M R S.   A S C H


back to HomePage

 

 

 

 

 

 

 

            La gente pensa che se insegni ai bambini lo fai come missione. Che se insegni ai bambini tu li ami. La gente è stupida e convenzionale. Pensa quel che vuol credere.

            La gente è malevola. Se sei una persona enormemente grassa e sorridi e ti mostri gioviale per renderti bene accetta ai bambini e ai genitori non fai altro che renderti più ridicola. Il tuo trucco vistoso è ridicolo. Le tue smorfie allegre sono ridicole, come quelle di una scimmia vestita a festa.

            La gente è molesta. Pensa che se sei una persona mostruosamente grassa tu abbia qualche problema e vada aiutata. Durante la mia adolescenza questo ritornello era ripetuto all'infinito: Non sai che vogliamo aiutarti? Puoi dirci cos'è che non va nella tua vita? Io guardavo le loro graziose facce, le loro graziose bocche, i loro graziosi capelli, i loro graziosi occhi e li odiavo. Guardavo al di là dello loro spalle la carta del muro, senza battere ciglio, finché non rinunciavano e se ne andavano. Io non avevo niente. Io ero a posto. Li sentivo bisbigliare con mio padre prima di andarsene: Un vero peccato, speriamo che si riprenda...

            Li lasciavo dire. Passavo ore vuote a guardare le linee bianche che non si toccavano mai su quella carta da parati gialla. Correvano fin quasi a toccarsi, ma poi erano separate di nuovo da tutto quel giallo che sembrava essudare dalla parete come grasso rancido. I visitatori parlavano sottovoce a mio padre e ad Eliza e se ne andavano.

            Eliza, la mia matrigna, l'usurpatrice di mia madre. La mia nemica.

            La gente pensa che una insegnante di asilo infantile sulla cinquantina grottescamente obesa deve essere veramente affezionata ai loro figli, perché non è possibile che abbia una vita privata. I genitori ti sono quasi grati che tu sia così grottesca, perché ciò significa, secondo i loro insulsi cervelli, che tieni ai loro figli. Dopotutto, sebbene evidentemente tu non sia riuscita a trovare di meglio che quel lavoro, tutti sanno che uno spazzino guadagnerebbe di più e faticherebbe meno, senza correzione di compiti, preparazione di lezioni, valutazioni periodiche dei superiori. Non hai certo scelto di prenderti cura dei loro adorabili figli per diventare ricco, e quindi, pur con tutta la loro mistura di commiserazione e disprezzo, ti mostrano – bontà loro – una piccola dose di gratitudine.

            Oggi, molti anni dopo la mia adolescenza, gli altri non sono più un problema per me. Mi appaiono poco più che fantasmi, prodotti della mia immaginazione, ombre della mia percezione. Solo, quando sono affettuosi e mi chiamano cara, non posso evitare che dentro di me si scateni una tempesta di ghiaccio e fuoco che risale per la gola e rischia di strozzarmi. Ma riesco a restare impassibile.

            Con i bambini uso i metodi che la mia matrigna usava per terrorizzarmi. Alcuni dei metodi che Eliza sperimentava su di me. Prima che io sperimentassi i miei su di lei.

            Il primo metodo entra in gioco quando un bambino diventa disobbediente o disattento. Chiamo il piccolo discolo alla cattedra, da solo, e inizio a fissarlo finché non comincia ad agitarsi per l'imbarazzo. Non di rado arrossisce o trema. Io attendo implacabile i segni di vergogna o disagio... Poi pronuncio il nome del bambino Tori, dico solamente. I suoi occhi infantili sono calamitati dai miei. Tu sai che ciò che hai fatto è sbagliato, VERO?. Invariabilmente il bambino annuisce, come per riflesso. E non lo rifarai, VERO? Il bambino, a questo punto, è incapace di parlare. E' questo il momento in cui mi chino su di lui, e la mia faccia grottescamente grassa e rossa di collera incombe sul malcapitato. ALTRIMENTI… gli dico in un tono profondo e gutturale che lo terrorizza. So che la mia faccia si trasforma. Il male che è in me tenta di uscire allo scoperto e la deforma come una maligna zucca di Halloween. Il bambino lo vede. Lo percepisce.

            Un altro sistema lo adotto quando la classe sfugge al mio controllo. Talvolta la mia mente vaga entro se stessa contemplando molte cose diverse. Eliza morta a faccia in giù nel suo giardino. Mio padre curvo sul tavolo da cucina, attaccato alla bottiglia di liquore. Le voci di mia madre e di Eliza. Nella mia mente ci sono molti luoghi diversi. C'è un luogo dove urlano i miei angeli della vendetta. C'è il luogo delle ceneri e della luce, dove giacciono seppellite molte cose.

            E' a quel punto, mentre mi perdo nelle stanze della mia memoria, che i piccoli discoli iniziano ad agire tutti insieme in modo insubordinato.  Uno  tira i capelli alla compagna. Un altro  getta una pallina di carta alla lavagna. Un altro si getta a terra. La mia reazione è immediata. Prima che le piccole bestiole se ne rendano conto ho percorso come una furia la classe e raggiunto l'interruttore della luce. Giro l'interruttore e la stanza piomba nell'oscurità. Sto immobile e faccio emergere i miei angeli della vendetta. La mia sagoma sembra gonfiarsi in modo mostruoso nella penombra, e la classe piomba nel silenzio, costellato da ansiti terrorizzati. Qualcuno piange. Non devo fare niente. Non pronuncio che sei parole: SAPETE COSA PUO' ACCADERE NEL BUIO? Dopo un minuto interminabile riaccendo la luce e la classe da quel momento smette di parlare.

            Perché loro sanno. Nel loro modo infantile e profondo di intuire le cose, sanno cosa accade nel buio. Sanno cosa è realmente accaduto a Tori.

            Tori è – o dovrei meglio dire era – una bambina adorabile, figlia di genitori che ogni persona definirebbe stupendi. Suo padre è un giovane e brillante avvocato, Arnold Zoeller. I suoi capelli sono tagliati con cura all'ultima moda. La sua bella giovane moglie, la madre di Tori, si chiama Kathi, Kathi con una "i".

            Kathi e Arnold: ogni volta che li ricevevo, incastrata dietro la mia scrivania, osservavo questi due attraenti giovani genitori tentare di cancellare dalle loro facce ben curate il disprezzo e la pietà nei miei confronti. Poiché sono individui che cercano di fare la cosa giusta, provavano, senza riuscirci, a nascondere la commiserazione. Negli occhi di Arnold e Kathi potevo cogliere anche una punta di gratitudine nei miei confronti. Dopotutto, una patetica massa di carne come me doveva sicuramente amare la loro adorabile piccola Tori. Tori con la "i".

            Ma prima di parlare di Tori devo fare un passo indietro. Molto, molto tempo fa c'è stato un periodo incantato della mia vita. I miei genitori erano vivi e io ero viva e felice con loro. Una ragazzina carina e snella nelle foto che sono state distrutte. Il loro cognome era Asch, e io ora sono conosciuta come Mrs. Asch, un titolo onorifico in verità, perché un Mr. Asch non è mai stato neanche remotamente in vista. Poi la mamma adorata della ragazzina amata che ero morì d'improvviso e mio padre la seppellì e la sostituì in fretta con Eliza.

            Eliza era una vedova, come mio padre. Una vedova molto bella, ma con un animo duro come la selce e la mente di un predatore, che aveva fissato gli occhi su mio padre.

            La convivenza fu subito difficile. La rivalità accesa. Un giorno mio padre chiese alle sue due donne cosa avrebbero desiderato come regalo al ritorno dal suo viaggio. "Un anello con diamante", disse prontamente Eliza. "Un anello con diamante" replicai prontamente io. Mio padre mi guardò e rise. "No", disse, "tu non puoi averlo". "Allora non avrò niente" risposi. E non ebbi niente. Per colmare quel vuoto, la notte del ritorno di mio padre, quando portò l'anello ad Eliza, andai in cucina e iniziai a mangiare tutto quello che trovavo. Non ho più smesso di mangiare, per riempire il vuoto che si era creato in me. Il cibo ingurgitato durante il resto dell'adolescenza ha finito per deformare irreparabilmente il mio corpo, che è diventato tozzo e informe come quello di un enorme dolmen. Mio padre assisteva dapprima con perplessità, poi con costernazione, infine con disgusto a questa trasformazione.

            Mia madre, piantata come una scheggia tagliente dentro di me urlava contro Eliza. Un'altra parte di me, un'altra scheggia tagliente, urlava contro mia madre per il  suo tradimento, il suo abbandono. Queste voci rischiavano di frantumare la mia mente, di farla andare in pezzi. Finché non scoprii il potere dell'azione creativa. Dell'azione che crea effetti come onde violente che irradiano da colui che agisce.

            Un giorno, al ritorno da scuola, entrai nella mia camera, mi spogliai completamente e riposi i miei abiti accuratamente piegati sul cuscino del letto. Mi accovacciai sul pavimento ed espulsi un cilindro di feci pastose – avevo mangiato di tutto mentre gli altri dormivano: un grosso filone di pane ai cereali, un intero cartoccio di uva passa, un sacchetto di noccioline, mezzo chilo di salsiccia e altro ancora. Presi quel materiale pastoso tra le mani e per renderlo ancora più pastoso sfregai le mani una contro l'altra ripetutamente. Poi mi cosparsi il corpo di feci e col resto decorai la stanza, compreso il tappeto immacolato che giaceva ai piedi del mio letto. Poi feci la cosa più audace e creativa: uscii nel giardino di fronte alla casa e rimasi immobile, cosparsa di feci, sotto gli sguardi sconvolti dei passanti e dei vicini.

            Quel giorno sperimentai una gioia pura, intensa e senza nome. La stessa gioia che avrei sperimentato ogni volta che porto a termine un altro lavoro d'arte che coinvolge la vita delle persone. La stessa gioia che provo alla conclusione delle mie varie avventure artistiche. Come un artista, avevo creato delle reazioni non riconducibili direttamente al contenuto dell'opera, ma che derivavano dal contesto e dalle persone su cui l'opera agiva. Ma che non erano per questo meno potenti. Come artista contemplavo affascinata gli effetti che la mia prima opera generava.

            Quel giorno ebbi una ispirazione su come è possibile agire sulle vite altrui con il proprio comportamento, come produrre effetti simili a quelli che un artista produce sulla tela – solo che gli effetti in questo caso erano affascinanti e imprevedibili, dipendevano dalla tela, cioè dalle vite che venivano investite dalle mie azioni. Questo è ciò che ho continuato a fare. Che faccio ancora oggi. Col tempo ho imparato ad essere più disciplinata, ad agire con metodo, a procedere con cautela, per cambiare irreversibilmente le vite di chi mi sta intorno. Ma nel mio intimo sono rimasta sempre la ragazzina avventurosa, la ragazzina che si cosparge di feci e osserva affascinata gli effetti: le urla, i pianti, le preghiere di mio padre, infine la separazione e il silenzio.

            Fu allora che arrivarono quelle che chiamavo le sorellastre. Amiche di mio padre, assistenti sociali, vicine, psicologhe che cercavano di parlarmi.

            Le sorellastre mi facevano domande. Sai che vogliamo aiutarti? A questa domanda si aspettavano che rispondessi: sì, ho bisogno di aiuto. aiutatemi. Ma non avrei mai detto loro questo. Tacqui, e le sorellastre se ne andarono.

            Alla fine Eliza si dichiarò vinta e abbandonò mio padre che non sapeva risolversi a lasciarmi al mio destino. Mio padre iniziò a bere e a svanire, finché un giorno non lo percepii più. Forse era morto, ma a tutt'oggi non ricordo come.

            Eliza era più resistente. Invecchiò e giunse anche per lei la solitudine, perché non era più una avvenente vedova, che attirava gli uomini e le attenzioni.

            Eliza era solita dirmi con cattiveria che piangere sulla tomba di mia madre avrebbe solo innaffiato e fatto marcire meglio il suo cadavere nel fango prodotto dalla mie lacrime.

            Mi hanno detto che Eliza è stata trovata morta nel giardino dove estirpava le erbacce, con la faccia in una pozza di fango dove doveva essere caduta per un malore. Nei suoi ultimi momenti Eliza si è riempita le narici del fango di cui parlava per irridere il mio dolore.

            Da tempo ho raggiunto un supremo equilibrio, che le persone ordinarie non possono sperare di raggiungere. Ma occasionalmente il mio autocontrollo si incrina. Ieri sono stata in un Grande Magazzino per riempire a casaccio la mia borsa di libri per l'infanzia. Sono finita a gironzolare nel seminterrato dove si vendeva carta da parati. Uno zelante e fastidioso commesso ha cominciato a tampinarmi e alla fine ha iniziato a sfogliare sotto i miei occhi un quaderno dei campioni di tappezzeria più brutti che avessi mai visto. Finché non si è verificato quello che temevo. Ho visto la carta da parati gialla con righe bianche identica a quella della mia camera di adolescente e all'istante ho cominciato a mugolare come un animale ferito davanti al commesso atterrito e ho vomitato violentemente tutto quello che avevo mangiato quel giorno – una quantità inverosimile di cibo. Non riuscivo a smettere di guaire e vomitare. Qualche volta mi capitano queste cose, ma non è necessario che alla scuola lo sappiano. Sono stimata dai superiori perché mantengo ordine e disciplina nelle mie classi.

            Ho lavorato come insegnante specializzata di scuola infantile in più di otto stati. Il mio curriculum è impeccabile. Non ho mai lasciato una scuola se non per mia decisione. Quando capitano tragedie a uno dei miei alunni, invariabilmente invio note di solidarietà, mi unisco ai gruppi di volontari per la ricerca dei corpi, partecipo ai funerali. Ogni insegnante ha familiarità con questi sfortunati eventi.

            Il giorno dopo essermi cosparsa di feci fuggii da casa e a piedi nudi, sotto un sole brillante, mi inoltrai per boschi e campi selvaggi. Voltando le spalle alle coltivazioni, alle pasture delle pecore e delle vacche, oltre i filari regolari dei frutteti, verso le colline boscose piene di coyotes, gatti selvatici e leoni di montagna. Arrivai in cima ad una altissima collina, coronata da un immensa quercia, che si ergeva sotto un cielo luminoso. Tutto era cielo e luce. E cenere. L'erba del prato era stata lasciata seccare e poi incendiata. I miei piedi affondavano nella cenere grassa che striava di nero le mie caviglie e le mie gambe nude.

            Mi ero persa. Sotto di me, oltre la collina, giaceva un reticolo di strade e colline che conducevano a città sconosciute, alle avventure che avrei avuto, ai luoghi che avrei visitato. Sentii che la mia vita non era finita, ma anzi si apriva da quel momento all'inatteso, alla sorpresa. Lì in alto, su quella sommità, sentii di essere arrivata a destinazione. Immobile, contemplai la mia mente. Percepii due luoghi distinti e completamente diversi.

            Il luogo della calma e del riposo, delle ceneri e della luce, necessario per ridare al mio spirito equilibrio. Il luogo dove avrei seppellito le cose che volevo rimuovere. In quel luogo c'era silenzio, isolamento.

            E il luogo delle furie, degli angeli vendicatori, dell'odio e del disprezzo per gli altri che mi irridono e non possono capire il sublime equilibrio che ha raggiunto la mia mente. Il luogo del delirio di potere, di rabbia, di azione. Gli angeli vendicatori portano doni, nuove esperienze, nuove consapevolezze, nuove cose per il luogo delle ceneri e della luce.

            Avrei fatto conoscere il luogo di cenere e di luce ad altre persone, a persone che, come tutti correvano in giro instancabili e si agitavano per futili obiettivi, pungolati dal loro ego senza capire che ciò che mancava loro era la pace dell'annichilazione.

            Nelle ultime ventiquattro ore è sparita una bambina. Una bambina giace sepolta profondamente nel luogo delle ceneri e della luce, le sue mani e i suoi piedi mutilati, la sua faccia distrutta dal fuoco. E' entrata a far parte del luogo delle ceneri e della luce. E' entrata a far parte della grande avventura che è la mia vita.

            La sua foto è apparsa per giorni sulla prima pagina del nostro giornale scolastico. Sotto quella foto, da dove una bellissima bambina guarda il lettore con beata inconsapevolezza, le colonne del giornale hanno descritto la sua scomparsa un venerdì pomeriggio, al termine delle lezioni, il panico crescente dei genitori, la ricerca frenetica presso i vicini centri commerciali, il sequesto da parte della polizia dei video di sorveglianza delle stazioni dei bus e della subway, il dragaggio di due stagni vicini, la lenta, laboriosa ispezione dei boschi, campi, fattorie e edifici della campagna, lo shock dei nonni, persone molto ricche e influenti.

            Una bambina è andata perduta. Una combinazione di capelli biondi e di occhi blu come un cielo estivo, un imbronciato labbro superiore e un ricorrente sbaffo di cibo sulla bocca, una fragile arroganza, tratti che con la crescita si sarebbero fatti affascinanti e attraenti, ma che ormai sono stati cancellati.

            Una bambina – lo riporto per dovere di cronaca perché i giornali lo hanno taciuto – ossessionata dal gioco con Barbie, con la casa di Barbie e con gli amici di Barbie. Appassionata delle piccole star televisive della serie "ragazzine e ponies", con i loro amici ricchi e le loro case da ricchi. Una bambina insistente nel commentare in classe i cartoni animati dei Simpson. Una bambina perennemente collegata al canale MTV dove assorbiva la sua megadose giornaliera  di video dei Kriss Kross, Boyz II Men, StarGliders. Una bambina che era stata vista flirtare con James Redmond, un ragazzino di due classi superiore e che aveva avuto il coraggio di dire a Deborah Monk, una proto-sadica sciatta e impopolare, "spiacente di dirtelo, ma sei un cesso". Tori era dolce, ma già consapevole di essere figlia di genitori ricchi e influenti, e l'arroganza covava sotto le apparenze della bambina modello.

            E' sparita una bambina con certe difficoltà di apprendimento, che gli educatori avrebbero dovuto già notare. Non era mai riuscita ad allacciarsi le scarpe, e alla fine i genitori le avevano comperato quelle con le strip in velcro. Quando si passava la mano tra i capelli invariabilmente mancava una zona arruffata sopra il suo orecchio sinistro. Le sue abilità di lettura erano al disotto della media, sebbene non del tutto compromesse. Riusciva a riconoscere con soddisfazione narcisistica il suo nome quando scritto molto grande in lettere maiuscole separate, mentre tutte le altre parole le entravano in testa senza ordine. Era in grado di recitare d'un fiato l'alfabeto ma non sapeva dire se la "O" venisse prima o dopo la "P". Dubito che avrebbe potuto acquisire l'abilità si svolgere operazioni complesse e ordinate come lunghe divisioni.

            E' sparita una bambina che talvolta aveva una espressione vacua e distante, ma probabilmente non erano pensieri lontani e profondi o momenti assenza, solo la transizione dalle immagini di Barbie a Malibu a quelle dei Kriss Kross.

            La bambina sta bene, ora. E' stata rimossa dal mondo caotico e pensante, dal mondo dell'impermanenza e della sofferenza, e consegnata a quello silenzioso e privo di pensiero delle ceneri e della luce. Ma un messaggio rassicurante in tal senso non può essere inviato, ahimé, ai genitori, perché sarebbe frainteso dalle persone miopi e considerato come una richiesta di riscatto. Ci sarebbero nuove indagini e nuove ricerche.

            I genitori, sempre più disperati, col tempo rifaranno una nuova replica di Tori. Ma non sarà Tori. Tori è andata per sempre nel luogo delle ceneri e della luce.

            I giornali hanno scritto che i bambini della classe della bimba scomparsa hanno avuto terribili incubi e ricorrenti enuresi. Che mostrano paura, grande stanchezza, una mancanza di reazioni tipica degli anziani. Che la loro vivacità si è come spenta.

            Ad una riunione della scuola dove i bambini sedevano allineati sulle piccole sedie, tutti hanno espresso il desiderio che la bambina perduta ritorni. Lettere e cartoline alla bimba perduta ora formano due grossi mucchi nell'ufficio del direttore, e grazie agli incessanti appelli ai rapitori diramati per radio e TV, sono sicura che si aggiungerà un terzo mucchio, quello dei testimoni inattendibili e dei mitomani.

            Le opere artistiche come la mia generano una vasta gamma di risposte, indipendenti dall'opera compiuta, che vivono di vita propria: impotenza, sofferenza, tristezza, lutto convivono con  aggressività, ostilità, rabbia  e persino con serenità e sollievo. Quanto più profonda, sottile e geniale è l'opera compiuta, tanto più intensi e durevoli ne sono gli effetti.

            Quella prima volta sono rimasta immobile ai piedi dell'albero di quercia, nel luogo delle ceneri e della luce, delle strade che si dipanano verso città ignote e lontane. Le mie due madri, la regina e l'usurpatrice, mi hanno parlato. La madre sepolta nella tomba umida ha consolato le mie lacrime: Tutto passa. Tutto cambia. Tutto sarà tuo. L'altra madre, pure essa profondamente sepolta nel fango che l'aveva uccisa, ha taciuto.

            I miei vecchi alunni vengono nelle mie scuole a testimoniare ai miei intimoriti bambini che l'incontro con Mrs Asch ha cambiato le loro vite. Che le lezioni di Mrs Asch non sono state mai dimenticate. Che da allora, dalla scuola dell'obbligo all'università, al mondo del lavoro, grazie alle lezioni di Mrs. Asch, essi hanno perseguito i loro obiettivi con la determinazione proveniente dalla consapevolezza che niente ci è dovuto, che tutto ci può essere portato via d'improvviso, che il buio esisterà sempre e non bisogna mai abbassare la guardia e darsi da fare. Questi sono gli effetti che i miei atti creativi producono sulle vite altrui.

            Oggi ho rassegnato le dimissioni a Mr. Phillips, il giovane zelante e preoccupato burocrate che dirige la scuola. Mr. Phillips è un gran lavoratore, una persona limitata ma ammodo, che ha assorbito, come tutta la sua generazione,  i valori di amore, solidarietà e amicizia dalle canzoni popolari degli anni '80 che strimpellava sulla chitarra che il padre gli aveva probabilmente acquistato ai magazzini Holton. Il povero Mr. Phillips ha sempre cercato di nascondere, rimproverandosene, il disagio inquietante che la mia presenza gli creava. Leggevo sul suo volto i sentimenti confliggenti che la mia lettera di dimissioni creava nel suo limitato cervello. Naturalmente si è fatto un dovere di chiedermi: Va tutto bene, Mrs. Asch?.

            Se per "tutto bene" lei intende uno stato di ragionevole salute fisica, stabilità mentale, soddisfazione del proprio lavoro, allora la risposta è sì, va tutto bene, ho replicato, lapidaria.

            Mr. Phillips non ha insistito oltre sul punto. E' passato a congratularsi con me per il meraviglioso lavoro di supporto alla famiglia di Tori e agli altri bimbi nel terribile periodo che ha seguito la sparizione, e mi ha chiesto se tutto questo ha avuto a che fare con la mia decisione di lasciare la scuola. Le mie decisioni si originano in qualche modo da se stesse ho risposto.

            Mr. Phillips non ha indagato oltre. Mi ha assicurato che avrò al più presto un'ottima lettera di referenze per il mio prossimo datore di lavoro.

            Da parte mia, ho scritto una relazione riservata al consiglio scolastico della Saint-James School in cui metto in inequivocabile evidenza come la sparizione di Tori avrebbe potuto essere evitata con una migliore organizzazione della vigilanza da parte del suddetto Mr. Phillips e che la tragedia che si è abbattuta sugli Zoeller ha irreversibilmente minato l'atmosfera della scuola. Prevedo, ho scritto, che altri insegnanti e molti bambini con i loro genitori abbandoneranno la Saint James nei prossimi mesi, con seri effetti sul budget dell'istituto.

            Sono dispiaciuta del fatto che probabilmente Mr. Phillips perderà il suo impiego in modo molto sgradevole entro la fine dell'anno e che altrettanto probabilmente non riuscirà a trovarne uno nuovo nel campo dell'istruzione, ma d'altronde era suo dovere vigilare sui pericoli che incombono ogni giorno sui bambini. Perché nessuno di noi è al riparo dal buio.

            L'anello di Tori è ora incastrato nel fondo del cassetto di Mr. Phillips. Che lo trovi per primo lui, o qualcun altro, è quello che io considero un esempio degli effetti imponderabili che l'opera dell'artista lascia dietro di sé, anche a distanza di anni.

            Uscita dal colloquio, nel sole radioso del mattino, mi sono infilata a fatica dietro il volante dell'auto e mi sono immessa sulla grande superstrada a sei corsie, diretta verso un altro stato, possibilmente molto distante da questo. Verso una nuova scuola, dove incontrerò un'altra alunna come Tori. Un'alunna che mia madre avrebbe amato e della cui sparizione avrebbe sofferto come io ho sofferto della sua.

            Ma basta parlare. Ho fame, ed è ora di fare la prima sosta sulla mia nuova strada.