D
J I N N |
Aoud
percepisce la presenza del djinn
mentre si prepara ad affrontare la serata sorseggiando succo di frutta con un
po' di vodka al bancone del bar in fondo alla pista. Accanto alla consolle, il
Dj sta provando il primo set. La vocalist
osserva in silenzio i vinili ruotare sui piatti. Il Dj maneggia con estrema
cura i suoi dischi e gioca abilmente con i fader e le manopole dei toni.
Salaam aleikhem, Aoud Kane Annour
Un'onda
di potenza lo investe e gli provoca una sensazione di gelo alla radice dei
capelli.
La pace sia con te, Aoud Kane Annour. La
voce, potente, roca, abrasiva come il vento del deserto carico di sabbia, gli
risuona direttamente in testa. Nella
mente si forma una parola: ifrit.
Esistono
sette tipi di djinn: amir, ghoul, ifrit, si'lat, qutrūba, mārid,
mārij. L'ifrit è il tipo più malevolo, insieme al ghoul.
Aleikhem as-salaam, ifrit
E anche con te sia la pace, ifrit, risponde
col pensiero, e alza impercettibilmente il bicchiere in segno di saluto. Una
creatura soprannaturale ha varcato la soglia del locale.
Il
popolo di Aoud crede da sempre negli esseri soprannaturali che popolano i
deserti, dimore predilette dagli spiriti impuri. I djinn, secondo il Corano, sono elementali del fuoco, creati da esso
come gli umani lo sono dalla materia organica. Raramente benevoli, sono più
spesso dispettosi o malevoli, capaci di esprimere una cattiveria devastante e
mortale.
Sono
esseri magici, e con la magia si possono legare a un oggetto, come aveva fatto
Salomone col suo Sigillo. Non possiedono gli umani ma li convincono a compiere
azioni per loro. Gli umani possono comandare ai djinn, ma chiedere a un djinn
di compiere un'azione contraria alle sue inclinazioni ha come risultato che
essa si ritorce contro chi la chiede.
Aoud,
come gli antichi popoli del deserto, crede nel potere delle pietre, del vento,
dei djinn. Alcune tribù Tuareg sono animiste, nel suo sangue di
Aoud scorre il potere di percepire la vita nascosta nelle cose. A volte gli
capita di leggere il pensiero delle persone, e non è raro che sappia già chi è
dietro la porta prima di aprirla, chi gli telefona prima di rispondere. Ha
delle premonizioni che puntualmente si avverano. Questo ifrit ha intorno a
sé un'aura oscura di rabbia e violenza trattenute. Stasera al Lola potrebbero succedere cose molto spiacevoli.
La voce parla ancora, come a confermarlo: questa
è una notte molto speciale, Aoud Kane Annour, ma tu probabilmente già lo sai,
gli sussurra nella testa.
Aoud
si tocca l'amuleto contro le influenze maligne che ha al collo. La vicinanza di
così tante persone, i pensieri sconnessi, privi di inibizioni, le fantasie
sessuali dell'umanità radunata nel Lola
costituiscono un potente polo di attrazione magnetica per gli spiriti maligni.
Nelle
ore prima dell'alba il potere dei djinn
malvagi è al suo apice. Essi attendono che la loro forza cresca, dapprima
ridotta, poi piena e distruttiva. Il djinn,
Aoud ne è certo, sta nutrendosi di quei pensieri come di emanazioni maligne, e
sta aspettando. Non per molto. Aoud ha poco tempo per scovarlo e fermarlo.
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Aoud
lavora nel locale di Jean-Pierre, il Lola,
la discoteca chic più affollata di
Milano. E' incaricato tra le altre cose di tenere sotto controllo i traffici
che inevitabilmente avvengono in un grosso locale notturno. E' un lavoro
delicato, che richiede notevole capacità di giudizio, rapidità di decisione e
senso della misura, e che lui svolge con molta abilità.
Ci
sono spacciatori di ecstasy e gruppi
di albanesi e rumeni che portano le loro ragazze per divertirsi o adescare. Ci
sono tossiche perse che vengono per scroccare una dose a chi gli capita, spacciatori,
uomini d'affari in cerca di carne fresca, poliziotti in borghese che vanno
individuati subito; e ci sono, sconosciuti ai più, anche creature
soprannaturali.
Aoud
è un braccio destro insostituibile; parla bene quattro lingue e ne capisce
altrettante; riesce a captare i discorsi loschi; sa valutare le persone. Senza
pensarci, calcola istantaneamente il valore delle consumazioni: in Africa, non
essere precisi con i soldi è più che stupido, ha visto uccidere persone per
questioni di soldi contati male. Jean-Pierre vede la sua faccia indurirsi di
fronte a persone che sprecano cibo e bevande gettandoli via.
Lo
sguardo di Aoud scivola sulla ragazza cui accenna Jean-Pierre. E' entrata a
mezzanotte, da sola, con un vestito esotico, una sciarpa drappeggiata intorno a
capo, del tipo usato in alternativa allo chador, che
le nasconde i capelli e il mento, al modo delle donne del popolo del
deserto, pantaloni a sbuffo e tunica ricamata, total look bianco.
«Non
si è mossa. Non ha ordinato. E' fatta? E' qui in cerca di clienti da adescare?».
«Lascia
che ci pensi io» dice Aoud, e Jean-Pierre
Chandelle, senza una parola, gli batte sulla spalla e torna nel suo ufficio. Ha
il massimo rispetto delle sue capacità di valutazione e di intervento. Aoud è
sopravvissuto a risse selvagge nei bar di Gibuti e di Tunisi, ad agguati nel
deserto, ad abbordaggi al largo delle coste del Mar Rosso e a molto altro. Le
tribù berbere Tamasheck, cui
appartiene, hanno combattuto una feroce guerriglia, nel territorio dell'Azawad, tra Libia e Mali, per
rivendicarne l'indipendenza, e la popolazione è sfuggita a stento
all'annientamento completo ad opera delle forze regolari dell'esercito del
Mali.
Aoud
è riuscito, insieme a pochi altri, a portare in salvo quel che rimaneva del suo
villaggio verso i campi profughi del Burkina
Faso e ha partecipato alla controffensiva che ha liberato le città storiche
del popolo Tuareg: Kidal, In Khalil,
Lerè, Tessalit, Tessit, Tinza.
Il
sogno di uno stato Tuareg
indipendente è crollato con lo scoppio di una faida tra le forze fino ad allora
alleate del Movimento di Liberazione dell'Azawad
e delle organizzazioni jihadiste che pretendevano di imporre la Shari'a, la legge islamica. Una nuova
ondata di profughi si è diretta verso Burkina
Faso, Mauritania, Nigeria e Algeria, e Aoud ha preso la via dell'esilio.
Si
è dato ad una vita errabonda e precaria che lo ha portato ad unirsi ai clan
somali che esercitano la pirateria nel golfo di Aden, la micidiale strettoia
che le navi mercantili che escono dal Mar Rosso sono costrette ad imboccare per
immettersi nell'Oceano Indiano, tra le coste della Somalia a sud e quelle dell'Oman
a nord.
Col
tempo le contromisure sempre più efficaci adottate dalle flotte mercantili
occidentali hanno reso troppo pericoloso l'esercizio della pirateria, una
mortale partita a nascondino in acque pattugliate dalle flotte da guerra
occidentali a cui i droni USA segnalano in tempo reale le imbarcazioni sospette.
I
mercantili hanno a bordo commandos
professionali, rifugi blindati per l'equipaggio da cui scollegare motori e
comandi, radiofari di allarme, elicotteri che vengono mandati in avanscoperta. Aoud
e i suoi compagni hanno eluso queste misure impadronendosi di navi commerciali
di scarso valore, tenendo prigionieri gli equipaggi in modo che le prede
avvistassero imbarcazioni con personale europeo, attaccando con velocissime
lance da abbordaggio tenute sottocoperta.
Alla
fine i rischi sono divenuti intollerabili. Dopo la cattura e il processo
sommario i pirati sono mandati in centri di detenzione clandestini da cui non
tornano più. Aoud, che ha visto i membri degli altri clan catturati ad uno ad
uno, ha voltato le spalle all'Africa e si è diretto verso l'Europa.
Ha
cambiato molti lavori, cameriere, spazzino, manovale, giardiniere, garzone di
macelleria, piastrellista, mentre la sera faceva il buttafuori nei night e
nelle discoteche. Ha continuato come poteva ad aiutare la sua gente a fuggire
dal Mali o dalla Nigeria. Poi Jean-Pierre
Chandelle lo ha notato e gli ha chiesto di venire a lavorare nel suo locale.
Col tempo, Aoud è divenuto capo della sicurezza, incaricato di occuparsi, durante
la giornata, della moglie e delle bambine di Jean-Pierre. Le piccole Chandelle
si sono affezionate a lui, le porta ogni giorno a scuola e le va a riprendere.
Le accompagna a danza e a pallavolo. Sopporta stoicamente le uscite per lo
shopping nei negozi del centro e i compleanni delle amichette.
Nel
campo profughi, prima di partire, un anziano tuareg che aveva perso tutta la famiglia, gli aveva detto: «Nella
vita incontrerai tre tipi di persone: quelle che ti cambieranno la vita, quelle
che ti rovineranno la vita e quelle che saranno la tua vita». Aoud continua a
tenere d'occhio la ragazza vestita di bianco.
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Aoud
è alto e ingannevolmente snello, sotto la camicia ha muscoli statuari. E'
sopravvissuto al deserto, alla fame, alla guerra, alla dispersione della sua
gente. Quelli che l'hanno visto in azione evitano di avere a che dire con lui.
Gli altri, come i due giovanissimi slavi che l'altroieri hanno tirato fuori i
coltelli quando gli è stato detto di andarsene, lo imparano a loro spese, non
ritornano mai più al Lola e per molto
tempo in nessun'altro locale.
Il
volto di Aoud sembra intagliato nella pietra, ma Jean-Pierre ha imparato a
riconoscere i mutamenti sottili che vi provocano le emozioni. Aoud è taciturno,
non sorride mai. Le città, in cui è venuto a vivere allontanandosi dal deserto,
lo opprimono. Solo la mattina, quando esce dai locali, la città gli appare
pulita, priva dei miasmi che la ammorbano nel resto della giornata, gli
rammenta la purezza del deserto. Il cielo che inizia a tingersi di arancio
sopra i palazzi, le piazze deserte, gli ricordano il tingersi di rosa delle
notti nel Sahara, prima che il volto del sole si affacci impetuoso sulle dune,
oltre il profilo dei monti dell'Atlante.
Gli
piace la solitudine, così simile a quella immota che circonda le oasi del Sahel. Qualche finestra è illuminata,
forse una madre che si è svegliata per il figlio. Altre rimandano le luci
intermittenti di un televisore ancora acceso. Si sente il gocciolare d'acqua
dei panni stesi in alto sui balconi. Qualche neonato piange. Tutto il resto è
silenzio. In certi giorni l'aria è frizzante e umida della pioggia cessata da
poco. In altri un maestrale si solleva asciugando nuvole e umidità, annunciando
un ulteriore ritardo della primavera.
Nella
città si trova in esilio, la trova vuota e morta. Ma lui è stato un
combattente, un guerriero della sua gente, ha imparato a sopportare e a
sopravvivere nel deserto accontentandosi di pochissimo.
E'
vero, la città gli appare come un deserto. Ma un deserto alieno, pieno di luci
fatue e di magie cattive. Lui ha visto la ricchezza delle oasi che verdeggiano
tra le sabbie, mentre la città gli dà un gelo nelle ossa: è una distesa di
pietra dove la natura non parla all'uomo: né il cielo, né la terra. Nel
deserto, ad un Tuareg per orientarsi basta guardare le stelle. Tra le luci
violente della città Aoud non è più in grado di orizzontarsi.
Qualche
volta – raramente – Aoud puzza di spinello, e Jean-Pierre evita di parlargli.
Sono i suoi momenti neri, in cui sente il bisogno di allentare la tensione
fumando un po' di canapa.
Se
chiude gli occhi, per un attimo le musiche ritmate della discoteca gli
ricordano i ritmi e i tamburi della sua terra, leniscono la nostalgia feroce
che lo assale.
I
tatuaggi di Aoud suscitano invariabilmente curiosità e interesse. Sono quelli
della sua tribù e del suo clan. Lui scuote la testa quando gli chiedono se
possono fotografarli per farsene di simili o dove se li sia fatti. I tatuaggi
sono il segno della propria identità tribale, della propria appartenenza etnica
e religiosa. Quelli dei giovani corpi forati dai piercing e incisi dai tatuatori sono solo dei simboli vuoti, delle
imitazioni senza senso.
Il
suo successo con le ragazze occidentali non passa inosservato. Ragazze che
vogliono sesso esotico, ragazze che per lui lasciano fidanzati; ragazze gelose
che lo tempestano di sms e ogni giorno vengono in discoteca per vederlo, oppure
stanno bene attente a non farsi scoprire dal proprio uomo e gli regalano notti
di sesso clandestino. Jean-Pierre e gli altri lo portano in giro, con malcelata
invidia.
«Chi
ti cucina questa settimana, Aoud? Quella biondina strafiga con cui eri qui tre
giorni fa?».
«Ieri
è venuta la brunetta. Ha chiesto di te. Sarà un'impresa liberartene, a meno che
non voglia presentargli quella che ieri ballava da sola sulla pista guardandoti»
Per
parte sua, Aoud non sopporta le ragazze che parlano in continuazione. Il
silenzio, il linguaggio dei gesti, la preparazione del nutrimento per l’uomo,
il dormirgli accanto, gli sembrano in una donna un modo naturale di esprimersi.
Gli sono indifferenti quelle che cercano di "stabilire un rapporto",
di parlargli, e rimangono sconvolte quando non vi riescono. Queste donne scambiano
le parole per l’amore.
Aoud
non prende neanche in esame la possibilità di legarsi ad una ragazza
occidentale, e non solo perché sono kuffar,
infedeli, ma anche perché non può innamorarsi di una compagna che esce quando
vuole, si veste come vuole, si mostra seminuda agli estranei, mette la sua
carriera dinanzi alle esigenze del suo uomo. Tutto questo, per un musulmano
osservante, un hafiz, è mancanza di
rispetto, violazione delle regole stabilite dal Corano per la vita di coppia.
Jean-Pierre,
il proprietario della discoteca, è uno dei pochi kuffar che lui rispetta. E non solo perché è scettico e
disincantato quanto lui, ma anche perché mantiene un aristocratico distacco da
tutto ciò che capita al Lola, non si
immischia nelle tresche, non approfitta delle cubiste, delle modelle che
passano in discoteca. Perché si lascia scivolare addosso le storie che sente
senza intervenire né giudicare. Jean-Pierre ha una splendida moglie, che gli ha
dato tre bellissime figlie preadolescenti. E' assolutamente devoto alle sue
donne, che adora, e da cui è adorato.
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Il
djinn è da qualche parte nella sala e
lo sta guardando. Sente i peli rizzarsi. E' una creatura di una potenza
straordinaria. Nelle sue vicinanze si ha come l’impressione che manchi l’aria. Impossibile
che nessuno se ne accorga. Lì dentro sono davvero tutti morti e strafatti.
Tra
meno di un'ora il locale sarà riempito al suo massimo. Già adesso è difficile
muoversi, tra branchi di ragazzine che si spostano e ragazzi lievemente brilli
che ti urtano. E' ora del primo giro di ronda, Aoud esce all'esterno. Da un
tavolino le ragazze lo salutano in coro e fanno commenti ad alta voce su di lui. Davanti
all'ingresso del Lola staziona la
folla variopinta dei nicotinomani. Esibizionisti in t-shirt senza maniche da
cui esplodono bicipiti scolpiti e ascelle depilate. Ragazzini cosplay pettinati e vestiti in modo da
sembrare strambi cartoni animati giapponesi. C'è chi si è portata fuori la dose
alcolica e alterna i sorsi con i tiri di sigaretta, e chi va alla ricerca di
sostanze più forti. Una ragazza punta un tizio con cappellino che non avrà
vent'anni. Quello fruga nella tasca dei jeans mentre lei gli lascia in mano un
biglietto da venti. Estrae qualcosa che va a finire senza deviazioni sotto la
lingua dell'acquirente.
C'è
un capannello intorno ad un tizio seduto a terra, preso in pieno sulla schiena da una bottiglia
scagliata da ragazzini in scooter che ce l'avevano con il suo amico che li
aveva allontanati per schiamazzi. Due uomini su una jeep cercano di convincere
due ragazze a farsi una striscia di cocaina per vedere il mondo con filtri
rosa. Un sedicenne sta vomitando. Due bulli si stanno azzuffando per una
ragazza. Ordinaria amministrazione del sabato sera.
Oskar,
che brandisce un timbro da ufficio inchiostrato da un tampone rosso, sta
ripetendo impassibile, per l'ennesima volta, ad un mingherlino che strepita,
che se rifiuta di farsi timbrare sono cazzi suoi, per rientrare dovrà pagare di
nuovo l'ingresso. Quello tira in ballo i diritti civili e continua a strillare
e insultare ancora per un po', tanto per esibirsi di fronte al suo gruppo, poi
rientra.
Più
oltre, nel parcheggio, ci sono ragazze e ragazzi in fase down dall'ecstasy, dalla cocaina e dall'alcool seduti sui sedili delle
auto. Non mancano parcheggiatori extracomunitari abusivi, ladri d'auto e
adolescenti trasfigurati in rivendita di pastiglie o di sesso.
Il
Lola è posto nella prima periferia,
in zona Rogoredo. I gruppi che arrivano da fuori la raggiungono dalla stazione
di Porta Garibaldi prendendo prima la metro 2 in direzione Famagosta, poi
cambiando a Cadorna con la metro 3 in direzione San Donato. Ha un ampio
parcheggio e zone drink al coperto e all'aperto.
Al
mattino, il parcheggio sarà cosparso di preservativi usati. Dopo l'orgasmo, una
Camel light a testa e qualche
chiacchiera di circostanza. Questi giovani sfoggiano una suprema indifferenza
nei confronti del sesso, del partner, di tutto.
I
chioschetti nelle vicinanze, che vendono bottigliette di drink superalcolici e
"sostanze particolari" sono affollati. Il passaparola sconsiglia di
acquistare in strada e segnala quelli più affidabili.
Si
organizzano spostamenti alla discoteca successiva. Per molti il Lola è solo la tappa di un itinerario
iniziato molte ore prima. Il tempo di cambiarsi al ritorno dal lavoro o dalle
lezioni all'università, poi un pre-party
nell'appartamento dell'amico, happy hour
nei bar delle discoteche aperte alle cinque, apericena a buffet nel caffè sotto
casa, passeggio con struscio in piazza San Babila o in Galleria, discoteca e
proseguimento fino alle otto del mattino, tra after-hour nei locali che chiudono alle sei e after-disco con cornetto, giornale e marocchino nei bar o nelle
panetterie mentre i veicoli della nettezza urbana fanno il primo giro dei
cassonetti.
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Aoud
torna dentro. «Ti faccio un toast?
Vuoi un succo di frutta? Un frullato proteico? Ti posso cucinare una bistecca
al volo» gli dice Betty, la barista delle sale del pianoterra. Betty ha
l'ossessione di far mangiare a sufficienza tutti coloro che le stanno intorno.
E' proprio tagliata per il suo mestiere. E' piccola, alta un metro e sessanta.
E' stata lasciata dal compagno e ha un bambino di quattro anni a cui badare. E'
stanca, ha le occhiaie ed è sovrappeso.
«Stasera
vai a casa prima» le dice lui.
«Grazie,
Aoud», risponde lei, «il piccolo non sta bene e la ragazza non lo può tenere
oltre mezzanotte». Aoud la lascia per fare il giro delle sale e tastare il
polso della situazione.
Il
Lola ha due piani e un underground uniti da una enorme scalinata
in plexiglass che taglia scenograficamente il locale. Ad ogni piano due
corridoi, uno a destra e uno a sinistra, conducono ad una delle sale. In fondo
ai corridoi le sale sono unite dai privé, delle specie di piccionaie che si
affacciano sulla pista da una balconata di fondo e a cui la penombra e
l'altezza garantiscono un'adeguata privacy.
All'ingresso
di ogni sala c'è il manifesto della serata, che indica come varierà la musica e
come si alterneranno i Dj. Soul House
e Jazz House si alterneranno in sala
due, al piano terra, mentre Latino, Calypso, Salsa gireranno nella sala uno,
Garage rock e Heavy Metal daranno il ritmo ai balli della sala tre al primo
piano, e la musica elettronica Lounge,
Techno e Trance, segnerà il tempo
in sala quattro. Celtic, New Age accoglieranno gli ospiti
selezioniati delle sale privé vip a pianoterra. Ogni stile ha i propri cultori,
ma altri avventori trascorrono la notte in perpetua transumanza da una sala
all'altra.
«Come
va?» grida Aoud al barista della sala tre. Roberto si gira con un Absolut in una mano e succo di mirtillo
nell'altra. «A parte la musica di merda, alla grande. Bevono tutti come spugne».
Roberto versa con destrezza nello shaker vodka, succo di lime e di mirtillo. Chiude con una spruzzata di Cointreau e versa il drink alla ragazza tutta vestita di
bianco. Lei ringrazia, Cosmopolitan
in mano, sorride e si allontana. Aoud percepisce di nuovo, molto vicino, il
vibrare della potenza del djinn. Il
suo intuito gli suggerisce che quella ragazza ha qualcosa a che fare con ciò
che succederà stasera al Lola.
«Sai
chi è?» gli domanda Aoud mentre la segue con lo sguardo, per scoprire chi l'ha
accompagnata.
«Qualcuno
mi ha detto che conosce il Dj e che lo segue in tutte le trasferte, anche
all'estero. Che non parla mai con nessuno». Aoud conosce bene il mondo delle
discoteche, il pettegolezzo incessante che lo percorre. La gente è convinta di
essere anonima, ma in realtà, tutti conoscono tutti. Per quanto poco
interessanti siano la tua vita e le tue relazioni, per un motivo o per l'altro
c'è sempre qualcuno che si diverte a curiosarvi.
Roberto
si cimenta col drink di Aoud, dosando scientificamente un Caipirinha. «Assaggia» gli dice. Aoud afferra il tumbler senza smettere di guardarsi in
giro e manda giù il primo sorso. Fa un cenno di approvazione: «Tienimelo in
fresco», e si dirige verso l'area delle piste, dove Miriam, la cubista, balla
attorniata dalla solita folla adorante. Alcuni si drogano con ecstasy e
anfetamine. Miriam si droga della sua stessa bellezza, ha fatto di se stessa
un'ossessione.
Una
disabile con una carrozzina motorizzata high-tech,
sbucata chissà da dove, zig-zaga tra i tavoli, ai bordi della pista e nelle
zone poco illuminate, rischiando ogni momento di essere ribaltata dalla ressa
dei corpi che prestano poca attenzione a chi incrocia la loro strada, in preda
allo stordimento della musica, dell'alcool e della stanchezza. E' venuta sola,
e per giunta respinge con malgarbo i tentativi di aiutarla o di mettersi a sua
disposizione del personale e di qualche ragazza ancora sobria.
La
disabile non ha le gambe. Al loro posto una specie di sacco informe ancorato
con delle cinghie. Il volto è seminascosto da un berretto a uncinetto che le
cade sghembo, e che lei non si cura di riassestare. Da sotto spunta una ciocca
di capelli biondi. Una mano inguainata in un guanto di cuoio, deformata dalla
distrofia, simile ad un artiglio nero, stringe il joystick. Da sotto il lembo
del berretto, tutto quello che si vede è una bocca storta non si sa bene se in
un ghigno o in una espressione di disprezzo.
Aoud
ha ormai rinunciato a capire fino in fondo i processi mentali dei frequentatori
compulsivi delle discoteche, ma l'incoscienza della gente riesce ancora a
stupirlo. Non ha scelta che mettere Gerry alle costole della ragazza perché non
le capiti nulla. Una persona in meno in un momento in cui ha bisogno che tutti
stiano al loro posto con gli occhi ben aperti. La serata comincia a dare
problemi.
Al
bar iniziano ad arrivare ragazze accaldate per il primo drink. e ordinazioni
girano velocissime, le mani si protendono sul bancone a ghermirle. «Merda! Ho
finito l'angostura!» urla Roberto ad un inserviente di passaggio, mentre mixa
l'ennesimo Mojito.
Sta
arrivando sempre più gente. Sulla rampa in discesa all'ingresso della discoteca
un gruppo di ragazzini sotto i diciotto, magri e pallidi, tremano dal freddo
nei loro giubbotti di jeans a ricoprire smanicati. Nella fila ci sono alcune
ragazze straordinariamente carine. La più notevole, in fondo, sta rollandosi
una canna con maestria invidiabile e si guarda intorno annoiata. Qualcuno
chiede chi è.
Aoud
si dirige verso la hall. Fa un cenno
di saluto a Teo, Cinzia e Selene, i tre pierre della discoteca, che siedono ad
un tavolo vicino alla consolle con aria molto annoiata e blasé, spettegolando
su tutti. Nella hall le pareti ricoperte
di velluto blu vibrano pesantemente al ritmo dei bassi. Alla reception, per
aiutare Nadia ed Erika, c'è un ragazzo nuovo, androgino, i capelli che arrivano
al colletto, trucco leggero, fondotinta che nasconde la barba. Prende i
cappotti e addebita l'importo sulle carte a microprocessore passandovi il
terminale elettronico che ha sostituito gli antiquati punzonatori. Alla cassa
c'è la fila di quelli che vanno a scontare la drink card o a ricaricarla. Sono spariti i bigliettini degli exit. Tutto al Lola è informatizzato e
veloce: Jean-Pierre pretende il meglio della tecnologia.
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La
discoteca è un ambiente popolato da una varietà di fauna che sfida quella di un
ecosistema naturale. Alcuni sembrano gli attori della scena teatrale di Aspettando Godot. Stanno seduti sui
divanetti ad ingurgitare un Bloody Mary
dopo l'altro, come in attesa di un evento che scuota la loro serata, di
qualcosa da raccontare il giorno dopo, che si tratti di una rissa o di uno
strafatto che vomita sulle scarpe di un altro.
Qualche
autodistruttivo con tagli di lamette sulle braccia magre e qualche emo se ne
stanno appartati a guardare il mondo con aria cupa. Gli esibizionisti si
infilano nei locali allo scopo di dare scandalo in pista. Due bellissime
ragazze stanno ballando seno contro seno,
mimando una situazione lesbo ad uso e consumo degli astanti maschi. Aoud
scoraggia i deliri esibizionistici più estremi e trascina via dalla pista senza
tanti complimenti chi accenna ad uno strip.
I
salutisti bevono succo di fragola a temperatura ambiente per ristabilire la
giusta condizione glicemica, qualcuno chiede succo di pomodoro, sale e limone.
Se ne andranno via relativamente presto, per non avere le rughe e le occhiaie
di una notte brava.
Ci
sono i vip, perlopiù attori, cantanti, stelline tv gonfie di alcamid e
silicone, che sfoggiano sorrisi di ceramica brillante. Jean-Pierre è venuto
un'ora fa ad accogliere un noto attore italiano, arrivato col suo entourage, e si è assicurato che abbia
adeguata protezione e privacy. L'attore se ne andrà dopo che il paparazzo della
rivista con cui si è messo d'accordo per cinquantamila euro, lo avrà
fotografato con la nuova fiamma, un'attrice in cerca di notorietà che lui, che
Aoud sa essere gay, non toccherà neanche con un dito.
Aoud
nota tre travestiti al bar, seduti su uno sgabello. Due ragazze piuttosto
femminili si corteggiano discretamente. Per stasera è tutto nei limiti. Il Lola accetta la presenza di omosessuali,
ma Aoud ha l'ordine di badare che non si trasformi in un locale per gay e non
avvengano effusioni oltre il limite tollerato dagli etero. Il popolo di destra
benvestito non gradisce effusioni da gay
pride; mentre naziskin e
alternativi di sinistra, per una volta d'accordo, disertano locali come il Lola, per gli uni pieno di giovani fatui
ed effeminati, per gli altri tempio del peggiore consumismo.
Una
anacronistica punkabbestia tira fuori un topo bianco dalla tasca del cappotto,
prendendolo per la coda per farlo vedere. «E' una femmina del laboratorio
dell'università», accarezza l'animale, che la guarda con gli occhi neri e
intelligenti. «Avrei dovuto tagliarle la testa oggi e sezionarla, ma non me la
sono sentita. E' la femmina più tosta della gabbia, e sa come farsi rispettare
dalle compagne. Sceglie lei i maschi a cui concedersi. Si chiama Esmeralda».
Aoud
incrocia diverse volte la disabile che in moto incessante appare e scompare nel
gioco delle luci. Nota la scritta sulla felpa: "mind alone is enough", qualsiasi cosa significhi. Ora è
al banco, e con la sua carrozzina elettrica spinge via gli avventori per avere
il suo drink. Sul davanti, ha appuntato uno schermo. Con una mini-tastiera sul
bracciolo sinistro seleziona i messaggi. "DRINK. NON ALCOLICO" dice
la scritta. Il barista lascia il bancone con gli avventori che gridano le loro
ordinazioni e prova a posarglielo in grembo in modo che non si rovesci. Lei,
senza ringraziare, volta la carrozzina, e scompare in direzione delle piste,
mentre il liquido, ad ogni sobbalzo, le schizza sulla giacca. Come farà a berlo
è un mistero.
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E'
venerdì notte, sono passate le due, e il Lola
è pieno come un uovo. Aoud riceve a ciclo continuo i rapporti del personale
negli auricolari, e si reca dove è richiesta la sua presenza, occhi ed orecchie
ben aperti. Non è possibile abbassare la guardia. Una serata può protrarsi sin
quasi alla fine senza avvenimenti rilevanti, e poi bam! senza preavviso succede l'indescrivibile: qualcosa che avresti
dovuto vedere, qualcosa che avresti dovuto notare.
La
frenesia è all'apice. Ragazzi e ragazze ballano dimentichi, in un'estasi quasi
mistica. Si sgomita per conquistare e tenere il centro della pista, è una gara
a chi vi resiste di più. Il suono dei bassi sembra il rimbombo di una preghiera
ancestrale.
Ai
bordi, e tra i tavolini il brusio delle conversazioni è incessante. Nei drink
aumenta il numero di ottani, per fornire adeguato carburante. Ora si beve vodka
secca con Cointreau e Red bull, Gin e Bourbon, Tequila e Coca cola.
C'è
un incessante e febbrile andirivieni dalle piste ai tavolini e dai tavolini
alle piste. Dal bancone del bar ai privé e dai privé al guardaroba. Corpi
sfiniti si accasciano sui divanetti, mentre altri si alzano apprestandosi a
scatenarsi sotto le luci. Dalle borsette delle ragazze più attrezzate spunta di
tutto: trousse per trucco, amuchina, accendini bic, diazepam, pillole contro la
diarrea, preservativi, iphone,
piccole macchine fotografiche, thermos, sigarette, bottigliette mignon di
liquore, pillole rosa, Maalox per
l'acidità di stomaco, apribottiglie di forme strane, buoni omaggio per le
consumazioni. In qualche privé si intravedono corpi avvinghiati sui divanetti
tra l'indifferenza dei vicini. I flash dei telefonini lampeggiano qua e là, per
la foto-ricordo di una notte particolarmente riuscita.
Ad
un tavolino al primo piano Aoud intercetta Najla, Rashida, e Suraiya, che
tentano di nascondersi dietro le borsette. Suraiya è figlia di un conoscente,
un camionista che è spesso via per lavoro e la cui madre è al momento in
ospedale per un intervento. Indossano tutte e tre minigonna e bolerino, sono
elaboratamente truccate ed acconciate allo scopo di sembrare più mature dei
loro quindici anni. La piccola peste è riuscita a trascinare nell'avventura le
inseparabili amiche, probabilmente ha detto ai loro genitori che sarebbero
andate a dormire da lei.
«Come
avete fatto ad ottenere gli alcolici?» chiede severamente Aoud accennando al
liquido ambrato nei loro bicchieri quasi vuoti. Rashida ridacchia, lievemente
brilla. Suraiya lo guarda con aria di sfida, «Non sei nostro padre, Aoud. Se tu
puoi stare qui, possiamo farlo anche noi. Abbiamo pagato l'ingresso. E abbiamo
l'età giusta».
«Nessuna
età è giusta per perdere la propria reputazione. Pensate se vi vedessero Asad,
Malik e i loro amici». Il colpo va a segno. Suraiya ha una cotta disperata per
Asad, che frequenta l'università, disapprova chi beve e frequenta locali
notturni. I suoi due cugini sono altrettanto devoti.
Come
se questo non bastasse, la settimana prima Nasira, una cugina di secondo grado
di Asad, che veste hijab, non si
toglie il fazzoletto dalla testa e per uscire di casa pretende di essere
accompagnata dal fratello, è stata lodata dai genitori di Asad, che hanno
invitato la ragazza con la sua famiglia ad una cena nel giardino della loro
villa. Nasira va dicendo a tutti che sposerà Asad, e Suraiya non può sopportare
di sentirne neanche il nome.
«Tu
non glie lo dirai, vero?» Suraiya ha cambiato tattica, e ora due grandi
occhioni da cerbiatta cercano di far breccia nella corazza di Aoud. Ma lui non
è in vena di farsi manipolare da quella pestifera ragazzina, che gli ha fatto
sudare sette camicie sin da quando aveva dodici anni, perciò taglia corto.
«Questo
sarà tutto da vedere. Intanto vi chiamo un taxi con destinazione casa, e Marius
si assicurerà che saliate a bordo e che gli riconsegniate drink card,
sigarette, accendini e bottigliette di liquore». Con Marius non ci sarà niente
da fare. Il buttafuori ucraino ha la sensibilità di un plinto di cemento
armato.
«Questa
me la paghi, Aoud. Ti diverti ad umiliarmi solo perché sei invidioso di Asad,
che è uno studente brillante e diventerà uno stimato medico, mentre tu sei solo
un beduino del deserto spiantato e arrogante» sibila Suraiya, cercando di avere
l'ultima parola per non perdere del tutto la faccia di fronte alle amiche che
la prendono a modello, e rimane a guardarlo in cagnesco mentre lui si allontana
per ricevere una chiamata con codice di priorità.
In questo momento Asad è strafatto di
cocaina e sta rotolandosi nel letto con due compagne di università che l'hanno
invitato a studiare nel loro appartamento sibila la voce maligna del djinn nella testa di Aoud. Il suo
telefonino si accende improvvisamente e mostra tre corpi avvinghiati in un
amplesso. Io glie lo farei vedere sghignazza la creatura.
Ma
Aoud non ha tempo di pensarci. Diego, dalla sala due, al momento la più
affollata, gli ha comunicato via radio che la disabile sta tentando di puntare
verso la pista. Imprecando mentalmente, fa i gradini tre a tre, si fa strada
senza complimenti oltre i tavoli e le si para davanti. Legge lo schermo che lei
porta in grembo: "BALLARE" lampeggia la scritta. «Non puoi salire» le
grida nel frastuono, «non ci sono rampe di accesso alle piste. Dov'è il tuo
accompagnatore?». Quella non gli risponde, sembra non guardarlo né sentirlo. Fa
un tentativo di aggirarlo.
Aoud
si chiede per l'ennesima volta chi è l'irresponsabile che l'ha portata al Lola per poi abbandonarla. Afferra il joystick e senza tanti complimenti
pilota la sedia semovente al bar. «Dalle un drink» dice a Fabrizio, il barman,
e a lei: «stai qui, altrimenti sono costretto a chiamare un'ambulanza per
riportarti a casa». Se la rivedrà accanto alla pista le scollegherà la batteria
e la lascerà senza locomozione per tutta la serata, e al diavolo il
politicamente corretto. Quella pare capire e per il momento si ferma davanti al
bancone, in attesa del drink. Aoud si guarda intorno.
«Betty
se ne va. Ha il bambino che sta male ed è a digiuno perché domattina deve fare
un'ecografia. Da un po' di tempo ha dolori addominali» dice a Marzia, che dovrà
andare in sala tre a sostituirla.
«Ha
fatto in tempo a dirti così tante cose? O te l'ha comunicato con la forza del
pensiero mentre ti si strusciava?» replica Marzia, acida e gelosa. E' di
pessimo umore, si è truccata per lui ma non ha ricevuto ancora uno sguardo o un
commento di approvazione. Seguiranno i suoi SMS sul telefonino. Aoud si fa
l'appunto mentale di prenderla da parte e spiegarle in modo definitivo che lui
non è sua proprietà solo perché sono stati a letto un paio di volte. Non
gradisce che la vita sentimentale interferisca col lavoro, e lo rende ben
chiaro a quelli del suo staff. Se Marzia si intestardirà a non capirlo, sarà
peggio per lei, verrà licenziata.
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Il
climax è stato raggiunto e sta
iniziando a digradare nell'anticlimax.
Ragazzi dormono con la testa sulla spalla dell'altro. Si vedono occhi rossi o
appannati dal bisogno di sonno. Dopo
le notti più frenetiche, in certe zone della discoteca ristagna un odore squallido
di sesso e umanità: sudore di gruppo appena traspirato, alcool, fumo dagli
indumenti, odori dai bagni separati dal resto delle sale da porte con apertura
ad antine stile saloon.
La
cessista del Lola è Ivana, una croata
piena di tatuaggi che fa palestra e krav
maga. Ha un compito non meno importante di quello degli altri membri dello
staff, fa rispettare i bagni separati per maschi e femmine, dissuade con metodi
energici chiunque dall'utilizzare le toilettes
come alcove, fiuta a naso le coppie omo e impedisce che entrino insieme a
pomiciare. Pesta senza riguardo chi esce da un cesso imbrattato di scritte a
pennarello o di escrementi sul pavimento.
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Il
djinn continua a nascondersi. Aoud
percepisce la sua presenza dietro le luci e le ombre in fondo alla pista del
pianoterra, accanto ai bar, dove sono posizionati divanetti e tavolini
delimitati da sbarre illuminate di neon verde. L'accendino di una ragazza
esplode in una fiammata violenta. Niente di più di uno strillo di paura,
seguito da risate isteriche: il djinn
si sta divertendo a provocarlo.
La
ragazza in bianco scompare e ricompare. Non si ferma a lungo in nessuna sala.
Aoud la intravede ai bordi della pista tre e fa per avvicinarsi, ma
improvvisamente le luci si spengono e si riaccendono, e quella è sparita. Il
barista della sala quattro, che sta cercando freneticamente di riattivare il
video touch screen del bancone l'ha
appena vista: «era qui, le ho chiesto di allungarmi la drink card, quando lo schermo è impazzito, è diventato rosso sangue
e sono comparsi dei caratteri arabi. Quando mi sono voltato, era sparita col
drink, senza pagarlo».
Aoud
scorge Dino, addetto alla sorveglianza elettronica, accanto alla cassa della hall, e gli chiede di visualizzare sul
suo tablet le inquadrature delle
telecamere. Improvvisamente lo schermo del tablet si oscura. Quando si
riattiva, la stessa identica ragazza in bianco saluta alzando il drink dai riquadri
di tutte le telecamere. «E' un malfunzionamento» mormora Dino. Tutte le
telecamere del Lola stanno
inquadrando la stessa scena. Aoud riconosce la sala due. Vi si dirige
velocemente, mentre sente risuonare nella sua mente la risata del djinn.
La
trova che sta sorseggiando l'ennesimo drink. Secondo i suoi calcoli dovrebbe
già essere in coma alcolico, invece non reca la minima traccia di ebbrezza.
Improvvisamente la vede raddrizzarsi come un predatore che abbia fiutato la
preda. Ha scorto qualcuno nello specchio che riflette la sala. Si volta verso
l'ingresso. E' entrato un uomo che si siede ad un tavolino e fa un cenno al bar
per l'ordinazione. La ragazza si alza e punta verso il tavolino. Si siede
casualmente accanto all'uomo. Gli chiede qualcosa. Quello la guarda, e conclude
che può tentare l'approccio. Le sorride e fa una battuta. Ecco cosa aveva
atteso per tutta la serata. La paranoia di Aoud suona campanelli di allarme.
Aoud
conosce l'uomo che è entrato. Sui trentacinque anni, intorno al metro e
ottantacinque. Capelli castano scuro. Occhi azzurri. Fisico scolpito dalla
palestra. Viene sempre a quell'ora, di solito Venerdì o Sabato. Talvolta con
una ragazza, ma molte volte solo. Veste molto bene, abito Armani o Brioni,
camicia Forzieri, cravatta Milano; potrebbe lavorare in una banca d'affari o in
una prestigiosa clinica universitaria. Lascia mance incredibilmente generose. I
barman, le receptionist, i buttafuori gli passano informazioni sulle ragazze
disponibili, lo aggiornano sugli ultimi pettegolezzi. Gli piacciono i cocktail
con gin e succo di arancia e i balli latini.
Sebbene
non abbia fatto niente di illegale, l'uomo non piace per niente al
nordafricano. Aoud ha un brutto feeling
nei confronti di quel giovane yuppie
dai modi raffinati e dall'aria snob dell'uomo di successo, con la Porsche Cayenne, il cronografo Patek Philippe, la lieve abbronzatura
naturale, le cravatte di seta grezza e il taglio di capelli da duecento euro.
Intorno a lui percepisce un'aura oscura, un alone di buio. L'uomo dissimula
bene, ma talvolta Aoud nota da segni impercettibili che ha assunto qualcosa, e
qualcosa di molto forte.
Dopo
un po' si recano al bar. Il Dj ha messo musica raffinata, jazz house, e l'uomo invita a ballare la ragazza in bianco. Durante
il pezzo continua a parlarle all'orecchio. Lei ogni tanto alza la testa e ride,
scuotendo i ricci neri che ha liberato dalla sciarpa. Poi Aoud viene chiamato a
sedare una brutta rissa al primo piano, e dimentica temporaneamente la ragazza
in bianco con l'uomo elegante.
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Quando
si mette di nuovo a cercarli sono le due di notte. I due sono ancora lì. Si
stanno comportando come una delle tante coppie che si formano durante la
serata. Proprio in quel momento si alzano e si dirigono alla sala della musica Techno del primo piano, che ha una balconata con
privé più appartati, in penombra, dietro i tavolini che guardano sulla pista.
Ma la loro destinazione non sono i privé. Li oltrepassano fino ad arrivare ad
un andito in cui si apre la porta di uno dei locali di manutenzione. L'uomo
estrae un pass elettronico, che evidentemente un membro del personale gli ha
fornito in cambio di una lauta mancia, ed entrano.
Aoud
impreca e si dirige a sua volta verso la porta. Ma non riesce ad arrivarci. Una
forza sembra respingerlo. Una voce esplode nella sua testa:
NON TI AVVICINARE!
Lui
fa pochi passi.
NON TI AVVICINARE!
Stavolta
la voce è molto più forte, e Aoud controlla l'impulso di portarsi le mani alle
orecchie. Fa ancora pochi passi.
NON TI AVVICINARE!
Questa
volta la voce del djinn è piena di
ira gelida, e gli sembra che il cervello gli esploda. Barcolla, urta contro il
bordo di un tavolino e si trova carponi a terra. Una ragazza gli chiede
preoccupata se si sente bene. Capisce che se fa un altro passo verrà ucciso.
Non ha altra scelta che tenersi a distanza, ed abbandonare l'uomo alla sorte
che lo attende di là dalla porta.
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Riccardo
Malcomess entra nella stanza con la sua preda. Le ha versato nel bicchiere un
mix di ketamina, Roipnol e GHB. Potenziata dall'alcool e dal GHB, la miscela
farà effetto nel giro di pochi minuti, rendendola docile e sonnolenta. Uscirà
con lei dalla porta di servizio, senza che le telecamere lo vedano. Prima di
entrare in discoteca ha individuato un camper vuoto in un parcheggio
condominiale a un isolato di distanza. Ha scassinato il camper eludendo il
sistema di allarme. Porterà lì la vittima. La siringa ipodermica e la sostanza
che le somministrerà sono nella tasca destra della giacca. Nell'altra tasca ha
una fiala con una soluzione di cloruro di potassio, nel caso debba sbarazzarsi
velocemente di lei. La somministrazione endovenosa di KCl simula un arresto
cardiaco per fibrillazione ventricolare. Gli aspiranti suicidi, soprattutto
anestesisti, lo scelgono per la sua efficacia. E' molto difficile da rilevare
in un esame autoptico, a meno che non si sappia cosa cercare. Il giorno dopo la
polizia si troverà di fronte ad un nuovo omicidio dell'uomo del topicida.
I
giornali non ne hanno ancora parlato, ma tra gli investigatori circolano già
diversi soprannomi per l'assassino. E' anche conosciuto come l'uomo dei camper.
O l'uomo delle Gauloises. O l'uomo degli haiku.
Le sue vittime, invariabilmente delle tossiche che frequentano gli ambienti
delle discoteche, sono trovate in un camper scassinato con abilità, prive di
vita. Hanno agonizzato a lungo. L'uomo del veleno per topi ha somministrato
loro una varietà di sostanze, tutte letali, tutte a lenta azione, tutte
dolorose. Evidentemente gli piace sperimentare.
All'ultima
vittima ha somministrato prima una sostanza innocua, poi, quando quella è
entrata in circolo nel sangue, ha iniettato una seconda sostanza che ha reagito
con la prima provocando massicce emorragie interne, simili a quelle provocate
dai virus Ebola e Marburg, ma molto più velocemente. La vittima è morta
vomitando sangue e escrementi. Presumibilmente l'uomo del topicida l'ha
guardata morire lentamente e in modo doloroso, come ha fatto con tutte le
altre. Accanto alla vittima legata con fascette di elettricista, i mozziconi
delle sue sigarette, delle Gauloises
rigorosamente senza filtro, che lui spegne sul suo corpo.
L'esame
del dna trovato sulle sigarette non ha avuto riscontri nel database delle forze
dell'ordine. L'uomo, mentre la vittima agonizza, si diverte a scrivere sul suo
corpo nudo con un pennarello speciale, di quelli utilizzati dai tatuatori.
Scrive haiku strani e criptici.
L'esame delle vittime rivela l'assunzione di cocktail che vengono di solito
bevuti in discoteca. Diverse di esse hanno i timbri dei locali. Ma le
telecamere delle discoteche non hanno rivelato nulla. L'uomo è inafferrabile
come nebbia.
Riccardo
Malcomess è figlio di un cardiochirurgo inglese che è venuto in Italia negli
anni Sessanta, professore universitario alla Cattolica. E' cresciuto nel nostro
paese. Ha studiato medicina ed è a sua volta un noto neurochirurgo e un
brillante giovane cattedratico.
Il
padre di Riccardo è stato internato in manicomio criminale quando il figlio
aveva otto anni. Ha ucciso la moglie e il suo amante di fronte al bambino, in
un raptus di gelosia. Riccardo è stato affidato ad uno zio materno. Nel verbale
secretato destinato allo psicologo che si occuperà di lui per diversi anni è
detto che James Malcomess ha iniettato una soluzione conservante ai due
cadaveri e ha costretto il figlio a nutrirli ed accudirli insieme a lui per due
anni prima che i resti ormai semiputrefatti venissero scoperti.
Affidato
allo zio materno, Riccardo Malcomess viene messo in collegio, nonostante il
parere fermamente contrario dello psicologo. Lì, a causa delle gravi turbe
psichiche e della conseguente incapacità di difendersi, subisce gravi abusi da
parte dei compagni più grandi, di fronte ai quali viene costretto a subire
rapporti sessuali anali ed orali. Il trauma subito a causa del padre inibisce
le sue capacità comunicative e di reazione, e lui sopporta in silenzio, per
cinque anni, senza dire niente a nessuno.
Quando
vengono trovati animali uccisi nei luoghi di vacanza che frequenta con gli zii
nei mesi estivi, nessuno sospetta di quel ragazzo tranquillo dall'aria un po'
spenta. E quando una adolescente viene trovata nei boschi intorno alla loro
villa, con ferite slabbrate e profonde di coltello su tutto il corpo, in cui
l'assassino ha eiaculato ripetutamente, tutti pensano a zingari, o a persone
venute da fuori.
Segue
un periodo di latenza. Riccardo Malcomess si iscrive a medicina. Tagliare
cadaveri nelle sale anatomiche, operare al tavolo operatorio, apprendere le
procedure di accertamento medico-legale e studiare per proprio conto
criminologia e tecniche investigative gli consente una pausa di riflessione, dà
una direzione più organizzata e metodica ai suoi crimini. Un nuovo modo di
uccidere. Alla prima delle sue nuove vittime inietta della canfora, un
pericolosissimo cardiotonico. Malcomess la guarda agonizzare per cinque minuti
tra atroci dolori al petto. Un tempo troppo breve per i suoi gusti. Passa a sperimentare
nuove sostanze.
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Ma
la ragazza vestita di bianco è stata ben attenta a non bere il drink di
Malcomess. E' sobria e vigile. Peccato che, entrando nella stanza, inciampa e
le cade la borsetta. Il contenuto si sparpaglia per terra. Prima che lei possa
riprenderlo, Riccardo Malcomess si china e raccoglie un tesserino di cuoio
rosso: "Alice Zanetti. Ispettore di Pubblica Sicurezza". Il tempo
sembra fermarsi. L'ispettore Zanetti si raddrizza, pronta a fuggire. Riccardo
Malcomess estrae dalla tasca un bisturi nella sua confezione sterile.
In
quel momento, la porta si spalanca ed entra la disabile con la carrozzina.
Riccardo ed Alice si voltano, sorpresi, e rimangono a guardare a bocca aperta
la sua metamorfosi. Il berretto è sparito, due occhi di un liquido colore
dorato, come quelli di un grande felino, li fissano da sotto una zazzera di
setole fulve che sembra una criniera. I denti sono appuntiti e fitti come
quelli di una lampreda. I guanti sono spariti, al posto delle mani ci sono due
potenti artigli neri con tre dita ciascuno. Ma è la parte inferiore del corpo a
calamitare l'attenzione. La creatura non è umana. Il suo corpo, dal bacino in
giù, si avvolge in spire di serpente, sino a quel momento nascoste dove
sembravano essere le gambe mutilate.
"Djinn". La parola si forma da sola
nella mente di Malcomess, come se l'essere gli abbia suggerito la soluzione di
un indovinello.
Poi
i vestiti si disintegrano, e con essi ogni residuo di umanità: sul torso di
donna, con sei mammelle, decine di occhi gialli si aprono e si mettono a fuoco
su di loro. Al posto della vagina una seconda bocca con due chiostre
concentriche di denti acuminati si apre e si chiude ritmicamente.
Riccardo
Malcomess si accorge che non può muoversi, il djinn ha paralizzato i suoi muscoli. Le spire di serpente si
srotolano e l'essere striscia flessuoso verso di loro, mantenendosi in
equilibrio come un cobra. Riccardo Malcomess sente l'alito del djinn sulla sua guancia, mentre la sua
voce raspante gli sussurra all'orecchio.
«Non
posso ucciderti e portarti all'inferno, Riccardo Malcomess. Non mi è permesso,
perché tu, anche se hai ucciso, sei a tua volta una vittima. E perché, come
medico, hai salvato molte vite. Ma ora la corda si è logorata. Un djinn, può esaudire tre desideri, ma
stanotte sono stato inviato per offrirti invece tre scelte».
«La
prima scelta: esci di qui senza voltarti, e avrai una possibilità di salvezza.
Per una volta, dimostrerai di essere capace di opporti ai tuoi istinti, potrai salvare ancora molte vite e riscattare
il tuo passato».
«La
seconda scelta: uccidi questa persona, e il tuo destino si concluderà, qui ed
ora».
«La
terza scelta: questa donna sarebbe comunque morta stasera, per un incidente. Tu
puoi dare la tua vita per la sua, e la tua anima sarà immediatamente salva».
Il
djinn ha appena finito di parlare.
Riccardo Malcomess riacquista la facoltà di movimento, e con un gesto fulmineo
taglia la gola all'ispettore Alice Zanetti.
«Avevo
previsto che prima o poi mi avrebbero beccato. Cosa possono farmi, ora? Dieci
anni di manicomio criminale, quindici al massimo, poi uscirò. Oltre che in
chirurgia, ho anche una specializzazione in psichiatria. Sono in grado di
simulare perfettamente una guarigione. Sempre che mi prendano. Ho un vantaggio
di alcune ore e posso essere fuori dell'Italia entro la mattinata. Se mi
prenderanno, l'unica scocciatura sarà non poter più uccidere, ma cosa vuoi che
sia? Quanto a questa qui, una in più, una in meno non cambierebbe la mia
condanna. Perciò, perché non uccidere anche lei?».
«L'ispettrice
non ha confidato a nessuno i suoi sospetti» dice il djinn, «e la sua morte non sarà ricollegata a te».
«Vedi?»
esclama trionfante Malcomess, «Gli spiriti come te sono menzogneri. Il tuo era
un bluff. Me ne andrò di qui impunito e continuerò ad uccidere».
Il
djinn scuote la testa. «Nessuna
menzogna. Quando ho detto che il tuo destino si concluderà qui ed ora non
intendevo dire che saresti stato catturato dalla polizia».
Riccardo
Malcomess stringe gli occhi: «Cosa significa?»
«Significa
che ora non avrai più tempo di fuggire da questo»,
dice il djinn. E improvvisamente il
mondo si disintegra.
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Otto
e mezza di mattina, bar Duomo. Tra
gli avventori radunati sotto il mega-schermo, che ascoltano attoniti le ultime
notizie, c'è il gruppo di nottambuli che sono usciti dal Lola all'una e mezzo per l'after-hour.
Sono pallidi e sconvolti. Una ragazza del gruppo piange. Un'altra mormora sottovoce
«Dio, ti ringrazio. Dio, ti ringrazio. Dio, ti ringrazio…». Viene cambiato
canale alla ricerca di nuovi dettagli. L'annunciatrice di Rai Tre ripete per
l'ennesima volta le notizie che tutti i notiziari stanno trasmettendo.
«Trecentoventi
persone sono morte, e altre centosessanta sono rimaste ferite, una cinquantina
in modo grave, alle due di stamattina, a Milano, alla discoteca Lola, quando Aoud Kane Annour, un
immigrato con passaporto del Mali, si è fatto esplodere nella sala principale
del locale, con un esplosivo ad altissimo potenziale, che ha provocato il
collasso della struttura. Nella sua abitazione di via Cipriani è stato trovato
un messaggio che inneggia alla jihad
e invita tutti i veri credenti che vivono nei paesi occidentali tra i nasrani, i cristiani, ad immolarsi come shahid, martiri dell'Islam, per colpire il Grande Satana. Aoud
Annour frequentava negli ultimi tempi la moschea ultra-estremista di Parco
Ravizza, e si era convertito all'islam radicale. Nel disco rigido del suo
computer sono stati trovati numerosi video scaricati da internet con i discorsi
del terrorista americano-yemenita Anwar al-Awlaki, che predicava la jihad sul web. Anwar al-Awlaki era stato
ucciso due anni fa da un missile americano lanciato da un drone in volo sullo
Yemen. Il suo nascondiglio era stato localizzato quando aveva invitato Samir
Khan, un altro yemenita con passaporto americano, editore della rivista
jihadista Inspire, a raggiungerlo nel
nord del paese, ma i suoi discorsi hanno continuato a circolare tra gli
estremisti. La madrassa della moschea è stata chiusa e il materiale sequestrato
è al vaglio degli inquirenti».
«La
solita merda, chiudono la stalla quando i buoi sono fuggiti» dice un avventore,
poi riprende a giocare a carte.
Una
disabile in carrozzina esce dal bar e si dilegua nella nebbia che ha invaso la
piazza. Ha un appuntamento all'inferno. Deve dare il benvenuto a un nuovo
arrivato.