I N F E R N O |
Le
mura di pietra del castello di Kilburn erano ancora avvolte nell'oscurità.
Nell'aria nebbiosa si intravedeva soltanto il bagliore dorato delle finestre.
Judson Freeman e Peter Reynolds risalivano il brullo versante del Beinn Dearg. Raggiunto
il crinale della montagna, si fermarono e spensero le torce. Si misero in
ascolto. Erano le cinque del mattino e le prime luci dell'alba rischiaravano il
cielo a oriente; di lì a poco avrebbero potuto sentire il bramito dei cervi.
Nessuno
dei due parlava. Il vento appianava l'erba e fischiava tra le rocce. Erano gli
unici rumori.
"Siamo
in anticipo" disse Freeman.
"Forse"
mormorò Reynolds.
Rimasero
in attesa. La debole luce grigia delineava il profilo dei Monti Grampiani e
velava l'orizzonte di una coltre malinconica. Lentamente, il paesaggio prese
forma. Si erano lasciati alle spalle il capanno da caccia e il castello, con i
suoi bastioni e le sue torri di pietra chiazzate di umidità, e la foresta di
abeti neri, imponenti e silenziosi. Davanti a loro si ergeva la mole granitica
del Beinn Dearg, ancora avvolta dal buio. Un ruscello scorreva lungo il fianco
della montagna, creando una serie di cascatelle prima di gettarsi nelle acque
scure del Loch Duin, trecento metri più in basso, appena visibile nell'incerto
chiarore dell'alba. Sulla destra si stendeva la grande brughiera della
Foulmire, da cui si levavano banchi di nebbia. Tutt'attorno, un tenue odore di
decomposizione: i vapori della palude mescolati al profumo dolciastro
dell'erica sfiorita.
Senza
dire una parola, Reynolds si rimise il fucile in spalla e si avviò lungo il
costone roccioso. Freeman lo seguì, l'espressione cupa e imperscrutabile.
Mentre continuavano a salire, il panorama si aprì davanti a loro. La brughiera
insidiosa si estendeva fino all'orizzonte, delimitata a ovest dalle acque vaste
e immobili della palude di Inish.
Dopo
qualche minuto, Reynolds si fermò e alzò una mano.
"Cosa
c'è?" chiese Freeman.
A
rispondere non fu Reynolds, ma una strana eco, antica e spaventosa, proveniente
da un burrone nascosto: il bramito del cervo rosso. Il richiamo dell'animale
vibrava potente e risuonava tra le montagne e le paludi come il lamento di
un'anima dannata. In quel grido c'erano rabbia e aggressività. Nella stagione
degli amori i maschi adulti presidiavano le alture e la brughiera ingaggiando
lotte feroci, spesso mortali, per il possesso di un branco di femmine.
Al
primo bramito ne seguì un secondo, più vicino, che sembrava sprigionato dalle
rive del loch; poco dopo da un
avvallamento lontano se ne levò un terzo, dando vita a un coro primordiale che
fece vibrare l'intera brughiera. I due uomini ascoltavano, attenti ad ogni
suono, di cui rilevavano la direzione, il timbro, il vigore.
Infine
Freeman parlò. La sua voce si udiva appena nell'ululato del vento. "Quello
nel burrone dev'essere enorme."
Reynolds
non rispose.
"Proviamo
ad avvicinarlo."
"L'esemplare
nella palude" mormorò Reynolds "è ancora più grande."
Silenzio.
"Il regolamento sulla caccia nella palude è piuttosto severo, dovresti
saperlo."
Reynolds
scrollò le spalle. "Io non mi sono mai curato molto delle regole. E
tu?"
Freeman
non aprì bocca.
Attesero.
L'alba
grigia iniziava a tingersi di rosso e la luce rischiarava il paesaggio aspro
delle Highlands. Molto più in basso, la palude appariva ora come una terra
desolata di pozzanghere nere e lingue di fango, con i pantani tremuli e rigonfi
intervallati da prati ingannevoli e colline rocciose. Reynolds estrasse di
tasca un piccolo cannocchiale. Dopo aver perlustrato la zona lo passò a
Freeman. "E' tra la seconda e la terza collina, a circa ottocento metri.
Un maschio solitario. Niente femmine."
Freeman
scrutò con attenzione. "Ha dei palchi a dodici punte, direi."
"Tredici"
precisò Reynolds.
"Quello
nel burrone sarebbe molto più facile da avvicinare e avremmo una copertura
migliore. Sarà dura abbattere quello nella palude: già andare laggiù è un
grosso rischio, e poi si accorgerebbe di noi a un chilometro di distanza."
"Basterà
tenersi al riparo della seconda collina. Abbiamo il vento a favore."
"E'
un terreno insidioso, comunque."
Reynolds
si voltò verso Freeman e per qualche momento imbarazzante fissò il suo viso.
"Hai paura, Judson?"
Freeman,
colto di sorpresa, replicò con una risata forzata. "No di certo! Penso
soltanto che abbiamo ben poche probabilità di successo. Perché sprecare tempo
in un inutile inseguimento nella palude, quando c'è una preda altrettanto buona
nel burrone?"
Reynolds
si frugò nella tasca e tirò fuori una moneta da una sterlina. "Testa o
croce?"
"Testa"
rispose Freeman riluttante.
Reynolds
lanciò in aria la moneta. La riprese al
volo e se la appoggiò sul dorso della mano. "Croce. Il primo tiro è
mio."
Iniziò
a scendere lungo il versante del Beinn Dearg. Non c'era un vero sentiero, solo
pietre sconnesse, erba, fiori selvatici e licheni. La nebbia aleggiava sulla
pianura, lambendo le colline e le vette rocciose.
Si
avvicinarono al limitare della palude, silenziosi e furtivi. Raggiunto un
piccolo avvallamento alla base del Beinn Dearg, Reynolds fece cenno al compagno
di fermarsi. I sensi del cervo rosso sono acutissimi, quindi dovevano essere
estremamente cauti per non essere visti, sentiti, e soprattutto tenersi
sottovento perché l'animale non avvertisse il loro odore.
Reynolds
strisciò fino al ciglio della valletta e guardò oltre.
La
loro preda si trovava a circa novecento metri di distanza e si muoveva lenta
verso l'acqua. Come se avesse avvertito qualcosa, fiutò l'aria ed emise un
altro bramito poderoso, che echeggiò tra le rocce, poi scosse la testa, tornò
ad annusare il terreno e strappò un ciuffo d'erba.
"Dio
mio" sussurrò Freeman. "E' enorme."
"Dobbiamo
muoverci" bisbigliò Reynolds in risposta. "Si sta inoltrando nella
palude."
Un
debole clic risuonò nell'aria carica
di umidità.
"Cristo"
sibilò Freeman. Aprì l'otturatore con uno scatto, estraendo il proiettile
difettoso e inserendone uno nuovo.
Clic.
In
un lampo Reynolds balzò in piedi, raccolse il fucile e lo puntò contro Freeman.
"Mi dispiace, ma ho dovuto manomettere le tue munizioni. Così il cerchio
si chiude: tu hai fatto morire Helen a causa di freni difettosi e ora morirai a
causa di una munizione difettosa."
Freeman
faceva scattare l'otturatore in continuazione, espellendo freneticamente i
proiettili difettosi con una mano mentre con l'altra frugava nella borsa da
caccia, prendendo nuove munizioni.
"Non
fare un altro gesto" lo avvertì Reynolds.
Ignorandolo,
Freeman tolse dal caricatore l'ultimo proiettile e lo sostituì con uno nuovo,
poi riportò l'otturatore al suo posto.
"D'accordo.
Questo è per Helen." Reynolds premette un grilletto.
Invece
dello sparo si udì un rumore sordo.
Capì
troppo tardi che l'altro aveva fatto lo stesso col suo fucile. Cercò subito
riparo tuffandosi dietro alcune rocce affioranti dal terreno mentre Freeman
sparava, ma fu troppo lento. Il colpo lo prese tra le scapole e lo scaraventò
contro il masso, che si chiazzò di rosso.
Agonizzante,
Reynolds, rivide in un lampo il suo passato. Il matrimonio con Helen, lei che
lo raggiungeva lungo la navata, vestita di bianco ed emozionata. La loro breve
felicità. Poi il tradimento. La morte della moglie in una sera di inverno, precipitata
da un tornante battuto dalla pioggia lungo la strada che dalla baita di
Freeman, dove aveva incontrato il suo amante, scendeva a valle per immettersi
nella superstrada per Smithfield, dove abitavano.
Rivide
il funerale, le ipocrite condoglianze dell'amico, uno scapolo che passava indifferente
da una conquista ad un'altra. La scoperta delle chiamate di Helen a Reynolds, i
suoi messaggi.
Rivisse
il trasformarsi del dolore in rabbia omicida, l'accurata pianificazione del
delitto, l'invito ad una settimana di caccia nelle Highlands.
Ma
vide anche dell'altro, un attimo prima di cadere nel buio urlando di orrore e
disperazione.
Seppe
di essere stato condannato all'inferno, e seppe cos'era l'inferno.
Era
già morto un numero infinito di volte. Un numero infinito di volte aveva
rivissuto il film di quelle ultime ore sul Beinn Dearg. Un numero infinito di
volte l'avrebbe rivissuto, ancora e ancora e ancora, ogni volta fino al terribile momento
di consapevolezza finale.
Peter
Reynolds morì di nuovo, e tutto ricominciò.
Le mura di pietra del castello di Kilburn
erano ancora avvolte nell'oscurità. Nell'aria nebbiosa si intravedeva soltanto
il bagliore dorato delle finestre. Judson Freeman e Peter Reynolds risalivano
il brullo versante del Beinn Dearg. Raggiunto il crinale della montagna, si fermarono
e spensero le torce. Si misero in ascolto. Erano le cinque del mattino e le prime
luci dell'alba rischiaravano il cielo a oriente; di lì a poco avrebbero potuto
sentire il bramito dei cervi…