JUSTINE NELL'ABBAZIA DEI BENEDETTINI |
ANTEFATTI
Questa
storia è narrata nel romanzo erotico-filosofico La nouvelle Justine del celebre Marchese D. A. F. De Sade.
Justine e Juliette, figlie di un ricchissimo
banchiere di Parigi, furono educate fino all'età di quattordici e quindici
anni, in uno dei più celebri monasteri di Parigi. Ma arrivate a quell'età il
padre fece bancarotta e morì di dolore, seguito un mese dopo dalla madre.
Detratti i debiti rimanevano alle due fanciulle cento scudi a testa. I parenti
non se ne vollero far carico. Furono costrette a lasciare il convento senza
alcuna prospettiva. Si separarono, perché Juliette aveva detto a Justine che si
sarebbe data agli uomini e sarebbe divenuta una mantenuta, e quest'ultima,
estremamente virtuosa, non voleva seguirla sulla via della perdizione.
Justine viene venduta da Madame Desroches, la
padrona di casa presso cui alloggia, che in realtà è luogo di incontro di
prostitute con i clienti, al banchiere Dubourg, che la fa oggetto di disgustosi
atti di libidine, pur senza privarla della verginità. Infine, una amante di
Dubourg, accusa Justine, che aveva preso in casa come cameriera, di furto, e la
fa gettare in prigione. Qui Justine conosce Madame Dubois, una scellerata
prostituta di 35 anni con un passago di misfatti, che viene condannata a morte
come lei. Alla vigilia dell'esecuzione la Dubois, con l'aiuto di complici,
riesce a fuggire, portando Justine con lei.
Justine, per evitare di essere uccisa,
accetta di unirsi alla banda composta dalla Dubois e dai quattro briganti, che
la fanno oggetto di atti di lussuria, mentre si accoppiano con la Dubois, pur
rispettandone l'integrità.
Dopo aver sorpreso, derubato e massacrato una
famiglia che viaggiava su una carrozza, i briganti catturano Saint Florent, uno
dei più ricchi mercanti di Lione. Justine scopre di essere sua nipote e lo
aiuta a fuggire. Ma Saint Florent, durante il viaggio, la violenta in entrambi
i modi, facendole perdere la verginità.
Justine fugge da lui inoltrandosi nel bosco,
e incontra il nobile Signore di Bressac in pieno amplesso sodomitico col suo
servitore Jasmin. Bressac la porta con sé al castello e sua madre, Madame de
Bressac, la prende sotto la sua tutela, fa cadere sotto le accuse e le dà un
impiego di cameriera.
Bressac uccide la madre per ereditare e
Justine fugge, riparando presso Monsieur Rodin, padrone del collegio di
Saint-Marcel. Rodin gestisce il collegio con la giovane e bella sorella
Céleste. Fanciulli e fanciulle sono sottoposti alle sadiche torture dei due fratelli,
senza che niente trapeli all'esterno. La stessa figlia di Rodin, Rosalie, è
fatta oggetto degli appetiti del padre. Justine, che è testimone di questi
orrori, viene risparmiata da Rodin che si innamora di lei. Ne approfitta
cercando di far fuggire Rosalie con l'aiuto dell'abate Delne. Il piano è di
riparare in un convento e prendere i voti. Ma Rodin scopre il progetto e getta
Delne e Rosalie nelle segrete. Delne è torturato e ucciso da Rodin insieme al
complice di misfatti, il medico Rombeau. Rosalie è ripetutamente seviziata,
insieme a Justine, e infine uccisa da suo padre. Justine viene marchiata a
fuoco da Rombeau col marchio dei ladri e lasciata andare.
Justine prende la strada delle province
meridionali, ma viene sequestrata da Monsieur de Bandole, uomo ricchissimo, in
passato magistrato, che da quindici anni vive nel suo castello con trenta
fanciulle a cui fa fare figli che poi annega nello stagno una volta arrivati a
diciotto mesi.
Justine fugge dal castello di Monsieur de
Bandole quando sopraggiungono i quattro briganti con cui era fuggita dalla
prigione e la inducono ad aiutarli a penetrare nel castello per impadronirsene.
In cambio, Justine ha venti luigi e la libertà di andarsene.
RACCONTO
Justine, dopo l'ultima disavventura, riprende
la strada di Auxerre da cui riparte il 7 agosto, sempre decisa a raggiungere il
Delfinato, dove la sua immaginazione romanzesca le faceva continuamente sperare
la felicità.
Aveva percorso circa due leghe; il calore
cominciava a darle fastidio; salì su un piccolo poggio, coperto da un ciuffo
d'alberi poco lontano dalla strada, con intenzione di rinfrescarsi e di
dormicchiare un paio d'ore, evitando le spese di un albergo e certamEnte più al
sicuro che lungo la strada; si mise sotto una quercia e, dopo una frugale
colazione, si abbandonò al ristoro del sonno. La sventurata ne aveva goduto in
pace e quando i suoi occhi si riaprirono alla luce, si dilettò ad osservare il
bel paesaggio che si disegnava dinanzi a lei in mezzo a un bosco che si
stendeva a destra, le sembrò di scorgere, in lontananza, un piccolo campanile
ergersi modestamente verso le nubi… Dolce solitudine, disse a se stessa, come
desidero vivere così! devi essere la dimora di buone e virtuose recluse che non
si occupano che di Dio… dei loro doveri; o forse, oh felice solitudine! sei
l'asilo di qualche santo eremita unicamente dedito alla religione che si è
allontanato da questa perniciosa società dove il crimine, sempre in agguato
contro l'innocenza, la degrada e la distrugge. Ah! tutte le virtù là devono
albergare, ne sono sicura; e quando la perversità dell'uomo le bandisce dalla
faccia della terra, là, in quel quieto ritiro vanno a seppellirsi nel seno di
esseri fortunati chele amano e le coltivano senza sosta. Tale vista esaltava
l'immaginazione di Justine tanto più che gli ardenti sentimenti di pietà mai
l'avevano abbandonata in alcuna circostanza della vita: disprezzando i sofismi
di una falsa filosofia, considerandoli tutti emanazione del libertinaggio più
che intima convinzione, ella opponeva ad essi la propria coscienza e il proprio
cuore e trovava, grazie all'una e all'altro, la risposta necessaria. Spesso
costretta dalle sventure a trascurare i doveri religiosi, riparava
immediatamente non appena ne aveva la possibilità.
Spinta da questi pensieri rivolge qualche
domanda, sulla dimora che scorge, a una giovane di sedici o diciassette anni
che vede a guardia di pecore; le domanda cos'è quel convento.
- E' un'abbazia di benedettini, rispoNDe la
pastorella, abitata da sei frati che non hanno uguali in devozione, continenza
e buoni costumi. Ci andiamo, prosegue la giovane, una volta all'anno in
pellegrinaggio,ad onorare una Vergine miracolosa dalla quale i devoti ottengono
tutto quel che chiedono; andateci, signorina, andateci, e tornerete sentendovi
migliore.
Particolarmente commossa dalla risposta,
Justine concepisce subito l'irresistibile desiderio di andare a implorare aiuto
ai piedi di quella santa madre di Dio.
La vedrò! esclama con compunzione, adorerò
colei alla quale l'Essere supremo accordò la grazia di partorire un Dio, mi
prostrerò ai piedi di quella fonte di purezza, di verginità, di candore e di
modestia. Ah! corriamo! ogni attimo di ritardo è un crimine contro la
religione.
Justine avrebbe voluto che colei che l'aveva
istruita la seguisse; la prega, le offre persino del denaro, ma invano: la
giovane dice che ha da fare e che ha appena il tempo di sbrigare quel che deve.
- Ebbene! dice Justine, ci andrò sola;
indicatemi la strada.
Le viene indicata; le viene assicurato che il
superiore della casa, il più rispettabile e il più santo fra tutti gli uomini,
la riceverà molto bene, l'aiuterà in tutto quello di cui avrà bisogno. Si
chiama don Severino, aggiunge la ragazza; è italiano, parente stretto del papa
che lo colma di favori; è dolce, onesto, servizievole, a cinquant'anni e due
terzi li ha trascorsi in Francia. E, ricevute tutte queste indicazioni, Justine
s'incammina verso il santo ritiro dove l'Eterno pare assicurarle dolci
consolazioni.
Appena scesa dal poggio dove era salita, non
vede più il campanile. Non avendo altro punto di riferimento che il bosco,
comincia a pensare che la distanza, sulla quale si è dimenticata di informarsi,
sia maggiore di quanto avesse calcolato. Ma nulla la scoraggia; raggiunge il
limitare del bosco e, vedendo che è ancora giorno, decide d'inoltrarsi sempre
fiduciosa di riuscire ad arrivare prima del buio. Tuttavia alcuna traccia umana
si presenta ai suoi occhi: non una casa e come univa via un sentiero irto di
rovi che sembra dover servire solo ad animali selvaggi. Sono già cinque almeno
le leghe percorse senza scorgere nulla che annunci ciò che cerca, allorché
l'astro avendo smesso d'illuminare l'universo, le pare di udire il suono di una
campana: la speranza rinasce, ella ascolta, cammina verso quel suono, si
affretta, penetra infine in un oscuro bosco che, seguendo un sentiero più
stretto di quello fino allora seguito, la conduce infine al convento di
Sainte-Marie-des-Bois. Così si chiamava quella casa.
Se Justine aveva giudicato i dintorni del castello
di Bandole spaventosamente rustici, quelli dell'abbazia le sembrarono di certo
assai più selvaggi. La casa più vicina si trovava a sei leghe di distanza e
boschi immensi parevano voler sottrarre l'abbazia allo sguardo degli uomini:
essa era posta in una larga e profonda valle che querce antiche attorniavano da
ogni parte. Questo il motivo che aveva fatto perdere di vista a Justine il
campanile, non appena si era trovata nella pianura. Dopo aver sceso per tre
quarti d'ora la nostra eroina finalmente arriva vicino a un tugurio, sotto il
portico della chiesa: suona; un vecchio frate si affaccia.
- Cosa volete? dice sgarbatamente.
- Si può parlare al superiore?
- Cosa volete dirgli?
- Un santo dovere mi conduce: mi è permesso
assolverlo? Sarò ricompensata di tutte le fatiche affrontate per raggiungere
questo luogo solitario se mi sarà concesso di gettarmi ai piedi della Vergine
miracolosa di cui conservate l'immagine.
Il frate apre e rientra solo lui; siccome è
tardi e i padri stanno cenando torna solo dopo mezz'ora.
- Ecco, dice seguito da un religioso, ecco
don Clément, l'economo; vuole accertarsi se ciò che desiderate val la pena
d'interrompere il superiore.
Clément, il cui nome tutto esprimeva tranne
il volto, era un uomo di quarantacinque anni, enormemente grosso, dall'altezza
gigantesca, sopracciglia nere e spesse, barba molto ispida, sguardo cupo,
feroce, cattivo, sornione; si esprimeva con durezza, con parole lanciate con
voce rauca; vera figura di satiro… Justine ne tremò e non poté fare a meno di
rammentare le passate sventure, che risorsero nella sua memoria turbata in
immagini di sangue…
- Cosa volete? dice il monaco con fare
scontroso; è questa l'ora di venire in una chiesa? Mi aveva l'aria di essere
un'avventuriera; la vostra età, il vostro disordine, il vostro modo di fare,
l'ora in cui vi presentate, tutto ciò non annuncia nulla di buono! Comunque,
ditemi, cosa volete?
- Sant'uomo, risponde Justine, il mio
disordine è dovuto alla grande fatica per giungere fin qui. Quanto all'ora, credevo
che non ne esistesse una particolare per presentarsi nella casa di Dio: vengo
da assai lontano, piena di fervore e di devozione. Chiedo di confessarmi, se è
possibile e, quando vi sarà palese l'intima mia coscienza, giudicherete voi se
sono degna o no di prostrarmi ai piedi della santa immagine.
- Non è l'ora della confessione, dice il
monaco raddolcendosi; potrete farlo domani mattina: dove dormirete frattanto?
non abbiamo ospizio qui.
E Clément con queste parole lascia la nostra
viandante dicendo che va ad avvisare il superiore. Poco dopo la chiesa viene
aperta; il superiore, don Severino, si fa avanti e invita Justine ad entrare
nel tempio le cui porte si chiudono immediatamente alle sue spalle.
Don Severino, del quale è meglio dare subito
un'idea, era un uomo di cinquantacinque anni, bel volto, aspetto giovanile,
fattezze vigorose, membruto come un Ercole e tutto ciò senza durezza alcuna;
una sorta di eleganza e di morbidezza erano la sua caratteristica e si vedeva
che in gioventù doveva aver posseduto le attrattive di cui è munito un
bell'uomo. Aveva i più begli occhi del mondo, fare nobile, modi onesti e
seducenti; un lieve accento faceva capire quale fosse la sua patria, dando al
suo parlare maggior piacevolezza e garbo. Justine, dobbiamo ammetterlo, aveva
bisogno dell'amabile aspetto di questo monaco per riprendersi dalla paura
suscitata in lei dal primo.
- Cara figliola, disse gentilmente Severino,
per quanto non sia l'ora, e non abbiamo l'abitudine di ricevere così tardi, vi
ascolterò in confessione, e poi penseremo a farvi trascorrere la notte almeno
decentemente, fino al momento in cui, domani, potrete salutare la santa
immagine che vi ha attirata fin qui.
Arrivò allora nella chiesa, dal coro, un
giovane di quindici anni, leggiadro in volto e vestito in modo talmente
indecente da suscitare un qualche sospetto se Justine lo avesse osservato. Ma,
intenta al suo esame di coscienza, profondamente raccolta in se stessa, ella
non ci badò.
Il ragazzino accese dei ceri e andò, senza
che Justine se ne accorgesse, a sedere sulla stessa poltrona che avrebbe
occupato il superiore per confessare la nostra penitente. Justine intanto si
mette dall'altra parte la posizione le impedisce di vedere quel che succede
dalla parte di don Severino; e, piena di fiducia, elenca i suoi peccatucci che
il confessore ascolta carezzando il ragazzino rannicchiato vicino a lui,
palpandogli le natiche, dandogli il bischero che il Ganimede scrolla, palpa,
scuote, succhia con gran soddisfazione del monaco che gli indica con le mani le
diverse maniere con le quali deve cooperare all'incendio che l'ingenuo racconto
di Justine sta producendo sul suo sistema nervoso.
La nostra pia avventuriera confessa i suoi
sbagli con un candore… con un'ingenuità che, com'è facile immaginare, accendono
ben presto i sensi del libertino che la sta ascoltando. Gli racconta le sue
sventure… gli svela persino il marchio malfamante impresso dal barbaro Rombeau.
Il monaco presta a tutto grande attenzione; fa anche ripetere a Justine diversi
episodi, e li ascolta mostrando pietà e interesse mentre la curiosità più
libidinosa, la più sfrenata licenziosità sono unico movente delle sue domande.
Tuttavia, se Justine fosse stata meno cieca ai movimenti del padre, ai suoi
strozzati sospiri, al rumore assai forte fatto chinando il giovane per
incularlo, certamente non avrebbe avuto più motivo d'ingannarsi, ma
l'entusiasmo religioso è una passione che annebbia la mente come tutte le
altre: la sventurata non si accorse di niente. Severino, che stava fottendo,
insistette sui particolari; Justine rispose a tutto con innocenza. Egli spinse
il proprio ardire al punto di domandarle crudamente, se era vero che i diversi
uomini con i quali aveva avuto a che fare non l'avevano mai inconnata e quanto
volte in tutto era stata inculata; se i membri che l'avevano fottuta in quel
modo erano grossi; se avevano scaricato nel culo. Alle spudorate domande,
Justine si limitò a rispondere ingenuamente che quell'ultimo crimine era stato
consumato su di lei tre o quattro volte soltanto.
- Vedete angelo mio, diceva Severino ebbro di
lussuria continuando a fottere il culo più grazioso di questo mondo; vedete, vi
faccio queste domande perché penso che possediate le più belle natiche che si
possano immaginare e certe criminali attrattive seducono i libertini. Bisogna
stare attenti, continuò balbettando: un bel sederino è il pomo con il quale il
serpente tentò Eva; è la strada della perdizione; e sapete bene che coloro che
l'hanno percorsa con voi sono fra i maggiori scellerati che abbiate conosciuto.
Tale crimine distrusse Sodoma e Gomorra, bambina mia, lo sapete bene; è punito
ovunque con il fuoco; non ne esiste altro che irriti la bontà e la giustizia
dell'Eterno, non ne esiste altro dal quale una giovane saggia debba guardarsi.
E, dite, non provaste alcuna sensazione voluttuosa durante quel perfido
penetrare?
- La prima volta, padre? come sarebbe stato
possibile se ero senza sensi?
- E le altre volte?
- Detestando, odiando tutti quegli orrori,
sarebbe stato difficile parteciparvi.
Infine, le principali domande del monaco,
mentre continuava ad inculare il piccolo invertito, si riferirono ai seguenti
punti:
1. Se era vero che era orfana nata a Parigi;
2. se era certa di non avere né parenti né amici né protezione, nessuno insomma
al quale poter scrivere; 3. se si era confidata solo con la pastorella che le
aveva parlato del convento della sua intenzione di andarvi e se non si erano
ripromesse di rivedersi al ritorno; 4. se non aveva il sospetto di essere stata
seguita e se era sicura che nessuno l'avesse vista entrare nel convento.
Poi Severino, dopo essersi informato
sull'età e l'aspetto della pastorella, rivolse qualche rimprovero a Justine per
non averla condotta con sé.
- Dimenticate, disse, che sarebbe stata opera
meritevole venire con una compagna; ci avrebbe edificati come voi, e l'avremmo
ricevuta come abbiamo ricevuto voi.
Finite le pie dissertazioni, il monaco deculò
il gitone; e ritirandosi, il bischero in aria e le passioni in fuoco:
- Bambina mia, disse a Justine, debbo ora impartirvi
una penitenza secondo i vostri peccati, e solo in un perfetto stato di umiltà
da parte vostra mi è possibile imporre la pena. Passiamo nel santuario; i due
ceri saranno portati presso l'immagine miracolosa; essa sarà scoperta davanti a
voi: voi l'imiterete, Justine, vi spoglierete come lo è lei, e sentirete che la
completa nudità che essa esige da voi, che potrebbe essere un crimine agli
occhi degli uomini, sarà ai nostri una prova in più.
Allora il ragazzo esce in disordine dal
confessionale, prende i ceri, li posa sull'altare, vi sale e scopre l'immagine.
Justine, abbagliata dalle illusioni della sua ardente pietà, non ode, non vede,
e si prosterna, ma Severino, alzandola energicamente, dice:
- No, ne avrete il diritto quando sarete
nuda; qui si esige la più profonda umiliazione… la più completa.
- Oh! padre, scusate!
E immediatamente la pia Justine dispiega le
bellezze della natura allo sguardo libertino di quel bacchettone. Non appena
egli vede quel bel corpo nitrisce di lubricità; lo gira e rigira da tutte le
parti e con la scusa di esaminare la ferita infamante il furfante contempla in
ogni particolare il superbo arco delle reni e le deliziose natiche di Justine.
- E adesso, dice, inginocchiatevi, se volete
rivolgere la vostra supplica e non allarmatevi di quel che succederà mentre
sarete in preghiera: badate, figliuola, che semi accorgo che il vostro spirito
non è completamente staccato dalla materia, se mi avvedo che tiene ancora al
mondo e che non appartiene interamente a Dio, badate, ripeto, che conformando
la penitenza ai vostri nuovi peccati, essa sarà funesta e sanguinosa:
abbandonatevi dunque, e lasciate fare.
Detto ciò, l'energumeno dà solo ascolto alla
sua passione: comprendendo perfettamente che lo stato in cui si trova Justine e
la posizione in cui l'ha costretta lo dispensa da ogni precauzione, si mette
dietro a lei, con il suo gitone accanto e mentre questi lo solletica e lo
scrolla, il monaco passa lussuriosamente le mani sulle natiche che gli sono
offerte lasciandovi di quando in quando, con le unghie, le prove sanguinanti
delle sue crudeli carezze.
Justine immobile, fermamente convinta che
tutto quel che le fanno non ha altro scopo che condurla passo dopo passo alla
perfezione celeste, sopporta tutto con indicibile rassegnazione; non un
lamento… non un gesto le sfugge; il suo spirito è talmente teso verso le cose
celesti che il carnefice potrebbe farla a pezzi senza che ella osasse neppure
lamentarsi.
Incoraggiato da un tale torpore della
penitente, il monaco si fa più intraprendente: coprendo con la mano aperta il
bel sedere dell'angelo, la lascia quindi energicamente cadere e dà una dozzina
di sculacciate così forti che le volte della chiesa ne rimbombano e le reni
della debole vittima si piegano come giglio all'aquilone che lo scuote. Allora
egli passa davanti a lei e, ormai incurante, mostra un arnese che minaccia il
cielo, più che sufficiente per lacerare la benda, se quella della superstizione
potesse essere lacerata. Le tocca il petto, lo scellerato, lo bacia, sempre più
imbaldanzito, osa premere con le labbra impure quelle in cui riposano la virtù,
il candore e la verità. Dolci emozioni delle anime sensibili! voi spariste
all'attentato. A questo punto Justine volle sottrarsi.
- Smettetela, dice allora duramente il monaco
con foga; non vi ho già detto che la vostra salvezza dipende dalla completa
rassegnazione vostra e che quelle che sembrano cose sporche presso gli altri
uomini non sono che purezza, castità, devozione per noi?
Trattenendo con una mano la testa della vittima,
fa scivolare, ciò dicendo, la lingua nella sua bocca e nel frattempo la stringe
talmente a sé da essere impossibile non sentire il membro del monaco
mentre profana il suo monte di Venere, ma l'italiano, quasi spaventato di tanta
infedeltà al proprio culto, si rimette immediatamente dietro, e ardentemente
posa il bacio più ardente… più caldo su quelle natiche miniate dagli energici
ceffoni prima assestati, le apre, dardeggia la lingua nel grazioso buchino,
assapora la voluttà sotto tutti gli aspetti, s'ingozza di lubricità tenebrosa,
sempre scrollato dal suo gitone che non lo ha mai lasciato da quando ha dato
inizio all'atto scandaloso, e che sta per farlo scaricare allorché accorgendosi
che, senza mancare ai confratelli, gli è impossibile proseguire, dice a Justine
di alzarsi… di seguirlo e che il resto della penitenza si farò nel convento…
- Sempre nuda, padre? dice Justine un po'
allarmata.
- Certamente, risponde il superiore; è più
pericoloso essere nuda nel convento che nella chiesa? Non potendo perfezionarsi
la vostra penitenza qui, è necessario che vi conduca nell'unico luogo dove
possiamo finire di farla.
- Vi seguo, padre.
E il ragazzo, spegnendo i ceri, prende gli
abiti. Justine cammina alla luce di un piccolo lume, portato da Severino che la
precede mentre il gitone li segue: in questo ordine entrano nella sacrestia.
Una porta nascosta nella parete in legno si apre grazie a un congegno segreto;
un nero e buio budello appare, entrano, la porta si chiude.
- O padre, dice allora Justine tremante, dove
mi portate?
- Dove sarai al sicuro,dice il monaco… in un
posto dove c'è da supporre che non uscirai tanto presto.
-Gran Dio! dice Justine cercando di
retrocedere…
- Avanti, avanti, dice con decisione il
superiore mettendola davanti a sé per farla passare per prima… oh, cazzo! non
torniamo indietro e ti convincerai, figliola, che se non troverai grande
diletto dove ti conduco, almeno imparerai in fretta a servire il nostro.
Le terribili parole fanno trasalire Justine;
un freddo sudore s'impossessa di lei; la sua immaginazione terrorizzata le fa
vedere la morte alzar la falce sul suo capo; le ginocchia le si piegano, quasi
sta per cadere.
- Puttana! le dice il monaco assestandole un
colpo col ginocchio nelle reni per farla rialzare, su cammina e non cercare di
protestare, di resistere, sarebbe inutile.
Le crudeli parole rianimano la misera;
capisce che è perduta se sviene:
- Giusto Iddio, dice rialzandosi, è mai
possibile che sia sempre vittima della mia ingenuità, e che il santo desiderio
di accostarmi a ciò che la religione ha di più santo sorga quando è punito come
un misfatto!
Tuttavia continuano; erano quasi alla metà
del lungo budello quando il monaco soffiò sul lume. Da quel momento più nessuna
cautela: più Severino si avvede che il suo comportamento raddoppia il terrore
di Justine, meno è cauto nei gesti e nelle parole; pizzicandole e pungendole le
natiche la guida, la fa avanzare.
- Corri, furfante! le diceva; vuoi che
t'inculi e ti porti in cima al bischero?
E così dicendo, le fa sentire quanto sia
acuminato il dardo con il quale la minaccia. Improvvisamente Justine, che ha
solo le mani per andare nella direzione giusta, sbatte contro una saracinesca
munita di ferri e si scortica la mano destra; lancia un grido… Un sordo rumore
si ode; la barriera si apre.
- Attenta, dice il monaco; afferrati alla
ringhiera: sei su un ponte, al primo passo falso precipiterai in un burrone dal
quale nessuno saprebbe tirarti fuori.
In basso, la nostra eroina trova una scala a
chiocciola e, dopo trenta gradini, una scala che è costretta a salire fino in
cima. A un certo momento, durante la salita, il naso del monaco si trova contro
il culo di Justine; egli bacia e morde quel che trova. Una botola, e:
- Spingi con la testa, dice il superiore.
Riflessi di luce colpiscono immediatamente
gli occhi di Justine; mani la sollevano; risate l'accolgono; ed ecco la
miserella e la sua guida in una splendida sala magnificamente illuminata, nella
quale siedono a tavola cinque monaci, dieci fanciulle e cinque giovani, nel
massimo disordine, e serviti da dieci donne nude. Lo spettacolo fa rabbrividire
Justine; vuole ancora fuggire: non c'è più tempo, la botola è chiusa.
- Miei cari, dice Severino entrando,
permettete che vi presenti un vero fenomeno. Ecco una Lucrezia con impresso
sulla spalla il marchio dell'infamia e nel cuore tutta l'ingenuità di una
vergine. D'altronde, come vedete, una splendida ragazza! Esaminate il suo
corpo, la bianchezza di questa pelle, la durezza di questi seni, la sublimità
di queste cosce, la rotondità di questo culo, la bellezza di questi capelli, il
delizioso insieme di queste fattezze, la divina fiamma di questo sguardo. Spero
che, anche se non è una primizia, siate d'accordo con me che nel serraglio c'è
ben poco che possegga tante bellezze riunite.
- Porcodio! dice Clément, l'avevo vista
vestita; vi avevo detto il mio parere, ma, cazzo, non la supponevo così
graziosa!
Fanno sedere Justine in un angolo senza
chiederle se ha bisogno di qualcosa e la cena riprende.
A questo punto ci scusiamo con il lettore se
sentiamo la necessità d'interrompere un attimo il filo del racconto per
descrivergli i diversi personaggi con i quali avremo a che fare. Quale
interesse potrebbe suscitare il nostro racconto senza questa parentesi?
❖
❖
❖ ∼∼∼ ❖
❖
❖ ∼∼∼ ❖
❖ ❖
Conosciamo Severino, ne indoviniamo i gusti.
C'era in lui tutto ciò che ispira l'amore per i culi: la sua depravazione in
questo genere era tale da non aver mai gustato altri piaceri. E tuttavia quale
contraddizione della natura, la bizzarra fantasia di far scegliere solo
sentieri a quel mostro munito di facoltà così gigantesche che persino le vie
più battute gli sarebbero parse troppo strette!
Quanto a Clément, ne abbiamo già fatto il
ritratto. Si aggiunga all'aspetto esteriore, ferocia, dispetto, pericolosa
furbizia, intemperanza in ogni cosa, spirito satirico e mordace, ateo,
corrotto, scellerato, e si avrò di questo libertino un'immagine completa.
Quanto ai suoi gusti, caratterizzavano il suo modo di pensare e avevano origine
nel suo cuore; la sua barbara figura ne era l'emblema. Clément, logorato, non
poteva più fottere: idolatra in passato dei culi, gli era diventato impossibile
venerarli se non con trattamenti coerenti con le passioni della sua anima
feroce. Pizzicare, picchiare, pungere, bruciare, fustigare, infliggere a una
donna, in una parola, tutti i supplizi possibili e riceverli anche, questi i
suoi divertimenti preferiti; piaceri così penosi per lo sventurato oggetto
della sua intemperanza che raramente esso usciva da quei rapporti senza
ritrovarsi esausto o crudelmente straziato. Ognuna delle tristi vittime di
quella casa sarebbe stata pronta a non so quale penitenza pur di evitare
l'orrenda necessità di soddisfare gli indegni piaceri di quel dissoluto che,
lento nei particolari, era noioso più che eccessivo: e, fra tutte quelle che
usava, la più degna di commiserazione, certamente, era colei che, mentre egli
agiva su altre, era costretta a scrollarlo per spremere qualche goccia di
sperma ch'egli perdeva vendicandosi poi con atrocità del furto fisico, così
diceva, di cui era stato vittima.
Antonin, il terzo attore delle voluttuose
orge, aveva quarant'anni, piccolo, esile, molto forte, temibilmente munito come
Severino e quasi malvagio quanto Clément, entusiasta dei piaceri dei
confratelli, vi si abbandonava tuttavia con diversa intenzione. Se Clément,
nella sua barbara mania, aveva come unico scopo quello di angariare,
tiranneggiare una donna senza goderne in altri modi, Antonin, godendone in
semplice modo naturale, la flagellava, la tormentava per ottenere più calore,
più energia: l'uno, in una parola, era brutale per gusto, l'altro per
raffinatezza. Antonin sommava a tale fantasia qualche capriccio consono ai
propri gusti; gli piaceva appassionatamente inconnare una donna, farla pisciare
nella sua bocca e tante altre piccole infamie che i nostri lettori verranno a
sapere nei particolari man mano che procederanno in queste memorie.
Ambroise aveva quarantadue anni; era basso,
tozzo, grasso e il suo umile aggeggio si distingueva appena; di un eccessivo
libertinaggio, aveva la passione dei ragazzini e gli piaceva nelle ragazze solo
ciò che le avvicinava a quel sesso. Il suo divertimento preferito, dopo essersi
fatto sferzare a sangue il culo, era di farsi cacare in bocca mentre gli altri
continuavano a pelarlo; ingoiava lo stronzo, fottendo il culo che lo
depositava; neppure le Grazie sarebbero riuscite a qualcosa senza tale
procedimento, tanto è vero che la voluttà autentica risiede nell'immaginazione,
esclusivamente e deliziosamente nutrita dai mostri generati da tale capriccio
della mente.
Sylvestre fotteva in conno e sommava a tale
semplice piacere due o tre manie assai singolari: la prima consisteva nel
volere assolutamente che la donna che stava fottendo cacasse durante
l'operazione; la seconda, più fastidiosa per il timpano e più stancante per la
donna, consisteva nel lanciare alte grida mentre scaricava e nel non procedere
all'operazione se non dava venti schiaffi al disgraziato oggetto del suo
godimento, del quale inoltre aveva cura d'impiastricciare la faccia con lo
stronzo depositato nella sua mano. Sylvestre aveva cinquant'anni; mal fatto,
ributtante, ma munito d'intelligenza e di malvagità quanto i confratelli:
nessuno mancava di tali qualità, considerate base essenziale del loro
libidinoso sodalizio.
Jérome, il più anziano dei sei eremiti, aveva
sessant'anni, ma se era il più vecchio era anche il più libertino. Tutti i
gusti, tutte le passioni, tutti i crimini erano riuniti nell'anima di questo
monaco; sommava ai capricci degli altri irregolarità ancor più stravaganti e
circostanze assai più libidinose: tutte le vie di Venere, tutti i sessi,
d'altra parte, gli erano indifferenti; le sue forze cominciavano a indebolirsi
e così, da alcuni anni, preferiva quella che non richiedeva niente da parte
dell'agente, lasciando al paziente iil compito di risvegliare le sensazioni e
di produrre l'emissione del seme: la bocca era il suo tempio favorito e, mentre
veniva succhiato, si faceva dare grandi sferzate. Quanto a carattere Jérome
era, d'altronde, malvagio, sornione come i confratelli e altrettanto zelante
partigiano dell'antifisico; anche a lui piaceva farsi fottere e sodomizzare dai
ragazzini quando, preparato dalla loro bocca, aveva ritrovato in quel ristoro
le forze necessarie all'impresa.
Qualunque forma potesse assumere il vizio,
poteva essere certo di trovare nell'infernale casa o dei sostenitori o
ricettacolo. Fondi prodigiosi erano riservati per mantenere all'ordine dei
Benedettini tale osceno ritiro, esistente da più di un secolo e sempre abitato
dai sei religiosi più ricchi, più elevati in grado, di nobili natali e di
libertinaggio raffinato tanto d esigere di essere sepolti in quel buio rifugio
dal segreto inviolabile.
Continuiamo a ritrarre a grandi tratti.
Justine riposa, i monaci cenano: abbiamo il tempo di terminare qualche quadro,
così metteremo in luce alcuni importanti e necessari particolari di questa
strana dimora del crimine e della sregolatezza.
C'erano due serragli nella casa: uno di
diciotto maschi, l'altro di trenta femmine, per cui ciascuno forniva una
squadra di cinque ragazze e tre ragazzi. Una sola donna ne era il capo: la
chiamavano Victorine; e siccome le sue capacità, le sue mansioni meritano
qualche chiarimento, le dedicheremo un paragrafo a parte. Una grande sala
accoglieva ciascuno di tali serragli. Eccone la suddivisione:
Le sale erano rotonde; una tavola per il
pranzo era al centro; le celle ornavano l'ambulacro; ogni individuo dormiva da
solo e la cella era composta da due vani: il letto in uno, il bidè e la sedia
con il buco nell'altro.
I diciotto maschi erano divisi in tre classi
di sei individui ognuna: le prime due si chiamavano classi dei gitoni; la terza, classe
degli agenti.
La prima classe dei gitoni era composta da
sei soggetti dai sette ai dodici anni; iil loro colore era il lilla e il loro
abito una marinara.
Nella seconda, sei giovani dai dodici ai
diciotto anni, abbigliati alla greca, color porpora.
Nella classe degli agenti si notavano sei
soggetti dai diciannove ai venticinque anni; questa classe portava il frac
all'europea, color mordoré.
Le cinque classi delle femmine si
distinguevano subito ed erano composte nel modo seguente:
La prima si chiamava le vergini, anche se non ne esisteva una sola; c'erano sei soggetti
dai sei ai dodici anni; il loro era un abito bianco attillato.
La seconda squadra ne contava sei, dai dodici
ai diciotto anni; erano chiamate le
vestali; erano vestite come novizie.
La terza era composta da sei beltà dai
diciotto ai ventiquattro anni, dette le
sodomiste, grazie alla superiorità delle loro natiche; erano vestite alla
greca.
La quarta offriva sei splendide donne dai
venticinque ai trent'anni; erano dette le
sculacciate, coerentemente al loro impiego; portavano un costume alla
turca.
Sei matrone costituivano la quinta classe; erano
ammessa dai trenta ai quarant'anni e anche oltre; erano vestite alla spagnola.
Non era fissato alcun ordine nella
composizione dei soggetti che dovevano partecipare alle cene. Quando Justine
sarà sistemata, vedremo la sua istitutrice curare quei particolari dei quali
diamo qui solo quanto è necessario per intendere la prima scena. Riprendiamola.
Le sedici prostitute che assistevano a quella
prima cena, dieci a tavola e altre addette al servizio,non avevano la stessa
età e perciò sarebbe impossibile ritrarle in gruppo.
Cominciamo dalle sei serventi; parleremo poi
delle dieci invitate.
Le sei serventi non appartenevano a una casta
diversa dalle altre prostitute: tale mansione veniva assolta a turno; tutte
prima o poi l'assolvevano. Vedremo presto Justine ricevere disposizioni. Il
servizio, questa volta, era fatto dalle creature che stiamo per descrivere.
La prima aveva appena dieci anni, un musetto
patito, tratti graziosi, pelle molto fine e molto bianca, culetto appena
pronunciato, avvilita per il suo destino, spaurita e tremante.
La seconda aveva quindici anni; il medesimo
imbarazzo, il modo di comportarsi del pudore umiliato, ma volto incantevole,
molto attraente nell'insieme, poco petto, sedere rotondo e ben tagliato.
La terza aveva vent'anni; fatta a pennello,
il più bel petto e le più belle natiche del mondo, superbi capelli biondi,
tratti fini, regolari e dolci, un po' meno timida delle prime due.
La quarta aveva venticinque anni, era una
delle donne più belle che si potessero vedere; candore, pudore, onestà nel
contegno, e tutte le virtù di un'anima dolce, carnagione bellissima fianchi e
posteriore che potevano servire da modello.
La quinta aveva trent'anni; incinta di sette
mesi, aspetto languido e sofferente, begli occhi attraenti, aria da vergine.
La sesta aveva trentadue anni; bruna,
vivacissima, begli occhi, ma senza più alcun pudore, ritegno o decenza; culo
mediocre e molto scuro, pelosa, anche al buco del culo.
Le invitate e i maschi si alternavano a
tavola con i monaci. ne conosciamo già uno; parliamo quindi degli altri.
Il primo aveva solo otto anni; era l'immagine
dello stesso amore; il piccolo furfante era seduto nudo fra Ambroise e Jérome,
che, tuti e due, lo baciavano, lo scrollavano, gli maneggiavano le natiche a
gara.
Il secondo aveva tredici anni; grazioso come un angiolo,
aspetto dolce e delicato, begli occhi; era nudo dalla vita in giù, il suo
culetto bianco era un piacere degli occhi.
Il terzo aveva sedici anni; fatto a pennello,
incantevole e già con il più leggiadro membro del mondo.
Il quarto e il quinto erano entrambi stati
scelti nella classe degli agenti; uno aveva ventidue anni, l'altro venticinque;
entrambi ben fatti, capelli superbi e mostruosi bischeri; era impossibile
impugnare quello di quest'ultimo: era almeno di sette pollici di circonferenza
e dieci di lunghezza.
La prima delle prostitute invitate, scelta
fra quelle della classe delle vergini, aveva otto anni; era una rosellina
appassita prima che la primavera la facesse sbocciare: forse sarebbe diventata
graziosa, ma sciupata dal libertinaggio, cosa ci si poteva attendere da un tal
soggetto? Fino a che punto occorrerebbe portare la dissolutezza e il delirio
delle passioni per recare tanto oltraggio alla natura!
La seconda aveva appena raggiunto il suo secondo
lustro; molto graziosa, da due anni non era più ergine da nessuna parte, e tale
infamia era stata opera di Jérome.
La terza, la quarta e la quinta erano
sorelle; la minore aveva tredici anni, la seconda quattordici, la maggiore
quindici. Erano chiamate le tre Grazie: era veramente impossibile ammirare
qualcosa di più fresco, di più carino, di più attraente. Si somigliavano: gli
stessi occhi, romantici e turchini; la stessa capigliatura bionda, la stessa
avvenenza nell'insieme, lo stesso taglio di natiche; e sebbene quelle della più
giovane non fossero ancora ben formate, confrontando quel che di bello mostrava
in tale genere con ciò che ugualmente possedevano le sorelle, era facile capire
che ne sarebbe risultato un capolavoro.
La sesta aveva diciotto anni; era una delle
più belle creature di questo mondo, un vero modello per un artista; a giudizio
di tutti aveva il più bel culo del serraglio.
La settima, per quanto ugualmente ben fatta,
non era altrettanto leggiadra e anzi leggermente pingue; aveva diciannove anni
e un petto di Venere.
L'ottava aveva vent'anni; era incinta di otto
mesi; bianchissima, occhi molto belli, capelli superbi, ma aspetto languido…
affaticato.
La nona aveva trent'anni, grossa come una
torre, proporzinalmente alta; bei tratti, ma di forme troppo colossali e troppo
sciupate dalla pinguedine; era completamente nuda, come le serventi, quando
Justine entrò; era facile notare che nessuna parte del suo corpo era esente dai
segni lasciati dalla brutalità degli
scellerati dei quali la cattiva stella la costringeva a servire le passioni.
La decima era una donna di quarant'anni,
sciupata, rugosa, ma ancora bella; fare grandemente libertino; il suo culo
avvizzito respirava lussuria; l'entrata era ampia e rosso scuro; come metà dei
monaci era già ubriaca quando Justine entrò.
Continuiamo ora il racconto di come fu
accolta la nostra eroina in quel locale impuro.
- Mi pare, dice Sylvestre, che dovremmo fare
un po' più festa a questa bella figliola, e non lasciarla languire in questo
modo in un angolo, ma darle almeno il benvenuto con tutti gli onori.
- L'avevo già pensato, dice Severino, ma vi
ho visti così profondati nei vostri sporchi piaceri… Come tirarvi
fuori dalla vostra crapula… come? E ammetterete che non mostrate di dar troppo
valore alla mia interessante scoperta, ricevendola con tanta indifferenza.
- Perfidi risultati della sazietà, dice
Ambroise; ecco dove conduce l'abbondanza!
- Io non mi accordo di questa abbondanza dice
Jérome; sono così stufo di quel che mi attornia che sento solo bisogni: non c'è
neppure un quarto, qui, di quel che occorre alla mia lussuria.
- Hai ragione, dice Clément andando verso
Justine, afferrandola per il collo e facendo scivolare nella sua bocca di rosa
la lingua più impura.
- Sì, cazzo! ha ragione, dice Antonin andando
a salutare nello stesso modo la nostra eroina.
Ed eccoli tuti e due a dare linguate per un
quarto d'ora mentre Jérome, inginocchiato davanti alle sue natiche dardeggia la
lingua nel bugnino. Syvestre fa altrettanto con il clitoride e intanto scrolla
il bischero di Severino fortuitamente capitatogli fra le dita; e in meno che
non si dica, la cara fanciulla è attorniata e le è impossibile sottrarsi. E' un
bel giglio in un nugolo di calabroni che succhiano, pompano, derubano da tutte
le parti il succo prezioso del fiore. Justine tuttavia fa quel che può per
sottrarsi ad infamie che le ripugnano, ma che la convincono che la sua
resistenza è inutile smanceria e che è meglio imitare rispettosamente
l'obbedienza delle compagne.
- Un momento d'attenzione, per favore, dice
Severino; mettetevi tutti attorno a me e che la nuova approdata, alla quale
rivolgo la parola, mi ascolti inginocchio con venerazione.
Schiava delle nostre fantasie, dice il
monaco, tu che il caso ha posto nelle nostre mani, non leggi in tale decreto
della sorte il futuro che ti attende?
Nulla qui è opera del caso, tutto è secondo le leggi della natura, e poiché per
concatenamento di tali leggi sei venuta in nostro possesso, ciò significa che
la natura vuole che tu ci serva. Segui dunque il tuo destino con rassegnazione:
non dimenticare che la più lieve resistenza ai nostri capricci, quali che
siano, sarebbe la tua condanna a morte. Osserva le compagne che ti stanno
attorno: non ce n'è una che sia venuta di sua spontanea volontà in questa casa;
la forza dell'astuzia le hanno condotte. Tutte, come te, hanno cercato di fare
resistenza e tutte hanno subito riconosciuto l'assurdità del loro progetto
quando si sono accorte che ciò che esse potevano opporre le avrebbe condotte a
spaventoso trattamento. Justine, dice allora il superiore, indicando le
discipline, le verghe, le ferule, gli scalpelli, le tenaglie, gli stiletti e
gli altri strumenti di tortura, o Justine, è bene che lo sappiate, ecco in che
modo seducente ci comportiamo con le ragazze ribelli, e subito riusciamo a
sottometterle: giudicate voi se avete voglia di essere convinta. O preferite
ricorrere a reclami? A chi li indirizzereste? Chi accoglierà la vostra
lagnanza, in un luogo che sarà sempre pieno per voi di delatori, giudici e
carnefici? Vi appellerete alla giustizia? Conosciamo solo quella della nostra
voluttà… Le leggi? Non ammettiamo che quelle delle nostre passioni… L'umanità?
Nostro unico piacere è violarne ogni principio… La religione? non ne sentiamo
il freno; il nostro disprezzo aumenta man mano che l'osserviamo più da vicino…
Parenti, amici? Niente di tutto ciò in questi luoghi; vi troverete solo
egoismo, crudeltà, dissolutezza e ateismo. La rassegnazione costringe a molte
cose, qui. I sette signori assoluti con i quali avrete a che fare, compresa la
direttrice, tali sette signori assoluti, dicevo, sono soggetti ogni giorno a
terribili capricci, e la minima resistenza ai loro atti di forza o di tirannia
comporta inesorabilmente orrendi supplizi o la morte. Nella fuga forse sperate
salvezza? Oh! Justine, tutto inutile: osservate l'asilo impenetrabile in cui vi
trovate; mai alcun mortale penetrò queste mura; il convento potrebbe essere
preso, frugato, bruciato, ma questo ritiro continuerebbe ad essere ignoto. E'
un padiglione isolato, sottoterra, attorniato da sei cinte spesse ciascuna sei
piedi; e qui vi trovate, mia ara, circondata da sei scellerati che non
desiderano risparmiarvi e che le preghiere, le lacrime, le genuflessioni o le
grida infiammano ancor di più. A chi dunque rivolgervi? a chi chiedere aiuto?
Forse Dio che siete venuta ad implorar con fervore e che, per ricompensarvi di
tanto zelo, vi ha fatta sprofondare un pochino di più nell'inganno… nella
ignobile e disgustosa chimera che noi stessi ogni giorno oltraggiamo insultando
le sue vane leggi? Convincetevi dunque, Justine, che non esiste potere, di
qualunque natura, capace di togliervi di qui; non esiste fra le cose possibili
e neppure miracolose modo di sottrarvi al nostro potere… che possa impedire che
diveniate, in tutti i sensi e in tutte le maniere la preda di orribili
lussurie… lo zimbello di eccessi libidinosi ai quali tutti e sei ci
abbandoneremo con voi. Vieni avanti, sgualdrina, offri il corpo ai nostri
capricci, consegnalo tutto intero agli orrori con i quali lo segneremo o
barbari trattamenti ti dimostreranno quale rischio corre una miserabile come te
se disobbedisce.
Simile discorso, com'è facile immaginare, fu
applaudito da tutti i monaci; Clément trovò divertente sculacciare le natiche
di Justine per applaudirlo più calorosamente.
In quel momento la sventurata comprese
appieno l'orrore della situazione. Si precipita ai piedi di don Severino e
ricorre all'eloquenza di un'anima disperata supplicandolo di non abusare del
suo triste stato: lacrime amarissime e copiose inondano le ginocchia del monaco
e a tutto quel che la misera considera più convincente e più patetico essa
ricorre per impietosire il mostro. A che scopo? Ignora dunque che le lacrime
sono un'attrattiva in più per i libertini? dubita forse che ogni tentativo per
impietosire i barbari finisce per infiammarli maggiormente?
- Via, dice il superiore respingendola
brutalmente, cominciamo, amici! facciamo subire a questa sgualdrina la rituale
accoglienza e non usiamo alcuna clemenza.
Un cerchio si forma; è composto dai sei
monaci, circondati ciascuno da due femmine e un maschio; Justine è messa al
centro ed ecco il passio che subì con i tre giri di rito, ai quali erano state
anche sottoposte le sue compagne quando erano entrate in quella dimora.
Severino è il primo; accanto a lui la
prostituta di quindici anni, quella di trentadue e il ragazzino di sedici.
Clément segue; ha accanto la prostituta di
vent'anni, quella di venticinque e il ragazzino di tredici.
Antonin segue; attorno a lui la prostituta di
quattordici anni, quella di diciotto e il Ganimede di otto.
Ambroise è in mezzo alla prostituta di dieci
anni, quella di diciannove e il fottitore di ventidue.
Sylvestre, con il fottitore di venticinque
anni, ha al suo fianco la prostituta di trenat e quella di quarant'anni.
Jérome ha il gitone di quindici anni, il
medesimo che abbiamo visto nella chiesa durante la confessione di Justine, la
prostituta di tredici e quella di otto anni.
Justine è condotta nel cerchio dalla donna
incinta di ventisei anni; la presenta ad ogni monaco; entrambe sono nude.
Arriva a Severino che stava palpando le
natiche della giovane quindicenne mentre il piccolo pederasta lo scrollava; nel
frattempo egli obbligava l'altra prostituta di trent'anni a succhiare il
bischero del giovane: il monaco si fa fare l'identico trattamento da Justine
trafficando nel buco del suo culo.
Passa a Clément che si stava divertendo a
sculacciare la prostituta di venticinque anni, a pizzicare le natiche della
prostituta di venti anni e a farsi scrollare dal suo ragazzino: Justine offre
il culo; Clément lo bacia e annusa le ascelle.
La nostra eroina si avvicina ad Antonin che
stava scrollando le due prostitute mentre il suo gitone lo socratizzava: egli
succhia il clitoride di Justine.
Passa ad Ambroise; stava fottendo il
pederasta e scrollava con le dita un culo per ciascuna mano: Justine gli sfrega la faccia con il
culo.
Sylvestre fra la seconda prostituta di
trent'anni e quella di quaranta, palpeggiando il culo di questa e il conno di
quella e facendosi inculare dal suo fottitore, bacia Justine, lingua in bocca,
lingua in conno e lingua in culo.
Jérome, scrollato dal gitone di quindici
anni, ha un dito nel culo della prostituta di sette anni, uno nel conno della
prostituta di tredici: ficca l'arnese nella bocca di Justine.
Il giro ricomincia.
Durante questo secondo giro tutti i monaci si
fanno succhiare dai maschi mentre le femmine, sedute su sgabelli, sopra le loro
teste, hanno le natiche sul loro naso: Severino socchiude le natiche di Justine
e si fa fare un peto in bocca.
Clément le affonda un dito nel culo e la
scuote per un quarto d'ora.
Antonin le fa sentire il suo arnese all'orlo del conno e lo ritira velocemente.
Ambroise incula ed esce dopo due o tre scossoni. Sylvestre l'inconna brevemente
e trova un non so che di decisamente virgineo. Jérome mette, per ottenere
subito sperma, alternativamente l'arnese nel culo, nel conno e nella bocca.
Si procede al terzo giro. Tutti i monaci ora
fottono.
Severino incula la prostituta di quindici
anni che geme ai raddoppiati sforzi del suo bischero; il ragazzo di sedici lo
fotte mentre egli sculaccia energicamente la prostituta di trentadue anni:
quando Justine si presenta, le morsica il culo.
Clément fotte nella bocca del ragazzino di
tredici anni; la prostituta di venticinque lo frusta; ha sotto gli occhi il
sedere di quella di venti: ordina a Justine di leccarle il buco del culo e
subito dopo di baciarlo in bocca e le dà intanto due schiaffi.
Antonin fotte il piccolo conno della
prostituta di quattordici anni; sculaccia il gitone di otto e la prostituta di
diciotto anni gli fa leccare il suo conno: egli morsica fino a farlo sanguinare
il seno sinistro di Justine, dandole sei manate sul sedere, lasciando un segno
che solo tre giorni dopo scomparirà. Dà quindi un colpo di reni così vigoroso
da far temere che la sua fottitrice si spacchi in due; la povera bambina lancia
un grido: Antonin che non vuole scaricare, deconna immediatamente; ferisce la
ragazzina, il suo bischero è coperto di sangue; per consolarla, la frusta. E
avanti.
Ambroise incula la prostituta di dieci anni;
si fa fottere dal ragazzo di diciannove anni e armeggia con le natiche della
prostituta di ventidue: dà venticinque colpidi frusta a Justine, senza scomporsi.
Sylvestre inconna la donna di quarant'anni
alla pecorina; essa gli caca, intanto, sulla radice del membro; il giovane di
venticinque anni lo fotte ed egli bacia, succhia l'interno del conno della
prostituta di trent'anni, rovesciata indietro a quattro zampe, su di lui, le
cosce molto aperte. Egli si getta come un cane arrabbiato sul conno di Justine,
quando si avvicina, e lo morsica a sangue. Il furfante scarica lanciando alte
grida, ma cambia tempio ed è nel culo della vecchia che lo sporcaccione perde
il suo sperma.
Jérome fotte nel culo della piccola di otto
anni; succhia l'arnese del gitone di quindici, si diverte a dare buffetti sul
naso della prostituta di tredici anni: pizzica poi i seni di Justine, talmente
forte da farle lanciare un urlo; il furfante per farla star zitta, le sferra
cinque o sei pugni così violenti sui fianchi da farle vomitare tutto quello che
ha nel ventre.
- Su, dice Severino che non sa più dominarsi
con l'eccitato bischero che par minacciare le volte, passiamo a cose più serie:
fottiamola come si deve.
Così detto, rovescia Justine su un divano, le
reni in aria; due prostitute la tengono ferma: il superiore, lo spadone in
mano, avanza e punta verso il buchino; spinge senza inumidire, fa breccia;per
quanto enorme, penetra; lusingato dai felici preliminari, raddoppia, arriva
fino in fondo. Justine urla: che importa! l'energumeno è felice. Sentiamo
disagio dei dolori altrui nella lubricità? L'italiano viene inculato; quattro
donne nude si stringono intorno a lui; vede l'immagine che adora riprodursi in
mille forme; scarica.
Clément si fa avanti; è armato di verghe; i
suoi perfidi propositi gli brillano negli occhi.
- Vi vendicherò io, dice a Severino; punirò
questa furfante per aver posto resistenza ai vostri piaceri.
Non ha bisogno di essere aiutato a tener
ferma la vittima; con un braccio la stringe e la comprime su un ginocchio che,
facendo rientrare il ventre, mette in maggiore evidenza il superbo culo che
vuol flagellare. Prima fa qualche prova, sembra che voglia rendersi conto della
situazione; ma poi ardente di lussuria, eccitato dagli esempi di oscenità che
lo circondano, il crudele colpisce con tutte le forze; nulla sfugge alla sua
ferocia: dal mezzo delle reni fino al grasso delle gambe, tutto è percosso dal
traditore; ha anche l'ardire di mescolare l'amore a tali momenti di terrore e
la sua bocca s'incolla su quella di Justine e vuole respirare i sospiri che il
dolore strappa; colano lacrime, egli le divora. Ora bacia e ora minaccia, ma
continua a colpire. Mentre opera, la graziosa ragazza di diciotto anni gli
succhia il bischero, un fottitore lo incula.
Più gli procurano piacere e più le sue sferzate sono violente; la misera
Justine quasi ne è dilaniata e niente fa prevedere la fine dei suoi tormenti.
E' inutile affannarsi… sfoderare le più avvenenti grazie, il gran rizzatore è
insensibile: una nuova crudeltà lo decide; il sublime petto di Justine è lì; lo
eccita; vi posa la bocca; l'antropofago lo morde e tale eccesso determina la
crisi; lo sperma fugge, spaventose bestemmie ne commentano il getto, e il monaco, sfibrato, abbandona
Justine a Jérome.
- Non sarò per la vostra virtù più pericoloso
di Clément, dice il libertino, accarezzando le natiche sanguinanti della
miserella, ma voglio baciarle, queste ferite; mi onoro di fare quel che doveroso. Clément, ti supererò: voglio dare
una strigliata al loro vicino.
Gira, sistema bene il liscio ventre e il
delizioso pube ombreggiato dalla nostra incantevole orfana, e barbaro dilania
tutti a scudisciate; poi,facendola mettere in ginocchio davanti a lui,
s'incolla a lei in questa posizione e la sua focosa passione si placa facendosi
succhiare. Mentre così fa, la donnona lo sferza; quella di trent'anni gli caca
sul naso; quelle di quattordici e di quindici anni fanno altrettanto sulle
mani. Ecco gli eccessi in cui la sazietà ha fatto finire Jérome: comunque, è
felice a forza d'impurezze; e la bocca di Justine riceve infine, dopo una
mezz'ora, con ripugnanza facilmente immaginabile, il disgustoso tributo del
vecchio fauno.
E' la volta di Antonin, l'arma puntata.
Userebbe volentieri il metodo di Clément: la fustigazione attiva gli piace
quanto all'altro monaco, ma siccome ha fretta e l'enorme bischero sbava di
lussuria, la degradazione in cui si trovano le cose gli basta; esamina le
deliziose vestigia; se ne rallegra e lasciando Justine ventre a terra,
massaggia energicamente le due natiche mentre una delle prostitute lo scrolla e
porta il bischero alla vagina. Il libertino spinge, l'assalto violento quasi
come quello di Severino, portato lungo un sentiero meno stretto è tuttavia più
sopportabile. Il vigoroso atleta afferra le due anche e, supplendo ai movimenti
che Justine non può fare, la scuote su di sé energicamente : si direbbe,
vedendo i terribili sforzi di quest'Ercole, che non ancora soddisfatto di
essere padrone della roccaforte voglia ridurla in polvere. Assalti tanto
crudeli fanno soccombere Justine, ma per niente preoccupato, il crudele
vincitore solo pensa ad assaporare il proprio piacere. E' attorniato, eccitato,
tutto concorre alla sua voluttà: di fronte a lui, alzata sulle reni, la
prostituta di vent'anni gli fa succhiare il conno; quella di quaranta, in
ginocchio, la faccia tra le natiche, gli traffica il culo, e il furfante
intanto scrolla con una mano il bischero del ragazzo di tredici anni e con
l'altra il clitoride della prostituta di sedici: non c'è uno dei suoi sensi che
non sia solleticato, non uno che non concorra alla perfezione del suo delirio:
lo raggiunge, ma la saggia Justine non sente che dolore. Lo scellerato
raggiunge da solo il godimento: i suoi sforzi, le sue urla, tutto è un annuncio
e la pudica creatura, suo malgrado, è avvolta da una fiammata da lei accesa
solo per la sesta parte.
Ambroise la prende quando ne esce. La sua
furia ha solo bisogno di un culo: fortunatamente il suo arnese non fa paura,
arriva in fondo in un momento, ma l'incostante non ferma; esce, si rituffa, si
ritira per sprofondare di nuovo e, ad ogni intervallo, la sua bocca richiede
uno stronzo che infine gli è dato.
- Ah, porcodio, esclama, quando lo ha, ecco
quel che mi ci voleva per scaricare.
Si risistema; lo sodomizzano; quattro bei
culi, due maschio e due femmina, si organizzano attorno a lui; tutti lanciano
peti, cacano, loffano; gliela fanno sul naso, sulla faccia, nella bocca; gliene
riempiono le mani, e l'impudico, al colmo della felicità, perde sperma inveendo
contro la causa d'ogni sua voluttà.
Sylvrestre arriva. Fotte un conno che gli è
già costato sperma, ma nel frattempo vuole succhiare un bischero, e il liquido
che egli pompa da quello lo travasa nella bocca di colei della quale gode. Lo
fottono; egli scrolla a destra la prostituta di diciotto anni; a sinistra
palpeggia il culo di quella di quattordici e particolarmente eccitato dal
leggiadro conno di Justine, da quel conno quasi vergine e che rende sempre la
virtù immacolata senza macchia della misera fanciulla, il furfante scarica
ancora una colta lanciando urla che si sentirebbero a una lega di distanza se
il luogo non fosse ben isolato.
Tuttavia Severino pensa che la disgraziata
possa avere bisogno di qualcosa: le offrono un bicchiere di vino di Spagna, ma
poco sensibile a tali interessate attenzioni, si abbandona al lacerante dolore
che le lacera l'anima. Che situazione, infatti, per una fanciulla che fa
risiedere tutta la sua gloria e la sua felicità nella virtù! che trova
consolazione ad ogni avversità nella gioia di mantenersi pura! Justine,
disfatta, non riesce a sopportare l'orrendo pensiero di essere tanto
crudelmente bollata da coloro dai quali doveva attendersi spontaneamente aiuto:
le sue lacrime colano copiose, i suoi alti gemiti fanno echeggiare le volte, si
rotola per terra, si fa male al seno, si strappa i capelli, invoca i suoi
carnefici implorando la morte. Chi lo crederebbe? Sì, invece, chi conosce
l'anima dei libertini non si meraviglierà d'alcuno dei loro strani moti: lo
spaventoso spettacolo eccita i mostri.
- Oh, cazzo, dice Severino, non ho mai
assistito a una scena tanto bella: guardatela in che stato: è indicibile quel
che suscita in me il dolore delle donne! Riacchiappiamola, la sgualdrina,e, per
insegnarle ad urlare così, nessun riguardo con lei.
Ciò detto e avvicinandosi con le verghe in
mano, flagella Justine con violenza. Quale somma ferocia! E' mai possibile che
quei mostri la spingessero fino al punto di scegliere il momento di una crisi
di dolore morale violenta quanto quella della loro vittima per scuscitarne una
fisica tanto barbara? Un gitone succhia Severino mentre opera; una prostituta
lo frusta. Dopo cento colpi, si fa avanti Clément: ne dà altrettanti: viene
fottuto mentre flagella; la più giovane delle prostitute lo scrolla. Antonin
segue, e frusta il davanti; colpisce dall'ombelico fino al pube; intanto è
socratizzato da una donna e scrollato da un'altra. Ambroise, che traffica nel
culo della prostituta di quindici anni e succhia il gitone di otto, ricomincia
con il culo per riaprirne le piaghe: non si ferma fino a sessanta. Sylvestre,
mentre due donne gli cacano sul naso, vuole flagellare intanto il dorso, le
reni e il basso delle cosce. Jérome, al quale la donna di quarant'anni punge le
natiche con uno spillone d'oro e che la prostituta di quattordici anni scrolla,
condanna tutto e non risparmia niente.
- Mettiamoci tutti e sei su di lei, dice
Severino introducendosi nel culo.
- Va bene, dice Antonin, impadronendosi del
conno
- Così sia fatto, dice Clément, fottendo
nella bocca.
- Ci scrollerà uno con una mano l'altro con
l'altra, dicono insieme Ambroise e Sylvestre.
- E io, cosa avrò io? dice Jérome.
- Le mammelle… sono stupende, dice Severino.
- Non mi piacciono, risponde il libertino.
- Allora prenditi il culo, dice il superiore,
infilandosi fra i due seni.
Si dispongono;l'infelice inizia la partita
sola contro i sei monaci, e gli accessori si dispongono. Sopra Jérome che
sodomizza, si dispongono artisticamente i culi delle tre belle sorelline: egli
può baciarli fottendo. All'altezza della faccia di Antonin, che inconna, stanno
socchiusi, altre graziosi conni. Ambroise, cheè scrollato, restituisce, una
mano per ciascuno, ai due gitoni di sedici e di diciotto anni. Sylvestre, anche
lui scrollato, strofina le natiche della donnona di trentacinque anni e dirige
sulle natiche della prostituta di diciannove il getto di sperma che Justine fa
zampillare. Clément, che fotte in bocca, mordicchia, divertendosi, un piccolo
conno imberbe e le natiche disegnate appena di un piccolo pederasta. Sono messe
a portata di Severino, che fotte le mammelle, quelle della donna incinta che
egli tratta un po' duramente, e le natiche di n'altra sultana che il crudele
punge con uno spillo. Non c'è nulla di più lubrico dei gesti convulsi del
gruppo, composto da ventidue persone: ciò che resta fa attento circolo attorno,
e pare che ognuno voglia offrire ai sei principali attori tutto ciò che può
dare maggiore eccitamento. Tuttavia Justine sopporta tutto: pesano interamente
su di lei. Severino dà il segnale, gli altri cinque lo seguono immediatamente,
ed ecco, per la terza volta, la nostra sventurata eroina spudoratamente
insudiciata dalle dimostrazioni della disgustosa lussuria degli insigni
furfanti.
- Mi par che basti come accoglienza, dice il
superiore mettendosi ad osservare Justine; adesso facciamole vedere che le sue
compagne non sono meglio trattate di lei.
E a questo scopo la mettono su una colonna
tronca posta ad una delle estremità della sala e sulla quale si poteva sedere appena; le gambe
pendevano e non aveva dove appoggiarsi o sostenersi, in posizione realmente
elevata che avrebbe potuto rompersi un membro se fosse caduta:quello era il
trono in cui era fatta sedere la regina della giornata; e una volta lassù le
viene raccomandato di osservare attentamente in ogni minimo particolare le
scandalose orge che stanno per essere celebrate.
La prima scena consistette in una
fustigazione generale. Le sedici prostitute, persino quella incinta, furono
attaccate ad una macchina assai ingegnosa: legate dalla testa ai piedi, una
molla scattando faceva loro divaricare le gambe e le cosce quando si voleva di
chinare la parte superiore del corpo fino a terra. Erano messe bocconi: le reni
e le natiche si trovavano allora ad un'altezza prodigiosa e la pelle era così
tesa, dilatata, che in meno di dieci vergate il sangue colava a fiotti. Erano
quindi messe supine: il ventre allora cadeva al punto di spaccarsi e siccome
grazie ad un'altra molla le cosce, come abbiamo detto, divaricavano
prodigiosamente, ne veniva che il pube e la vagina si presentavano ad una tale
altezza ed apertura che si sarebbe detto che stessero per spaccarsi. Non appena
la macchina fu pronta, Jérome e Clément proposero di mettervi Justine.
Severino, tuttavia, che giudicava il culo dell'infelice il più bello del mondo
e che voleva goderne per qualche tempo, fa presente che ella aveva giù avuto
abbastanza per essere il primo giorno, che dovevano lasciarla riposare e… Ma
Jérome lo interrompe; divora con gli occhi l'avvenente creatura; il suo
carattere feroce gli impedisce di mettere limiti ai desideri; contrasta la
tolleranza di Severino.
E' forse per riposare che una puttana è qui? dice
Jérome infuriato; vogliamo farne delle dame o delle bambole? Fino a quando
dovremo sentire continuamente parlare di umanità nel crimine e nella lussuria?
Una prostituta, si fermasse qui anche un'ora sola e crepasse nella seconda per
le pene e i tormenti che le infliggiamo, farebbe la volontà del destino e noi
non avremmo nulla da rimproverarci. Per che cosa se non per soddisfare le
nostre passioni, queste sgualdrine sono in casa nostra? e ci stanno secondo una
scadenza fissa? Quanta discrezione! e teniamo gli occhi ben aperti sulla legge
più saggia che noi stessi ci siamo dati. Apro il libro e leggo: "Uno dei
membri della società, qualora desiderasse, per sua propria soddisfazione, la
morte di tutti i soggetti componenti i serragli della casa, sarà proibito ad
ogni confratello di opporsi, e tutti, di comune accordo, si affretteranno a
favorirlo".
- Vado più in là di Jérome, io, dice allora
Clément mentre due prostitute lo scrollano, una datanti e l'altra dietro;
chiedo che la nuova arrivata sia, stasera stessa, sottoposta alle torture
dell'ultimo supplizio; mi eccita talmente che non posso vederla senza
desiderarne la morte, e la chiedo immediatamente.
- Conosco le nostre leggi quanto Jérome, io,
dice Severino flemmatico, ma citando l'articolo che va a favore di quanto
desidera, ha dimenticato quanto vi è di limitativo. Apro il libro al medesimo
articolo e leggo che, dopo quel che ha letto, dice: "Si farà attenzione a
procedere alla condanna del soggetto discreditato unicamente a maggioranza di
voti; parimenti avverrà per il supplizio che ne causerà la morte".
- Ebbene! dice Jérome, mettiamo
immediatamente la mia proposta ai voti, e intanto la vittima, durante la
discussione, sia, secondo l'uso, stesa su un cavalletto, le natiche verso i
suoi giudici.
Justine è immediatamente afferrata, legata:
il suo terrore e la sua angoscia sono tali da udire appena il verdetto.
Soggetti di lussuria attorniano i monaci, ognuno dei quali è fra due prostitute
e un ragazzo: solo così può giudicare e deve rizzare prima di esprimersi; la
decana delle prostitute controlla; tutto è a cielo scoperto. Dopo un attimo di
silenzio, il superiore mette ai voti i giorni di Justine, ma solo Jérome e
Clément votano per la morte: gli altri
quattro sono del parere di divertirsi ancora un poco con la ragazza. Ella è
dunque risistemata al suo posto e, per ottenere immediata distrazione, lo
stesso Severino lega sulla macchina infernale la prostituta di diciotto anni,
quella che indubbiamente è la più bella di tutte. E' messa bocconi; china; e le
sue belle natiche si mostrano in tutto il loro splendore. Ecco come avviene la
flagellazione; quella alla quale i lettori assisteranno sarà ripetuta anche per
le altre: ogni monaco esegue a turno;
accanto alla vittima c'è una giovanissima prostituta con tutti gli strumenti
necessari all'operazione; ella li dà al fustigatore che sceglie, a suo piacere,
quello che più gli piace e talvolta li usa tutti; un'altra prostituta, scelta
tra le più forti, frusta il monaco mentre opera; e uno dei ragazzini, inginocchiato
davanti a lui, lo succhia. Quella che deve subire la fustigazione è costretta a
stare in ginocchio, le mani giunte, in un'espressione di dolore e di
pentimento; davanti al fustigatore, lo prega, implora la grazia, piange e
intanto uno dei monaci, accanto all'agente, lo esorta perché sia disumano e
inflessibile, e gli rammenta quali grandi pericoli possono derivare da una
pietà male interpretata.
Tutte le prostitute, anche le più giovani e
quelle incinte, tutte sono spietatamente fustigate secondo tale procedura: ogni
monaco ne sbriga sedici, sia davanti che dietro. Quasi tutte ricevono doppio
trattamento e quel che più le affligge è la flagellazione anteriore perché è
per loro più dolorosa dell'altra; e infatti, siccome quegli scellerati cercavano
accuratamente e attivamente ciò che più poteva tormentare le sventurate,
badavano, fustigando il davanti, a far penetrare all'interno della vagina i
nodi della disciplina di cui si servivano in quel momento, in modo da suscitare
in quella parte delicata dolori lancinanti; e più la vittima si lamentava nel
crudele momento, più urlava, e più i libertini erano trionfanti, meglio
rizzavano, e più si divertivano. Non uno tuttavia ora scarica, tanto sono
abituati al vizio, tanto sono diventati indifferenti alle più forti e alle più
lussuriose scene.
Terminata questa scena, la donna di
quarant'anni e la donnona di trenta andavano a mettersi su un divano: due
prostitute andavano una alla volta a mettersi fra le loro braccia ed esse le
tenevano ferme: allora i monaci facevano subire all'una o all'altra paziente un
supplizio di scelta. Accanto ad ogni vittima erano due gitoni; imposta la
penitenza, il carnefice andava a rifugiarsi a sua scelta in quello dei quattro
culi che più gli conveniva; gli altri tre si offrivano ai suoi baci; venivano
tuttavia inculati nel frattempo e due prostitute si mettevano a disposizione;
un'altra, più anziana, non doveva mai scostarsi dal monaco che agiva allo scopo
di servirlo durante le sue operazioni e soprattutto nell'atto sodomita, essendo
suo dovere umettare il bischero con la bocca i infilarlo con le sue mani nel
culo presentato.
Severino comincia: il più giovane è offerto
alla sua passione. Lo scellerato pizzica le natiche con tale violenza da
lasciarle tutte nere alla fine dell'operazione; si rifugia nel culo di un
pederasta; incula, bacia e tocca indistintamente tutto quel che ha a portata di
mano: culo, conno, petto, la sua lussuria non fa differenze: l'uomo preso
da passione non guarda tanto per il
sottile; vuole perdere sperma; per riuscirci, tutto va bene; e il superiore ci
riesce.
Clément segue; la graziosa quindicenne è data
in preda ai suoi furori. Lo scellerato
si serve di una manciata di spine; sfrega energicamente tutto il corpo della
sventurata e bagna immediatamente con l'aceto le vesciche che ha fatto
gonfiare: si getta allora su un gitone, ma non rizza abbastanza per scaricare,
allora si fa succhiare, e il furfante scarica lasciando il segno dei denti,
rabbiosamente, sulle natiche della donna incinta desiderata dalla sua lussuria.
Si fa avanti Antonin; la bella prostituta di
diciotto anni servirà la sua rabbia. Al balordo piacciono i conni è vero, ma
ciò non gli impedisce di angariare, tormentare quello dell'affascinante
creatura e ciò in modo spaventoso. Non si può immaginare fino a che punto si
permetta di recare oltraggio a tale interessante parte: a colpi di spillo; lo
crivella scrollandosi; e quando l'atroce barbarie lo ha sufficientemente
eccitato, quando è ritto, si rifugia nel conno d'una delle più piccole che ha
sostituito il pederasta, e scarica trafficando in quello che ha offeso; tutto
ciò mentre lo fottono.
Arriva Ambroise: il mostro ha voluto come
paziente la stessa prostituta che ha servito al confratello, e la prende a
pugni come una pelota; li sferra così duri e così precisi da farla cadere
svenuta; incula il gitone di tredici anni, lo fottono, lui bacia culi e lo
sperma scatta.
Sylvestre si fa avanti: lo servirà la
prostituta di vent'anni; già gli presentano le sue natiche: come sono belle! E'
mai possibile essere tanto barbaro da recare oltraggio a ciò che la natura ha
fatto di più perfetto?
- Sentite, dice Sylvestre alla sua vittima:
non vi nascondo che quel che ho tenuto in serbo per voi è spaventoso, ma dipende da voi evitarlo: fatemi immediatamente un bello
stronzo e vi sarà condonato il resto.
Infame! sapeva che era impossibile; non
ignorava che la bella giovane lo aveva poco prima donato a Jérome. La poverina
espone l'impossibilità fisica in cui si trova di accordare quanto egli esige.
- Che seccatura, risponde Sylvestre.
E prendendo una tenaglia il barbaro le
strappa in cinque o sei punti la pelle delle cosce e delle natiche con tale
violenza che il sangue cola da ogni
piaga. Un conno è lì; vi sparisce: la sua fottitrice, istruita e che si è
tenuta pronta, non dimentica di cacargli sul bischero mentre lui inconna; due
altri stronzi gli sono lanciati da due culi maschili; lo fottono e il
furfante scarica bestemmiando contro
Dio.
Rimane Jérome; arriva: si eserciterà sulla
ragazza di tredici anni. L'energumeno si serve solo dei propri denti, ma ogni
morso lascia una traccia dalla quale esce subito sangue.
- Sono in uno stato tale che la divorerei,
dice il pederasta furioso; la mangerò viva, da molto tempo ho voglia di
divorare una donna e succhiarne il sangue.
Jérome rizzava come un demonio; si getta sul
culo del ragazzino di sedici anni, lo infilza, morsica tutto quel che gli
capita e scarica mentre lo sferzano.
I monaci bevono e riprendono forza mentre la sventurata
Justine, sul suo sgabello, sta quasi per svenire. La prostituta di quattordici
anni vuole consolarla: è condannata a trecento staffilate che le sono
immediatamente date dai sei monaci; il culo stilla sangue.
- Nessuna pietà, nessuna commiserazione, dice
Sylvestre; l'umanità è la morte del piacere; è per soffrire che queste
sgualdrine sono qui, e bisogna che il loro destino si compia. Constatato che
dei libertini quali noi siamo traggono dal massimo dolore inferto agli oggetti
destinati alla propria lussuria il massimo godimento, ammetterete dunque che è
venir meno al proprio scopo parlare di pietà. E cosa importa che una puttana
soffra, se gente come noi rizza! Le donne, create soprattutto per i nostri
piaceri, devono soddisfarli in un modo o nell'altro: se si rifiutano, devono
essere uccise come tutti gli esseri inutili, come le bestie pericolose, perché
non c'è via di mezzo,tute quelle che non sono utili alle nostre voluttà
nuocciono; pertanto sono delle nemiche: ora, la cosa più saggia, in tutti i
tempi e in tutti i luoghi, è sbarazzarsi del nemico.
- Sylvestre, dice Jérome, mi sembra che tu
dimentichi i principi della carità cristiana.
- Detesto, riprende Sylvestre, tutto ciò che
è cristiano; un'accozzaglia di simili turpitudini è fatta per avere il minimo
influsso su un uomo che sa ragionare? Tale infame religione, fatta per i
diseredati, mirava a favorirli e mettere dopo di ciò l'umanità nel rango delle
sue virtù, ma porcodio! amici miei, noi che nuotiamo in tutte le voluttà della
terra, che bisogno abbiamo di essere caritatevoli? Tale viltà lasciamola a chi
teme di non riuscire; a chi pensa sia doveroso essere servizievole con chi egli
ha imparato che un giorno potrebbe tornargli necessario: noi che non abbiamo
mai bisogno di nessuno, spegniamo tale debolezza nei nostri cuori e facciamovi
penetrare la lussuria, la crudeltà e ogni vizio che da esse scaturisce o è
rafforzato.
- Come! Sylvestre, dice Severino, sei
convinto che bisogna uccidere i propri nemici?
- Senza eccezione, riprende Sylvestre; e per
riuscirci non c'è inganno, violenza, tradimento o scaltrezza cui non si debba
ricorrere; e il motivo è semplice:non è forse vero che quel nemico mi
ucciderebbe se lo potesse?
- Certamente.
- Perché dunque risparmiarlo? La morte che
gli do non è più un oltraggio, ma giustizia; gli risparmio di commettere un
crimine; mi sostituisco alla legge e,uccidendo questo nemico, assolvo al
dovere stesso della legge, dunque non
sarò mai colpevole. Dico di più: non aspetterò mai, avendone la forza, che i
miei nemici si siano apertamente dichiarati tali, per ucciderli; mi sbarazzerò
di loro al minimo sospetto, alla più vaga delazione, secondo le apparenze,
perché è sempre troppo tardi quando l'uragano siè addensato: non sarebbe
prudente da parte mia non prevenirlo. A questo punto devo dire una terribile
verità, ma che, in quanto verità, non è possibile tener celata: una sola goccia
del nostro sangue vale di più di tutto il sangue che gli altri potrebbero
versare; e perciò non si deve mai esitare quando, per conservare quella goccia,
ne faremo colare fiumi. E' incredibile quanto si ricavi dai dati dell'egoismo
e, disgraziatamente per i filantropi, l'egoismo è la più santa e la più fondata
legge della natura. Inutile che altri lo definiscano un vizio: finché sentirò i
suoi consigli scolpiti in fondo alla mia anima, seguirò questo impulso e
respingerò il vostro errore. Essendo la maggior parte dei moti della
natura funesti alla società, è chiaro
che questa ne abbia fatto dei crimini, ma le leggi sociali hanno tutti gli
uomini per oggetto mentre quelle della natura sono individuali e
conseguentemente preferibili; la legge fatta dagli uomini, per tutti gli
uomini, può essere sbagliata, mentre quella ispirata dalla natura, nel cuore di
ognuno individualmente, è una legge indubbiamente esatta. I miei principi sono
rigidi, lo so, le loro conseguenze pericolose: ma cosa importa, se sono giusti?
Sono l'uomo della natura, prima di essere quello della società; ed io ho il
dovere di rispettare e di seguire le leggi della natura prima di badare a quelle
della società: le prime sono leggi infallibili, le altre sovente ingannano.
Secondo tali principi, se le leggi della natura mi costringono a sottrarmi a
quelle della società, se esse mi consigliano di sfidarle o di non curarmene, io
così farò continuamente, prendendo tutte le precauzioni necessarie alla mia
sicurezza perché tutte le istituzioni umane, basate su interessi cui partecipo
all'uno per milioni di miliardi non devono mai prevalere su ciò che è
strettamente personale.
- A sostegno dell'eccellente sistema di
Sylvestre, dice Ambroise, vedo un'unica cosa: prendere in considerazione l'uomo
naturale, isolarlo dalla massa sociale dove è stato posto necessariamente dai
suoi bisogni.
- Se i suoi bisogni ve lo hanno posto, dice
Severino, è necessario dunque, per quegli stessi bisogni, che ne osservi le
leggi.
- Ecco il sofisma, riprende Ambroise: ecco
ciò che vi ha spinti a fare le leggi, leggi ridicole. Fu solo per debolezza che
l'uomo si unì in società, sperando di trovarvi più facilmente ciò di cui ha
bisogno, ma se la società glielo accorda a condizioni assai onerose, non fa
egli meglio a procurarsi ciò di cui ha bisogno piuttosto che pagare un prezzo
tanto alto? non sarebbe più prudente per lui cercare di vivere nei boschi
piuttosto che andar mendicando nelle città, alla triste condizione di dover
soffocare le proprie tendenze… di sacrificarle all'interesse generale che rende
solo dispiaceri?
- Ambroise, dice Severino, mi sembri, come
Sylvestre, nemico delle convenzioni sociali e delle istituzioni umane.
- Le detesto, dice Ambroise; ostacolano la
nostra libertà, attenuano la nostra energia, avviliscono la nostra anima, hanno
trasformato la specie umana in un gregge di schiavi che il primo intrigante
conduce dove vuole.
- Quanti crimini dominerebbero la terra, dice
Severino, Senza le istituzioni e senza i padroni!
- Ecco quel che si dice un ragionamento da
schiavo, risponde Ambroise: cos'è un crimine?
- Un'azione contraria agli interessi della
società.
- E quali sono gli interessi della società?
- Tutta la massa degli intressi individuali.
- Ma se vi dimostrerò che gli interessi della
società sono ben lungi dall'essere il risultato degli interessi individuali e
che ciò che voi considerate interessi socialiè, al contrario, solo il
sacrificio di sacrifici personali, ammetterete che reimpadronendomi dei miei
diritti, anche a costo di ciò che definite crimine, farò tuttavia bene a
commeterlo, perché ristabilisce l'equilibrio, e mi restituisce quella parte di
forza che avevao ceduto ai vostri fini sociali a prezzo di una felicità
altrimenti negatami? Accettata l'ipotesi, cosa significa crimine, secondo voi?
Eh! no, no, non esiste crimine: esiste solo qualche infrazione al patto
sociale; ma io devo disprezzarlo, questo patto, quando impulsi che mi vengono
dal cuore mi avvertono che non può assolutamente concorrere alla felicità della
mia vita; devo preferire tutto ciò che la offende, dal momento che dal recare
oltraggio nasce la vera felicità per me.
- Già, davvero, dice Antonin, mentre mangia e
beve come un orco, una conversazione davvero immorale!
- E secondo voi cos'è morale, dite? domanda
Ambroise.
- Il modo in cui, dice Severino, gli uomini
procedono lungo il sentiero della virtù.
- Ma, riprende Ambroise, se la virtù è essa
stessa una chimera come lo è il crimine,
in che modo gli uomini dovrebbero procedere lungo il sentiero di tale chimera?
Mettetevi in testa che non esistono né virtù né crimine, che l'una e l'altro di
tali modi di essere sono locali e geografici, che nulla è definitivo al riguardo
e che è assurdo farsi guidare dalle proprie tendenze; abbandoniamoci ciecamente
a tutto ciò che esse ispirano, e on cadremo mai in errore.
- Sei convinto che non ne esistano di
cattive?
- Sono convinto che non se ne possa vincere
neppure una; mi limito a dirvi che le giudico tutte buone perché o la natura
non sa quel che fa o ha posto in noi quelle tendenze necessarie alle sue
intenzioni verso di noi.
- E così, prosegue Jérome, le anime perverse
di Tiberio e di Nerone erano secondo natura?
- Certamente; e i loro crimini sono stati
utili alla natura, perché non esiste un solo crimine che non sia utile ad essa,
non uno solo di cui non abbia bisogno.
- Sono cose talmente dimostrate e risapute,
dice Clément, che mi domando perché se ne continui a parlare.
- Mi diverte la depravazione che comportano,
dice Severino; ecco perché mi sono assunto la
parte avversa ai pre-oratori; è stato per offrire un'occasione di
esercitare le loro facoltà di ragionamento.
- Ti rendiamo atto, dice Ambroise, della
nostra certezza che sull'argomento hai voluto porti come controversità e che i
sentimenti che ho messo a nudo sono nel tuo animo come nel mio.
- Spero che nessuno ne dubiti, dice Severino;
forse li spingo persino più lontano: fino al punto di desiderare un crimine
così grande da soddisfare ogni mia passione; e fra quelli che conosco,
difficilmente trovo alimento con cui saziare le passioni che mi divorano; tutto
è al di sotto dei miei pensieri e nulla mi soddisfa.
- Da secoli sono al tuo stesso punto, dice
Jérome, e sono vent'anni che rizzo solo se penso a un crimine superiore a tutti
quelli che l'uomo può commettere a questo mondo; e sventuratamente non lo
trovo: tutto quel che facciamo qui no è che la parvenza di quel che vorremmo
poter fare; e l'impossibilità di offendere la natura è, secondo me, il maggior
supplizio dell'uomo.
- Voi rizzate, Jérome? dice Severino.
- Non parliamone, amici miei; guardate il mio
membro, com'è floscio. Ah! che rizzi o che non rizzi, sento sempre appetito di
male, sempre desiderio di farne e a sangue freddo ne ho commessi più di quanto
ne abbia perpetrati nel delirio.
- E così, dice Severino, avete preso l'abito
solo per ingannare gli uomini?
- Certamente,
risponde Jérome; è il mantello dell'ipocrisia, quello che dobbiamo portare continuamente.
La maggiore di tutte le arti è quella d'ingannare; non ne esiste un'altra
altrettanto utile sulla terra: non è la virtù che serve agli uomini, ma la sua
apparenza; solo questo chiede la società; gli uomini non vivono abbastanza
insieme per aver veramente bisogno della virtù: il guscio è sufficiente a chi
non va mai al nocciolo.
- Ed ecco spuntare nuovi vizi, perché mille
ne nascono dall'ipocrisia.
- Una ragione in più per amarla, dice Jérome.
Vi confesso che in gioventù non fottevo mai tanto volentieri come quando
l'oggetto cadeva nei miei trabocchetti a forza di astuzie e di ipocrisie: dovrò
un giorno raccontarvi la storia della mia vita.
- Bruciamo dal desiderio di udirla, dicono
insieme Ambroise e Clément.
- Sentirete, risponde Jérome, se mai mi sono
stancato del crimine.
- E come si potrebbe? dice Sylvestre, cosa
scuote maggiormente l'anima? cosa, come il crimine, solletica maggiormente i
sensi? Oh! cari amici, potessimo commetterne uno ogni minuto del giorno!
- Pazienza, pazienza, dice Severino
continuando nella parte del controversista, verrà il giorno in cui la religione
tornerà nei vostri cuori, in cui le idee dell'Essere supremo e del culto gli
dobbiamo, cancellando tutte le illusioni del libertinaggio, vi costringeranno a
dedicare a Dio tutti gli slanci di un cuore che avevate permesso schiavo del
crimine.
- Mio caro, dice Ambroise, la religione
domina esclusivamente coloro che sono incapaci di spiegare qualcosa senza il
suo aiuto: è il non plus ultra
dell'ignoranza, ma al nostro giudizio di filosofi la religione non è che una
fola assurda, degna del nostro disprezzo. E quali nozioni ci dà, questa sublime
religione? vorrei che qualcuno me lo spiegasse. Più la si esamina e più ci si
avvede che le sue chimere teologiche sono fatte per ingarbugliare le idee:
mutando tutto in mistero, questa fantastica religione ci offre quale causa di
ciò che non intendiamo qualcosa che intendiamo ancor meno. E' spiegare la
natura attribuire i fenomeni ad agenti sconosciuti, a potenze invisibili, a cause
immateriali? La mente umana si sente soddisfatta quando si sente dire che la
spiegazione di ciò che non intende sta nell'idea ancora più incomprensibile di
un Dio mai esistito? La natura divina, inconcepibile, e che ripugna al buon
senso e alla ragione, può indurre a concepire la natura dell'uomo già tanto
difficile da spiegare? Domandate a un cristiano, cioè a un imbecille, perché è
da imbecilli essere cristiani, domandategli, ripeto, qual è l'origine del
mondo: vi risponderà che Dio ha creato l'universo; domandategli ora chi è
questo Dio: non ne sa niente; cosa è creare: non ne ha la minima idea; qual è
la causa delle pesti, delle carestie, delle guerre, delle siccità, delle
inondazioni, dei terremoti: vi risponderà che sono la collera di Dio; domandategli
qual è il rimedio a tutti i mali: vi dirà: le preghiere, i sacrifici, le
processioni, le offerte, le cerimonie religiose. Ma perché il cielo è irato?
perché gli uomini sono cattivi. Perché
gli uomini sono cattivi? perché la loro natura è corrotta. Quale la causa di
tale corruzione? Perché, vi dicono, il primo uomo, sedotto dalla prima donna,
ha mangiato una mela, che il suo Dio gli aveva proibito di toccare. Cosa spinse
quella donna a compiere tale sciocchezza? il diavolo. Ma chi ha creato il
diavolo? Dio. Ma perché Dio ha creato il diavolo, destinato a pervertire il
genere umano? Lo si ignora; è un mistero nascosto nel seno della Divinità, essa
stessa un mistero. Volete continuare? volete domandare a quell'ignorante qual è
il principio nascosto delle azioni e degli impulsi del cuore umano? Vi
risponderà che è l'anima. E che cos'è l'anima? è uno spirito. Che cosa è uno
spirito? una sostanza che non ha né forma né colore né estensione né parte.
Come si può concepire una tal simile sostanza? come può muovere un corpo? Non
si sa, è un mistero. Le bestie hanno anima? No. E allora come mai le vediamo
fare, sentire, pensare, assolutamente come gli uomini? Qui silenzio, non sanno
più cosa dire: e la spiegazione è semplice: se attribuiscono un'anima agli
uomini il motivo va cercato nel loro interesse di farne quello che vogliono, in
virtù del dominio che si arrogano su tali anime; invece non hanno lo stesso
interesse con quella delle bestie, e un dottore in teologia si sentirebbe
troppo umiliato di trovarsi nella necessità di assimilare la sua anima a quella
di un porco. Ecco dunque le puerili soluzioni che occorre partorire per
spiegare i problemi del mondo fisico e morale!
- Ma, se tutti gli uomini fossero filosofi,
dice Severino, non avremmo la soddisfazione di essere i soli; ed è grande
soddisfazione uno scisma, grande voluttà non pensare come tutti gli altri.
- Sono anch'io di questo avviso, dice
Ambroise, e non si deve mai togliere la benda dagli occhi del popolo; deve
marcire nei suoi pregiudizi, è fondamentale. Dove sarebbero le vittime della
nostra scelleratezza, se tutti gli uomini fossero dei criminali! Si tenga
sempre il popolo legato al giogo dell'errore e della menzogna; appoggiamoci
sempre allo scettro del tiranno; proteggiamo i troni: essi proteggeranno la
Chiesa, e il dispotismo, figlio nato da questa unione, sosterrò i nostri
diritti nel mondo. Gli uomini si guidano con il bastone; vorrei che tutti i
sovrani (e ci guadagnerebbero) estendessero maggiormente la nostra autorità,
che non ci fosse stato dove non fosse presente l'Inquisizione. Guardate come
essa tiene legato il popolo al sovrano; mai tali catene saranno tango lunghe e
salde quanto in quei paesi in cui l'augusto tribunale si è incaricato di
saldarne gli anelli. Qualcuno si lamenta che è sanguinario: che importa! non è
più importante avere dodici milioni di sudditi sottomessi che ventiquattro che
non lo sono? Non dipende dal numero dei sudditi la grandezza di un principe, ma
dall'ampiezza del suo potere su di essi, dalla totale sottomissione degli
individui sui quali regna; e tale sottomissione non si realizzerò mai senza
l'aiuto del tribunale dell'Inquisizione che, vegliando sulla sicurezza del
principe e lo splendore del suo impero,immolerà ogni giorno tutti coloro che
minacciano e l'uno e l'altro. Eh! che importa se costa sangue cementare i
diritti di un sovrano! Se tali diritti vengono persi, il popolo ricade
nell'anarchia le cui conseguenze sono le guerre civili; e quel sangue che avete
tanto erroneamente risparmiato, non colerà allora in maggior quantità?
- Credo, dice Sylvestre, che quei buoni
Domenicani debbano provare nei loro soprusi inquisitoriali alimento gustoso
alla loro lubricità.
- Certamente, dice Severino. Ho vissuto sette
anni in Spagna; ero molto legato con l'attuale inquisitore. Non c'è, mi disse
un giorno, despota asiatico il cui harem valga le mie prigioni: donne,
fanciulle, ragazzi, ho a mia disposizione tutti i sessi, tutti i generi, tutte
le età, tutte le nazionalità; a un mio cenno, tutti ai miei piedi; i miei eunuchi
sono i miei secondini, la morte la mia mezzana; non potete immaginare quel che
rende il timore che essa ispira.
- Ah! cazzo, esiste solo questo, dice Jérome,
ricominciando a rizzare e che, quindi, aveva afferrato la prostituta di
diciotto anni; oh! no! l'unico vero godimento è quello dato dal dispotismo:
dobbiamo violentare l'oggetto desiderato; più nessun piacere se si dà.
E tale idea voluttuosa, infiammando i nostri
interlocutori, fece capire che la cena sarebbe finita in un baccanale.
- Vorrei che ci svagassimo un pochino con
queste due donne incinte, dice Antonin, che le aveva messe tutte e due in
quello stato.
Ed essendo stata accolta la proposta, fanno
avanzare in mezzo alla stanza un piedistallo alto dieci piedi, sul quale le due
sventurate, legate schiena contro schiena, potevano posare appena un piede.
Tutto attorno, in un diametro di tre piedi, ci sono spine e rovi alti fino a
dieci pollici; costretta a tenersi ritte su un piede solo, vengono munite di
una canna pieghevole per sostenersi: è evidente da un lato che non conviene
loro cadere e dall'altro l'impossibilità di mantenersi in quella posizione.
Dalla crudele alternativa nasce il piacere dei monaci. Essi circondano il
piedistallo; attorniati a loro volta da oggetti di lussuria, non uno che non
abbia almeno tre vicino, che li eccitano in vari modi durante lo spettacolo.
Sebbene incinte, le sventurate rimangono un quarto d'ora in quella posizione.
Quella di trent'anni,incinta di otto mesi, perde per prima le forse; vacilla,
trascina la compagna nella caduta: tutte e due lanciano grida acute cadendo sui
pungenti rovi che le accolgono. I nostri scellerati, pieni di vino e di
lussuria, si precipitano come furie su di esse: gli uni le percuotono, gli
altri le strofinano con le spine che le coprono, questi sodomizzano, quelli
inconnano, allorché violenti doglie
avvisano l'assemblea che la prostituta di trent'anni sta per sbarazzarsi del
suo fardello. Ogni soccorso le è regolarmente rifiutato: la natura aiuta se
stessa, ma è un cadavere che dà alla luce… un triste cadavere che costa la vita
alla madre. A questo punto le teste si esaltano al massimo: tutti i monaci
scaricano contemporaneamente, tutti inondano simultaneamente o dei conni o dei
culi o delle bocche; colano fiumi di sperma; spaventose bestemmie fanno
echeggiare le volte; e la calma infine rinasce. I morti vengono portati da una
parte, dall'alte le vittime rientrano nel serraglio; e il superiore rimasto
solo con Justine e la giovane di venticinque anni che si chiamava Omphale,
della quale si è tracciato prima il ritratto, dice alla nostra eroina:
- Avete visto, figliuola, che vi ho salvato
la vita; senza di me sareste stata condannata. Seguite questa giovane, vi
sistemerà, vi dirà quali sono i vostri doveri; e rammentate che solo con la sottomissione
più completa, con la rassegnazione più ampia eviterete che mi penta di aver
fatto quel che ho fatto per voi. Vediamo il vostro culo.
L'umile e dolce Justine si volta tremando.
- Le vostre natiche vi hanno salvata,
prosegue il monaco, la loro forma mi piace immensamente: tocca a voi eccitare e
regolare come si conviene i desideri che m'ispireranno perché l'indifferenza
sarà per voi pericolosa quanto la sazietà, e vi punirò sia se non m'ispirerete
niente sia se mi avrete fatto sentire troppo.
- Che difficoltà, padre mio! siate con me più
generoso e magnanimo; degnatevi di restituirmi la libertà che mi avete tanto
ingiustamente rubata: vi benedirò per il resto dei miei giorni.
- Certe benedizioni, cara figliola, riprende
il monaco, non contribuirebbero certo alla mia felicità mentre il piacere di
legarvi alla mia lussuria l'aumenta infinitamente.
E Severino, servito da Omphale, introduceva
il bischero, continuando a parlare, nel buco del culo di Justine; dopo qualche
avanti e indietro, si ritira.
- La porterei con me anche stasera, dice a
Omphale, se primizie maschili non mi aspettassero stanotte, ma sarà per uno di
questi giorni. Istruitela, cara, e ritiratevi.
Il superiore scomparve, e le nostre due
sultane rientrarono nel serraglio, le cui porte di bronzo si chiusero alle loro
spalle.
Justine troppo stanca, troppo presa da quanto
era accaduto, non vide niente, non udì niente quella sera; suo unico pensiero
fu riposare, e la sua istitutrice, anch'essa stanca, non si oppose di certo.
Il giorno seguente Justine, aprendo gli
occhi, si trovò in una delle celle già descritte. Si alzò, osservò l'ampiezza
del locale e contò le camere che, come la sua, si aprivano attorno alla sala
con in mezzo la tavola rotonda, alla quale potevano sedere trenta persone.
Quando Justine si alzò un grande silenzio
regnava ancora. Percorse allora tutto e vide che quel salone prendeva luce da
una finestra molto alta, con triplice inferriata. Le celle non erano chiuse:
ogni prostituta poteva passare nella sala o da una compagna quando voleva, ma
non poteva chiudersi in camera. I nomi delle prostitute erano incisi su ogni
porta: fu così che Justine trovò Omphale e sul primo impulso fu di gettarsi fra
le braccia della bella fanciulla i cui modi dolci e timidi facevano supporre, e
a ragione, un'anima capace di comprenderla.
- Oh! cara, disse sedendo sul suo letto, non
riesco a riprendermi né dai soprusi che mi sono stati fatti né da quelli di cui
sono stata testimone. Se, ahimè, la mia immaginazione si è mai soffermata sulla
gioia del godere, sempre l'ho creduta pura come il Dio che l'ispira agli
uomini: data da lui quale consolazione, pensavo che scaturisse dall'amore e
dalla delicatezza; ero ben lontana dal supporre che come le belve essi
potessero godere solo facendo soffrire le loro compagne. O gran Dio! continuò
con un profondo sospiro, sono ormai convinta che nessuna azione virtuosa
sgorgherà dal mio cuore senza essere seguita immediatamente da una pena! eh!
che male stavo facendo, gran Dio! venendo in questo monastero per ottemperare
ai miei doveri religiosi? è offendere il cielo voler pregare? Incomprensibili
disegni della Provvidenza, degnatevi, continuò, di palesarvi, se non volete che
il mio cuore si ribelli.
Un mare di lacrime Justine sparse sul seno di
Omphale dopo tali amari lamenti; e la tenera compagna, abbracciandola, l'esortò
al coraggio e alla pazienza.
- O Justine! le disse affabile, ho pianto
come te i primi giorni, ora mi sono abituata; ti abituerai anche tu. Agli inizi
è terribile: il supplizio della nostra vita non è soltanto appagare le passioni
di questi libertini, è aver perduto la libertà, è il modo con cui siamo
trattate in questa orrenda prigione, è la morte che aleggia continuamente sulle
nostre teste.
Le sventurate si consolano vedendo che non
sono sole. Per quanto cocenti fossero i dolori di Justine, ella si calmò per
pregare la compagna di metterla al corrente dei dolori e dei tormenti che
l'attendevano.
- Un momento, disse Omphale, nostro primo
dovere, cui non possiamo sottrarci. è presentarti a Victorine. E' la direttrie
del serraglio, e gode qui di un'autorità maggiore di quella dei monaci; da lei
dipendiamo tutte. Sa fin da ieri che sei arrivata, e ti giudicherebbe molto
male se tua prima cura, oggi, non fosse quella di recarti a farle visita. Va a
metterti un po' in ordine, e torna a prendermi; ora io mi alzo e vado ad
avvisarla.
Justine, spaventata da questo nuovo dovere,
fa come le è stato detto, e dopo essersi brevemente messa in ordine, torna
dall'amica. Ancora un poco in disordine, abbattuta, attraente quasi per i
dolori e le fatiche, tutto concorreva a dare all'affascinante fanciulla
un'insuperabile avvenenza da essere impossibile guardarla sena commozione, e a
qualunque sesso fosse dato di osservarla, sicuramente avrebbe suscitato ammirazione.
Profittiamo del momento in cui Omphale descrive a Justine il carattere e
l'aspetto della direttrice per ritrarla anche noi.
Victorine era alta e aveva trentotto anni,
bruna, secca, ardenti occhi neri, bei capelli, bei denti, profilo romano, espressione
cattiva, voce forte, modo di fare e carattere duri; intelligente, molto
crudele, molto immorale, estremamente corrotta, profondamente empia;
particolarmente orgogliosa della sua mansione, che svolgeva con dispotismo e
tirannia. Vedremo continuamente, da quanto Omphale dirà a Justine, come i
sudditi del serraglio dipendessero da lei e quale dominio potesse esercitare su
di essi. Victorine possedeva e tutti i gusti e tutti i vizi: fottitrice,
lesbica, sodomita, tutto le piaceva, a tutto era dedita: e sommava a tali
difetti quello della golosità, dell'ubriachezza, della menzogna, della
calunnia, della malvagità e la più completa depravazione. Questa donna, come si
vede, era un vero mostro, dal quale non potevano derivare che orribili cose.
Da otto
anni la megera era alla testa di tutto, vivendo nel convento per sua libera
volontà. Solo lei aveva il permesso di uscire quando lo richiedevano gli affari
della casa, ma siccome pendeva su di lei la spada della giustizia ed era
segnalata in tutta la Francia, profittava raramente di tale privilegio e, per
sicurezza personale, non pensava di allontanarsi molto da un luogo in cui tutto
le assicurava l'impunità che assai difficilmente avrebbe trovato altrove.
L'appartamento di Victorine, composto da una
stanza da pranzo, da una camera da letto
e da due salottini, era tra il serraglio dei maschi e quello delle femmine;
comunicava facilmente e con l'uno e con l'altro e li teneva entrambi sotto la
sua sorveglianza.
Le nostre due odalische si presentano alla
sua porta.
- Signora, dice Omphale, ecco la nuova
arrivata; il reverendo Padre superiore me l'ha affidata perché l'istruisca, e
non le ho dovuto dire niente prima di
aver avuto l'onore di presentarvela.
Victorine stava per mettersi a tavola: un
tacchino con tartufi, fra un paté del Perigueux e una mortadella di Bologna con
attorno sei bottiglie di Champagne; niente pane: non ne mangiava mai.
- Vediamo, dice a Omphale, fa avvicinare
questa giovane… Ma guarda! è graziosa… davvero graziosa! ecco i più begli occhi
e la bocca più deliziosa che abbia visto da molto tempo… E com'è ben fatta!
Datemi un bacio, tesoro.
E la lesbica posa sulle rosee labbra della
più bella figlia dell'Amore un bacio ardente e impudico.
- Ancora, dice, e più lingua, spingetela più
avanti possibile; guardate come faccio io con la mia: così fa piacere.
Justine obbedisce: unico modo di resistere
all'essere dal quale dipende la nostra sorte! E il bacio più lascivo e più
prolungato è il risultato della sua cortesia.
- Omphale, prosegue la direttrice, questa
fanciulla mi piace; la scrollerò; non ora, perché sono sfinita, ho fottuto come
una prostituta; e dopo aver trascorso la notte con quattro ragazzi del
serraglio, per rimettermi stamattina scrollerò due ragazze. Mettila nella
classe delle vestali; data l'età, là deve essere messa; mettila al corrente di
tutto e riconducila qui stasera: se non dovrà partecipare alla cena, dormirò
con lei, altrimenti, sarà per domani. Tirale su le gonne, voglio vedere com'è
fatta.
E avendo Omphale obbedito, avendo girato e
rigirato la compagna, in tutti i sensi, Victorine la palpa, bacia, traffica e
pare soddisfatta.
- E' bianca e ben fatta, dice; deve scaricare
come un angelo. Addio; devo mangiare: vedremo stasera.
- Signora, dice rispettosamente Omphale, la
mia compagna non si ritirerà prima di aver avuto l'onore di avervi dato il
bacio che solitamente concedete alle novizie.
- Ah! vuole baciare il mio culo? dice la
spudorata.
- E il resto, signora, e il resto.
- Suvvia, mi va bene.
E la matrona tirando su le gonne, prima
dietro, fin sopra le reni, offre alla bocca fragrante della nostra eroina il
culo più libertino, più impuro e più avvizzito che mai fu dato di vedere… che
Justine, guidata da Omphale, bacia rispettosamente prima sulle natiche poi sul
buco.
- Lingua, più lingua, insomma! dice
brutalmente Victorine.
E la nostra miserella, costretta a fare
sentire i titillamenti, fa come richiesto, anche se con estrema ripugnanza. La
direttrice alza le gonne davanti; ma, rimanendo seduta, si limita ad aprire le
cosce: Dio! che antro offre all'osssequio di Justine!... cloaca tanto più
disgustosa in quanto ancora tutta impiastricciata dello sperma con il quale si
era fatta inondare quella puttana per tutta la notte. Anche qui la novizia
dimentica per la seconda volta il rito della lingua e se Omphale non le avesse
fatto un segno, avrebbe finito per esporsi ancora una volta ai rimproveri
dell'insaziabile Messalina.
Infine, terminate le disgustose cerimonie,
Justine e Omphale si ritirarono, con l'ordine di tornare la sera, se Justine
non avesse partecipato alla cena, o la mattina seguente, se doveva.
Le due amiche passarono nella cella di
Justine; e fu là che Omphale diede alla compagna gli interessanti particolari
che noi trasmettiamo al lettore.
- Come vedi, cara amica, le disse prima di
andare insieme nella camera, tutte le celle sono uguali; tutte hanno un
guardaroba con una toeletta, un bidè, una sedia con il buco, e nella stanza
dove si dorme tute hanno un lettino con tela indiana, un sofà, una sedia, una
poltrona, un cassettone con lo specchio, un comodino da notte e uno stipo. Non
esiste differenza alcuna fra le celle delle femmine e quelle dei maschi. I
letti sono buoni: due materassi e un pagliericcio, due coperte per l'inverno,
una per l'estate, un copripiedi, cambio di lenzuola ogni quindici giorni, ma
nessun riscaldamento: quella grande stufa scalda tutto, e là ci riuniamo. Vedi
che le finestre sono inaccessibili, si può appena arrivarci; e quand'anche si
arrivasse, triplici grate impediscono persino l'aria. Tre porte di ferro
chiudono l'entrata del serraglio dalla parte del salone delle feste, e anche
quella che comunica con l'appartamento di Victorine è chiusa a chiave durante
la notte.
- Mi pare, disse Justine, che non tutte le
porte hanno indicato un nome: perché questa differenza?
- Vengono tolte le targhette di quelle che
non ci sono più, disse Omphale; e siccome oggi ne mancano due, ecco perché
qualche cella non porta scritto sopra il nome.
- E che è stato delle due che dici? disse
Justine
- Non lo indovini? disse Omphale, non ricordi
la fine fatta dalla povera donna incinta ieri sera?
- Oh! cielo, mi fai rabbrividire! Ma un vuoto
nella classe delle più giovani!
- E cosa importa, la natura o la ragione
parlano al cuore di quegli scellerati? Ma abbi un po' di pazienza, Justine, e
permettimi di procedere con ordine. Prima che cominci, dà un'occhiata al
salone; ecco le nostre compagne che stanno riunendosi per pranzare; osserva
l'insieme: andremo nella tua cella dopo, e continueremo a chiacchierare.
Justine accettò: tutte le compagne la
circondarono e così ebbe modo di vedere riunite ventotto giovani, le più nelle
che fosse dato trovare in tutta Europa. Ad un invito di Omphale, affinché
Justine potesse meglio esaminare la leggiadria che la circondava, tutte di
disposero per classi. Justine e la sua istitutrice le passarono in rivista, ed
ecco qui gli oggetti che più colpirono la nostra eroina:
Notò dapprima fra le vergini una fanciullina
di dieci anni che l'Amore stesso pareva aver avuto particolare cura di far
bella.
Una di
diciassette anni la colpì particolarmente fra le vestali: aveva volto ovale, un
po' triste ma molto attraente, pallido, salute delicata, timbro di voce dolce,
vera eroina da romanzo.
Fra le sodomiste, gli occhi di Justine si
posarono su un'affascinante giovane di vent'anni, fatta come Venere; biancore
abbacinante, espressione dolce, aperta, sorridente, superbi capelli, bocca un
po' grande ma ornata in modo ammirevole,
e bei capelli castani.
Infine, fra le sculacciate, suscitò la sua
attenzione una donna di ventotto anni, vero modello di bellezza e di corpo, e
così fresca da far invidia a Flora stessa.
Una donna di quarant'anni la meravigliò fra
le matrone, sia per la regolarità dei tratti sia per le carni sode e gli occhi
luminosi.
Ci limitiamo qui ad accennare a ciò che stupì
Justine: se dovessimo ritrarre tutto quel che tale collezione offriva di
leggiadro, non una di quelle seducenti creature trascureremmo.
Justine ne rimase abbagliata; e, certo,
un'altra che non fosse stata lei sarebbe rimasta oltremodo lusingata dai
complimenti che le furono rivolti, anche fra quelle graziose creature.
Esaminato tutto, le due amiche si appartarono: e quel che leggeremo nel
capitolo seguente sono le spiegazioni che Justine ricevette dalla sua
istitutrice.
❖
❖
❖ ∼∼∼ ❖
❖
❖ ∼∼∼ ❖
❖ ❖
- Ti devo istruire, disse Omphale, su quattro
principali punti: nel primo tratteremo di tutto ciò che concerne la casa; nel
secondo l'abito delle donne,i doveri e le punizioni, e l'alimentazione; il
terzo punto t'istruirà sul tipo di piaceri dei monaci, del modo come le femmine
o i maschi servono le loro voluttà; il quarto sarà l'elencazione delle riforme
e dei mutamenti.
Ti parlerò poco, Justine, delle fabbriche
formanti il corpo di questa spaventosa dimora; me le hanno fatte vedere
illuminate perché potessi darne un'dea a quelle che sono incaricata d'istruire,
e convincerle dell'impossibilità di una fuga. Ieri, Severino ti ha spiegato in
parte e non ti ha ingannata. La chiesa e il padiglione annesso formano ciò che
è detto il convento, ma tu ignori l'ubicazione dei corpi che costituiscono le
nostre abitazioni, come ci si arriva; ecco:
In fondo alla sacrestia c'è una porta
nascosta tra l'alto zoccolo in legno,che si apre con uno scatto segreto. Tale
porta è l'entrata di un budello buio e lungo; entrandovi il terrore è tale che
è impossibile accorgersi di quanto sia tortuoso. Prima, il budello è in discesa
perché deve passare sotto un fossato profondo trenta piedi: là c'è un ponte,
sul quale forse ricordi di essere passata. Il passaggio poi risale e continua a
solo sei piedi sotto terra; così arriva al sotterraneo del nostro padiglione,
svolgendosi per circa duecento tese e così, hai visto anche tu, tramite una
botola si sbuca fuori, nella sala da pranzo. Sei cinte di agrifoglio e di rovi,
spesse tre piedi, impediscono ogni possibile visione della dimora, anche se si
salisse in cima al campanile. La ragione è semplice: il padiglione ha
un'altezza non più di cinquanta metri e le sei siepi che lo circondano sono
alte più di sessanta. Da qualunque punto si osservi, questa parte non può
essere che scambiata per una grossa macchia di bosco e mai per un'abitazione.
Questo padiglione, mia cara, volgarmente chiamato il serraglio, è composto da
sotterranei, un pianterreno, un mezzanino e un primo piano; la volta che lo
ricopre è munita in tutta la sua superficie da una specie di bacile di piombo
assai spesso, nel quale sono piantati differenti arbusti sempreverdi che,
accordandosi con le siepi che ci circondano, danno maggiormente l'illusione di
un autentico boschetto assai folto. I sotterranei formano un gran salone al
centro e dodici stanzini intorno; sei servono da cantina, gli altri sei da
prigione per i soggetti dell'uno o dell'altro sesso che abbiano meritato tale
punizione; e i casi sono talmente frequenti che mai vi è un posto libero. La
pena è orribile; tutti gli accessori del più estremo rigore sono presenti;
l'umidità è innanzi tutto insopportabile; si viene rinchiusi completamente nudi
e a pane e acqua.
- Mio Dio! esclamò Justine, quegli scellerati
hanno la crudeltà, l'impudicizia di rinchiudere nudi in un luogo tanto malsano?
- Certo; nulla viene accordato, né una
coperta né un vaso per i bisogni; se vedono che si cerca un angolo per farli,
si è picchiati; essi ci obbligano a rimetterli un po' qui e un po' là, in mezzo
alla stanza, e solo là è permesso di liberarsi.
- Quale ricerca di sporcizia e di barbarie!
- Oh! tutte quelle del dispotismo e della lussuria sono incredibilmente
applicate! Talvolta si viene incatenati nelle celle; e vengono immessi con voi
topi, lucertole, rospi, bisce. Molte di noi sono morte, solo per essere rimaste
otto giorni in queste cloache: d'altra parte non si rimane mai meno di cinque e
molto spesso mesi interi. Ne riparleremo.
Sopra tali sotterranei, si trova la sala dei
banchetti, nella quale sono celebrate le orge di cui fosti testimone ieri.
Dodici stanzini sono tutto attorno: sei servono da salottino dei monaci; è là
che si chiudono quando vogliono isolare i loro piaceri… sottrarli alla vista
della compagnia… Tali stanze, ornate dalle mani della lussuria e della voluttà,
racchiudono tutto ciò che può servire per i supplizi. Delle altre sei, in due
non è mai entrato nessuno del serraglio; ne ignoriamo completamente l'uso; due
alter servono per conservarvi i cibi; la penultima è una dispensa e l'ultima la
cucina. Al mezzanino ci sono dodici stanze, delle quali sei munite di
salottino: sono quelle dei monaci; nelle altre sei, due confratelli addetti ai
servizi, uno carceriere delle donne, l'altro degli uomini, una cuoca, una
governante, una sguattera e il chirurgo, con tutto quello che occorre per i
primi soccorsi. Un particolare assai importante è che tutte quelle persone,
eccetto il cuoco e il chirurgo sono mute. quale aiuto attenderci, quali consolazioni
ricevere da persone come loro! Non si fermano mai, d'altra parte con noi, e a
noi è proibito, pena severi castighi, di rivolger loro la parola o fare un
qualche cenno.
Sopra i mezzanini i due serragli: sono
uguali. Hai avuto modo di osservarne le chiusure e hai capito che anche se si
riuscisse a spezzare le sbarre delle inferriate delle nostre finestre e
scendere, si sarebbe ancor lontani dall'avere la possibilità di fuggire perché
si dovrebbero superare ancora le siepi vive, la spessa muraglia che forma la
settima cinta e l'ampio fossato che circonda tutto. E se tutti gli ostacoli
fossero superari, dove si arriverebbe? nella corte del convento, che, sempre
chiusa, non sarebbe certo il miglior modo di uscire.
Per evadere in modo meno periglioso si
dovrebbe, lo ammetto, trovare nella sala da pranzo il punto dove finisce il
passaggio, ma indipendentemente dal fatto che è impossibile scoprirlo, non ci è
mai permesso rimanere sole in quella sala. Una volta entrati nel budello, non
si sarebbe ancora in salvo: è sbarrato, in più di venti punti, da cancelli, e
solo loro ne hanno la chiave, senza contare i diversi trabocchetti in cui
cadrebbe chi, come noi, non conosce com'è fatto.
Bisogna dunque rinunciare all'evasione, mia
cara; è impossibile. Ah! ti assicuro che se fosse fattibile sarei stata la
prima, e da molto tempo, a fuggire dall'orribile dimora. Ma non è possibile;
solo la morte spezza qui le nostre catene, e da ciò nasce la spudoratezza, la
crudeltà, la tirannia di quei mostri verso di noi. Nulla li infiamma, nulla
esalta maggiormente la loro immaginazione quanto l'impunità garantita da questo
inattaccabile ritiro. Sicuri di non avere testimoni dei loro eccessi
all'infuori delle vittime che li saziano, sicuri che mai le loro dissolutezze
saranno rivelate, le spingono odiosamente oltre il tollerabile. Immuni da ogni
vincolo della legge, avendo spezzato quelli della religione, ignorando il
rimorso, non ammettendo né Dio né il
diavolo, non c'è atrocità che non si permettano e, in tale crudele apatia, le
loro abominevoli passioni sono ancor più stuzzicate e niente, essi dicono, li
infiamma quanto la solitudine e il silenzio, quanto la debolezza da un lato e
il dispotismo dall'altro.
I monaci dormono in questo padiglione ogni
notte; arrivano alle cinque della sera, e tornano al convento il giorno
seguente verso le nove, tranne uno poiché a turno trascorrono qui la giornata:
questi viene chiamato il reggente incaricato. Vedremo le sue mansioni.
Quanto ai servi, non si muovono mai; la
direttrice ha nella sta stanza un campanello collegato con la loro e, non
appena li chiama, sia per le sue necessità o nostre, accorrono. I monaci
portano loro stessi, venendo nel serraglio, le provviste quotidiane; le
consegnano alle persone incaricate di preparare i cibi, che vengono ammanniti
seguendo e loro disposizioni; c'è una fontana d'acqua buonissima nei
sotterranei e ottimo vino nelle cantine.
Passiamo al secondo punto: all'abito delle
donne, al loro nutrimento, alle loro punizioni, eccetera.
Il nostro numero è sempre fissato a trenta;
non appena diminuisce si fa di tutto per ricomporlo. Hai visto che siamo divise
in classi, e sempre con la divisa corrispondente al gruppo al quale
apparteniamo. Entro oggi riceverai quella della classe nella quale sei stata
ammessa.
Siamo obbligate ad acconciarci da sole o
reciprocamente. Ci vengono forniti i modelli; cambiano ogni due mesi; ogni
classe ha il suo modello.
L'autorità della direttrice è illimitata:
disobbedirle è un crimine immediatamente punito. Ha l'incarico di ispezionarci
prima di partecipare alle orge; e se non ci trova come hanno prescritto i
monaci nella lista delle invitate, Victorine ci punisce immediatamente.
- Spiegati, disse Justine, non afferro bene
tale clausola.
- Tutte le mattine, rispose Omphale, viene
consegnata a Victorine la lista delle invitate a cena; accanto al nome c'è
indicato il modo con il quale devono presentarsi; più o meno così:
Julie non si laverà.
Rose avrà voglia di cacare.
Adélaide farà peti.
Alphonsine avrà il culo lordato
Il bidè più profumato sarà fatto ad Aurore,
eccetera, eccetera.
Se tali ordini non sono eseguiti, e Victorine
esaminandovi non vi troverà nelle condizioni desiderate, ci sarà punizione:
ecco quel che volevo dire.
- Ma, obiettò Justine arrossendo, come si fa a
sapere se una donna ha o no ha voglia di soddisfare ai propri bisogni?
- Molto facilmente, riprese Omphale:
Victorine infila un dito nel culo; se non tocca lo stronzo, la punizione è
inevitabile.
- Spaventoso! disse Justine. Ma continua, ti
prego: è tutto così nuovo che ogni particolare mi sbalordisce.
- I nostri sbagli possono essere di diversa
natura, proseguì Omphale; ad ognuno corrisponde una punizione, il cui cartello
è affisso nelle due stanze. Il reggente incaricato, quello che viene, come ti
ho spiegato, a comunicarci le disposizioni, a nominare le invitate, a
ispezionare le stanze e ad accogliere le lagnanze di Victorine, è anche colui
che esegue la punizione indicata dalla direttrice o quella che lui stesso
stabilisce.
Ecco la tabella delle punizioni, secondo il
crimine che le determina.
Articolo I. Non essersi alzata al mattino
all'ora prescritta, ovvero alle sette in estate o alle nove in inverno. -
Cinquanta frustate.
II. Se, nonostante l'esame di Victorine, alle
cene non si assolve agli obblighi imposti, e non ci si presenta nelle
condizioni e nella tenuta comandate, secondo indicazione. - Duecento frustate.
III. Presentare, o per sbaglio o per
qualsivoglia altra causa, una parte del corpo nell'atto del piacere contrario a
quello richiesto. - Tre giorni nude in casa, qualsiasi tempo faccia.
IV. Essere vestite male, pettinate male;
ovvero trasandate nel serraglio. – Venti punture di spillo sulla parte del
corpo scelta dal reggente.
V. Non avvertire che si hanno le
mestruazioni. - Mestruazioni soppresse immediatamente con acqua gelata.
VI. Il giorno in cui il chirurgo abbia
constatato che siete incinta. – Cento colpi di nerbo di bue, indifferentemente
dati su tutto il corpo, se non si ha voglia di tenere il figlio; nessuna pena
se piace al sodalizio conservare la madre incinta per maggiori supplizi.
VII. Negligenze, rifiuto, impossibilità di
soddisfare alle proposte lussuriose. E quante volte la loro infernale malvagità
vi coglie in fallo senza che siate minimamente colpevole! quante volte uno di
loro richiede all'istante ciò che sa perfettamente che avete poco prima
accordato all'altro, e che non si può fare immediatamente! - Tuttavia ciò è
punito con quattrocento colpi di verga sulle natiche solamente.
VIII. Errore di comportamento nella stanza o
disobbedienza alla direttrice. - Sei ore nude in una gabbia munita di punte
all'interno, nella quale rischiate di ferirvi al minimo movimento.
IX. Scontentezza, aria di aver pianto, di
essere addolorata, tornata alla religione. - Cinquanta frustate sul seno; e se
si tratta della religione, siete obbligata a profanare la cosa che pare aver
attratto la vostra devozione.
X. Se un membro del sodalizio vi sceglie per
gustare con voi le ultime crisi del piacere e non raggiunge lo scopo, per sua o
vostra colpa. Qui è evidente l'arbitrio del loro barbaro codice. - Legata come
una palla e sospesa come un lampadario al soffitto, nuda, per sei ore
consecutive. Che si svenga o meno in tale orribile posizione, non si è mai
staccate un minuto prima del tempo.
XI. La recidiva in tale colpa è considerata
gravissima. E quanti sono coloro che si rifiutano espressamente di eiaculare
per procurarsi il barbaro godimento d'infliggervi la pena, perché la parte lesa
diventa in tal caso giudice e carnefice. – Allora v'infilano due enormi falli
artificiali, uno nel conno l'altro nel culo; poi questi due corpi estranei sono
compressi in voi fortemente con delle bende e venite appesa raggomitolata come
nella punizione precedente, ma avvolta in una fascina di rovi con le spine che,
quando siete sospesa al soffitto, fanno stillare il sangue nella sala.
Generalmente, chi ha dato l'ordine si mette sotto e vi rimane con altri oggetti
fino a quando si sente pienamente soddisfatto.
XII. Al minimo segno di ripugnanza alle
proposte dei membri del sodalizio, di qualsiasi natura siano. E non si può immaginare fino a che
punto ve ne siano di disgustose e crudeli. – Appesa per mezz'ora per i piedi.
Una ribellione, una rivolta. – Pena di morte
per colei che l'ha iniziata. Sei mesi di prigione, nude, dove sono frustate a
sangue due volte al giorno quelle che hanno partecipato alla rivolta.
XIII. Se l'insurrezione si è basata su
consigli o propositi e non ha avuto alcuno sviluppo concreto. – Colei che ha
determinato il movimento, sia per i suoi propositi sia per i suoi consigli,
sarà marchiata con il ferro rovente in diciotto punti del corpo, scelti dal
reggente; le altre o altri in un sol punto.
XIV. Propositi di suicidio, rifiuto di
nutrirsi o lasciarsi andare fino ad ammalarsi. – Il soggetto è ammonito; si
moltiplicano su lui tutte le barbarie possibili e, provvisoriamente, un mese di
prigione, con la bestia della quale avete più paura; inseguito, per un altro
mese, siete condannata a stare in ginocchio durante la cena dei monaci.
XV. Mancanza di rispetto verso i monaci in
circostanza che non siano quelle del piacere. – Il capezzolo di tutti e due i
seni punto fino a far uscire sangue con uno spillo d'acciaio arroventato.
XVI. Stessa colpa nella crisi lubrica. –
Incatenata sei mesi nella prigione, nuda, nutrita con pane nero e acqua salata;
la sferza quattro volte al giorno, due volte dietro e due volte davanti. La
morte, in caso di recidiva.
XVII.
Evasione. Se non è avvenuta. -- Un anno di prigione, con trattamento
pari a quello già indicato.
XVIII. Se sorprese mentre si cerca di
evadere. – Condanna a morte.
XIX. Se avete trascinato altre con voi. – Per
le corrotte una morte più dolce, per la corruttrice una morte crudele.
XX. Ribellione a Victorine. – Lei stessa
ordina la punizione e il reggente la fa subire alla sua presenza.
XXI. Rifiuto di prestarsi alle stravaganze
libidinose della donna. – La stessa pena di quando ci si rende colpevoli verso
u monaco. Vedere l'articolo XII.
XXII. Abortire da sola. – Cinquecento colpi
di frusta sul ventre, altrettanti con un martinetto a punte d'acciaio
all'interno della matrice; coloro cui piace fare figli non vi lasciano più
finché non siete di nuovo incinta.
I monaci si servono generalmente di sei tipi
di morte e li eseguono con le loro stesse mani. La più dolce, secondo loro, è
quella di essere arrostita viva, o allo spiedo o alla griglia. La seconda è
essere bollita: vi chiudono in una grande marmitta con una griglia sopra, e
così cuocete a fuoco lento. Il terzo supplizio è essere rotta ed esposta viva
su una ruota. Il quarto è essere squartata. Il quinto, tagliata a pezzetti,
molto lentamente, da una macchina costruita appositamente. E il sesto morire
sotto le sferzate. Usano anche altri supplizi, ma questi sei sono per punire i
crimini commessi.
Hai sentito, cara compagna, quali sono i
crimini, proseguì Omphale, e ora sai anche qual è la corrispondente punizione.
D'altra parte possiamo fare tutto quello che vogliamo: dormire insieme,
litigare, picchiarci, eccedere nel bere e nel mangiare, bestemmiare, insultare,
mentire, calunniare, diventare ladre, anche assassine, se vogliamo; sono
sciocchezze che non ci fan meritare alcun rimprovero, anzi qualche volta lodi.
Sei mesi fa la donna di quarant'anni, quella che ti ha colpito per la bellezza,
ha ucciso a colpi di pugnale una bellissima giovane di sedici anni, della quale
era innamorata e nello stesso tempo gelosa. I monaci trovarono divertente quel
delitto e, per più di un mese, la sfrontata e bella creatura sedette alle cene
incoronata di rose; è destinata a sostituire un giorno Victorine. Grazie al
crimine, qui si fa carriera. Solo esso è gradito a quelle belve, solo esso ci
fa rispettare.
Victorine ha il potere di evitarci infinite
contrarietà, sia facendo buoni rapporti su noi, sia alterando quelli negativi;
ma, sfortunatamente, si acquista la sua protezione con compiacenze sovente più
sgradevoli delle inevitabili pene da lei imposte. Solo soddisfacendola in quel
che le piace si ottiene il suo interessamento: se ci rifiutiamo, lei moltiplica
senza ragione la somma dei nostri torti; e i monaci, che così serve, la stimano
maggiormente.
E' esente da ogni punizione e la più assoluta
impunità le è assicurata: è certo che non agirà mai contro l'interesse dei
monaci dei quali condivide troppo sinceramente e i gusti e le abitudini per non
piacere ad essi. D'altronde, questi libertini, non hanno bisogno di tutte
queste formalità per infierire contro di noi, ma sono felici di ricorrere a
pretesti. Quest'apparenza di cosa naturale aumenta la loro voluttà; l'accresce.
La giustizia ha dunque un certo fascino, perché coloro che meno la rispettano
sono i medesimi che, nei loro disordini, cercano di avvicinarsi maggiormente ad
essa.
Ciascuna di noi ha il suo piccolo corredo di
biancheria; entrando qui tutto ci viene consegnato a sei per sei, rinnovato, ogni anno, ma dobbiamo consegnare
quel che portiamo: non ci è permesso conservare la minima cosa.
Siamo nutrite molto bene e abbondantemente,
Se loro non cogliessero da ciò frutti di voluttà, forse le cose andrebbero
altrimenti, ma siccome il loro libertinaggi ci guadagna, non trascurano niente
per ingozzarci di cibi. Coloro ai quali piace frustarci ci trovano così più
paffute, più grasse, e quelli che godono nel vederci soddisfare ai più sporchi
bisogni naturali sono certi di un più ricco raccolto. Perciò sediamo a tavola
quattro volte al giorno. L'ora della colazione è alle nove precise: pollo con
riso, pasticcini, prosciutto, frutta, creme, eccetera. All'una si pranza, e la
tavola con trenta portate è magnificamente bandita. Alle cinque e mezzo, la
merenda: frutta l'estate, marmellate l'inverno. La cena, essendo il pasto dei
monaci, è servita con maggiore ricchezza e raffinatezza: quelle che vi
assistono sono sicure di mangiare più che bene, senza che ciò significhi
rimetterci pranzando a parte. Riceviamo, maschi e femmine, indipendentemente
dall'età, due bottiglie di vino a testa ogni giorno, una di bianco per la
colazione e per la merenda, e una mezza bottiglia di liquore e di caffè. Quelle
non consumate possono essere date ai compagni: fra noi c'è gente molto
intemperante; c'è chi mangia e si ubriaca tutto il giorno; mai tali eccessi
sono rimproverati; esiste persino chi non trova sufficienti i quattro pasti;
può allora richiedere quel che vuole e subito è accontentato. C'è l'obbligo di
mangiare a tavola; s si insistesse a non volerlo fare, ciò rientrerebbe
nell'articolo riguardante le ribellioni contro la direttrice e sarebbe punito
conformemente il punto ventesimo. Victorine presiede ai pasti, ma è servita in
camera sua, separatamente: la sua tavola è di otto portate, mattina e sera;
invita chi vuole dell'uno o dell'altro serragli; spesso qualche monaco le tiene compagnia e in
tal caso è lui che dà disposizioni per gli inviti; allora si celebrano orge ed
è considerato un favore esservi ammessi.
Mai i soggetti invitati alle cene dei monaci
sono scelti fra quelli di una stessa classe: sono sempre mischiati e il numero
varia continuamente; ma molto raramente è inferiore di dodici e più spesso
superiore. Inoltre, ci sono sempre sei serventi la cui mansione, come hai
visto, è di servire nude i monaci a tavola. Il numero dei gitoni invitati è
sempre in proporzione a quello delle ragazze: uno per due donne, e questo
perché essendo più difficile ai monaci procurarseli come li desiderano, li
dosano. d'altra parte li preferiscono e solo per raffinatezza li usano meno. Il
regime del loro serraglio è tuttavia severo quanto il nostro; subiscono il
medesimo genere di punizioni; il tabellone delle colpe è identico, e quando i
monaci vogliono una vittima, la prendono fra loro come fra noi.
E' superfluo dirti che mai nessuno viene a
trovarci: nessun estraneo, per nessuna ragione, può entrare nel nostro
padiglione. Se ci ammaliamo, l'unico confratello chirurgo ci cura; e se moriamo,
è senza alcun conforto religioso: siamo buttate in buche fatte fra gli
intervalli delle siepi; e, grande crudeltà, se la malattia si rivela troppo
grave o fa temere un contagio, invece di trasportarci in un'infermeria, siamo
strappate dai nostri letti e sotterrate vive perché, dicono i mostri, è meglio
lasciarne morire una che far correre pericoli a trenta e magari esporre anche
noi ai rischi dell'epidemia. Nei quindici anni che sono qui, ho visto più di
venti esempi di tanta ferocia: con noi come con i maschi, per quanto un po' più
curati. In generale, ciò dipende dal maggiore o minor interesse ispirato dal
malato al reggente incaricato di visitarlo: è sufficiente che il malato non gli
sia simpatico perché il chirurgo, a un suo cenno, stenda immediatamente un
certificato d'epidemia; e il disgraziato si trova con due piedi di terra
addosso un'ora dopo.
Passiamo ora all'assetto dei piaceri di
questi libertini e a tutti gli annessi particolari.
Ci alziamo, come ti ho già detto, alle sette
l'estate, alle nove l'inverno, ma andiamo a letto più o meno tardi, secondo le
necessità dei monaci e secondi gli inviti a cena, Non appena alzate, il
reggente arriva. Va a sedere su una grande poltrona e là, tutte, una dopo
l'altra, dobbiamo andare davanti a lui, le gonne alzate, dalla parte che lui
vuole: tocca, bacia, esamina. E quando tute hanno assolto a tale dovere, si
avvicina la direttrice; fa il suo rapporto: è il momento delle punizioni;
quelle che devono essere subite immediatamente sono inflitte nell'appartamento
della direttrice e dal reggente in persona. Si procede alle altre nella
riunione della sera, compresa quella di essere fatte scendere nella prigione,
se il caso lo richiede. Si tratta di condanna a morte? La colpevole è
immediatamente legata, gettata nella prigione, e al momento delle orge avviene
l'esecuzione: ma in questo caso accade un fatto assai singolare. Non appena
emessa la sentenza, il reggente, che l'ha pronunciata personalmente, secondo la
legge ch'egli fa leggere al colpevole, passa nelle stanze della direttrice con
l'accusato e ne gode per una buona ora prima di farlo scendere nella prigione.
"Non esiste, dicono gli scellerati, godimento che uguagli quello di un
essere condannato a morte" e soprattutto per il giudice e il carnefice
tale godimento è senza prezzo. Quante, secondo tale affermazione, condanne
arbitrarie, se il risultato dev'essere n piacere tanto violento!
Talvolta assistiamo, ma in pochi, ai funebri
piaceri. La vittima, coperta da un velo nero, piange o è svenuta; e nell'orribile
condizione di tale individuo gli scellerati trovano il complemento barbaro del
loro terrificante delirio. Le loro intenzioni si rivelano spaventose, le loro
voluttà simili a quelle delle tigri. Si scagliano contro le sventure
dell'oggetto che stanno perseguitando; ce lo indicano quale esempio, ci
minacciano di pari trattamento e raggiungono solitamente l'apice della crisi di
lubricità solo nell'esecrazione e
l'infamia. Qualche giorno prima del tuo arrivo, fui presente ad una di queste
scene: si trattava di una fanciulla di diciassette anni, bella come Venere.
Jérome era reggente, quel giorno. Secondo il rapporto della direttrice, la
sventurata era accusata di aver tentato la fuga; ella negò. Victorine condusse
Jérome nella cella: due sbarre erano spezzate. Clémentine, questo il nome della
leggiadra creatura, continuò a negare; non fu ascoltata; la legge era contro di
lei; le fu letto il diciottesimo articolo che la condannava a morte; ella
protestò la propria innocenza ed è fuor di dubbio che fosse sincera. Era un
orrendo scherzo di Jérome, d'accordo con la direttrice, perché detestata da
tutti e due; tutti e due avevano giurato di rovinarla; loro avevano segato le
sbarre; e l'infelice morì vittima della loro immensa malvagità. Io, fui ammessa
con un giovane alla cerimonia di quest'ultimo godimento di cui ti parlavo; non
puoi immaginare gli orrori che Jérome si permise sulla sventurata, tutto quello
che le fece fare, tutto quel che esigette da lei; forte tanto da conservare il
sangue freddo, soffrì ancor di più. Jérome, mentre la sodomizzava, diceva:
- So benissimo che sei innocente, ma rizzavo
al pensiero di sacrificarti, e ora, all'esecuzione, scaricherò.
Poi, le domandava quale genere di morte
preferiva:
- Il tuo crimine esige la più orrenda, ma posso
mutarla in una più clemente; scegli, puttana, scegli.
- La più istantanea! gridava Clémentine.
- Allora la più lenta, rispondeva il monaco
schiumando. Sì, la più lenta… la più orribile. E sarò io che te la darò.
Poi, inculò il giovane. Io intanto ero
obbligata a leccare inginocchiata il buco del culo del libertino che, nel
frattempo, affondava la lingua nella bocca della vittima, respirando, diceva,
con delizia i sospiri del disgusto. del terrore e della disperazione. Finì la
sua operazione nella bocca di Clémentine mentre il giovane lo inculava e lui si
divertiva a schiaffeggiarmi con tutte le sue forze e intanto bestemmiava come
un indemoniato.
Eseguite le punizioni, il reggente dà alla
direttrice la lista delle invitate; ella vi legge i nome e la condizione in cui
sono richieste, immediatamente se ne occupa.
A parte le lussurie episodiche alle quali si
abbandona il reggente, raramente egli esce dalla sala senza che si organizzi
una scena lubrica in cui sono impiegate dodici o quindici femmine, e talvolta
anche venti. La direttrice dirige gli atti libidinosi, e da parte nostra regna
la più completa sottomissione. Quindi passa nel serraglio dei maschi, dove
avvengono le stesse cose.
Capita sovente che un monaco voglia una
ragazza nel letto, prima della colazione. Il fratello secondino porta un
biglietto con scritto il nome di colei che è voluta: quand'anche il reggente se
ne stesse servendo, deve andare. Torna, quando è licenziata; e il secondino che
la riaccompagna consegna, in caso di insoddisfazione, un biglietto sigillato
alla direttrice affinché la punizione della delinquente sia immediatamente
iscritto sul registro che sarà presentato il giorno seguente al reggente.
Fatte le visite, le colazioni sono servite.
Da quel momento, fino alla sera, non siamo più interrotte se non per le
eventuali chiamate individuali, ma che sono rare perché i monaci, che pranzano
nel convento, vi trascorrono quasi sempre l'intera giornata. Alle sette di
sera, l'estate, alle sei, l'inverno, il fratello secondino viene a prendere le
invitate alla cena; le conduce e le riconduce personalmente, attento a lasciare
per la notte quelle che i monaci hanno fatto iscrivere a tale scopo; allora,
esse si ritirano nelle camere di coloro che le hanno volute, in compagnia delle
guardiane.
- Guardiane! interruppe Justine; cos'è questa
nuova mansione?
- Ecco, rispose Omphale. Tutti i primi del
mese, ogni monaco adotta due ragazze che devono, durante questo tempo, fare e
da serva e da zimbello ai suoi sudici piaceri; egli non può cambiarle nel corso
del mese né far fare loro due mesi di seguito. Niente è così pesante, così
sporco, così crudele quanto le fatiche di questo servizio; e non so come
riuscirai ad abituarti.
- Ahimé! rispose Justine, sono abituata alla
fatica; solo all'atrocità non riesco ad abituarmi.
- Allo scoccare delle cinque, proseguì
Omphale, le guardiane guidate dal secondino, scendono nude dal monaco che
servono, e non lo lasciano fino al giorno seguente, quando rientra nel
convento. Le poche ore libere dal servizio le impiegano per mangiare e per
riposare; devono infatti vegliare tutta la
notte accanto al padrone; sono là pronte a servire ciecamente ogni
capriccio del libertino, cosa dico? ogni bisogno: non esiste vaso per soddisfarli
che la bocca o i seni delle sventurate che, incollate al loro despota, sono
costrette a sopportare, sia la notte sia il giorno tutto quel che gli viene
voglia d'infliggere di più barbaro, di più osceno, di più umiliante; ceffoni,
fustigazioni, angherie, ingiurie, piaceri, non importa di quale natura, a tutto
devono sottoporti rallegrandosi e
gioendo di tutto. La minima ripugnanza è immediatamente punita secondo
l'articolo dodicesimo, e per di più con duecento frustate per definitivamente
convincere che la mansione di guardiana comporta maggior sottomissione e
compiacenza che in altri doveri quotidiani del loro stato. In tutte le scene di
lussuria queste ragazze aiutano nei piaceri, ne hanno cura e ripuliscono tutto
quel che è stato sporcato. Un monaco ha finito di godere di una ragazza o di un
ragazzo: tocca alla bocca di queste guardiane riordinare; vuole invece costui
essere eccitato: anche questo è a carico delle sventurate; lo accompagnano
ovunque, lo vestono, lo svestono, lo servono, in una parola, ogni momento, e
hanno sempre torto e sono sempre picchiate. Alle cene, il loro posto è o dietro la sedia del padrone o, come un
cane, ai suoi piedi, sotto la tavola, o inginocchiate fra le sue cosce,
eccitandolo con la bocca; talvolta gli servono da sedile: si siede sulla loro
faccia; oppure, stese sulla tavola, con una candela infilata nel sedere, fanno
da candeliere. Altre volte, durante la cena, i monaci le mettono tutte e dodici
nelle posizioni più strane e più lussuriose, ma anche le più imbarazzanti: se
perdono l'equilibrio, esse rischiano o di cadere, come hai visto, su dei rovi
messi appositamente in bacili pieni di acqua bollente che si è avuto cura di
mettere; spesso il crudele risultato delle cadute è storpiarsi, ammazzarsi,
bruciare, spaccarsi braccia e gambe, e intanto i mostri se la godono, fra i
bagordi, ebbri di cibi squisiti, di vini delicati e di piccanti lussurie.
- Oh! cielo, disse Justine fremendo d'orrore,
impossibile spingere oltre il delirio e le depravazioni! Come possono
abbandonarsi a eccessi simili?
- Non c'è nulla che non intraprendano uomini
senza alcun freno, disse Omphale; quando non si rispetta più la religione,
quando si è abituati a sfidare le leggi della natura e a far tacere la
coscienza, non c'è oscenità che non si compia: mia cara, crudeli verità di cui sono
ogni giorno più convinta frequentando quegli uomini.
- Che inferno!
- E stammi a sentire, cara bambina, non sai
ancora tutto. Essere incinta, stato rispettato fra gli uomini, è quasi certezza
di condanna fra questi infami: ne ho già accennato a proposito del sesto
articolo delle punizioni. Esso non dispensa di guardia. E', al contrario,
veicolo di pene, umiliazione, dolori. E', come sai, picchiando ch'essi fanno
abortire colei della quale non si preoccupano di conservare il frutto, e se così non avviene,
è per goderne. Quel che adesso ti dirò dovrebbe essere sufficiente a
convincerti di evitare tale stato il più possibile.
- Ma sarebbe possibile?
- Certo, esistono certe spugne… ma se Antonin
se ne accorge, non si sfugge alla sua ira; la cosa più sicura è soffocare gli
impulsi della natura, raggelando l'immaginazione; con mostri simili, non è
difficile.
Nessun monaco, tranne il reggente e il
superiore, ha il diritto di entrare nei serragli, ma siccome la mansione di
reggente è settimanale, a turno tutti godono di tale diritto veramente
dispotico. E quando smettono, godono nuovamente del privilegio di far andare
nella loro stanza un certo numero di femmine o di maschi, per divertirsi nei
loro appartamenti: la domanda viene
rivolta alla direttrice e, come abbiamo già detto, se i soggetti sono
nel serraglio, ella non può rifiutarli per nessun motivo. Anche la malattia non
rende esenti; e avviene sovente che quei barbari richiedono una sventurata con
la febbre, medicata, salassata, purgata…; lei ha un bel protestare, deve
andare, nessuna scusa, deve obbedire. Sovente, è solo per malvagità, per
dispetto che richiedono questa o quella; sanno benissimo di non desiderare
veramente di godere del soggetto o che esso non è nelle condizioni per
servirli, ma sono soddisfatti di esercitare la loro autorità… di mantenere la
dipendenza. Altre volte veramente vogliono servirsene: allora ne fanno quel che
vogliono. Il soggetto scende nudo o vestito; essi hanno come unica regola le
loro stravaganze. Tutti sono uguali qui: il superiore ha sugli altri solo il
diritto di entrare nel serraglio per ciò che riguarda l'abbigliamento, il
comportamento, la disciplina, eccetera. E' ricevuto, quando viene, con gli
stessi onori del reggente.
Inoltre, esistono in questa casa legami e
parentele che nessuno ignora e che è meglio che ti spieghi, ma tali chiarimenti
rientrando nel quarto punto, vale a dire il nostro reclutamento, le nostre
riforme e i nostri cambiamenti, ne accenno ora per includervi tale particolare.
Tu non ignori, Justine, che i sei monaci
rifugiati in questo asilo sono i capi del loro ordine, e tutti e sei si
distinguono per ricchezza e per nascita. Indipendentemente dai fondi
considerevoli concessi dall'ordine dei Benedettini per il mantenimento di
questo voluttuoso ritiro, dove tutti hanno la speranza di essere promossi un
giorno, quelli che vi sono hanno aggiunto a quei fondi una cospicua parte dei
loro beni personali.
Sommano a più di cinquecentomila franchi
l'anno, esclusivamente riservati alle spese libidinose della casa. Inoltre
quattro uomini e quattro donne di fiducia, unicamente incaricati di mantenere i
due serragli pieni, a tale scopo percorrono continuamente tutta la Francia. Mai
il soggetto presentato deve avere meno di sei anni e più di sedici; non deve avere
difetti e deve essere dotato, il più possibile, di tutti gli incanti e di tutte
le beltà che la natura e l'educazione possono fornire; ma soprattutto deve
essere di famiglia signorile: quei libertini tengono molto a tale clausola; i
rapimenti, effettuati lontano e sempre ben pagati, non comportano alcun
inconveniente e nessuno strascico molesto. Non ci tengono alle primizie; una
ragazza già sedotta, un ragazzo già guastato o una donna sposata, a loro piace
tutto, ma occorre che il rapimento sia constatato: la circostanza li eccita;
vogliono avere la certezza che i loro crimini costino lacrime; non vorrebbero
un soggetto che si recasse da loro di sua spontanea volontà. Se non ti fossi
difesa con tutte le forze, Justine, se non avessero riconosciuto la tua
autentica virtù e, quindi, non avessero avuto la certezza del crimine, non ti
avrebbero tenuta neppur ventiquattr'ore. Colei che è qui con te è di nobile
stirpe: io, mia buona amica, sono nata
dal conte di Villebrune, e in qualità di unica figlia dovrei un giorno
possedere ottantamila lire di rendita. Fui rapita a dodici anni, in braccio
alla mia bambinaia che stava portandomi da una campagna di mio padre al
convento dove ero allevata. La vettura fu assalita, fui strappata via e la mia
governante assassinata. Condotta in una vettura fin qui, fui violentata fin
dalla prima sera. Tutte le compagne sono come me: conti, duchi, marchesi,
banchieri potenti, ricchi commercianti, celebri magistrati, ecco i padri di
tutto ciò che vedi. Non ce n'è una che non possa dimostrare le migliori
parentele e non una che, nonostante ciò, non sia trattata ignobilmente. Ma quei
villani non si limitano a questo: hanno voluto disonorare la loro stessa
famiglia: la giovane di vent'anni, una delle più belle, è certamente figlia di Clément;
quella di nove è la nipote di Jérome; la più leggiadra delle fanciulla di
sedici è la nipote di Antonin. Severino, inoltre, ha avuto molti figli in
questa casa, ma lo scellerato li ha sacrificati tutti: non ce n'è nessuno oggi.
Ambroise ha un figlio nel serraglio e lo ha personalmente sverginato, ma poiché
è gracile e delicato, non promette nulla di sublime.
Non appena un soggetto dell'uno o dell'altro
sesso arriva in questa cloaca impura, se il numero fissato c'è già,
immediatamente è riformato un individuo dello stesso sesso del soggetto
portato. Ma se si tratta d una sostituzione, e il numero è incompleto, allora
non si riforma niente. E la triste riforma, mia cara, quando c'è, diventa
supplemento ai nostri dolori. L'infelice della quale si è pronunciata la
condanna discende, la vigilia della morte…
- Della morte! interruppe Justine
terrorizzata.
- Sì, della morte, cara; la riforma è una
sentenza di morte, e quelle che sono state condannate non rivedono più la luce
del giorno. Come dicevo, essa scende in una delle celle di cui ti ho parlato, e
vi rimane ventiquattro ore, nuda, ma perfettamente nutrita. La cena durante la
quale deve essere immolata si svolge nel salone dei sotterranei, decorati per
quel giorno nel modo più lugubre. Sei
donne, scelte fra le più belle, sei uomini scelti per la grossezza del membro,
e sempre la direttrice, sono gli unici ammessi a tali sanguinose orge. Un'ora
dopo la cena, la vittima compare, con in testa una corona di cipresso. Il
supplizio che dovrà subire è messo ai voti; il segretario legge la lista di un
certo numero di torture: quelle che sembrano stuzzicare di più vengono
discusse. Fatta la scelta, la vittima è messa su un piedistallo, di fronte alla
tavola dove si svolge la cena e, subito dopo il pasto, inizia il supplizio;
talvolta dura fino all'alba. Le guardiane non assistono a queste orge; tre
delle sei donne scelte le sostituiscono; e le infamie arrivano all'apice. Ma
perché insistere sui particolari? I tuoi occhi, mia dolce amica, ti
convinceranno fin troppo presto.
- Cielo! esclamò Justine, l'assassinio, il
più esecrabile di tutti i crimini sarebbe dunque per loro, come per il celebre
maresciallo di Rezt, una specie di godimento, la cui crudeltà, eccitando i
nervi e nello stesso tempo la perfida immaginazione, immerge i sensi in
un'ebbrezza ancor più violenta! Abituati a godere tramite il dolore, a
divertirsi tramite i tormenti e i
supplizi, è mai possibile che si smarriscano al punto di credere che
raddoppiando, che migliorando la prima causa del delirio, si debba
inevitabilmente ancor più perfezionarlo e che, senza princìpi come senza fede,
senza morale come senza virtù, i furfanti, abusando delle disgrazie in cui ci
hanno fatto cadere i loro primi misfatti, si compiacciano di perpetrare quei
secondi che ci costano la vita?
- Nessun dubbio, risponde Omphale: ci
scannano, ci torturano perché il crimine li eccita. Ascolta i loro discorsi, e
sentirai con che arte erigono tute le loro turpitudini a sistema.
- E tali riforme sono fatte spesso?
- Muore un soggetto, qui, dell'uno o
dell'altro sesso, ogni quindici giorni. Niente, del resto, giustifica la
riforma: età, qualche alterazione nell'aspetto, niente la giustifica: unica
regola, il loro capriccio. Riformano oggi colei che ieri hanno più vezzeggiato,
e tengono vent'anni colei della quale parevano ormai sazi. Ne sono io una
prova, mia cara: da tredici anni sono qui; quasi non c'è orgia alla quale non
partecipi; sono continuamente lo zimbello delle loro sregolatezze; dovrebbero
essere stufi di me: quali sono le mie attrattive, sciupata come sono dalle loro
infami lussurie? E, tuttavia, mi tengono con loro mentre li ho visti riformare
leggiadre creature dopo otto giorni. Quella che è stata immolata
ultimamente non aveva ancora sedici
anni, era bella come l'Amore, era qui da appena sei mesi; ma rimase incinta, e
questo è uno sbaglio che loro non perdonano. La penultima fu sacrificata nel
momento in cui cominciò a sentire le prime doglie.
- Ma quelle che muoiono accidentalmente,
disse Justine, durante i festini, come ieri sera a cena, sono tra le riformate?
- Niente affatto, rispose Omphale, si tratta
di imprevisti, che non contano e che non impediscono il quindicinale
sacrificio.
- E questi imprevisti sono frequenti?
continuò Justine.
- No, disse Omphale, per loro sono già
soddisfacenti le leggi ch'essi stessi hanno fissato e, eccetto casi
straordinari o per ragioni fondate,vi si attengono. Non credere che comportarsi
correttamente o essere sottomesse in tutto ci aiuti a sfuggire alla sorte che
ci attende: ne ho conosciute che si affrettavano a prevenire ogni loro
desiderio, che li prevenivano attentamente e che dopo sei mesi andavano via;
altre, scontrose e bizzose, vegetavano qui per anni. E' dunque inutile indicare
alle nuove venute un qualunque tipo di condotta: la stravaganza, unica volontà
di quei mostri, spezza tutti i freni ed è l'eterna legge delle loro odiose
azioni.
Quando una donna deve essere riformata, e so
che accade la stessa cosa per gli uomini, è avvisata il mattino, mai prima. Il
reggente arriva alla solita ora e dice, credo: "Omphale, i vostri padroni
vi riformano; verrò a prendervi stasera". Poi continua il suo lavoro: ma,
all'esame, la riformata non si presenta. Appena è uscito, ella abbraccia le
compagne e, secondo il carattere o l'umore, si stordisce con loro o va a
piangere il proprio destino infondo alla cella; ma nessun grido, nessuna
manifestazione di disperazione; sarebbe fatta a pezzi immediatamente, se fosse
udita fare chiasso. L'ora scocca, il monaco si ripresenta e la vittima è subito
inghiottita nella tenebrosa prigione che sarà il suo asilo fino al giorno
seguente. Nelle ventiquattro ore che trascorre là, riceve frequenti visite. Per
un'inconcepibile raffinatezza di barbarie, gli scellerati si compiacciono di
andare a goderne laggiù e di aumentarne il terrore presentandosi negli aspetti
più spaventosi. E' allora permesso a tutti i monaci d'andare a far soffrire
preventivamente alla vittima tutto quel che loro detta l'immaginazione: ne
deriva che sovente si presenta nel luogo del supplizio già profondamente
oltraggiata e, talvolta, mezzo morta. Nessun pretesto per ritardare o
anticipare la sua ultima ora, e tanto meno parlare di grazia; le loro leggi,
sempre vigenti per il male, sono inattuabili per il bene. Infine, il momento arriva,
e si procede all'esecuzione. Non insisto su particolari che fin troppo
conoscerai di persona. La cena, d'altronde, è più o meno sempre uguale, sempre
eccellente, ma si bevono solo vini stranieri, liquori e in maggior abbondanza.
Loro, non si alzano da tavola se non ubriachi; e tutti si ritirano più tardi.
Le modalità di ammissione comportano
formalità delle quali sarai testimone e che è inutile che ti descriva. Se ci
sono più arrivi nello stesso giorno, l'accoglienza è fatta per uno solo; ed è
durante i pranzi normali che si svolgono le cerimonie più o meno simili a
quella in cui tu stessa fosti la vittima quando sei entrata qui.
- E i monaci, disse Justine, cambiano?
- No, rispose Omphale, l'ultimo arrivato,
dieci anni fa, è Ambroise. Gli altri sono qui da quindici, venti e venticinque
anni; Severino sono ventisei anni che è qui. Il superiore, nato in Italia, è
parente stretto del papa, con il quale è in ottimi rapporti. Risale al suo
arrivo la fama del convento per i supposti miracoli della Vergine che
impediscono ai malevoli di osservare un po' più da vicino quel che avviene qui.
Ma la casa era anche allora come hai visto: da più di cent'anni va avanti così
e tutti i superiori che sono venuti
hanno conservato i privilegi e la sistemazione adatti ai loro piaceri.
Severino, l'uomo più libertino del suo secolo, si è fatto mandare qui solo per
vivere secondo le sue tendenze; ed è sua intenzione mantenervi l'ordinamento
che tu conosci il più a lungo possibile. Apparteniamo alla diocesi di Auxerre;
ma che il vescovo sappia o non sappia, mai lo abbiamo visto. Nessuno,
generalmente, si avvicina a questo eremo tranne quando si avvicinano i giorni
della festa, quella della Madonna di agosto: non si fanno vedere, perciò, più
di sei persone all'anno. Se qualche straniero si presenta, il superiore ha cura
di accoglierlo bene; s'impone con l'apparenza della pietà e dell'austerità.
Così, tutti vanno via contenti; tessono lodi del monastero; e l'impunità di
questi scellerati si fonda sulla stupidità del popolo e la credulità dei
devoti, indistruttibile fondamento alla superstizione.
- Indipendentemente dai terrificanti omicidi
di cui mi hai svelato le circostanze, capita talvolta, disse Justine, che gli
scellerati chiedano un soggetto per giustiziarlo nella loro camera?
- No, disse Omphale, è tassativamente
proibito esercitare il diritto di
vita di morte che si sono arrogati su
noi se non insieme. Se vogliono metterlo in atto individualmente lo esercitano
sulle loro guardiane; costoro, certo, possono essere sacrificate in ogni
momento del giorno e della notte; il loro triste destino dipende
esclusivamente dal capriccio di quei
mostri, ed è sufficiente il minimo sbaglio per essere immolate da quei barbari.
Tuttavia, l'orrendo piacere dell'omicidio li infiamma talvolta durante le
segrete orge celebrate nelle stanze della direttrice. Pagano allora venticinque
luigi per il soggetto condannato, e lo giustiziano. Tale cifra è destinata alle
sostituzioni e, siccome essi vi contribuiscono, acquistano il diritto di fare tutto
quel che vogliono.
- Perpetuamente con la spada sul capo, disse
Justine, no esiste dunque un solo momento in cui i nostri giorni non siano
minacciati?
- Oh! non uno; nessuna di noi, alzandosi il
mattino, può avere la certezza di coricarsi nel suo letto la sera.
- Che destino!
- Spaventoso, certo, ma si diventa coraggiose
quando si è costrette a stare all'erta; e, nonostante la falce della morte ogni
giorno sospesa sulle nostre teste, vedrai
ciò nonostante che l'allegria, l'intemperanza regnano continuamente fra
noi.
- Ecco quel che si dice stato di grazia,
disse Justine; quanto a me, ti dico subito che non smetterò mai di
piangere di tremare. Ma continua ad
istruirmi, te ne prego, e dimmi se i monaci possono far uscire qualche volta un
soggetto dal convento.
- Non capita mai, disse Omphale; non si
respira più l'aria della libertà, una volta inabissate in questa dimora. Da
quel momento, più alcuna speranza ci è permessa; si tratta solo di aspettare un
po' di più… un po' di meno, ma la nostra sorte è sempre la medesima.
- Da quando sei qui, continuò Justine, sei
stata costretta ad assistere a terribili cambiamenti?
- Me ne sono già passati avanti dodici; a
parte ciò,ho visto rinnovarsi molte volte l'intera casa.
- E hai perduto molte amiche?
- E assai care.
- Che dolore! Io che ti vorrei amare,
l'oserei, dovendoci separare presto.
E le due tenere amiche, gettandosi nelle
braccia l'una dell'altra, bagnarono un istante il loro seno con lacrime di
dolore, di angoscia e di disperazione.
La scena commovente stava per chiudersi
allorché il reggente comparve con la direttrice: era Antonin. Tutte le donne,
secondo la consuetudine, si disposero su due righe. Gettò sul gruppo
un'occhiata indifferente, contò i soggetti e poi sedette. Allora tutte dovettero,
una dopo l'altra, alzare le sottane davanti a lui, da una parte fin sopra
l'ombelico, dall'altra fin sopra le reni. Antonin ricevette l'omaggio con
l'apatia della sazietà; poi, guardando Justine, le domandò brutalmente come si
trovava; vedendo che rispondeva solo con le lacrime:
- Si abituerà, disse ridendo; non c'è in
Francia luogo dove meglio si formi una fanciulla.
Prese la lista delle colpevoli, presentata
dalla direttrice; e rivolgendosi ancora a Justine, al ridusse a un tremito;
tutto era per lei una condanna a morte. Egli la fece sedere sul bordo di un
canapè e, quando ebbe obbedito, disse a Victorine ei scoprirle il petto
ordinando ad un'altra ragazza di alzare le sottane fino all'ombelico. Ecco che
si avvicina, apre le cose presentate, e siede ben in faccia a quel conno
socchiuso. Un'altra creatura di circa vent'anni viene a mettersi su Justine
nella stessa posizione, in modo che un altro conno si offra all'energumeno
invece della faccia di Justine e in modo che se volesse goderne, sempre le bellezze
dell'altra siano all'altezza della bocca. Una terza prostituta, presa fra le matrone, viene con la mano ad eccitare
il reggente e una quarta, completamente nuda, uscita dalla classe delle
vestali, indica con il dito, sul corpo di Justine, il punto dove deve affondare
il membro al quale si determina la polluzione. Costei eccita pure Justine; la
scrolla, e quel che fa Antonin imita con due leggiadre ragazze di quindici
anni, una per ciascuna mano, che due altre ragazze di quindici anni baciano
sulla bocca per infiammare. Sono inimmaginabili le brutte parole, le bestemmie,
i discorsi osceni con i quali il dissoluto s'infiamma; finalmente è nello stato
desiderato,l'energumeno rizza: un'altra prostituta lo abbranca per l'arnese, è
una delle vecchie, e lo conduce fino a Justine, e nel suo conno egli si lancia
precipitosamente e brutalmente.
- Ah, porcodio! dice, eccomi!... eccomi in
questo conno che bruciavo di fottere! Lo innaffierò con il mio sperma: voglio
che resti incinta.
Tutto è al suo seguito, tutto cerca di
raddoppiare la sua estasi; tutto concorre ad elettrizzarlo: scoprendo le sue
natiche ben bene, Omphale, impadronendosene, nulla omette per meglio eccitarlo:
sfregamenti, baci, polluzioni, a tutto si ricorre; tanti sforzi, al lungo
infruttuosi, finalmente raggiungono un risultato. Non possiamo farci un'idea
della velocità con la quale i conni girano, e fra le dita, e fra i baci del
libertino. La crisi è vicina; l'energumeno, che ha l'abitudine in quei
frangenti di lanciare grida spaventose, ne getta da far tremare le volte; tutto
lo circonda, tutto è al suo servizio; la direttrice sostituisce Omphale
nell'incombenza di eccitare l'anus, lo socratizza con le cinque dita; e intanto
il clitoride di una delle più graziose il monaco succhia. Raggiunge il delirio,
fra gli episodi più stravaganti e più depravati.
- Su, dice ad una delle guardiane, in
ginocchio… succhiami il bischero.
Ogni traccia è cancellata e il villano se ne
a tuonando.
Tali gruppi venivano formati sovente. Era
normale che quando un monaco godeva, non importa in quale modo molte fossero
quelle che gli stavano intorno per infiammare i sensi da tute le parti, e così
la voluttà potesse entrare in lui da tutti i pori.
Le portano a fare colazione; Justine non
voleva mettersi a tavola: la direttrice, severamente, le ordinò di farlo ed
ella si mise fra le ragazze della sua classe e mangiò solo per dimostrare che
era obbediente. Avevano appena finito che il superiore entrò:fu ricevuto
secondo il cerimoniale seguito per Antonin, con la sola differenza chele
sultane si guardarono bene dall'alzare le sottane davanti: esposero solo il
culo all'occhio esperto del transalpino. Fatto l'esame, egli si alzò.
- Dobbiamo pensare a vestirla, disse fissando
Justine. Poi, aprendo un armadio che si trovava nel salone, scelse alcuni abiti
della foggia e del colore annessi alla classe in cui Justine entrava a far
parte.
- Provateli,disse gettandoglieli, e
consegnate immediatamente ciò che vi appartiene.
La nostra triste orfana esegue, dopo aver
preso la precauzione di sottrarre i suoi soldi e metterli fra i capelli. A ogni
indumento che si toglie, gli occhi di Severino si portano sulla grazia
scoperta: non appena è nuda il superiore l'afferra e la corica a pancia in giù
sul bordo di un sofà. Justine vuole chiedere di essere risparmiata; non le
badano neppure e sei donne nude circondano i due lottatori e presentano al
monaco l'altare che lo fa ardere. Si vedono solo culi per aria; la sua mano li
strizza, la sua bocca vi s'incolla,i suoi sguardi li divorano. Justine è
sodomizzata: più di venti culi si lanciano rapidissimi, tutto intorno, verso i
baci e i palpeggiamento del gran gaudente; la sua lingua e le sue dita
penetrano indifferentemente tutti; scarica e prosegue nella propria operazione
con la felice calma scaturita dal crimine. Justine, vestita da novizia,
riappare ancor più bella davanti al suo carnefice: le ordina di seguirlo nelle
diverse operazioni che ancora gli restano da fare nel serraglio. Verso la fine
del giro, una delle prostitute della classe delle sodomiste lo tenta.
- Fatele alzare le sottane, dice a Victorine.
La direttrice l'acciuffa. E' una ragazza
alta, di diciotto anni, bella come il sole. IL più bel culo del mondo, il più
bianco, il meglio tagliato, è immediatamente offerto alle brame del libertino
che vuole essere scrollato da Justine: la sventurata obbedisce maldestramente;
le compagnel'istruiscono; le sue mani issano finalmente quel membro che il suo
culo aveva curvato; le dicono che deve essere lei a presentarlo a buco che
dovrà perforare: obbedisce, l'arnese penetra, il monaco fotte, ma solo il culo
di Justine vuol baciare; le altre sultane lo circondano solo per la
prospettiva; i suoi occhi ardono; si direbbe che l'avventura giunga a lieto
fine, ed è così, ma senza raggiungere la mèta.
- Basta, dice ritirandosi; ho molte cosa da
fare. Justine, continua, sono molto contento del vostro culo, lo fotterò
spesso; siate docile, premurosa, sottomessa; è il solo modo per conservarvi a
lungo in questo luogo.
E il libertino esce, conducendo con sé due
prostitute di trent'anni, per andare a far colazione dalla direttrice, le
quali, secondo gli ordini impartiti il mattino, non si erano messe a tavola con
noi.
- Cosa ne farò di quelle due creature? disse
Justine a Omphale.
- Va ad ubriacarsi con loro. Sono delle
libertine di professione, depravate quanto lui e che, da vent'anni in questa
casa, hanno finito per adottare le usanze e i costumi di questi scellerati; le
vedrai tornare ubriache e coperte di lividi procurati dalla botte del mostro.
- E godrà ancora?
- E' probabile, dopo la colazione passerà nel
serraglio degli uomini, e là, qualche vittima gli sarà ancora presentata; e
lui, certamente offrendosi come donna, riceverà il tributo di cinque o sei
maschi.
- Che uomo!
- E non è niente: bisogna vivere con loro
quanto ho vissuto io per apprezzarli.
La giornata trascorse senza novità. Justine
non era invitata alla cena.
- Andiamo, le disse Omphale, dobbiamo passare
da Victorine; ricorderai che sei impegnata con lei, non manchiamo, dato che sei
libera.
- Ah! siete voi! disse la direttrice vedendo
entrare Justine.
- Sì, signora, rispose Omphale; non ha
scordato che stasera desiderate averla con voi, e accorre ai vostri ordini.
- Molto bene, disse Victorine; resterai anche
tu, Omphale. Rizzo per te, bellezza, continuò la lesbica, dando linguate alla
graziosa fanciulla; chiamerò due ragazzi; ceneremo in cinque e ci daremo l'uno
all'altro.
Ad un solo squillo di campana, due
affascinanti fottitori, dai venti ai ventidue anni accorsero, e Victorine, dopo
averli baciati per un buon quartod'ora, averli scrollati, succhiati, leccati,
disse:
- Augustin e, voi, Narcisse, ecco due
leggiadre fanciulle tutte per voi; componete con loro qualche quadro lascivo
per farmi uscire dal letargo i cui mi trovo da qualche giorno.
I due focosi fottitori non se lo fano
ripetere. Il più giovane si appropria di Justine, l'altro di Omphale; e, grazie
alla loro arte, in meno di mezz'ora, cinque e persino sei differenti posizioni
sono offerte alla lesbica che abbandonandosi a poco a poco , man mano che lo
spettacolo la riscalda, finisce per gettarsi nella mischia. Le cose si fanno
più serie; tutto si dirige su Victorine, tutto concorre a raddoppiarne
l'estasi. La puttana, nuda, fottuta sia davanti che dietro, unisce a questo
dolcissimo modo di godere la delizia di trafficare contemporaneamente nel culo
di Omphale e nel conno di Justijne.
- Un momento, dice; e, agghindandosi con un
fallo artificiale: sono stufa di essere paziente, voglio essere agente.
La sgualdrina inconna Justine; costringe il
più anziano dei maschi ad incularla e, volendo imitarlo in tutto, sistema lei
stessa nel suo culo il bischero vacante mentre Omphale è costretta ad andare a
scrollarsi il conno sulla sua bocca.
- Bellezza mia! esclama la direttrice
rivolgendosi a Justine; come fotto con piacere! Oh, porcodio! perché non sono
uomo! Baciami, tesoro,baciami,puttana! sto per scaricare…
E l'indifferente Justine si presta
docilmente, senza tuttavia riuscire a soffocare il rimorso o nascondere la
tristezza. E Victorine, logorata, non mantiene la promessa; la natura, venendo
a mancare, le rifiuta i suoi doni… almeno in quel momento; e solo immaginando
nuove licenziosità la costringe ad arrendersi. L'infame volta Justine, l'incula
mentre è essa stessa sodomizzata. Non capitando niente ancora, incula un
maschio e inconna Justine, che Omphale scrolla nel clitoride per affrettare
l'emissione di uno sperma che porga Victorine al settimo cielo e forse è
decisivo per il suo. Risultato positivo. Justine suo malgrado scarica;
Victorine la succhia agitandosi come una baccante sulle reni del gioane di cui
gode, mentre l'alto le mette alternativamente il bischero e nel conno e nel
culo; e la puttana, circondata da piaceri, perde il suo sperma fra grida,
bestemmie e convulsioni degne di una libertina come lei.
Vanno a tavola. Durante tutta la cena,
Victorine mangia solo bocconi triturati dai denti d'avorio della nostra eroina:
Omphale la scrollava mentre divorava.
E versando a Justine grandi bicchieri colmi
di champagne, cercava di strappare dallo smarrimento della fanciulla ciò che
sapeva perfettamente di non poter ottenere dalla sua ragione. Ma Justine mai si
turbò e Victorine, vedendo che non rispondeva meglio dopo la cena di quanto
avesse risposto prima con tutti gli assalti a lei diretti, la mandò a dormire
irritat, annunciando che certi comportamenti non avrebbero contribuito a
rendere a sua prigionia più mite.
- Ebbene! signora, disse Justine,
ritirandosi, soffrirò: sono nata per soffrire; percorrerò la mia vita fin
quando piacerà al cielo di lasciarmi languire su questa terra. Ma almeno non lo
offenderò: questo pensiero consolatore
renderà le mie pene meno amare.
La direttrice, per la sua notte, trattenne
Omphale e i due giovani. Justine seppe il giorno seguente a quali orrori
sarebbe stata costretta se non fosse stata licenziata.
- Ho dovuto sopportarli al tuo posto, disse
Omphale; ma fortunatamente l'abitudine mi ha resa più docile ai miei doveri, e
ho avuto la gioia di avrti evitato cose ignominiose.
Il giorno seguente era la vigilia di quello
in cui si doveva definire una riforma. Antonin arriva, si ripete il consueto
cerimoniale; Justine tremava: la decenza e la severità sue dalla direttrice non
potevano far cadere su lei la terribile scelta? Aveva irritato la donna; sapeva
che era stimata: perché non temere? L'indifferenza di Antonin tuttavia la
rassicurò; la guardò appena. Terminate le cerimonie, Antonin nomina Iris: è una
superba donna di quarant'anni da trentadue nella casa.
- Sistemati, le dice Antonin, devo sondre il
conno. Scrollatemi intanto e fatemi entrare, prosegue l'infame satiro.
Tutti si affrettano; il villano sparisce
dentro.
- Sgualdrina! dice fottendo, questo è il mio
addio.
E accorgendosi che tutti tremano e che la
sventurata vittima sta per svenire:
- Non hai sentito, puttana? le dice dandole
due vigorosi schiaffi; e continuando a fottere: di', non hai sentito che ti
riformiamo… che sono venuto a prenderti e che dopodomani sarai morta? Se
t'inconno, baldracca, è perché tu porti il mio sperma in inferno, e che le
Furie, vedendoti inondata, se ne sfreghino il conno un giorno intero: fotterei
anche loro, se mi capitassero sottomano! Su, sgualdrina, scarica dunque! mi
sembra di preparare molto bene i tuoi sensi all'ebbrezza che desidero…
Ma Iris non ode; svenuta, non c'è in lei né
calore né movimento. In tali condizioni, l'energumeno si abbandona all'ultimo
godimento. Le morde i seni scaricando, nella speranza di ricondurla in vita:
invano; inutile ogni tentativo; ed è in tale stato di sbalordimento e di
abbattimento, è dopo aver goduto di lei che il barbaro ha la crudeltà di farla
gettare nelle prigioni dove trascorrerò le ultime ore della sua vita.
Justine passò una giornata tormentosa;
l'orribile scena non le usciva di mente. Tremava al pensiero di partecipare
alla cena che avrebbe accompagnato le sanguinose orge. Fortunatamente fu
giudicata troppo inesperta per essere ammessa a una riunione in cui il pudore e
l'umanità sarebbero state fuori tempo e luogo; le fu semplicemente comandato di
andare a trascorrere la notte nella stanza di Clément.
- Mio Dio! allora esclama, dovrò soddisfare
le passioni di quel mostro che mi avvicinerà tutto coperto del sangue della mia
compagna; che, dopo essersi saziato di orrori e d'infamie, mi avvicinerà con il
crimine nel cuore e l'ingiuria sulla bocca!... Esiste sorte più infelice?
Tuttavia deve andare: il secondino la va a
prendere e la chiude nella cella di Clément dove, mentre aspetta lo scellerato,
pensieri ancor più spaventosi turbano la sua immaginazione.
Verso le tre del mattino Clément arriva,
seguito da due guardiane, andate a prenderlo dopo la cena alla quale, come si
sa, non assistevano quando si trattava di un'orgia di riforma. Una delle
ragazze si chiamava Armande; bionda, estremamente attraente, non ancora
ventenne e nipote di Clément; l'altra si chiamava Lucinde: ben tornita, belle
carni, bianche, e ventotto anni.
Al
corrente dei suoi doveri, Justine si getta in ginocchio non appena ode il
monaco. Egli va verso di lei, la osserva nell'umiliante posizione, poi le
ordina di alzarsi e di baciarlo sulla bocca. Clément assapora quel bacio
dandogli tutto il significato, tutto il peso concepibile. Nel frattempo le due
accolite, per suo ordine, spogliano Justine. Quando la parte dalle reni ai
talloni è scoperta, se si affrettano ad esporla a Clément, e ad offrirgli il
atto sommamente preferito. Il monaco esamina, tocca; poi, sedendosi in una
poltrona, ordina a Justine di fargli baciare il culo divino, che lo rende
entusiasta. Sua nipote è in ginocchio, gli succhia il bischero… un bischero
molliccio, esausto per i piaceri della festa e che, senza l'aiuto di molta
arte, non tornerò molto presto in vita. Lucinde, un po' di fianco, fa scivolare
una delle mani sotto le natiche del monaco e lo socratizza ampiamente. Il
libertino mette la lingua nel santuario del tempio che gli è stato aperto e
l'introduce più avanti possibile. Le sue mani adunche molestano uguali grazie
in Armande e Lucinde; preme e pizzica il culo all'una e all'altra con tutta la
lussuria immaginabile. Ma, sempre con il pensiero a Justine, il cui sedere è
alla portata della sua bocca, le ordina di far peti; Justine obbedisce e subito
si accorge del meraviglioso effetto del suo eccedere. Il monaco, eccitato a
meraviglia, diventa più focoso; morde improvvisamente in sei punti diversi le
natiche di Justine che lancia un grido e si getta in avanti. Clément,
trovandosi spostato, si spinge verso di lei, la collera negli occhi:
- Sai, no, grida, cosa rischi per simile
insubordinazione?
La sventurata si scusa, ma la belva,
afferrandola per il corsetto, glielo strappa con la camicia, la prende per il
seno e l'insulta comprimendoglielo. Le guardiane spogliano Justine, ed eccoli
tutti e quattro nudi. Armande interessa brevemente lo zio; cos'è mai la voce
del sangue! la picchia a palma aperta sulle natiche furiosamente, la bacia
nella nocca, le morde la lingua e le labbra; lei grida;i dolore strappa alla ragazza lacrime
involontarie; lui la fa salire su una sedia,le bacia il culo, le fa fare peti.
E' la volta di Lucinde; è trattata come la compagna. Justine lo scrolla mentre
agisce; lui morde crudelmente il culo che gli è offerto e i suoi denti
s'imprimono in molti punti delle carni della bella fanciulla; voltandosi verso
Justine all'improvviso perché, secondo lui, scrolla molto male:
- Ehi! puttana! dice, come soffrirai!
Non aveva bisogno di dirlo; i suoi occhi sono
assai eloquenti.
- Sarete fustigata in ogni parte del
corpo;sì, persino su questo seno d'alabastro,persino su questi bocciuoli di
rosa che sgualcisco con sommo piacere.
E la nostra disgraziata paziente non osava
rispondere temendo d'irritare maggiormente il suo carnefice, ma il sudore le
copriva la fronte e gli occhi, suo malgrado, le si riempivano di lacrime.
Allora egli la volta, a fa inginocchiare
contro una sedia ordinandole di tenere con le mani lo schienale e di non
lasciarlo mai, se vuole evitare severo castigo. Vedendola così a portata di
mano, ordina alle guardiane di portare
le verghe; gliene presentano diversi fasci; egli afferra il più sottile… il più
flessibile, e inizia con una ventina di colpi sulle spalle e sulla parte alta
dei fianchi; poi, abbandonando un minuto Justine, mette Armande e Lucinde a
circa sei piedi da lei, a destra e a sinistra, esattamente nell'identica posizione;
dichiara poi chele frusterà tutte tre, e che la prima che lascerà andare lo
schienale della sedia… che lancerò un grido o verserà una lacrima, sarà
immediatamente sottoposta al supplizio
che più garberà al suo furore.
- Tienti forte, furfante; sarai trattata come
l'ultima delle miserabili.
A queste parole Justine riceve cento colpi di
seguito, inferti dal braccio nervoso che strazia tutta la parte del dorso fino
alla curva inclusa dei fianchi; vola poi il monaco dalle altre e le tratta come Justine. Le misere non profferivano
parola; solo i loro volti erano il ritratto del crudele stato della loro anima,
e solo s'udiva qualche gemito sordo e trattenuto. Fino a che punto ardesse di
passione quel monaco non si sorgeva, non c'era ancora alcun indizio; egli si
scrollava ad intervalli, ma niente si rizzava.
- Oh! cazzo, diceva, ho troppo scaricato al
supplizio della sgualdrina che stanotte abbiamo martirizzato; le ho riservato
cose eccezionali, uniche, ma che mi hanno sfinito; non rizzerò mai, è finita.
E riavvicinandosi a Justine al centro del
quadro, ne osserva le sublimi natiche il cui biancore fa vergognare il giglio e
che, ancora intatte, avrebbero presto affrontato i maltrattamenti dovuti; egli
le palpa, non riesce a dominarsi e le apre, le solletica, le bacia e ribacia.
- Avanti! dice, coraggio!
Una spaventosa gragnola di colpi cade
immediatamente sulle due natiche e le ferisce fino alle cosce. Enormemente
incoraggiato dai sobbalzi, dai sussulti, dalle smorfie, dalle contorsioni che
il dolore strappa alla disgraziata, esaminandole, afferrandole gioiosamente,
Clément finisce per esprimere sulla bocca della paziente le sensazioni che lo
agitano.
- Questa puttana, come mi piace! esclama, non
ne ho mai fustigata una che mi abbia dato tanta soddisfazione!
E passa a Lucinde, e anche le sue avvincenti
natiche son trattate in ugual maniera: da Lucinde va ad Armande, che frusta con
identica barbarie. Resta la parte inferiore, dall'alto delle cosce fino ai
polpacci, e l'energumeno,su tutte e tre, infierisce con pari ardore.
- E adesso, voltando Justine, cambiamo mano e
visitiamo questo.
Le dà una cinquantina di colpi, dalla metà
del ventre fino alla cosce, poi, facendogliele divaricare, colpisce forte
nell'interno dell'antro, aperto per la posizione.
- Oh! porcodio! esclama il monaco, vedendo il
conno a portata di mano, ecco l'uccellino che spiumerò.
Alcune sferzate essendo penetrate, grazie
alla sua attenzione, in profondità, Jusine si mette a gridare.
- Ah! ah! dice l'antropofago,ho dunque
scoperto il punto debole; lo rivisiteremo presto un po' meglio.
Tuttavia, Armande e Lucinde sono messe nella
stessa posizione, e le verghe raggiungono le parti più delicate dei loro corpi;
ma, sia per abitudine sia per coraggio sia per timore d'incorrere in trattamenti
ancor più spietati, esse rispondono con qualche fremito e qualche involontaria
contorsione. Sono lasciate sanguinanti.
C'era d'altra parte un certo cambiamento
nello stato fisico del libertino; e, sebbene gli indizi fossero assai poco
consistenti, il maledetto aggeggio cominciava a issarsi.
- Mettetevi in ginocchio, dice il monaco a
Justine, vi frustrò sul petto.
- Sul petto, padre mio?
- Sì! su quelle due masse orribili che mi fan
schifo… che odio e che m'ispirano solo cose crudeli.
E le stringeva e premeva violentemente.
- Oh! padre, dice Justine in lacrime, è una
parte così delicata! mi farete morire!
Ed egli comincia con cinque o sei colpi, che
Justine para con le mani.
Furente per tale difesa, Clément afferra
Justine per le braccia e gliele lega dietro la schiena ordinandole di tacere…
di non pronunciare una sola parola. La sventurata ha solo le sue lacrime… le
espressioni del volto, per implorare clemenza, ma uno scellerato come lui, e
soprattutto quando rizza, sente pietà? Scarica una dozzina di colpi sul seno
della misera fanciulla che non dice più niente. Terribili sferzate rimangono
impresse in strisce di sangue; l'estremo dolore strappa a Justine pianti che,
ricadendo in perle sul seno lacerato, rendono la leggiadra fanciulla mille volte
ancor più interessante. Il furfante bacia quelle lacrime, le lecca, le mescola
con la lingua alle gocce di sangue versato dalla sua ferocia, torna alla bocca…
agli occhi bagnati che succhia con voluttà.
Subentra Armande; mani legate, ella offre un
seno d'alabastro e delle più avvenente rotondità. Clément finge di baciarlo, ma
p per morderlo; infine colpisce e quelle belle carni, così bianche, così
turgide, mostrano tosto al loro carnefice ferite e tracce di sangue. Lucinde,
trattata come le compagne, non sopporta con uguale coraggio; le sferzate
avendole lacerato una mammella, sviene…
- Ah cazzo! dice il monaco irritato, ecco
quel che volevo.
Tuttavia il suo bisogno di avere la vittima
vince il piacere di contemplarla in quella crisi. Con l'aiuto dei sali, ella
riprende i sensi.
- Su, dice egli, vi sferzerò tutte
contemporaneamente, e ognuna su parti diverse.
Lascia Justine inginocchiata, mette Armande
su lei, le gambe divaricate, in modo che la sua bocca si trovi all'altezza del
conno di Armande e il petto fra le cosce di costei, esattamente sotto il
didietro, fa sedere Lucinde sulle reni di Armande, anche lei con le gambe
divaricate e con il conno ben in vista, esattamente all'altezza delle due natiche di colei sulla
quale è appollaiata. In questo modo, l'energumeno può, come dice, fustigare
contemporaneamente il pube, le natiche e i seni delle tre donne più belle che
mai sia stato dato di vedere. Clément non resiste al colpo d'occhio,
incantevole, della bella figura: il furfante colpisce violentemente tutte le
bellezze che gli sono davanti: culi, conni, seni, tutto è senza pietà
flagellato, tutto ridotto sanguinante. Il monaco finalmente rizza, e diventa
ancor più una furia. Apre un armadio dove sono varie fruste; ne prende una con
le punte di acciaio così taglienti da non poterle toccare senza il pericolo di
ferirsi:
- Ecco, Justine, dice, mostrando quello
strumento; guarda come divertente
frustare con questo… tu lo sentirai; tu lo proverai, furfante, ma, per il
momento, preferisco usare quest'altro.
Era di strisce di budello rattorte, aveva
dodici braccia: in cima a ciascuna un nodo più forte degli altri e grosso come
una nocciola.
- Su, nipote mia, la cavalcata… la cavalcata!
dice ad Armande.
Immediatamente la figura si scioglie. Le due
guardiane, che sanno di cosa si tratta, si mettono a quattro zampe nel centro
della stanza, le reni alzte pi più possibile; dicono a Justine di imitarle; la
sventurata così fa: il monaco sale su Armande e poiché tutte e tre sono vicine,
colpisce furiosamente le bellezze che mostrano. Siccome, data la posizione esse
mostrano nel maggior divaricamento quella parte delicata che le distingue
dall'uomo, il barbaro là colpisce; le braccia lunghe e flessibili della frusta
penetrano con maggior facilità delle verghe e lasciano tracce profonde del suo
furore; ora colpisce una, ora dirige i suoi colpi sull'altra. Buon cavallerizzo
quanto intrepido frustatore cambia diverse volte cavalcatura, sempre preciso
nel colpire violentemente sia quelle che regge sia quelle su cui è montato. Le
disgraziate sono sfinite; le fitte dolorose sono così pungenti da essere quasi
insopportabili.
- Alzatevi, dice allora riprendendo le
verghe; sì, alzatevi e badate a voi.
I suoi occhi mandano scintille, egli è
schiumante. Minacciate su tutto il corpo, le misere lo evitano; corrono, come
smarrite, per tutta la stanza: egli le insegue; colpendo indistintamente tutte
e tre, lo scellerato le fa sanguinare; le raccoglie infine nell'alcova e là più
alcuna misura: i colpi infittiscono e cadono alla cieca e con tanta furia da
offendere anche il loro viso:una sferzata lede l'occhio di Armande: ella lancia
un urlo, il sangue cola. Quest'ultima atrocità determina l'estasi e, mentre le
natiche e le mammelle delle altre due sono crudelmente lacerate, l'infame
innaffia di sperma la fronte e i capelli della sventurata nipote che per il
dolore si rotola per terra, lanciando grida spaventose.
- A letto, dice freddamente il monaco; ne
avete abbastanza, vero, signorine? Ma non io. Non passano facilmente certe
manie, anche se sono solo l'ombra di quel che vorrei veramente fare. Ah! mie
care, non sapete fino a che punto trascina tale nostra depravazione, l'ebbrezza
in cui getta, la violenta scossa che risulta, nel fluido elettrico,
dall'irritazione prodotta dal dolore nell'oggetto che serve le nostre passioni,
e come si è stuzzicati dalle sue sofferenze! Il desiderio di accrescerle, ecco
lo scoglio, lo so, ma perché dovrebbe temerlo colui che si fa beffa di tutto,
che non riconosce né legge né fede né religione, che calpesta ogni principio?
Sebbene la mente di Clément fosse ancora
esaltata, Justine capendo che almeno i sensi erano calmi, ardì rispondere a
quanto egli aveva detto e rimproverare la sua depravazione. In qual modo il
libertino si giustificò parve degno di essere accolto in queste memorie.
❖
❖
❖ ∼∼∼ ❖
❖
❖ ∼∼∼ ❖
❖ ❖
- La cosa più ridicola di questo mondo, mia
cara Justine, disse Clément, è voler discutere sui gusti degli uomini,
avversarli, biasimarli o punirli, se non sono conformi, sia alle leggi del
paese che si abita sia alle convenzioni sociali. Ma come! gli uomini non
capiranno mai che non esiste inclinazione, per quanto stravagante, per quanto
criminale, che non sia il risultato del tipo di organizzazione ricevuto dalla
natura. Ciò premesso, ti domando con quale diritto un uomo osa esigere da un
altro o di modificare le proprie inclinazioni o di modellarle secondo l'ordine
sociale? con qual diritto, le leggi stesse, fatte per il bene dell'uomo, osano
infierire contro colui che non può correggersi o che ci riuscirebbe solo a
scapito di quel bene che le leggi dovrebbero tutelare? Ma anche desiderando di
cambiare inclinazione, ciò sarebbe possibile? dipende da noi? possiamo
diventare diversi da come siamo? Vorreste un uomo artefatto? approfondiamo; so
che sei intelligente, Justine, e capirai senz'altro.
Due irregolarità, capisco, ti hanno colpita
fra noi: ti meravigli che alcuni confratelli sperimentino pungenti sensazioni
dinanzi a cose volgarmente riconosciute
come fetide eo impure; e sei anche stupita chele nostre facoltà voluttuose
vibrino ad azioni che, secondo te, sono emblema di ferocia. Analizziamo l'una e
l'altra inclinazione e cerchiamo, se è possibile, di giungere al convincimento
che nulla è più semplice a questo mondo dei piaceri che ne risultano.
E' strano, sostieni, che cose sporche e turpi
possano produrre nei nostri sensi l'eccitazione essenziale al raggiungimento
del delirio. Ma prima di meravigliarti, dovresti sentire, figliola, che gli
oggetti hanno valore ai nostri occhi unicamente e in proporzione a quello che
vi ammette l'immaginazione: è dunque assai possibile, secondo tale costante
verità, che non soltanto le cose più stravaganti ma anche le più vili e orrende
possano agire su noi assai sensibilmente. L'immaginazione dell'uomo è una facoltà
della sua mente in cui, trait i sensi, si delineano, si modificano gli oggetti,
e quindi si formano i pensieri, secondo la prima percezione di tali oggetti. Ma
l'immaginazione, essa stessa risultato della specie di organizzazione di cui è
dotato l'uomo, accoglie gli oggetti ricevuti in questo o quel modo, e non crea
poi i pensieri se non secondo l'effetto prodotto dall'urto degli oggetti
percepiti. Forse un esempio ti aiuterà a capire. Non hai mai visto, Justine,
degli specchi di forma diversa? alcuni rimpiccioliscono gli oggetti, altri li
ingrandiscono, questi li rendono brutti, quelli bellissimi. Ora, non credi che,
se ognuno di quegli specchi unisse la facoltà creatrice a quella oggettiva,
darebbe dello stesso uomo, che si specchiasse, un'immagine totalmente diversa?
e tale immagine non sarebbe secondo il modo con il quale lo specchio ha visto
l'oggetto? Se, alle due facoltà che abbiamo attribuito allo specchio, ora si
sommasse quella della sensibilità, non avrebbe esso per quell'uomo, visto in
questo o in quel modo, la specie di sentimento che gli sarebbe possibile
concepire per il tipo percepito? Lo specchio che lo avrò visto brutto lo
odierà; quello che lo ha visto bello lo amerà; e tuttavia si tratta dello
stesso individuo.
Tale è l'immaginazione dell'uomo, Justine: il
medesimo oggetto si presenta sotto tante forme quanti sono i differenti modi;
e, secondo l'effetto ricevuto dall'immaginazione, e non ha importanza quale sia
l'oggetto, essa è spinto ad amarlo o ad odiarlo. Se l'urto dell'oggetto percepito
la colpisce piacevolmente, essa lo ama, lo preferisce, anche se quell'oggetto
non possiede alcunché di piacevole; e se poi questo oggetto, per quanto di gran
valore per altri, non ha colpito l'immaginazione di cui ci occupiamo se non
spiacevolmente, essa si allontanerò, perché alcun nostro sentimento si forma né
si realizza se on in ragione dei diversi oggetti sull'immaginazione. Non è
assolutamente strano, quindi, che ciò che piace agli uni possa spiacere agli
altri e, reversibilmente, che la cosa più straordinaria e la cosa più mostruosa
trovi i suoi adepti.. L'uomo artefatto trova anch'egli degli specchi che lo
rendono bello.
Ora, se ammettiamo che il godimento dei sensi
dipende sempre dall'immaginazione, è sempre regolato dall'immaginazione, non dovremo
meravigliarci delle numerose variazioni suggerite dall'immaginazione in tali
godimenti, dell'infinito numero delle diverse inclinazioni e diverse passioni
che partoriranno le varie deviazioni dell'immaginazione medesima; le tendenze
poi, benché lussuriose, non devono colpire più di quelle di un genere semplice.
Non c'è ragione di giudicare un capriccio di gola meno straordinario di un
capriccio di letto; e, nell'uno come nell'altro genere, non c'è da stupire se
qualcuno idolatra una cosa che la maggior parte degli uomini considera
destabile o se qualcun altro ne preferisce una generalmente riconosciuta buona.
L'umanità è in sé conforme negli organi, non in favore della cosa amata. I tre
quarti dell'universo possono trovare delizioso l'odore di una rosa, ma ciò non
costituisce una prova né per condannare il restante quarto che potrebbe
trovarlo cattivo né per dimostrare che
tale odore è veramente piacevole.
Se pertanto esistono esseri nel mondo i cui
gusti urtano contro tutti i pregiudizi ammessi, le cui stravaganze feriscono
tutti i principi della società, i cui capricci offendono le leggi, e morali e religiose, esseri che vi
sembrano, insomma, degli scellerati e dei mostri per la loro tendenza al
crimine, sebbene spinti non dall'interesse ma dal piacere, non solamente non
devono stupirci, non soltanto non dobbiamo far loro la predica né punirli, ma
dobbiamo essere loro utili,dobbiamo accontentarli, annullare qualunque freno li
impacci e offrire loro, se volete essere giusta, ogni motivo di soddisfazione
senza incorrere in pericoli perché non
dipendono da loro quelle inclinazioni stravaganti, così come non dipende da voi
essere intelligente o stupida, di essere ben fatta o gobba. Nel seno della
madre si formano gli organi che ci renderanno suscettibili di questa o quella
stravaganza; i primi oggetti mostrati, i primi discorsi uditi, finiscono per
far scattare la molla; i gusti si formano, si rendono abitudini, e niente al
mondo potrò distruggerli. L'educazione ha un bell'insistere, non riesce a cambiare
più niente, anche se avrò ricevuto una buona educazione mentre infallibilmente
volerà verso la virtù colui i cui organi si troveranno disposti al bene, anche
se il suo istitutore non lo avrà saputo educare: entrambi avranno agito secondo
la propria organizzazione, secondo l'impronta data dalla natura, e l'uno non è
più degno di punizione di quanto l'altro lo sia di ricompensa.
Lo strano è
che fin quando si tratta di cose futili, non ci stupiamo della
differenza di gusto, ma non appena si tratta della lussuria, tutti fan gran
chiasso. Le donne, sempre attente ai propri diritti, le donne, che la debolezza
e il poco coraggio spingono e obbligano a nulla perdere, hanno continuamente
paura che si porti via loro qualcosa, e se disgraziatamente si ricorre, per divertimento,
a qualche accorgimento contrario al loro culto, allora gridano al crimine,
degno del patibolo! Che incoerenza! che malvagità! Il piacere dei sensi
dovrebbe dunque rendere un uomo migliore di quanto lo rendano gli altri piaceri
della vita? Il tempio della generazione, in una parola, dovrebbe essere il unto
di riferimento delle nostre inclinazioni, e risvegliare i nostri desideri pi e
meglio di un'altra parte del corpo, o più contraria o più lontana da esso, e
anche della più fetida o più ripugnante emanazione di quel corpo? Non mi sembra
che si debba stupire della stravaganza di un uomo nei piaceri del libertinaggio
più di quanto lo sia nelle altre funzioni della vita: lo ripeto, nell'uno come
nell'altro caso, la sua stravaganza è
risultato dei suoi organi. E' colpa sua se quel che colpisce voi non ha
importanza per lui mentre è eccitato da ciò che per voi è ripugnante? Qual è
l'uomo che non modificherebbe immediatamente i suoi gusti, le sue inclinazioni,
i suoi moti sul piano generale e non preferirebbe essere come tutti gli altri
piuttosto di possedere singolari stravaganze, se dipendesse da lui? E'
intolleranza e la più stupida e la più barbara voler infierire contro un tale
uomo; non è più colpevole verso la società, di qualsiasi natura siano i suoi
smarrimenti, di quanto non lo sia, come ho già detto, chi è nato cieco o zoppo! ed è anche ingiusto
punirlo o prendersi beffa di lui quanto lo sarebbe tormentare o deridere
l'altro. L'uomo dotato di singolari inclinazioni è un malato; è, se volete, una
donna con i fumi isterici: ci è mai saltato in mente di punire o di contrariare
l'uno o l'altra? Siamo dunque giusti anche con l'uomo che ci stupisce per i
suoi capricci: in tutto simile al malato o all'isterica, è come loro degno di
pietà e non di biasimo. Moralmente, tale la scusante per quelle persone; la si
ritroverebbe anche fisicamente, ne sono certo, con pari facilità; e quando
l'anatomia sarà perfezionata sarà facilmente dimostrato grazie ad essa il
rapporto fra l'organismo dell'uomo e le inclinazioni sue. Perdenti,
impiegatucci, plebaglia tonsurata, carnefici, cosa farete quando saremo
arrivati a quel punto? cosa ne sarà delle vostre leggi, della vostra morale,
della vostra religione, delle vostre forche, dei vostri paradisi, dei vostri
dèi e del vostro inferno, quando sarà
quel dato livello di acidità nel sangue o negli spiriti animali, sono
sufficienti a fare di un uomo l'oggetto delle vostre punizioni o delle vostre
ricompense?
Proseguiamo: l'inclinazione alla crudeltà vi
stupisce.
Qual è l'oggetto dell'uomo che gode? Non è
forse quello che dà ai suoi sensi tutto l'eccitamento cui sono sensibili, per
meglio raggiungere e più caldamente l'ultima crisi?... crisi preziosa che
caratterizza il godimento, come buono o come cattivo, secondo la maggiore o
minore attività nel momento della crisi? Ora, non è forse un insostenibile
sofisma avere il coraggio di dire che per migliorarla sia necessaria la
partecipazione della donna? Non è forse evidente che la donna non può
condividere niente senza prendere, e che ciò che ruba è inevitabilmente a
scapito nostro? E che bisogno c'è che la donna, io vi domando, goda quando noi
godiamo? in tutto ciò qual altro sentimento se non l'orgoglio può sentirsi
lusingato? Eh! non sarà forse più intensa la sensazione di tale sentimento
d'orgoglio forzando, invece, la donna ad astenersi dal godimento, per godere
solo noi, per essere totalmente nostra, e nulla le impedisca di occuparsi
esclusivamente del nostro piacere? La tirannia non lusinga l'orgoglio più
vivamente dalla carità? Colui che s'impone non è forse con maggior fondamento
il padrone, più di colui che condivide? Ma come può venire in testa a un uomo
di buon senso che la delicatezza abbia qualche valore nel godimento? E' assurdo
sostenere che sia necessaria; non aggiunge mai nulla al piacere dei sensi; dico
di più, nuoce; è cosa assai differente amare e godere; ne è prova il fatto che
ama tutti i giorni sena godere, e che si gode ancor più sovente senza amare.
Tutto quel che si mescola quanto a delicatezza nelle voluttà di cui parlo è un
dono fatto al godimento della donna a detrimento di quello dell'uomo, e finché
questi è occupato a far godere, certamente o non gode o il suo godimento è
meramente intellettuale, vale a dire chimerico e assai inferiore a quello dei
sensi. No, Justine no, non mi stancherò mai di ripeterlo, è perfettamente
inutile che un godimento sia condiviso per essere vivo e per rendere questo
tipo di piacere pungente il più possibile: è, invece, fondamentale che l'uomo
goda a scapito della donna; ch'egli prenda da lei (qualunque sensazione ella
abbia) tutto quel che può accrescere la voluttà di cui vuol godere, senza il
minimo riguardo agli effetti che possono derivare per la donna; perché tali
riguardi lo turberebbero: o vorrà che la donna partecipi, e allora lui non
godrà, o temerà che ella soffra, ed eccolo sbalestrato. Se l'egoismo è la prima
legge della natura, lo è a maggior ragione, e più che in altri casi, nei
piaceri della lubricità voluti dal quella madre celeste, quale nostro unico movente.
E' piccola cosa che, per l'accrescimento della voluttà dell'uomo, egli debba o
trascurare o scompigliare quella della donna, perché, se questo scompiglio gli
fa guadagnare qualcosa, la perdita subita dall'oggetto che lo serve non lo
tocca; deve essergli indifferente che tale oggetto sia felice o infelice,
purché egli ne tragga diletto: non esiste alcun rapporto fra l'oggetto e lui.
Sarebbe dunque pazzesco occuparsi delle sensazioni di tale oggetto a scapito
delle proprie; assolutamente imbecille se, per modificare sensazioni estranee a
lui rinunciasse a migliorare le proprie. Ciò posto, se l'individuo in questione
è sventuratamente organizzato da essere commosso solo producendo, nell'oggetto
che gli serve, dolorose sensazioni, ammetterete che suo dovere sia
abbandonarvisi senza rimorso, perché è lì per godere, fatta astrazione da tutto
quel che ne può derivare per l'oggetto. Torneremo sull'argomento. Intanto,
proseguiamo per ordine.
I godimenti isolati hanno il loro fascino;
dunque possono averne più di ogni altro. Eh! se così non fosse, come potrebbe
godere il vecchio, tanta gente o deforme o difettosa? Sono, costoro, certi di
non essere amati, ben certi che è impossibile che sia condiviso quel che
provano; la loro voluttà è minore? Desiderano solo illudersi? egoisti nei loro
piaceri, li vedete intenti ad averne, pronti a tutto sacrificare per riceverne,
e mai supporre nell'oggetto che serve loro, altre proprietà che non siano
quelle passive. Non è dunque assolutamente necessario dare piacere per riceverne:
lo stato felice o infelice della vittima della nostra sregolatezza è dunque
assolutamente indifferente al soddisfacimenti dei nostri sensi; non si tratta
dello stato eventuale del suo cuore o
della sua mente; tale oggetto, assolutamente passivo, può indifferentemente
essere contento o soffrire di quel che gli fate, amarvi o odiarvi: tute queste
considerazioni sono inutili, quando si tratta di sensi. Le donne, lo ammetto,
possono stabilire massime affatto contrarie, ma le donne, che non sono altro
che macchina di voluttà, che devono esserne lo zimbello, sono confutabili
ogniqualvolta risulti necessario un reale sistema sulla natura dei piaceri che
si possono godere servendosi sei loro corpi. Qual è l'uomo di buon senso che
desideri far condividere il proprio godimento a delle prostitute? E forse non
esistono milioni di uomini che provano grande piacere con quelle creature? Sono
tutti altrettanti individui convinti di quel che sto sostenendo, che lo mettono
in pratica senza esitare e che stupidamente biasimano chi legittima
profondamente le loro azioni; e questo perché l'universo è pieno di statue
provviste di organi che vanno, vengono, agiscono, mangiano, digeriscono senza
mai rendersi conto di niente.
I piaceri solitari, squisiti quanto gli altri
e forse più, sono dunque cosa semplicissima quanto il godimento, gustato
indipendentemente dall'oggetto che ci serve, che non è solo disgiunto da ciò
che ad esso può essere piacevole, anzi contrasta con i suoi piaceri. E dico di
più: può diventare un dolore imposto,una vessazione, un supplizio, fatto per
nulla straordinario, anzi accrescimento del piacere per il despota che tormenta
o che maltratta. Cerchiamo di dimostrarlo.
L'emozione della voluttà non è altro, sulla
nostra anima, che una specie di vibrazione prodotta dalle scosse che
l'immaginazione, accesa dal ricordo di un oggetto lubrico, dà ai nostri sensi o
tramite la presenza di tale oggetto o ancor meglio tramite l'irritazione
dell'oggetto medesimo per il genere che ci eccita maggiormente. Così la voluttà,
quell'inesprimibile solletico che porta al più alto livello di felicità fisica
cui possa arrivare l'uomo, ci elettrizza per due motivi: sia riconoscendo
realmente o fittiziamente nell'oggetto che ci serve, la specie di bellezza che
più ci attrae, sia vedendo che l'oggetto sperimenta la più forte sensazione
possibile. Ora, non esiste sensazione più attiva… più incisiva di quella del
dolore: è un imprimere certo; non inganna come il piacere, continuamente
imitato dalle donne e mai da esse veramente provato. Quanto amor
proprio,d'altronde, quanta giovinezza, quanta forza, quanta salute sono
necessarie per essere certi di determinare in una donna la dubbiosa e poco
soddisfacente impressione del piacere! Quella del dolore, invece, non richiede
nulla: più un uomo è pieno di difetti, più è vecchio, meno egli è simpatico,
meglio riesce. Quanto allo scopo, esso sarà più sicuramente raggiunto perché
abbiamo premesso che tal uomo non sarà toccato, non sarà meglio eccitato nei
sensi se non quando sarà stata suscitata, nell'oggetto che lo serve,la più
profonda impressione possibile, non importa con quale mezzo. Chi dunque farò
nascere in una donna l'impressione più tumultuosa, chi riuscirò a spaventarla,
chi a tormenterà con maggior rigore, chi, in una parola, getterà nello
scompiglio tutta la sua organizzazione,
sarà dunque riuscito a procurarsi la maggior dose di voluttà possibile; perché
la violenta emozione, risultato delle impressioni altrui suoni, dovendo essere
proporzionale all'impressione prodotta, sarà necessariamente più attiva, se tale altrui impressione sarà
stata dolorosa piuttosto che dolce e morbida. Perciò, il voluttuoso egoista,
persuaso che i propri piaceri saranno più vigorosi quanto più saranno completi,
imporrà dunque, quando ne avrà la potestà, la più forte dose possibile
all'oggetto che lo serve, sicuro che la voluttà che ne deriva sarà unicamente
in proporzione all'impressione prodotta.
- Sistemi spaventosi, padre, disse Justine:
portano a inclinazioni crudeli, a esecrabili stravaganze.
- Che importa! rispose il barbaro; lo ripeto,
siamo forse arbitri dei nostri gusti? Non dobbiamo forse cedere al dettato di
quelli ricevuti dalla natura, come l'orgogliosa chioma della quercia si piega
all'uragano che la scuote? Se la natura fosse offesa da tali inclinazioni, non
le ispirerebbe. E' impossibile che ci abbia dato anche solo un sentimento tale
da offenderla, e in questa profonda certezza, possiamo abbandonarci alle nostre
passioni, di qualsiasi genere, di qualsiasi violenza possano essere, certi che ogni
inconveniente derivante dal loro urto è disegno della natura della quale siamo
gli involontari organi. E cosa importano le conseguenze di tali passioni!
Quando vogliamo trar diletto, e non ha importanza da cosa, non si tratta
evidentemente di preoccuparsi delle conseguenze.
- Non mi riferivo alle conseguenze,
interruppe vivacemente Justine, si tratta di risultati: indubbiamente, se voi
siete il più forte e per atroci principi di crudeltà vi piace godere tramite il
dolore, per aumentare le sensazioni insensibilmente giungerete, sull'oggetto
che vi serve, fino all'estrema violenza di togliergli la vita.
- E sia: ciò significa che, avuti dalla
natura certi gusti, avrò servito la natura nei suoi disegni poiché essa
elaborando le sue creature con le distruzioni, mai m'ispira l'idea di
distruggere se non quando ha bisogno di creare; cioè, di una porzione di
materia oblunga ne avrò formate tre o quattromila rotonde o quadrate. Ecco la
vera storia dell'omicidio. O Justine! è dunque un crimine? è possibile definire
tale ciò che serve alla natura? L'uomo ha il potere di commettere crimini? e,
se preferendo la propria felicità all'altrui, abbatte e distrugge tutto quel
che trova sul suo cammino, cosa fa, se non servire la natura, le cui
fondamentali e veridiche ispirazioni gli dettano di crearsi la propria
felicità, non importa a svantaggio di chi? Il sistema dell'amore del prossimo è
una chimera che dobbiamo al cristianesimo, e non alla natura. Il seguace del
Nazareno, tormentato, infelice e, conseguentemente, in uno stato di debolezza
che doveva far gridare alla tolleranza… all'umanità, dovette necessariamente
stabilire tale romanzesco rapporto di un essere con l'altro: difendeva la
propria vita facendolo trionfare. Ma il filosofo non ammette tali giganteschi
rapporti: non vedendo, non considerando che se stesso nell'universo, a se
stesso tutto rapporta. Se tiene presente o indulge ad altri per un attimo, lo
fa solo tenendo presente il profitto che giudica di trarne: non ha bisogno
degli altri, predomina perché più forte? allora abiura a tutti i bei sistemi di
umanità, di pietà, ai quali si era sottomesso per politica; non teme allora di
portare a sé tutto ciò che lo circonda, e, non badando a quel che possono
costare agli altri i suoi piaceri, li appaga senza riguardo come senza rimorso.
- Ma l'uomo di cui parlate è un mostro!
- L'uomo che ritraggo è nella natura.
- E' una belva.
- Che significa! la tigre, il leopardo dei
quali quest'uomo è, se vuoi, l'immagine, non sono forse creati dalla natura, e
creati per assolvere le intenzioni della natura? Il lupo che divora l'agnello
agisce secondo le intenzioni della madre comune, come il malfattore che
distrugge l'oggetto della propria vendetta o della propria lubricità.
- Oh, avrete un bel parlare, padre, ma io non
accetterò mai tale lubricità distruttiva.
- Perché hai paura di divenirne l'oggetto:
ecco l'egoismo. Scambiamo le parti e intenderai perfettamente. Interroga
l'agnello: non capirà perché il lupo possa divorarlo; domanda al lupo a cosa
serve l'agnello. A nutrirmi, risponderò. Lupi che mangiano agnelli, agnelli
divorati dai lupi, il forte che sacrifica il debole, il debole vittima del
forte, ecco la natura, ecco i suoi scopi, ecco i suoi disegni: azione e
reazione perpetua, un mucchio di vizi e di virtù, un perfetto equilibrio, in
una parola, risultante dalla parità di bene e di male sulla terra, equilibrio
essenziale per la conservazione degli astri, della vegetazione senza il quale
tutto andrebbe immediatamente distrutto. O Justine! si stupirebbe grandemente,
la natura, se potesse discutere un momento con coi, anzi se le dicessimo che i
crimini a lei utili, che i misfatti ch'essa esige e ci ispira, sono puniti da
leggi, che ci viene assicurato, derivano dalla sua. Imbecille! risponderebbe a
chi così le parlasse, genera, calunnia, distruggi, fotti in culo, in conno,
ruba, saccheggia, violenta, incendia, martirizza, assassina tuo padre, tua
madre, i tuoi figli, commetti senza paura tutti i crimini che ti piacerà
perpetrare: tali pretese infamie mi sono gradite, sono necessarie ai miei scopi
verso di te; ed io le voglio, poiché le ispiro; non potresti commetterle se mi
recassero oltraggio. E' compito tuo regolare ciò che m'indispone e ciò che mi
piace! Sappi che non c'è nulla in te che non mi appartenga, nulla che non sia
stata o a porvi, per motivi che non ti conviene approfondire; la più
abominevole delle tua azioni è solo, come la più virtuosa di un altro, un modo
di servirmi; io stimo sia chi distrugge come chi crea, ed entrambi mi servono,
anche se procedendo diversamente. Non trattenerti, dunque; spezza le tue leggi,
le tue convenzioni sociali e i tuoi dèi; ascolta solo me, e sii convinto che,
se esiste un crimine, quello è opporsi a ciò che t'ispiro, o con la tua
riluttanza o con i tuoi sofismi.
- Oh! giusto cielo! esclamò Justine, mi fate
rabbrividire: se non esistessero crimini contro natura, da cosa nascerebbe la
nostra invincibile riluttanza a certi delitti?
- La ripugnanza che voi dite non è dettata
dalla natura, rispose con vivacità il nostro filosofo; è fondata su un'erronea
abitudine. Non accade lo stesso per certi cibi? Anche se eccellenti, non ci
capita di rifiutarli perché non ci siamo abituati? Avremmo il coraggio di dire,
fondandoci su quest'unico motivo, che non sono buoni? Cerchiamo di vincerci, e
ci convinceremo presto che sono gustosi. Ci ripugnano certe medicine, anche se
salutari: abituiamoci dunque a ciò che impropriamente è detto crimine; vi troveremo presto dei
vantaggi. La momentanea ripugnanza è un'audacia, una civetteria della natura piuttosto
che un avvertimento che la cosa l'offende; essa ci prepara così ai piaceri del
trionfo, aumenta anche quelli dell'azione stessa. Anzi, Justine, anzi: più
l'azione ci sembra spaventosa più contraria agli usi e costumi nostri, più
spezza freni, più ferisce ciò che supponiamo essere le leggi della natura, e
più, al contrario, è utile proprio alla natura. Solo grazie ai crimini essa
riacquista i diritti che la virtù continuamente si arroga. Se il crimine è
lieve e di poco differisce dalla virtù, esso stabilirà più lentamente
l'equilibrio indispensabile alla natura, ma, più è grave, più sembra
spaventoso, più è vasto; meglio livella
i pesi, più bilancia la preponderanza della virtù, che altrimenti tutto
distruggerebbe. La smetta dunque di aver paura chi medita un misfatto o chi lo
ha compiuto: più il suo crimine sarà senza limiti e più egli avrà servito la
natura. O Justine! Archimede lavorava a una macchina che avrebbe dovuto alzare
il mondo: quando un meccanico ne avrà scoperta una che lo riduca in polvere,
costui avrà ben meritato dalla natura, perché la mano della natura brucia del
desiderio di ricominciare un'opera… mancata al primo tentativo.
- Oh padre, con tali principi…
- Si è scellerati, non è vero, mia cara? Ma
lo scellerato è sempre l'uomo della natura, mentre il virtuoso lo è solo della
circostanza.
- Ahimé, signore, proseguì piangendo la
nostra piccola sventurata, non sono abbastanza intelligente per confutare i
vostri sofismi, ma il loro effetto sul mio cuore… su un cuore senza esperienza,
opera anch'esso della natura come potrebbe esserlo la vostra depravazione, tale
effetto, dico, è sufficiente a dimostrare quanto la vostra filosofia sia
cattiva e dannosa.
- Dannosa, e sia, rispose Clément; cattiva,
no; perché tutto quel che è dannoso non è affatto cattivo. Esistono cose
utilissime che sono dannose; i serpenti, i veleni la polvere da sparo, tutto
ciò è molto dannoso e nonostante ciò assai usato: tratta la mia morale così, ma
non avvilirla. Abusare delle cose migliori può diventare dannoso: ma in questo
caso l'abuso è un bene, e più un uomo saggio metterà in pratica i miei sistemi,
più gli garantirò la felicità, perché la felicità consiste in ciò che commuove,
e non c'è che il crimine che commuova: la virtù, stato d'inazione e di quiete, non
può mai condurre alla felicità.
A queste parole Clément si addormentò.
- Si sveglierà presto, dissero
Armande e Lucinde a Justine, e sarà come un indemoniato: la natura addormenta i
suoi sensi solo per dar loro, dopo breve riposo, nuova e maggiore energia.
Ancora un quadro e poi potremo stare tranquille fino a domani.
- E perché non profittate di
questo momento per dormire anche voi? disse Justine alle compagne.
- Lo puoi tu, mia cara, disse
Armande: non sei di guardia. Mettiti nuda accanto a lui, con le natiche il più
possibile vicine alla sua faccia, non ti dirà una parola: ma il dovere ci
obbliga, la mia compagna ed io, a vegliare; ci mangerebbe vive se ci
sorprendesse addormentate; nessuno lo biasimerebbe: è la legge del serraglio,
essi non ne conoscono altre.
- Cielo! disse Justine, come!
persino nel sonno questo scellerato vuole che ciò che lo circonda si trovi in
stato di sofferenza?
- Sì, rispose Lucinde, è la
barbarie di tale idea che gli procura il furioso risveglio che vedrai. E, a
questo proposito, come quei perversi scrittori dalla corruzione così
perniciosa, così attiva, il cui unico scopo, stampando i loro orrendi sistemi,
è quello d'estendere al di là della loro stessa vita ogni loro crimine: non
possono più commetterne, ma i loro maledetti scritti ne faranno commettere; e
tale dolce pensiero, che portano nella tomba, li consola della necessità
imposta dalla morte di rinuncia al male (38).
E le due guardiane di Clément si
rimisero a perlustrare delicatamente attorno al letto del padrone. Justine si
addormentò in una poltrona, il più lontano possibile da quel mostro.
Dopo due ore, effettivamente egli
si svegliò agitatissimo. Infuriato di non trovare Justine accanto a lui, la
chiamò e, afferrandola con violenza:
- Perché non sei qui, puttana? le
disse; non ti è stato detto dove dovevi stare? non ti è stato detto che
svegliandomi avevo bisogno di un culo sotto il naso?
I suoi occhi scintillavano, la sua respirazione era
affannosa ed energica; pronunciava frasi smozzicate che altro non erano che
bestemmie o parole proprie al libertinaggio. Egli chiama le guardiane, chiede
le verghe e, legando le tre donne pancia contro pancia, le sferza tutte e tre
fino a consumarne sui loro corpi una mezza dozzina di manciate. Rizza, allora
le slega; si tratta ora di succhiare: una, Armande, deve farlo scaricare nella
bocca; Lucinde deve mordicchiargli la lingua e pompargli la saliva e Justine
deve trafficargli nell'ano. Vinto da sensazioni tanto voluttuose, il libertino
perde la testa perdendo, con il fiotto ardente del suo seme, e l'ardore e il
desiderio. Ma le tre donne risentono della crisi; pare ch'egli voglia
molestarle durante la scarica: quella che pompa ha la mammella destra
illividita; quella che lo bacia in bocca la lingua quasi spezzata in due; ed
egli è così violentemente appoggiato sulla faccia di Justine, che sta
succhiandogli il culo, da schiacciarle quasi il viso: il sangue le esce dal
naso a fiotti.
Il resto della notte fu tranquillo. Alzandosi, il
monaco si contentò di farsi flagellare; le tre donne vi esaurirono ogni forza.
Allora le esaminò, osservò attentamente i segni della sua crudeltà e, siccome
doveva andare a dir messa, esse rientrarono nel serraglio.
La direttrice non poté fare a meno di desiderare
Justine nello stato di sporcizia e di eccitazione in cui la supponeva; le fece
dire di andare da lei: Justine non poté esimersi. Stava per essere servita la
colazione; una delle matrone, di quarant'anni, era con la padrona di casa: era
la celebre Honorine. Si ricorderà che questa donna piena di energia, bella
quanto viziosa, aveva commesso un omicidio nella casa senza alcuna spiacevole
conseguenza per lei essendo abitudine dei monaci di mai punire i crimini che
maggiormente li deliziavano. Assai innamorata della nostra eroina, desiderava
goderne almeno con altrettanto ardore della direttrice, e tutte e due erano là
per soddisfare tale desiderio. Cieca sottomissione fu dunque ordinata alla
miserella. Le due lesbiche se ne appropriano e, rincarando la dose l'una più
dell'altra con discorsi e gesti, mettono la povera fanciulla nelle condizioni
di convincersi che delle donne, in simili momenti, perduto ogni ritegno proprio
al loro sesso, non possono, seguendo l'esempio dei loro tiranni, diventare che
oscene e crudeli. Lo si crederà? Honorine aveva gusti maschili, si faceva
frustare, inculare, le piacevano la merda e i peti; e la dolce Justine fu
obbligata a prestarsi ad ogni suo capriccio con la medesima rassegnazione con
la quale avrebbe dovuto comportarsi se fosse stata nella cella di un monaco o
ad una delle loro cene. Impossibile immaginare le molte lussurie celebrate in
quelle segrete orge, dalle quali Justine uscì più stanca che se avesse tenuto
testa a dieci libertini. Un po' più soddisfatta di lei, la direttrice la
licenziò meno arrabbiata; e Justine si accorse che era meglio ottenere la stima
di tale favorita che meritarne lo sdegno.
Due notti dopo, dormì con Jérome. Era sola con le due
guardiane, Olympe e Eléonore, la prima di nove anni, l'altra di tredici.
Quattro gitoni dai dodici ai quindici anni e tre fottitori dai venti ai
venticinque completavano il numero dei soggetti destinati alla scena infame.
- Guarda questa bambina, disse il vecchio scellerato
indicando a E siccome Eléonore continuava a negare, Jérôme annunciò che avrebbe
proceduto all'interrogatorio tramite tortura. Passarono a tale scopo in un
gabinetto in cui tutto ciò che poteva servire alle torture più orrende era
pronto. Tutta la compagnia segue il monaco; Justine lo conduce, guidandolo per
il bischero. Egli rizza, bestemmia, ingiuria; i suoi occhi sono due forni; la
sua bocca schiuma: è spaventoso. Eléonore è fatta stendere su un cavalletto con
dei congegni a molla che le tendono le braccia e le gambe fino a slogargliele:
la fanciulla non pronuncia alcun nome. La tortura cambia. Viene spalmata di
lardo su tutto il corpo: è messa davanti a un fuoco terribile. Mentre sfrigge,
Jérôme, sodomizzato dai tre fottitori, non smette di mantenere Justine
inculata. Ancora silenzio, e la sventurata vittima è ritirata dal fuoco mezzo
arrostita.
- Su, dice Jérôme, che aiutava esultante i tre
fottitori nelle sanguinarie operazioni, bisogna fare un'altra prova.
La vittima è messa, sospesa a corde, fra due lastre di
acciaio fornite di punte che si chiudono una sull'altra o si aprono. In un
primo tempo con estrema cautela è usato il terribile strumento: ma quando
Jérôme si accorge di non riuscire a strappare niente all'accusata, le lastre si
avvicinano con tale violenza che la misera fanciulla, trafitta in mille punti
del corpo, lancia urla che si potrebbero udire a una lega di distanza.
- E allora la condanno, dice quel barbaro monaco,
poiché non vuole confessare.
A queste parole, lascia Justine e sparisce nel culo
della nipote. E intanto lo fottono, lo palpano e culi lo circondano; quello
della nostra eroina sulla bocca, lui lo divora; e, mettendosi davanti la
vittima, vuole che sia sodomizzata sotto i suoi occhi e così vicina che egli
possa, con tutte e due le mani, pungerla, farle male alle mammelle con tutta
tranquillità. Due giovani, il pugnale alzato, minacciano Eléonore al cuore.
- Colpirete quando ve lo dirò io! grida quella furia;
fatela languire a lungo sotto la spada: così mi piace tenere le donne; le
vorrei vedere tutte sotto lo stesso pugnale e che lo scatto fosse nelle mie
mani.
L'orribile disegno determina l'estasi; lo sperma parte
e il mostro, stordito da tutte le voluttà che lo circondano, dimentica
d'impartire l'ordine. La sua disgraziata vittima è salva grazie alla bravura
dei compagni di sventura; e Cerarne, ormai immerso nel sonno, fra le braccia di
Justine, è intento a recuperare quelle forze che l'abitudine di perderle presto
diminuirà fino a non fargliele mai più ritrovare. Tuttavia si sveglia dopo tre
ore e, rammentando la sua felice dimenticanza, accusa Justine di esserne la
causa; le farà subire, dice, la tortura preparata per Eléonore. E intanto
l'incula, un fottitore lo penetra, lui bacia il culo di un gitone, ordina alle
guardiane di frustarsi alla sua presenza. Vedendo che esse procedono senza
molta energia, lancia loro contro uno dei suoi fottitori, che finisce per farla
sanguinare; e il villano scarica ancora una volta, dichiarando che ucciderà
tutti.
Poco dopo, Justine si coricò con Ambroise. Si
ricorderà il carattere di questo monaco feroce e l'orrendo suo aspetto, le sue
inclinazioni per la crapula e la sodomia. Non si può immaginare fino a che
punto la nostra avventuriera ne fu vittima: unico piacere dello scellerato fu
di farla fustigare e sodomizzare tutta la notte alla sua presenza; e quando
ella aveva lo sperma nel culo era costretta ad andare a restituirlo a lui nella
bocca. Egli inculava un giovane e intanto si faceva frustare. Quando la
conclusione stava approssimandosi, s'impossessò delle natiche di Justine, poi,
armato di spillone d'oro, le punzecchiò come si fa per cuocere una mela, fino a
coprirle di sangue.
- Oh! che scuola! disse Justine rientrando; dove la
mia avversa fortuna mi ha portata? E quanto vorrei vedermi fuori da questa
impura cloaca, qualunque futuro poi dovesse attendermi.
- Potrebbe darsi che fossi esaudita, rispose Omphale,
con la quale Justine si lamentava. Si avvicina l'epoca delle feste; raramente
la solennità è celebrata senza vittime, dato che è il momento delle grandi
sostituzioni: essi o seducono qualche fanciulla tramite la confessione o il
raggiro, se ci riescono, oppure arrivano le donne che vanno in cerca di
reclute; è l'epoca in cui affluiscono in maggior numero. Altrettanto si dica
per i nuovi soggetti, che comportano sempre riforme.
E arrivò, la famosa festa. Incredibile la mostruosa
empietà dei monaci! Pensarono che la vista di un miracolo avrebbe raddoppiato
la loro fama. Perciò rivestirono una giovanetta di dodici anni, chiamata
Fiorette, con tutti gli ornamenti della Vergine; con invisibili corde, la
legarono al muro della nicchia ordinandole di alzare le braccia compuntamente
al cielo al momento dell'elevazione. Siccome la piccola era sotto la minaccia
di orrendi castighi se avesse detto una sola parola o non avesse fatto la sua
parte, ella si sottomise perfettamente, e l'inganno ebbe il successo facilmente
immaginabile. Il popolo gridò al miracolo, lasciò ricchi doni alla Vergine e
andò via più che mai convinto dell' efficacia delle grazie di quella puttana
celeste. I nostri libertini vollero, per raddoppiare la propria empietà, che
Florette apparisse alle orge della sera con gli stessi abiti che le avevano
meritato tanti onori, ed ognuno accese i propri lubrici desideri sottoponendola
con quell'abito ai più esecrabili capricci. Eccitati dal primo crimine, i sacrileghi
non si limitarono solo a quello: fecero svestire la piccola, la coricarono sul
ventre su una grande tavola, accesero dei ceri, misero un crocifisso sulle reni
della bambina e celebrarono sulle sue natiche il più assurdo mistero del
cristianesimo. La pia Justine allora sviene a tale spettacolo; impossibile
sopportarlo. Jérôme dice che per abituarla alle sante orge bisogna dire una
messa sul suo sedere. La proposta passa all'unanimità. Justine sostituisce
Florette. Jérôme officia,
due lesbiche nude servono da accoliti, dieci o dodici culi lo circondano;
l'infame farsa avviene e, quando l'ostia si è mutata in Dio, Ambroise la prende
dalle mani del confratello, la posa sulla base di Justine, ed ecco i nostri
monaci a turno spezzare, infilare con gli sbavanti bischeri l'abominevole Dio
del cristianesimo, che bestemmiano, ingiuriano e coprono di sperma in fondo al
più grazioso culo del mondo, morendo di piacere (39).
Justine fu ritirata inanimata; la costrizione di
servire tali disordini le aveva fatto smarrire la ragione; dovettero portarla
nella cella, dove pianse il crimine, per lei esecrabile, nel quale era stata
coinvolta senza il suo consenso. Come fu riconoscente alla natura di averla
privata della possibilità di assistere oltre all'orrenda cerimonia! Ma il
giorno seguente apprese che, essendosi le teste riscaldate, Fiorette era stata
rivestita da vergine, era stata ricondotta nel convento e che dopo essere stata
nuovamente messa nella nicchia, i sei monaci, nudi e mezzo ubriachi, si erano
divertiti, con numerose prostitute, a tormentare sull'altare la sventurata
creatura che, dando loro l'illusione della madre di un Dio odiato, fu trattata
tanto crudelmente che, verso il mattino, non rimaneva delle sue membra la
minima traccia.
Tuttavia la festa aveva effettivamente condotto molte
reclute. Tre nuove fanciulle, e belle come angeli, sostituirono quelle che
mancavano; e già si stava pensando a nuove riforme, allorché Severino entrò un
giorno nella sala in qualità di reggente. Pareva assai esaltato, una sorta di
smarrimento gli riluceva negli occhi. Tutte si mettono in fila; egli esamina,
sistema una dozzina di donne nella posizione preferita e si sofferma
particolarmente su Omphale, con le sottane alzate fino alle reni e china su un
canapè. L'osserva a lungo in quella posizione, facendosi scrollare dalla
direttrice; bacia il culo dell'affascinante creatura, fa vedere che è in
condizioni di fottere, e non fotte. Facendola quindi alzare, le lancia occhiate
di lussuria e di malvagità, poi, assestandole un calcio nel sedere, la manda a
terra a venti passi da lui.
- Ti riformiamo, puttana, dice; siamo stanchi di te;
tienti pronta al calar della notte, verrò io stesso per condurti nella tomba.
Omphale sviene; la sincope accende il suo furore; non
gli è possibile passare vicino a lei senza sentirsi profondamente eccitato:
- La voglio qui! grida.
La vittima, immediatamente risistemata, offre al
perfido Severino il più bello fra tutti i culi; vi s'introduce bestemmiando;
dodici deretani lo circondano immediatamente; è una gara per riuscire, per
appagare i suoi desideri; è inimmaginabile quel che si ottiene con il terrore!
Nel bel mezzo della faccenda, il monaco si ricorda che Justine è l'amica intima
di colei che sta tormentando; esige che vada a mettersi sulle spalle di Omphale
e gli offra l'ano da leccare.
- Ebbene! intanto si diverte a dire alla nostra
sventurata orfana, ti precede; va da Plutone a prepararti la stanza;
tranquillizzati, Justine, asciuga le tue lacrime, la seguirai da vicino, il
distacco sarà breve; deve morire squartata; ebbene! tu morrai come lei, te lo
prometto; vedi come sono gentile... fino a che punto giunge la mia cortesia!
E il furfante continua a limare; ma non vuole perdere
niente, lo si vede bene; e dopo alcuni ceffoni sulle natiche di Justine e di
Omphale, che lasciano tracce d'un rosso scuro, si ritira minacciando,
insultando tutte le donne, garantendo che il loro turno non è lontano e che il
sodalizio deve deliberare in giornata se farle morire tutte in futuro almeno a
sei per sei. Poi entra da Victorine, dove due ragazzine dai dieci ai dodici
anni lo aspettano per sottrargli, usando arte e astuzia, uno sperma dai
ribollimenti interiori tanto nocivi agli infelici che popolano quell' asilo.
Non appena è uscito, Omphale apre gli occhi; si getta
in lacrime fra le braccia di Justine:
- Oh, cara, esclama in lacrime, dobbiamo dunque
separarci per sempre?
E la scena di dolore suscitata dalla crudele
separazione fu tale che ne sopprimiamo i particolari per non ferire il lettore.
L'ora suona, Severino arriva; le due amiche si abbracciano di nuovo; devono
essere strappate l'una all'altra, e Justine si getta sul letto, disperata.
Qualche giorno dopo Justine si coricò con Sylvestre.
Come si ricorderà questo monaco voleva che una donna gli cacasse nella mano
mentre l'inconnava. Justine non si era ricordata della raccomandazione che le
era stata fatta al riguardo e, quando all'apice del piacere, l'energumeno
chiede della merda, le fu impossibile soddisfarlo. Sylvestre infuriato allora
si sfila; fa afferrare Justine dalle due guardiane, una delle quali era
quell'Honorine che abbiamo poco fa vista alle prese con lei e che non era per
niente scontenta di avere l'occasione di tormentare una creatura di cui si era
appagata. Justine è condannata alla pena di quattrocento frustate, secondo
l'articolo settimo del regolamento. E, quando ha il culo insanguinato, il
monaco di nuovo l'inconna. Honorine cacherà, dal momento che Justine non può.
L'altra guardiana, una pollastrella di quindici anni, è infilata poco dopo: lei
cacao Abituata a tale santo dovere sta ben attenta di non mancarvi. Sylvestre
le fotte, le schiaffeggia leggermente tutte e tre, ma solo nel cenno di Justine
vuoI scaricare: è facile capire che lei sola lo interessi sopra ogni cosa.
L'ultima volta che ne gode è alla pecorina; osserva, inconnandola in quel modo,
il marchio che la segna.
- Come mi piace quel segno! esclama; ma preferirei che
fosse opera della giustizia piuttosto che del libertinaggio; fatto dalla mano
del carnefice, rizzerei meglio baciandolo.
- Insigne furfante, gli dice Honorine conoscendo
meglio di chiunque altro il tono e i discorsi che più potevano piacere al
libertino, com'è possibile che l'infamia possa dar diletto?
- Niente è più piacevole dell'infamia, dice Sylvestre ritirandosi
e andando a sedere fra la prostituta di quindici anni e Justine per la sua
perorazione. Se la lussuria è in quanto tale un'infamia, ammetterai, Honorine,
che tutto ciò che ad essa si potrà aggiungere d'infamia sarà come aggiungere
sale a una vivanda? Non soltanto bisognerà che il fatto sia più infame del
primo, ma anche che l'atto infame sia esercitato su persona infamata, sporcata,
senza onore ... e reputazione. Ed è questa la ragione per la quale i libertini
preferiscono le puttane alle donne oneste; trovano in loro compagnia un
qualcosa di piccante che il pudore e la virtù non hanno.
- Credevo che fosse molto piacevole recare offesa e
alle une come alle altre.
- Sì, quando si può perché allora la tinta d'infamia è
opera vostra, e com'è delizioso aver contribuito all'umiliazione di un
individuo qualunque, ma siccome la virtù e il pudore si sottraggono agli
oltraggi progettati contro di loro, a meno che voi non siate il più forte, è
difficile realizzarli, e perciò l'uomo dissoluto ripiega con gioia su ciò che
gli somiglia. Gli piace misurare la corruzione degli altri con la sua,
mischiare, alimentare, raddoppiare i suoi strumenti di degradazione nella massa
di quelli degli altri, andare in cancrena, putrefarsi, per così dire, con essi.
La maggior disgrazia che potrebbe capitarmi sarebbe di veder giustificati i
miei scarti. Se perdessi la certezza di far male abbandonandomi ai miei
eccessi, smusserei le papille dei centri nervosi delle sensazioni libertine e
la mia felicità sarebbe dimezzata: cosa sarebbe una gioia non accompagnata dal
vizio?
- Ah! interviene Justine, non mettete in conto quelle
della natura, e incontaminate?
- Ma tutte le gioie della natura sono nella natura,
riprende Sylvestre, la più semplice come la più criminale: la sua voce ci dice
di bere quando abbiamo sete, come di fottere quando rizziamo; di soccorrere un
infelice, se la nostra organizzazione flessibile e delicata ci porta a questo,
come di offenderlo, se maggior vigore nel carattere ci consiglia di abusare di
lui. Tutto appartiene alla natura, nulla a noi: essa ci suggerisce di essere
inclini al crimine e al tempo stesso di amare la virtù, ma siccome nello stesso
tempo ci offre storie mediocri e altre saporose, essa ci incita più
voluttuosamente verso il crimine che verso la virtù perché sempre ha bisogno
del crimine più che della virtù mentre l'uomo, unico strumento dei suoi
capricci, le obbedisce continuamente senza neppure accorgersene.
- Secondo voi, dunque, dice Honorine, tutti i mezzi
sono buoni per migliorare una gioia in senso perverso e criminale?
- Tutti, certamente, tutti: non uno deve essere
trascurato; e tocca all'uomo veramente voluttuoso cercare con cura i mezzi
perversi possibili per accrescere la propria gioia; non deve rifiutarne alcuno;
si rende colpevole verso la natura se s'impone il minimo freno.
- Se tutti gli uomini pensassero come voi, dice
Justine, la società diventerebbe una selva in cui ognuno avrebbe per unico
scopo di sgozzare chi lo ha generato.
- E chi dubita, riprende il monaco, che l'omicidio sia
una delle leggi più preziose della natura? Qual è il suo scopo quando crea? non
è forse quello di vedere presto distrutto il suo operato? Se la distruzione è
una delle sue leggi, colui che distrugge le obbedisce. E vedi quanti
innumerevoli crimini ne derivano!
Ecco ciò che giustifica, dice Honorine, tutte le
vostre malvagità verso di noi.
- Ma certamente, mia cara, risponde Sylvestre, perché
considero la malvagità la molla segreta di ogni crimine. E' per malvagità che
s'inventa, che si fa. L'uomo paziente e buono è negazione della natura; solo il
mamvagio è attivo e l'unica cosa deliziosa a questo mondo è il frutto della
malvagità: la virtù lascia l'anima in quiete; solo il crimine la stuzzica, la
eccita, la fa uscire dai gangheri e la fa godere.
- Così il tradimento e la calunnia, i due maggiori, i
due più dannosi risultati della malvagità sarebbero per voi delizia?
- Tale considererò sempre ciò che avvia alla rovina,
al disonore, alla degradazione o alla totale perdita altrui, perché tali oltraggi
sono gli unici che veramente mi fanno piacere, e il male che faccio o che vedo
accadere agli altri è per me la strada che porterà lontano.
- E così, a sangue freddo sareste disposto a tradire
l'amico più fedele, a calunniare il parente più caro?
- E con maggior piacere che non individui ai quali
niente mi lega, perché allora il male è maggiore, e più esso è capitale più la
sensazione che ne risulta è squisita e raffinata. Ma occorrno arte, principi,
una specie di teoria nella scienza del tradimento, come in quella della
calunnia, dalla quale non dobbiamo scostarci se vogliamo goderne in pace i
frutti. Tradire o calunniare un uomo, per esempio, a vantaggio di un altro, è
la massima felicità del malvagio; e se rende qualcuno felice immolando una
vittima, si ritrova la sera come se non avesse fatto nulla e pertanto non
avesse servito la propria malvagità. Bisogna dunque che diriga i suoi colpi,
con un'arma a doppio taglio, su più di un individuo senza favorirne nessuno:
ecco gli ostacoli per queste due scienze, le difficoltà e i principi che,
mettendole in pratica, l'una e l'altra, ho sempre incontrato.
- Ma, dice Justine, come mai con tali idee non vi
divorate fra voi?
- Perché essere solidali è utile alla nostra
conservazione e perché, per mantenere in piedi il nostro sodalizio preferiamo
fare qualche sacrificio ampiamente ripagato dalle possibilità che ci vengon
offerte qui di fare il male. Non credere tuttavia che ci si voglia un gran
bene; ci vediamo troppo e troppo da vicino tuttii giorni per amarci, ma siamo
obbligati a stare insieme e perciò abbiamo imparato a convivere, più o meno
come i ladri il cui sodalizio si bsa sul vizio e la necessità di esercitarlo.
- Ebbene!
padre, dice Justine, vorrei rispondervi che in mezzo a tanta depravazione
sarebbe ancora possibile rispettare la virtà
- Ti assicuro, bambina, che la disprezzo profondamente
da quando sono nato, che finché sarò vivo mai vedrai in me un gesto virtuoso
perché mia massima gioia è sempre stata moltiplicare gli oltraggi contro di
essa. Ma rizzo: devo finire di fottere: fammi rivedere quel dorso che mi ha
tanto infiammato poco fa.
E
l'energumeno, rinconnando Justine alla pecorina, ricomincia a baciare il
marchio che sembra piacergli tanto. Di quando in quando, annusa, respira le
ascelle, e si direbbe che questo sia uno dei particolari più gradevoli alle sue
sporche lubricità; talvolta Honorine e la sua compagna gli offrono il conno ben
aperto e lui, sempre nel conno di Justine, vi ficca il naso e la lingua, fino
ad aver ottenuto dall'uno e dall'altro un po' di sperma o di piscio; ma niente
spunta.
- Non mi basta, dice Sylvestre; contavo su una vagina
mestruale, invece no. Honorine, corri a procurarne una nel serraglio.
E mentre sono eseguiti i suoi ordini, il monaco
sfilandosi, si mette a trafficare Justine.
- Pisciami nella bocca, puttana! esclama; non hai
ancora capito quel che ti sto chiedendo da un'ora?
Justine obbedisce. Il monaco è energicamente
scrollato, e forse finirebbe per scaricare se Honorine non rientrasse con una
donna di trent'anni, la cui camicia sporca di sangue annuncia a Sylvestre lo
stato desiderato. Hippolyte, così si chiama la sultana, è immediatamente
inventariata: non sono regole, è una perdita.
- Oh! cazzo, dice il monaco accalorato, ecco quel che
mi ci vuole; ti fotterò, puttana, ma tu cacherai. .. merda e regole! Oh,
porcodio, che scarica portentosa farò!
Sylvestre inconna; e il suo bischero è come il braccio
di un macellaio. Soddisfatto da una parte lo è anche dall'altra; presto ha le
mani piene di merda e se la stropiccia sulla faccia e, sfilandosi da Hippolyte,
obbliga Justine a succhiargli il bischero pieno di sangue. Non si può fare a
meno di obbedire: dalla bocca della bella bambina si rituffa nella sua matrice.
Dopo aver esposto bene in vista il conno arrossato d'Hippolyte lo succhia con
ardore fottendo mentre Honorine mette le natiche accanto alla vagina che lo sta
deliziando e l'altra guardiana lo frusta energicamente. Cade in crisi; urla
come un diavolo dal piacere, e il villano, ebbro di lussuria e d'infamia,
finalmente si addormenta tranquillo.
Il giorno seguente Justine partecipò alla cena; si
trattava di un'ammissione. Solo le vergini, le vestali e le sodo miste avevano
fornito le dodici superbe creature che avevano ottenuto tale onore. Entrando
Justine vide la nuova eletta.
- Ecco colei che la società vi dà per compagna,
signorine, disse Severino strappando i veli che coprivano la fanciulla e
presentando una giovinetta di quindici anni, dall'aspetto assai piacevole e
leggiadro.
I begli occhi, umidi di lacrime, erano lo specchio
della sua anima sensibile; il suo corpo era snello e flessuoso, la sua pelle di
un biancore abbagliante; e aveva un non so che di seducente da essere
impossibile vederla senza sentirsi invincibilmente attratti. Si chiamava Octavie.
Figlia di nobilissimo casato, era stata rapita mentre in carrozza con la
governante, due cameriere e tre lacchè era diretta a Parigi per andare sposa a
uno dei più grandi signori di Francia; il suo seguito era stato massacrato
dagli agenti dei monaci di Sainte-Marie-des Bois. Era stata gettata in un
calesse, semplicemente scortata da un uomo a cavallo e dalla donna che la
presentava; poi era stata condotta nell'orrendo rifugio senza spiegazione
alcuna.
Nessuno le aveva rivolto la parola fino a quel momento;
i sei libertini in estasi davanti a tante grazie, avevano solo la forza di
ammirarla.
La bellezza costringe naturalmente al rispetto; il più
corrotto scellerato le rende, suo malgrado, una specie di culto che non
infrange mai senza rimorso; ma mostri come quelli di cui si tratta non languono
a lungo sotto tale giogo.
- Su, porcodio! le dice insolentemente il superiore
attirandola verso la poltrona sulla quale è seduto, su, fatemi immediatamente
vedere se il resto è degno della bellezza che la natura ha profuso sul vostro
volto.
E siccome la bella fanciulla era turbata, arrossiva e
cercava di fuggire, Severino acchiappandola per la vita:
- Mettiti in testa, piccola sgualdrina, dice con
spudoratezza, che non sei più padrona di niente qui e che tua unica risorsa è
la sottomissione; avanti, nuda!
E il libertino, a tali parole, fa scivolare una mano
sotto le sue gonne tenendola ferma con l'altra. Clément si avvicina; alza fin
sopra le reni gli abiti di Octavie e mostra, con quel gesto, il culo più
fresco, più bianco, più tondo che da molto tempo non aveva colpito quei
gaudenti. Tutti si avvicinano, tutti circondano quel trono di voluttà, tutti lo
colmano di elogi, tutti si accalcano per toccarlo e colmarlo di carezze,
all'unanimità ammettendo che mai avevano visto niente di così ben fatto, di
così bello, di così perfettamente costruito.
Tuttavia la modesta Octavie, poco abituata a simili
oltraggi, spande lacrime e si difende.
- Spogliamoci, su, porcodio! dice Antonin; come si può
giudicare con tutti quegli abiti addosso!
Egli aiuta Severino; tutti concorrono; uno strappa uno
scialletto, l'altro una sottana: Octavie è come la cerbiatta attorniata da una
muta di cani; in un attimo, le sue voluttuose bellezze si offrono nude allo
sguardo di tutti. Mai, indubbiamente, leggiadria più eccitante, mai forme più
piacevoli vi furono. Oh! giusto cielo! tanta bellezza, tanta freschezza, tanta
innocenza e delicatezza dovevano cadere preda di quei barbari! Octavie,
vergognosa, non sa dove nascondersi per sottrarsi; ovunque si rifugi incontra
occhi libertini che la divorano, mani brutali che la sporcano. Il cerchio si
forma; è portata in mezzo, e ogni monaco ha accanto donne che lo eccitano in
vario modo. Octavie si presenta a ciascuno. Antonin non ha la forza di resistere;
viene accettato; gli stavano scrollando il culo e lui teneva con una mano le
natiche di Justine e con l'altra il conno di una vestale. Bacia Octavie sulla
bocca, lascia il conno che teneva e impugna quello della novizia. Il gesto è
così brutale da far lanciare un grido alla giovinetta; Antonin insiste con
violenza e lo sperma gli sfugge suo malgrado; una affascinante donna di
vent'anni lo inghiotte.
Octavie passa a Jérôme: stavano pungendogli le natiche
con uno spillo; due graziose prostitute lo scrollavano, una davanti, l'altra
dietro, mentre una quarta, di sedici anni, gli mandava peti in bocca. - Com'è
bianca e bella! dice toccando Octavie; o divina bambina, che bel culo!
E lo confronta brevemente con quello che gli lancia
peti sul naso, uno dei più deliziosi del serraglio.
- Veramente, dice, non so ...
Poi, premendo la bocca sulle attrattive che i suoi
occhi confrontano: - Octavie, esclama, tua sarà la mela; dipende solo da te;
dammi il frutto prezioso di quest'albero adorato dal mio cuore ... Oh! sì, sì,
cacate tutte e due! e prometto solennemente il premio della bellezza a chi mi
avrà obbedito più presto.
Octavie, confusa, non riesce a concepire tale ordine:
il pudore spiega il rifiuto; l'altra accetta; Jérôme rizza; le natiche di
Octavie sono energicamente morse, e la novizia passa ad altri oltraggi.
Ambroise inculava una vergine di quindici anni; gli
cacavano nella bocca e lui palpeggiava due culi; Octavie si avvicina e lui non
si scompone.
- La lingua, puttana! dice.
E la sua bocca, sporca d'orrende cose, osa posarsi su
quella della stessa Ebe.
- Oh, cazzo! esclama mordendo quella lingua fresca e
voluttuosa, lo sapevo che questa piccola sgualdrina è venuta per spremermi
sperma!
E il villano si lancia bestemmiando nel culetto che
perfora. Octavie arriva al superiore; egli era seduto sulle mammelle di
un'affascinante prostituta di diciotto anni che gli mordicchiava le reni mentre
lui le depila il conno; due culi gli facevano peti sul naso; la quarta donna,
di diciassette anni e bella come il sole, gli pungeva i testicoli scrollandogli
il pene. L'energumeno afferra Octavie e le dà venti vigorose sculacciate. E il
giro continua.
Ora la giovane debuttante arriva davanti a Sylvestre.
Questa volta il libertino sta leccando tre conni sistemati davanti a lui; una
quarta donna lo succhia; il grazioso conno di Octavie si trova sopra i tre
percorsi da quella lingua, e il monaco furioso lascia, perdendo sperma, la
traccia sanguinosa dei denti sul pube appena ombreggiato di Octavie.
Clément sodomizza un'Agnès di dodici anni, che
l'enorme suo bischero fa piangere; anche a lui cacano sul naso e pungono le
natiche. - Oh, cazzo! esclama, come mi piace la virtù accanto al vizio.
E si precipita come un pazzo furioso sulle leggiadre
natiche che Octavie presenta a comando.
- Caca o ti morsico.
La tremante Octavie si rende conto che ubbidire è
l'unica cosa che possa fare, ma la sua totale sottomissione non le risparmia la
pena di cui è minacciata, e nonostante il più bello stronzo, le sue piccole
affascinanti natiche sono morsicate ... punte ... fatte sanguinare.
- E ora, dice Severino, di passare a cose più serie;
io, non ho perduto sperma: vi avviso, signori miei, che non posso più
aspettare.
Si appropria dell'infelice e la corica bocconi su un
sofà. Non fidandosi delle proprie forze, chiede aiuto a Clément; Octavie piange
e nessuno le bada; il fuoco brilla negli occhi del monaco impudico: padrone
della roccaforte, si direbbe che ne considera gli accessi per attaccarla con
maggior esito; nessuna astuzia, nessun preparativo: coglierebbe egli quelle
fragranti rose se ne eliminasse le spine? E sono le natiche di Justine che
vuole come prospettiva.
- In questo modo, dice, godrò dei due più bei culi
della sala. Per quanto sproporzionate siano le forze fra l'attaccato e
l'attaccante, il combattimento inizia. Un urlo lacerante annuncia la vittoria,
ma nulla impietosisce il nemico: più la prigioniera implora più è stretta da
presso; e la sventurata inutilmente si dibatte, è inculata quasi fino ai
testicoli.
- Mai vittoria fu più ardua, dice il monaco
ritirandosi; ho creduto, per la prima volta, di affondare in porto. Ah! tutto
stretto! tutto così caldo! Sylvestre, prosegue il superiore, non sei tu il
reggente oggi?
- Sì.
- Farai dare a Justine quattrocento frustate; non mi
ha fatto nessun peto quando glielo ho ordinato.
- Bisogna che riporti Octavie al sesso che hai offeso,
dice Antonin, prendendola mentre è nella medesima posizione; c'è più di una
breccia nel bastione.
E, fieramente avvicinandosi, in un attimo la verginità
è presa; nuovi clangori s'odono.
- Lode a Dio! dice il cialtrone, avrei dubitato della
vittoria senza i gemiti della vittima; ma il mio trionfo è certo, sangue e
lacrime.
- In verità, dice Clément, venendo avanti con uno
staffile in mano, non facciamo mutare il nobile atteggiamento: è favorevole
alle mie brame.
Due femmine trattengono Octavie; una a cavalcioni su
lei, offre il più bel deretano alla vista del flagellatore, l'altra, un po' di
fianco, la imita. Clément osserva, tocca; la novizia terrorizzata implora e non
impietosisce.
- Oh, porcodio! dice il monaco esaltato, che due
prostitute stanno già frustando, mentre osserva l'altare sul quale verranno
diretti i colpi, oh! amici, come non frustare lo scolaro con un così bel culo!
L'aria subito vibra ai sibili delle corde e al sordo
rumore delle cinghie; e sull'uno e sull'altro culo; le urla di Octavie li
accompagnano e le bestemmie del monaco rispondono. Che scena per quei
libertini, abbandonati fra dodici ragazze a mille diverse oscenità! Essi
applaudono, incoraggiano. La pelle di Octavie cambia colore, l'incarnato più
acceso si aggiunge allo splendore del giglio, ma ciò che divertirebbe forse un
attimo l'Amore, se la moderazione presiedesse al sacrificio, diventa per troppo
rigore, un crimine verso la legge. Tale pensiero, non sfuggendo a Clément,
presta forze alle sue perfidie; più la giovane alunna si lamenta e più scoppia
la severità del maestro; dalla metà delle reni fino in basso alle cosce, tutto
è trattato con imparzialità; e sulle vestigia insanguinate dei suoi barbari
piaceri alcune ragazze gli fanno infine inghiottire il loro sperma.
- Sarò meno barbaro di costui, dice Jérôme stringendo
la bella e adattandosi alle sue labbra di corallo; ecco il tempio in cui farò
sacrifici, e in questa incantevole bocca ...
Zitti; è il rettile impuro con la rosa: il paragone
tutto dice.
- Io, inconno, dice Sylvestre, alzando in aria le
cosce della fanciulla e fissandola sul coccige. Voglio che questo bischero
ribelle le perfori le viscere; mi piace una mezza vergine, è un disordine che
mi diverte; la preferisco a certe primizie.
Due giovani conni si offrono ai suoi baci; lui vuole
che piscino sul naso della sua fottitrice e che una prostituta di dodici anni,
sulle sue reni, gli punzecchi le natiche scandendo scossoni che aiutino i suoi
movimenti. Cade in estasi; e preso da furore depone, nel conno vergine della
più bella e della più innocente delle fanciulle, lo sperma più impuro che mai
si sia visto fermentare nella braghetta di un monaco.
- Ed io, inculo, dice Ambroise; ma lì, sì, lì, nella
stessa posizione.
Fustigatemi, e rimettetevi a me per l'epilogo: ahimè!
qui, culi tutto intorno, vi supplico; è spaventoso.
Il volto della vittima, che il furfante ha sottomano,
è schiaffeggiato da lui nel momento della crisi, e tanto violentemente che il
sangue cola dalle due narici, e la bambina quasi svenuta gli viene tolta di
mano.
Vanno a tavola: mai pranzo era stato più gaio, mai più
complete le orge: tutto era nudo attorno ai monaci; ed essi erano scrollati,
succhiati, baciati, solleticati, pizzicati, allorché Severino, accorgendosi che
le teste stavano per elettrizzarsi oltre misura e che quindi i piaceri che si
erano proposti sarebbero svaniti forse invece di essere raggiunti, propose, per
temperare l'ardore in cui vedeva tutti, d'invitare Jérome a raccontare la
storia della sua vita, il cui racconto aveva promesso da tanto tempo.
- Volentieri, disse il monaco che, accanto alla
debuttante, era intento, da un quarto d'ora, a leccare; così il mio sperma non
si diffonderà subito dato che fra poco non riuscirò più a tener chiuse le
cateratte. Preparatevi dunque, amici carissimi, ad udire uno dei racconti più
osceni che da molto tempo abbiano sporcato le vostre orecchie.
❖
❖
❖ ∼∼∼ ❖
❖
❖ ∼∼∼ ❖
❖ ❖
Le prime azioni della mia infanzia annunciarono, a chi
conosce gli uomini, che sarei diventato uno dei maggiori scellerati che
dovessero ancora calpestare il suolo francese. Avevo ricevuto dalla natura
inclinazioni assai perverse, l'aspra natura si esprimeva in me in maniera così
contraria a tutti i princìpi della morale da indurre tutti, inevitabilmente,
alla conclusione, vedendomi, o che ero un mostro nato per disonorare la madre
comune del genere umano o che essa aveva avuto un motivo recondito per crearmi
così, poiché solo la sua mano aveva inculcato in me la triste tendenza ai vizi
infami dei quali quotidianamente davo impressionanti esempi.
Noi siamo di Lione. Mio padre vi esercitava il
commercio con successo, grande abbastanza per lasciarci un giorno una fortuna
più che sufficiente per vivere, allorché la morte venne a portarcelo via,
mentre io ero ancora nella culla. Mia madre, che mi adorava e si curava
grandemente di bene educarmi, mi allevò con una sorella, nata un anno dopo di
me nella stessa settimana della morte di mio padre. Il suo nome era Sophie; e
quando compì l'età di tredici anni, si poteva dire senza timore ch'era la più
leggiadra fanciulla di Lione. Tanta grazia non tardò a farmi sentire che tutti
i pretesi freni della natura svaniscono quando si rizza, e che essa non ne
conosce altri all'infuori di quelli che, unendo i due sessi, invitano a godere
insieme tutti i piaceri dell'amore e della sregolatezza. Questi ultimi, più
pungenti per il mio cuore di quelli di un sentimento troppo simile a una virtù perché
io mai li accettassi, furono gli unici che si fecero sentire in me; e confesso
che, non appena mi resi conto delle grazie e dell'attrattiva di Sophie, fu il
suo corpo che desiderai e non il suo cuore. Con tutta sincerità posso dire di
non aver mai conosciuto quel fittizio sentimento di delicatezza che,
rapportando tutto alla morale del godimento, pare non ammettere vivo che quello
del quale va a scapito. Ho goduto di molti oggetti nella mia vita, ma posso
garantire che non uno fu caro al mio cuore: mi è persino impossibile capire
come si possa amare l'oggetto di cui si gode. Oh! come tale godimento sarebbe
triste per me se un altro sentimento oltre a quello di fottere ne componesse
gli elementi! Ho sempre fottuto, nella mia vita, per insultare l'oggetto della
mia lussuria, e non ne ho tratto, così facendo, altro incanto all'infuori
dell'oltraggio recato all'oggetto: lo desidero prima del godimento, lo odio
quando lo sperma è sceso.
Mia madre educava Sophie in casa e, siccome io ero
allievo esterno nel collegio dove studiavo, trascorrevo quasi tutta la giornata
con la bella sorellina. Il suo visino, i suoi superbi capelli, il suo corpo
incantevole, mi fecero bruciare, come vi ho già detto, dal desiderio di vedere,
il più presto possibile, qual era la differenza fra il suo corpo, e di
osservare tali differenze, facendo nello stesso tempo osservare a lei quelle
che la natura aveva messo nel mio corpo. Non sapendo come spiegare tutto quel
che sentivo a mia sorella, decisi di prenderla di sorpresa invece di sedurla:
c'era, nella prima soluzione, una specie di tradimento che mi divertiva. Feci
dunque, durante un intero anno, l'impossibile per riuscirei, ma inutilmente.
Compresi allora che dovevo decidermi a chiedere, ma volevo che non mancasse una
certa sfumatura di tradimento: mai avrei rizzato altrimenti. Ecco dunque cosa
feci.
La camera di Sophie era abbastanza lontana da quella
di mia madre per permettermi di fare un tentativo; e, con la scusa di un
malessere che mi offrì l'occasione di ritirarmi presto, andai velocemente a
nascondermi sotto il letto dell'incantevole oggetto dei miei desideri,
fermamente deciso d'infilarmi dentro non appena avessi sentito che c'era. Non
avevo pensato al grande spavento che tale gesto avrebbe causato a Sophie. Si
ragiona male quando si rizza bene. Non vedendo che lei, solo a lei miravo.
Sophie entrò; udii che pregava Dio. A voi immaginare quanto m'irritò quel
ritardo; ne maledivo l'oggetto con tanta sincerità quanta lo potrei oggi, o,
più edotto oggi su questo chimerico Iddio, insulterei, credo, colui che vedessi
pregare con tutto il cuore.
Finalmente Sophie si corica: è appena nel letto che io
sono già al suo capezzale. Sophie sviene; la stringo fra le braccia e, più
occupato ad esaminarla che a soccorrerla, ho il tempo d'inventariare tutte le
sue bellezze prima che la sua prudenza possa nuocere ai miei progetti... Ecco
cos'è una donna! dico toccando il pube di Sophie; eh! cosa c'è di bello in
questo? Questo. continuo palpando le natiche, è molto meglio; ma niente è meno
bello di questo davanti: e per quale strana contraddizione la natura non ha
arricchito di tutte le sue grazie la parte del corpo della donna che la
differenzia da noi? Perché è là, certo, ciò che ,gli uomini cercano; e cosa si
può desiderare se non si trova niente? E questo che li attira? continuo
toccando i seni graziosissimi. Non riesco a immaginare quel che queste due
palle, tanto goffamente messe sul petto, possano possedere di estremamente
piacevole. Insomma, non vedo che questo, aggiungo manipolando il culo, che sia
veramente degno della nostra riverenza; e, poiché l'abbiamo anche noi, non
capisco perché si debba andarlo a cercare così affannosamente. Ma andiamo! è
una cosa comunissima la donna; sono molto soddisfatto di averla esaminata senza
entusiasmo... Eppure il bischero mi si rizza; sento che mi divertirebbe: ma
adorarla, come si sostiene che facciano gli uomini. .. adorarla ... io? ...
proprio no.
- Sophie, dico allora energicamente, perché questo è
il tono che ci vuole per le donne quando si sa farle stare al loro posto,
svegliati, Sophie; sei pazza ad avere paura di me?
E siccome rinveniva:
- Sorella. continuo, non sono venuto per farti del
male; ho voluto quel che è profondo. Tutte e due devono muoversi durante tale
congiungimento, ed ecco, sono sicurissimo, il meccanismo della voluttà. - Sono
d'accordo con te, amico mio, disse mia sorella, ma ignoro dove sia il buco nel
quale devi entrare.
- Se non sbaglio e se seguo l'ispirazione che mi viene
dalla natura, dev'essere questo, risposi, infilando un dito nel buco del culo
di Sophie.
- E allora prova! disse mia sorella, ti lascerò fare
se non mi farai troppo male.
Non appena Sophie acconsente, la sistemai sul ventre,
sulla sponda del letto e, padrone del suo sedere, eccomi immediatamente in
azione. Siccome non ero ancora molto ben provvisto, la lacerazione non fu
grande e Sophie, che bruciava dalla voglia di venire al sodo, si prestò con
tale obbedienza da trovarsi immediatamente inculata.
- Oh! che male! mi disse quando l'operazione fu
terminata.
- Beh, risposi io, perché è la prima volta: scommetto
che alla seconda proverai solo piacere.
- Allora ricomincia, amico mio, sono decisa a tutto.
Io torno ad incularla, lo sperma cola e anche Sophie
scarica.
- Non so se ci siamo sbagliati, dice mia sorella ...
non mi pare, considerato il grandissimo piacere provato ... Cosa ne pensi,
Jérôme?
Ma a questo punto la testa cominciava a raffreddarsi;
non c'era amore da parte mia; il desiderio puramente fisico di godere di mia
sorella era stato l'unico impulso che mi aveva spinto e tale desiderio era
stato crudelmente raffreddato dal godimento. Non c'era più entusiasmo
nell'esaminare il corpo di Sophie. Devo confessarlo? quelle grazie che mi
avevano infiammato ora m'ispiravano solo disgusto. Risposi perciò freddamente
alla mia piccola puttana, non credevo che ci fossimo sbagliati, tanto più che
avendo seguito l'uno e l'altra le ispirazioni della natura, era impossibile che
essa avesse voluto ingannarci; ero convinto, d'altronde, che fosse prudente
lasciarci perché rimanere ancora nella sua camera sarebbe stato sicuramente
compromettente e perciò volevo rimettermi a letto. Sophie voleva trattenermi.
- Brucio, mi disse; sarò costretta a calmarmi da sola.
O Jérôme!
non lasciarmi.
Ma l'incostante Jérôme aveva già scaricato tre volte,
e per quanto sua sorella fosse veramente leggiadra, aveva assolutamente bisogno
di riposare un poco, affinché l'illusione potesse risorgere.
Mi sono impegnato di svelare le più riposte pieghe del
mio cuore e perciò non posso tacere le mie riflessioni. Non appena fui solo,
esse non andarono a vantaggio dell'oggetto che aveva placato il mio ardore:
dissipato l'incanto; scomparso il fascino; Sophie non mi eccitava più,
m'irritava in altro modo. Rizzai nuovamente, ma non fu omaggio alle sue grazie,
anzi per coprirle d'ignominia: degradavo Sophic con l'immaginazione; e,
insensibilmente passando dal disprezzo all'odio, quasi finii per augurarle del
male. Mi dispiace di non aver litigato con lei, mi dicevo ... disperato di non
averla picchiata: deve essere bello picchiare una donna dopo averla posseduta
... ma posso rifarmi ... posso darle dei fastidi: mi basta far sapere come si è
comportata; perderà la sua reputazione; non potendo mai più maritarsi, sarà
molto infelice. E l'orrendo pensiero, devo dirlo? fece immediatamente sgorgare
il mio sperma con una voluttà mille volte superiore di quando colava nel culo
di Sophie.
Dominato dall'orrendo progetto, evitai mia sorella il
giorno seguente, e andai a confidare la mia avventura a un giovane cugino, più
vecchio di me di due anni, assai bello, il quale, per dimostrarmi l'effetto
della mia confidenza, mi fece toccare un membro molto duro e molto grosso.
- Non mi dici niente che non abbia sperimentato, mi
disse Alexandre, anch'io ho fottuto mia sorella e anch'io oggi detesto
l'oggetto della mia lussuria. Amico mio, è un sentimento molto naturale: è
impossibile amare ciò che si è fottuto. Dammi retta: uniamo le nostre gioie e i
nostri odi. Il maggior disprezzo che si possa dimostrare a una donna è prostituirla
ad un altro. lo ti do Henriette: è tua cugina; ha quindici anni; sai quanto è
bella: fanne quel che vuoi; ti chiedo in cambio tua sorella e, quando saremo tu
ed io stanchi di quelle puttane, penseremo come fargli piangere a lungo la loro
colpevole negligenza e la loro stupida compiacenza.
La piacevole coalizione m'incantò: afferro il bischero
di mio cugino e lo scrollo.
- No, no, voltati, mi disse AIexandre; devo trattarti
come hai trattato tua sorella.
Offro le natiche ed eccomi fottuto.
- Amico mio, disse AIexandre dopo aver scaricato nel
mio deretano, ecco come si fa con gli uomini; ma, se ti sei limitato a questo
con mia cugina, è chiaro che non le hai fatto tutto quel che potevi fare. Non
che questo modo di godere di una donna non sia il più lubrico e quindi il
migliore, ma ne esiste un altro, e devi conoscerlo; mettimi alle prese con tua
sorella, e perfezionerò io l'insegnamento nel quale mi pare tu ti sia fermato
alle prime nozioni.
Sapevo che mia madre doveva andare presto a una celebre
fiera; che avrebbe lasciato, per la durata del viaggio, Sophie sotto la
sorveglianza di una governante facile da sedurre. Avvisai Alexandre di fare
tutto il possibile per avere a disposizione la sorella nel medesimo periodo. Ci
riuscì: Henriette arrivò con il fratello, e Micheline, la nostra governante, ci
permise di far merenda soli purché non rivelassimo che andava a trascorrere il
pomeriggio con l'amante.
Se mio cugino era uno dei più bei giovani che fosse
dato di vedere, Henriette, sua sorella, che aveva, come ho detto, quindici anni
poteva ugualmente passare per una delle più graziose fanciulle di Lione: era
bionda, bianchissima, il color della rosa ne abbelliva le guance, i più bei
denti ne ornavano la bocca e il suo corpo snello e flessuoso era già molto
sviluppato.
Avevo rivolto poche parole a Sophie; l'avevo evitata
da quando ne avevo goduto. Una volta deciso, le dichiarai che era mia
intenzione che facesse con mio cugino quel che aveva fatto con me.
- Questa bella fanciulla, continuai indicando
Henriette, sarà il premio della vostra obbedienza: pensate dunque quanto mi
rincrescerebbe se rifiutaste.
- Ma, amico mio, disse Henriette al fratello, non
avete mai accennato a questa combinazione; non sarei venuta se avessi saputo.
- Via, Henriette, che pudore! disse Alexandre
contrariato: che differenza c'è tra mio cugino e me? perché fare difficoltà ad
accordare a lui quel che ho ricevuto io?
- Le signorine non ne faranno, dissi, slegando. io
stesso i lacci delle sottane di Sophie; ecco, amico mio, ricevi mia sorella
dalla mia mano, dammi la tua, e pensiamo solo al piacere.
Lacrime colarono dagli occhi delle due novizie. Esse
si avvicinano, si abbracciano, ma Alexandre ed io dichiariamo che non si tratta
ora di lacrime e che di sperma e non di pianti abbiamo bisogno, le spogliamo e
ce le cediamo. Dio! come era bella Henriette! che pelle! che rotondità! che
incantevoli proporzioni! Non riuscivo più a capire come si potesse rizzare per
Sophie dopo aver visto mia cugina; ero delirante; e, certo, Alexandre non era
meno entusiasmato di me percorrendo le bellezze di mia sorella: la baciava, la
toccava dappertutto; e la povera Sophie, volgendo verso di me gli occhi umidi,
pareva rimproverare la mia perfidia. Henriette si comportava nella stessa
maniera: era facile avvedersi che le due affascinanti creature avevano
ascoltato la voce del piacere abbandonandosi ai rispettivi innamorati, ma che
il pudore combatteva in loro la prostituzione alla quale erano indotte.
- Via, bando ai pianti, ai rimpianti e alle cerimonie!
disse Alexandre; mettiamoci all'opera e cerchiamo di fare in modo che la più
lasciva voluttà presieda ai giochi che celebreremo tutti e quattro.
I suoi voti furono appagati in pieno e nulla vi fu di
più lussurioso delle orge cui ci abbandonammo. Mio cugino fotté mia sorella due
volte in conno e tre volte in culo. Modificò le mie idee sul godimento delle
donne; io provai, e la prova mi convinse del tutto che, se la natura aveva
messo l'altare della generazione là, non vi aveva anche messo quello del
piacere. Poco soffermandomi sulla contraddizione, non pensai ad altro che a
vendicarmene con un costante omaggio al dio che ho sempre servito e che non mi
stancherò d'invocare fino all'ultimo giorno della mia vita. Henriette fu dunque
più sodomizzata che inconnata; e intanto io insistevo con il mio educatore che
se, com'egli diceva, la specie umana si riproduce grazie al conno, era evidente
che la natura non aveva gran bisogno di riproduzioni poiché adibiva a quella
bisogna, fra i due templi, quello meno importante.
Dopo i nostri incostanti omaggi, Alexandre ed io
tornammo ai primi piaceri nostri. Egli godette di sua sorella davanti a me; io
inculai la mia alla sua presenza; ci facemmo scrollare; ci sodomizzammo; ci
allacciammo tutti e quattro; ci portammo all'orgasmo. Alexandre m'insegnò mille
cose che la mia giovane età ignorava; e finimmo con uno splendido pranzo. Le
nostre giovani amanti, perfettamente ripresesi ed ora ben addomesticate si
abbandonarono ai piaceri della fatte rivestire, le congedammo a calci nel
sedere. Ah! quante donne diventerebbero più modeste se riuscissero a capire in
quale stato di dipendenza le mette il loro libertinaggio (40).
Siccome ci eravamo promessi di agire ciascuno per
conto proprio senza dirci niente, perdetti di vista Alexandre per circa sei
settimane, e profittai di quella parentesi per puntare contro la sventurata
Sophie le batterie delle quali vedrete i risultati. Mia sorella, per natura
molto ardente, cedette ad un altro mio amico con facilità pari a quella con la
quale si era data a mio cugino, e fu con quell'amico che la feci sorprendere.
Non vi descrivo il furore di mia madre: superò ogni limite.
- Previeni la sua severità, dissi a Sophie; fai in
fretta, sarai rinchiusa se non la previeni; sbarazza ti di quel mostro; abbi il
coraggio di attentare ai giorni di quell'incomodo Argo: io ti aiuterò.
Sophie, turbata, esita ma finisce per cedere. lo
preparo la fatale bevanda; mia sorella la fa bere a sua madre; essa spira (41)!
- Oh! giusto cielo! grido allora accorrendo e facendo
gran chiasso ... madre mia, cosa vi è accaduto?.. E stata Sophie, è stato
questo mostro che il vostro giusto sdegno minacciava e che ora ha voluto
vendicarsi del vostro giusto rigore. Voglio che paghi per il suo crimine ... lo
conosco, mi è stato svelato. Arrestate Sophie! impadronitevi del vile strumento
d'un orrendo parricidio; deve perire, i mani di mia madre chiedono sangue.
E ciò dicendo, consegno a un commissario subito
accorso, il veleno trovato nella camera di mia sorella, nascosto fra la sua
biancheria.
- È ancor possibile dubitare, signore? continuo
rivolgendomi al rappresentante della giustizia; il crimine non è dimostrato? E
spaventoso per me denunciare mia sorella, ma preferisco la sua morte al suo
disonore, e non esito fra la fine dei suoi giorni e le pericolose conseguenze
dell'impunità. Fate il vostro dovere, signore; sarò il più sventurato di tutti
gli uomini, ma almeno non dovrò rimproverarmi il crimine di questo mostro.
Sophie, smarrita, mi lancia occhiate spaventose ...
vuole parlare: la rabbia, il dolore e la disperazione rendono i suoi sforzi
inutili; sviene, la portano via... La procedura fece il suo corso; mi
presentai, sostenni, fornii prove di quanto andavo sostenendo. Sophie volle
protestare, additarmi come autore del fatale piano. Mia madre, che respirava
ancora, prese le mie difese, e divenne lei stessa accusatrice di Sophie; ne
svelò la condotta: cos'altro era necessario per illuminare i giudici? Sophie è
condannata. lo corro da Alexandre.
- Ebbene, dico, tu a che punto sei?
- Vedrete, caro il mio galantuomo, risponde Alexandre.
Non avete
sentito parlare di una fanciulla che deve essere
impiccata stasera, per aver tentato di avvelenare sua madre?
- Sì: ma quella fanciulla è mia sorella; quella di cui
hai goduto; e il suo attentato è opera mia.
- Ti sbagli, Jérôme, è la mia.
- Scellerato! dico, saltando al collo del mio amico,
vedo che, senza dirci niente, abbiamo seguito la stessa via: quale migliore
dimostrazione che siamo fatti l'uno per l'altro? ... Corriamo; la folla sta
riunendosi; le nostre sorelle stanno per arrivare ai piedi del patibolo;
andiamo a godere i loro ultimi istanti di vita.
Affittiamo una finestra; siamo appena arrivati che le
nostre vittime si avvicinano.
- O Temi! esclamo, come sei cortese a servire così le
nostre passioni!
Alexandre rizza; io lo scrollo; egli mi rende identico
servigio; e l'occhialino puntato sul collo legato delle nostre due puttane, ci
innaffiamo reciprocamente le cosce di sperma nel momento in cui gli infelici
zimbelli della nostra scelleratezza spirano grazie a noi di morte crudele.
- Ecco, disse allora Alexandre, un autentico piacere!
non ne conosco altro più profondo.
- Sì! Ah! ma se alla nostra età sentiamo il bisogno di
procurarcene di simili, cosa inventeremo quando le spente passioni
richiederanno stimolanti?
- Quel che potremo, mi disse Alexandre; ma
nell'incerta speranza di vivere, non facciamo la pazzia di essere parchi nei
piaceri: sarebbe una bizzarria.
- E tua madre, è viva? domandai a mio cugino.
- No.
- Ebbene, dissi, sei meno fortunato di me: la mia è
ancora in vita, e ora vado a darle il colpo di grazia.
Corro, eseguo; con le mie stesse mani perfeziono il
crimine. E il doppio misfatto mi fa trascorrere la notte in un oceano di
lubricità solitarie, mille volte superiori a quelle che il libertinaggio si
concede fra i più dolci oggetti del suo culto.
Il nostro commercio essendo andato molto male negli
ultimi anni di vita di mia madre, decisi di vendere il poco che restava. Fu
questione di tre o quattro anni, e fui a posto. Decisi di viaggiare; lasciai in
un pensionato la figlia avuta da mia cugina, con l'intenzione di sacrificarla
un giorno ai miei piaceri, e partii. L'educazione ricevuta mi permetteva
d'intraprendere il mestiere di precettore, anche se ero ancora giovane, e così
fui assunto a Digione, con tale mansione, per il figlio e la figlia di un
consigliere del Parlamento.
La professione abbracciata molto lusingava la mia
lubricità; già vedevo in chi mi era affidato una vittima della mia passione...
Oh! che delizia, mi dicevo, abusare, come farò, e della fiducia dei genitori e
della ingenuità degli scolari! Quale nutrimento all'intimo sentimento di
malvagità che mi divora e che mi spinge a vendicarmi crudelmente dei favori che
strappo o che spontaneamente ottengo! Affrettiamoci ad indossare il mantello
della filosofia: diverrà presto quello di tutti i vizi ... E avevo vent'anni,
quando ragionavo così.
Moldane si chiamava il leguleio al quale mi presentai;
egli non tardò ad accordarmi tutta la sua fiducia. Si trattava di allevare
insieme un giovanetto di quindici anni, che si chiamava Sulpice, e la sorella
sua, che si chiamava Joséphine, che non ne aveva ancora tredici. Senza
esagerare posso assicurarvi, amici miei, di non aver mai visto in vita mia
giovanetti tanto graziosi. In principio, la governante di Joséphine assisteva
alle lezioni: ma poi tale precauzione sembrò inutile, e i due avvenenti oggetti
dei miei ardenti desideri mi furono affidati senza riserva alcuna.
Il giovane Sulpice, che studiavo attentamente, mi
diede modo di scorgere in lui due punti deboli: temperamento di fuoco ed
eccessivo attaccamento alla sorella. Bene! mi dissi, ora che ho scoperto questi
due punti, sono certo del mio successo. O dolce giovanetto! ardevo dal desiderio
di accendere in te la fiaccola delle passioni, e la tua gentile semplicità
subito mi ha indicato la miccia.
Fin dagli inizi del secondo mese della mia permanenza
in casa Moldane, cominciai a prepararmi all'assalto: un bacio sulla bocca, una
mano nelle braghette furono decisivi per il mio trionfo. Sulpice rizzava come
un piccolo demonio e al quarto movimento delle mie dita il furfante m'innaffiò
di sperma. Subito passo all'altra faccia della medaglia. Dio, che culo! era
quello dell'Amore in persona; che biancore!. .. com'era stretto!. .. com'era
sodo!. .. Lo divoro di carezze e riprendo a succhiare quel suo piccolo
incantevole bischero per restituirgli le forze necessarie a sostenere nuovi
assalti. Sulpice rizza nuovamente; lo corico bocconi, umetto con la bocca il
buco che voglio penetrare e, con tre giri di reni, eccomi nel suo culo; qualche
contorcimento annuncia il mio trionfo e flutti di seme, lanciati in fondo al
didietro del mio affascinante allievo, presto lo coronano. Indicibilmente
elettrizzato dagli ardenti baci con i quali copro, fottendo, la bocca fresca e
deliziosa del mio piccolo bel pederasta, dallo sperma con il quale m'innaffia
continuamente le mani, insisto e, quattro volte di seguito, il mio vigoroso
arnese lascia in fondo a quel culo le inequivocabili prove della mia passione
per lui. Chi lo avrebbe supposto? e quali incredibili tendenze? Come lo scolaro
di Pergamo, Sulpice si lamenta della mia debolezza.
- Ma come! dice, già finito?
- Per il momento, rispondo; ma tranquillizzati, amore,
stanotte
vedrai che ti sfinisco. Dormiamo nella stessa camera;
nessuno ci sorveglia: uno stesso letto ci accolga dunque e là ti darò, spero,
prova della mia vigoria, tanto che ti sarà difficile lagnartene.
Giunge la notte desiderata: ma, o Sulpice! avevo già
goduto di te, la benda era caduta dagli occhi; e sufficientemente vi ho svelato
il mio carattere perché vi sia facile capire che con lo svanire dell'illusione
si accendeva nel mio cuore un nuovo tipo di desiderio che solo la malvagità
poteva placare. Feci i miei esercizi di forza; Sulpice fu fottuto dieci volte;
me ne restituì cinque, m'innaffiò sette altre la bocca e il ventre con il
voluttuoso sperma, e mi lasciò il mattino seguente con sentimenti che non
avevano, manco a dirlo, la sua felicità come scopo.
Tuttavia la prudenza mi diceva di soprassedere: era in
mie mani solo la metà del bottino e per aggiungervi Joséphine avevo bisogno di
servirmi di Sulpice. Qualche giorno dopo le nostre orge, gli parlai delle sue
faccende di cuore.
- Ahimè, rispose, ardo dal desiderio di godere
dell'incantevole fanciulla, ma la mia timidezza mi trattiene e non oso
palesarmi a lei.
- Tale timidezza, risposi, è infantile; non è peccato
godere della propria sorella più di quanto lo sia di un'altra donna; anzi, è
minore, certo: più siamo legati a qualcosa e più dobbiamo sottometterlo alle
nostre passioni; unica cosa sacra al mondo è la loro voce e unico crimine
resistervi. Sono convinto che vostra sorella nutre per voi gli stessi
sentimenti con i quali voi bruciate per lei; dichiarate apertamente i vostri e
vedrete ch'ella corrisponderà ad essi; ma dobbiamo insistere; solo così si
ottiene: chi tratta con riguardo una donna non ottiene nulla; chi la tratta
male è certo della vittoria: fate attenzione, sempre, di non darle mai il tempo
di riflettere. L'unica cosa che temo per voi è l'amore: quando gli si somiglia
così è facile imitarlo. Sareste un uomo perduto se vi dilettaste con la
metafisica. Rammentatevi sempre che una donna non è fatta per essere amata; con
tutti i suoi difetti non ha il diritto di aspirare a tanto: unicamente creata
per il nostro piacere, respira solo per soddisfarli. Ecco in quale prospettiva
dovete considerare vostra sorella: fottetela dunque, io stesso v'invito a
farlo, e vi assicuro che farò di tutto per aiutarvi. Nessun pudore, nessun
infantilismo; la virtù fa di un bel giovane un uomo perduto, il vizio lo rende
ancor più bello e si mette al suo servizio.
Sulpice, incoraggiato dai miei consigli, promise di
fare sul serio.
Quello stesso giorno gli procurai l'occasione propizia
e venni subito a sapere che nulla era stato più felice di quei suoi primi
tentativi, ma che, sempre timido, non ne aveva saputo profittare. Era amato,
questo era tutto quel che aveva scoperto, e qualche bacio sulla bocca aveva
sigillato quella felicità. lo rimproverai energicamente Sulpice della sua
imperdonabile mancanza di energia.
- Amico mio, disse Sulpice, andrei più spedito con
qualcuno del mio sesso, ma tutte quelle maledette gonne m'intimidiscono.
- Non sottovalutarle, ragazzo, dissi a
quell'incantevole giovanetto: emblema di un sesso falso, debole e disprezzabile
sta a dimostrare ancora una volta il poco valore che deve attribuirgli ogni
galantuomo. Alzale quelle gonne che ti sgomentano e, quando avrai goduto di quel
che nascondono, lo apprezzerai; ma non sbagliarti, continuai desideroso di
serbare per me le rose sodomiste del delizioso culo che pensavo possedesse
Joséphine, rammenta che è tra le cosce e non nelle natiche che la natura ha
posto il tempio dove un uomo deve portare il proprio tributo alle donne.
Sentirai dapprima un po' di resistenza; ti farà ardere meglio: spingi, premi,
lacera e trionferai.
Il giorno seguente, venni a sapere con vera
soddisfazione che l'operazione era stata fatta e che, fra le belle braccia del
fratello, la più bella fra tutte le fanciulle era stata elevata al rango di
donna. Sulpice, lungi dal sentire quella sazietà i cui effetti erano tanto
violenti in me, era diventato mille volte più innamorato; e siccome mi parve
che ci fosse della gelosia, mi avvidi che per raggiungere il mio scopo non mi
restavano che l'inganno e la perfidia. Mi affrettai: non era escluso che il mio
allievo ricevesse dalla sua immaginazione i consigli di un godimento del quale
io volevo cogliere le primizie, cosa che mai gli avrei perdonato. Gli incontri
avvenivano in un salottino assai vicino alla mia camera e così grazie ad una
apertura praticata nella parete potevo osservare ogni particolare. Mi guardai
bene dall'avvisare Sulpice: avrebbe potuto venire ad un accomodamento e,
invece, io volevo cogliere la natura sul fatto. Quale ardore, che temperamento
da una parte! quanta grazia, quanta freschezza, quanta leggiadria dall'altra! O
Michelangelo! quelli avrebbero dovuto essere i tuoi modelli quando il tuo
sapiente pennello dipinse Amore e Psiche! Giudicate voi in che stato ero; non
ho bisogno di descriverlo. Era impossibile alla mia età assistere a un simile
spettacolo e mantenere il sangue freddo: il bischero era in uno stato tale che
da solo batteva contro la parete, quasi per scandire la sua disperazione per
gli ostacoli frapposti ai suoi desideri. Non volendo che languisse a lungo, il
giorno seguente spiai il momento di maggior calore di un incontro che si
rinnovava ogni giorno. Entro precipitosamente.
- Joséphine, dico alla mia giovane allieva, quasi
svenuta per lo spavento, ecco un modo di comportarvi assai dannoso; è mio
dovere avvisare i vostri genitori, e lo farò immediatamente, se non accetterete
di accogliermi come terzo nei vostri piaceri.
- Malvagio, mi dice irritato il povero Sulpice con in
mano il bischero inondato dello sperma fatto sgorgare a fiotti dal vergine
conno della leggiadra amante, non sei stato tu a stendere le reti in cui oggi
vuoi farci cadere? quel che sta avvenendo non è il risultato delle tue perfide
seduzioni?
- Ah, dico sfrontatamente, ti sfido a dimostrarlo;
sarei indegno della fiducia dei vostri genitori se mai vi avessi dato dei
simili consigli. - E non lo sei ora, con la proposta che ci hai fatto?
- Sulpice, che io abbia torto o meno, quel che qui ho
scoperto non è meno concreto; e c'è grande differenza fra ciò che mi addebitate
e quel che voi fate, perché i fatti dimostrano ciò di cui vi state macchiando
mentre mai potrete dimostrare alcuna macchia in me. Ma, credetemi, finiamola
con una discussione che mal si addice ai desideri che il vostro incontro ha
suscitato in me; siamo tutti colpevoli, e smettiamola con i rimproveri. Ho dei
diritti su voi: vi ho sorpresi, sarei creduto; voi non potreste che allegare
parole, io invece fatti.
E senza attendere la risposta di Sulpice, comincio ad
impadronirmi di Joséphine che, dopo qualche resistenza vinta dalle mie minacce,
mi abbandona il culetto che è, sinceramente, tutto quel che voglio. Corico la
leggiadra fanciulla sul corpo nudo del fratello che, stringendola fra le
braccia, le introduce il piccolo arnese nel conno, mentre io facendo scivolare
il mio nel culo della donzelletta perfettamente disposto per la posizione
presa, son causa di dolori così violenti da farle dimenticare il piacere in cui
vuole immergerla l'amante; non resiste; io la lacero; si volta e, per lo
scrollone, il mio arnese esce dal fodero. Sanguina; nulla mi spaventa: non è un
arnese come il mio che la pietà possa disarmare. La riacchiappo al volo, la
fisso di nuovo su quello di Sulpice sempre pronto a rinchiodarla; scocco lo
spadone nel suo sedere; la mia mano, questa volta, la tiene ferma per le anche;
la colpisco sulle natiche con grandi pugni; preso dalla collera, l'ingiurio, la
minaccio, la umilio; è inculata fino all'elsa; l'avrei ammazzata piuttosto di
risparmiarla: o il suo culo o la sua vita.
- Aspetta, Sulpice, esclamo; scarichiamo insieme,
amico mio; inondiamola da tutte le parti; vorrei, mentre fotte così, che ne
avesse un altro nella bocca per assaporare l'indicibile piacere di essere
inondata di sperma in tutte le parti del corpo.
Ma Sulpice che, nonostante il dolore di Joséphine, si
avvede che scarica fra le sue braccia, Sulpice non riesce a dominarsi; perde
sperma; io lo imito, ed eccoci tutti e tre felici.
Nuove scene hanno immediatamente inizio. La verginità
che avevo desiderato è espugnata; non le do più importanza; abbandono a Sulpice
la rosa sfogliata; gli faccio inculare Joséphine e guido lo stesso arnese
perché non si smarrisca; gli restituisco quel che ha fatto alla sorella; ed
ecco che tutti e tre fottiamo in culo da autentici figli di Sodoma. Scarichiamo
due volte senza cambiare posizione, ma poi una ridicola voglia di conno
s'impadronisce dei miei sensi. Pensavo che quello di Joséphine fosse molto
stretto; era stato solo perforato da un membro assai inferiore al mio; lo
infilo e nel frattempo voglio che il mio allievo m'inculi. Non si ha un'idea di
come la mia piccola puttana scaricava; la sentii tre volte venir meno fra le
mie braccia mentre le divoravo la bocca. lo l'inondo, ricevo seme e tutti e tre
sfiniti, crolliamo su un canapè vicino al quale, grazie alla mia sollecitudine,
un'abbondante colazione è pronta per ristorarci. Non avevamo più la forza di
fottere ma ci restava quella di succhiare. Esigo tale servigio da Joséphine e
mentre con la dolce bocca ella mi assapora, le mie labbra serrano il bischero
snervato di Sulpice. Palpeggiavo i due culi grazie alla posizione scelta; il
mio allievo socratizzava il mio, sua sorella solleticava i testicoli; ottengo
sperma, ne do, Joséphine scarica ancora una volta; e, affrettandoci per aver
fatto troppo tardi, ci separiamo con la promessa di riprendere continuamente
una scena che i miei novizi mi perdonano di avere inventato.
Ebbi la soddisfazione di tener nascosta per un anno
questa doppia tresca, durante la quale non passò giorno che non celebrassimo i
nostri sacrifici. Infine, il disgusto si fece sentire e con esso il desiderio
di tutte quelle perfidie che, in me, generalmente lo accompagnavano. Non avevo
altro mezzo per soddisfare quest'impennata della mia immaginazione che
denunciare a M. de Moldane i segreti comportamenti dei due figli. Prevedevo i
pericoli di un'eventuale protesta, ma la mia testa, fertile in scelleratezza mi
avrebbe fornito, ne ero certo, gli strumenti per combatterla. Avverto dunque M.
de Moldane: Dio! quale è la mia sorpresa vedendolo sorridere alla notizia
invece di esserne sdegnato!
- Caro amico, mi dice il leguleio, sono molto filosofo
su tutte quelle stupidaggini; sta tranquillo che se in fatto di morale fossi
rigido come mi hai supposto, mi sarei affrettato a prendere sulla tua persona
informazioni un po' più approfondite di quanto non abbia fatto; la tua stessa
età, come puoi facilmente immaginare, avrebbe impedito che ti fosse concesso il
posto cui aspiravi. Vieni, Jérôme, proseguì Moldane attirandomi in un salotti
no deliziosamente adorno di tutto quel che la lubricità può inventare di più
lussurioso, vieni a fare un primo assaggio delle mie abitudini.
Il furfante, ciò dicendo, slaccia la cintura delle mie
braghette e, prendendomi con una mano il bischero e con l'altra il culo,
l'eccellente padre dei miei allievi tosto mi persuade che non è al suo
tribunale che debbo rivolgermi per l'immoralità dei suoi figli.
- Dunque li hai visti fottersi, amico mio, prosegue
Moldane dardeggiandomi la lingua in bocca, e tale spettacolo ti ha fatto
fremere d'orrore! Ebbene, ti giuro che a me ispirerebbe ben altri sentimenti! e
per convincerti, ti prego di procurarmi al più presto tale splendido quadro.
Ma, nel frattempo, Jérôme, voglio dimostrarti, in modo inequivocabile, che il
mio libertinaggio è almeno pari a quello dei miei figli.
E il gentile consigliere, chinandomi su un canapè, mi
osserva a lungo il culo, lo bacia con lussuria e m'incula vigorosamente.
- A te, Jérôme, mi dice dopo aver finito; eccoti il
mio culo, tocca a te.
Gli restituisco quel che ho ricevuto e il gaudente
mette fine alla scena esortandomi a lasciare ai miei allievi tutta la libertà
che desiderano per soddisfare in essi le intenzioni della natura.
- Ostacolarli, prosegue, sarebbe una crudeltà indegna
di noi: non fanno alcun male, perché contraddirli? \
- Ma, dico allora a quello strano uomo, se avessi le
medesime inclinazioni per la lubricità, scusereste anche in me gli eccessi cui
potrei abbandonarmi con i vostri figli?
- Certamente! dice Moldane. Chiederei solo la tua
fiducia e le primizie! Ti confesso persino che credevo la cosa fatta: sono
contrariato che il rigore delle tue lagnanze mi dimostri il contrario. Nessun
pedantismo da questo momento, mio caro, per favore! Possiedi temperamento' lo
vedo: abbandonati con i miei figli a tutto ciò che t'ispirano e procurami,
domani, il modo di sorprenderli mentre sono insieme.
Accontentai Moldane; lo feci mettere davanti al buco
che avevo fatto per me e che gli feci credere di avere aperto per lui: il
gaudente si sistema mentre lo fotto. La scena fu deliziosa; la sua
immaginazione arse talmente che il furfante scaricò due volte.
- Non ho mai visto niente di tanto divino, mi disse
ritirandosi; non resisto più, devo assolutamente godere di quei due bei
ragazzi. Avvisali, Jérôme, che domani voglio mettermi con loro per eseguire
tutti e quattro le più voluttuose posizioni.
- Veramente, signore, dissi fingendo un po' di
prudenza che giudicai necessaria alla circostanza, non avrei mai pensato che il
precettore dei vostri figli dovesse essere incaricato, e da voi, di corromperli
e di spogliarli di ogni morale.
- Ecco, disse Moldane, come interpreti male il vero
significato della parola morale. La vera morale, amico mio, non si
discosta mai dalla natura; nella natura è l'unico principio di tutti i precetti
morali: ora, siccome essa ispira ogni nostra deviazione, non una è immorale. Se
esistono esseri a questo mondo in diritto di godere e le cui primizie mi sono
dovute, credo che questi siano esattamente coloro che mi devono la vita.
- Ebbene, signore, dissi mortificando immediatamente
le mie idee, e rinunciando per il momento ai miei piani di vendetta solo per
renderli più squisiti, sì, sarete accontentato domani: i vostri figli saranno
avvisati e tutti e due potremo abbandonarci fra le loro braccia a tutto quel
che il libertinaggio può offrire di piccante al mondo.
Fui di parola, Sulpice e Joséphine, un po' sorpresi
del mio annuncio, promisero almeno di essere condiscendenti alle fantasie del
loro papà e di mantenere il più assoluto segreto su quel che era accaduto fra
noi; e il più bello di tutti i giorni venne a illuminare la più bella fra tutte
le scene.
Il luogo era il voluttuoso salottino nel quale Moldane
mi aveva già fatto entrare; una graziosissima governante di diciotto anni,
addetta da tre settimane a Joséphine, che mi parve godere la fiducia e la
simpatia di Moldane, doveva servire i baccanali progettati.
- Non sarà di troppo, disse il consigliere; guarda
com'è graziosa e ti garantisco che è libertina quanto gentile. Guarda! proseguì
Moldane sollevando dietro le gonne di Victoire, guarda, amico mio, se è
possibile, trovare un culo così perfetto!
- E bello, dissi toccandolo; ma sono del parere che
quando avrete visto quello dei vostri figli non gli accorderete più le vostre
preferenze. - Può darsi, rispose Moldane; ma nel frattempo, ti confesso che mi
piace moltissimo ...
E lo baciava... lo stuzzicava di tutto cuore.
- Su, Jérôme, va a prendere le nostre vittime e
conducile qui nude.
Segui Jérôme, Victoire; occupati della loro toeletta;
intanto io mediterò sul tipo di lubricità che dovrà abbellire la scena ... Farò
un programma e lo eseguiremo.
Victoire ed io andammo dai ragazzi; ci aspettavano.
Veli, nastri e fiori furono il loro unico abbigliamento. Victoire s'incaricò
del ragazzo, io della ragazza; entrammo. Moldane, su un canapè circondato da
specchi, ci aspettava scrollandosi.
- A voi, signore, dissi, ecco oggetti degni della
vostra lussuria; sottometteteli senza pudore; che non una ricerca libertina sia
trascurata con essi; sappiate che sono felici di essere degni della vostra
attenzione e con la sottomissione più completa, con la più profonda rassegnazione
sono pronti a soddisfarvi.
Moldane non stava più nella pelle; respirava
affannosamente, balbettava, sbavava di lussuria.
- Voglio scrupolosamente ispezionare, Jérôme, mi
disse; e voi, Victoire, venite a scrollarmi il bischero e fatemi stringere le vostre
natiche.
Comincio da Sulpice; lo faccio avvicinare al padre che
si mostra mai sazio di baciarlo, palparlo, succhiarlo, coprirne il membro e il
culo di tenere carezze. Joséphine succede; è ricevuta con identico entusiasmo;
e i saturnali hanno inizio .
Moldane, al primo atto, volle che il figlio inconnasse
Joséphine alla pecorina, stesa su un canapè; la figlia, così fottuta, doveva
succhiargli il bischero; egli scrollava con una mano il mio membro e con
l'altra l'ano di Victoire.
Al secondo, Sulpice inculò la sorella, io fottei-
Sulpice e Moldane incornò la figlia mentre Victoire, rannicchiata su di lui,
gli faceva baciare il bel culetto.
Al terzo, Moldane mi fece incornare la figlia, lui
l'inculò mentre Sulpice inculava Vieto ire sotto i suoi occhi.
Nel quarto, io inconnai Victoire, Moldane l'inculò,
suo figlio la fotté e Joséphine, alta sulle nostre spalle faceva baciare e
trafficare contemporaneamente, a me il conno e a Moldane il sedere.
Al quinto, Moldane inculò il figlio, baciando le
natiche di Victoire; io sodomizzavo la figlia sotto i suoi occhi.
Al sesto, facemmo la catena; Moldane inculava la
figlia, io inculavo Moldane, Sulpice mi fotteva e Victoire, armata di un fallo
artificiale, sodomizzava Sulpice.
Non avendo più la forza di rizzare al settimo, ci
succhiammo, e Moldane era succhiato dal figlio, io succhiavo ii giovane,
Joséphine mi succhiava; ogni tanto io baciavo le sue natiche e Victoire
inconnava la leggiadra figlia di Moldane che, per la posizione, presentava il
culo al bacio dell'ingegnoso signore di quelle orge. Scaricammo ancora tutti la
settima volta. Un sontuoso spuntino fu servito e, tornati in forze, provammo
ancora qualche altro quadro.
Moldane volle riunirei tutti su lui; inculò la figlia,
il figlio lo fotté; egli trafficava in Victoire e io succhiavo i suoi
testicoli. Grida più dolorose che lascive annunciarono la sua disfatta; scaricò
sangue: dovemmo portarlo via.
- Amico mio, mi disse uscendo, ti lascio padrone di
tutto; se, più fortunato di me, la natura ti accorda nuove forze, esauriscile
con queste tre seducenti creature; mi racconterai domani i tuoi piaceri.
Victoire mi faceva ancora irrigidire anzi che no; ero
meno sazio di lei che degli altri: l'inculai, fottuto da Sulpice e baciando il
culo di Joséphine. A questo punto smisi: ero spossato.
Quando lo sperma ricominciò a ribollirmi nelle vene,
abbandonai i primi progetti... Perbacco! mi dissi, non mi sarei mai aspettato
d'imbattermi in un padre di questo genere. Con un uomo simile, mai e poi mai
riuscirei a vendicarmi dei piaceri procuratimi dai figli. Volevo rovinarli, e
invece di circondarli di cipressi ecco che li ho incoronati di mirti. Ebbene,
tentiamo con la moglie di Moldane ciò che non mi è riuscito con lui, e
soprattutto non rinunciamo mai alla parte di traditore che mi rallegra così
profondamente. Mme de Moldane, donna di quarant'anni, è onesta, perbene, ricca
di sentimenti religiosi e di virtù: le svelerò le odiose sregolatezze del
marito e dei figli; contemporaneamente esigerò da lei segretezza e giustizia, e
certamente ci riuscirò ...
Tuttavia uno di loro non lo vorrei perdere...
Joséphine; non per amore, oh, no! è un sentimento che non si addice ad un cuore
come il mio; ma Joséphine può essere utile: voglio viaggiare; la porterò con
me; farò vittime con lei e mi arricchirò con i nostri imbrogli. Perfetto,
Jérôme, perfetto! la natura ti ha dato, grazie a Dio, tutto ciò che ci vuole
per essere un insigne mascalzone: seguiamola, agiamo.
Con queste idee, vado a trovare Mme de Moldane e, dopo
averle chiesto di non dire una parola su quel che le avrei confessato, strappo
il velo e le racconto tutto.
- Sono stato costretto a prestarmi a tutte quelle
atrocità, signora, proseguo; sono stato minacciato di crudeli castighi, se non
obbedivo; vostro marito ha usato il suo credito per costringermi; la mia stessa
vita sarebbe stata minacciata se avessi osato prevenirvi. Oh! signora, correte
ai ripari: l'onore, la natura, la religione e la virtù ne fanno un sacro
dovere. Allontanate i vostri figli dal precipizio in cui i disordini del loro
padre stanno per gettarli: lo dovete al mondo, a Dio, a voi stessa; ogni
ritardo è un crimine.
Mme de Moldane, smarrita, mi supplica di metterla
nelle condizioni di convincersi, con i suoi occhi, delle infamie che le paleso:
non era difficile. Convinco, qualche giorno dopo M. de Moldane di fissare il
luogo della scena nella camera dei figli; faccio sistemare sua moglie davanti
al buco di cui mi ero servito e che era servito anche a Moldane; e la
sventurata donna ha modo di convincersi delle verità che le avevo detto.
Un'emicrania mi aveva dispensato di essere della partita. La severità di
costumi da me finta rimane dunque intatta nella stima della disgraziata sposa
che riconosce colpevoli solo il marito e la governante dei figli.
- Che atrocità, signore! dice subito... Come avrei
voluto ignorare tutto!
Tali parole, senza che Mme de Moldane se ne avveda, mi
svelano com'è fatta. Non ho bisogno d'altro per accorgermi che è una donna
timida, di nessuna utilità per i miei piani; e tale riflessione m'induce a
cambiare immediatamente mira.
- Un momento, signora, la interrompo immediatamente,
permettete che vada a dire una cosa a vostro marito; teme l'arrivo di un
importuno, vado a rassicurarlo su tale visita e, libero di fare quel che vuole,
vedrete tutto quel che si permetterà.
Esco.
- Amico mio, dico a Moldane tirandolo in un salottino
vicino, siamo scoperti; vendichiamoci immediatamente. Vostra moglie, allarmata
da qualche sospetto, è entrata di nascosto nella mia camera, della quale tuttavia
avevo la chiave in tasca: ha sentito; ha scorto il buco che sapete; stava
spiando quando sono entrato: Jérôme, mi ha detto, non una parola o siete
perduto ... Per favore, Moldane, nessuna debolezza, siate energico: quella
donna è un pericolo; bisogna, e subito, prevenirlo.
Non mi ero accorto fino a .che punto quella notizia
infiammasse Moldane. Stava rizzando quando ero andato a disturbarlo:
l'irritazione del fluido nervoso mette a fuoco immediatamente la bile:
l'incendio diventa generale; ed è con il bischero in aria che Moldane, furioso,
si precipita verso la parete, l'abbatte e si getta sulla moglie e, alla
presenza dei figli, le conficca venti volte il pugnale nel cuore.
Ma Moldane, che possedeva solo la collera dello
scellerato, ma non la sua energia, è rabbioso per quel che ha fatto: le grida,
le lacrime dei giovani che lo circondano finiscono per turbarlo del tutto:
credetti che impazzisse.
- Uscite, gli dico. Siete un vigliacco: tremate per
l'unica azione che vi assicura e felicità e tranquillità. I vostri figli ·vi
seguano, i vostri valletti ignorino tutto: dite a tutti che vostra moglie è
andata da un'amica, per impegni che la tratterranno alcuni giorni; Victoire ed
io, c'incaricheremo di tutto il resto.
Moldane, smarrito, uscì; i figli con lui e ci mettemmo
a rimettere tutto in ordine.
Devo confessarvelo, cari amici? ... Sì, certamente:
volete conoscere fino in fondo il mio cuore; non devo nascondervi nulla. Un
fuoco sottile si accese nelle mie vene alla vista di quel corpo di cui avevo determinato
la distruzione: la scintilla di un capriccio inconcepibile, al quale mi vedrete
presto abbandonato, si accese nel mio cuore osservando quella sventurata ancora
bella. Victoire spogliandola, metteva a nudo le più belle carni che mai fosse
possibile vedere; rizzavo ...
- Voglio fotterla, dissi alla governante dei miei
allievi.
- Ma non sentirà più niente, signore.
- Che importa? sono le sensazioni dell'oggetto che
serve ciò che
desidero? No, certamente: l'inerzia del cadavere
renderà le mie ancor più vive. Non è d'altronde opera mia? Non occorre altro
per rendere delizioso il godimento che mi propongo!
Ed ero pronto ... Ma l'ardore dello sfrenato desiderio
mi tradì; troppa impetuosità mi rovinò; dovetti prontamente ricorrere alla mano
di Victoire che fece eiaculare uno sperma che non riuscivo più a trattenere, e
le carni inanimate della bella sposa del mio padrone ne furono inondate.
Riprendemmo ad occuparci di quanto necessario; a forza d'acqua cancellammo le
tracce di sangue che inondava la camera e nascondemmo il corpo in una lunga
vasca di fiori di una terrazza vicina alle mie stanze. Il giorno seguente,
Moldane ricevette una lettera finta con la quale l'amica della moglie lo
avvisava che la sua stimata consorte si era ammalata e desiderava che Victoire
andasse a curarla. Costei scomparve; ben pagata, promise di non parlare e
mantenne la promessa fatta. Dopo otto o dieci giorni la pretesa malattia di Mme
de Moldane parve tanto aggravarsi da essere impossibile trasportare l'inferma a
casa. Victoire ci dava notizie; si presumeva che Moldane e i figli andassero a
farle visita per intere giornate. Infine la gentildonna spirò; portammo il
lutto. Ma Moldane non possedeva la fermezza necessaria ai grandi crimini né
l'intelligenza necessaria a calmare i rimorsi: piangendo il primo misfatto, ne
odiava la causa; non toccò più i figli e mi pregò di farli ravvedere
sull'errore in cui i nostri smarrimenti li avevano immersi. Feci finta, come
potete immaginare, d'approvare e m'incaricai di tutto.
Mi accorsi allora che per ottenere il mio scopo dovevo
cambiare bersaglio ancora una volta.
Divenni il padrone della mente di Sulpice; gli mostrai quanto orrendo fosse
stato il crimine di suo padre.
- Un mostro simile, è capace di
tutto. O amico mio! dicevo con calore, persino i tuoi giorni non son sicuri
qui; so che, attualmente, preoccupato di cancellare ogni traccia del suo
crimine, ha fatto incarcerare Victoire ... complotta contro la tua libertà e
per meglio nascondere tutto, quando ti vedrà fra quattro mura, ti avvelenerà e
così farà con tua sorella ... Fuggiamo, Sulpice, preveniamo i nuovi misfatti di
quella belva; ma prima cada sotto i nostri colpi. Se fosse scoperto, la legge
lo condannerebbe; la sua spada cadrebbe su lui; comportiamoci con identica
giustizia; liberiamo la terra dall'infame furfante. Non vuole nessuno vicino,
tranne te; diventato selvatico e feroce, ogni cura che gli provenga da altri lo
insospettisce: crede di vedere il pugnale della vendetta nella mano di tutti
coloro che lo avvicinano. Stringi tu l'arma; colpisci il colpevole; placa i
Mani di tua madre: sono qui, turbinano attorno a te e le laceranti grida della
vittima si faranno udire ancora a lungo, finché il sacrificio espiatorio non
sarà offerto dalle tue mani... Amico mio, bada che ti considero un mostro
poiché ancora esiti: colui che non ha il coraggio di punire il crimine quando
ne ha la possibilità è colpevole, a mio giudizio, quanto colui che lo ha
perpetrato. Nell'impossibilità di una denuncia che non sarebbe accolta, non ti
resta che agire tu stesso; affrettati dunque o non sei degno di vivere.
Qualche giorno di insinuazioni di
questa natura infiammarono la testa del giovane: gli do dei veleni, li afferra
con avidità; e il novello Séide (42) si macchia del più orrendo
misfatto credendo di servire la virtù.
Non rimanendo che parenti
collaterali assai lontani, fu istituito un consiglio di famiglia e io ne
conquistai talmente la fiducia da essere nominato amministratore e confermato
precettore dei ragazzi. Curandomi di tutti gli affari della casa, tutto il
denaro passava per le mie mani. Fu allora che concepii il perfezionamento del
mio piano.
Pensai che per riuscirvi non
avevo altro mezzo che utilizzare con Joséphine gli stessi strumenti che così
bene avevano agito su Sulpice per sbarazzarsi del padre.
- Non vi rimane, dissi alla
piccola ingenua ... no, non vi rimane, per essere felice, altra soluzione
all'infuori di quella di sbarazzarvi di vostro fratello: so che, attualmente,
egli complotta contro di voi e che allo scopo di ereditare tutto lui ha i~
animo di farvi entrare per il resto dei vostri giorni in un convento. E giunto
il momento che vi sveli, Joséphine, l'atroce animo di quest'uomo: lui è l'unica
causa della morte di vostro padre e di vostra madre; lui solo ha tramato gli odiosi
complotti; lui solo se ne è incaricato; presto anche voi cadrete sua vittima;
non passeranno otto giorni e sarete morta se non riuscirà a farvi rinchiudere
per tutta la vita ... Che dirvi altro? Mi ha già domandato dove si vendono i
veleni che possono accorciare la vita di una persona. Capite che io non glielo dirò,
ma potrebbe rivolgersi ad altri: muoviamoci per primi; bisogna vendicarsi di
chi trama contro di noi, non si fa alcun male a prevenirlo. Il veleno che
Sulpice chiede, l'offro a voi, Joséphine: avete la forza di usarlo?
- Sì, disse la mia allieva, svelando assai più
carattere di quanto avessi supposto, credo a tutto quel che mi dici, Jérôme.
Alcune frasi di Sulpice potrebbero essere conferma a quel che dici quando
sostieni che è l'autore della morte di mio padre; ed io voglio vendicare quella
morte. Ma, Jérôme, è necessario che te lo confessi? ti amo, e non avrò altro
sposo che te: godi della fiducia dei nostri tutori, chiedi la mia mano, io ti
sosterrò; se te la rifiutano, portiamoci via più denaro possibile e andiamo a
sposarci in Svizzera; tieni presente che a quest'unica condizione accetto il
crimine che mi proponi.
Si accordava troppo con i miei piani perché non
accettassi immediatamente. Non appena Joséphine fu certa che avrei fatto come
voleva, agì; tutto avvenne durante una colazione: lei stessa servì della
cioccolata al fratello, nella quale aveva avuto cura di mettere due granellini
di napello che io le avevo dato. Sulpice crepò il giorno seguente fra
spaventose convulsioni che Joséphine stette a lungo ad osservare con un
coraggio che non le avrei supposto: quella furfante non abbandonò il capezzale
del fratello se non quando lo ebbe visto rendere l'anima.
O Jérôme! esclamai allora a parte, il tuo trionfo è
dunque certo e le tue perfide seduzioni portano finalmente turbamento e
desolazione nella famiglia del tuo unico amico, del tuo unico protettore!
Coraggio, Jérôme; non fermiamoci per strada quando si tratta di essere
criminale: è perduto per sempre chi non percorre fino alla fine la strada del
vizio, una volta che l'abbia imboccata ... Trascorsi tutta la notte con
Joséphine: la scelleratezza di cui si era macchiata restituiva ai miei occhi
tutte le attrattive che un lungo godimento le aveva fatto perdere. Due giorni
dopo, la convinsi che l'avevo formalmente chiesta sposa, ma che la grande
differenza delle nostre condizioni sociali e dei nostri beni erano state causa
di un rifiuto.
- Ebbene! disse Joséphine, andiamo via! non ho mutato
avviso: voglio solo te per marito; solo per te voglio vivere.
- Non vi è alcuna difficoltà, dissi alla povera
ingenua; ecco un effetto di centomila scudi che il consiglio di tutela mi ha
consegnato per l'acquisto di una terra che sarà tua: portiamoci via questo
denaro e spariamo.
- Sono tutta tua, disse Joséphine: ma permettimi
d'importi una condizione.
- Quale?
- Che non dimenticherai mai i sacrifici che faccio per
te ... che non mi abbandonerai mai.
E ben capite, amici miei, con quale falsità pronunciai
un giuramento che avevo così poca voglia di rispettare.
Sparimmo. Il settimo giorno di viaggio arrivammo a
Bordeaux. dove giudicai che potevamo soggiornare per qualche tempo. prima di
passare in Spagna, paese scelto da Joséphine per metterei al sicuro e celebrare
le nozze. La stagione si metteva al brutto, e prevedendo di non riuscire a
superare le montagne prima della primavera, la mia compagna mi propose di
celebrarle dove ci trovavamo.
- Angiolo mio, risposi alla cara ingenua, la cerimonia
che mi proponi mi pare sommamente inutile; converrebbe, mi pare, perché tutto
proceda bene, farci passare per fratello e sorella; a tutti e due piace
spendere e non sarà con centomila scudi che riusciremo a sopravvivere a lungo.
Devi prostituirti, Joséphine; bisogna che le tue grazie ci diano da vivere. .
- Oh! amico mio, che spaventoso progetto!
- È l'unico ragionevole; solo a questo scopo ho
accettato di rapirti: l'amore è una chimera, bambina mia, unica cosa reale è
l'oro; dobbiamo attenerlo a qualsiasi prezzo.
- Ecco i sentimenti che mi avevi giurato!
- E tempo che mi conosca, Joséphine; sappi che quello
dell'amore non ha mai sfiorato il mio cuore; le donne mi piacciono, ma le
disprezzo; anzi, le odio non appena la passione si placa; tollero la loro
compagnia quando sono utili alla mia fortuna, mai quando esse mirano solo al
sentimento. Non insistere e non chiedere nulla, e affidati a me per nutrirti:
possiedo ipocrisia, abilità, capacità d'intrigo; ti farò passare di avventura
in avventura e voglio fare di te, con i miei consigli, la puttana più celebre
che mai sia esistita sulla terra.
- lo, una puttana!
- Non sei stata quella di tuo padre, di tuo fratello?
... non sei stata la mia? Davvero, il pudore è qui fuori posto.
Profondi sospiri e fiumi di lacrime vennero a
sospendere le parole di dolore che Joséphine voleva pronunciare: la sua crisi
di disperazione fu spaventosa e, quando si avvide che ero irremovibile e che
nulla poteva farmi cambiare idea, la sventurata che non aveva perduto neppure
in quel momento la speranza di vivere accanto a me ... a me ch'ella era tanto
pazza d'amare ancora, accettò tutto; e ci sistemammo secondo quel divino
proposito.
Sì, divino, oso dirlo: ne esiste uno bello quanto
quello di assicurarsi mezzi e lusso grazie alla buona fede e alla credulità
degli altri? Né bufere né devastazioni si temono quando i propri beni sono di
tal natura; e l'imbecillità degli uomini, in ogni tempo la stessa, assicura a
chi conta su di essa tesori che neppure le miniere del Perù fornirebbero. Ero
perfettamente all'altezza di reggere bene la barca; Joséphine possedeva tutto
quel che occorreva per reggere il timone; e ci lanciammo.
Una bella casa, molti valletti, cavalli, un cuoco
eccellente, tutto l'apparato, in una parola, di gente ricca condusse presto da
noi gli ingenui. Un vecchio mercante ebreo, conosciuto per le ricchezze e la
lussuria, si presentò per primo: Joséphine era quel che ci voleva e l'affare fu
subito concluso. Ma il Creso era fantasioso e siccome dava diecimila franchi
per soddisfare le sue bizzarrie, esigeva assoluta compiacenza.
Ecco qual era la mania del buon discendente di Saul.
Abraham Pexoto voleva che due graziose ragazze, che
aveva messo al servizio di Joséphine, la scrollassero alla sua presenza in un
salottino di specchi, facendole assumere durante la riunione otto o dieci
posizioni diverse. Di fronte al gruppo che operava, Pexoto si faceva profanare
da due seducenti pederasti: dopo un'ora, i gitoni inculavano le cameriere e
Pexoto inculava i gitoni. Sufficientemente eccitato da tali preliminari, la sua
amante si metteva lunga distesa per terra, come se fosse morta; l'ebreo veniva
legato mani e bischero e i due maschi gli facevano, fare così legato due o tre
volte un giro attorno al corpo gridando: «E morta, la sgualdrina! è morta, tu
l'hai uccisa! » e le due femmine lo seguivano con gran colpi di verghe. Allora
il cugino di Gesù Cristo si fermava un attimo: «Ebbene! diceva, alzatela poiché
è morta». Il corpo, sempre immobile, veniva allora messo sul bordo di un
canapè. L'ebreo inculava e mentre s'industriava a perdere il suo sperma
nell'ano della falsa morta, occorreva per affrettare l'emissione che i due
piccoli ganimedi, facendo baciare i loro culi, non smettessero di urlare: «Eh,
sì, sì! è morta, non c'è niente da fare! » e che le due del corteo
continuassero a lacerare, a frustare, lo striminzito deretano di quel rognoso.
Quando spiegai a Joséphine qual era la fantasia di
quell'uomo, ella versò qualche lacrima, ma dopo che le feci notare che era
davvero fortunata di cavarsela così a buon mercato e che nel suo mestiere ben
altra scherma era possibile; che centoventimila franchi di rendita per quella
cortesia valevano la pena di farla, si sottomise a tutto. Pexoto condusse
personalmente i due gitoni e le due sgualdrinelle; ne pagava alloggio e vitto a
parte e fin dal giorno seguente, il principale s'installò. Conosciuto quale il
fratello di Joséphine, non ci fu gelosia e per più di un anno conducemmo, a
spese di Abraham, la vita meno israelita del mondo.
Infine, Joséphine ebbe il sospetto che l'amante non
avesse più per lei lo stesso entusiasmo.
- Preveniamo la sazietà, esclamai subito; siccome non
possiamo più contare su Pexoto, caviamogli almeno tutto quel che è possibile.
Sapevo che l'ebreo, che aveva in me una certa fiducia,
aveva da poco ricevuto in biglietti di banca un pagamento di un milione e mezzo
di franchi. Feci in modo ch'egli non trovasse Joséphine a casa nelle ore in cui
aveva l'abitudine di servirsene.
- Dov'è tua sorella, Jérôme? mi disse non vedendola.
- Signore, risposi, una grande preoccupazione l'ha
spinta ad an-
dare a cercarvi; si è raccomandata che se nel
frattempo foste arrivato, vi fosse servita la cena e lei, nel frattempo sarebbe
tornata. Ma, signore, la causa della sua preoccupazione è della massima
importanza: aveva fretta d'incontrarvi e di parlarvi; non trovandovi spero che
non faccia qualche gesto disperato. .
- Corri, mi disse Abraham, non perdere un istante; se
è di denaro che ha bisogno, ecco un assegno in bianco sul mio conto; scrivici
la somma che vi occorre: venti ... trentamila franchi; non sentirti
imbarazzato, ragazzo mio: so che hai buon senso e che ti sarebbe impossibile
abusare della mia fiducia.
- Oh! signore.
- Va, amico mio, dille che mangio e che l'aspetto
senz'altro per il dolce.
Avevamo già tutto predisposto e il caro uomo non aveva
alcun sospetto: la casa affittata, i mobili venduti, i domestici licenziati; e
la cena, l'ultima che gli avremmo preparato. Una diligenza ci attendeva a
Chartrons (43) Joséphine era in quella
carrozza e, fatto il colpo, sparimmo da Bordeaux. Ma prima, io vado in casa
dell' ebreo; parlo ai commessi che mi conoscono perfettamente.
- Il corrispondente di M. Abraham, dico, è a casa
nostra; chiede immediatamente di riavere la somma consegnata ieri al vostro
padrone; ecco un assegno in bianco: consegnatemi subito, per favore, gli
effetti corrispondenti alla somma.
- Ah! disse il primo commesso, so di che si tratta:
ero stato avvisato che c'erano cambiamenti in questo affare, ma ignoravo che
l'incontro avvenisse a casa vostra. Ecco quel che chiedete; ora metto sulla
firma: «Consegnare a M. Jérôme quanto ricevuto ieri». Così va bene, vero?
- Perfetto.
- Sempre ai vostri ordini, signor Iéròme.
- Servitor vostro, signor Isaac.
Ed eccomi nella carrozza. Viaggiammo otto giorni senza
fermarci; e fu solo lungo il Reno che, considerandoci in salvo, scendemmo,
sfiniti, in un brutto albergo, per riposare un poco.
- Ebbene! angelo mio, dissi a Joséphine dopo aver
controllato il denaro, hai visto come il primo tentativo è andato bene;
coraggio, un po' di sfacciataggine e saremo a posto! Questa è la strada di
Berlino; è un bel paese la Prussia: vi regna un re filosofo; corriamoci:
imbrogliare dei baroni tedeschi o degli ebrei guasconi è la stessa cosa; e
qualunque sia la fonte di denaro, quando vi si attinge bene, si può esser certi
d'aver il secchio pieno.
- Non dirai più così, disse Joséphine, quando lo
prosciugherai appena riempito. Cosa me ne è venuto, a me, di tutto ciò? Qualche
abito e qualche gioiello; tu hai dissipato il resto con prostitute e pederasti:
i tuoi disordini d'ogni genere, la tua lussuria, sono stati enormi quanto le
tue truffe; avevi una tale reputazione che anche se questa avventura non ci
avesse costretti a lasciare Bordeaux, la polizia ci avrebbe prima o poi
espulsi: non ti sei limitato a prendere ragazze condiscendenti; ne hai
picchiate, violate, molestate, e forse peggio ...
- Peggio? Davvero, son pronto a crederci, dissi a
Joséphine. Continua, tesoro; continua con il mio panegirico; suona bene sulle
tue labbra.
- Spaventoso ...
- Ah! per favore; non ti ho presa con me per farmi dei
mercuriali (44), ma per
servire alla mia avarizia, alla mia lussuria e alle mie fantasie: non
dimenticare mai l'autorità che i tuoi crimini mi danno su di te; bada che
denunciandoli potrei farti impiccare domani stesso; bada che abbandonandoti al
tuo destino, non più sostenuta dai miei consigli, diventata una piccola
adescatrice da ventiquattro soldi, moriresti presto di fame. Continua dunque,
Joséphine, ad essere, e in umiltà, complice e strumento dei miei misfatti: e
ricorda che porto sempre due pistole in tasca per bruciarti le cervella alla
prima insubordinazione.
- O Jérôme credevo che mi amassi; è questo che mi
avevi promesso quando mi hai sedotta?
- lo? amore per una donna? te l'ho già detto mille
volte, ragazza mia: ti sbagli se supponi in me una simile debolezza. Quanto ai
mezzi ai quali sono ricorso per sedurti, sono quelli di tutti i corruttori;
bisogna ingannare la bestia che si vuoi prendere, e non per niente si mette
esca all'amo.
Joséphine pianse ed io non la consolai. Non esiste
persona al mondo più insensibile di me alle geremiadi delle donne; mi
divertono, non le condivido. Tuttavia, siccome rizzavo sodo e la strada mi
aveva prodigiosamente riscaldato e non c'era niente là che potesse calmarmi,
feci fare voltafaccia alla mia compagna di viaggio e le piazzai il bischero nel
sedere, dove lo feci andare e venire finché non ebbe il tempo di rovesciarvi
due o tre scariche.
Mi ritirai solo quando udimmo grandi colpi di frusta
nella locanda, annuncio dell'arrivo di un corriere: apro la porta.
- E qui! è qui! sento gridare; ne siamo certi; li
seguiamo da Bordeaux.
A quelle parole Joséphine pensò bene di svenire; io
invece, calmo, come sempre lo fui tutta la vita nel crimine, mi limitai ad armare
una delle pistole; poi, impugnandola, scesi: .
- Amico, dico al corriere, cerchi me per caso?
- Sì, scellerato! risponde subito quell'Isaac che mi
aveva consegnato i denari di Pexoto; sì, furfante, sì, tu ... tu, che farò
arrestare immediatamente!
- Esecrabile impostore! rispondo con fermezza,
provaci! Padrone, proseguo rivolgendomi al locandiere, andate a chiamare il
giudice del luogo, voglio sporgere denuncia contro questo balordo.
Isaac, interdetto per un comportamento che non si
aspettava, Isaac che, fiducioso nelle proprie forze, perché aveva ragione ed io
torto, non aveva preso alcuna precauzione per dimostrare il mio crimine: nessun
ordine, nessuna procedura, nessun funzionario di polizia, Isaac, ripeto, cambiò
espressione e andò a sedere tranquillamente vicino al fuoco, dicendo:
- E va bene.
Il giudice arriva.
- Signore, dico prendendo per primo la parola, ecco un
furfante che mi deve centomila scudi; è, come me, mercante di Bordeaux. Quando
sono andato da lui per ritirare il mio denaro, spiegandogli che mi occorreva
per il viaggio che sto facendo, me lo ha rifiutato; gli ho fatto causa; egli ha
dichiarato fallimento. Ho messo insieme gli altri miei denari, sono partito.
Non appena questo scellerato mi ha visto lasciare la città, ha pubblicamente
fatto sapere che il denaro che avevo con me era causa del suo disastro
finanziario perché una parte di quel denaro non era mio, glielo avevo
scroccato, e così gli è venuto in testa di perseguitarmi. Questo è il suo
intento, ma, perbacco, dichiaro, signor giudice, che dovrà passare sul mio
cadavere.
- Cosa rispondete signore? dice l'uomo di legge ad
Isaac.
- Rispondo, dice l'ebreo turbato dalla mia
sfacciataggine, che avete a che fare con il più abile truffatore d'Europa. Ma
il torto è mio: sono partito come uno stupido; non ho preso alcuna precauzione;
è colpa mia; riparto. Non importa! ma questo furfante non s'illuda di
cavarsela: vado a procurarmi quanto è necessario e quando sarò in regola, stia
pur certo che lo seguirò fino in inferno. Addio.
- Oh, no, figlio di puttana! dico afferrando Isaac per
il colletto; oh! no! non te ne ripartirai così: poiché ti ho acchiappato voglio
il mio denaro o almeno quello che porti su di te ora.
- Questo è giusto, dice il Salomone che presiede a
questa scena. Il signore dice che gli dovete centomila scudi: pagate.
- Infame calunniatore! dice Isaac, mordendo si le
labbra, com'è possibile che spinga la sua sfrontatezza fino a questo punto?
- Nipotino di Mosè, esclamo, sono meno sfrontato di
voi; chiedo solo quel che mi è dovuto, e voi invece avete il coraggio di
reclamare ciò che non vi appartiene.
Isaac fu condannato. Costretto a svuotare le tasche,
ci guadagnai mille franchi e alcune lettere di cambio su Berlino, pari alle
duecentocinquantamila lire che continuavo a reclamare. Pagai generosamente il
giudice, il locandiere, gli accoliti e, dopo aver fatto preparare subito i
cavalli, ci allontanammo, Joséphine ed io, da un albergo nel quale non avevamo
sperato una così vantaggiosa avventura.
- Ebbene! mi disse Joséphine, non appena fummo al
galoppo, scommetto che a me non toccherà neppure un soldo: e dire che è stato
il mio sedere che ti ha portato fortuna; ne stavi uscendo quando
quell'imbecille è caduto nelle sue stesse reti.
- Eh, risposi alla mia falsa sorella, non ti ho sempre
detto che il culo porta fortuna? Se sfortunatamente avessi infilato il tuo
conno, mi avrebbero arrestato.
- Insomma, cosa ne ricaverò io?
- Diecimila franchi.
- Che generosità!
- E che spese devi fare, Joséphine? Qualche straccetto:
io, culi, bischeri. Ah! Joséphine, c'è una bella differenza!
Così chiacchierando arrivammo a Paderborn, senza mai
scendere dopo il nostro incontro con Isaac.
La fiera di Lipsia attirava molti viaggiatori lungo
quelle strade e così trovammo le locande talmente piene a Paderborn da essere
costretti a dividere una camera con un ricco mercante di Amburgo, diretto con
la moglie alla celebre fiera. Kolmark era il nome di quel mercante, la cui
moglie, di circa vent'anni, era la più avvenente creatura che mai fosse
possibile incontrare sulla terra; e, lo confesso, quella deliziosa personcina
mi diede alla testa almeno quanto un voluminoso cofano che vidi chiudere
accuratamente in uno degli armadi della nostra camera. Il desiderio
d'impadronirmi dell'uno e dell'altro oggetto si fece così intenso da non
lasciarmi chiudere occhio in tutta la notte. A causa di una riparazione alla
loro carrozza, i due erano costretti a trattenersi nella locanda e, per
seguirli un po' più da vicino, finsi che certi affari mi trattenessero un
giorno a Paderborn. E così, era chiaro che dovendo stare insieme trenta sei ore
facessimo inevitabilmente amicizia. Joséphine, secondo il mio consiglio,
diventò presto amica della sua compagna; facemmo colazione insieme; cenammo; la
sera andammo a teatro; e fu alla cenetta dopo lo spettacolo che cominciai a
preparare le reti in cui volevo far cadere l'una e l'altra vittima. Kolmark
aveva offerto il pranzo; era giusto che la cena toccasse a noi. Perciò lasciai
il teatro presto e arrivai solo alla locanda, con la scusa di predisporre
tutto.
- Devo andare a prendere alle porte della città un
amico con il quale parto stanotte per Berlino, dico a quelli della locanda.
Faccio caricare la mia vettura immediatamente e la mando ad aspettarmi dal mio
compagno di viaggio.
Tale precauzione non destò sospetti; tutti i miei
bagagli vengono caricati sulla carrozza; non dimentico di farci mettere, ben
avviluppato, il cofano che grazie a un grimaldello avevo facilmente preso
dall'armadio in cui era chiuso.
- Va', dico al postiglione, quando tutto è pronto, va'
ad aspettarmi alla porta di Berlino; con me verranno mia moglie e il mio amico:
più semplice per te che fermarti vicino alla sua casa; potrai almeno bere un
bicchiere mentre ci aspetti; c'è un'osteria a quella porta, nessuna vicino alla
sua.
Tutto si svolse alla perfezione e la mia carrozza
stava allontanandosi dalla locanda quando Joséphine e le nostre due vittime vi
rientravano. Una magnifica cena fu servita ma io avevo avuto cura di mischiare
nelle ciotole di frutta, già disposte sulla credenza, una dose di stramonio
sufficiente a far cadere profondamente addormentato chi avesse mangiato i cibi
ai quali l'avevo mescolata. Tutto riuscì in modo meraviglioso: non appena
Kolmark e la moglie ebbero assaggiato i frutti fatali caddero in tale letargo
da poter fare di loro tutto quel che si voleva, rigirarli da tutte le parti,
senza che essi se ne accorgessero.
- Tienti pronta, dico a Joséphine, non appena li vedo
in quello stato; tutto è in salvo; la carrozza ci attende; ho il cofano; dammi
una mano per fottere questa donna che mi ha fatto girare la testa; poi
prendiamo portafoglio e gioielli, e via, senza una parola, segretamente e
velocemente.
Mi avvicino alla Kolmark; inutilmente le alzo le
gonne, le stringo le mammelle, niente la sveglia. Rassicurato da quel suo stato
di ebetudine, più intenso di quanto avessi supposto, mi faccio più
intraprendente. Joséphine ed io la spogliamo interamente. Dio, che corpo! era
quello di Venereo
- O Joséphine, esclamo, mai un crimine mi ha fatto
rizzare così!
Ma devo perfezionarlo: non sono troppo sicuro della
mia droga; per
non temere che si risveglino, devo fotterli tutti e
due e ucciderli fottendoli.
Comincio con la donna: prima l'inconno, poi
l'inculo... Non un movimento ... neppur l'ombra di una sensazione; le riempio
l'ano di sperma, e passo al marito. Kolmark, che non aveva trent'anni, mi offre
un culo d'alabastro; lo lascio, dopo qualche avanti e indietro, per riaffondare
in quello della moglie, e mentre san dentro, questa volta faccio mettere su lei
il corpo del marito e, su questo, i tre materassi di uno dei letti. Joséphine
che, per mio ordine, fa capriole sui materassi, finisce per soffocarli tutti e
due. E io godevo, e provavo nel culo della donna l'inconcepibile voluttà di
procurare una morte violenta all'oggetto dei nostri piaceri. E incredibile fino
a che punto la contrazione dei nervi della vittima è utile alla lubricità
dell'agente! Amici miei! serbiamo il segreto; se fosse conosciuto non ci
sarebbe libertino che non assassinerebbe il proprio piacere. Finita
l'operazione, sistemiamo con cura i corpi ciascuno nel proprio letto e, dopo
esserci impadroniti degli orologi, dei portafogli e dei gioielli, scendiamo,
attraversiamo la locanda, dove nessuno si meraviglia di vederci partire, perché
avevo avvisato.
- Lasciate dormire M. e Mme Kolmark, diciamo passando;
vi pregano di andare da loro solo a mezzogiorno: la vostra eccellente cena, il
vostro buon vino, ha dato loro alla testa, e vogliono riposare; faremmo anche
noi così se gli affari non ci chiamassero.
E ciò detto, le spese, i domestici generosamente
pagati, partiamo, riveriti da tutti, e corriamo senza fermarci a Berlino. Solo
nella capitale della Prussia scoprimmo che il cofano, pieno di pietre preziose,
con le altre cose rubate valeva più di due milioni.
- Oh! Joséphine, esclamo controllando il bel bottino,
te l'ho sempre detto che un crimine è garanzia di un altro e che la fortuna
protegge sempre chi ne commette in gran numero.
Ci sistemammo a Berlino come a Bordeaux, ed io mi feci
passare, anche questa volta, per fratello di Joséphine.
Quella donna, che diventava ogni giorno più bella, non
tardò a fare molte conquiste e siccome era convinta della necessità di
soffermarsi solo su quelle che dovevano rendere di più, il primo uomo che cercò
di conquistare fu il principe Enrico, fratello del re (45).
Pochi ignorano, almeno per sentito dire,
l'intelligenza, la cortesia e il libertinaggio dell'amabile principe. Enrico,
più amante degli uomini che delle donne, faceva cadere la propria scelta solo
su quelle dalle quali pensava di essere aiutato nei suoi traviamenti preferiti.
- Angiolo mio, disse a Joséphine, devo, prima di
costituire un legame con voi spiegarvi quali sono le mie passioni; sono tanto
vive quanto particolari. Innanzi tutto vi prevengo che celebrerò assai poco le
attrattive proprie al vostro sesso: non mi servo mai delle donne; le imito ma
le detesto. Ecco quali servigi vi chiederò per la mia lubricità: vi farò
conoscere molti uomini; cercate di conquistare tutti quelli che vi presento.
Ecco, proseguì il principe dando a Joséphine un fallo artificiale di tredici
pollici di lunghezza e nove di circonferenza; ecco la misura che mi si addice:
quando scoprirete dei bischeri di queste dimensioni, me li fornirete. Giunti al
momento dell'operazione vestirete una zimarra color carne che lascerà scoperto
il culo: il resto sarà impenetrabile alla mia vista; voi preparerete i bischeri
che mi dovranno entrare nel sedere, li infilerete voi stessa, ecciterete l'uomo
mentre agirà e, quale ricompensa, quando avrò ben fottuto, vi darò a quegli
uomini unitamente a quattrocento frustate. Non è tutto, mia bella amica; le
vostre femminili grazie dovranno subire grande profanazione. Dopo le frustate,
vi metterete completamente nuda; vi coricherete per terra, le gambe divaricate;
tutti gli uomini che mi saranno passati sul corpo vi cacheranno nel conno e sul
petto. Tornando dall'operazione, mi faranno toccare il buco del loro culo: cosa
che farò con la lingua. Ciò fatto, mi accovaccerò sulla vostra bocca, voi la
spalancherete il più possibile, io vi cacherò dentro; uno dei miei uomini mi
scrollerà; il mio sperma partirà contemporaneamente al mio stronzo: è questo il
mio unico modo di scaricare.
- E quali sono, disse Joséphine, gli emolumenti che
monsignore accorda per servigi così sgradevoli? .
- Venticinquemila franchi al mese, disse il principe,
a parte gli accessori.
- Non è davvero molto, rispose Joséphine, ma l'onore
della vostra protezione compenserà il resto, e sono fin d'ora agli ordini di
monsignore.
- Chi è il giovane che chiamate fratello? proseguì il
principe.
- Lo è effettivamente, rispose Joséphine, e la
somiglianza dei suoi gusti con i vostri lo potrebbe rendere utile ai vostri
piaceri. - Ah! è pederasta?
- Sì, monsignore.
- V'incula?
- Qualche volta.
- Oh, perbacco! voglio vedere.
Joséphine mi fece chiamare e il principe, per mettermi
immediatamente a mio agio, mi sbottonò e mi scrollò.
- Ecco, disse, un gran bell'arnese; non è esattamente
della misura di quelli di cui mi servo, ma dev'essere bello vederlo all'opera; è
possibile che abbia una brillante scarica.
E avendo fatto coricare Joséphine bocconi, introdusse
il mio bischero nel culo della fanciulla con grandissima abilità. Non appena ci
fui, egli passò dietro a me e, abbassandomi le braghe fino ai talloni, mi
palpeggiò il culo, lo socchiuse, lo pasticciò, e vi fece penetrare il bischero
di qualche linea. Ritirandosi subito dopo, si rimise ad osservare le mie
natiche assicurando. che le trovava molto di suo gusto.
- Sapreste cacare fottendo? mi disse; è delizioso per
me vedere cacare un uomo mentre fotte un culo: non sapete quanto questa piccola
infamia ecciti la mia lubricità; è che generalmente mi piace molto la merda, ne
mangio persino, così come vedete: gli sciocchi non capiscono; esistono passioni
solo adatte a gente di un certo rango. Ebbene! cacherete?
La mia risposta fu uno dei più celebri stronzi che mai
avessi deposto in vita mia. Enrico lo ricevette tutto d'un pezzo nella bocca; e
lo sperma con il quale m'innaffiò le cosce fu prova inconfutabile del piacere
che gli avevo fatto. Anche lui ne aveva fatto uno e, quando mi vide disposto a
pulire il posto:
- No, disse fermandomi, san cose di donne.
E Joséphine fu costretta a togliere con le mani; lui
guardava e sembrava che gioisse dell'umiliazione inferta.
- Ha un gran bel culo, diceva dando schiaffetti, credo
che sarà una bellezza frustarlo: io lo striglierò a dovere, vi avverto, e spero
che non vi dispiaccia.
- Oh! no davvero, monsignore, lo giuro; Joséphine è
vostra e si sentirà sempre onorata di quel che le farete.
- E che non si devono mai risparmiare le donne, in
fatto di lubricità; ogni piacere è rovinato quando non si sa tenerle al loro
posto e, se le si nobilita, non lo sono.
- Monsignore, dissi al principe, c'è una cosa che mi
meraviglia in voi: è il vostro modo di sostenere lo spirito del libertinaggio,
persino dopo che quello che gli dà forza si è spento.
- Semplice, i miei princìpi sono incrollabili, rispose
quell'uomo dalla mente lucida; sono immorale per sistema e non per
temperamento: lo stato di forza o di debolezza nel quale posso trovarmi non
contribuisce affatto alle condizioni del mio intelletto; e mi abbandono ai
massimi eccessi della lussuria sia subito dopo aver scaricato sia con uno
sperma di sei mesi nei testicoli.
Volli anche rivelare al principe, subito, una mia
certa meraviglia per il genere di piaceri ai quali si dedicava.
- Amico mio, rispose, non esiste che questo di buono
nel libertinaggio; più il piacere sperimentato è sporco e più naturalmente
eccita. Man mano che la noia s'impadronisce dei nostri gusti, li raffina; è
dunque semplice arrivare al massimo della corruzione meditata. Tu giudichi i
miei gusti stravaganti, io troppo semplici: vorrei fare molto peggio. Passo la
vita a lamentarmi della mediocrità dei miei mezzi. Nessuna passione è tanto
esigente quanto quella del libertinaggio perché non ne esiste altra che
solletichi, pungoli, ecciti tanto il sistema nervoso, nessuna che faccia ardere
l'immaginazione con fuoco tanto vivace; ma bisogna, dedicandosi ad esso,
dimenticare completamente la nostra qualità di uomo civilizzato; solo come
selvaggi, e alla maniera dei selvaggi, dobbiamo avvoltolarci nel pantano della
lussuria; se facciamo appello alle nostre forze o ai doni della fortuna, deve
essere solo per profittarne.
- Oh! monsignore, ecco delle affermazioni che sanno
spaventosamente di tirannia... di ferocia.
- Ma il vero libertinaggio, disse il principe, deve
sempre procedere fra questi due vizi; niente è più dispotico, ed ecco perché
tale passione non è veramente deliziosa che per coloro i quali, come noi
principi, sono investiti di qualche autorità.
- Ma allora è per voi un godimento abusare di tale
autorità?
- Anzi: affermo che fa piacere solo se si ha
l'intelligenza di abusarne. Amico mio, mi sembri abbastanza dotato, abbastanza
ricco per poterti rivelare a questo proposito i misteri segreti del
machiavellismo. Ricordati che la stessa natura ha voluto che il popolo fosse,
nelle mani del monarca, esclusivamente la macchina della sua autorità; è atto
solo a questo; è stato creato debole e stupido solo a questo scopo; e il
principe che non lo tenga in catene e non l'umilii, pecca contro le intenzioni
della natura. Quale il frutto dell'indolenza del sovrano? Un universale
sconvolgimento, tutti gli ebeti crimini dell'insurrezione popolare, la
decadenza delle arti, il disprezzo per le scienze, la scomparsa del denaro
contante, l'eccessivo rincaro delle derrate, la peste, la guerra, la carestia e
ogni altro flagello che tali mali portano con sé. Jérôme, ecco quel che capita
a un popolo che si scrolla di dosso il giogo; e se esistesse in cielo un essere
supremo, sua prima cura sarebbe punire, sta certo, un capo tanto imbecille da
aver ceduto agli altri il proprio potere.
- Ma tale potere, dissi, non è nelle mani del più
forte? e il popolo in massa non è l'unico sovrano?
- Amico mio, il potere di tutti è una chimera; non si
ottiene alcun risultato da una moltitudine di forze discordanti: ogni potere
disseminato risulta nullo; la sua energia consiste nella concentrazione. La
natura possiede una sola fiaccola per illuminare il mondo: ogni popolo,
seguendone l'esempio, deve avere un solo padrone.
- Ma perché un tiranno?
- Perché l'autorità gli sfugge se è tollerante; e ti
ho già additato i
mali derivanti da un'autorità svanita. Un tiranno
perseguita qualche uomo: dalla sua tirannia derivano cose mediocri; un principe
debole permette che l'autorità passi in altre mani: ed ecco orrendi flagelli.
- Ah! monsignore, dissi baciando le mani di Enrico,
come apprezzo questi vostri princìpi. Ogni uomo, accettandoli, può lusingarsi
di essere tiranno entro la propria classe; è invece schiavo e vile se vuole
usurpare il potere dei grandi.
Il principe di Prussia, particolarmente soddisfatto,
mi lasciò venticinquemila franchi quale dimostrazione della sua benevolenza e
non lasciò quasi più la nostra casa. Aiutavo mia sorella a trovargli degli
uomini; e meno difficile di lui, mi trovai più che bene con tutto quel che lui scartava;
così posso garantire che, durante i due anni del nostro soggiorno in quella
città, mi passarono almeno più di diecimila bischeri nel deretano. Non esiste
altro paese al mondo nel quale i soldati siano così belli e compiacenti; e per
poco che si sappia fare, se ne hanno tanti da essere persino costretti a
rifiutarli.
Non eravamo tanto in soggezione da non poter
segretamente associare qualche signore della corte ai piaceri del principe
Enrico; e il conte di Rhinbcrg condivise a lungo i favori dell'amante del
fratello del suo signore. senza che nessuno se ne preoccupasse. Rhinberg,
libertino quanto Enrico, lo era tuttavia in un altro genere: fotteva Joséphine
in conno, mentre due donne lo picchiavano energicamente e una terza gli
pisciava nella bocca. Per una sequela assai rara di capricci, Rhinberg non
scaricava nel conno che aveva onorato: quello che gli aveva pisciato in bocca
era sicuro di ricevere il suo omaggio, e così come quello che lo eccitava
doveva essere giovane e leggiadro, ragione per la quale aveva scelto quello di
Joséphine, quello in cui finiva doveva assolutamente essere vecchio, brutto e
puzzolente. Questo cambiava tutti i giorni; all'altro rimase fedele diciotto
mesi; e forse sarebbe ancora il suo preferito se non fossero sopraggiunti fatti
che mi fecero partire da Berlino, sui quali è giunto il momento che
v'intrattenga.
Mi ero accorto da qualche tempo di due cose che mi
preoccupavano e alle quali va fatta risalire la decisione di lasciare Berlino.
Tuttavia, non sapevo decidermi, ma la proposta che mi fu fatta finì per
decidermi.
Per prima cosa mi parve di scorgere un certo
raffreddamento del principe di Prussia nei confronti di Joséphine: invece di
venire tutti i giorni, lo vedevamo appena due volte la settimana. L'incostanza
è il risultato delle passioni esasperate; siccome ci si abbandona
eccessivamente, necessariamente ci si stanca prima. La seconda cosa che
raddoppiò la mia inquietudine fu di avvedermi, e senza alcun dubbio in
proposito, che anche Joséphine mi sfuggiva. Amava un giovane valletto di camera
di Enrico che sovente si era divertito alla sua presenza con il principe, e
temevo che insensibilmente si sarebbe sciolta dalle mie catene.
Ecco a che punto ero allorché la proposta cui ho
accennato mi fu fatta. Era contenuta in un biglietto e diceva:
«Vi offriamo cinquecentomila franchi per Joséphine,
avvisandovi che la vogliamo per appagare un capriccio che le costerà la vita.
L'autorità di colui che così si rivolge a voi è tale che, se aprirete bocca,
sarete un uomo morto; se, invece, accettate, domani a mezzogiorno la somma
promessa vi sarà consegnata e, inoltre, cinquecento fiorini per la vostra
partenza, poiché una delle condizioni del mercato è che lasciate la Prussia
nello stesso giorno».
Ecco la mia risposta:
«Se colui che mi ha fatto simile proposta mi
conoscesse meglio non sarebbe ricorso alle minacce. Accetto ad un'unica
condizione: essere testimone del supplizio preparato per mia sorella o almeno
essere illuminato sulla sua natura. Quanto al resto, mi sembra onesto far
sapere che Joséphine è incinta di tre mesi».
Fu risposto:
«Siete uomo cortese; vi porterete da Berlino la stima
e la protezione di colui che si rivolge a voi. Non potete essere testimone del
supplizio; accontentatevi di sapere che durerà venti ore e che non esiste alcun
esempio al mondo di rigore e di violenza del tormento, nuovo quanto
straordinario, grazie al quale le verrà sottratta la vita. Un medico verrà
domani a verificare il suo stato e se sarà vero, riceverete mille franchi in
più. Addio: non tornate mai più a Berlino, ma ricordatevi che ovunque andrete
una mano potente vi proteggerà».
Quella sera le porte della casa furono chiuse assai
presto e io volli concedermi il barbaro piacere di cenare e di dormire per
l'ultima volta con Joséphine. Mai l'avevo fottuta con tanta gioia! Oh! che
corpo superbo! mi dicevo; peccato che tanta bellezza sia fra poco pasto ai
vermi! e questo crimine sarà opera mia; e indubbiamente lo sarà perché,
potendola salvare, la consegno. Bisogna avere il mio cervello, amici miei, per
comprendere fino a che punto certe idee facciano raddrizzare il bischero.
Joséphine fu fottuta in tutti i modi. e ogni tempio in cui sacrificavo faceva
sorgere in me nuove riflessioni, tutte tuttavia più o meno della medesima
natura. Oh! amici miei, posso dirlo con tutta sincerità, no! non c'è godimento
paragonabile a quello nel mondo intero: ma, a chi lo dico, gran dio! chi più di
voi può saperlo!
Il giorno seguente il medico venne; dissi a Joséphine
che era mandato dal principe che, avendo saputo del suo stato, le offriva
aiuto. Joséphine cominciò col negare: ma convinta dall'esame, confessò tutto
supplicando il medico di non comprometterla. Questi promise tutto quel che gli
era richiesto, stese un processo verbale con il quale dichiarava che secondo
l'esame e le risposte di Joséphine, ella doveva essere al quarto mese.
Pregandomi poi di ascoltarlo a parte:
- Ecco, mi disse, i seicentomila franchi che sono
stato incaricato di consegnarvi e i cinquecento fiorini per il viaggio: verrò
io stesso a prendere vostra sorella stasera; si tenga pronta; e voi, signore,
che il sorgere del sole non vi trovi più a Berlino.
- Manterrò la parola, signore, risposi, offrendogli
diecimila franchi che rifiutò; ma di grazia, spiegatemi tutto quel che potete
di questa assai singolare circostanza; sapete certamente quel che si vuoi fare
di mia sorella.
- La vittima di un omicidio per lussuria, signore: so
di potervelo rivelare perché mi è stato detto che siete al corrente del fatto.
- E sarà crudele?
- È una nuova esperienza e con angosce di tale forza
che il soggetto sviene ad ogni ripresa e riprende i sensi ad ogni pausa.
- Il sangue cola?
- Goccia a goccia: è quel che è detta riunione di
dolori; tutti quelli con i quali la natura affligge l'umanità sono imitati in
questo supplizio, tratto dal manuale degli inquisitori di Goa.
- A giudicare dalla somma che ricevo, l'acquirente
deve essere ricco.
- Lo ignoro, signore.
- Ditemi soltanto se supponete che conosca Joséphine.
- Non c'è dubbio.
- Carnalmente?
- Non credo.
E l'uomo uscì senza voler profferire una sola parola
in più. Andai ad avvisare Joséphine, solo pochi minuti prima, che c'era chi
aveva espresso il desiderio di possederla da sola.
Rabbrividì:
- Ma perché non mi accompagni? mi disse coprendomi di
carezze.
- Non posso
- Oh! amico mio, ho un terribile presentimento! forse
non ti rivedrò mai più!
- Che idea strana! oh Joséphine,
arrivano; coraggio!
E il medico le offrì la mano per scendere, io
l'imbarcai, d'accordo con lui, in una carrozza inglese
che presto la sottrasse alla nostra vista, non senza gettare tutta la mia
esistenza in un turbamento voluttuoso più facile da sentire che a descrivere.
❖
❖
❖ ∼∼∼ ❖
❖
❖ ∼∼∼ ❖
❖ ❖
Il racconto udito, invece di placare l'incendio generale, come aveva
sperato Severino, aveva talmente elettrizzato le menti da far sorgere la
volontà di variare immediatamente gli oggetti del libertinaggio.
- Teniamo solo sei donne, disse Ambroise, e sostituiamo le altre con dei
giovani. Sono stufo di vedere, da quattro ore, solo pubi e seni attorno a noi;
e quando si posseggono dei Ganimedi così graziosi in gabbia, non capisco perché
circondarsi di conni,
- Ben detto, esclamò Severino, con l'infernale bischero alto sei pollici
oltre la tavola; vadano subito a prendere sei ragazzi e tratteniamo Justine,
Octavie e queste quattro belle creature di diciotto anni che fanno ora corona a
Jéròme.
La scena cambia; arrivano i ragazzi; ed ecco i nostri monaci che inculano,
si fanno fottere e non usano più femmine come divertimento nelle loro crudeli
lussurie.
- Oh porcodio, dice allora Ambroise, ritirando
l'arnese eccitato dal culo di un bel gitone di tredici anni, non so quel che
immaginerei, quel che farei se mi lasciassi trascinare dal delirio che mi fa
ardere la testa. Mi assale un tale accesso di rabbia per questa nipote,
continua indicando Octavie ... Non sarebbe la prima riformata dal giorno del
suo arrivo ... Siamo rigurgitanti di donne; dobbiamo ancora riceverne due o tre
questa settimana che valgono più di lei. E fra le altre, possedete una creatura
di diciassette anni, fatta come le Grazie, e che mi è sembrata più bella di
tutte le altre entrate qui da molto tempo a questa parte. Istruiamo il processo
contro questa piccola sgualdrina. Tutti l'abbiamo fottuta; non ce n'è uno che non
le abbia messo il bischero nel conno, nel culo o nella bocca; ricominciando,
sarà sempre la stessa cosa, e ...
- Mi oppongo, dice Jéròme; non tutti si stancano tanto
presto come Ambroise: ci restano ancora mille piaceri, uno più eccitante
dell'altro, da gustare con questa ragazzina. Angariamola, tormentiamola, nulla
di più giusto, ma non immoliamola ancora.
- Ebbene! dice Ambroise accendendosi contro di lei
mentre la tiene fra le gambe, ecco dunque a cosa la condanno, dal momento che
mi rifiutate quel che voglio: esigo che colui che fra noi non ha voglia di
cacare le tenga un pugnale sulla gola e lo affondi irrevocabilmente e senza
appello se costei non manderà giù gli stronzi degli altri cinque.
- Delizioso ... divino! esclamano Sylvestre e
Severino.
- Mi piacciono follemente le idee di Ambroise, dice
Antonin. Da tempo, sì, uomo degli orrori, veramente da molto non scarico se non
grazie a qualche bella idea di questo invertito. Ma, che ne sarà di quelli che
hanno cacato?
- Justine, dice Ambroise, sarà condannata a pulir loro
il culo con la lingua; un'altra ragazza prenderà il bischero di uno dei nostri
fottitori e lo introdurrà via via nei vari culi mentre un gitone li succhierà e
un altro farà peti in bocca.
- E tutto finirà qui? dice Sylvestre. Perbacco, che
grande punizione, inghiottire cinque stronzi! Ne mangio tutti i giorni una
dozzina per mio piacere, io.
- No, no, dice Severino, non finirà là: man mano che
il monaco che ha cacato sarà stato fottuto, avrà il diritto d'imporre alla
vittima una penitenza a base di sangue.
- Alla buonora, dice Ambroise, affare fatto; solo così
ci sto. Ebbero inizio le infamie prospettate; giunsero al culmine. L'età e la
bellezza della fanciulla furono scintilla del grande incendio; e la sazietà più
che la pietà, rinviandola nella sua stanza, la restituirono, almeno per qualche
ora, alla calma di cui aveva bisogno.
Justine, che nutriva per la graziosa giovanetta grande
amicizia, e che desiderava donarle quella parte del suo cuore che Omphale aveva
a lungo occupato, fece l'impossibile per diventare la sua istitutrice; ma
Severino volle assolutamente che la nostra eroina andasse a dormire nella sua
cella. Abbiamo già detto che la bella fanciulla aveva avuto la disgrazia di
eccitare più vivamente di altre gli spaventosi desideri di quel sodomista: da
un mese trascorreva con lui quasi tutte le notti; egli aveva inculato poche
donne con altrettanta assiduità; la considerava decisamente superiore nel
taglio delle natiche, un calore, una strettezza indicibile nell'ano: cos'altro
occorre per determinare una propensione in un pederasta? Ma sfinito, quella
notte, il gaudente ebbe bisogno di qualche raffinatezza. Temendo senza dubbio
di non procurare sufficiente male con il mostruoso gladio di cui era munito,
pensò d'inculare Justine con un fallo artificiale di dodici pollici di
lunghezza e sette di circonferenza. La misera spaventata volle reclamare: le fu
risposto con minacce e botte; fu dunque costretta a presentare il culo. A forza
di scossoni, l'arme entrò molto avanti. Justine allora lancia alte grida; il
monaco ne è divertito; dopo qualche avanti e indietro, improvvisamente, ritira
lo strumento e s'inabissa nel foro che ha appena aperto. Che stravaganza! non è
esattamente il contrario di ciò che gli uomini dovrebbero desiderare?
Il mattino, sentendosi alquanto ristorato, volle
sperimentare un altro supplizio. Mostrò a Justine un arnese assai più grosso di
quello della sera precedente. Era cavo e munito di uno stantuffo capace di
lanciare l'acqua con incredibile pressione da un'apertura che dava al getto più
di due pollici di circonferenza. L'enorme strumento ne aveva nove di
circonferenza e sedici di lunghezza. Severino lo riempie dunque d'acqua molto
calda e vuole infilarlo nel davanti. Terrorizzata da tale disegno, Justine si
getta ai suoi piedi implorando pietà; ma le condizioni del monaco sono quelle
tipiche dell'energia, quando non si sente pietà, quando le passioni, assai più
eloquenti, sostituiscono ad essa, soffocandola, una crudeltà spesso più
pericolosa. Severino la minaccia di tutta la sua collera, se non obbedisce.
Justine si presta tremando. La perfida macchina penetra per due terzi; e la
lacerazione causata insieme con l'estremo calore, quasi le toglie i sensi. Nel
frattempo, il superiore. mai smettendo d'inveire contro le parti malmenate, si
fa scrollare da una delle sue guardiane sulle natiche dell'altra. Dopo un
quarto d'ora di sfregamento, che Justine non riesce più a sopportare, lo
stantuffo scatta e fa sgorgare acqua bollente nella parte più profonda della matrice.
Justine sviene; Severino va in estasi; l'incula in questo stato di stupore; le
pizzica il seno per farla rinvenire; ella infine riapre gli occhi.
- Ma che cos'hai? le dice il monaco, non è niente;
trattiamo queste bellezze assai più duramente, qui, talvolta. Una insalata di
spine, perbacco! ben pepata, con molto aceto, infilata nel conno con la punta
di un coltello: ecco quel che ci vuole per ringagliardire certe bellezze. Alla
prima mancanza, ti condannerò a questo, dice lo scellerato scaricando a tale
idea nel bel culo della vittima ... Sì, sgualdrina! ti condannerò a questo, e
peggio ancora prima che siano scaduti due mesi.
E finalmente l'alba e Justine è congedata.
Ella trovò, rientrando, la nuova amica in lacrime.
Fece tutto il possibile per calmarla; ma non è facile prendere una decisione su
un cambiamento di situazione tanto spaventoso. Octavie possedeva un gran
patrimonio di virtù, di sensibilità e di sentimenti religiosi: le sue
condizioni le sembravano più terribili ancora. Contenta tuttavia di trovare
un'anima che rispondesse alla sua, si legò presto di grande amicizia con la
nostra orfana; tutte e due in tale alleanza trovarono forza per sopportare i
mali comuni.
Ma la triste Octavie non godette a lungo di tale
dolcezza. Avevano avuto ragione quando avevano detto a Justine che l'anzianità
non influiva sulle riforme; che, semplicemente dettate dal capriccio dei monaci
o dal timore di ulteriori ricerche, si poteva esserne vittima dopo otto giorni
come dopo vent'anni. Da solo due mesi Octavie era nel convento, allorché Iéròme
andò ad annunciarle che sarebbe stata riformata, sebbene fosse stato lui a
mostrarle predilezione ... sebbene avesse dormito con lei più assiduamente
degli altri, e persino alla vigilia della tremenda catastrofe. Ella non era
sola; una divina creatura di ventitré anni, nel convento da quando era nata,
una ragazza veramente al di sopra di ogni elogio, nella quale il carattere
dolce e amorevole si accompagnava meravigliosamente ad un aspetto romantico,
dono della natura, insomma un angelo, fu riformata nel medesimo giorno; e,
contro ogni loro abitudine, i monaci decisero che sarebbero state immolate
insieme. Si chiamava Mariette quella deliziosa creatura e si diceva che
Sylvestre ne fosse il padre. Grandi preparativi furono disposti per la
sanguinaria cerimonia; e, siccome la nostra eroina fu tanto sventurata da
trovarsi fra le invitate scelte quel giorno per la grandissima bellezza, ci
sarà perdonata la nostra insistenza sulle esecrabili sregolatezze di quei
mostri.
E facile immaginare che l'aver scelto Justine per
assistere alle orge era una raffinatezza della più spaventosa crudeltà. Era
conosciuta la grande sensibilità del suo carattere; era risaputo che era amica
di Octavie: cos'altro era necessario per desiderare
che partecipasse al festino? Avevano fatto lo stesso con Fleur-d'Epine, bella,
dolce, appena ventenne, la più cara amica di Mariette: era necessario che anche
lei fosse presente ai funerali. Tutti questi elementi sono utili alla
trattazione del cuore di quegli scellerati; ed è la ragione per la quale li
sveliamo.
Dieci altre donne, tutte scelte
fra i quindici e i venticinque anni e di somma bellezza; sei giovani pederasti,
ugualmente scelti fra i più delicati di aspetto, unicamente fra i tredici e i
quindici anni; sei fottitori dai venti ai venticinque anni, scelti secondo la
grossezza o la lunghezza del membro; tre governanti infine, dai trentacinque ai
quarant'anni per il servizio: questi i soggetti ammessi all'infernale
sacrificio che si stava preparando.
La cena, come sappiamo, si
svolgeva nel sotterraneo vicino a quello dove le vittime erano state rinchiuse.
La riunione era fissata all' ora del tramonto, ma era uso, in tali occasioni,
che ogni monaco si raccogliesse un' ora prima nella sua cella, con due ragazze
o due ragazzi, scelti fra gli invitati; e fu con Justine e un'altra ragazza
della sua classe, c:,:;: si chiamava Aurore, quasi bella quanto la
nostra eroina che Sylvestre, padre di una delle vittime, volle ritirarsi.
Ora descriveremo le cerimonie di
questo ritiro preliminare.
Il monaco, sprofondato in una
poltrona, le brache sbottonate e sovente nudo dalla cintura in giù, ascoltava
con condiscendenza una delle ragazze che doveva, le verghe in mano, avvicinarsi
a lui e tenergli all'incirca il seguente discorso, al quale egli rispondeva
come segue.
- Hai deciso, scellerato! di
perpetrare orrendi crimini, e vorrai anche macchiar ti di omicidio?
- Così spero.
- Cosa! mostro! nessun consiglio,
nessuna rimostranza, nessuna paura del cielo o degli uomini riusciranno ad
evitare tanto orrore!
- Né forza divina né umana
avranno la forza di fermarmi.
- Ma Dio che ti vede?
- Me la rido di Dio.
- E l'inferno che ti aspetta?
- Sfido l'inferno.
- Gli uomini che forse un giorno
smaschereranno le tue indegne azioni?
- Me la rido degli uomini e del
loro giudizio; penso solo al crimine, solo il crimine amo, respiro solo per il
crimine e solo il crimine ritma ogni attimo della mia vita.
Occorreva poi insistere sul
genere e sulla natura del delitto, nei suoi particolari e le sue circostanze,
dire perciò a Sylvestre, e fu compito di Justine:
- Cosa! sciagurato, non hai
pensato che è tua figlia, colei che immolerai: una leggiadra fanciulla, nata
dal tuo sangue!
- Che me ne importa: tali legami
sono una motivazione in più; vorrei che mi appartenesse maggiormente ... che
fosse più avvenente ... più graziosa, eccetera.
Allora le due donne afferravano
il gaudente; una lo faceva chinare su di lei, l'altra lo frustava
energicamente; e sempre flagellando, non smettevano di coprire il paziente
d'invettive e di rimproveri, insistendo sul tipo di crimine meditato dallo
scellerato. Quando era completamente coperto di sangue, si mettevano
rispettosamente l'una e poi l'altra in ginocchio davanti al suo bischero, e
cercavano d'issarlo succhiandolo. Allora il monaco le faceva spogliare, e si
abbandonava ad ogni sorta di licenziosità purché il corpo della ragazza non ne
rimanesse segnato, poiché doveva presentarsi intatta alla riunione.
Tutto quel che abbiamo detto fu puntualmente eseguito
da Sylvestre; e, esauriti tali preliminari, rovesciò, piegò, fece di Aurore e
Justine una sull'altra una palla, e le inconnò così brevemente, tutte e due. Le
picchiò sulle natiche, diede qualche schiaffo e ordinò che gli adorassero il
culo e lo stuzzicassero quale dimostrazione di rispettoso omaggio; e dopo aver
raggiunto intensa esaltazione pensando al piacere che quell'infanticidio gli
avrebbe procurato, scese nel sotterraneo, appoggiandosi all'una e all'altra
fanciulla che quella sera, così era uso, dovevano essere le sue due guardiane.
Erano già tutti laggiù, Sylvestre arrivò per ultimo.
Le due vittime, vestite di nero con in testa una corona di cipresso, erano una
accanto all'altra su un piedestallo alto quanto la tavola e ad uno dei capi. Octavie
si presentava mostrando la parte anteriore, Mariette la posteriore; i veli,
alzati sull'una e sull'altra parte, le offrivano completamente nude allo
sguardo. Le donne erano disposte su una linea, i due gruppi di uomini su altre
due, i monaci erano in mezzo e le governanti attorno alle vittime. Sylvestre,
incaricato del discorso, san su una tribuna di fronte al piedistallo, e così
disse:
- Se c'è qualcosa di sacro nella natura, amici, è
indubbiamente l'imprescrittibile diritto ch'essa riconosce all'uomo di disporre
del proprio simile. Uccidere è la suprema legge della natura, inspiegabile per
gli sciocchi ma che filosofi quali noi siamo sanno perfettamente analizzare;
grazie all' omicidio essa riacquista ogni giorno il diritto sottrattole dalla
moltiplicazione della specie; e, senza l'omicidio privato e pubblico, il mondo
sarebbe così popolato da risultare impossibile abitarlo. Ma, certo, se esiste
occasione di omicidio di altissimo godimento, amici miei, dobbiamo ammetterlo,
questa è indubbiamente offerta dalla circostanza in cui noi ora ci troviamo.
Cosa infatti esiste di più delizioso dello sbarazzarsi di una donna della quale
si è goduto a lungo? Quale divina maniera di render servigio ai propri gusti!
quale omaggio alla sazietà! Osservate questo culo, proseguì l'oratore
(indicando Mariette), questo culo che seppe rendersi utile ai nostri piaceri;
osservate questo conno (indicando Octavie) che, sebbene più giovane, non ha per
questo meno saziato i nostri bischeri! Non è forse giunta l'ora che oggetti tanto
odiosi ritornino in seno al nulla dal quale uscirono per la nostra sola
voluttà? O amici miei! che sommo piacere! fra alcune ore la terra coprirà
queste esecrabili carni; non saranno più fonte di nausea ai nostri lascivi
appetiti ... non ripugneranno più ai nostri occhi... Entro poche ore queste
miserabili saranno trapassate; ci resterà un'idea vaga della loro esistenza,
conserveremo il ricordo dei loro supplizi. L'una, Octavie, bella, dolce,
timida, virtuosa, onesta e sensibile, fu munita di corpo bellissimo ma era poco
compiacente; la sua fierezza naturale non l'abbandonò mai e certamente
ricordate che quasi non passava giorno che non foste costretti a farle subire
le correzioni previste dal regolamento per tutti i misfatti di cui si rendeva
continuamente colpevole. Ella non riuscì mai a nascondere profondo disgusto per
le vostre abitudini, avversione per i vostri santi costumi, odio per le vostre
venerabili persone, e fedele ai suoi spaventosi princìpi religiosi, l'avete
vista sovente invocare il suo Dio, persino nel momento in cui era al servizio
della vostra lubricità. Jéròme la teneva in un certo conto; lo so; Jéròme amava
il suo culo, lo festeggiava ogni giorno; e sebbene Jéròme non rizzi più,
sebbene la bocca sia diventata suo unico rifugio per colpa di tanta debolezza,
sapete anche che Jéròme, profondamente eccitato dalla suprema bellezza delle
natiche di questa fanciulla, l'ha sodomizzata più di venti volte. Tuttavia, è
su richiesta di Jéròme stesso che la condanna è stata pronunciata; e Jéròme è
tanto giusto che lo vedrete, ne son certo, mutarsi in uno dei più accaniti
carnefici di Octavie. Osservate, amici cari, guardate con quali occhi la
esamina: non vi rammenta il leone che brama l'agnello che cadrà sua preda?
Felici effetti della sazietàl si direbbe che ogni tensione dell'anima voi
stiate allentando mentre sgorgano le più dolci emozioni della lubricità!
Accanto alla bella Octavie, Mariette s'offre a voi; le natiche che vi mostra a
lungo hanno fatto ardere il vostro desiderio; a non una delle voluttà della
terra voi l'avete risparmiata. Mariette è bella e dolce. O natura! qui
permettimi di spandere qualche lacrima ...
E il furfante fingendole:
- Impossibile soffocare il tuo lamento, non si è padri
impunemente.
Ma ogni sentimento deve spegnersi su questo pulpito di
verità, e solo alla verità l'oratore deve inchinarsi. Quanti vizi si
accompagnarono alle virtù di Mariette! Era piena d'umori, bizzosa, ribelle alle
vostre idee e alle vostre abitudini; sempre alleata delle schizzinose del
serraglio, le preferiva a tutte le altre; cercava di conoscere, persino di
seguire, una religione della quale mai le avevamo parlato, e che conosceva
perché ne aveva sentito parlare dalle bigotte sue preferite. Mariette si
mostrava poco propensa a fare il suo dovere; si doveva sempre sollecitarla, e
mai faceva qualcosa prima. Poche fanciulle son state punite quanto Mariette; e
nonostante la preferenza che sovente voi tutti mi avete visto accordarle,
quante volte, sacrificando tutto alla giustizia, mi avete udito denunciarla al
vostro tribunale di correzione! lo, oggi chiedo la sua morte, che su mia
proposta avete accettato, e io stesso vi supplico ch'essa sia orrenda. Seguite
il piano che vi esporrò, e mai vittima sarà stata maggiormente tormentata.
Coraggio, amici miei, proseguì l'oratore con
entusiasmo; eccoci, grazie alla fermezza dei vostri caratteri, giunti
all'ultimo gradino della corruzione meditata; che niente ora ci trattenga, e
non dimentichiamo che sventurati sono nel crimine coloro che si fermano per via:
unicamente godendo nel crimine si giunge a scoprirne l'autentica bellezza.
Profondamente diverso dalle donne, che ci stancano man mano che si moltiplicano
le volte in cui si sono date a noi, il crimine, invece, ci rallegra più
intimamente quanto più ci sazia. E la spiegazione è semplice: occorre aver
raggiunto grande familiarità con esso per conoscerne fino in fondo l'incanto.
Solo quindi seguendolo si finisce per adorarlo. Il primo ripugna, è la storia
d'una mancanza d'abitudine; il secondo svaga; il terzo ubriaca; e se niente,
lungo tale felice cammino, si frappone ai focosi desideri dell'uomo, solo i
crimini ritmano ogni momento della sua esistenza. Dubitare che la felicità si
trovi più copiosa per l'uomo sulla terra nel crimine e non in altro è, certo,
dubitare che l'astro del giorno sia il primo mobile della vegetazione. Sì,
amici miei, come l'astro sublime è il rigeneratore dell'universo, così il
crimine è il centro dei fuochi morali che ci abbruciano. L'astro fa schiudere i
frutti della terra; il crimine fa germinare tutte le passioni nel cuore
dell'uomo, esso solo le infiamma e vivifica, esso solo è utile all'uomo. Eh!
che importa che il crimine rechi oltraggio a un altro uomo, se ci diletta
individualmente? E per il prossimo nostro che viviamo o per noi stessi? Una
domanda simile potrebbe essere posta ragionevolmente? Ora, se l'egoismo è la
massima legge della ragione e della natura, se, com'è indubbio, viviamo ed
esistiamo unicamente per noi, è nostro dovere considerare sacro solo e niente
altro ciò che ci fa piacere: tutto ciò che ne è lontano è falso, soggetto a
errore e fatto soltanto per essere disprezzato. Senti talvolta dire che il
crimine è dannoso all'uomo: vorrei che qualcuno mi fornisse una spiegazione. Mi
si dirà che lo è in quanto viola i diritti degli altri? Ma ogni qualvolta
rimane agli altri quello di vendicarsi, mi pare che sia ristabilita ogni
parità: da quel momento, il crimine non viola dunque nulla. E inaudito come i
sempiterni sofismi della stupidità riescano a distruggere il corredo di
felicità morale degli uomini! Oh! come sarebbero più felici, se tutti volessero
mettersi d'accordo per godere! Ma la virtù si fa avanti: essi sono ingannati
dal suo seducente aspetto esteriore; si lasciano fuorviare; ed ecco tutte le
basi della felicità distrutte. Bandiamo dunque la perfida virtù dalla nostra
felice società; odiamola come merita; che il più profondo disprezzo e le più
severe punizioni siano fra noi solo e sempre la giusta ricompensa a chi vorrà
aderire alle sue leggi. Quanto a me, rinnovo il mio giuramento di fuggirla ...
di odiarla tutta la vita. O miei felici confratelli! che i vostri cuori
rispondano al mio appello e che entro queste mura siano solo carnefici e
vittime!
Sylvestre, assai applaudito, scese dalla tribuna e lo
spettacolo ebbe inizio. Ciascuno andò in un angolo della sala, la cui forma
esagonale forniva di per sé una nicchia. Fasci di candele illuminavano quegli
angoli, in ciascuno dei quali era una vasta ottomana e un cassettone fornito di
tutto ciò che la più sregolata lussuria ... la più atroce rendeva necessario a
quegli scellerati. Due fanciulle, un gitone, un fottitore scortavano i monaci
nelle loro nicchie. Le governanti fecero scendere prima Octavie, poi Mariette e
le presentarono, incatenate e nude, a ciascun monaco nella sua nicchia.
La vittima, in questo primo giro, doveva ricevere un
sopruso di tal natura che supponendo sopravvivesse ad esso, ne sarebbe rimasta
segnata per tutta la vita. Ogni monaco doveva, nel frattempo, incidere sulle
spalle o sulle natiche della vittima il genere di supplizio al quale la
condannava.
Severino, inculato mentre sodomizzava un pederasta,
baciando culi a destra e a manca, ricordando una delle passioni raccontate da
Jérôme, strappò via un dente a Mariette e bruciò le mammelle a Octavie.
Ignoriamo quale fu la sua sentenza; anche quelle emesse dagli altri non ci sono
pervenute.
Clément ruppe un dito a Octavie e procurò una
profondissima ferita a Mariette nelle natiche; era succhiato e lui scrollava
bischeri.
Antonin spennò i due conni con il depilatorio turco,
conosciuto sotto il nome di rusma (53); fotteva
quello di Justine e leccava quello di Aurore mentre lo sodomizzavano.
Ambroise, che inculato restituiva a Fleur-d'Épine
succhiando un conno, spaccò i begli occhi di Mariette con uno spillo d'oro e
tagliò a Octavie il dito mignolo della mano destra. Eiaculò sperma e ciò lo
rese così furente verso Fleur-d'Epine da darle immediatamente trecento
frustate, sebbene non rizzasse più e si trattasse solo di vendetta.
Sylvestre ferì a strisce le natiche e le mammelle di
sua figlia e tagliò netto con i denti i capezzoli di Octavie; intanto si faceva
frustare e il suo gitone gli succhiava la bocca mentre una ragazza faceva
altrettanto con il bischero.
Jérôme, che due ragazze succhiavano a turno ed era
inculato a giro di reni, tagliò a Mariette l'orecchio destro e asportò, con la
stessa pinza, un grosso pezzo di carne dal bel culo di Octavie.
Fatto questo giro, fu deliberato sul seguente punto:
Le vittime sarebbero state sacrificate pezzo per
pezzo? sarebbero state esposte alla furia dei monaci? oppure uno solo sarebbe
stato il carnefice, mentre gli altri avrebbero assistito? Prima di pronunciarsi
furono lette le sei proposte di supplizio: essendo molti quelli propensi a che
fossero imposti da ciascun monaco, fu deciso di continuare i giri; ma Sylvestre
fece due richieste, che furono unanimemente accettate; la prima, che le vittime
fossero, prima di procedere, esposte un'ora al divertimento particolare di
ciascun monaco e che i tormenti cominciassero solo dopo; la seconda, che solo
lui desse il colpo di grazia a sua figlia. Prese tali decisioni, fu messo un
canapè al centro del sotterraneo; i sei gitoni e le dodici ragazze lo
circondarono, formando gruppi sommamente lascivi e sommamente libertini. I
fottitori dovevano seguire i monaci e incularli mentre operavano.
Severino fotté i due culi, lasciando su ciascuno le
inequivocabili tracce della sua barbarie.
Clément non fotté, ma bastonò crudelmente le due
vittime; le lasciò con le ossa rotte.
Antonin fotté i due conni; poi sicuro, disse, di aver
determinato un
feto, infilò un lungo spillo in
ciascuna vagina, così bene ... così profondamente che mai fu ritrovato.
Ambroise inculò le due vittime e
ne premette talmente i seni da farle svenire.
Sylvestre fotté i due conni,
facendo sul ventre, sul seno e sulle natiche delle due creature più di venti
incisioni a croce, con la punta di un temperino. Il furfante scaricò mentre ne
faceva una di tre pollici sulla guancia destra di sua figlia.
Jérôme le frustò entrambe con una sferza dalla punta
in acciaio. che le fece sanguinare e strappò loro interi pezzi di carne del
culo; fotté quindi le due bocche.
I giri ripresero; e i monaci si ritirarono ognuno nel
suo angolo. con delle ragazze o dei ragazzi, o con gli uni e con le altre,
secondo il capriccio dominante in quel momento.
Justine era con Ambroise. Lo scellerato ebbe la
crudeltà di esigere la sua presenza al supplizio imposto sul corpo di Octavie,
la prediletta di Justine! e poiché rifiutò, fu denunciata all'assemblea, che si
riunì immediatamente per emettere sentenza di punizione corrispondente a un
errore così grave. Il codice fu aperto: Justine rientrava nel caso previsto
dall'articolo settimo. Ma, siccome si trattava solo di quattrocento frustate,
tre membri furono del parere di sottoporla al castigo previsto dall'articolo
dodicesimo; tre altri si opposero. non perché lo considerassero troppo crudele,
ma perché infliggerlo avrebbe interrotto troppo a lungo la riunione. Justine fu
dunque semplicemente condannata a duecento frustate per ogni monaco,
immediatamente inflitte e con quella energia comunemente impiegata quando si
rizza, come era proprio di quei messeri.
Fleur-d'Epine, che serviva Sylvestre, si macchiò del
medesimo genere di delitto: il barbaro padre di Mariette volle costringere
l'amica della figlia a bruciarle le mammelle con un ferro rovente.
Fleur-d'Epine fece resistenza; Sylvestre furente ... Sylvestre che rizzava come
un asino ed esalava sperma da tutti i pori, s'incaricò personalmente della
punizione, e servendosi di un grosso randello, tanto crudelmente si accanì da
costringere gli altri a portar via la disgraziata quasi morta. Ciò era contro
il regolamento: Severino chiese conto a Sylvestre del suo
comportamento. Le punizioni dovevano essere imposte dall'assemblea ed eseguite
da tutti, ma, se dimostravate che stavate rizzando e che l'insulto era troppo
grave per essere tollerato. eravate immediatamente assolto. E facile immaginare
che Sylvestre ricorse CI tale appiglio.
Un'altra ragazza fu fatta venire,
e nessuno pensò più a un incidente che avrebbe potuto costare la vita
all'infelice. Tuttavia i maltrattamenti si prolungarono e raddoppiarono al
punto che se non fossero stati interrotti per andare a tavola, mai le vittime
sarebbero riuscite ad arrivare al termine prescritto alle orge di tale specie.
Furono affidate alle governanti che le lavarono, rinfrescarono, medicarono e le
rimisero sul piedistallo, sul quale rimasero nude durante tutta la cena,
esposte a tutti gli insulti che fossero piaciuti ai monaci.
E facile supporre che in simili festini, la lussuria,
la lubricità. gli orrori erano sempre spinti al massimo. A questo, i monaci non
vollero mangiare se non sul culo delle ragazze; un'altra, ai loro piedi,
succhiava loro ora il bischero ora i testicoli; ed era nel culo dei ragazzini
ch' erano infilate le candele; i tovaglioli erano stati usati quindici giorni
per ripulire culi; e quattro grandi ciotole di merda erano poste ai quattro
angoli. Le tre governanti, nude, servivano i monaci versando vini nei quali si
erano lavate prime le natiche, il conno, le ascelle, la bocca e il buco del
culo. Ogni monaco aveva, indipendentemente da ciò, accanto a sé un piccolo arco
con numerose frecce, con il quale si divertiva, ogni tanto, a trafiggere il
corpo delle vittime; ciò produceva immediatamente una piccola fontana di
sangue, il cui zampillo bagnava i piatti.
Il banchetto poi era squisito: profusione, abbondanza,
delicatezza, vi dominavano; i vini più rari erano serviti fino ai piatti di
mezzo; dopo, sulla tavola, si videro solo liquori assai forti, e le teste
cominciarono a girare.
- Non conosco niente, disse Ambroise balbettando, che
si amalgami meglio come il piacere del bere, del mangiare, della lussuria e
della crudeltà: è inaudito quel che si fa, quel che s'inventa quando si ha la
testa che gira; e le forze donate da Bacco alla dea della lubricità vanno
sempre a profitto di quest'ultima.
- E vero, disse Antonin, mai vorrei fare del
Iibertinaggio se non completamente ubriaco; solo così mi trovo veramente in
forma.
- Le nostre sgualdrine, disse Severino, non sono dello
stesso avviso, perché le maltrattiamo troppo quando siamo elettrizzati dal vino
o dai liquori.
In quel momento si udì un grido spaventoso, partito
dai piedi di Severino. Il mostro, senza alcun motivo, senza alcuna ragione
all'infuori di quella di fare del male, aveva affondato il coltello nella
mammella sinistra di una ragazza di diciotto anni, bella come Venere, e lo
stava succhiando. Il sangue colava copioso; la sventurata svenne. Severino, per
quanto fosse il superiore, fu interrogato sulla causa di tanta crudeltà.
- Mi ha morso succhiandomi, rispose; la vendetta mi ha
fatto agire.
- Oh! porcomondo, disse Clément, delitto orrendo;
chiedo che la
puttana sia punita conformemente all'articolo quindici
del codice, che impone di appendere per i piedi, per la durata di un'ora, la
ragazza che manca di rispetto ai monaci.
- Sì, disse Jéròme: ma nel corso normale della vita:
quando si è addetti al servizio libidinoso, la pena è più grave; si tratta di
due mesi di prigione almeno, a pane ed acqua, con fustigazione due volte al
giorno; chiedo che il regolamento venga applicato.
- A mio vedere, disse Sylvestre, il caso non è
chiaramente previsto dalla legge; e chiedo una severa punizione non ancora
prevista. Voglio che la delinquente sia punita da tutti, e pertanto stia un
quarto d'ora con ciascun membro in una delle segrete più buie di questo
sotterraneo, con ingiunzione ad ognuno di maltrattarla al massimo, in modo che
sia costretta a stare un anno a letto: Severino passerà per ultimo.
Riprende lo scambio di idee. La vittima, il cui sangue
nessuno pensa di arrestare, è già in tali condizioni da dover essere portata a
braccia nel luogo designato. Tutti quegli scellerati vi vanno uno dopo l'altro;
e dopo orrende cose è fatta salire nel suo letto, dove muore il giorno
appresso.
Non appena i sei energumeni si ritrovano insieme dopo
l'infernale
spedizione, le governanti annunciarono di aver bisogno
di cacare. - Nei piatti, nei piatti! disse Clément.
- In bocca, disse Sylvestre.
Prevalse la sua proposta; ed ecco i nostri monaci
incappucciarsi con una vecchia salita sulla tavola, posata sulla faccia e che
li inonda di peti, di loffe e di merda.
- Servirsi di queste befane, disse Jéròme, quando
abbiamo ai nostri ordini giovani e graziosi oggetti, ebbene, secondo me, è la
prova più convincente della nostra spaventosa depravazione.
- Eh! chi dubita, disse Severino, che la vecchiaia, la
sporcizia, la bruttezza, sovente non procurino piacere maggiore della
freschezza e della bellezza? I miasmi emanati da certi corpi posseggono un
acido più eccitante: non lo sapete che c'è molta gente che preferisce la
selvaggina infrollita alla carne fresca?
- Anch'io sono di questo parere, disse Sylvestre,
lanciando contro sua figlia una freccia che la colpì alla mammella destra
facendo sgorgare sangue: più l'oggetto è brutto, vecchio, schifoso e più mi fa
rizzare, e ve lo dimostrerò, continuò impadronendosi del vecchio Iéròme e
infilandogli il bischero nel culo.
- Lusingatissimo della dimostrazione, disse Jéròme:
fotti, caro, fotti! Pur di avere il piacere di sentire un bischero nel culo san
pronto a pagarlo al prezzo di qualsiasi bassezza e umiliazione.
E l'infame, voltandosi agilmente per dar linguate al
suo caro fottitore, gli scaricò sul naso una bordata di vino, lanciata per la
compressione cui era sottoposto il suo stomaco ... eiaculazione terribile per
cui anche Sylvestre, respinto dalla bufera, innaffiò, con la stessa pioggia, la
faccia di Clément che gli era accanto ma che, più saldo o più immerso nella
poltiglia, non abbandonò la composta che stava mangiando e nella quale tuttavia
era finita la salsa. .
- Guardate quanto è costante! disse Ambroise che si
trovava dall'altra parte; scommetto che gli cacherò in bocca senza che lui
manco si scomponga.
- Caca, disse Clément.
Ambroise esegue; Clément inghiotte; e la cena finisce.
Per prima cosa decisero di frustare tutti i giovani
sulle natiche e tutte le giovani sulle mammelle, intrecciandoli con precisione.
Chi avrebbe frustato i giovani sarebbe rimasto a terra; chi avrebbe colpito i
seni sarebbe salito sulle poltrone, contro le quali le ragazze avrebbero
appoggiato la schiena.
- Perfetto! disse Antonin, ma i Ganimedi dovranno
cacare mentre li frusteremo, e le ragazze pisciare durante la medesima
operazione, e questo pena severi castighi.
- Ben detto, esclamò Jéròme, talmente ubriaco da
riuscire appena ad alzarsi da tavola.
Fu tutto predisposto. È inimmaginabile la barbarie con
la quale gli scellerati frustavano, laceravano spietatamente e i più graziosi
culi di questo mondo e i seni rosa e d'alabastro offerti alla loro brutalità. A
questo punto Severino, che rizzava sodo, fu tentato da un bel gitane di tredici
anni, che aveva le natiche grondanti di sangue. Lo afferra, passa con lui in un
salottino e lo riporta, dopo un quarto d'ora, in uno stato tale da dar la
certezza alla compagnia che il superiore, secondo le sue abitudini con i
ragazzi, aveva usato accessori così crudeli che neppure il giovane forse
avrebbe rivelato. Jéròme, seguendo l'esempio del superiore, aveva circoscritto
i suoi piaceri: aveva trascinato Aurore ed un'altra ragazza di diciassette
anni, assai avvenente, e le aveva sottoposte, l'una e l'altra, ad umiliazioni
tanto esasperanti, ad atti di ferocia tanto mostruosi da dover anche loro
essere riportate in camera.
Tutti gli occhi si volsero allora verso le due vittime
... Ci sia concesso di stendere un velo sulle orrende cose che posero termine
all' esecrabile orgia: la nostra penna sarebbe insufficiente e i nostri lettori
troppo compassionevoli per udirle con indifferenza. Sappiano solo che i
supplizi durarono sei ore, durante le quali tutto ciò che la crudeltà può
immaginare di più feroce fu usato e mischiato a fatti lascivi di natura tanto
mostruosa che mai Neroni e Tiberi seppero inventare.
Sylvestre si fece notare per il suo inconcepibile
accanimento nel tormentare la propria figlia... bella, sensibile e affascinante
creatura che lo scellerato, come aveva desiderato, ebbe la spaventosa
soddisfazione di far spirare. Ed ecco l'uomo, quando la passione lo accieca!
eccolo, quando ricchezza, credito o posizione lo mettono al di sopra delle
leggi! Justine, sfinita, fu tanto fortunata da non dover dormire con nessuno.
Si ritirò nella sua cella, versando lacrime amare sull'orrendo destino
dell'amica più cara, e da quel momento non pensò che a evadere. Assolutamente
decisa a tutto pur di fuggire da quello spaventoso covo, niente e nessuno
temeva. Cosa temeva se ci riusciva? la morte; di cosa essere più sicura se
rimaneva? della morte; ma se riusciva, era salva: perché dunque esitare? Ma era
necessario che i funesti esempi del vizio ricompensato si ripetessero ancora.
Era scritto nel gran libro del destino, su questo libro oscuro che nessuno sa
decifrare era scolpito che tutti coloro che l'avevano torturata, umiliata,
incatenata, ricevessero continuamente in sua presenza il premio dei loro
misfatti... come se la Provvidenza si fosse incaricata di dimostrarle i
pericoli o l'inutilità della virtù ... Funesta lezione che tuttavia non la
corresse e che, se fosse riuscita a schivare la spada sospesa sul suo capo, non
le avrebbe impedito, diceva, di essere sempre la schiava di tale divinità del
suo cuore.
Una mattina, senza che nessuno se lo aspettasse,
Antonin entra nel serraglio e annuncia che Severino, parente e protetto del
Papa, è stato nominato da Sua Santità generale dell'ordine dei Benedettini. Il
giorno seguente il religioso effettivamente partì senza salutare nessuno. Ma
era atteso, così correva voce, un altro, altrettanto feroce e dissoluto. Altro
motivo per Justine di affrettarsi ad eseguire il suo progetto.
Il giorno seguente alla partenza di Severino, i monaci
fecero un'altra riforma. Justine scelse quel momento per eseguire il suo piano,
poiché essi, più occupati, le avrebbero badato meno.
Era l'inizio della primavera; le notti erano ancora
lunghe e favorevoli ai suoi movimenti; da due mesi ella si preparava con
estrema cura. Aveva a poco a poco limato le inferriate del suo salotto con un
coltello mal affilato che le era capitato di trovare; già vi passava con la
testa; con le lenzuola aveva fatto una corda più che sufficiente per superare
l'altezza dei muri. Quando le avevano preso i suoi effetti, aveva avuto cura, e
ci par di ricordare che l'abbiamo detto, di trattenere i pochi denari che
possedeva; li aveva sempre tenuti accuratamente nascosti; andando via li rimise
fra i capelli; e, non appena le parve che le compagne dormissero, andò nel
salotto. Là, scoprendo il buco che ogni giorno si era affrettata a tappare,
legò la corda ad una sbarra rimasta intatta e lasciandosi calare presto toccò
terra. Non era stato difficile fino a quel momento, ma sua preoccupazione erano
le sei cinte di rovi di cui Omphale le aveva parlato.
Arrivata in basso, si avvide che lo spazio o sentiero
circolare fra una siepe e l'altra non era più largo di sei piedi; ed era tale
vicinanza che faceva credere, alla prima occhiata, che tutto ciò che si trovava
in quella parte non fosse altro che una macchia boscosa. La notte era molto
buia. Seguendo il primo viale circolare, arrivò alla finestra del grande
sotterraneo in cui si svolgevano le orge funebri. E vedendola molto illuminata
ebbe tanto coraggio da avvicinarsi; e là udì assai distintamente Jéròme dire
all'assemblea:
- Sì, amici, lo ripeto, ora Justine deve essere la
prima; non c'è dubbio; spero che nessuno si opponga alla mia proposta.
- Nessuno, non c'è dubbio, rispose Antonin; amica di
Severino, l'ho aiutata, protetta fino ad ora, perché piaceva a quel leale
compagno delle nostre dissolutezze: venute meno queste ragioni, mi faccio
avanti per primo e chiedo che la proposta passi.
Il voto fu all'unanimità: alcuni furono persino del
parere di mandarla a cercare immediatamente; ma, dopo approfondita riflessione,
decisero di rinviare di quindici giorni.
O Justine! come si contrasse l'anima tua quando udisti
pronunciare la tua condanna! Sventurata fanciulla! poco mancò che ti venissero
meno le forze di continuare il cammino ...
Facendo appello a tutta la sua energia, ella si
affretta e continua a girare fino a trovarsi all'estremo capo del sotterraneo.
Non trovando alcuna breccia, si decise di aprirne una. Aveva conservato lo
scalpello, di cui abbiamo parlato; aiutandosi con tale arma, lavora; si ferisce
le mani, nulla la ferma. La siepe era spessa più di due piedi; la socchiude: ed
eccola nel secondo viale. Quale non è il suo stupore nel sentire sotto i piedi
la terra molle e cedevole nella quale affonda fino alla caviglia! Più avanza e
più il buio aumenta. Curiosa di conoscere la causa di tale cambiamento, tasta:
giusto cielo! è la testa di un cadavere ch'ella afferra!
- Gran Dio! esclama spaventata, è
certamente, me lo avevano detto, il cimitero nel quale quei carnefici gettano
le loro vittime: si curano appena di coprirli con una manciata di terra. Forse
questo cranio è della mia cara Omphale o forse quello della sventurata Octavie,
così bella ... così dolce, così buona, che ha vissuto sulla terra come le rose,
delle quali la sua bellezza era l'immagine. lo stessa, ahimè! fra quindici
giorni, mi sarei trovata qui: inutile dubitarlo, ho udito bene ... Che ci
guadagnerei ad andare a cercare nuove sventure? Non ho già commesso troppo
male?.. non sono già diventata motivo di troppi crimini? Ah! che il mio destino
si compia ... Asilo delle mie amiche, apriti per ricevermi! Solo quando si è
miseri, poveri, abbandonati come me ci si affanna tanto per continuare a
vegetare fra i mostri! Ma no, devo vendicare la virtù prigioniera: questo si
attende dal mio coraggio; non lasciamoci abbattere, continuiamo. E essenziale
che l'universo sia liberato da scellerati tanto pericolosi come quelli. Perché
aver paura di rovinare sei uomini per salvare migliaia d'individui che la loro
ferocia sacrifica?
Fa un foro nella siepe; questa è
più spessa dell'altra; più procede e più sono folte. Tuttavia riesce ad aprire
la breccia; al di là il terreno è duro; e la nostra eroina raggiunge il
fossato, ma non ha ancora trovato il muro di cui le aveva parlato Omphale.
Certamente non c'era: probabilmente i monaci affermavano che esisteva per
impaurirle maggiormente.
Non più chiusa dalla sestupla
recinzione, Justine distingue meglio le cose. La chiesa e il monastero che si
trova a ridosso, appaiono; il fossato è lungo l'una e l'altro. Si guarda bene
dall'attraversarlo da quella parte; ne percorre i bordi; .e trovandosi di
fronte una delle strade del bosco, decide di attraversarlo in quel punto, e di
gettarsi lungo quella strada, dopo aver risalito la scarpata. Il fossato era
molto profondo, ma asciutto; siccome era rivestito di mattoni, era impossibile
lasciarsi scivolare: si getta giù. Un po' stordita per la caduta, così rimane
alcuni attimi prima di alzarsi; finalmente si mette in piedi, prosegue e
raggiunge l'altro bordo senza incontrare ostacoli: ma come superarlo? A forza
di cercare un punto favorevole, ne scopre uno con i mattoni corrosi che le
permettono facilmente di servirsi degli altri come gradini e anche d'infilare,
per sostenersi, la punta del piede nella terra. Si trova ormai quasi in cima,
ma, rotolando tutto sotto di lei, ricade nel fossato, coperta dai detriti
trascinati nella caduta: si crede ormai spacciata. Questa caduta, fatta
involontariamente, era stata più violenta dell'altra; i materiali precipitati
l'avevano persino ferita in alcuni punti: l'avevano esattamente fracassata.
- Mio Dio! disse disperata, non
procediamo, fermiamoci; quel che mi capita è un avvertimento del cielo ... non
vuole che continui. Le mie convinzioni m'ingannano: il male è utile a questo
mondo; e, quando Dio lo desidera, abbiamo indubbiamente torto ad opporci.
Ma la saggia e virtuosa Justine,
subito ribelle a un sistema frutto della corruzione di cui è stata circondata,
si libera coraggiosamente dei detriti che la coprono; e più facilmente risalendo
la breccia, grazie ai nuovi buchi formatisi, tenta un'altra volta e in un
attimo si trova in cima. Tutto ciò l'ha allontanata dalla strada prima
intravista; ma avendola individuata con lo sguardo, la raggiunge e fugge a gran
passi. Prima che il giorno tramonti, si trova fuori del bosco, e tosto su
quella collinetta dalla quale aveva scorto un giorno l'indegna dimora dalla
quale ora fuggiva felice. Si riposa, madida di sudore; e sua prima cura è
gettarsi in ginocchio per rivolgere a Dio il suo ringraziamento, per chiedergli
nuovamente perdono degli errori involontari commessi nell'odioso ricettacolo
del crimine e dell'infamia. Lacrime amare colano dai suoi begli occhi: «Ahimè,
dice, ero assai meno colpevole, l'anno scorso, quando percorrevo questa strada,
guidata da un pio principio, così funestamente ingannato. Mio Dio! con che
occhi posso oggi guardarmi?».
Un po' lenite tali funeste riflessioni dalla gioia di
vedersi libera, si dirige verso Digione, illudendosi che in quella città le sue
lagnanze sarebbero state utilmente e giustamente accolte.