Il Sigillo di Rudra

 

 

 

 

Con la sola esclusione della vicenda narrata, tutti gli eventi storici e le fonti documentarie citati in questo racconto sono rigorosamente autentici

(N.d.A.)

 

 

 

 

Marjorie Lane, receptionist presso la direzione della ABX Corporation, stava cominciando a entrare in agitazione. L'uomo vestito di scuro era in sala d'attesa da dodici ore, il che poteva non essere insolito di per sé. Il suo nuovo capo lavorava dalle otto di mattina alle otto di sera, e pretendeva la stessa cosa dal suo staff. Lei aveva dovuto adattarsi o essere licenziata. Ma in tutto quel tempo l'uomo non aveva preso nessuna delle riviste a disposizione, né aveva usato un telefono cellulare o un computer portatile. Non aveva fatto niente di tutto ciò che, normalmente, facevano tutte le persone in attesa di essere ricevute da Kenneth Booth, chief executive officer della compagnia.

In effetti, sembrava essere rimasto assolutamente immobile per tutto il tempo. Gli occhi, con l'iride di una tonalità marrone quasi nera come la pupilla, intensi e impenetrabili, sembravano fissare qualcosa fuori dalla parete a vetri della sala d'attesa, oltre il centro di Seattle, verso il lampo azzurro della sua baia.

Marjorie era rimasta un fattore costante nella compagnia, malgrado la lunga serie di recenti cambiamenti. Per cominciare, la società si era disfatta del suo vecchio nome, Yellow Creek Basin Exploratory Company, passando alla nuova sigla e al nuovo logo. Poi aveva cominciato ad acquisire nuove attività, diverse, dall' esplorazione petrolifera: fonti di energia, fibre ottiche, banda larga (qualsiasi cosa fosse) e un milione di altre cose che Marjorie non capiva e, come aveva constatato chiedendo in giro, non capivano nemmeno gli altri. Il signor Booth era un uomo molto impegnato, ma anche quando non lo era preferiva lasciare la gente ad aspettare, come aveva fatto di recente con i direttori di un fondo mutualistico.

La receptionist sentiva la mancanza dei vecchi tempi, quando ancora capiva di che cosa si occupasse la compagnia, quando la gente non era costretta ad aspettare. Per lei era una situazione spiacevole: c'era chi si lamentava, chi parlava ad alta voce al cellulare, chi digitava rumorosamente sul computer portatile e chi passeggiava avanti e indietro come una belva in gabbia. A volte qualcuno usava anche un linguaggio sconveniente, e lei era costretta a chiamate gli agenti della sicurezza.

Ma questo... questo era peggio. Quell'uomo le faceva venire i brividi. La receptionist non aveva la minima idea di quando il signor Booth lo avrebbe ricevuto, e se in effetti lo avrebbe ricevuto.

Marjorie Lane cercava di dedicarsi al lavoro: rispondeva al telefono, batteva a macchina, scaricava la posta elettronica, ma con la coda dell'occhio continuava a vedere la figura vestita di scuro immobile come una statua. Sembrava quasi che non battesse nemmeno le palpebre. Quando non ne poté veramente più, fece qualcosa che non era autorizzata a fare: chiamò la segretaria personale del signor Booth.

"Kathy", disse sottovoce, "C'è questa persona qui da stamattina e credo proprio che il signor Booth dovrebbe riceverlo."

"Il signor Booth ha molto da fare."

"Lo so, Kathy, ma penso proprio che dovrebbe vederlo. Ho una brutta sensazione. Fammi questo favore, ti prego."

"Solo un momento."

Marjorie fu messa in attesa. Poco dopo la segretaria disse: "Il signor Booth gli può concedere cinque minuti" •

La receptionist riappese il ricevitore. "Signore?" Gli occhi nerissimi incrociarono lo sguardo della donna. "Il signor Booth può riceverla adesso."

Il monaco, con la caratteristica kasaya, la lunga banda di stoffa rosso scuro drappeggiata obliquamente sopra la spalla sinistra, si alzò, fece un lieve inchino e, senza dire una pa­rola, varcò la soglia dell'ufficio.

Marjorie tirò un sospiro di sollievo.

 

 

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Kenneth Booth aveva l'abitudine di lavorare in piedi, al tavolo da disegno. Si accorse in ritardo che il visitatore era entrato e si era accomodato. Il manager completò un memo sul suo computer portatile, lo trasmise alla segretaria e si rivolse al visitatore.

Fu una sorpresa assoluta. Un monaco buddhista? Nel suo ufficio?

E non gli piaceva l'atteggiamento che aveva assunto: si era messo comodo sulla sua poltrona Knoll di cuoio nero e acciaio cromato del costo di 5000 dollari e guardava attentamente intorno a sé, come se stesse spogliando l'ufficio con gli occhi. "Signor… ehm?"

Quello non sembrò fargli caso. Continuò a passare al setaccio ciò che gli stava intorno. Chi pensava di essere, per comportarsi in quel modo di fronte al top manager dell' ABX, la diciassettesima compagnia nella classifica delle maggiori società quotate alla Borsa di New York?

"Le ho dato cinque minuti e uno è già trascorso", segnalò Booth con voce calma.

Tornò al tavolo da disegno e cominciò a battere al computer un altro memo. Si aspettava di sentirlo parlare, ma il monaco non apriva bocca. Booth completò il documento e guardò l'orologio. Restavano tre minuti. La situazione era imbarazzante: un uomo comodamente seduto nel suo ufficio, che sembrava studiare i pannelli della parete. In effetti, fissava proprio la parete di fondo dell'ufficio. Che cosa diavolo stava guardando?

"Le restano due minuti", disse il manager a voce bassa.

L'uomo fece un cenno con la mano e, finalmente, parlò, in un inglese perfetto.

"Non faccia caso a me. Quando ha finito e mi può dedicare la sua completa attenzione, parleremo."

Il chief executive officer lo guardò di sottecchi. "Meglio che dica quello che ha da dire, perché ora le rimane esattamente un minuto."

L'uomo con la kasaya fece un sorriso. Ma era un sorriso condiscendente, come quello di un adulto che asseconda un bambino scontroso. "Bene. Le dirò la ragione per cui sono qui".

 

 

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Booth pensò di non aver sentito bene.

"Il vostro monastero vuole acquistare un supercomputer IBM…"

"Con la nuova architettura Blue Gene/P, nella versione con 221.000 processori PowerPC 450 QuadCore, capace di raggiungere la potenza teorica di 3 petaflops, ovvero tre miliardi di miliardi di operazioni in virgola mobile al secondo. Esatto."

I supercomputer IBM di classe Blue Gene/P erano stati valutati come i supercomputer più potenti esistenti al momento - nell'anno 2008 - sulla faccia della Terra. Uno era installato presso il Jülich Research Center, in Germania. Un altro presso l'Argonne National Laboratory di Lemont, in Illinois. Il loro costo si aggirava sui 150 milioni di dollari, e la sola spesa per l'energia elettrica necessaria al funzionamento di uno di loro era di nove milioni di dollari l'anno. Il cablaggio dei processori impiegava 75 miglia di cavi.

Esistevano solo altri due supercomputer al mondo capaci di infrangere la barriera dei 1000 teraflop (un miliardo di miliardi di operazioni in virgola mobile al secondo). Uno era ai Lawrence Livermore Laboratories del Dipartimento dell'Energia USA, situato in California. Un altro apparteneva alla Mitsubishi, e non erano disponibili per utenti privati

"E questo supercomputer vi servirebbe…?"

"Per effettuare un esorcismo"

Booth rimase con la matita a mezz'aria. Si impose, seppure con fatica, di mantenere la calma. Aveva imparato da tempo che una voce tranquilla poteva suonare molto minacciosa. Parlò in tono appena udibile.

"Ho solo una curiosità, prima di farla buttare fuori e interrompere questa farsa. Per quale ragione è venuto da noi anziché rivolgersi al produttore?”

"Io agisco per conto del monastero di Tovkhon, nella Mongolia centrale. Ci sono noiosi intralci burocratici per un acquirente come noi. Gli USA hanno una legislazione molto restrittiva per quanto riguarda l'esportazione di materiale che interessa la sicurezza nazionale. Se invece lo acquistasse la ABX non ci sarebbero problemi. Voi avete già un supercomputer Cray XT3 basato su processori AMD Opteron, che utilizzate per la simulazione di impatto ambientale dell'attività estrattiva e per l'elaborazione dei dati di prospezione. Il Governo penserà semplicemente che abbiate deciso di acquistare una macchina più potente. Il computer sarebbe installato presso la vostra sede di Seattle. Solo le apparecchiature per il collegamento satellitare iperveloce e le console, che non hanno componenti di grosse dimensioni e possono viaggiare senza dare dell'occhio, dovranno essere spedite ad Ulan Bator e successivamente trasferite da noi".

Il monaco estrasse dalla veste un telefonino di ultimissima generazione, digitò un numero, attese qualche secondo poi fece vedere a Booth la cifra sul display.

"Questo è l'ammontare del nostro conto presso la ICBC, Industrial and Commercial Bank of China, la terza banca dell'Asia per grandezza. Ci sono anche i codici perché il vostro accountant manager possa effettuare tutti i controlli del caso. Le chiediamo una collaborazione volontaria. Lei non ha chiaramente nessun vincolo legale o contrattuale nei nostri confronti".

Il monaco non aveva altro: nessuna carta da giocare, nessuna freccia al suo arco, e lo ammetteva apertamente. Era uno scherzo. Oppure un trucco. C'era qualcosa in quella faccenda che metteva a disagio Kenneth Booth, il quale fece un sorriso gelido.

"Spiacente di non poterla accontentare. Se non c'è altro, le auguro un buon pomeriggio."

Tornò al suo computer, ma la figura vestita di scuro non sembrava intenzionata a muoversi.

Booth parlò senza alzare lo sguardo. "Fra trenta secondi lei diventerà un intruso in quest'ufficio. A quel punto chiamerò gli uomini della sicurezza. "

Fece una pausa, attese dieci secondi, quindi premette il pulsante dell'intercom per parlare con la segretaria.

"Kathy, chiami una squadra della sicurezza per accompagnare immediatamente il nostro ospite alla porta."

Riprese il lavoro, battendo un memo destinato al vicepresidente del settore finanza della compagnia. Ma non poteva fare a meno di notare che il figlio di puttana era rimasto seduto sulla sedia, tamburellando su un bracciolo. Con la stessa aria distratta che avrebbe avuto nella sala d'attesa di ambulatorio. Bastardo insolente.

L'intercom ronzò. "La sicurezza è qui, signore."

Prima che potesse rispondere, il suo ospite si alzò dalla poltrona e con naturale eleganza si accostò al tavolo da disegno. Booth si voltò, ma la protesta gli morì in gola di fronte all'espressione seria sul volto dell'altro.

Il monaco gli si avvicinò all'orecchio e mormorò un numero: "2300576700".

Booth rimase stupefatto per un istante. Quel numero gli era familiare. Quando si rese conto a che cosa si riferisse, gli si rizzarono i capelli. Era il numero del suo conto segreto presso una banca delle Isole Cayman.

Si sentì bussare alla porta e tre uomini della sicurezza entrarono in ufficio, tutti con una mano sul calcio della pistola. "Signore, è questo l'uomo?"

Il manager li guardò, la mente annebbiata dal panico.

Il monaco sorrise e fece un cenno per tranquillizzare gli uomini della sicurezza. "Il signor Booth non ha più bisogno del vostro aiuto e si scusa per il disturbo."

I tre guardarono il chief executive officer, che dopo qualche secondo annui, rigido. "Esatto. Non ho bisogno di voi."

"Sareste cosi gentili da chiudere la porta, uscendo?" aggiunse l'altro," e dire alla segretaria di non far entrare nessuno e non passare chiamate per i prossimi dieci minuti? Abbiamo bisogno di un po' di privacy."

I tre guardarono di nuovo il loro capo.

"Sì", confermò lui. "Abbiamo bisogno di un po' di privacy."

Le guardie si ritirarono, la porta si richiuse con uno scatto e nell'ufficio tornò il silenzio.

"E adesso, signor Booth" disse l'ospite, "vogliamo tornare a parlare del supercomputer?"

 

 

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Dopo un quarto d'ora, durante il quale il monaco aveva parlato e Kenneth Booth aveva ascoltato, il visitatore concluse la conversazione.

"Ora, se non le dispiace", disse aggiustando una invisibile piega della veste, "vorrei incontrare il capo del suo team di georilevazione".

Booth annuì, annichilito. Quando il monaco stava per lasciare la stanza, tentò l'ultima carta.

"In un posto così sperduto, non avrete un generatore elettrico per far funzionare le apparecchiature"

"Oh, sì, ce l'abbiamo. Nel villaggio appena a valle. Quattro elettrogeneratori diesel Volvo V600UC2 ciascuno da 600 kilowatt."

"Ah" fece deluso Booth. "Già. Immagino che li utilizziate per l'illuminazione e il riscaldamento del monastero e per il villaggio."

"Assolutamente no" rispose il monaco senza voltarsi. "Ci servono per far girare le ruote di preghiera". E richiuse la porta dietro di sé.

 

 

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Il dottor Warner riuscì a controllarsi. Gli era stato ordinato di mettersi a completa disposizione dell'ospite. Poi disse:

"La vostra richiesta è un po' sconcertante. Per quanto ne so io, è la prima volta che un monastero buddhista utilizza un supercomputer. Non voglio essere indiscreto, ma ero ben lontano dal pensare che una simile comunità potesse aver bisogno di una macchina come quella".

"Penso sarà anche sorpreso del fatto che io stia parlandone con lei, che dirige il dipartimento prospezione e cartografia della ABX".

"Ammetto di essere abbastanza confuso".

"Lei sa, ovviamente, cos'è la tomografia sismica."

"Ovviamente." disse Warner. "La utilizziamo per studiare le caratteristiche delle formazioni geologiche  in cui pensiamo possano trovarsi giacimenti di qualche rilevanza. Delle cariche esplosive poste in vari punti della zona da esplorare vengono fatte detonare e una serie di geosensori dislocati nell'area delle cariche registrano le onde soniche e sismiche generate. Poi un computer elabora i dati come se si trattasse di una TAC di un corpo umano e restituisce una immagine tridimensionale delle strutture geologiche che giacciono sotto la superficie. Gli attuali geosensori sono in grado di captare vibrazioni dell'ordine di 3x10-8­ metri, mille volte più piccole dello spessore di un capello umano".

Il monaco disse: "Questo è precisamente ciò che dovrete fare sul sito del monastero con le vostre attrezzature. Ciò che stiamo cercando è una immagine di ciò che giace sotto il suo terreno. Poiché esso ci appartiene, la ABX stipulerà un normale contratto di prospezione geologica con noi. A nessuno verrà in mente di indagare. L'impiego di un computer della potenza di quello di cui stiamo parlando, non solo abbrevierà notevolmente i tempi, ma produrrà immagini con una risoluzione mai vista in precedenza. Saremo in grado di vedere letteralmente un ago entro centinaia di tonnellate di terra e roccia".

Warner disse: "Volete veramente spendere 150 milioni di dollari per vedere i granelli di quarzo che avete sotto i piedi?"

Il monaco annuì lentamente. "Qualcosa del genere. Perché capisca meglio, permetta che le racconti una breve storia"

"D'accordo."

"Le chiederò di ascoltarmi con grande apertura mentale".

"Va bene"

Il monaco fece una pausa per cercare il modo migliore per  iniziare. "Il monastero in cui abbiamo deciso di insediarci ha una fama sinistra. Il suo passato recente è legato alla rivoluzione comunista degli anni '30, durante la quale si verificarono sommosse sobillate dai monaci, che all'epoca controllavano tutte le leve politiche ed economiche della Mongolia".

"In una spirale di violenza e fanatismo, parecchi atti riprovevoli furono compiuti da entrambe le parti. Ma uno in particolare rimane nella memoria della gente di questi luoghi".

"I contendenti si erano lanciati gravi accuse reciproche. Oltre a ritenerli colpevoli di fare combutta con i Giapponesi, i comunisti denunciavano l'estrema corruzione e depravazione dei monaci e li accusavano di aver riportato in vita le pratiche più oscure della magia tantrica. Uno dei presunti episodi si verificò proprio nella zona da cui provengo. Nel 1947, nella fase più aspra del conflitto, un reparto di 50 miliziani comunisti inviato a controllare la zona sparì sulle montagne. Quando i loro compagni salirono al monastero, sei mesi dopo, trovarono i loro resti umani parziali con segni che facevano pensare alla celebrazione di un rito".

"Purtroppo, non possiamo escludere questa ipotesi. In Tibet, il paese dal cui buddhismo deriva direttamente quello della Mongolia, la setta del Dalai Lama, quella Gelukpa, la più illuminata e fedele all'ortodossia mahayana, non stabilì la sua supremazia sulle altre prima del 1600. Almeno altre tre sette lamaiste esistevano e sono sopravvissute:  Sakyapa, Kagyupa e Nyngma. Quest'ultima era ben nota per la pratica di rituali di magia nera tantrica".

"L'impiego della magia nera per eliminare i propri nemici, che si trattasse di altre sette religiose, eserciti invasori o altri clan,  era molto diffuso in Tibet.

“Sino a non molto tempo fa, era vivamente dibattuto, tra gli studiosi di buddhismo tantrico, se riti di sacrificio umano avvenissero solo in effigie o realmente. Ma recentemente sono venuti in luce documenti che dimostrano che i riti più estremi e violenti venivano celebrati su persone reali".

“Si tratta di una serie di editti imperiali del X secolo, che proibiscono le pratiche di sacrificio umano, denunciate come straordinariamente diffuse. Essi sono confermati da una cronaca contemporanea, quella dei "18 monaci predoni", un gruppo di monaci tantrici le cui gesta terrorizzarono a lungo l'intero Tibet. Essi rapivano le vittime, le legavano con paletti al terreno, e le sgozzavano in onore delle "Sette Madri-Demone", le daikini, a capo delle quali c'era la terribile demonessa nera Kongla-demo.

Warner impallidì.

"Prima di ucciderle, a scopo di purificazione, pare copulassero con le vittime, maschi o femmine".

Warner afferrò il bordo del tavolo per reggersi. Il lama proseguì imperturbabile.

"Il ritrovamento più straordinario è avvenuto nelle caverne dei mille Buddha, vicino all'oasi di Dunhuang, lungo l'antica Via della Seta. In una di esse è venuta alla luce, dopo più di mille anni, una intera biblioteca di testi tantrici della mano sinistra, nascosta da una setta dedita ai riti del Mahayoga Tantra, e tra questi ben due documenti che descrivono dettagliatamente come effettuare un sacrificio umano reale".

"Si è più trovata traccia dei monaci che assassinarono i partigiani comunisti?"

"Che io sappia, no. Dopo la fine pacifica del regime comunista, in Mongolia, nel 1989, le comunità buddhiste furono invitate a ritornare e a ricostruire i monasteri che erano stati chiusi nel 1949. Noi abbiamo scelto Tovkhon, che era ancora abbandonato, poiché nessuno voleva stabilircisi. La nostra comunità proviene da Dharmasala, in India.

"Mi scusi", si azzardò a questo punto ad interrompere Warner, "ma ancora non capisco cosa abbia a che fare il dipartimento di georilevazione della ABX con voi"

"E' abbastanza chiaro, in realtà", disse il monaco come se parlasse ad un novizio un po' ritardato. "Nessun monastero può sorgere su terra impura. E' una regola inderogabile, millenaria, rispettata sin dalla comparsa dei primi altari indo-ariani: quella della purificazione del luogo di culto. E' per questo che nessuno vuole neanche avvicinarsi al monastero. Né fedeli né pellegrini né altri monaci arriveranno fino a che non avremo mostrato di aver purificato quel posto.

"Sospettiamo che sotto il monastero si trovino resti di vittime, strumenti di magia nera, cripte con biblioteche di libri proibiti. Ciò che il vostro team, con l'aiuto del supercomputer, dovrà individuare, in modo che siano rimossi o propriamente esorcizzati. Soprattutto i cadaveri dei cinquanta guerriglieri comunisti che devono essere sepolti con gli appropriati riti, prima che il monastero possa essere restituito alla sua natura di luogo di culto e di preghiera ".

Warner era rimasto senza parole. Non avendo più niente da chiedere, congedò l'ospite per occuparsi dei preparativi.

 

 

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George Heanley e Chuck Brolin, i due ingegneri della Compagnia, si erano fermati a guardare, nell'arco di una finestra, due anziani monaci con le vesti rosse che in un cortile sottostante si affrontavano con khakkhara di metallo brunito con i tradizionali sei anelli che ne adornavano la punta superiore. Heanley osservava affascinato. Il bastone doveva essere molto pesante - un'arma micidiale, ma tra le loro mani vorticava e roteava come una cosa viva, in un tintinnare di anelli e svolazzare di vesti. La loro abilità era stupefacente. Altri monaci avevano interrotto le loro faccende e assistevano al confronto.

Dopo un po', George e Chuck si allontanarono dalla finestra e ripresero il cammino per il refettorio. I monaci mangiavano bene, carne e anche bevande alcoliche - non smodatamente - e loro erano stati ben contenti di accettare l'invito a sedere alla tavola del monastero. I monaci cucinavano il miglior booz dei dintorni, cioè una specialità mongola: ravioli ripieni di carne di montone.

"Dì", disse Chuck, "hai visto quante maledette armi ci sono nelle sale di questo monastero? E non una traccia di ruggine. Tutte pulite, lucide e pronte all'uso".

Anche Heanley aveva notato che numerose sale ospitavano ciascuna una panoplia di armi dall'aspetto sinistro e micidiale disposte lungo le pareti o appese al soffitto con catene. Il priore gli aveva spiegato che si trattava di armi simboliche contro i demoni. Si trovavano in quasi tutti i monasteri lamaisti.

"Armi che non ho mai visto neanche quando alle superiori studiavo la storia nella classe di quel fanatico del professor Kavanagh, che era un patito di armi e armature antiche e medievali. Guarda quella, ad esempio, sembra una falce da fieno con una catena: che cavolo è?".

"E' una falce da guerra, di un tipo analogo a quella usata dai Turchi" disse Heanley "L'ho vista esposta al museo del Topkapi, a Istanbul, la volta che sono andato con mia moglie. E' una grande falce modificata in modo che possa essere usata in battaglia. Grazie alla catena può essere fatta roteare amputando arti e teste come se fossero fatti di burro".

"Cazzo, così mi rassicuri proprio" disse Chuck.

 

 

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Otto giorni dopo, le cariche di esplosivo ad altissimo potenziale, che dovevano provocare il microsisma che avrebbe inviato ai duemila geosensori piantati nel terreno i dati da processare deflagrarono secondo una sequenza accuratamente prestabilita, scuotendo le fondamenta del monastero. La più potente era stata piazzata a ben 500 metri di profondità, proprio sotto di esso, utilizzando una tecnologia molto avanzata. Una sonda cilindrica del diametro di mezzo metro e della lunghezza di due metri era stata guidata nel terreno come una specie di talpa scavatrice utilizzando sottili aste di titanio unite da giunti snodabili, aprendosi la strada con un getto cilindrico di acqua iperpressurizzata in grado di tagliare persino il granito compatto e la cui pressione spingeva il materiale sbriciolato ai bordi creando automaticamente una resistente incamiciatura. La talpa era munita di un avanzato congegno di posizionamento ed era guidata in superficie dagli ingegneri della ABX tramite un computer laptop collegato ad esso.

A 2.181 chilometri di distanza, presso l'osservatorio geosismico russo-giapponese di Karimshino, nella penisola della Kamchatka, i sensibilissimi strumenti rilevarono la scossa con epicentro 47° 33' 24'' latitudine nord e 102° 49' 53'' longitudine est. Di fronte allo schermo del computer, Vasilij Petrov stava mangiando un panino con alici fermentate, una delizia chiamata surströmming, che suo cugino gli inviava dalla Svezia. Aveva aggiunto aglio fresco per rendere il tutto più appetitoso. L'odore sembrava quello dell'apertura di una capsula spaziale Sojuz al rientro, con gli escrementi accumulati dagli astronauti durante la missione. Vasilij ruttò, e questo non migliorò la situazione. Chiamò Burkhanov, il suo collega russo. Quello guardò il panino, gli indirizzò una serqua di imprecazioni in uzbeko che qui non viene tradotta, e uscì sbattendo la porta. Vasilij tornò a masticare e guardare lo schermo, che ora stava mostrando la zona con gli occhi del satellite di monitoraggio eliosincrono Kanopus-V. Passò alla scansione termica. Qualcosa attirò la sua attenzione.

 

 

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Era mattina presto. L'aria era frizzante. Dal parapetto la veduta faceva venire le vertigini, ma è noto che ci si abitua a tutto.

Erano passati quindici giorni e George Heanley non era più impressionato dai seicento metri di strapiombo che separavano il monastero dai declivi della stretta valle. Appoggiato ad una delle pietre corrose dal vento, l'ingegnere contemplava con occhio pigro le montagne lontane della catena Khoridol Saridag.

La Mongolia era un paese stupefacente. Poco prima di atterrare ad Ulan Bator si era svegliato ed aveva dato un'occhiata dal finestrino. La steppa era uno spettacolo unico al mondo. Nella luce violenta dell'alba, sembrava che tutto quel verde fiammeggiasse, un enorme braciere incandescente che aveva i contorni dell'orizzonte, una distesa infinita di erbe e colline, le montagne lontanissime.

Ad Ulan Bator, insieme alle automobili, circolavano numerosissimi cavalli, il veicolo mongolo per eccellenza. Chi lo montava, come molti degli abitanti, indossava il tradizionale deel un abito coloratissimo, stretto in vita da una cintura di seta.

Il mare più vicino era a più di tremila chilometri. Mai una corrente umida, mai un aliseo che giungesse ad attenuare gli sbalzi di temperatura; d'inverno si arrivava a meno cinquanta gradi, l'estate a più di quaranta. In un solo giorno si potevano avere cinquanta gradi di escursione termica. Era un clima ipercontinentale, puro e duro, senza alcuna gradazione.

Il monastero era situato sui monti sopra il villaggio di Tsagaan-Nuur, che sorgeva sulle rive del cosiddetto "lago bianco", nella provincia Arkhangai, una zona montuosa della Mongolia centrale la cui altitudine era compresa tra i 1300 e i 3500 metri. Da Ulan Bator avevano preso un aereo di linea fino a Moron, poi un biplano fino al villaggio. Da lì fino al monastero di Tovkhon, non esistevano piste e non era possibile viaggiare con alcun veicolo. Avevano appreso con non poco stupore che si sarebbe proseguito con le renne. Era stato loro spiegato che dovevano superare un passo a più di tremila metri d'altezza. Lì c'era la tundra, dove crescono solo muschio e licheni. Solo le renne avrebbero potuto inoltrarvisi. I cavalli e i pony non vi sarebbero sopravvissuti.

La guida locale, di cui era stata garantita l'esperienza e la capacità, sarebbe stata Yesun, un giovane di uno dei villaggi vicini che trascorreva una parte dell'anno nelle yurte degli allevatori.

Durante l'ultimo viaggio in aereo, Chuck si era sbizzarrito a scherzarci su: "troveremo un cavaliere della steppa con una pelle di pecora, arco, frecce, pugnale alla cintura e un copricapo con piume d'aquila".

Yesun li aspettava tranquillamente ai bordi della pista di atterraggio, già equipaggiato e pronto per partire. Heanley non avrebbe mai dimenticato l'espressione di completo sbalordimento dipinta sul volto dell'amico alla vista dell'equipaggiamento del presunto cavaliere della steppa.

Yesun Portava a tracolla un Remington R-15, uno dei nuovissimi fucili d'assalto appositamente modificati per la caccia al cervo da poco immessi sul mercato. Leggerissimo, col calcio ripiegabile, capace di sparare a raffica, con un calibro potenziato e un serbatoio in grado di contenere dieci colpi.

Il fucile montava un'ottica telescopica Leupold VX-3L dotata di puntatore laser D-EVO e lenti maggiorate per l'utilizzo anche con luce crepuscolare.

"Che mi venga un sacrosanto accidente…". Chuck, era un vero patito della caccia al cervo, abbonato a una decina di riviste. Continuò a fissare ammutolito ciò che vedeva.

Alla cintura di Yesun faceva bella mostra un calcolatore balistico portatile Winchester, costituito da un IPhone modificato, con un rivestimento a prova d'acqua e di urti, in cui era stato scaricato un software che riceveva in input distanza, peso del proiettile, potenza della carica propulsiva, intensità e direzione del vento, e, tenendo persino conto della forza di Coriolis, visualizzava con esattezza il punto, nel cerchio del mirino, dove sarebbe finito il colpo rispetto alla zona inquadrata nel centro del reticolo.

Sull'IPhone, spiegò Yesun, girava il software Recon Hunt della Cabela, che mostrava la mappa del territorio, completa di linee altimetriche e di informazioni sulle condizioni del terreno e della vegetazione e la posizione del cacciatore insieme a quella degli altri del suo gruppo. Era in grado di tracciare la posizione di trenta cacciatori contemporaneamente, coordinandone i percorsi durante una battuta di caccia. Per buona misura, Yesun aveva anche un GPS Garmin Astro di ultima generazione, con pile a lunghissima durata.

Al collo, quello che sembrava un piccolo e leggero binocolo, era in realtà uno Swarovski EL Range Finder binoculare, customizzato per garantire anche la visione notturna e triangolare istantaneamente la distanza del bersaglio su cui era puntato, mostrandola su display interno a led.

Chuck gli girò intorno fissando il resto delle attrezzature con l'espressione di invidia famelica che doveva avere avuto il giorno in cui suo fratello maggiore aveva ricevuto il primo fucile. Non poteva credere ai suoi occhi. Yesun aveva persino quello che era il sogno proibito di tutti i cacciatori americani, vietato dalla legislazione di quasi tutti gli stati: un drone da caccia, un piccolo Parrot AR Quadricopter dotato di telecamera, con eliche azionate da batterie della durata di un'ora, capace di volare fino a duecento metri di distanza dall'Iphone che lo controllava e di inviare le immagini ad alta definizione della preda. Yesun lo utilizzava soprattutto per controllare i movimenti del bestiame e cercare i capi fuggiti o dispersi.

Con quello e tutto il resto, doveva avere con sé almeno 20.000 dollari di equipaggiamento. Spiegò che i suoi servizi erano molto richiesti dagli allevatori, e che lui doveva garantirsi il top degli strumenti in commercio. "La steppa non perdona gli sprovveduti", concluse semplicemente.

"Immagino che stiamo sicuri anche dal lato sanitario. Avrai un kit futuristico" disse George.

Yesun era un giovane simpatico ed allegro, di corporatura snella, ma alto e robusto, con i tratti regolari tipici della sua razza. "Oh, no", disse, "per quello ha una fiaschetta di vodka. Disinfetta benissimo".

Alla vista dell'espressione di George, scoppiò a ridere.

"Scherzo. Siamo bene equipaggiati anche per quello".

Yesun diede loro due leggerissimi ma ampi zaini DragonSlayer, prodotti dall'americana Mystery Ranch e considerati da tutti i cacciatori i migliori in commercio, praticamente indistruttibili e con un sistema di cinghie che li rendeva perfettamente bilanciati e consentiva al cacciatore di  portare grossi carichi senza la minima fatica.

Invece delle renne, trovarono due Polaris Sportsman XP 850 HO EPS Browning LE, piccoli veicoli fuoristrada scoperti con quattro ruote motrici, pneumatici speciali in kevlar, motore a basso consumo di 850 cavalli dotato di due turbine di iperalimentazione che all'occorrenza potevano triplicarne la potenza. Trainavano dei leggeri rimorchi in grado di portare quintali di attrezzature. Con quelli sarebbero arrivati all'accampamento degli allevatori, e avrebbero preso le renne.

George sbirciò Chuck. Era pronto a scommettere parecchie banconote che durante il viaggio di ritorno non avrebbe più sentito battute su cavalieri della steppa vestiti di pelli.

 

 

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Per quanti indelebili ricordi avrebbe riportato dal suo soggiorno in Mongolia, George sentiva nondimeno la mancanza della confusione e della animazione di Seattle. Tutti gli altri membri del team erano rientrati da un po': la paglia corta - la supervisione delle ultime fasi del lavoro - era toccata a lui e Chuck. Nei suoi incubi talvolta sognava che il gran lama aveva improvvisamente deciso di complicare un po' di più l'operazione e di continuare il lavoro fino all'anno 2060. Quell'accidenti di brav'uomo ne sembrava, del resto, perfettamente capace.

"L'Operazione Sacro Sminamento", come l'aveva definita un umorista della Compagnia, era certamente il peggior lavoro da matto a cui avesse mai partecipato.

La macchina non aveva trovato proprio nulla. Nessuna biblioteca sotterranea. Nessuna cripta segreta. Nessuna fossa comune con resti umani. Forse i monaci avevano celebrato un rito antropofagico.

Heanley si disse di smetterla con quelle fantasie. Il fatto era che il monastero, con i suoi monaci taciturni e la perenne penombra stava cominciando a dargli sui nervi, a mettergli in testa strane idee.

Per la verità, qualcosa era venuto fuori. A trenta metri di profondità, sotto il monastero, il computer aveva rilevato un manufatto, un oggetto circolare del diametro di cinque metri, di cui i suoi circuiti superveloci stavano ricostruendo il dettaglio della superficie, coperta da intricati geroglifici in bassorilievo: un grande mandala di pietra, probabilmente sotterrato al momento della costruzione del monastero.

La pesante porta di legno sbatté. Chuck lo aveva raggiunto sulla terrazza. Fumava, come al solito, un sottile cigarillo avana Si era reso popolare tra i lama distribuendo i suoi sigari, che quelli usavano accanto ai bastoncini di incenso di fronte all'altare del Buddha.

"Quei tipi potevano essere scemi del tutto" pensò Heanley "ma non si poteva dire che non sapessero adattare ai loro scopi tutto quello che gli capitava a tiro."

«Ascolta, George» disse Chuck. «Abbiamo delle noie»

«La macchina è guasta? »

«No. »

Chuck si sedette sul parapetto. Era straordinario perché, di solito, temeva le vertigini.

«Ho scoperto lo scopo dell'operazione.»

«Ma lo sapevamo!»

«Sapevamo che volevano celebrare un rito di purificazione, ma non ci avevano detto tutto.»

«Bah! sono matti...»

«Ascolta, George, il vecchio mi ha spiegato. Esiste una profezia che i monaci si tramandano, fatta da uno dei loro maestri in un momento di gravi minacce esterne, quando l'ordine dovette temporaneamente sciogliersi. Questo avveniva nell'anno del ratto, nel biennio della terra del sedicesimo ciclo rapjung. Il lama predisse che l'ordine si sarebbe ricostituito nello stesso identico anno del ciclo storico successivo, quando il Buddha Heruka - uno dei loro numerosi Buddha celesti - avrebbe dato loro un dono straordinario: il mandala della liberazione compassionevole".

"Ne hanno di fantasia" disse Heanley.

"Ora senti qua: secondo loro hanno trovato questo mandala: sarebbe quello che ha scoperto il nostro computer sotto il monastero. Si tratta di un mandala che solo pochissimi iniziati sapevano tracciare, nei tempi antichi, chiamato anche "Il sigillo di Rudra". Fu utilizzato per la prima volta dal Buddha celeste sceso per sconfiggere le forze demoniache che tormentavano l'umanità. Si dice che da allora tenga sotto di sé Rudra e tutta la sua coorte di demoni.

"Sì, ma non vedo dove sia il problema"

"Non capisci? Questo mandala è capace di richiamare di nuovo la forza del Buddha Heruka, inaugurando definitivamente sulla Terra una età di pace e armonia. Il loro rito esorcistico in realtà consisterà nell'esorcizzare tutto il male della Terra in un colpo solo, con l'aiuto di questo potentissimo strumento magico. Il nome del rito, mi ha detto il priore, è sgrol ba, o qualcosa del genere".

Heanley inarcò le sopracciglia. «Quando avremo finito sarà la fine del mondo e la discesa del Paradiso in Terra?»

Chuck ebbe una risatina nervosa: «È ciò che ho detto al vecchio. Allora mi ha guardato in un modo strano, e mi ha detto: "Non sarà una cosa cosi insignificante"»

Heanley rifletté un istante.

«È un tipo che ha evidentemente idee grandiose» disse «ma, detto questo, che cosa cambia? Sapevamo già che erano matti.»

«Si. Ma non capisci che cosa può capitare? Se la ricostruzione delle linee del mandala viene terminata, il rito viene celebrato, e le trombe dell'angelo Gabriele, versione tibetana, non suonano, essi possono concludere che la colpa è nostra. Dopo tutto, impiegano la nostra macchina. Non mi piace questa faccenda...»

«Ti seguo» disse lentamente Heanley «ma ne ho viste altre. Quando ero ragazzo, in Louisiana, un predicatore annunciò la fine del mondo per la domenica seguente. Centinaia di tipi ci credettero. Alcuni, vendettero persino le loro case. Ma la domenica seguente nessuno era irritato; la gente pensava che si era un po' sbagliato nei suoi calcoli, e un mucchio di loro hanno ancora la fede.»

"E qui arriva la seconda cattiva notizia, George", disse Chuck, gettando il mozzicone di sigaro dal parapetto. "Non sappiamo perché, ma la scossa è stata più violenta del previsto. Ci deve essere stata una specie di risonanza provocata da caverne sotterranee di cui non conoscevamo l'esistenza. Fatto sta che il mandala di pietra si è spezzato in due. Ai loro occhi è un sacrilegio".

«Inoltre, nel caso che tu non l'abbia notato, ti faccio presente che non siamo in Louisiana. Siamo soli, noi due, fra tutti questi monaci, con quei loro bastoni. Io li rispetto profondamente, ma preferirei essere altrove quando il vecchio lama si accorgerà che l'opera­zione è fallita e perché.»

"Mm…" Heanley rifletté. "Perché la nostra Meraviglia ricostruisca completamente il mandala occorrerà un po'. Solo allora potranno celebrare la cerimonia. Possiamo evitare di preoccuparci ancora per qualche tempo'".

Ma Chuck scosse la testa. "Spiacente, George. Ho già contattato Yesun e gli ho chiesto di venire qui per domattina col suo Remington e di riportarmi immediatamente a Tsagaan-Nur, e di lì volerò ad Ulan Bator. Tu fa' come vuoi. Se intendi partire con noi, trovati all'imbocco della strada per il villaggio alle cinque di domattina. Oggi cancellerò una parte del file con i dati del mandala già processati perché ci sia un piccolo ritardo. Diciamo due giorni. Sufficienti per trovarci lontano da qui quando inizierà la cerimonia".

Prima di lasciare Heanley per rientrare nel monastero Chuck gli disse: "E' venuta fuori anche un'altra cosa. Ma prima di dirtela voglio esserne assolutamente certo. Allora ti invierò le immagini sullo smartphone. Dacci un'occhiata". E detto questo lo lasciò da solo a pensare.

 

 

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Heanley, che dopo il colloquio con Chuck era stato tutto il giorno nei dintorni del monastero a smantellare le apparecchiature, tornò tardi. I monaci si erano già adunati nel refettorio. Doveva ancora fare il rapporto alla sede centrale della ABX. Pazienza. Avrebbe mangiato del cibo in scatola. Attivò la connessione internet satellitare, fece il login a skype e parlò brevemente con il responsabile del progetto, a Seattle, sulle modalità di rientro della missione. Poi iniziò ad inviare i dati della giornata, parecchi terabyte. Ci sarebbero voluti dieci minuti. Mentre aspettava, decise di saperne di più su quello che gli aveva detto Chuck. Si collegò a Google e digitò "Buddha Heruka". Cliccò sul primo link e lesse:

"Il Buddha della furia distruttiva. Inviato dal congresso dei Buddha celesti per lo sterminio di coloro che mettono in pericolo il dharma. Dotato di un corpo mostruoso, rivestito di una pelle umana, grandi ali nere, tre teste e sei braccia dotate di terribili artigli".

Buddha della furia distruttiva? Zanne e artigli? Pelle umana? Che razza di roba era? si chiese Heanley.

Pensò di essere capitato nel sito di un gioco di ruolo.

Scuotendo la testa, riprovò, digitando "sgrol ba" e "rito di liberazione".

Nessuna voce su Wikipedia. Scartò tutta una serie di link strani che erano venuti fuori, come "vajra ritual killing", "taming of demons", "violence and liberation", "history of violence in East Asia", "destruction rituals", "tibetan dark age", e cliccò sull’articolo di un ricercatore che compariva nel sito dell'Università di Yale: "il significato dello sgrol ba nel buddhismo tantrico", di Jacob Dalton. Iniziò a leggere.

 

 

il significato dello sgrol ba nel buddhismo tantrico

Sgrol ba, anche detto gson sgrol o sbyor sgrol, in tibetano "rito di liberazione", è un rito tipico del tantrismo della mano sinistra, che, rifacendosi agli insegnamenti contenuti nel Mahayoga Tantra, il testo più estremo e trasgressivo del tantrismo della mano sinistra, attua l'"omicidio compassionevole" di un essere umano mediante sgozzamento o decapitazione, con un'ascia o un kartari. Il rito è descritto in dettaglio in due manoscritti recentemente venuti alla luce nelle caverne dei mille Buddha a Dunhuang.

La "liberazione" a cui si allude è detta "compassionevole", perché uccide colui che, continuando a vivere, macchierebbero ulteriormente il proprio karma. Il monaco che, puro di intenti e mosso dalla sola compassione libera violentemente dalla vita una creatura, non ne subisce alcuna conseguenza karmica negativa, anzi, ha l'obbligo morale di farlo, per il proprio e l'altrui bene.

Il corrispondente e modello cosmico dello sgrol ba è il gesto con cui il Buddha Heruka, sceso sulla Terra nella sua forma mostruosa di vendicatore, sterminò Rudra e i suoi demoni facendoli risorgere come Bodhisattva, vincolati da quel momento a comportarsi da protettori del dharma, ma autorizzati ad uccidere chiunque non lo segua.

 

 

La trasmissione dei dati terminò, ma Heanley era troppo scosso per sentire il beep che segnalava la fine del collegamento.

Si impose di mantenere il sangue freddo e di pensare razionalmente. Digitò il numero di Yesun. Dopo i convenevoli di rito, gli disse: "Yesun, da queste parti la gente utilizza anche il calendario tibetano, vero?". Ascoltò la risposta. "Come pensavo. A quale data del calendario occidentale corrisponde l'anno del ratto, nel biennio della terra?".

Una pausa. Yesun stava facendo dei calcoli mentali. "Dipende dal ciclo di cui stiamo parlando. Il calendario tibetano divide la storia in cicli di sessant'anni a partire dal 1020 del calendario occidentale. Oggi noi siamo nel diciassettesimo ciclo rapjung, e la data che vi corrisponde è il 2008, l’anno attuale".

Heanley si fece forza. Chiese: "E nel ciclo precedente, il sedicesimo, a quale data corrisponde?".

Un'altra pausa. "Al 1948. L'anno in cui si verificò la sparizione del reparto di miliziani comunisti".

Heanley chiuse gli occhi. Questi erano gli identici monaci assassini che avevano lasciato il monastero nel 1949. Nessuna meraviglia che fossero così pochi di numero e tanto vecchi e decrepiti. Questa era gente estremamente pericolosa. Doveva avvertire Chuck di non fare sciocchezze. Dovevano andarsene immediatamente da lì.

"Dove sei ora?" disse a Yesun.

"Oh", rispose allegramente il ragazzo, "mi sono accampato a mezz'ora di cammino da voi. Sono arrivato un'ora fa, ma i monaci non gradiscono visite notturne. Così, aspetto qui il mattino, per venirvi a prendere".

"Impacchetta la tua roba e vieni immediatamente" disse Heanley.

"Ehi, quanta fretta!" disse la voce allegra e un po' stupita di Yesun. "Prima Chuck, poi tu: cosa vi ha preso?"

"Tremila dollari se sei qui entro venti minuti". Un breve silenzio all'altro capo della comunicazione. Quando Yesun rispose, non c'era più traccia di allegria nella sua voce.

"Arrivo".

Heanley tolse la comunicazione. Doveva rintracciare Chuck ed uscire dal monastero.

 

 

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Il monastero sembrava deserto. Dov'erano i monaci? Si stava facendo sempre più buio. Tra poco il tramonto avrebbe ceduto il posto alla notte. Heanley percorse i corridoi esterni, ancora raggiunti da una fioca luce. Poi accese la torcia elettrica. Non sapendo dove cercare, entrò nella grande sala interna di preghiera.

La prima cosa che colpì i suoi sensi fu un odore dolciastro e lievemente nauseabondo che sembrava provenire dal pavimento.

Vi diresse il raggio della torcia, e quella quasi gli cascò di mano. Stava illuminando la testa decapitata di Chuck, posta al centro di un grande mandala fatto di terra nerastra, il materiale da cui proveniva il debole odore di putrefazione e feci che i fiori blu e gialli che vi erano stati gettati non riuscivano a coprire del tutto.

Abbassò la torcia. Nel silenzio ora poteva percepire intorno a lui i respiri e i fruscii di diverse persone. I monaci erano lì, radunati intorno al mandala.

La voce del priore lo riscosse.

"E' stato uno sfortunato incidente, signor Heanley. Il suo amico ha commesso un sacrilegio che non poteva rimanere impunito. Ha cercato di sottrarre il sigillo di Rudra ai legittimi possessori".

"Non deve preoccuparsi per lui. Il suo karma è stato purificato dal rito. Egli è ormai nel campo della beatitudine suprema, del Buddha Amitabha".

Nella penombra, Heanley percepiva la testa mozzata che lo guardava con occhi vacui.

"Lei è comprensibilmente sconvolto ma non deve temere per sé. Da tempo abbiamo cessato di uccidere. Sessanta anni fa, la nostra guida spirituale, il grande maestro tantrico di magia nera Nupchen Sangye Yeshe, che da vent'anni era ospitato e protetto nel nostro monastero, uccise personalmente, assistito dai monaci, che avevano studiato con lui lunghi anni i rituali, cinquanta partigiani, allo scopo di scatenare una potente forza magica, la forza vendicatrice di Rudra, contro il "sistema rosso" che stava avanzando per divorare anche il nostro paese, dopo aver divorato la Cina e la Russia".

"Ma ci rendemmo conto ben presto di essere impotenti con le nostre sole forze. Nupchen e il nostro grande lama, dichiararono sciolto l'ordine. Poi fecero chiamare noi novizi di fronte a tutta la comunità riunita. Allora avevamo chi quindici, chi sedici o diciassette anni al massimo".

"Ci fecero giurare che avremmo ricostituito l'ordine quando fosse venuto il momento. Avevamo a disposizione tempo e vasti mezzi, le ricchezze accumulate da secoli con le offerte di pellegrini e ricchi benefattori. Ciascun manufatto delle nostre cripte può acquistare tre dei vostri supercomputer. Poi sciolse l'ordine e ce ne spiegò le ragioni, come io ora le spiegherò a lei".

"Come servitori del dharma, abbiamo cercato di imporre la giustizia e l'ordine. Ma i peccati si moltiplicano, il mondo sta precipitando nel periodo terminale del Kaliyuga, niente può contrastare il moltiplicarsi degli atti malvagi. In un'epoca di malvagità diffusa, anche quelli che in tempi più miti sarebbero divenuti agnelli si tramutano in lupi, orsi e leoni e vessano il loro prossimo con zanne ed artigli. Il karma dell'umanità è contaminato. Un essere umano dovrebbe essere cieco per non vedere che la Terra sta morendo. Tutte le sue creature soffrono terribilmente e si estinguono per mano dell'uomo. Il sacro precetto dell'ahimsa il divieto di nuocere persino al più piccolo degli esseri, è violato alla luce del sole, con suprema impudenza, la lampada del dharma è infranta".

"Il maestro ci disse di serbare la speranza. Ci predisse che al ritorno nel nostro monastero avremmo trovato lo strumento per richiamare colui che è l'unico in grado di purificare il karma dell'umanità con il suo proprio sangue: Rudra, il Nero Liberatore".

Il nostro monastero, tra tutti, è eretto sopra l'unico esemplare esistente del sigillo di Rudra, fatto incidere nella pietra dal grande maestro Akisa, che lo fondò al suo ritorno in India dalla corte tibetana, dove aveva risieduto per vent'anni.

"Per tutto questo tempo ci siamo integrati nel cosiddetto mondo civile. I mezzi non ci mancavano, in realtà. Ma non abbiamo mai dimenticato la nostra missione. Come molti altri ordini dispersi al tempo della rivoluzione comunista, ci siamo ricostituiti e siamo tornati qui".

"Ripeteremo il rito che abbiamo officiato sul suo amico, lo sgrol ba, ma questa volta sarà un rito cosmico, che grazie al potere del mandala riattualizzerà la resurrezione del demone Rudra da parte di Buddha Heruka come suo servitore e strumento della sua furia contro gli indegni. Il rito che ora, grazie alle formule rintracciate sul mandala di pietra, stiamo per celebrare".

"Il rito inizierà tra poco. Coloro che non vi prendono parte sono liberi di andarsene. Nessuna mano si leverà per offenderli"

 

 

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Mano a mano che i fuggitivi si allontanavano dal monastero, la paura si trasformava in rabbia. "Bastardi" imprecava Heanley lungo la discesa. "Aspettate che arrivi all'ambasciata americana di Ulan Bator e vedrete. "Sacrilegio contro il dharma", eh? Vi getteranno in carcere, butteranno via la chiave e raderanno il maledetto monastero. E aspetta che racconti tutto ai reporter…"

In mano aveva ancora il telefonino con cui aveva contattato Yesun. Una icona lampeggiante attirò la sua attenzione. Si ricordò che Chuck aveva parlato di immagini che gli avrebbe inviato. Aprì l'icona. Mostrava un diagramma che aveva qualcosa di familiare, che a tutta prima non riconobbe. Poi il sangue gli si gelò nelle vene.

Sotto il monastero, ad una profondità di 1000 metri, c'era una camera magmatica la cui profondità arrivava a sette chilometri. Un supervulcano. Il più grande che fosse mai stato scoperto.

L'eruzione di una simile quantità di lava avrebbe vaporizzato o ucciso con un flusso piroclastico di gas velenosi ad altissima temperatura tutte le creature nel raggio di cento chilometri, e distrutto metà della Mongolia e dei paesi limitrofi. La colonna di lapilli si sarebbe alzata per chilometri e la nuvola di fumo avrebbe oscurato il cielo dell'Asia e successivamente schermato i raggi solari su tutta la superficie del globo, creando una protratta glaciazione che col tempo avrebbe spazzato via un numero imprecisabile di specie viventi.

Eruzione, carestie, pestilenze avrebbero probabilmente ucciso almeno mezzo miliardo di persone nel primo anno e mezzo, e riportato indietro l'umanità di vaste zone del globo a epoche preistoriche.

Senza la tecnologia e il petrolio per muovere i mezzi corazzati, le navi e gli aerei, i paesi civilizzati sarebbero rimasti indifesi. I nomadi dei deserti e delle steppe, armati con armi da fuoco, sarebbero divenuti quel che erano in passato: forze incontrollabili in un ambiente in cui solo loro sapevano muoversi. Sarebbero cominciate le invasioni dal sud e dall'est del mondo.

E loro avevano provocato un sisma proprio sopra il mostro.

In quel preciso istante, Heanley si rese conto che non si sentiva nessun suono. Nessun rumore animale giungeva dalla pianura. Neanche i latrati dei cani, che dapprima ridotti a sommessi uggiolii, erano improvvisamente cessati. Yesun alzò il capo, stupito.

L'ultimo pensiero di Heanley fu: Il sigillo. Con quelle maledette cariche abbiamo rotto il sigillo di pietra.

Poi Rudra emerse ruggendo e urlando dalla sua prigione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

nota storica: tantrismo della mano sinistra e sacrifici umani

 

un documentario della bbc

 

Circa dieci anni fa, un documentario della BBC descriveva l'effetto del buddhismo sulla società tibetana del VII secolo: l'evoluzione dal Tibet medievale e violento al Tibet mistico conosciuto dagli occidentali a partire dall'Ottocento. I tibetani - vi era detto - erano un popolo straordinariamente bellicoso e violento, dedito alle guerre, che pregiava la morte eroica sul campo di battaglia e disprezzava i vecchi e i deboli. Attraverso una serie di guerre sanguinose, mettendo in campo formidabili eserciti di centinaia di migliaia di uomini avevano esteso il loro dominio fino a comprendere intere regioni dell'Asia dell'ovest, dell'Asia centrale e dell'Asia del sud. Ma poi - prosegue il documentario - l'arrivo del buddhismo trasformò questo paese violento e selvaggio in un paese che rinunciò per sempre la violenza e all'aggresione dei paesi circostanti e divenne un centro di irradiazione di misticismo, civiltà e conoscenza religiosa per tutte le regioni circostanti.

 

 

il volto benevolo del buddha

 

Oggi il Buddhismo, incluso quello tibetano, è universalmente considerato sinonimo di fede benevola e non-violenta, di dottrina dell'amore universale. Il grande pubblico accomuna sotto un'unica sigla il buddhismo hinayana e mahayana dei vari paesi del sud dell'Asia, il buddhismo tibetano, il buddhismo zen giapponese e il buddhismo coreano dei paesi del nord. Non fa distinzione tra il primo mahayana indiano della scuola madyamika e il mahayana tantrico del settimo secolo, che è quello che penetrò nel Tibet.

A tutti viene attribuito lo stesso atteggiamento di non-violenza e sollecitudine nei confronti delle creature, di lotta alle superstizioni religiose. Il volto del buddhismo tibetano è quello del Dalai Lama in esilio a Dharmasala, in India, che compare nei media come l'esponente di un credo illuminato minacciato dalla barbarie militarista della Cina.

 

 

qualche dubbio

 

Tralasciando ciò che si trova nei libri degli scrittori coloniali inglesi dell'Ottocento, accusati di falsificare l'evidenza storica per giustificare la conquista dei civilizzatori britannici, da tempo le autorità cinesi avevano denunciato il rinvenimento di prove archeologiche e documentarie inoppugnabili di sacrifici umani nel Tibet medievale e degli inizi dell'era moderna. Ma vista la loro posizione di aggressori dichiarati del territorio e della civiltà tibetana, queste affermazioni non erano state tenute in alcuna considerazione.

Altre voci discordanti esistevano. In una manciata di siti internet anglosassoni collegati ad organizzazioni missionarie cattoliche o protestanti, si potevano leggere informazioni di tipo alquanto diverso da quelle ufficiali sul rapporto del buddhismo con la violenza e le pratiche magiche. Anch'esse considerate invenzioni della propaganda cattolica.

E tuttavia, anche nell'ambito più ponderato e spassionato della ricerca universitaria, lontano dalle luci della ribalta, qualcosa si stava muovendo. Storici, antropologi ed archeologi erano venuti gradualmente modificando le idee su cui poggia la ricostruzione del documentario della BBC su almeno quattro punti fondamentali: a) la diffusione delle pratiche dell'uccisione sacrificale di esseri umani in India e Cina; b) la presenza di pratiche violente nel tantrismo; c) il rapporto del buddhismo storico con la violenza; d) la ricostruzione storica di periodi sino ad allora poco conosciuti della storia tibetana, in particolare nelle zone più selvagge e periferiche.

Ciò che cominciava ad emergere era un quadro alquanto più sinistro di quello dei documentari edulcorati e delle pagine patinate di riviste come National Geographic. Ma la svolta fondamentale, che doveva raccogliere i frutti di questo lavoro collettivo di revisione, doveva arrivare pochi anni più tardi.

 

 

ciò che è sepolto viene alla luce

 

Nel 2011, Jacob P. Dalton, allora professore presso il Dipartmento di Studi Religiosi dell'università di Yale, diede alle stampe The Taming of Demons, che porta come eloquente sottotitolo: Violence and liberation in Tibetan Buddhism, un libro che, riunendo tutte le fonti storiche note e altre sino ad allora ignote, faceva per la prima volta conoscere al di fuori di una ristretta cerchia di specialisti, uno dei riti più tenebrosi e meno conosciuti del tantrismo tibetano: lo sgrol ba, o "rito di liberazione" mediante omicidio rituale.

Ciò che rende il libro di Dalton straordinario - e che gli ha reso possibile penetrare così a fondo nei rituali segreti del tantrismo - è una serie di documenti, da lui pubblicati in appendice, rimasti seppelliti per più di mille anni nelle caverne dei mille Buddha, vicino a Dunhuang. In una delle grotte è venuta alla luce una intera biblioteca di testi tantrici, pochissimi dei quali al momento attuale catalogati e tradotti, risalenti a quella che nella storia tibetana è considerata l'età demoniaca per eccellenza, l'Epoca della Grande Tenebra, un periodo di estrema violenza e caos politico e religioso che va dalla metà del IX secolo fin alla fine del X secolo, di cui non era sopravvissuto alcun documento scritto. E' tra questi documenti che Dalton ha rinvenuto non una, ma ben due descrizioni dettagliate della uccisione rituale di un essere umano.

Per districarsi nel complesso simbolismo della violenza tantrica, e afferrare il quadro concettuale che la giustifica, Dalton ha potuto avvalersi dell'aiuto di un erudito buddhista, Khenpo Pema Sherab, superiore del monastero buddhista di Namdroling in India.

In tal modo, egli è riuscito a dare finalmente senso a tutta una serie di fonti testuali e storiche precedenti, sparse in note marginali dei lavori degli orientalisti e praticamente non utilizzate, e a collocarle in un contesto coerente, illuminando la filosofia che ne è alla base e i legami con le idee del tardo buddhismo indiano dei Mahayoga Tantras.

Sia la convincente ricostruzione di una coerente dottrina della "violenza compassionevole" entro il cui quadro i documenti storici si collocano in maniera perfetta, sia le fonti testuali dirette scoperte a Dunhuang conducono ad una sola, inoppugnabile conclusione: nel corso dell'Età Oscura del Tibet emersero numerosi nuovi rituali tantrici di magia nera, tra cui quelli che impiegavano il sacrificio umano, e questi riti sono stati realmente praticati per diversi secoli a partire da quel momento.

Nell'ultimo paragrafo di questa nota storica troverete la dettagliata descrizione del rito così come è emersa dopo mille anni dalle caverne di Dunhuang.

Se credete, potete concludere questa lettura con i manoscritti di Dunhuang, saltando tutti i paragrafi seguenti, dedicati al tema generale dei rapporti tra buddhismo, tantrismo, e violenza.

 

 

il quadro inizia a cambiare: sacrifici umani in india e cina

 

Nonostante una schiacciante evidenza archeologica e testuale, l'indologia ufficiale, fino a tempi recentissimi, era fermamente attestata sulla linea della negazione in toto dell'esistenza di sacrifici umani nel subcontinente indiano. Ancora nel 1996, G. Flood scriveva, in un autorevole manuale di indologia: "Esisteva anche il sacrificio umano (purusamedha) modellato sul sacrificio del cavallo, ma le vittime umane erano liberate dopo la loro consacrazione senza subire alcun danno fisico. Anche se il sacrificio umano è considerato nei Veda il sacrificio più importante, non è certo che sacrifici umani abbiano mai avuto luogo. Possediamo bensì testi che si riferiscono al sacrificio umano nelle tradizioni indiane, ma non è certo che una tale pratica sia mai stata attuata, o non piuttosto sia rimasta una metafora o una mera possibilità"

In realtà, sotto altari e altre strutture religiose dei tempi vedici più antichi gli archeologi continuano a rinvenire una quantità che uno di essi ha definito "sconvolgente" di resti umani di individui sacrificati per l'erezione, come ancora recentemente è avvenuto negli scavi di Kusambi, nello stato dell'Uttar Pradesh.

Nell'Aitareya-Brahmana e nel Satapatha-Brahmana, testi appartenenti ai Veda delle origini, è descritto in dettaglio come innalzare un altare per sacrificare i "cinque animali", le cui teste vengono poste intorno ad esso: "l'uomo, o grande animale (maha-pashu) è sacrificato a Visvakarman, il cavallo a Varuna, il toro a Indra, l'ariete a Tvastr e la capra ad Agni". I corpi decapitati venivano gettati nella cava di argilla da cui viene tratto il materiale di costruzione della struttura, mentre le teste venivano spalmate di burro o cosparse di cenere e successivamente conservate.

Solo dalla età vedica tarda al sacrificio umano viene sostituito il sacrificio di altri animali o il sacrificio in effigie. Un esempio particolarmente impressionante di sacrificio in effigie, che mostra quello che in epoca arcaica dovesse essere la procedura di un reale sacrificio umano è stato scoperto nel corso di una serie di scavi condotti tra il 1988 e il 2000 presso due altari sacrificali risalenti al III secolo d. C. a Mansar, nel distretto di Maharashtra, nell'India nord-orientale. Sotto uno dei due altari, quello a forma di falco, è stato trovato un uomo di argilla raffigurato con la testa violentemente spaccata, orientata verso occidente, le gambe verso oriente. Un anello con un foro per infilare una corda passa attorno al torace e una lampada di terracotta è posta accanto al corpo. Due recipienti sono posti in corrispondenza delle ginocchia e un rozzo serpente di ferro è posto con la testa accanto ad un piede. Gli studiosi ritengono che si tratti della simulazione di una uccisione legata ad un rito di costruzione.

In India non avveniva niente di diverso dai paesi limitrofi, anche di grande civiltà: La Cambridge History of Ancient China del 1999 dice che in Cina sono state scoperte innumerevoli tracce archeologiche di sacrifici umani. Contrariamente a quel che si crede, esiste in Cina una considerevole letteratura sul cannibalismo rituale. L'ultimo episodio scoperto risale addirittura al 1983, ed è stato tenuto nascosto dalle autorità del regime fino a tempi recenti. Una lite tra due leader locali era sfociata nella violenza quando uno dei due era stato catturato, appeso ad un albero, sacrificato ritualmente e divorato dai partecipanti. Questo aveva scatenato una identica rappresaglia e dato inizio ad un ciclo di assassinii e cannibalismo rituali che le autorità faticarono non poco a far cessare.

 

 

negare l'evidenza: il caso degli anasazi di mesa verde.

 

Antropologi ed archeologi non sono nuovi a questo tipo di negazione dell'evidenza, per una malintesa etica del politically correct che rende tabù gettare discredito su minoranze oppresse dal colonialismo occidentale come gli abitanti dell'India o quelli del nordamerica, specialmente su argomenti come la schiavitù e presunti riti religiosi aberranti, come appunto il cannibalismo e i sacrifici umani, bollati come invenzioni dei funzionari coloniali per giustificare la "missione civilizzatrice" dell'invasore. Particolarmente istruttiva al riguardo è la storia dei ritrovamenti di Mesa Verde.

La storia ha degli antefatti: nelle caverne preistoriche francesi occupate dagli uomini di Neanderthal tra 100.000 e 120.000 anni fa, insieme ad ossa animali furono trovate ossa umane. Ma la cosa interessante era che le ossa umane recavano gli stessi identici segni di uso di uno strumento affilato, probabilmente un coltello di selce, per separare la carne commestibile dalle ossa di quelli rinvenuti sulle ossa di bisonte e di altri animali oggetto di caccia.

Negli anni Settanta, in un sito archeologico nei pressi di Mesa Verde, nel sudovest del Colorado, furono rinvenute ossa umane appartenenti ad indiani Anasazi, gli antenati delle tribù Hopi e Zuni. Il sito era stato occupato in un periodo databile tra il 1130 e il 1150 d. C., durante un ciclo climatico di estrema siccità. Un archeologo dell'Università del North Carolina a Chapel Hill pubblicò su un giornale accademico la notizia del ritrovamento dei resti umani di almeno 35 tra adulti e bambini, con le identiche tracce che rivelavano che erano stati uccisi e macellati per farne del cibo. In prossimità delle ossa erano stati trovati degli utensili di pietra su cui le analisi confermarono la presenza di sangue umano. Un vaso di ceramica dello stesso sito conteneva quelli che furono identificati come tessuti umani. Nonostante questo, la maggioranza degli antropologi continuò a contestare la versione dell'omicidio cannibalistico e a sostenere ostinatamente che i tagli sulle ossa fossero stati causati da abrasione geologica o da animali selvatici. Fino al momento in cui fu scoperto un coprolito (escremento fossile) che gli esami biochimici confermarono contenere tracce di proteine umane digerite. A quanto pareva, dopo che sette persone del gruppo dei prigionieri furono macellate, cotte e mangiate in una angusta stanza sotterranea, uno di coloro che avevano partecipato al banchetto si accovacciò sul pavimento della stanza e defecò. Questo troncò ogni polemica: la mioglobina dei muscoli umani non poteva essere entrata nell'apparato digerente dell'individuo in questione se non per via di ingestione, visto che altri test mostrarono che lo stomaco non aveva ricevuto altri pasti nelle precedenti diciotto ore.

Qualche volta gli archeologi non possono voltare la testa dall'altra parte, come molti di loro desidererebbero.

 

 

un buddhismo pacifico sempre e ovunque?

 

Gli studiosi di storia delle religioni asiatiche sono divenuti sempre più consapevoli, nell'ultimo decennio, del fatto che anche religioni come il buddhismo, se poste in contesti storici e sociali particolari, possono incorporare forme estreme di violenza ritualizzata.

A partire dal 1970, anno in cui Paul Demiéville, in una raccolta di articoli sul buddhismo pubblicata dalla prestigiosa Editrice Brill, scrisse un saggio su "Le bouddhisme et la guerre", erano apparsi sporadicamente articoli e libri che avevano iniziato ad esplorare con cautela il tema della violenza nel buddhismo, ma si erano solo limitati a porre le premesse per un lavoro ancora tutto da fare. Nel 1999 Robert Linrothe pubblicò il suo pionieristico Ruthless Compassion: Wrathful Deities in Early Indo-Tibetan Esoteric Tradition. Nel 2010 compare Buddhist Warfare di Jerryson e Juergensmeyer; nel 2006 Zimmerman, Hui Ho e Pierce pubblicano Buddhism and violence, dove, accanto alla retorica buddhista del suicidio si tenta di esplorare, sia pure nel quadro di una trattazione eterogenea, il tema dell'omicidio nel buddhismo tibetano.

A nessuno può sfuggire, in riferimento al buddhismo, l'ossimoro insito nella definizione di "monaco guerriero". Non erano ignoti i collegamenti tra il buddhismo zen in Giappone e quella che doveva divenire l'etica del samurai degli eserciti feudali giapponesi, il bushido. Parecchi monasteri dell'Asia dell'est, in particolare Cina, Corea e Giappone, impiegavano monaci guerrieri, molti dei quali altamente addestrati, per la protezione del monastero e per garantire il rispetto dei suoi diritti politici ed economici. A differenza di ordini monastici come i Templari in Occidente, che proteggevano la cristianità da pericoli esterni, essi erano impiegati nelle guerre tra monasteri per questioni di dottrina e di difesa dei diritti. Già presenti in epoca pre-moderna, in epoca moderna queste guerre tra monasteri divennero numerose e di estrema violenza, specie in periodi in cui una autorità centrale era assente o debole.

Nel Giappone medievale è ben nota e studiata la figura dei sohei o monaci-guerrieri, detti anche "gli artigli e le zanne del Buddha", che avevano incarnato una lunga tradizione di violenza settaria tra monasteri e giocato una parte importante nelle rivalità tra i signori locali.

La pratica della auto-immolazione violenta, che gettò il mondo in stato di shock con le immagini del monaco vietnamita Thich Quang Duc in fiamme dopo essersi cosparso di benzina nella piazza centrale di Saigon, l'11 giugno 1963, rientrano in una tradizione buddhista di suicidio rituale per mezzo del fuoco di cui si trovano tracce storiche a partire dalla cina del IV secolo dell'era volgare, e le cui radici lontane possono essere ricondotte alle origini del buddhismo Mahayana.

La prima delle sei perfezioni del bodhisattva, il dana o virtù del dare, riecheggia il termine dana con cui è noto il sacrificio vedico. In alcune cronache, il bodhisattva si auto-mutila (si cava gli occhi per darli ad un mendicante cieco) o auto-immola (si dà in pasto ad una tigre affamata che ha dei piccoli da nutrire) a beneficio di altri esseri viventi.

Altri tipi di riti violenti di auto-liberazione non sono sconosciuti al buddhismo. All'inizio del 2015 ha destato scalpore la scoperta, entro una statua cinese di buddha di legno, carta e lacca, custodita presso il Drents Museum di Assen, in Olanda, del cadavere di un monaco assiso nella posizione del loto. Il procedimento per cui i monaci si facevano sigillare vivi entro statue è noto e descritto in un antico documento cinese: allo scopo di prepararsi alla morte per auto-imbalsamazione, per i primi 1000 giorni il monaco cessava di assumere cibo al difuori di noci, semi, frutta, bacche, e si stremava con esercizi fisici allo scopo di consumare tutto il grasso corporeo. Poi, per i successivi mille giorni, il cibo veniva ulteriormente ridotto, e consisteva solo di corteccia d'albero e radici. Al termine di questo secondo periodo il monaco beveva un decotto velenoso ottenuto col midollo dell'albero di Urushi, che causava vomito e veloce perdita dei fluidi corporei, fungendo anche da agente antisettico contro insetti e batteri che avrebbero potuto attaccare il cadavere dopo la morte. Finalmente dopo sei anni di questi impressionanti preparativi, il monaco si faceva sigillare in un sarcofago poco più largo del suo corpo, ed entrava in uno stato meditativo che sarebbe durato fino alla sua morte per inedia. Seduto nella posizione del loto, egli disponeva di un tubo per l'aria e di una campanella. Ogni giorno avrebbe suonato la campanella per segnalare che era ancora vivo. Quando la campanella avesse smesso di suonare, il tubo per l'aria sarebbe stato rimosso e il cadavere sarebbe stato definitivamente sigillato nel suo involucro.

Cronache cinesi e giapponesi riportano che centinaia di aspiranti suicidi per auto-mummuficazione tentarono il procedimento, e almeno dodici di loro sono conosciuti per aver raggiunto lo scopo e sono conservati in statue-sarcofago.

 

 

e in tibet? una storia che parte dai tantra

 

Ci si poteva chiedere a questo punto se in un contesto selvaggio, isolato e semicivilizzato come il Tibet medievale questi semi di violenza, che erano germogliati persino in paesi asiatici di antica civiltà non avessero generato dei frutti analoghi. Ed in effetti, come vedremo, è stato proprio così. Ma per poter capire come questo sia potuto avvenire dobbiamo ripercorrere il cammino che il buddhismo ha fatto prima di penetrare in questo paese, e parlare del tantrismo.

Il tantrismo, un insieme di testi, idee religiose, pratiche magiche e meditative e riti centrati sul culto della Shakti, la sposa o aspetto femminile di Shiva, la divina energia che sostiene il macrocosmo e che il praticante cerca di canalizzare nel microcosmo rappresentato dal suo corpo, si è sviluppato in India a partire dal V secolo d.C. ed ha rappresentato un fenomeno pan-religioso indiano, che ha investito sia l'induismo tradizionale, dando origine allo shivaismo tantrico, allo shaktismo e al visnuismo Pancharatra, sia il Buddhismo Mahayana, all'epoca prevalente in India rispetto al Buddhismo Hinayana tipico delle scuole del sud (Birmania, Ceylon, Siam). Il Buddhismo tantrico vide la luce a metà del settimo secolo e i principali testi tantrici apparvero nell'India settentrionale nel settimo e ottavo secolo. Essi proclamavano di avere la stessa autorità e provenienza dei sutras del Canone Pali, cioè di essere la parola del Buddha, ma dei Buddha metafisici Vajrasattva, Vajradhara, Vajrapani o di altri Buddha cosmici.

E' nella sua forma tantrica, col nome di Vajrayana ("veicolo del diamante" o "veicolo della folgore") che il Buddhismo penetrò in Tibet.

I tantrikas, coloro che praticavano il tantrismo, erano circondati, in India e in Tibet, da un alone di fosche leggende, che parlavano di riti magici, di pratiche orgiastiche, di riti necromantici celebrati nei cimiteri, con utilizzo di fluidi ed escrezioni corporee come urina, seme, feci. Molti di essi dimoravano nei cimiteri, tra i cadaveri e gli avvoltoi e gli sciacalli che se ne nutrivano. Il famoso maestro Mahayana Atisa dice con disprezzo che la loro dieta "era quella di un macellaio: carne, alcol e aglio".

I tantrikas dell'India e del Tibet avevano una fama sinistra di adepti delle arti della magia nera. La stessa natura segreta degli insegnamenti, che si raccomandava di trasmettere con la massima cautela, contribuiva a proiettare una immagine misteriosa e inquietante. Gli abitanti dei villaggi e i Maharaja li chiamavano per effettuare riti di esorcismo, di divinazione e di morte contro i propri nemici. Non di rado questi riti venivano compiuti in effigie, ma grazie alla magia tantrica la coscienza della vittima veniva catturata nell'effigie con le arti della magia nera e il rituale portava alla morte o a gravi danni fisici e mentali per la persona in carne ed ossa. Fino a non molto tempo fa era estremamente dibattuto tra gli studiosi se questi riti di "liberazione" fossero praticati su persone reali.

I tantrici praticavano il rovesciamento dei principi: nel gruppo più tardo ed estremo delle opere tantriche indiane, i Mahayoga Tantras, la trasgressione tantrica raggiunge il suo zenith. Scritte nella seconda metà dell'ottavo secolo, vi si trova l'affermazione che nessuno può attingere lo stato di bodhisattva se non ha rinnegato i cinque precetti buddhisti dell'ahimsa ("astensione"): astensione dall'uccidere una creatura; astensione dal furto; astensione dai rapporti sessuali; astensione dalla falsa parola; astensione dalle bevande inebrianti.

La stragrande maggioranza di fonti storiche relative ai sacrifici umani in India in tempi moderni è legata ai culti tantrici, in particolare di divinità come Kali.

Già William Crooke, uno dei grandi conoscitori delle tradizioni viventi dell'India del suo tempo, nel suo Introduction to the Popular Religion and Folklore of Northern Indian del 1894 riportava uno schiacciante numero di citazioni testuali e di documenti etnografici che attestano la presenza di sacrifici umani in India, specialmente alla dea Durga (una delle incarnazioni di Kali) nelle sue varie forme e ai demoni e alle divinità locali che gli abitanti dei villaggi placavano con simili riti. In un libro successivo scrive: "Così diffusa è la memoria di queste pratiche, che quando gli ingegneri inglesi costruiscono un ponte o le strutture di un porto o altra opera civile, la popolazione locale è impaurita perché pensa che essi abbiano bisogno di procacciarsi vittime da sacrificare per i riti di fondazione, e la notte si chiude in casa ed evita di avvicinarsi ai cantieri".

Gli studiosi si sono ultimamente convinti che gran parte degli episodi documentati di uccisione rituale di persone in India sia da ricondurre a riti sacrificali legati al tantrismo, in particolare a quello predicato nei Mahayoga Tantras. Asko Parpola, professore emerito all'Università di Helsinki, esperto a livello mondiale della cultura della Civiltà della valle dell'Indo, facendo il punto della questione in una recente raccolta di articoli sul tema dei sacrifici cruenti nelle principali religioni, dopo una analisi attenta ed equilibrata delle fonti storiche e documentarie, afferma senza mezzi termini che "il sacrificio umano e il culto dei teschi si sono mantenuti fino all'epoca moderna ("to the present day") nell'India orientale, nella venerazione del Tantrismo Shakta per Durga, Kali e le divinità ad esse collegate".

 

 

il buddhismo tantrico arriva in tibet

 

Il Tibet medievale degli inizi del VII secolo, sebbene circondato da paesi buddhisti, in virtù del suo isolamento geografico, non conosceva praticamente il Buddhismo, che non vi fu ricevuto fino al 640 d. C. ad opera di Padmasambhava ed altri maestri tantrici.

Nel momento in cui Padmasambhava intraprendeva il suo viaggio missionario, il Tibet era all'apogeo della sua potenza politica e militare, con l'impero Pugyal, che durò dal VII al IX secolo. Mettendo in campo eserciti di 200.000 uomini, conquistò un territorio che si estendeva dai confini del Kashmir ad ovest ai bordi della regione cinese del Sichuan ad est, a nord fino alla regione degli Uighur e a sud fino a tutto il Nepal e ai confini dell'Assam. Pesanti sconfitte furono inflitte alla Cina della dinastia Tang, e l'imperatore si vide costretto a dare in sposa all'imperatore Songtsän Gampo una delle figlie, la principessa Wencheng. Successivamente Songtsän sposò anche la principessa nepalese Bhrikuti. La storia attribuisce proprio a queste due principesse, di fede buddhista, l'introduzione di questa religione nel paese. A questo scopo fu chiamato un famoso maestro indiano della setta tantrica Yogacara, Padmasambhava, che da Nalanda arrivò nel 747 in Tibet, e supervisionò la creazione di numerosi monasteri.

 

 

il "periodo della grande tenebra"

 

Il Tibet ricevette il Buddhismo in due ondate successive, separate da quella che i tibetani avrebbero definito in seguito "l'età oscura e tenebrosa dei demoni". Dopo la partenza di Padmasambhava, il cui soggiorno fu peraltro brevissimo (dodici anni), per un secolo e mezzo, dall'842 al 986 d.C., a seguito del collasso dell'impero Pugyal, il Paese piombò in un periodo di caos politico e religioso da cui non è sopravvissuto nessun documento scritto o cronaca orale. L'inizio di questo periodo è segnato da un evento catastrofico per le sorti della religione buddhista, che aggiunse al caos politico il caos religioso: il re Lang Darma rinnegò il buddhismo, riportò al potere i preti del culto sciamanico Bon e procedette a chiudere i monasteri e a perseguitare i monaci. Fu ucciso in modo violento da un tantrika, Lhalung Pelgyi Dorje, fatto che operò da elemento scatenante. Da quel momento la violenza eruppe incontrollata in Tibet, a tutti i livelli della società. In una cronaca del XII secolo, Il Pilastro del Testamento, questo periodo di oscurità viene descritto sotto forma di profezia apocalittica: "Entro tre generazioni giungerà un potere un re col nome di una Bestia. La legge del Dharma si estinguerà completamente… Tutto il popolo del Tibet, seguendo questo Re sarà destinato a finire nei più profondi inferni. Per più di un secolo non si udrà risuonare la retta parola. Il Paese verrà avvolto da un mantello di tenebra e così rimarrà per cinque generazioni, finché la scintilla del dharma non verrà riaccesa". Il periodo del grande buio veniva paragonato al periodo finale del Kaliyuga della tradizione indiana, tradizione che era conosciuta anche in Tibet

Fu un periodo di frammentazione feudale, in cui esplosero violentissime le faide, le guerre e le rivalità locali, feudali e religiose, che la corte Pugyal aveva sino a quel momento tenuto sotto controllo. L'ortodossia buddhista, su cui la corte aveva pure attentamente vigilato, svanì lasciando il posto alla completa anarchia religiosa e dottrinale. La chiusura dei monasteri vide il proliferare di monaci-maghi erranti che si insediavano nei villaggi, di innumerevoli comunità tantriche eretiche, di faide religiose. L'esercizio della violenza e della magia nera divennero non solo mezzi per conquistare ascendente sulla popolazione locale e guadagnare discepoli, ma anche strumenti per la sopravvivenza personale in periodi in cui la vita umana si era ridotta a valere molto poco.

Fu un periodo di profonda mutazione delle dottrine religiose ortodosse, in cui gli insegnamenti tantrici vennero sviluppati in modo autoctono e fusi con la religione Bon. Il buddhismo tibetano successivo, pur formalmente negandolo, risentirà profondamente degli sviluppi che si ebbero in questo periodo.

Laurence Austin Waddell, che citeremo ancora per il suo importante libro sul Buddhismo del Tibet, ci dà la misura della contaminazione del buddhismo tibetano con le tradizioni autoctone quando ci informa che, ancora al tempo in cui scrive (fine Ottocento) "ogni monastero ortodosso in Tibet - persino le sette riformate più rigoriste - ospita tra i suoi monaci uno stregone Bon che tiene nel massimo conto… Vicino Lahasa ci sono centri in cui i costoro insegnano ai monaci le loro arti… Si racconta che lo stesso Quinto Dalai Lama assunse uno di questi grandi stregoni al suo servizio e lo fece entrare nell'ordine".

Fu in questo contesto che le pratiche più oscure e tenebrose presero piede, tra cui la "cerimonia di liberazione" (sgrol ba) è l'esempio più impressionante di rituale violento incorporato entro un quadro buddhista.

 

 

il rito della "liberazione compassionevole" nelle dottrine buddhiste

 

Tra le idee che vennero sviluppate nel Buddhismo mahayana indiano c'è quella della "liberazione" degli esseri viventi, in particolare degli uomini con mezzi violenti: la cosiddetta "violenza compassionevole", incarnata in una particolare figura di Buddha, i Buddha heruka o Buddha vendicatori.

In una narrazione del canone Pali è raccontata la seguente storia. Il Buddha aveva lasciato i suoi monaci per un lungo periodo di ritiro e meditazione, e quelli, abbandonati a se stessi, cominciarono a sperimentare un intenso disgusto per l'impurità del proprio corpo. Pregarono un confratello, Migalandika, di ucciderli, liberandoli del peso della carne. Migalandika commette gli omicidi ma poi, all'atto di lavare il coltello nel fiume, sente rimorso per ciò che ha fatto; tuttavia una divinità della corte del demone Mara lo rassicura e incoraggia con queste parole: "Ciò che hai fatto è bene, o uomo santo. Hai acquistato gran merito liberando coloro che non erano ancora stati liberati dall'esistenza". Migalandika, ingannato da queste parole e perso ogni rimorso, si dà ad uccidere i propri compagni. Ben sessanta monaci ogni giorno per due intere settimane vengono sgozzati da lui. Il Buddha, finalmente di ritorno dal suo ritiro, chiede ad Ananda dove essi siano, e saputo ciò che è successo, riunisce i monaci e li rimprovera aspramente, dichiarando che il suicidio è vietato dalle regole del sentiero buddhista, esattamente come la soppressione di un qualsiasi altro essere vivente.

Ma nessun studioso nega che già nel buddhismo Mahayana è ammesso per un Bodhisattva trascendere ogni trasgressione morale purché mantenga il voto di agire disinteressatamente per la salvezza degli esseri. In questo caso l'uccisione di persone poteva essere giustificata. In un testo Mahayana è detto che Buddha, in una vita precedente, officiò un sacrificio umano di massa, e tuttavia rimase puro.

Questa etica della "uccisione compassionevole" è illustrata in un famoso testo Mahayana degli inizi dell'era volgare, l'Upayakausalya-Sutra,  dove un capitano che in realtà è un bodhisattva scopre sulla sua nave un rapinatore che progetta di uccidere tutti i passeggeri. Così facendo il rapinatore danneggerebbe il loro karma, e quindi il bodhisattva compie l'atto di uccidere ritualmente il rapinatore anche per evitare che il suo karma di macchi di un tale atto criminale.

Asanga, il grande monaco indiano del IV secolo, fondatore della scuola Mahayana cittamatra, che vuole rappresentare un temperamento della scuola Madyamika di Nagarjuna, dichiara che il bodhisattva può uccidere una persona per motivi compassionevoli, in particolare per prevenire il compimento da parte sua di atti che macchierebbero il suo karma e lo condannerebbero all'inferno.

Nel suo commentario al Yogacarabhumi, (Gli stadi della pratica Yoga) egli si spinge più in là in questa dialettica pericolosa, dichiarando espressamente che se uccidere con intento compassionevole è meritorio, non uccidere è in questi casi una mancanza, quindi un peccato che macchia il karma.

Queste concezioni vennero portate alle estreme conseguenze nel buddhismo tantrico. I Tantra, con la loro enfasi sui rituali di magia ed esorcismo, trassero semplicemente le logiche conseguenze di queste idee che al tempo del loro nascere "erano ampiamente accettate in seno al Buddhismo Mahayana esoterico" (parole di uno studioso).

Il Mahayoga Tantra afferma che, "puro di intenzioni e preoccupato unicamente del benessere di tutti gli esseri, il bodhisattva può uccidere per ridurre la sofferenza del mondo".

Il "rito di liberazione" fa per la prima volta la sua comparsa in un testo tantrico del X secolo, l'unico conosciuto dedicato interamente al culgo della dea Kali, il Kalika Purana. Nel 1799 W. C. Blaquiere, un magistrato che lavorava a Calcutta, destò sensazione negli ambienti colti occidentali traducendo e pubblicando uno dei capitoli di questa opera, il Rudhiradhyaya o "Capitolo del sangue", che è l'unica descrizione nota anteriore ai ritrovamenti di Dunhuang di un rito di sacrificio tantrico umano reale in tutti i dettagli.

 

 

il mito del soggiogamento di rudra

 

Il modello per questa cerimonia di "liberazione" è fornito dal mito centrale dei testi tantrici, quello del soggiogamento del demone Rudra ad opera dei Buddha vendicatori, a cui è ricollegata la stessa nascita dei Tantra. Essi sarebbero le scritture segrete che conferiscono ai seguaci del dharma i poteri necessari per contrastare Rudra e la sua coorte demoniaca nell'età del Kali-Yuga. E' per questo scopo che nel tempo del pericolo sono apparsi sulla Terra.

Presso la religione induista, Rudra (lett. "Urlatore") è una delle deità pre-vediche più antiche. Compare per la prima volta nel Rig Veda, in cui viene descritto come il Deva della tempesta, della caccia, della morte, della natura e del vento. Rudra è la forma primordiale di Śiva, l'aspetto divino preposto alla distruzione, ed è anche un nome di Śiva nello Śiva sahasranama (La ripetizione dei 1000 nomi di Śiva).

Il mito del soggiogamento di Rudra appare nel testo tantrico Sutra del Compendio delle Intenzioni, un testo fondamentale della scuola Nyingma, caratterizzata da una forte componente di magia e stregoneria.

Il mito descrive l'apparizione sulla Terra di un grande demone, Rudra o Mahesvara, detto anche il Nero Liberatore, che, a capo di una coorte di centomila spiriti malvagi, inflisse innumerevoli sofferenze all'umanità, perseguitò gli uomini retti che praticavano il dharma, e ne pervertì gli insegnamenti, minacciando l'estinzione della dottrina. L'assemblea dei bodhisattva decise allora di mandare sulla terra i terribili Buddha vendicatori (Buddha Heruka o sri Heruka). I Buddha apparvero essi stessi in forma demoniaca, attaccarono il castello di teschi in cui dimorava Rudra con la sua moglie-demone, circondato dai suoi accoliti, e in una terribile battaglia lo sconfissero, uccisero e risuscitarono come divinità al servizio del bene, col nome di "Signoria Nera" (Legden Nakpo) vincolandolo con un giuramento ad essere da allora in poi il protettore del buddhismo e il custode del dharma. Rudra, a sua volta, convocò la sua coorte di demoni e fece loro un discorso sulla retta via del dharma sulla quale essi avrebbero dovuto procedere, convertendoli.

 

 

il "rito di liberazione" (sgrol ba) nel tantrismo tibetano: fantasia o realtà?

 

La setta Gelukpa, a cui appartiene il Dalai Lama, è effettivamente quella che professa la maggiore aderenza agli insegnamenti del grande buddhismo mahayana classico, ma non è l'unica presente nel Tibet. Il buddhismo tibetano comprende come rami principali le sette Nyingma, Kargyu, Sakya (caratterizzate dall'abito rosso) e la setta Gelugpa, quella del Dalai Lama (caratterizzata dal vestito giallo), ma altre sette meno note sono nate e sparite nel corso dei secoli. Molti maestri sorsero e crearono le loro comunità tantriche.

Per capire quanto le pratiche e le idee delle altre sette del buddhismo tantrico tibetano possano differire da quella del Dalai Lama dobbiamo considerare come l'Età Oscura ebbe effetti devastanti sull'ortodossia del clero buddhista e sulla corretta trasmissione degli insegnamenti e dei precetti dell'Illuminato. Ne è prova eloquente un fatto riportato in una antica cronaca cinese: nel 1042 il re Jangchup Ö invitò il maestro indiano Atisa (982-1074) per ricevere i retti insegnamenti del Mahayana. Atisa, che promosse la rinascita del buddhismo e fondò la setta Kadampa, rimase sconvolto dalla bassa qualità delle fonti scritte di cui disponevano i monaci tibetani, e paragonò i lama che traducevano e insegnavano le scritture indiane a dei "cani". In realtà, ancora per lungo tempo dopo la fine dell'età oscura la confusione religiosa regnò nel Tibet.

Un'altra ondata di caos e di pratiche magiche investì il Tibet con l'inizio delle invasioni mongole, che durarono ad intervalli fino al XVII secolo. Nel 1642 il Tibet fu completamente conquistato e i Mongoli investirono il Dalai Lama della setta Gelukpa come supremo reggente, dando al Paese la struttura politica che è durata fino all'invasione cinese. Durante i periodi più convulsi e sanguinosi del conflitto, le pratiche tantriche riemersero con forza, e furono utilizzate su grande scala a scopo bellico, per annientare con la magia nera gli eserciti o i capi nemici.

Oltre a questi fattori negativi per la corretta trasmissione delle dottrine buddhiste, gli studiosi più recenti hanno individuato altri motivi per procedere con cautela quando si parla della "adesione del Tibet ad un buddhismo rigoroso". Il Tibet è, per sua natura geografica molto frammentato. Nelle selvagge e isolate regioni periferiche, fuori del controllo delle autorità civili e religiose centrali, per ammissione degli stessi tibetani, oscure pratiche tantriche e Bon perdurarono fino al 19° secolo.

 

 

le testimonianze storiche si accumulano

 

La serie di documenti di cui si parlerà alla fine di questa nota storica, è stata scoperta, pubblicata o tradotta solo in tempi recentissimi. Si tratta di documenti di tale importanza che "stanno rivoluzionando la nostra comprensione della storia religiosa dell'Asia" (Jacob Dalton, Università di Yale).

Tra di essi, in particolare, quelli scoperti nelle caverne dei mille Buddha, vicino a Dunhuang, hanno suscitato grande scalpore tra gli studiosi delle dottrine tantriche. Dopo più di un secolo di accanite dispute, è ormai dissipato ogni dubbio sulla realtà dei sacrifici umani da parte di alcune comunità tantriche del Tibet.

Già da tempo, per la verità, si era venuta accumulando al riguardo tutta una documentazione storica, relegata nelle note a pié di pagina nelle opere degli orientalisti o liquidata frettolosamente come innocuo folklore o invenzione di funzionari coloniali o di missionari protestanti, che qui di seguito viene sunteggiata.

Nell'età oscura del Tibet erano già comparsi numerosi scritti in cui si elencavano le cinque categorie di persone che potevano essere legittimamente eliminate. Queste categorie presto divennero dieci, quindici, moltiplicando il numero di casi in cui l'omicidio compassionevole era consentito. Le persone che secondo queste liste peccavano contro il karma erano preda dei demoni, demoni essi stessi, e quindi andavano trattati con gli stessi metodi che i Buddha vendicatori avevano utilizzato con Rudra: la morte violenta e liberatoria.

In un documento trovato nella caverna di Dunhuang è detto testualmente: "Riguardo l'attività della liberazione: ci sono cinque tipi di cause che possono giustificare questo tipo di rito: (1) Nei confronti di qualcuno che ha deprecato gli insegnamenti della via del Mahayana; (2) Nei confronti di qualcuo che insulta un uomo di nobile nascita; (3) Nei confronti di qualcuno che entra nell'ordine senza ricevere i sacramenti; (4) Nei confronti di chi professa una dottrina errata; (5) Nei confronti di chi costituisce un pericolo per la preservazione degli insegnamenti della via del Mahayana. La liberazione di tali esseri dovrebbe essere portata a termine come atto di grande compassione"

Si conoscono innumerevoli pitture, danze e rappresentazioni letterarie del rito di liberazione, anche se tutte parlano di "effigi" della persona da "liberare". Nondimeno, gli storici sanno molto bene che in molti casi l'impiego di una "effigie" è l'indizio di una evoluzione a partire da riti che venivano eseguiti sull'oggetto "reale".

In un'opera immediatamente successiva all'Età Oscura, La lampada per gli occhi in contemplazione, all'inizio del X secolo, il grande maestro tantrico Nupchen Sangye Yeshe, che ebbe fama di sommo esperto di magia nera, dichiara che, "in un'epoca come la nostra, piena di malfattori e di Signori crudeli e ingiusti, di monaci che hanno rinnegato i loro voti o pervertito la dottrina, la violenza e la liberazione dalla vita sono l'unico mezzo da utilizzare nei loro confronti".

Nel 1980 è stata scoperta una serie di editti emessi alla fine dell'XI secolo dall'imperatore tibetano Yeshe Ö per restaurare la religione e la legge nel paese, ed in essi parla esplicitamente delle pratiche della "liberazione dalla vita" (gson sgrol) di esseri umani che - dice l'editto - erano estremamente diffuse nel Paese e attivamente praticate dai tantrikas, gruppi di eretici tantrici.

A conferma di quanto descritto negli editti di Yeshe Ö, una cronaca poco nota del X secolo descrive come il Tibet, sotto il suo regno, venne gettato nel terrore dalle gesta dei "diciotto monaci-predoni". Si trattava di un gruppo di monaci tantrici, che aveva studiato sotto la guida del famigerato maestro indiano Prajnagupta, dediti alla magia nera con l'impiego di sacrifici umani. Essi rapivano le vittime, le legavano con paletti al rreno, e le sgozzavano in onore delle "Sette Madri-Demone", le daikini, a capo delle quali c'era la terribile demonessa nera Kongla-demo.

Nel 1895 il tenente del British Army in Asia Laurence Austin Waddell, durante il suo soggiorno ai in Sikkim, in una delle selvagge regioni di confine del Tibet, aveva pubblicato The Buddhism of Tibet or Lamaism, with its Mystic Cults, Symbolism and Mythology and in its relation to indian buddhism, dove si trovava un capitolo espressamente dedicato a "Sorcery and Necromancy". Nella prefazione egli afferma di essersi avvalso dell'opera di numerosi informatori e viaggiatori di tutte le regioni del Tibet, e non esita a dichiarare il Lamaismo "only thinly and imperfectly varnished over with Buddhist symbolism, beneath which the sinister growth of poly-demonist superstition darkly appears".

Proprio negli stessi anni il monaco buddhista Rigdzin Garwang, del monastero di Jamior Gön nella provincia di Nyarong, scrive un'opera sui Pericoli dei sacrifici di sangue, che conferma parola per parola le affermazioni di Austin Waddell. La provincia di Nyarong, esattamente come il confine settentrionale del Sikkim, in cui si trovava Waddell, era tra le regioni più remote e meno civilizzate, posta tra le montagne ai confini della Cina. Rigdzin Garwang denuncia la straordinaria diffusione dei sacrifici di sangue, alludendo anche a casi di rituali tantrici o Bon di sacrificio umano.

Le testimonianze di Waddell e di Rigdzin Garwang non sono isolate. I tibetani stessi erano consapevoli di questo stato di cose. Possiediamo numerose cronache tibetane che parlano di violenza e sacrifici di sangue, umani ed animali, nelle isolate regioni di confine, ben oltre il periodo dell'Età Oscura. Gli studiosi ammettono che le cronache cinesi che parlano della introduzione del buddhismo in queste zone intorno al XIV sono inaffidabili. Evidenze storiche inoppugnabili fissano l'inizio della conversione su larga scala delle regioni di confine del Tibet nel XVI e XVII secolo. In alcune regioni si succedettero ondate di propagazione missionaria del buddhismo e di ritorno in massa agli originari riti Bon, che dettero luogo ad oscure forme di sincretismo.

Il culto Bon, che in Tibet precedette l'avvento del buddhismo, ha lasciato numerose vestigia archeologiche di sacrifici di sangue. Sotto i caratteristici tumuli sacrificali sono state trovate ossa di animali di ogni tipo: cavalli, capre, cani, agnelli, e recentemente gli archeologi cinesi hanno reso noto di aver trovato evidenze inoppugnabili di sacrifici umani.

L'etnologa Mary Slusser ha compilato una lista di resoconti storici degli ultimi due secoli, inclusi i racconti di viaggio di numerosi viaggiatori occidentali, che attestano la pratica del sacrificio umano in Nepal, in particolare nella valle di Katmandu, durante tutto il diciottesimo e diciannovesimo secolo. In particolare viene riportata la testimonianza del famoso esploratore, zoologo e botanico Francis Hamilton, che soggiornò nel Bengala dal 1794 al 1815.

Nel 1949 il giornalista americano Lowell Thomas, mentre stava viaggiando in una località isolata e sinistra del Tibet centrale dovette fare sosta presso due stupa che vi erano stati eretti, perché gli uomini che lo accompagnavano potessero fare riti propiziatori ai demoni del luogo. "Il tempietto più grande, racconta Waddell, conteneva un'urna di rame. Gli uomini gli raccontarono che anni prima, durante la costruzione dello stupa, nell'urna fu versato il sangue di due bambini di otto anni, maschio e femmina, sacrificati ritualmente da un prete Bon, e i loro corpi furono posti all'interno del monumento"

 

 

due sconvolgenti ritrovamenti a dunhuang

 

Ma l'evento di gran lunga più importante per una revisione radicale dell'interpretazione di queste fonti è il caso della "caverna della biblioteca" di Dunhuang.

Nel 1907 l'esploratore inglese Sir Aurel Stein portò alla luce un grande deposito di manoscritti e pitture che era rimasto nascosto per quasi un millennio nelle caverne dei mille Buddha, vicino all’oasi di Dunhuang, lungo l'antica via della seta. Resosi conto dell'importanza enorme della scoperta, Stein caricò quanti più manoscritti poté su cammelli e riuscì a portarli a Londra. Pochi mesi dopo il sinologo francese Paul Pelliot, avendo udito del ritrovamento, organizzò una seconda spedizione alle caverne di Dunhuang e riportò indietro la maggior parte dei manoscritti rimasti. E' circa un secolo che questi manoscritti giacciono negletti in due collezioni, la collezione Stein presso la British Library di Londra e la collezione Pelliot alla Bibliothèque Nationale di Parigi. I rotoli sono scritti in una varietà di lingue - khotanese, tibetano, uighur, cinese, indiano - e solo di recente è iniziata la loro digitalizzazione e traduzione, che sta rivoluzionando la nostra comprensione della storia religiosa dell'Asia.

I documenti di Dunhuang confermano la presenza in Tibet di pratiche tantriche orgiastiche che prevedevano la consumazione di fluidi corporei. Altri testi descrivono in dettaglio la pratica di magia nera per vincolare un demone al proprio servizio, costringendolo ad ingerire il proprio seme per ottenerne lo stato di asservimento.

Ma la scoperta più sconvolgente riguarda ben due documenti, trascritti in un codice del decimo secolo, che espongono in dettaglio la cerimonia dell'assassinio rituale di un essere umano. Non ci possono essere equivoci circa il fatto che il rito non è effettuato "in effigie", sia perché si parla di un "corpo" e non di una immagine, sia perché si parla di emissione di sangue da parte della vittima e del suo cranio spaccato. Si tratta degli unici altri due documenti scoperti dopo la pubblicazione nel 1799 del Rudhiradhyaya o "capitolo del sangue" del Kalika Purana che descrivono un effettivo e reale sacrificio umano.

I documenti contengono passaggi oscuri e simbolici, destinati a trasmettere dettagli che avrebbero destato raccapriccio in un lettore ordinario, ma che un lettore esperto nelle conoscenze tantriche avrebbe facilmente decifrato ed eseguito, e che sono - come si vedrà - ancora più impressionanti della cerimonia in sé.

Per più di mille anni i manoscritti sono rimasti sepolti in una caverna, probabilmente nascosti da un gruppo di tantrikas che voleva sfuggire alla persecuzione delle autorità religiose o semplicemente mettere in salvo la propria biblioteca in un periodo di violenze in cui quasi ogni comunità monastica del Tibet era minacciata di estinzione fisica.

Entrambi i manoscritti di Dunhuang si rifanno direttamente e innegabilmente, come dimostra una analisi del linguaggio e dei simboli, alla più violenta e trasgressiva delle scritture tantriche indiane conosciute: il Guhyasamja Tantra, che fa parte dei famigerati e aborriti Mahayoga Tantras.

Questo rito fa parte della terza categoria dei riti tantrici previsti dal Mahayoga: esistono i riti di pacificazione, i riti di illuminazione, i riti di coercizione, e i riti di violenza. Questi ultimi devono essere compiuti contro persone, in effigie o in presenza reale, solo con lo scopo puro di giovare a tutti gli esseri. A questo fine il rito può essere legittimamente rivolto, prosegue il Mahayoga, "contro coloro che disprezzano la parola del Buddha e dei suoi legittimi interpreti; contro coloro che sono intimamente malvagi e pieni di odio, coloro che agiscono in modo da recare danno ai tre gioielli: il gioiello blu (il dharma), il gioiello giallo (il Buddha), il gioiello rosso (il Sangha); contro coloro che sono immorali o sofistici; contro coloro che recano danno ad un guru". "Questi riti", prosegue il Mahayoga, "recano il proprio massimo beneficio alla vittima, la cui cessazione dell'esistenza determina la cessazione del karma negativo, che tanto più ne beneficia quanto maggiori sono le sofferenze che le vengono inflitte nella cerimonia".

Il rito, ammoniscono i manoscritti di Dunhuang, è pericolosissimo, perché il minimo errore può avere effetti esattamente opposti, macchiare il karma e inviare in un ciclo infinito di reincarnazioni infernali sia la vittima che gli officianti. Essi saranno condannati a vagare senza fine per i reami del samsara.

Il manoscritto è datato intorno al X secolo, cioè nel pieno della "età tenebrosa" della storia del Tibet. Tra i motivi che ne hanno ritardato così a lungo la traduzione e divulgazione c'è anche il fatto che due delle parti - quella iniziale e finale - sono a Londra, mentre la parte intermedia è a Parigi.

Eccone di seguito la descrizione - piuttosto impressionante - come appare nei manoscritti segreti di Dunhuang.

 

 

la descrizione del rito

 

Un basso altare triangolare è elevato dopo la consacrazione del sito, e la vittima vi viene immobilizzata, con il volto rivolto ad occidente, la tradizionale direzione della terra celeste del Buddha Amitabha, a cui il rito farà giungere l'"oggetto di compassione" (così è chiamata nel testo la vittima).

Intorno all'altare viene tracciato un mandala speciale, il "mandala della giusta vendetta" con terra nera e cenere ricche di materie impure e fecali, prese da un cimitero. Fiori rossi e neri sono gettati su questa terra una volta che il mandala è completato. Tutti i partecipanti al rito indossano vesti rosse, il colore di Rudra, o blu, spruzzate di acqua o di sangue.

L'officiante procede a fare le "offerte minori" alle divinità (frutta e focacce) e vengono fatti potenti scongiuri e invocazioni per neutralizzare tutte le forze avverse che potrebbero provocare il fallimento del rito e per propiziare le forze favorevoli.

Poi tutti coloro che non hanno le qualifiche per partecipare al rito devono lasciare il luogo ove esso si svolge.

Viene tracciato un cerchio esterno. L'officiante sigilla lo spazio rituale rendendolo impervio alle forze demoniache con la visualizzazione di un padiglione di diamante indistruttibile che circonda l'altare e coloro che vi sono intorno. 

Danzando intorno all'altare e recitando dei mantra, l'officiante visualizza se stesso nella forma che il Buddha Heruka assunse per combattere il demone Rudra: un corpo mostruoso di colore viola, coperto da una pelle umana, con enormi ali nere, tre volti terrificanti e sei terribili arti, ciascuno recante un'arma micidiale, che si erge su una immensa pila di carni semidivorate e putrefatte.

Nella sua mente discende allora uno stato di furia violenta, la furia dello sri heruka, nel quale dovrà compiere il rito. Il suo occhio destro è il sole che incenerisce, il suo occhio sinistro è la luna da cui sgorgano le acque dell'apocalisse, la sua risata satanica distrugge qualsiasi carne che sia manifestazione di un karma impuro. Entrando nello stato di giusta ira per i peccati altrui, in particolare della vittima, e di compassione per il suo stato miserabile, egli purifica la sua intenzione ed evita conseguenze karmiche negative che potrebbero venirgli dall'atto sacrificale: tutto ciò che farà sarà giusto e puro, compiuto con retta intenzione.

La vittima da purificare, piena di peccati e preda dei demoni, viene visualizzata/assimilata al demone Rudra, che il Buddha Heruka uccise in modo violento e fece risorgere come Bodhisattva.

Poi l'officiante invita le sette madri demoniache, le daikini o sette potenti raksas, dette anche sette sorelle a manifestarsi e prendere parte al rito.

A loro volta, coloro che assistono al rito si assiedono ai margini del mandala, vestiti con vesti tinte di rosso e spruzzate di acqua o sangue, e visualizzano se stessi nella forma delle sette madri: Kundrakma, la demonessa nera che è il loro capo, Kuntu Zang, la bianca, Kunselma e Yeshe Chok, dal colore pallido della carne fatta a pezzi, Dronma, di colore giallo, O Chakma, di colore rosso, Yudronma, di colore blu. Essi impersonano la coorte delle divinità avide di sangue tenute a bada da potenti giuramenti fatti al momento della soggezione di Rudra, ma autorizzate a banchettare col corpo del sacrificato, in quanto impuro e peccatore.

Officiante e partecipanti recitano all'unisono il mantra "om-rulu-rulu-hum-bhyo-hana-hana-hum-phat".

Le aperture corporee della vittima sono sigillate con segni magici tracciati con una pasta di semi velenosi e di mostarda bianca, e su di esse l'officiante, per impedire che l'anima, al momento del sacrificio, sfugga verso reincarnazioni inferiori e garantire la sua "liberazione", pronuncia e visualizza cinque sillabe mistiche: la sillaba "om" sulla testa; la sillaba "hrih" sulla lingua; la sillaba "hum" sul cuore, la sillaba "d-rang" sulle parti impure; la sillaba "a" sulla pianta dei piedi. Questo ha anche la funzione di impedire alla vittima di reincarnarsi e vendicarsi di coloro che l'hanno uccisa.

Il sigillo delle aperture - viene detto in uno dei due manoscritti di Dunhuang - può anche avvenire mediante attività sessuale sul corpo dell'"oggetto di compassione", penetrandole o eiaculandovi. Questo consente all'officiante di attingere allo stato di "suksma vajra" o "stato del vajra sottile", che è lo stato necessario per effettuare il rito.

Talvolta viene nominato il nome del ricco benefattore della setta, i cui desideri saranno esauditi dal rito di liberazione.

Avendo così purficato l’oggetto di compassione, poco prima dell'uccisione viene visualizzato sopra la testa della vittima un pugnale tantrico di colore blu scuro, il vajra, l'arma simbolica del sacrificio, e viene pronunciata la sillaba "krong", che attiva l'arma e la rende capace di tagliare la vittima in mille pezzi (dissolvere la sua realtà corporea e karmica). L'ultima visualizzazione è quella di Kalaratri, la "Signora della morte", la dea nera con i capelli impastati di sangue, che brandisce un'ascia, assisa sulla gola della vittima.

Immaginando di brandire l'ascia della dea, che dà al suo braccio armato per il sacrificio "la potenza di mille lame", recitando il mantra segreto della distruzione e della liberazione, omesso nel testo (probabilmente era trasmesso oralmente) l'officiante procede quindi alla decapitazione. Viene usata un'ascia con la lama di ferro, materiale collegato all'elemento demoniaco, o un kartari, un grande coltello rituale a forma di mezzaluna con l'impugnatura posta nel mezzo della concavità opposta alla convessità del taglio.

Secondo una pratica comune nei sacrifici animali in India e Nepal, le arterie recise vengono immediatamente bloccate, poi riaperte in modo che il sangue irrori le labbra del Buddha (impersonato dall'officiante) e delle divinità demoniache soggiogate della corte di Rudra (impersonate dagli astanti assisi ai margini del mandala sacro). In un altro passo è detto che "la irrequieta mente (citti) del sacrificato è l'offerta sacrificale per le divinità".

Il sangue viene ingerito dai partecipanti al rito o posto sulle loro labbra, una pratica attestata in Tibet già dal tempo della stele del tempio di Jockhang, che riporta il trattato sino-tibetano dell'821 e il rito che lo accompagnò, officiato dai preti dell'imperatore tibetano Trisong Detsen.

Sul piano rituale, col sangue fuoriesce lo spirito della vittima, che con questo si identifica, e che viene ritualmente ingerito nello "stomaco di diamante delle divinità" ed "espulso dall'apertura mistica alla sommità del loro capo nel paradiso del Buddha Amitabha". In tal modo l'officiante ha aiutato la vittima ad eseguire il rituale di liberazione pho ba, di espulsione dell'anima in paradiso dalla sommità del capo, che i monaci Vajirayana eseguono al momento della propria morte. La testa viene scagliata violentemente nel mandala come una sorta di offerta, e la posizione che assume serve a divinare la buona riuscita del rito. Se la testa si spacca e il cervello fuoriesce dal cranio, oppure essa non cessa di tremare a lungo, si ha il segno più fausto, le divinità del mandala hanno gradito l'offerta e la vittima è stata "liberata" e si trova nella terra dei Bodhisattva. Al culmine della cerimonia viene recitato il mantra segreto del Buddha vendicatore: "om rulu rulu hum hana hana hum phat".

Seguono a questo punto le istruzioni, che qui non sono riportate, per le operazioni di conclusione del rito.