H E G E L E M A R X |
IL PENSIERO ECONOMICO MARXISTA. LA DOTTRINA DEL
VALORE-LAVORO PRESSO GLI ECONOMISTI CLASSICI.
❍ Il profitto normale e
l'extraprofitto
❍ La teoria del valore di Adam
Smith
❍ La teoria del valore di Ricardo
❍ La teoria di Marx del
plusvalore
❍ La caduta del saggio di
profitto
❍ La crisi del capitalismo
secondo Marx
❍ Hegel è un filosofo idealista
❍ Ciò che è reale
e razionale e ciò che è razionale è reale
❍ L'idea di Hegel
(detta anche idea assoluta, assoluto, spirito, spirito del mondo, ecc.)
❍ L 'evoluzione dialettica.
Il progresso storico
❍ Lo statalismo
hegeliano. Il rapporto tra l'uomo e la società
❍ Marx lesse Feuerbach con
entusiasmo
❍ Trasformazione
della teologia in antropologia
❍ La dottrina morale di Feuerbach
MARX: IL
PENSIERO FILOSOFICO DI KARL MARX
❍ I rovesciamenti
di pensiero marxisti rispetto al pensiero borghese
❍ L'essenza umana è
storicamente e socialmente determinata (carattere sociale dell'uomo)
❍ L'uomo e il lavoro. I
rapporti di produzione
❍ La sovrastruttura. Gli
ideologi attivi
❍ I capisaldi
dell'antropologia marxista
❍ Il progresso storico. La
storia
❍ L'alienazione
dell'uomo: l’alienazione dell’uomo in dio
❍ L’alienazione dell’uomo:
alienazione del lavoro
❍ L’alienazione
dell’uomo: alienazione del capitalista
❍ L’alienazione
dell’uomo: alienazione del genere umano
❍ L’alienazione
dell’uomo; l'uomo è un essere materiale
IL PENSIERO ECONOMICO MARXISTA. LA DOTTRINA DEL
VALORE-LAVORO PRESSO GLI ECONOMISTI CLASSICI.
Plusvalore =
Ricavi-Costi-Profitto normale = Extraprofitto
L'insieme dei salari più il
profitto normale rappresenta solo una parte del valore delle merci. La differenza
viene chiamata plusvalore, che spetterebbe ai lavoratori, ma di cui si
appropriano gli imprenditori come "extraprofitto". E' giusto che
l'imprenditore si appropri del profitto normale
❍ IL PROFITTO NORMALE E
L'EXTRAPROFITTO.
Cos'è il "profitto
normale"?
E' il compenso che spetta
all'imprenditore per i fattori produttivi di sua proprietà che egli impiega
nell'impresa: infatti, impiegandoli nell'impresa egli subisce una perdita pari
a quanto avrebbe potuto guadagnare cedendone l'uso ad altre imprese.
L'imprenditore ha perciò
diritto:
● Alla
retribuzione del proprio lavoro (che potrebbe prestare alla dipendenza di
altri, percependo un compenso)
● Ad
un interesse per i beni di sua proprietà e i suoi capitali investiti
nell'impresa pari a quello che avrebbe se li desse a prestito ad altri
● Una
somma pari al canone di affitto che otterrebbe affittando l'edificio o il
terreno utilizzati nell'impresa, se questi sono di sua proprietà
● Nel
profitto normale è compreso anche un compenso per il rischio: nessuno
accetterebbe di rischiare i propri fattori produttivi (lavoro, capitali propri
ecc.) in una attività produttiva se potesse ricavare esattamente LO STESSO
guadagno cedendoli senza rischi ad altri (impiegandosi come dirigente presso
imprese altrui, dando in affitto i propri capitali ecc.).
Il profitto normale deve quindi
essere lievemente maggiore di quanto si guadagnerebbe cedendo ad altri i propri
fattori, per compensare i maggiori rischi dell'attività produttiva svolta in
proprio.
Il profitto normale è un
segnale molto importante per l'imprenditore: se egli si rende conto che il suo
profitto è inferiore al profitto normale egli chiude l'impresa: gli conviene
infatti dare in affitto i fattori che impiegava nell'impresa e cedere il suo
lavoro alle altre imprese, perché guadagnerebbe di più
Tutto il guadagno
dell'imprenditore oltre il profitto normale costituisce
l'"extraprofitto" o "surplus" (come lo chiama Marx).
In sintesi abbiamo il seguente
schema:
Ricavi delle vendite - Salari -
Rendite - Interessi = Profitto normale + Extraprofitto.
❍ LA TEORIA DEL VALORE DI ADAM
SMITH.
Gli economisti classici
(compreso Marx) si occuparono per primi del "problema del valore":
che cosa determina il valore di ogni bene? Chi o che cosa stabilisce quale
debba essere il prezzo di un prodotto? In che rapporto ciascun bene si scambia
con ciascun altro e che relazione esiste fra esso e il valore che vi assegna
ogni altro individuo?
Adam Smith (1723-1790)
distingue tre concetti: a) valore d'uso; b) valore di scambio; c) valore-lavoro
contenuto; d) valore-lavoro comandato.
Il valore d'uso dipende
dall'utilità del bene: tanto più alta è l'utilità, tanto più alto il valore
d'uso che un soggetto attribuisce ad un bene.
Il valore di scambio di un bene
è determinato invece dalla quantità di altri beni che si scambia con il bene
considerato.
In sostanza, il valore di
scambio è quel che gli economisti chiamano "prezzo relativo". Col
termine "prezzo relativo" si indica il prezzo di un bene in termini
di un altro bene, mentre con il termine "prezzo assoluto" si intende
il prezzo in moneta di un bene. Così, se il pane costa ha un prezzo assoluto di
£ 2000 al kg e la frutta ha un prezzo assoluto di £ 4000 al kg, diremo che il
prezzo relativo della frutta rispetto al pane è 2, mentre il prezzo relativo
del pane rispetto alla frutta è 1/2.
Il valore di scambio, a
differenza del valore d'uso, non è determinato dall'utilità del bene, ma dal
mercato su cui il bene si vende e nel quale si forma il prezzo del bene: tanto
più alto è il prezzo del bene in rapporto al prezzo degli altri beni, tanto più
grande è il valore di scambio.
Valore d'uso e valore di
scambio possono non coincidere. Esempi molto chiari sono quelli dell'acqua e
dei diamanti.
L'acqua ha un altissimo valore
d'uso, in quanto è indispensabile alla vita, ma ha un bassissimo valore di
scambio, in quanto viene ceduta ad un prezzo irrisorio.
I diamanti hanno un bassissimo
valore d'uso (essendo un bene voluttuario, a a cui si può facilmente rinunciare),
ma un altissimo valore di scambio, in quanto il loro prezzo è estremamente
elevato.
Ogni bene incorpora un
valore-lavoro corrispondente al numero di ore lavoro che sono state necessarie
per produrlo. Tale valore-lavoro viene chiamato "valore-lavoro contenuto".
Ad esempio, un paio di scarpe
incorpora: a) la quantità di lavoro che è stata necessaria all'allevatore per
allevare l'animale, macellarlo e conciarne la pelle; b) la quantità di lavoro
che è stata necessaria per fabbricare il martello e gli attrezzi del calzolaio;
c) la quantità di lavoro che è stata necessaria al calzolaio per produrre le
scarpe.
Come si vede, anche i beni
strumentali durevoli (attrezzi) e non durevoli (cuoio) utilizzati hanno un
valore lavoro: una parte del loro valore lavoro (corrispondente al logorio che
subiscono nel produrre il bene) è incorporata nel bene insieme al lavoro di
colui che lo produce.
Il "valore-lavoro
comandato" è invece il valore-lavoro della quantità di beni che si può
scambiare col bene considerato. Ad esempio, un paio di scarpe si scambia con
dieci panni di lana, il cui valore-lavoro contenuto è di 20 ore: il
valore-lavoro comandato delle scarpe è di 20 ore.
Non necessariamente
valore-lavoro contenuto e valore-lavoro comandato coincidono. E' possibile che
per produrre un paio di scarpe necessitino 10 ore lavoro e che le si possa
scambiare con panni di lana del valore di 20 ore lavoro.
E' ovvio che il valore di
scambio di un bene dipende direttamente dal valore-lavoro comandato e non dal
valore-lavoro contenuto.
Tuttavia, Smith pensa che
valore-lavoro contenuto e valore-lavoro comandato tendano a coincidere. Quindi,
in ultima analisi, il valore di scambio di un bene dipende dal valore-lavoro
contenuto.
Perché il valore-lavoro
contenuto e il valore-lavoro comandato tendono a coincidere?
Consideriamo ancora l'esempio
delle scarpe (valore-lavoro contenuto = 10) che si scambia con la lana
(valore-lavoro contenuto = 20): ben presto i produttori di lana si accorgeranno
che invece di impiegare 20 ore per produrre lana, possono impiegare 10 ore per
produrre scarpe e poi scambiarle con 20 ore di lana. Si avrà così uno
spostamento di fattori produttivi dalla produzione della lana alla produzione
delle scarpe. La produzione di lana aumenterà, mentre quella di scarpe diminuirà.
L'offerta di scarpe diverrà abbondante e il loro prezzo scenderà, mentre
l'offerta di lana diventerà scarsa, e il suo prezzo salirà. Questo farà sì che
un paio di scarpe si scambi con meno lana, e il processo proseguirà fino a
quando un paio di scarpe si scambierà esattamente con un numero di ore
equivalenti in termini di lana.
Ma, secondo Smith, la teoria
secondo cui valore-lavoro contenuto e valore-lavoro comandato coincidono non è
più vera in una economia capitalistica.
Infatti, in una economia capitalistica,
❍ LA TEORIA DEL VALORE DI RICARDO.
Possiamo usare i prezzi per
determinare il valore-lavoro o dobbiamo usare i salari?
Se il bene A costa £ 1000
mentre il bene B costa £ 2000, ma i salari pagati per la produzione di A sono
di £ 800, mentre i salari pagati per la produzione del bene B sono di £ 400,
diremo che il valore-lavoro di A è doppio di quello di B
(guardando i salari) o che il
valore-lavoro di B è doppio di quello di A (guardando i prezzi)?
Che rapporto c'è in una
economia capitalistica tra prezzi, valore-lavoro dei beni e salario pagato ai
lavoratori?
Ricardo, pur accettando la
teoria di Smith, chiarì il rapporto tra prezzo, valore-lavoro e salari, che
Smith non era riuscito a spiegare del tutto.
Ricardo chiarì un punto molto
importante: che il salario del lavoratore non è una misura del valore-lavoro
contenuto, e quindi del valore di scambio del bene: la misura più esatta del
valore-lavoro di un bene è data dal suo prezzo in rapporto ai prezzi degli
altri beni.
Se per produrre una unità di
bene A paghiamo ai lavoratori £ 1.000 (pari ad un'ora di lavoro), mentre per
produrre una unità del bene B paghiamo ai lavoratori £ 2.000 (pari a due ore di
lavoro), non possiamo concludere che il valore-lavoro del bene
B sia doppio di quello del bene
A.
Può capitare ad esempio che il
bene A sia prodotto usando semilavorati (beni strumentali non durevoli) in
quantità tripla di quella necessaria per produrre il bene B.
Supponiamo che i prezzi dei
beni strumentali rispecchino la quantità di ore lavoro contenute in tali beni.
Se il prezzo dei semilavorati usati per produrre il bene A è di £ 3000, mentre
il prezzo dei semilavorati usati per produrre il bene B è di £
1000 avremo che:
Valore-lavoro bene A =
1000/1000 + 3000/1000 = 4 ore-lavoro
Valore-lavoro bene B =
2000/1000 + 1000/1000 = 3 ore-lavoro
Come si vede, il prezzo di A (£
4.000) rispetto a B (£ 3.000) rispecchia il valore-lavoro dei beni, mentre il
salario pagato per produrre A (£ 1.000) rispetto al salario pagato per produrre
B (£ 2.000) non rispecchia il valore-lavoro dei beni.
Perciò Ricardo concluse che
mentre i prezzi (relativi) di mercato rispecchiano la proporzione di
valore-lavoro contenuta nei vari beni, i salari pagati non rispecchiano tale
proporzione.
Ma c'è anche un'altra ragione
per cui il salario dei lavoratori non rispecchia il valore-lavoro dei beni.
In realtà, i lavoratori debbono
cedere una parte del valore-lavoro che essi hanno contribuito ad incorporare nel
bene agli imprenditori.
Questa parte di valore-lavoro
viene poi spartita tra gli imprenditori (come "profitto") e i
proprietari delle risorse naturali (ad es. i proprietari dei terreni o delle
miniere o dei capannoni industriali utilizzati dagli imprenditori) (come
“rendita").
Riprendiamo l'esempio
precedente modificandone i dati:
● Bene
A
Prezzo del bene A: £ 4.000
Prezzo dei semilavorati: £
3.000
Salario dei lavoratori: £ 600
Profitto dell'imprenditore: £
200
Rendita del proprietario di
risorse naturali: £ 200
Ore lavoro incorporate nei
semilavorati impiegati: 3
Ore lavoro impiegate per
produrre il bene: 1
● Bene
B
Prezzo del bene B: £ 3.000
Prezzo dei semilavorati: £
1.000
Salario dei lavoratori: £ 1.800
Profitto dell'imprenditore: £
100
Rendita del proprietario di
risorse naturali: £ 100
Ore lavoro incorporate nei
semilavorati impiegati: 1
Ore lavoro impiegate per
produrre il bene: 2
In questo caso, il rapporto tra
i salari pagati per il bene A (£ 600) e i salari pagati per il bene B (£ 1800)
suggerisce addirittura che il valore-lavoro del bene A sia un terzo di quello
del bene B (rapporto 3 a 1), mentre invece sappiamo, guardando i prezzi, che il
rapporto tra valori-lavoro è di 4 a 3.
Concludendo, è molto importante
tenere a mente che per Ricardo i prezzi tendono a rispecchiare il valore-lavoro
dei beni.
Consideriamo il seguente
esempio:
● Bene
C
Ore-lavoro incorporate nei
semilavorati: 1
Ore-lavoro dei lavoratori: 1
Ore-lavoro complessive
incorporate dal bene C: 2
Prezzo: £ 1.000
● Bene
D
Ore-lavoro incorporate nei
semilavorati: 2
Ore-lavoro dei lavoratori: 2
Ore-lavoro complessive
incorporate dal bene D: 4
Prezzo: £ 1.000
In questa situazione, gli
imprenditori sono probabilmente invogliati ad abbandonare la produzione di D in
favore della produzione di C.
Infatti, producendo C
riuscirebbero a trattenere per sé una quota maggiore di profitto, in quanto
debbono pagare solo 1 ora lavoro e 1 ora di semilavorati.
Questo provocherebbe un aumento
della produzione di C e una diminuzione della produzione di D.
Il bene C diverrebbe più
abbondante e il suo prezzo diminuirebbe. Il bene D diverrebbe più scarso e il
suo prezzo aumenterebbe.
❍ LA TEORIA DI MARX DEL PLUSVALORE
.
Secondo Marx l'extraprofitto
degli imprenditori è un furto a danno dei lavoratori, perché non è giustificato
dal lavoro svolto dall'imprenditore o dal rischio che egli corre: infatti,
questi sono già compensati dal profitto normale, mentre l'extraprofitto o
surplus spetterebbe ai lavoratori.
Sulla base delle idee di Marx,
si possono fare due ragionamenti distinti per mostrare che i lavoratori vengono
privati di una parte di quanto loro dovuto a vantaggio degli imprenditori.
Primo ragionamento per
dimostrare l'ingiustizia della appropriazione del plusvalore da parte degli
imprenditori.
Se consideriamo il valore di un
prodotto, possiamo considerarlo composto dei seguenti elementi:
● Il
capitale costante
E' rappresentato dalle spese
per i fattori diversi dal lavoro: dai macchinari alle materie prime, alle spese
di impianto, amministrative e così via.
● Il
capitale variabile
E' rappresentato dai salari
pagati ai lavoratori
● Il
plusvalore
Rappresenta un furto ai danni
dei lavoratori, col pretesto che gli imprenditori hanno diritto ad un profitto.
Ma Marx nota che il profitto
degli imprenditori è già compreso nel capitale costante.
Pertanto il plusvalore
spetterebbe ai lavoratori.
Secondo ragionamento per
dimostrare l'ingiustizia dell'appropriazione del plusvalore ad opera degli
imprenditori.
In un processo produttivo,
secondo Marx, vanno compensati in modo eguale tutti i fattori produttivi che vi
hanno partecipato.
Dovranno pertanto essere
pagati:
● Una
rendita ai proprietari dei fattori naturali
● Un
interesse ai proprietari dei capitali
● Un
salario ai lavoratori
● Un
profitto agli imprenditori
Normalmente i proprietari dei
fattori naturali e dei capitali riescono a farsi compensare adeguatamente.
Anzi, secondo Marx e gli economisti classici, come abbiamo visto, i proprietari
dei fattori naturali riescono spesso ad ottenere più del dovuto.
Questi compensi aggiuntivi che
essi si procurano approfittando della scarsità dei loro fattori sono chiamati
"rendite di posizione" (Marx li chiama "rendite
parassitarie").
Gli imprenditori non possono
pertanto arricchirsi a danno dei capitalisti o dei proprietari delle risorse
naturali.
Gli unici soggetti sfruttabili
dagli imprenditori sono i lavoratori, che non si vedono riconosciuto un
adeguato compenso per la partecipazione alla attività produttiva.
Un lavoratore può essere
retribuito in base a due criteri molto diversi l'uno dall'altro:
● In
base al valore dei beni che ha prodotto
● In
base al prezzo che il mercato assegna alle sue ore-lavoro
In base al primo criterio (che
secondo Marx è l'unico giusto) l'imprenditore non dovrebbe trattenere che il
compenso per i propri fattori (profitto normale) e lasciare l'extraprofitto o
surplus ai lavoratori.
In base al secondo criterio il
lavoratore non viene trattato come un soggetto che ha gli stessi diritti degli
altri proprietari di fattori, ma come una merce molto abbondante e perciò poco
pagata, e l'imprenditore si appropria di quella parte del valore dei beni prodotti
che spetterebbe ai lavoratori oltre al salario di pura sussistenza.
La prova di questo, secondo
Marx, è la seguente: se sommiamo il valore di tutti i beni prodotti in un
sistema e lo confrontiamo con il complesso dei salari pagati ai lavoratori (il
cosiddetto "monte-salari"), scopriamo che con il monte-salari i
lavoratori non sono in grado di acquistare tutti i beni che hanno prodotto.
Per fare un esempio in cifre,
Marx scoprì che, in un sistema che produce beni per un valore complessivo di £
100, i compensi dei lavoratori ammontano normalmente a 50.
Come fa Marx a sostenere che
tutto il valore dei beni deve andare ai lavoratori? Si potrebbe obiettare che i
lavoratori non possono ricevere 100 perché una parte del valore del prodotto
deve compensare i capitalisti e i proprietari di risorse naturali.
Ma secondo Marx, i proprietari
di risorse naturali non svolgono materialmente alcun lavoro, e perciò non hanno
diritto ad alcun compenso: le risorse naturali dovrebbero appartenere alla
collettività, e in tal modo sparirebbe la rendita.
Per quanto riguarda i
capitalisti, secondo Marx i loro capitali provengono in gran parte dallo
sfruttamento dei lavoratori, oppure sono stati EREDITATI. Marx ritiene che non
esiste una ragione logica per cui i parenti del capitalista abbiano diritto ai
suoi capitali piuttosto che qualsiasi altro lavoratore. Anche tali risorse
dovrebbero quindi essere considerate guadagnate da tutta la collettività, e in
tal modo sparirebbe l'interesse.
Si potrebbe obiettare che ogni
imprenditore deve pagare i beni strumentali durevoli e non durevoli necessari
per la produzione. Ma se guardiamo il sistema economico nel suo complesso,
QUALSIASI bene risulta prodotto da lavoratori, quindi, se guardiamo al valore
di TUTTA la produzione di un paese, questo deve coincidere con i salari, mentre
in realtà ciò non avviene.
E il profitto normale
dell'imprenditore? Privato di capitali e di fattori naturali, l'imprenditore
parteciperebbe al processo produttivo unicamente col proprio lavoro, e quindi
viene considerato da Marx come un comune lavoratore, che ha diritto ad un
SALARIO in tutto simile a
quello degli altri lavoratori.
❍ LA CADUTA DEL SAGGIO DI
PROFITTO.
Nel valore del bene è
contenuto: a) il lavoro che è servito per fabbricare i macchinari impiegati; b)
il lavoro che viene pagato ai lavoratori; c) il plusvalore
L'imprenditore sostituisce
continuamente il lavoro umano con le macchine.
Giungerà alla fine ad una
situazione in cui governerà una fabbrica composta di sole macchine.
Ma non si può sfruttare una
fabbrica di pure macchine. In quel momento l'imprenditore guadagnerà solo il
profitto normale, senza extraprofitto, e quindi non avrà più interesse ad
investire in nuove attività produttive, preferendo impiegarsi presso altri
imprenditori (avrebbe infatti uno stipendio sicuro e meno rischi).
Ma in tal modo Marx dimostra
che l'avidità degli imprenditori condurrà il sistema economico all'arresto
dello sviluppo. Se invece le fabbriche fossero date in gestione e in proprietà
ai lavoratori o allo Stato, l'impulso a creare nuove imprese non si
arresterebbe, e il sistema economico si svilupperebbe senza interruzioni.
Esponiamo il ragionamento con
l'aiuto dei numeri e di semplici concetti economici.
Come abbiamo visto, si ha:
Valore della merce = Capitale
costante (C) + Capitale variabile (V) + Plusvalore (S) in simboli scriveremo:
Valore della merce = C + V + S
Definiamo "saggio di
profitto" SP il rapporto:
Il saggio di profitto è un
importante incentivo per l'imprenditore: più è alto il saggio di profitto,
maggiore è la percentuale di ciò che egli incassa come valore della merce che
va nelle sue tasche.
Il saggio di profitto equivale
matematicamente a:
Il valore è detto da Marx "saggio del
plusvalore" e rappresenta la
percentuale dei salari che gli
imprenditori riescono a "rubare" ai lavoratori.
Il valore è detto da Marx
"composizione organica del capitale"
ed è tanto più alto quanto
maggiori sono i compensi che l'imprenditore deve pagare per risorse naturali,
macchinari e altri fattori diversi dal lavoro.
Osservando la frazione che
esprime il valore del saggio di profitto, Marx si accorse che, con l'aumento
dell'impiego dei macchinari, sarebbe aumentato il rapporto C/V e ciò avrebbe
fatto diminuire il saggio di profitto SP:
Mano a mano che il saggio di
profitto diviene più basso, gli imprenditori sono sempre meno invogliati a
intraprendere nuove iniziative, e alla fine la produzione finirà per
ristagnare, e il sistema capitalistico si bloccherà.
❍ LA CRISI DEL CAPITALISMO SECONDO
MARX.
Abbiamo già visto che, a causa
della caduta del saggio di profitto, la produzione del sistema economico prima
o poi smetterà di crescere e in tal modo non potrà più far fronte all'aumento
della popolazione, che diverrà sempre più povera.
La differenza tra la ricchezza
dei capitalisti, che si accresce ad ogni ripetersi del processo produttivo,
grazie alla sottrazione del plusvalore a danno dei lavoratori, diverrà alla
fine talmente intollerabile da scatenare la rivoluzione.
Si verificherà un impoverimento
della stessa classe capitalistica. A poco a poco le imprese più forti e gli
eventi imprevedibili del mercato capitalistico (dove basta un mutamento dei
gusti dei consumatori per mandare in rovina interi settori produttivi)
elimineranno le imprese concorrenti.
La maggior parte dell'attuale
ceto imprenditoriale sarà perciò ridotta alla miseria, e si avrà quindi un
piccolissimo numero di soggetti ricchi a fronte della quasi totalità che vive
nella povertà. Non si potrà più illudere i lavoratori mostrando loro che è
possibile per tutti fare fortuna intraprendendo una attività imprenditoriale.
Questo innescherà la rivoluzione.
IL PENSIERO DI HEGEL
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
(Stuttgart 1770 - Berlino 1831) seguì in gioventù i corsi di filosofia e
teologia dell'Università di Tubinga. Fece poi il precettore in case private, il
pubblico funzionario e infine, nel 1805, divenne professore universitario,
prima a Jena e poi a Berlino, dove morì.
Hegel esponeva i suoi concetti
in modo così oscuro e involuto che non manca chi ha parlato di una malattia
nervosa.
Ecco un esempio del modo di
scrivere di Hegel (da non seguire nel tema di italiano...): "Il suono è
l'alternarsi del frazionamento specifico delle parti materiali; e della negazione
di quel frazionamento; - idealità soltanto astratta o, per così dire, soltanto
ideale, di tale specificità. Ma questo alternarsi è esso stesso immediatamente
la negazione della sussistenza materiale e specifica; e la negazione è quindi
l'idealità reale del peso specifico e della coesione: - il calore. Il
riscaldarsi dei corpi sonanti, come diquelli percossi, ed anche di quelli
soffregati l'un sull'altro, è il fenomeno del calore, che, in conformità del
concetto, nasce col suono".
Secondo il famoso filosofo Karl
Raimund Popper, a quanto pare Hegel voleva pressappoco dire che i fischietti
che emettono suono, al pari di altri strumenti musicali, si scaldano.
❍ HEGEL E' UN FILOSOFO IDEALISTA.
Tutto è spirito, e non esiste
la materia (idealismo).
❍ CIO' CHE E' REALE E RAZIONALE E CIO' CHE E' RAZIONALE E'
REALE.
Nulla si può capire a fondo se
non lo si guarda come parte di un tutto: il sistema ecologico, il sistema
economico, il sistema sociale, il corpo umano ecc.
Un'idea vale solo se viene
realizzata nella vita sociale. Per verificare e dimostrare la validità delle
proprie idee non c'è che un mezzo: metterle in pratica.
Altrimenti idee come libertà,
diritti dell'uomo, democrazia rimangono teoriche e superficiali. Solo un'idea
messa in pratica si mostrerà come realmente deve essere.
Un'idea è valida solo se viene
realizzata e nella forma in cui ci riesce di realizzarla. Infatti la storia, la
realtà rifiutano le idee impossibili o inutili e lasciano sopravvivere solo le
idee che costituiscono un avanzamento e un progresso.
Ad esempio, cercando di mettere
in pratica l'idea di assistenza ai bisognosi ci si troverà di fronte a problemi
che non avevamo mai sospettato e ci si chiarirà meglio le prospettive.
Hegel chiama "anima
bella" una persona che si culla di puri ideali e rifiuta di impegnarsi a
realizzarli in pratica per non "scendere a compromessi".
Cristo, secondo lui, era
un'"anima bella" che preferì il supplizio e la morte all'invito
fattogli dai discepoli di creare un movimento politico.
Da qui Marx trae l'idea che
l'unica filosofia valida è quella realizzata, anche a costo di una rivoluzione
sociale.
❍ L'IDEA DI HEGEL (DETTA ANCHE IDEA ASSOLUTA, ASSOLUTO,
SPIRITO, SPIRITO DEL MONDO, ECC.).
Idea o spirito: le persone
condividono un patrimonio di idee, atteggiamenti, di modi di entrare in
rapporto con gli altri, di arte e letteratura, di tecniche, un linguaggio, una
religione, idee sulla natura, che determinano al 90% i loro pensieri e modi di
comportarsi.
La personalità dell'uomo è un
prodotto sociale, non individuale.
Per Hegel lo spirito aveva
raggiunto il suo massimo sviluppo con lo stato prussiano dell'inizio
dell'ottocento con la filosofia di Hegel.
E' molto difficile in realtà
definire bene l'"Assoluto" o "Idea" di Hegel. Talvolta egli
ne parla come di una sorta di divinità o provvidenza, talaltra come uno stadio
di sviluppo dello spirito umano o della società.
L'Idea, ci dice Hegel, è tutte
queste cose nello stesso tempo: Il Bello; Cognizione e Attività pratica;
Comprensione; Il Sommo Bene; e l'Universo Scientificamente contemplato. E per
chiarire questo concetto, egli usa espressioni ancora più oscure: “L'idea
assoluta. L'idea, come unità dell'Idea Soggettiva e dell'Idea Oggettiva, è la
nozione dell'Idea , un oggetto che accoglie nella sua unità tutte le
caratteristiche".
Essa, da un certo punto di
vista, è qualcosa di simile al Dio di Aristotele. E' pensiero che pensa se
stesso. E' chiaro che l'Assoluto non può pensare ad altro che a se stesso,
poiché non esiste altro, tranne che per i nostri imperfetti ed erronei mezzi di
conoscere la Realtà. Lo Spirito è l'unica realtà, e il suo pensiero è riflesso
in se stesso attraverso l'auto-coscienza.
Collegato con l'idea di
"Assoluto" è la oscura e difficile teoria di Hegel secondo cui in
realtà le singole cose e individui non avrebbero esistenza se non agli occhi di
una coscienza poco sviluppata come quella dell'uomo comune, mentre chi
riuscisse a pensare l'Idea Assoluta (ma solo l'Idea Assoluta riesce a pensare
se stessa) vedrebbe solo un'unica cosa composta di innumerevoli relazioni tra
le sue parti. Hegel è convinto che da questa altezza cose come il tempo, lo
spazio, la materia, la differenza tra me e il mondo esterno sparirebbero, e si
capirebbe la vera natura dell'universo.
Per arrivare a questa
conclusione Hegel parte dalla constatazione che le parole che descrivono gli oggetti
del mondo, come "Giacomo", "Giovanni", "casa",
"cane" ecc. indicano cose che non possono in realtà essere comprese
in pieno se non si osservano le loro relazioni con il tutto. Se
"Giovanni" è marito di Maria egli non può essere descritto senza
descrivere i suoi rapporti con Maria; se "Giovanni" è un italiano,
egli non può essere descritto senza descrivere i suoi rapporti con l'Italia; se
“Giovanni" è un mammifero egli non può essere descritto senza descrivere i
rapporti del suo corpo con l'ambiente fisico in cui vive; se
"Giovanni" è cattolico egli non può essere descritto senza descrivere
i suoi rapporti con la Chiesa Cattolica. Il suo punto di vista è che il
carattere di ogni parte dell'universo sia tanto profondamente influenzato dalle
sue relazioni con le altre parti e con il tutto, che nessuna vera affermazione
possa esser compiuta a proposito di ciascuna di queste parti, fatta eccezione
per l'assegnazione del posto che le compete nel tutto.
Già nel 1600 il filosofo
tedesco Leibniz (1646-1716) si era chiesto: "ma se cambiasse una vicenda
qualsiasi della vita di Giovanni, se egli sposasse Carolina invece che Maria,
egli sarebbe ancora lo stesso 'Giovanni'?" e aveva risposto: "no, non
sarebbe la stessa sostanza, lo stesso 'Giovanni'". Hegel trae da ciò la
conseguenza che le persone e le cose con cui Giovanni viene in contatto,
contribuiscono a far sì che le vicende della sua vita siano in un certo modo
anziché in un altro, e pertanto entrano nella definizione di Giovanni: Giovanni
sarà definito come colui che ha incontrato le tali persone, usato o guardato le
tali cose... ecc. ecc.
Sia per Leibniz che per Hegel,
solo una mente onnisciente è in grado di contemplare una parte in tutti i suoi
rapporti con il tutto, e in effetti finirebbe per contemplare non tanto la
parte, ma il tutto. In qualche modo misterioso, la parte dovrebbe apparirgli
come una manifestazione del tutto. Ad una tale mente il tempo apparirebbe non
esistente, perché non è altro che una relazione tra parti del tutto: ma il
tutto, essendo il tutto, non viene né prima né dopo di alcunché. Anche lo
spazio, per lo stesso motivo, non esiste. Né esiste la contrapposizione tra
soggetto e oggetto o la materia.
La prova del fatto che cose,
tempo, spazio, materia sono solo illusioni della coscienza dell'uomo comune è
fornita dal fatto che tutte le filosofie che si sono date a ragionare su queste
cose (cioè TUTTE le filosofie prima di Hegel) sono incappate in contraddizioni
e difficoltà logiche.
La prova che si è riusciti
finalmente a capire il tutto sarà data dal fatto che tutte le opposizioni della
vecchia filosofia (finito/infinito, soggetto/oggetto, sensibilità/ragione,
singolo/universo) in quel momento spariranno.
❍ L'EVOLUZIONE DIALETTICA. IL PROGRESSO STORICO.
Lo Spirito, questo patrimonio
comune di idee e modi di essere, che oggi chiameremmo piuttosto
"cultura" o "coscienza umana" o "pensiero umano",
si evolve continuamente, e con tale evoluzione cambia il modo di essere delle
persone, delle loro idee e delle istituzioni sociali.
Per le cose non c'è una essenza
determinata una volta per tutte. Non possiamo parlare, come fanno Platone e
Aristotele e Kant delle essenze immutabili di "uomo", di
"cavallo", di "giustizia" ecc.
La evoluzione è intesa da Hegel
non solo come evoluzione delle idee filosofiche, religiose, scientifiche e
morali, ma anche come evoluzione della società (rapporto tra uomo e uomo), del
rapporto tra uomo e natura, del modo di lavorare e produrre.
Il filosofo Immanuel Kant (1724-1804)
credeva ad una natura umana unica e immutabile, fondamento della nostra
intuizione e dei nostri concetti a priori. Hegel si disse che, una volta che si
aderisca al punto di vista che siamo noi a creare i concetti con cui diamo
forma alla realtà, i concetti evolvono, e con essi la cognizione della realtà.
L'evoluzione dello Spirito si
incarna e manifesta, per Hegel, nella evoluzione della storia e della coscienza
occidentale. Infatti, l'evoluzione dell'Idea è presentata da Hegel ora come
evoluzione della società umana, ora come evoluzione di un misterioso soggetto
chiamato spirito. Hegel disse che lo spirito ritorna a se stesso, diventa cioè
consapevole di sé in tre gradini... Prima lo spirito diventa consapevole di sé
nell'individuo: Hegel la chiama lo 'spirito soggettivo'. Lo spirito raggiunge
poi una maggiore consapevolezza nella famiglia, nella società e nello Stato, in
quello che Hegel definisce lo 'spirito oggettivo' perché emerge nell'intesa tra
uomini... Lo spirito raggiunge la forma più alta di autoconsapevolezza nello
'spirito assoluto' che è
rappresentato dall'arte, dalla religione e dalla filosofia. Di queste tre, la
filosofia è la forma più alta perché in essa lo spirito riflette sulla propria
attività nellastoria. Soltanto nella filosofia lo spirito incontra se stesso:
possiamo quindi dire che essa sia lo specchio dello spirito del mondo.
L'evoluzione dello spirito è
una evoluzione positiva: un progresso religioso, politico, morale, sociale,
economico, scientifico che conduce lo spirito umano verso una sempre maggiore
perfezione e autocoscienza.
Il mondo e la coscienza umana,
spinti dallo spirito, come da una specie di provvidenza, diventano sempre
migliori, e sempre più razionali: l'umanità si sta muovendo verso una
razionalità, una moralità e una libertà sempre maggiori.
L'evoluzione dello Spirito
culmina con la realizzazione dello stato prussiano dell'inizio dell'Ottocento e
con la filosofia di Hegel.
Per Hegel, infatti, la
religione (anche quella migliore, come la cristiana) è solo uno stadio
provvisorio che sarà superato dalla (sua) filosofia. Come abbiamo visto, Cristo
era un'"anima bella", i cui precetti rimasero allo stadio rarefatto
di ideali difficili da mettere in pratica.
L'evoluzione dello Spirito
procede attraverso tesi, antitesi, sintesi: ogni posizione estrema ed esagerata
(tesi) fa nascere per reazione la posizione opposta (antitesi) e grazie al loro
contrasto alla fine la coscienza umana raggiunge un punto di vista superiore
(sintesi) che mostra come sia la tesi che l'antitesi abbiano il loro contenuto
di verità.
Esempi di tesi, antitesi,
sintesi.
● La
donna
● tesi:
la donna è una maga e sacerdotessa (società preistoriche)
● antitesi:
la donna è un essere inferiore (società storiche)
● sintesi:
la donna è eguale all'uomo ma diversa sotto importanti aspetti
● L'individuo
e la famiglia
● tesi:
esistono solo i diritti dell'individuo
● antitesi:
esistono solo i diritti della famiglia
● sintesi:
lo stato riconosce sia i diritti dell'individuo che della famiglia
● La
democrazia rappresentativa
● tesi:
solo gli eroi debbono comandare
● antitesi:
solo il popolo deve comandare
● sintesi:
il potere va esercitato dai più capaci, ma essi sono scelti da tutto il popolo
● Il
welfare state
● tesi:
Assolutismo
● Ineguaglianza
tra gli uomini
● Controllo
da parte del sovrano
● Vincoli
feudali
● antitesi:
Liberalismo
● Eguaglianza
di fronte alla legge
● Diritti
di libertà individuale
● Nessuno
ha più obblighi verso nessuno. Molta povertà dell'Ottocento nasce da questo
● sintesi:
Welfare State
● Eguaglianza
di fronte alla legge
● Tutela
dei più deboli
● Controllo
dell'economia
● La
conoscenza umana
● Tesi:
noi abbiamo le idee innate. La nostra mente conosce già tutto. Quando ci pare
di scoprire qualcosa in realtà lo ricordiamo.
● Antitesi:
la mente è un foglio bianco. Le sensazioni entrando nella nostra mente si
organizzano per associazione a formare delle idee. Noi siamo completamente
passivi.
● Sintesi:
Riceviamo delle sensazioni dall'esterno, ma le rielaboriamoo mediante la nostra
mente.
La storia continua a superare
se stessa ed è indirizzata verso uno scopo. Nessuna posizione è stabile ma
viene superata da una posizione più avanzata. Non esistono verità eterne che la
religione e la scienza ci possono dire: la conoscenza umana muta e migliora di
generazione in generazione.
Quello che crediamo di scoprire
oggi è tutto ciò che abbiamo. Non possiamo rivolgerci ai libri di ieri o alle
idee di ieri per stabilire se siano o no nel giusto; dobbiamo credere alle
nostre idee di oggi; dobbiamo aver fiducia nel fatto che sono migliori di
quelle di ieri e non potremo mai sapere quanto siano sbagliate alla luce di
quelle di domani.
La vera essenza delle cose e
delle persone è mostrata dai fatti concreti, dalla storia. Tutto ciò che la
storia non ci mostra ancora non ha realtà, ma corrisponde ad una essenza non
sviluppata che può essere oggetto solo delle nostre fantasie.
Non possiamo parlare di
"giustizia ideale", di "società ideale", di "uomo
ideale" perché queste espressioni corrispondono in conclusione al
tentativo vago, confuso, contraddittorio, di prevedere ciò che la evoluzione
del mondo ci rivelerà solo alla fine. Solo ciò che è realizzato nella società
di oggi e che i fatti oggi sembrano mostrarci costituisce la vera realtà del
nostro spirito.
Per Hegel non esistono idee o
punti di riferimento al di fuori di ciò che scopriamo dalle nostre esperienze e
attività.
Pertanto la storia passata vive
ancora nel presente e contribuisce a far sì che siamo ciò che siamo e crediamo
ciò che crediamo.
La storia ha portato lo spirito
a certe idee che ritroviamo nella organizzazione della società e nella
coscienza degli uomini: le nostre opinioni ed idee dipendono pertanto dal
momento storico in cui ci troviamo.
Lo spirito crea sempre nuovi
adattamenti alla natura, sempre nuovi oggetti e strumenti di produzione, sempre
nuovi modi di venire in relazione l'uno con l'altro, sempre nuove forme di
organizzazione sociale, sempre nuove forme di organizzazione politica ecc.
Questo determina la visuale che
può avere o non avere l'uomo di una certa epoca, le verità di cui può rendersi
conto e le verità di cui non può rendersi conto (ad es. fino a quando Galileo
non inventò il cannocchiale noi non sapevamo la posizione della terra nello
spazio)
❍ LO STATALISMO HEGELIANO. IL RAPPORTO TRA L'UOMO E LA
SOCIETA'.
Per Hegel la monarchia è la
forma di governo in cui tutti sono liberi. Questo è in relazione allo
stranissimo modo in cui Hegel usa la parola 'libertà'. Per lui non c'è libertà
senza legge; ma egli tende ad invertire il concetto e a dimostrare che dovunque
ci sia legge c'è libertà. Così "libertà", per lui, significa poco più
che il diritto di obbedire alla legge.
Leggiamo nella 'Filosofia della
storia' che "lo stato è la vita morale realizzata e realmente
esistente" e che tutte le realtà spirituali possedute da un essere umano
si hanno solamente attraverso lo stato. "Perché la realtà spirituale
dell'uomo consiste in questo, che la sua propria essenza (la Ragione) gli è oggettivamente
presente, e che egli possiede un'esistenza oggettiva ed immediata... Infatti la
verità è l'unità della Volontà universale e soggettiva e l'universale si può
trovare nello Stato, nelle sue leggi, nei suoi universali e razionali
ordinamenti. Lo Stato è l'Idea Divina come esiste sulla terra".
Ancora: "Lo Stato è la
personificazione della libertà razionale, che si ralizza e si riconosce in
forma oggettiva... Lo Stato è l'Idea dello Spirito nella manifestazione
esteriore della Volontà umana e della sua Libertà"
L'individualismo dei romantici
incontrò la sua "negazione" nella filosofia di Hegel. Hegel diede
molta importanza a quelli che chiamò i 'poteri obiettivi', intendendo la
famiglia e lo stato. Non intendo sostenere che Hegel perse di vista il singolo
individuo. Tuttavia, per lui, l'individuo era una componente organica della
società. La 'ragione (o lo 'spirito') era qualcosa che diventava visibile
anzitutto nell'intesa tra esseri umani... Come un individuo nasce in una
lingua, così vien messo al mondo nell'ambito di certi presupposti storici, e
nessuno ha un rapporto 'libero' con essi. Chi non trova un posto nello stato è
un uomo 'a-storico'... Questo pensiero era importante anche per i grandi
filosofi di Atene. Come non è possibile pensare ad uno stato senza cittadini,
così non è possibile pensare i cittadini senza Stato... Secondo Hegel lo Stato
è qualcosa 'di più' del singolo cittadino, addirittura di più della somma di
tutti i cittadini. Per Hegel non è possibile 'ritirarsi dalla società'. Chi
scrolla le spalle davanti alla società in cui vive e vuole 'trovare se stesso'
è un buffone... Secondo Hegel non è l'individuo a trovare se stesso, ma è lo
'spirito'".
L'occhio è senza valore se
separato dal corpo; un insieme di 'disjecta membra', anche se completo, non ha
il valore che aveva una volta il corpo da cui furono prese. Hegel concepisce il
rapporto etico tra il cittadino e lo Stato analogamente a quello tra l'occhio
ed il corpo: al suo posto, il cittadino è parte di un insieme di valore, ma isolato
è altrettanto inutile quanto un occhio staccato. L'analogia, però, è passibile
di qualche obiezione; dalla importanza etica di alcuni interi non consegue
quella di tutti gli interi. Questa trattazione del problema etico è manchevole
in un punto importante; non tien conto cioè della distinzione tra fini e mezzi.
Un occhio in un corpo vivente è utile, cioè ha valore come mezzo; ma non ha
maggior valore intrinseco di quando è staccato dal corpo. Una cosa ha valore
intrinseco quando vale di per se stessa, non come mezzo per fare qualche altra
cosa".
Dato che per Hegel il dovere è
solamente una relazione tra l'individuo e il suo stato, non resta nessun
principio con cui moralizzare le relazioni tra gli stati. Questo Hegel lo
riconosce. Nei suoi rapporti con l'estero, egli dice, lo Stato è un individuo,
ed ogni Stato è indipendente di fronte agli altri. E prosegue recando argomenti
contro ogni tipo di Lega delle Nazioni da cui l'indipendenza dei singoli Stati
possa venir limitata. Il dovere del cittadino è circoscritto (per quel che
riguarda i rapporti internazionali del suo stato) a sostenere la sostanziale
individualità, indipendenza e sovranità del suo stato. Ne segue che la guerra
non è del tutto un male, o qualcosa che dobbiamo cercare di abolire.
Per Hegel lo spirito aveva
raggiunto il suo massimo sviluppo con lo stato prussiano dell'inizio
dell'ottocento con la filosofia di Hegel.
Con questo egli voleva tra
l'altro dire che solo come servitore dello stato l'individuo realizza
pienamente se stesso e conquista la razionalità, la moralità e la sapienza.
Il collettivismo radicale di
Hegel dipende tanto da Platone quanto da Federico Guglielmo III, re di Prussia
durante la vita di Hegel. La loro dottrina è che lo stato è tutto e l'individuo
nulla.; infatti quest'ultimo deve tutto allo stato, sia la sua esistenza fisica
che la sua esistenza spirituale.
Marx prenderà da Hegel l'idea
che è la collettività che plasma l'individuo e non viceversa, e che la vera e
piena vita dell'individuo si deve realizzare collaborando alla vita della
collettività.
IL PENSIERO DI FEUERBACH
Filosofo tedesco, 1804-1872
❍ MARX LESSE FEUERBACH CON
ENTUSIASMO.
L'opera di Feuerbach aveva
provocato un vivo entusiasmo in Marx, in Engels e in tutti i giovani tedeschi
seguaci di hegel (hegeliani).
❍ TRASFORMAZIONE DELLA TEOLOGIA IN ANTROPOLOGIA.
Per Feuerbach tutti gli
attributi che la religione attribuisce alla divinità non sono altro che
attributi che l'uomo, sia pure non come singolo, ma come specie, sente di avere
o di poter possedere: una sorta di immagine ideale di sé verso cui egli tende.
L'idea di Dio non è altro che
l'immagine dei desideri dell'uomo (onnipotenza, onniscienza, dominio sulla
natura, amore). L'uomo può realizzare queste qualità, le sente dentro di sé: ma
non come singolo, bensì come umanità (insieme degli uomini di tutti i luoghi e
di tutti i tempi).
❍ LA DOTTRINA MORALE DI FEUERBACH
La felicità non è individuale.
C'è coincidenza necessaria tra felicità propria e felicità altrui
MARX:
BIOGRAFIA DI KARL MARX
Figlio di un avvocato ebreo,
Marx nacque nel 1818 a Treviri, nella ricca regione della Renania.
Fu in gioventù un hegeliano
entusiasta. Studiò Hegel all'Università di Berlino e di Bonn e Feuerbach con entusiasmo.
Suo grande amico e fondatore con lui del partito comunista era Engels, che
spesso lo aiutò finanziariamente.
Divenuto giornalista, il
giovane Marx collaborò alla "Gazzetta Renana" assumendo
successivamente l'incarico di redattore capo. Nel frattempo in Germania le
persecuzioni politiche ad opera del Governo prussiano costringevano numerosi
intellettuali liberali e radicali a seguire la via dell'emigrazione.
Nel 1843, proprio in
conseguenza di un'ennesima ondata repressiva, la "Gazzetta Renana" fu
costretta al silenzio, colpevole di aver attaccato lo Zar di Russia, che aveva
stretto patto di alleanza con la Prussia. Marx lasciò allora la Germania per
stabilirsi a Parigi.
Ma ormai Marx era troppo noto
per essere lasciato libero di diffondere le proprie idee. I suoi scritti
dell'epoca ("Manoscritti economico-filosofici", "Critica alla
filosofia hegeliana del diritto" ecc.) destarono interesse e sollevarono
preoccupazioni al Governo francese, il quale, su invito di quello prussiano,
nel 1845 espulse il filosofo tedesco dalla Francia. Egli dovette allora
ripiegare su Bruxelles, dove fu costretto ad assumere l'impegno di non
pubblicare scritti politici.
Nel 1848, anno di grandi
sommovimenti politici in tutta Europa, rientrando a Parigi Marx stese con l'amico
Engels il "Manifesto del partito comunista", atto di fondazione del
comunismo.
Nel 1849, espulso dalla
Francia, egli ripiegò in Inghilterra, da dove non tornerà più.
Nel 1867 Marx dette alle stampe
il primo volume della sua opera più matura e impegnativa: "Il
Capitale" (i successivi due volumi, che completano il trattato, furono
pubblicati da Engels, dopo la morte dell'autore, rispettivamente nel 1885 e nel
1894).
Morì a Londra nel 1883 in
estrema povertà e solitudine.
MARX:
IL PENSIERO FILOSOFICO DI KARL MARX
❍ I ROVESCIAMENTI DI PENSIERO MARXISTI RISPETTO AL PENSIERO
BORGHESE.
● Marx,
seguendo Hegel, giunge spesso a criticare e capovolgere le idee borghesi della
sua epoca:
Sono i rapporti materiali a
influenzare le idee e non viceversa.
I borghesi affermavano
l'importanza della filosofia e delle produzioni dello spirito come capaci di
modellare e plasmare la società, mentre Marx, seguendo Hegel, individuerà nei
rapporti materiali, nei rapporti di produzione l'elemento più importante di una
civiltà, che a sua volta influenza la filosofia e la cultura.
● Il
lavoro come aspetto inseparabile dell'uomo e non come merce.
Gli economisti dell'epoca
ritenevano che il lavoro potesse essere separato dall'uomo e trattato come
"merce". Marx lo ritiene invece un aspetto essenziale della
personalità umana. Egli si rifà alla idea di Hegel che noi siamo ciò che
facciamo.
● La
storicizzazione e relativizzazione del sapere.
Il pensiero borghese ritiene di
aver realizzato, in politica, in filosofia, nell'ambito scientifico la verità
definitiva.
Marx storicizza e relativizza
ogni sapere. Egli tiene presente la lezione di Hegel che ogni stadio di
sviluppo supera il precedente e non può essere anticipato col puro pensiero.
E' questa la ragione per cui,
quando parla della società perfetta (comunista) egli è vago e generico, ed assume
toni mistici. Non è infatti possibile dire con PRECISIONE come sarà l'uomo di
tale società.
❍ L'ESSENZA UMANA E' STORICAMENTE E SOCIALMENTE DETERMINATA
(CARATTERE SOCIALE DELL'UOMO).
● Un
uomo non ha una natura determinata una volta per tutte, immutabile che
corrisponderebbe al modello suggerito dalla cultura entro cui vive (un'anima
immortale; un essere fondamentalmente buono, inclinato alla famiglia, che
rispetta i propri simili, dotato di pudore sessuale, monogamo ecc.), ma è di
volta in volta come i rapporti di produzione hanno plasmato il suo modo di
essere.
Non esiste una essenza o natura
umana in generale. L'essere dell'uomo è sempre storicamente condizionato dai
rapporti in cui l'uomo entra con gli altri uomini o con la natura per le
esigenze del lavoro produttivo. Questi rapporti condizionano l'individuo, cioè
la persona umana esistente; ma gli individui a loro volta lo condizionano
promuovendone la trasformazione o lo sviluppo.
● I
rapporti produttivi, che sono rapporti degli uomini tra loro e con la natura,
condizionano la possibilità dell'uomo di realizzarsi: nessuno potrebbe oggi ad
esempio realizzarsi come "cavaliere errante": Don Chisciotte, che
prova ad andare contro la propria società diviene una figura isolata e
bizzarra. Oggi un uomo si può realizzare come medico, avvocato, imprenditore,
professore universitario... cioè secondo una dei modelli proposti dalla società
in cui vive e dai rapporti di produzione esistenti.
❍ L'UOMO E IL LAVORO. I RAPPORTI
DI PRODUZIONE.
● I
rapporti produttivi sono rapporti degli uomini fra loro e con la natura. Lo
sviluppo delle forze produttive accade in modo diverso presso popoli o gruppi
umani diversi; e solo lentamente e in modo altrettanto disuguale determina lo
svliuppo delle forme istituzionali corrispondenti..
● L'uomo
è condizionato dai rapporti di produzione, ma non del tutto: quando la forma
assunta dai rapporti di produzione appare come un ostacolo per tale
manifestazione, essa viene sostituita da un'altra forma che si presta meglio a
condizionare queste manifestazioni e che a sua volta può diventare un intralcio
ed essere sostituita. Forme superate possono continuare a sopravvivere accanto
a forme più evolute, presso diversi popoli o nello stesso popolo.
In ogni periodo storico, ciò
che realmente conta sono i "rapporti di produzione" o "rapporti
materiali": rapporti tra uomo e uomo e tra uomo e natura riguardanti la
produzione operai-padroni, Feudatario-servo della gleba, uomo-animali
domestici, uomo-agricoltura
❍ LA SOVRASTRUTTURA. GLI IDEOLOGI
ATTIVI.
● Le
idee filosofiche, morali, religiose, politiche di una data società non sono che
il riflesso della struttura dei rapporti di produzione.
Mentre le filosofie del passato
hanno cercato di descrivere il mondo, l'uomo, la società così come essi sono,
convinti che le cose, la società e soprattutto la natura umana siano
immutabili, marx ritiene in realtà che la natura umana, la struttura dei
rapporti sociali, le stesse concezioni politiche o religiose, non sono fissati
una volta per tutte, ma dipendono dai rapporti di produzione. Modificando questi
vi può essere una modifica, una evoluzione dello spirito e della organizzazione
umana. A questo deve tendere il filosofo, perché anche la filosofia, come ogni
altra attività umana, è in realtà una attività produttiva e trasformatrice
della realtà, che non si limita a contemplare o interpretare il mondo, ma lo
modifica.
Nella letteratura marxista si
trovano molti tentativi di mostrare questa dipendenza delle idee dai rapporti
materiali di una determinata epoca:
● L'idea
di un Dio signore che è possibile influenzare con le preghiere non poté nascere
fino a quando i prapporti economici non creano una classe di proprietari e una
classe di schiavi.
● Le
religioni monoteistiche non poterono nascere prima che si formassero degli
imperi con un unico capo. Gli ebrei dei primi libri della Bibbia, erano
politeisti, perché ogni tribù aveva il suo dio
● L'idea
di un Dio che crea non poteva nascere prima della scoperta degli utensili e del
fuoco.
● L'idea
di un'anima immortale separata dal corpo non nasce subito. Gli uomini
preistorici seppellivano i morti per consentirgli di continuare a vivere
fisicamente, addormentati in uno strano sonno.
● Le
tribù di cacciatori sono necessariamente con i beni in comune, i figli in
comune, non posseggono il concetto di risparmio o accumulazione. I loro Dei non
sono Dei del cielo o della terra fertile e della pioggia, ma Dei-totem:
costituiti da antenati-animali che sono i padri, i parenti della tribù e che
mandano la carne sulla terra affinché essa si possa saziare.
● E'
il modo in cui è organizzata la produzione che fa emergere una classe dominante
e una classe dominata.
Le idee politiche, religiose
ecc. non nascono solo automaticamente ma anche da una consapevole
mistificazione operata dalla classe uscita dominante dai rapporti di produzione
e dai suoi ideologi attivi.
Ad esempio, l'avvento al potere
della borghesia produsse il sistema della rappresentanza politica che
attribuiva il voto solo ai possidenti e il principio dell'uguaglianza formale
che rendeva tutti eguali dinanzi alla legge ma lasciava le diseguaglianze
economiche sfruttando le quali il più forte poteva sottomettere il più debole.
Ad esempio, i sacerdoti egizi
dominavano il popolo sfruttando l'idea della divinità.
Ad esempio, l'economia, per
Marx, è strettamente collegata alle idee suggerite dalla classe dominante o
dalla organizzazione del lavoro. Essa non è una scienza, ma un'opinione che
riflette le idee delle classi dominanti.
❍ LA "FILOSOFIA DELLA
PRASSI".
● L'organizzazione
politica, religiosa, familiare, le idee sul mondo, i costumi, le idee
religiose, filosofiche, sono "sovrastruttura" e dipendono in realtà
dalla "struttura".
Quindi, cambiando la struttura
si cambia la sovrastruttura: quest'ultima idea è chiamata "filosofia della
prassi".
Per cambiare l'uomo basta
cambiare, con una rivoluzione, i rapporti di produzione.
● Marx
ha scarsa fiducia nei sistemi di convinzione basati sul dibattito e sulla
dimostrazione.
Secondo la sua concezione, è
solo cambiando la società con una rivoluzione che si può sperare di cambiare il
modo di pensare degli individui.
● Stalin
andò più in là e concluse che gli individui nati in epoca prerivoluzionaria e
formatisi in una società diversa da quella comunista erano ormai impossibili da
cambiare e quindi andavano eliminati fisicamente.
❍ I CAPISALDI DELL'ANTROPOLOGIA
MARXISTA.
Possiamo ora ricapitolare nel
modo seguente i capisaldi dell'antropologia (cioè della visione dell'uomo) di
Marx:
● Non
esiste una essenza o natura umana in generale
● L'essere
dell'uomo è sempre storicamente condizionato dai rapporti in cui l'uomo entra
con glialtri uomini o con la natura per le esisgenze del lavoro produttivo
● Questi
rapporti condizionano l'individuo, cioè la persona umana esistente; ma gli
individui a loro volta lo condizionano promuovendone la trasformazione o lo
sviluppo
● L'individuo
umano è un ente sociale.
❍ IL PROGRESSO STORICO. LA STORIA.
● Marx
eredita da Hegel la fede incrollabile e mistica nel fatto che la storia umana
procede verso un mondo sempre migliore, e che questo progresso non continuerà
all'infinito, ma arriverà presto al suo termine perfetto.
● I
principali tipi di società che si sono succedute nella storia sono, secondo
Marx:
● Società
antica caratterizzata dal conflitto tra patrizi e plebei
● Società
feudale caratterizzata dal conflitto tra signore armato e servi della gleba che
fuggivano nelle città per avere la libertà
● Società
capitalista caratterizzata dal conflitto tra borghesia e proletariato destinata
ad essere soppiantata dalla società comunista, una società senza classi in cui
saranno quindi assenti i conflitti sociali.
● Marx
pensa che le trasformazioni dela storia siano necessarie perché a ogni
passaggio successivo della storia si compie una rivoluzione economica e
sociale, e dunque il nuovo assetto si pone ad un livello più elevato rispetto
al precedente.
Si verrà a creare una classe di
imprenditori sempre più ristretta, perché i grossi imprenditori elimineranno i
piccoli, e una classe proletaria sempre più sfruttata, povera, affamata. Alla
fine (caduta del saggio di profitto) anche la produzione ristagnerà e non sarà
in grado di nutrire i lavoratori. Ci saranno carestia, miseria, rivoluzione.
Lo stato diventerà, con la
rivoluzione proletaria, uno strumento di lotta contro i nemici del comunismo
(fase chiamata "dittatura del proletariato"); un una fase successiva,
eliminate le classi e i nemici del socialismo, lo stato sparirà e si avrà la
vera società comunista senza classi, nella prima fase sarà inevitabile la
retribuzione in base al lavoro prestato. Successivamente però si applicherà il
principio: "Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi
bisogni".
❍ L'ALIENAZIONE DELL'UOMO: L’ALIENAZIONE DELL’UOMO IN DIO
Marx distingue diverse forme di
alienazione. Egli parla anzitutto dell’alienazione dell’uomo:
Mentre nelle religioni
dell'antichità, in Grecia e a Roma gli dei erano vicini agli uomini e quasi
loro compagni, partecipavano alle loro battaglie e ai loro amori, nelle
religioni ebraica e cristiana Dio è visto come un essere perfetto,
lontanissimo, mentre l'uomo è vito come assolutamente imperfetto e peccatore.
Feuerbach e Marx pensano invece
che simili religioni (per la verità un po' tutte le religioni) allontanino
l'uomo dalla idea di impegnarsi e costruire la propria grandezza e la propria
felicità sulla terra, incitandolo alla rassegnazione e alla sopportazione delle
ingiustizie sociali e politiche col miraggio del Regno dei Cieli.
In realtà l'essere perfetto a
cui bisogna avvicinarsi è l'ideale dell'uomo stesso, libero da condizionamenti
negativi, padrone della natura ed eterno come specie umana. Creando l'idea di
Dio l'uomo "aliena", cioè pone fuori di sé le proprie aspirazioni e i
propri ideali. Col cristianesimo inoltre, "aliena" la propria parte
materiale, i propri bisogni fisici, sessuali ecc. considerati come peccati
ispirati dal Diavolo (lussuria, gola ecc.) e finisce col considerare il proprio
corpo come qualcosa di estraneo, fonte di peccato e di vergogna.
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO: ALIENAZIONE
DEL LAVORO.
Marx è d'accordo con gli autori
socialisti dell'Ottocento che la "mercificazione del lavoro" è alla
base delle sofferenze e del disagio dei lavoratori dell'epoca. Cosa si intende
con questa espressione?
Essa vuol dire in sostanza
retribuire il lavoratore non secondo giustizia (considerandolo un essere umano
con bisogni che vanno soddisfatti in modo da garantirgli una vita dignitosa e
accettabile), ma secondo la legge della domanda e dell'offerta, come una merce
che va pagata poco perché è abbondante.
Il lavoratore, con la divisione
del lavoro e con la completa soggezione alla direzione del capitalista, perde
la possibilità di stabilire da solo il modo di impiegare le proprie energie: il
suo lavoro è una attività svolta per altri, di cui spesso egli non conosce
neanche il significato (con la divisione del lavoro gli può capitare di dover
muovere per ore una leva o premere un bottone), e il cui prodotto in gran parte
gli viene tolto dal capitalista, che si appropria di ciò che gli spetterebbe
(plusvalore).
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO: ALIENAZIONE
DEL CAPITALISTA.
Il capitalista è schiavo del
capitale. Egli sacrifica i suoi bisogni umani per divenire il servo della
propria ricchezza: suo unico scopo è di aumentare e difendere la sua ricchezza;
non gli interessa godere del prodotto che egli fabbrica: egli cerca di venderlo
per ritrasformarlo quanto prima in denaro. La vita del capitalista non è meno
alienata di quella del lavoratore.
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO: ALIENAZIONE
DEL GENERE UMANO.
Nella società capitalista si
erige una barriera d'odio tra capitalisti e lavoratori salariati. Anziché
riconoscere la propria comune umanità e la necessità di aiutarsi e collaborare,
queste due classi sociali lottano aspramente fra loro. In una società ingiusta
l'uomo è speso un esser abbandonato, umiliato, spregevole verso i propri
simili. Esso viene quindi privato del sentimento della propria dignità e della
solidarietà reciproca: anche in questo caso viene "alienato", cioè
costretto ad essere qualcosa di estraneo a se stesso, cioè alla sua umanità più
vera. Ad esempio, di fronte ad azioni particolarmente malvagie noi diciamo
spesso che "l'uomo non si riconosce più".
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO:L'UOMO E' UN ESSERE MATERIALE.
Seguendo Feuerbach Marx
rivaluta i bisogni, la sensibilità, la materialità dell'uomo.
Il lavoro umano è un importante
mezzo di realizzazione.
La vita sociale e produttiva
costituisce tutto l'uomo: non esiste un'anima o una realizzazione nell'aldilà.
L'uomo si deve realizzare
nell'aldiquà, nella vita sociale e produttiva.