LA BELLA LAVANDERINA


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       La vibrazione sommessa delle lavatrici lo ipnotizza, come quando da bambino sua madre passava l'aspirapolvere nella stanza accanto. Gli succede sempre: il suono gli si insinua dietro le orecchie, massaggiandogli  direttamente il cervello, stordendolo con dolcezza. Arturo si scuote. Si rende conto di aver letto le ultime frasi del libro per inerzia, senza cogliere davvero il senso delle parole. Torna indietro di qualche paragrafo, cercando di concentrarsi per non perderei l filo. Ma quel fruscio ritmato è così sensuale…

       All'improvviso un altro rumore si sovrappone a quello delle lavatrici: un verso strozzato, come di qualcuno che cerchi di trattenere il singhiozzo. Arturo si scioglie dal torpore, accorgendosi solo allora di essersi di nuovo addormentato a occhi aperti e on aver capito niente del'intera pagina che ha scorso. Si guarda intorno: nella lavanderia poco illuminata c'è solo un'altra persona, a pochi metri da lui. Non l'aveva notata prima, ma potrebbe benissimo essere entrata mentre lui era sotto l'incantesimo della centrifuga. E' abituato a ritrovarsi solo durante le sue sessioni notturne di bucato, e avere compagnia lo mette a disagio, come se il suo territorio fosse stato invaso. Adesso dovrà anche stare attento a non assopirsi: che figura di merda ci farebbe?

       Squadra più attentamente la figura in piedi di fronte all'oblò, che pare rapita dal movimento dei panni come lui lo è dal suono: non può essere provenuto che da lei quel singulto di poco prima. E' una ragazza piccola, esile. Le braccia dalla carnagione chiara hanno solo un paio di centimetri di ciccia intorno alle ossa. Porta dei jeans, consumati al punto da avere una fessura dei bordi scuciti sotto la tasca posteriore, e una t-shirt bianca, del tutto anonima. I capelli castani arrivano a metà schiena, e da come si raccolgono sembrano bagnati. Osservandola meglio, Arturo ipotizza che sia appena uscita dalla doccia. Questo spiegherebbe anche gli abiti dimessi e i brividi che la percorrono: il suo corpo infatti freme a intervalli irregolari, a partire dal petto.

       Forse ha davvero il singhiozzo, pensa Arturo. O forse…

       Ci arriva in quel momento: la ragazza sta piangendo. L'idea lo turba. Cosa può farla soffrire così tanto da piangere in pubblico? E lui dovrebbe in qualche modo offrirsi di aiutarla? Esiste un galateo per situazioni del genere?

       Si sporge in direzione di lei. Sentendosi un po' in colpa per quella violazione della sua privacy, sbircia dentro la lavatrice. L'acqua all'interno è rossa, strisce di colore intenso che si rincorrono in continuazione, si spezzano, si mischiano. Forse è quello che lei sta osservando con tanta attenzione.

       Arturo sorride. Ha capito il suo "dramma": qualcosa ha stinto, e le sta rovinando tutto il resto del carico. Magari c'è anche la sua maglietta preferita, là dentro. Piangere per una cosa del genere gli pare esagerato, ma le donne a volte…

       La ragazza si volta, lo Guarda. E Arturo capisce di essersi sbagliato. Due cose lo colpiscono immediatamente, impedendogli di girarsi da un'altra parte o di rifugiarsi nel libro: il colore verde, intenso e profondo di quegli occhi, e la tristezza infinita che trasuda dal loro sguardo. La ragazza singhiozza di nuovo, in silenzio, sbatte le palpebre. I suoi meravigliosi occhi smeraldo luccicano, e Arturo scorge in essi un velo di lacrime.

       Non sa cosa dire. Non può smettere di guardarla, semplicemente non può. Non riesce nemmeno a ingoiare il respiro che gli si è fermato in gola. La vibrazione delle macchina che prima dominava la sua mente ora è lontana, forse no è mai esistita. Ma è proprio la lavatrice a salvarlo,con un plin che lo avverte del completamento del ciclo. A quel segnale, la ragazza corna a contemplare il suo oblò.

       Arturo si scuote. Con pochi gesti meccanici riempie la sua cesta e si avvia all'uscita. Vorrebbe voltarsi per guardarla di nuovo, ma non lo fa.

       In strada l'aria è fresca. A quell'ora la città è calma, e di solito è un piacere camminare verso casa. Ma questa notte è diversa, e Arturo non riesce a godesi la passeggiata.

       Sa che, se riuscirà a dormire, sognerà quegli occhi verdi.

 

 

 

 

 

       La porta del bar si chiude dietro di loro, separandoli dal chiasso e dal profumo di caffè. Dopo aver percorso in silenzio un primo tratto in direzione dell'aula, Tommi chiede: "Ma quindi, alla fine, cosa le hai detto?"

       La lezione dovrebbe già essere iniziata ma non si preoccupano di affrettarsi.

       "Niente. Non ci sono riuscito" è costretto ad ammettere Arturo. "Era troppo… distante, capisci? Come potevo avvicinarmi e parlarci? Non era alla mia portata.

       "E allora perché mi hai raccontato tutta la storia? Io presumevo che le occhiaie fossero dovute a una notte brava di cui mi descrivevi l'antefatto".

       "No, è che non ho dormito". Le occhiaie sono la prima cosa che Tommi ha notato in lui, quella mattina. Dovendo fornire una spiegazione, Arturo gli ha parlato della ragazza della lavanderia. Ma no, non è del tutto vero: in realtà voleva parlare di lei. Aveva bisogno di condividere la sua esperienza. Gli viene in mente che è proprio così che si fa quando si è innamorati, e subito si dà dell'idiota per quel pensiero.

       "Non mi dirai che sei rimasto sveglio tutta la notte a pensare a lei?" Incalza l'amico, guardandolo con un misto di disgusto e diffidenza.

       Arturo scrolla le spalle.

       "Oh, povero te! Sono bastati dieci minuti davanti a una centrifuga per ridurti in questo stato?"

       "Dai, non prendermi per il culo. Avrei voluto vedere te in una situazione del genere. Lei era lì, eppure sembrava del tutto estranea. Guardava l'acqua rossa che girava, come se non capisse quello che succedeva. E piangeva. L'ho guardata negli occhi: era disperata. Ho desiderato di poter fare qualcosa per farla stare meglio, ma… non so nemmeno chi è. E non credo che la rivedrò più, tranne che nei miei sogni".

       Dopo qualche attimo di silenzio, Tommi sentenzia: "Sei tutto scemo, Obrà. O forse sei innamorato, che comprende anche la prima ipotesi".

       "Non è questo il punto. E' stato qualcosa che mi ha sconvolto, e che mi porterò dietro per un po'. Non sono nemmeno riuscito a leggere…" si ferma, e l'altro lo supera di un paio di passi prima di accorgersene. "Il libro!" Esclama poi. "L'ho lasciato alla lavanderia!"

       "L'ho detto che sei rincoglionito.

       "Devo andare a riprenderlo. Non posso perderlo. Magari quelcuno lo ha trovato, e…"

       "Sì, certo. 'Qualcuno' come la tua bella lavanderina, eh?"

       Arturo non può fare a meno di sorridere. "Tanto eravamo già in ritardo. Di' al Morba che i suoi appunti glieli riporto domani, ok? Ci vediamo.". Detto questo, torna indietro e si avvia verso la lavanderia, mentre Tommi rimane a fissarlo per alcuni secondi e poi riparte a sua volta. Prima di capire esattamente perché, Arturo si rende conto che sta correndo.

 

 

 

 

 

       Il cuore accelera i battiti già mentre attraversa di corsa la strada per ritrovarsi davanti all'ingresso. Nel momento in cui afferra la maniglia, Arturo è costretto a deglutire per calmarsi. Rimane per un attimo stordito dalla differenza di luminosità, e gli occorrono alcuni secondi per mettere a fuoco l'interno. Come la notte prima, la lavanderia è vuota. No, non come la notte prima: stavolta è vuota davvero. Arturo muove un paio di passi tra i sedili, e si sente stupido. Cosa sperava di trovare?

       Sospira. tanto vale seguire almeno metà lezione. Anche se rimanere lì e rilassarsi al suono del…

       Della lavatrice. Non c'è nessuno, ma una delle macchine sta funzionando.

       Si lascia guidare dalla vibrazione, e la ritrova: attraverso l'oblò scorge un turbine di acqua rossa.

       Il cuore sobbalza di nuovo. Lei è qui, si dice. Potrei aspettarla, e poi chiederle se ha visto il mio libro di ieri sera. Sul momento, gli pare un'ottima idea. Si siede davanti alla lavatrice accesa. Non si accorge di essersi lasciato ipnotizzare finché un sussulto non lo risveglia.

       Si tira su. Si volta di scatto verso la fonte del rumore, ed eccola. Sulla soglia c'è la ragazza. E' vestita come la notte precedente, i capelli hanno lo stesso aspetto poco curato. Stringe qualcosa al petto con entrambi gli avambracci: il suo libro. E lo sta guardando negli occhi.

       Arturo non sa come reagire. Non sa nemmeno di dover reagire. Rimane a fissarla negli occhi, catturato da quel verde abissale e meraviglioso. Alla luce del sole scorge tante piccole lentiggini sulle sue guance. Prova il desiderio folle di avvicinarsi e toccarle, con il polpastrello, una per una.

       La ragazza sussulta di nuovo. Trema, tira su col naso. Continua a guardarlo, stringe le labbra.

       "Il mio libro", vorrebbe dire lui, ma non ci riesce. A malapena è in grado di tendere il braccio verso di lei, in un gesto di esortazione.

       Lei non capisce. Una lacrima le disegna il profilo del naso, fermandosi poco sopra il labbro.

       Qualcosa dentro Arturo vuole che lui vada ad assaporare quella lacrima, ma qualcosa fuori di lui lo blocca. E' la stessa visione della ragazza a pietrificarlo. Non sembra appartenere al mondo, eppure è lì a lavare i suoi panni rossi, e ha il suo libro con sé. Forse, anche lei lo stava aspettando.

       Già, forse.

       Sempre guardandola negli occhi, Arturo raccoglie tutta la sua forza. "Io…" comincia finalmente a mormorare, ma non riesce a completare la frase.

       La ragazza scatta all'improvviso, e lasciando cadere il libro senza alcun riguardo corre verso di lui. Il respiro gli si mozza in gola, e riprende solo quando si rende conto che lei lo ha superato, e si è portata invece davanti alla lavatrice. Ha appoggiato entrambe le mani sul vetro, fissa l'acqua in movimento come se lì dentro avesse perso la fede nuziale. Poi scoppia a piangere. I suoi lamenti sono di pura disperazione, sono i singhiozzi di un bambino picchiato dal padre.

       Arturo è terrorizzato. Lei gli è vicinissima, potrebbe metterle una mano sulla spalla, abbracciarla e dirle che tutto andrà bene, qualunque cosa sia successa. Ma quei gemiti lo fanno sentire piccolo e vigliacco. Arretra di un passo, mentre lei ancora strilla picchiando un pugno sull'oblò.

       Un altro passo indietro. Poi si gira verso la porta. Non core, ma non sta solo camminando. Raccoglie al volo il suo libro, di cui sul momento non ricorda nemmeno il titolo, ed esce. Prova uno strano sollievo quando il rumore del traffico copre il pianto della ragazza proveniente da dentro.

       Si allontana.

       Pensa che non dormire, in fondo, potrebbe anche sopportarlo. Il problema è che adesso non avrà pace nemmeno da sveglio.

 

 

 

 

 

       Le parole del professore che passeggia tra una lavagna e l'altra sono tanti piccoli sassolini che lo colpiscono sulla testa e rimbalzano via: fastidiose, ma trascurabili. La stessa sensazione lo accompagna da due giorni, e si è ormai estesa a tutto ciò che lo circonda: persone, odori, luci, tempo. Ogni volta che chiude  gli occhi sente i lamenti della ragazza della lavanderia, ma quando il tiene aperti vede davanti a sé il suo viso devastato dal dolore.

       Arturo sa bene di non poter continuare in questo modo. Dall'ultima volta che è stato  alla lavanderia, quando ha recuperato il libro, non sta più vivendo. Un groviglio di sensazioni, propositi e rimorsi gli si è formato in testa, una specie di grumo denso che impregna ogni neurone, si sovrappone a ogni pensiero come la crema in un millefoglie.

       Da un lato vorrebbe rivederla. Ritrovarla, avvicinarsi e parlarle, come quasi era riuscito a fare l'ultima volta. Prendere su di sé tutto il male che lei sta sopportando: sa che lo farebbe, per lei. Ma allo stesso tempo ha una tremenda paura della ragazza. Teme quello che potrebbe scoprire, conoscendola meglio: perché quel male deve essere davvero terribile, se è capace di farla disperare tanto. Se solo riuscisse…

       "Obrà, ci sei" bisbiglia Tommi.

       Arturo si accorge di quelle parole soprattutto grazie alla gomitata che le accompagna. "Sì, che c'è?" risponde seccato.

       "Hai capito che intendeva quando ha detto che…"

       "No, non stavo ascoltando" lo interrompe.

       Tommi annuisce. Torna a guardare il suo quaderno ma poco dopo riprende: "Senti, tu non stai bene".

       "Lo so".

       "Ancora per la bella lavanderina?"

       "No… si. Credo".

       "L'hai più rivista dall'altro giorno?"

       "No. Non avevo niente da lavare" mente lui. Non vuole che l'amico sappia che il giorno prima è tornato alla lavanderia con il pretesto di una cesta mezza vuota. Ma prima di entrare, attraverso il vetro, ha visto una lavatrice che macinava acqua rossa, ed è tornato indietro senza nemmeno toccare la maniglia.

       "Quanto pensi di poter andare avanti?"

       "Non lo so, tu che dici?" spera che Tommi afferri la retoricità della domanda, ma non è così.

       "Una settimana, non di più. Poi crolli, sicuro".

       "E allora cosa dovrei fare?" Arturo alza la voce, continuando a bisbigliare.

       "Torna alla lavanderia. Aspettala. Parlaci, chiedile quello che ti pare, anche quale ammorbidente usa, ma cazzo, fai qualcosa!"

       "Non posso. Tu non l'hai vista. Non l'hai sentita. Sta così male, con che diritto io dovrei entrare nella sua vita, disturbarla nel suo dolore?"

       "Perché anche tu stai male, e stai male per lei. Questo ti concede tutti i diritti di cui hai bisogno".

       Arturo si sofferma su quelle parole. Sembrano avere senso. Ma no, non può.

       Eppure vorrebbe. Vorrebbe stringerla, farla sfogare sulla sua spalla. Sentire le sue lacrime inumidirgli il petto, fino a quando non avrà più bisogno di piangere.

       Così fragile, così dolce, pensa. Non è giusto. E' una ragione sufficiente?

       , si risponde subito, come se avesse sempre aspettato quella domanda. Chiude gli occhi e inspira. Non è sicuro di farcela, ma ha deciso.

       Si alza, e Tommi lo fissa con aria interrogativa. "Vado a cercarla" spiega lui.

       Tommi sorride, e lo saluta con un cenno militaresco.

       Arturo raccoglie lo zaino, esce dall'aula. Scendendo le scale, aumenta la velocità ad ogni gradino. Quando arriva in strada sta già correndo, e stavolta lo fa di proposito.

       La città è strana a metà mattinata, non ci è abituato. Il traffico è più rapido ma non meno fitto, la gente in strada non è tutta indaffarata o assonnata, le serrande dei negozi sono alzate. Ma Arturo registra quei particolari senza veramente vederli, perché pensa ad altro. Non è nemmeno del tutto cosciente del percorso che segue, perché le sue gambe conoscono la strada senza bisogno che sia lui a dirigerle.

       Una sola cosa gli occupa la mente e i sensi: lei.

       Spera di trovarla alla lavanderia. E' assurdo, perché non è possibile che si trovi lì ad ogni ora del giorno. Ma la sua speranza non vacilla, e in questa irrazionalità Arturo trova conferma del fatto che è davvero innamorato.

       Sì, è innamorato di quella ragazza di cui non conosce nemmeno  il nome. Quel corpo minuto, quei capelli bagnati, quegli occhi verdissimi.  E non gli importa se lei è distrutta: lui saprà aiutarla. E' disposto a dare tutto, perché una creatura del genere merita di essere felice.

       Per la prima volta in due giorni, Arturo sorride. Sembra quasi che sia pronto a sposarla, scherza tra sé. Continua a correre senza sapere esattamente dove si trova, scansando al volo gli altri passanti.

       Tra poco entrerà nella lavanderia. Ci sarà una lavatrice in cui ruota dell'acqua rossa. E davanti ci sarà lei. E lui le si avvicinerò, dopo aver ripreso fiato, e le dirà…

       Cosa le dirà? Non lo sa. Non importa. Ma lei sarà lì, e lui la guarderà negli occhi.

       Verde, il vero verde. Quello è un verde primario, per forza: non può essere la semplice unione di un giallo e un blu. E' quel colore che Arturo ha negli occhi, mentre attraversa sempre di corsa la strada davanti alla lavanderia. Lo sguardo è fisso sulla porta che tra nove, otto, sei metri attraverserà. Nell'estasi di emozioni, non nota l'autobus che sta sopraggiungendo in quel preciso momento.

       Il clacson lo stordisce e lo riporta alla realtà. Lo stridore dei freni gli ricorda il pianto della ragazza che sta per incontrare. Le tre ruote che lo calpestano in successione vibrano come le centrifughe che ogni volta lo ipnotizzano.

       Tommaso studia gli sconosciuti radunati intorno alla bara. Una donna è appoggiata con tutto il busto sulla cassa chiusa, sussulta ritmicamente. Dietro di lei, un uomo le tiene una mano appoggiata sulla spalla. Una ragazza accanto a questo tiene la testa bassa e ogni tanto si porta una mano ad asciugare gli occhi.

       "I suoi genitori?" domanda con un sussurro piegando leggermente la testa verso il Morba.

       "Direi di sì".

       Tommaso emette un risolino poco divertito. "A me non sembrano molto… ehm, gaelici.

       Quello che deve essere il padre di Arturo afferra la probabile madre per le spalle, si avvicina e le sussurra qualcosa all'orecchio. Lei scuote la testa, e alcune lacrime schizzano sul legno lucido.

       "Che vuoi dire?" chiede il Morba.

       "Artù si vantava  sempre di essere di origine irlandese. Per via del cognome, O'Brien. Ma io ho sempre detto che non ha niente di britannico".

       "Non era irlandese" afferma il Morba con convinzione. "Di certo, non era un vero O'Brien".

       "Come lo sai?"

       "Se lo fosse, qui adesso ci sarebbe una banshee".

       "Una che?" Tipico del Morba: sfruttare ogni occasione per sfoggiare la sua immensa cultura. Odioso ma utile, a volte.

       "Una specie di spirito legato alla famiglia, che si dispera quando un membro scompare. Tutte le più nobili casate irlandesi ne avevano una".

       Il padre di Arturo riesce a far alzare sua moglie dalla bara. La donna gli si aggrappa al collo, gemendo con forti versi scomposti che le spezzano il respiro.

       "E a cosa servirebbe, questo spirito?" cerca di capire Tommaso.

       "Di solito solo a compiangere la perdita di uno del clan. Dovrebbe presentarsi al funerale, nella forma di una donna vestita di stracci, e lamentarsi per lui. A volte anticipa la morte, facendo sentire il suo pianto qualche giorno prima. Oppure avverte i familiari, se la tragedia è avvenuta lontano da casa. Capita anche che avvisi lo stesso condannato, apparendogli mentre lava i suoi vestiti impregnati di sangue" Guarda Tommaso accennando un sorriso: "Ma naturalmente è solo una leggenda".

       "Certo, una leggenda" ripete lui, atono. Vorrebbe che Arturo non gli avesse raccontato dello strano colore dell'acqua della bella lavanderina. Preferisce non pensare al fatto che lei piangesse ogni volta che lo vedeva. Soprattutto, cerca di dimenticare che è proprio per raggiungere lei che è stato investito.

       Gli addetti del cimitero prendono in carico la bara, la portano verso il loculo. I genitori di Arturo si fanno il segno della croce, e seguono il figlio nel suo ultimo breve viaggio. Tommaso rimane a osservare finché escono dal suo campo visivo. Dentro di sé, saluta lo sfortunato amico.

       Dirigendosi verso l'uscita si chiede se quelli che vorticavano nella  lavatrice della ragazza sono gli stessi vestiti che coprono ora il cadavere di Arturo, nell'oscurità della cassa. Si ferma, e sente un alito gelido raggiungerlo alla nuca. Da qualche parte, arriva il suono di un pianto. Sembra una donna. E sembra vicina.

       Tommaso riprende a camminare, più svelto, per lasciarsi presto alle spalle il pesante cancello di ferro battuto.