi mi sta
intorno. Ma nel mio intimo sono rimasta sempre la ragazzina avventurosa, la
ragazzina che si cosparge di feci e osserva affascinata gli effetti: le urla, i
pianti, le preghiere di mio padre, infine la separazione e il silenzio.
Fu
allora che arrivarono quelle che chiamavo le
sorellastre. Amiche di mio padre, assistenti sociali, vicine, psicologhe
che cercavano di parlarmi.
Le
sorellastre mi facevano domande. Sai che
vogliamo aiutarti? A questa domanda si aspettavano che rispondessi: sì, ho bisogno di aiuto. aiutatemi. Ma
non avrei mai detto loro questo. Tacqui, e le sorellastre se ne andarono.
Alla
fine Eliza si dichiarò vinta e abbandonò mio padre che non sapeva risolversi a
lasciarmi al mio destino. Mio padre iniziò a bere e a svanire, finché un giorno
non lo percepii più. Forse era morto, ma a tutt'oggi non ricordo come.
Eliza
era più resistente. Invecchiò e giunse anche per lei la solitudine, perché non
era più una avvenente vedova, che attirava gli uomini e le attenzioni.
Eliza
era solita dirmi con cattiveria che piangere sulla tomba di mia madre avrebbe
solo innaffiato e fatto marcire meglio il suo cadavere nel fango prodotto dalla
mie lacrime.
Mi
hanno detto che Eliza è stata trovata morta nel giardino dove estirpava le
erbacce, con la faccia in una pozza di fango dove doveva essere caduta per un
malore. Nei suoi ultimi momenti Eliza si è riempita le narici del fango di cui
parlava per irridere il mio dolore.
Da
tempo ho raggiunto un supremo equilibrio, che le persone ordinarie non possono
sperare di raggiungere. Ma occasionalmente il mio autocontrollo si incrina.
Ieri sono stata in un Grande Magazzino per riempire a casaccio la mia borsa di
libri per l'infanzia. Sono finita a gironzolare nel seminterrato dove si
vendeva carta da parati. Uno zelante e fastidioso commesso ha cominciato a
tampinarmi e alla fine ha iniziato a sfogliare sotto i miei occhi un quaderno
dei campioni di tappezzeria più brutti che avessi mai visto. Finché non si è
verificato quello che temevo. Ho visto la carta da parati gialla con righe
bianche identica a quella della mia camera di adolescente e all'istante ho
cominciato a mugolare come un animale ferito davanti al commesso atterrito e ho
vomitato violentemente tutto quello che avevo mangiato quel giorno – una
quantità inverosimile di cibo. Non riuscivo a smettere di guaire e vomitare.
Qualche volta mi capitano queste cose, ma non è necessario che alla scuola lo
sappiano. Sono stimata dai superiori perché mantengo ordine e disciplina nelle
mie classi.
Ho
lavorato come insegnante specializzata di scuola infantile in più di otto
stati. Il mio curriculum è impeccabile. Non ho mai lasciato una scuola se non
per mia decisione. Quando capitano tragedie a uno dei miei alunni,
invariabilmente invio note di solidarietà, mi unisco ai gruppi di volontari per
la ricerca dei corpi, partecipo ai funerali. Ogni insegnante ha familiarità con
questi sfortunati eventi.
Il
giorno dopo essermi cosparsa di feci fuggii da casa e a piedi nudi, sotto un
sole brillante, mi inoltrai per boschi e campi selvaggi. Voltando le spalle
alle coltivazioni, alle pasture delle pecore e delle vacche, oltre i filari
regolari dei frutteti, verso le colline boscose piene di coyotes, gatti
selvatici e leoni di montagna. Arrivai in cima ad una altissima collina,
coronata da un immensa quercia, che si ergeva sotto un cielo luminoso. Tutto
era cielo e luce. E cenere. L'erba del prato era stata lasciata seccare e poi
incendiata. I miei piedi affondavano nella cenere grassa che striava di nero le
mie caviglie e le mie gambe nude.
Mi
ero persa. Sotto di me, oltre la collina, giaceva un reticolo di strade e
colline che conducevano a città sconosciute, alle avventure che avrei avuto, ai
luoghi che avrei visitato. Sentii che la mia vita non era finita, ma anzi si
apriva da quel momento all'inatteso, alla sorpresa. Lì in alto, su quella
sommità, sentii di essere arrivata a destinazione. Immobile, contemplai la mia
mente. Percepii due luoghi distinti e completamente diversi.
Il
luogo della calma e del riposo, delle ceneri e della luce, necessario per
ridare al mio spirito equilibrio. Il luogo dove avrei seppellito le cose che
volevo rimuovere. In quel luogo c'era silenzio, isolamento.
E
il luogo delle furie, degli angeli vendicatori, dell'odio e del disprezzo per
gli altri che mi irridono e non possono capire il sublime equilibrio che ha
raggiunto la mia mente. Il luogo del delirio di potere, di rabbia, di azione.
Gli angeli vendicatori portano doni, nuove esperienze, nuove consapevolezze,
nuove cose per il luogo delle ceneri e della luce.
Avrei
fatto conoscere il luogo di cenere e di luce ad altre persone, a persone che,
come tutti correvano in giro instancabili e si agitavano per futili obiettivi,
pungolati dal loro ego senza capire che ciò che mancava loro era la pace
dell'annichilazione.
Nelle
ultime ventiquattro ore è sparita una bambina. Una bambina giace sepolta
profondamente nel luogo delle ceneri e della luce, le sue mani e i suoi piedi
mutilati, la sua faccia distrutta dal fuoco. E' entrata a far parte del luogo
delle ceneri e della luce. E' entrata a far parte della grande avventura che è
la mia vita.
La
sua foto è apparsa per giorni sulla prima pagina del nostro giornale
scolastico. Sotto quella foto, da dove una bellissima bambina guarda il lettore
con beata inconsapevolezza, le colonne del giornale hanno descritto la sua
scomparsa un venerdì pomeriggio, al termine delle lezioni, il panico crescente
dei genitori, la ricerca frenetica presso i vicini centri commerciali, il
sequesto da parte della polizia dei video di sorveglianza delle stazioni dei bus
e della subway, il dragaggio di due stagni vicini, la lenta, laboriosa
ispezione dei boschi, campi, fattorie e edifici della campagna, lo shock dei
nonni, persone molto ricche e influenti.
Una
bambina è andata perduta. Una combinazione di capelli biondi e di occhi blu
come un cielo estivo, un imbronciato labbro superiore e un ricorrente sbaffo di
cibo sulla bocca, una fragile arroganza, tratti che con la crescita si
sarebbero fatti affascinanti e attraenti, ma che ormai sono stati cancellati.
Una
bambina – lo riporto per dovere di cronaca perché i giornali lo hanno taciuto –
ossessionata dal gioco con Barbie, con la casa di Barbie e con gli amici di
Barbie. Appassionata delle piccole star televisive della serie "ragazzine
e ponies", con i loro amici ricchi e le loro case da ricchi. Una bambina
insistente nel commentare in classe i cartoni animati dei Simpson. Una bambina
perennemente collegata al canale MTV dove assorbiva la sua megadose
giornaliera di video dei Kriss Kross,
Boyz II Men, StarGliders. Una bambina che era stata vista flirtare con James
Redmond, un ragazzino di due classi superiore e che aveva avuto il coraggio di
dire a Deborah Monk, una proto-sadica sciatta e impopolare, "spiacente di
dirtelo, ma sei un cesso". Tori era dolce, ma già consapevole di essere
figlia di genitori ricchi e influenti, e l'arroganza covava sotto le apparenze
della bambina modello.
E'
sparita una bambina con certe difficoltà di apprendimento, che gli educatori
avrebbero dovuto già notare. Non era mai riuscita ad allacciarsi le scarpe, e
alla fine i genitori le avevano comperato quelle con le strip in velcro. Quando
si passava la mano tra i capelli invariabilmente mancava una zona arruffata
sopra il suo orecchio sinistro. Le sue abilità di lettura erano al disotto della
media, sebbene non del tutto compromesse. Riusciva a riconoscere con
soddisfazione narcisistica il suo nome quando scritto molto grande in lettere
maiuscole separate, mentre tutte le altre parole le entravano in testa senza
ordine. Era in grado di recitare d'un fiato l'alfabeto ma non sapeva dire se la
"O" venisse prima o dopo la "P". Dubito che avrebbe potuto
acquisire l'abilità si svolgere operazioni complesse e ordinate come lunghe
divisioni.
E'
sparita una bambina che talvolta aveva una espressione vacua e distante, ma
probabilmente non erano pensieri lontani e profondi o momenti assenza, solo la
transizione dalle immagini di Barbie a Malibu a quelle dei Kriss Kross.
La
bambina sta bene, ora. E' stata rimossa dal mondo caotico e pensante, dal mondo
dell'impermanenza e della sofferenza, e consegnata a quello silenzioso e privo
di pensiero delle ceneri e della luce. Ma un messaggio rassicurante in tal
senso non può essere inviato, ahimé, ai genitori, perché sarebbe frainteso
dalle persone miopi e considerato come una richiesta di riscatto. Ci sarebbero
nuove indagini e nuove ricerche.
I
genitori, sempre più disperati, col tempo rifaranno una nuova replica di Tori.
Ma non sarà Tori. Tori è andata per sempre nel luogo delle ceneri e della luce.
I
giornali hanno scritto che i bambini della classe della bimba scomparsa hanno
avuto terribili incubi e ricorrenti enuresi. Che mostrano paura, grande
stanchezza, una mancanza di reazioni tipica degli anziani. Che la loro vivacità
si è come spenta.
Ad
una riunione della scuola dove i bambini sedevano allineati sulle piccole
sedie, tutti hanno espresso il desiderio che la bambina perduta ritorni.
Lettere e cartoline alla bimba perduta ora formano due grossi mucchi
nell'ufficio del direttore, e grazie agli incessanti appelli ai rapitori
diramati per radio e TV, sono sicura che si aggiungerà un terzo mucchio, quello
dei testimoni inattendibili e dei mitomani.
Le
opere artistiche come la mia generano una vasta gamma di risposte, indipendenti
dall'opera compiuta, che vivono di vita propria: impotenza, sofferenza,
tristezza, lutto convivono con
aggressività, ostilità, rabbia e
persino con serenità e sollievo. Quanto più profonda, sottile e geniale è
l'opera compiuta, tanto più intensi e durevoli ne sono gli effetti.
Quella
prima volta sono rimasta immobile ai piedi dell'albero di quercia, nel luogo
delle ceneri e della luce, delle strade che si dipanano verso città ignote e
lontane. Le mie due madri, la regina e l'usurpatrice, mi hanno parlato. La
madre sepolta nella tomba umida ha consolato le mie lacrime: Tutto passa. Tutto cambia. Tutto sarà tuo.
L'altra madre, pure essa profondamente sepolta nel fango che l'aveva uccisa, ha
taciuto.
I
miei vecchi alunni vengono nelle mie scuole a testimoniare ai miei intimoriti
bambini che l'incontro con Mrs Asch ha cambiato le loro vite. Che le lezioni di
Mrs Asch non sono state mai dimenticate. Che da allora, dalla scuola
dell'obbligo all'università, al mondo del lavoro, grazie alle lezioni di Mrs.
Asch, essi hanno perseguito i loro obiettivi con la determinazione proveniente
dalla consapevolezza che niente ci è
dovuto, che tutto ci può essere portato via d'improvviso, che il buio esisterà
sempre e non bisogna mai abbassare la guardia e darsi da fare. Questi sono
gli effetti che i miei atti creativi producono sulle vite altrui.
Oggi
ho rassegnato le dimissioni a Mr. Phillips, il giovane zelante e preoccupato
burocrate che dirige la scuola. Mr. Phillips è un gran lavoratore, una persona
limitata ma ammodo, che ha assorbito, come tutta la sua generazione, i valori di amore, solidarietà e amicizia
dalle canzoni popolari degli anni '80 che strimpellava sulla chitarra che il
padre gli aveva probabilmente acquistato ai magazzini Holton. Il povero Mr.
Phillips ha sempre cercato di nascondere, rimproverandosene, il disagio
inquietante che la mia presenza gli creava. Leggevo sul suo volto i sentimenti
confliggenti che la mia lettera di dimissioni creava nel suo limitato cervello.
Naturalmente si è fatto un dovere di chiedermi: Va tutto bene, Mrs. Asch?.
Se per "tutto bene" lei intende
uno stato di ragionevole salute fisica, stabilità mentale, soddisfazione del
proprio lavoro, allora la risposta è sì, va tutto bene, ho replicato,
lapidaria.
Mr.
Phillips non ha insistito oltre sul punto. E' passato a congratularsi con me
per il meraviglioso lavoro di supporto alla famiglia di Tori e agli altri bimbi
nel terribile periodo che ha seguito la sparizione, e mi ha chiesto se tutto
questo ha avuto a che fare con la mia decisione di lasciare la scuola. Le mie decisioni si originano in qualche
modo da se stesse ho risposto.
Mr.
Phillips non ha indagato oltre. Mi ha assicurato che avrò al più presto
un'ottima lettera di referenze per il mio prossimo datore di lavoro.
Da
parte mia, ho scritto una relazione riservata al consiglio scolastico della Saint-James School in cui metto in
inequivocabile evidenza come la sparizione di Tori avrebbe potuto essere
evitata con una migliore organizzazione della vigilanza da parte del suddetto
Mr. Phillips e che la tragedia che si è abbattuta sugli Zoeller ha
irreversibilmente minato l'atmosfera della scuola. Prevedo, ho scritto, che
altri insegnanti e molti bambini con i loro genitori abbandoneranno la Saint James nei prossimi mesi, con seri
effetti sul budget dell'istituto.
Sono
dispiaciuta del fatto che probabilmente Mr. Phillips perderà il suo impiego in
modo molto sgradevole entro la fine
dell'anno e che altrettanto probabilmente non riuscirà a trovarne uno nuovo nel
campo dell'istruzione, ma d'altronde era suo dovere vigilare sui pericoli che
incombono ogni giorno sui bambini. Perché nessuno di noi è al riparo dal buio.
L'anello
di Tori è ora incastrato nel fondo del cassetto di Mr. Phillips. Che lo trovi
per primo lui, o qualcun altro, è quello che io considero un esempio degli
effetti imponderabili che l'opera dell'artista lascia dietro di sé, anche a
distanza di anni.
Uscita
dal colloquio, nel sole radioso del mattino, mi sono infilata a fatica dietro
il volante dell'auto e mi sono immessa sulla grande superstrada a sei corsie,
diretta verso un altro stato, possibilmente molto distante da questo. Verso una
nuova scuola, dove incontrerò un'altra alunna come Tori. Un'alunna che mia
madre avrebbe amato e della cui sparizione avrebbe sofferto come io ho sofferto
della sua.
Ma
basta parlare. Ho fame, ed è ora di fare la prima sosta sulla mia nuova strada.