LE ASTUZIE DEI GESUITI

 

 

 

 

 

 

 

L'efficienza dell'organizzazione dei gesuiti li rese il bersaglio di ogni propagandista protestante in Europa. Penne intinte nel veleno si diedero a scrivere una diluvio di pamphlet che inondarono l'Europa e le sue corti, generarono paura, diffidenza, ammirazione, timore, rispetto. "I gesuiti," ammonirono quelle penne, "sono come la notte: ritornano sempre." Era l'inizio della "Leggenda nera" che da allora e fino ai nostri giorni ha accompagnato la Compagnia di Gesù.

Sin dalla nascita dell'ordine, la clausola contenuta nella bolla di istituzione canonica della Compagnia, del 1540, con la quale Paolo III concedeva facoltà di redigere le costituzioni anche in deroga ai canoni conciliari e costituzioni apostoliche rappresentò una novità che rese diffidenti tutti gli stati europei nei loro confronti. Illuminante è la storia dell'ordine in Francia.

Il 26 gennaio 1552, l'avvocato Seguier presentava una rimostranza al Parlamento affinché i gesuiti non fossero ammessi nel regno, additando i privilegi che esentavano questo nuovo ordine dal pagamento della decima ai curati e dalla giurisdizione vescovile.

Nel 1554 il Parlamento di Parigi decideva di sottoporre le costituzioni dei Gesuiti all'esame della Sorbona e del vescovo di Parigi, Du Bellay, il quale sconsigliò di accettarli nel regno, stigmatizzando in particolare il privilegio di non essere corretti che dai superiori dell'ordine, di assolvere anche nei casi riservati,  di scomunicare e consacrare chiese.

Egualmente grave appariva la minaccia dei Gesuiti alle università. Nei Paesi Bassi meridionali l'Università di Lovanio e gli Stati del Brabante si congiunsero nel 1583 contro i privilegi dei Gesuiti, le cui lezioni tenute nelle scuole proprie degli ordini erano considerate valide per conferire i gradi a studenti estranei all'ordine stesso.

Alla fine del Cinquecento i Gesuiti venivano additati in tutta Europa come sovversivi e partigiani delle guerre di religione. Nel 1578 venivano banditi da Anversa come oppositori della pacificazione di Gand; nel 1581 Edmond Campion e Alexander Briant venivano messi a morte in Inghilterra con l'accusa di aver tramato contro la vita di Elisabetta. Tre anni dopo, nel 1584, le imputazioni si ripetevano diffondendo la voce che dietro gli attentati alla vita di numerosi principi protestanti agisse la dottrina e l'opera attiva della Societas Iesu. Nel 1584 i gesuiti venivano accusati di stare dietro l'attentato contro Elisabetta da parte di William Parry, sospettato di essere stato istruito ed istigato a Venezia da Benedetto Palmio e in Francia da Annibale Coudret,  oltre che da altri di Parigi e di Lione; e di stare dietro l'uccisione del principe d'Orange, il più importante capo militare protestante, in guerra contro la Spagna, da parte di Baltasar Gerard. Padri Gesuiti furono direttamente coinvolti nella guerra civile francese seguita alla morte di Enrico III e si segnalarono nell'organizzazione della resistenza di Parigi assediata da Enrico IV.

I primi importanti scritti antigesuitici  apparvero in Francia verso la fine del secolo decimosesto,  dopo che già erano già stati stampati contro di loro il Theologiae jesuitarum praecipua capita di Martin Chemnitz  e la Assertio ueteris ac veri cbristianismi adoersus novum et fictum Iesuitismum.  Nel suo Plaidoyer, Etienne Pasquier nel 1594 sostiene che i gesuiti parigini cercano di ottenere per vie traverse quel che non riescono a raggiungere in campo aperto e l'intento dei gesuiti è pieno di dissimulazione e di ipocrisia. La dissimulazione e l'ipocrisia consistevano, in questo caso, nel tentare di aggirare il divieto di leggere pubblicamente e conferire i gradi accademici in concorrenza con l'università facendosi incorporare nell'università stessa.

La campagna antigesuitica divenne virulenta quando venne pubblicato, nel 1599, il De Rege et regis instituzione di Juan de Mariana dove il gesuita spagnolo sosteneva che, in presenza di una tirannia intollerabile divenisse lecito al suddito uccidere il tiranno. Praticamente era un manifesto della teoria dell'uccisione del principe eretico durante la guerra di religione. La campagna letteraria antigesuitica prese fuoco in tutta Europa.

Fu in questi anni, a cavallo tra Cinque e Seicento, che cominciò ad essere attribuita ai gesuiti la dottrina, inizialmente sostenuta dal loro padre Skarga, confessore di Sigismondo III, secondo cui i cattolici non erano tenuti a mantenere la parola data agli eretici. Una simile dottrina, diffusa ampiamente in quegli anni, aveva la conseguenza di considerare non vincolante ogni pace di religione o editto di tolleranza, a cominciare dalla pace di Augusta e dall'Editto di Nantes. Conseguentemente, i Gesuiti vennero accusati di Machiavellismo. La dottrina di Skarga aveva una innegabile rassomiglianza con le parole del Principe di Niccolò Machiavelli: "Non può pertanto uno signore prudente,  né debbe, osservare la fede, quando tale osservantia li torni contro, e che sono spente le ragioni che le feciono promettere."

I Gesuiti vennero accusati di mescolare le cose di stato con quelle di religione, e persino di non credere alla religione che professavano, se non come strumento per mantenere il potere dei sovrani e l'ordine pubblico.  In particolare, veniva considerato machiavellico il sistema del duplice ordine di voti all'interno della Compagnia: i professi emettevano i voti solenni di obbedienza,  castità e povertà, divenendo inabili ai diritti civili di proprietà e di successione, mentre gli scolastici del primo voto semplice, benché prestassero anche essi i tre voti,  erano considerati ancora abili civilmente, e capaci di succedere e di possedere: un espediente per mantenere una parte dei membri della Compagnia in grado di avere proprietà e anzi di ampliare i beni dell'ordine mantenendo intatta la facciata di povertà tradizionale, attraverso l'acquisizione di eredità e di legati che poi, al momento di compiere la professione solenne, sarebbero stati lasciati alla Compagnia stessa. Le Regole, infatti, sconsigliavano di lasciarli ai parenti. Veniva citata, dai detrattori, tutta una serie di supposte tecniche dei gesuiti per impossessarsi dei legati testamentari.

Il patriziato veneziano era particolarmente in allarme per queste manovre. Per individuare i canali e le tecniche attraverso cui i gesuiti riuscivano ad aggirare il divieto fatto ai cittadini veneti di ogni classe di testare in loro favore,  Giovan Francesco Sagredo predispose un'esca. Si pose in contatto con un corrispondente gesuita fingendosi una devota e, a un certo punto dello scambio epistolare, manifestò l'intenzione di testare in favore della Compagnia, trattenuta soltanto, diceva, dal divieto fattone dalla Repubblica. E il gesuita le aveva tempestivamente risposto dettando la forma testamentaria che avrebbe consentito di far pervenire il lascito alla Compagnia.

Veniva denunciata la massima gesuitica dell' obbedienza cieca basata sull'idea che ogni superiore rappresenti il Cristo. Da qui l'accusa di non rispettare, a somiglianza degli anabattisti, il potere civile. Essi rendevano presente l'ordine divino in quello umano e abolivano per tal via il potere politico.

Durante la vicenda dell'interdetto, che oppose Paolo V a Venezia, i Gesuiti furono espulsi, pagando il fatto che erano le truppe più fedeli del Papa nel territorio della Repubblica. I Veneziani erano stati anche motivati dalle voci che giungevano da tutta Europa sul conto degli Ignaziani: in Inghilterra li si accusava di essere dietro la congiura delle polveri, in Russia dietro al tentativo fallito sanguinosamente  del Falso Dmitri di impadronirsi del trono e di sostituire il rito greco con quello latino. Subito dopo la loro partenza dal dominio veneto si diffuse la voce di enormità e di reperti criminosi trovati in quei Collegi dai quali i gesuiti non avrebbero fatto a tempo a portare via ogni cosa. Il cardinale di Joyeuse, mediatore tra Venezia e il Papa, parlava di   «enormissime colpe». Di fatto, i Gesuiti si erano rifiutati di dire messa, e avevano pubblicato ai confini dello stato veneto, a Bologna e Milano, il testo dell'interdetto papale che era stato fatto sparire invece nel territorio della Serenissima. Nell'immaginazione dei Veneziani, essi ora operavano con tutte le loro arti per ostacolare la Repubblica: con lettere, emissari, pamphlets antiveneziani, e con innumerevoli altri mezzi, non più legali, ma segreti, arcani e misteriosi.

Nel 1608 usciva a Wittenberg un libro che riportava 16 biasimevoli massime gesuitiche che erano state prese dai loro testi e dai loro discorsi, tra cui la "potestà totale" del Papa, l'immunità assoluta degli ecclesiastici per i crimini compiuti, l'invalidità dei patti con gli eretici, la non obbligatorietà della Pace di Augusta, la dottrina del tirannicidio, la teorizzazione della revoca di ogni tolleranza religiosa là dove i cattolici avevano riguadagnato sufficiente forza.

In Francia i Gesuiti erano accusati da pamphlet anonimi di dedicarsi alla magia e alle arti occulte e di interrogare i demoni presenti nel corpo degli ossessi, durante i loro esorcismi, con domande proibite e riguardo la conoscenza del futuro. Venivano citati i casi di gesuiti esperti nella Kabbala, come Athanasius Kircher o dediti all'alchimia, come Johannes Roberti.

In campo teologico, venivano accusati in ambienti domenicani di essere pelagiani e di non riserbare alcun ruolo alla grazia divina nella salvezza, tanta era la loro avversione alle teorie calviniste che negavano il libero arbitrio. Grande allarme suscitavano le prime congregazioni segrete create da loro create, Gesuiti, la prima a Napoli nel 1593, e poi a L'Aquila e altrove. la Compagnia assumeva i contorni di una setta politica di carattere iniziatico. Il complesso sistema del reclutamento, con i coadiutori in temporalibus,  gli scolastici, i voti semplici e i voti solenni era visto come il percorso di un procedimento di iniziazione. Come notava Paolo Sarpi, la conoscenza delle regole e degli affari dell'ordine era compartimentalizzata, e ogni livello conosceva solo quello che doveva conoscere riguardo il fini e le procedure della Compagnia. È un fatto che essi avessero una letteratura interna, che era gelosamente celata agli estranei, e che raramente e controvoglia mostrassero tutti i documenti che componevano le loro estremamente complesse costituzioni.

Tra i loro arcani, i gesuiti avevano innanzitutto quello di travestirsi e di agire in territorio ostile sotto mentite spoglie. L'infiltrazione gesuitica attraverso il travestimento divenne presto una delle preoccupazioni dei governanti europei. Nella sua arringa per l'espulsione dei gesuiti dalla Francia, l'avvocato parlamentare Dollé aveva enumerato tra i privilegi gesuitici quello di travestirsi da laici in occasione di particolari missioni. Dall'Inghilterra giungeva notizia che il gesuita Henry Garnet - insieme ai suoi compagni Creswell, Oswald Greemway e Gerard - era stato accusato, durante le indagini seguite alla congiura delle Polveri, di avere usato equivoci e travestimenti. Ai Gesuiti veniva attribuita la massima secondo cui è lecito, in territorio eretico e sotto interrogatorio di magistrati eretici, usare equivoci, nomi ed abiti falsi; veniva esibita una lettera di Edmond Campion del 1583 dove questi narrava al padre generale di aver spesso cambiato nome ed abito in Inghilterra. In effetti, come sappiamo, nel 1580 il gesuita Robert Persons giunse a Londra travestito da ufficiale, mentre Edmond Campion aveva assunto l'identità di un gioielliere. Una volta arrivato a Londra, George Gilbert fornì a quest'ultimo diversi travestimenti e i due si mossero per lo più travestiti da nobili.

I gesuiti Matteo Ricci in Cina e Roberto de' Nobili in India adottavano usi e costumi del posto e si abbigliavano secondo la tradizione locale. Ricci giunse addirittura a travestirsi più volte da bonzo buddhista.

A Venezia si denunciava il fatto che gesuiti entravano nel territorio vestiti da secolari per riscuotere le rendite del loro patrimonio, nonostante che questo fosse stato confiscato dalla repubblica e dato in amministrazione al Nunzio apostolico. Al tempo dell'espulsione la loro rendita veniva valutata tra i dodicimila e i quindicimila scudi: una somma enorme. Girava voce che a Padova e a Brescia, dove i padri dei collegi non avevano fatto a tempo a portare in salvo la documentazione posseduta, sarebbero state ritrovate delle inchieste sulla disponibilità finanziaria dello Stato e delle grandi famiglie venete. A Roma, i fanciulli che chiedevano di frequentare il Collegio venivano sottoposti ad un esame concernente anche lo stato patrimoniale della famiglia.

Per mostrare la spietatezza e la perfidia che i Gesuiti usavano nel perseguire i loro fini economici, veniva citato il caso, storicamente documentato, di una benefattrice, una nobile spagnola che aveva donato all'ordine enormi somme e che aveva l'abitudine di frequentare il loro collegio per ricevere direzione spirituale dai padri. Un giorno vi capitò mentre era in visita un censore della Compagnia, che la cacciò dalla casa dei Gesuiti, scandalizzato che una donna vi fosse ammessa. La vecchia signora raccontò l'episodio a parenti che le dissero che era stata gravemente offesa. Quando giunse alle orecchie dei Gesuiti che la benefattrice meditava di revocare le sue disposizioni a favore dell'ordine a causa della sua ingratitudine, essi si mossero per farla interdire e far assegnare l'amministrazione del suo patrimonio ad un parente a loro amico, asserendo che era una donna e come tale incapace di intendere e di volere.

La dottrina gesuitica della equivocazione, ad essa attribuita dagli avversari, costituisce il corrispondente interiore del travestimento e della falsità esteriore:  essa concerne i casi in cui si deve ritenere lecito usare termini equivoci e riserve mentali. In un corso di lezioni sui casi di coscienza dettato dal gesuita Jacob Gordon nel Collegio di Bordeaux, riguardo ai giuramenti equivoci vengono dettate tre regole. Quando qualcuno, interrogato, non è tenuto a rispondere secondo il senso dell'interrogante, si può usare equivocazione. Quando qualcuno che non è tenuto a rispondere secondo il senso dell'altro gli risponde giurando equivocamente, non pecca mortalmente, a meno che non porti grave detrimento all'altro. Il motivo ne è che in questo caso non vi è menzogna, perché questa consiste nel proferire qualcosa contro la propria mente, non contro la mente dell'altro, «nam mendacium est dicere contra propriam mentem, non contra mentem alterius».

Riguardo poi al parlare in modo ambiguo in un giuramento estorto,  Gordon svolgeva due osservazioni: che era lecito in questi casi non soltanto usare parole espresse ambigue ma anche ritenere parte della sentenza mentalmente; e che, in caso di necessità, si poteva proferire le parole del giuramento senza l'intenzione di giurare «et ita nulla orietur obligatio». In questo caso dal giuramento non discendeva nessuna obbligazione. Riguardo ai casi di scomunica, Gordon traeva le conseguenze anche a favore del rifiuto del pagamento dei debiti da parte della Compagnia: insegnava che la scomunica del creditore non libera il debitore dal pagamento; tuttavia, quando qualcuno è scomunicato nominativamente, si può differire il pagamento fino a quando non abbia ottenuto l'assoluzione. Intorno al 1606 queste massime erano già correntemente considerate dottrina della Societas Iesu.

Quando, il 14 maggio 1610, Enrico IV venne assassinato da un fanatico cattolico, François de Ravaillac, il regicida fu così sottoposto ad uno stringente interrogatorio rivolto ad individuare ogni possibile collegamento con i gesuiti. Il 17 maggio, dichiarava di aver cercato di parlare con Enrico per convincerlo; e, per essere introdotto presso di lui, di aver parlato con numerose persone quali il padre D' Aubigny, gesuita. Interrogato del perché avesse incontrato proprio il gesuita D' Aubigny, Ravaillac rispondeva che in passato aveva coltivato il progetto di farsi gesuita. Questo, e l'opera sul tirannicidioi di Mariana, venne pubblicizzato come la prova che i Gesuiti erano, direttamente o indirettamente, dietro l'assassinio del Re di Francia. Girava voce, nei paesi Protestanti, che nei loro Collegi essi avessero stanze segrete dove preparavano i sicari istigando il loro fanatismo mediante una sorta di ipnosi attuata con gli Esercizi Spirituali del fondatore.

La dottrina gesuitica dell'obbedienza cieca, codificata da Ignazio nella famosa immagine del membro della compagnia che doveva eseguire prontamente qualsiasi ordine senza alcuna resistenza, perinde ac cadaver, "come fosse un cadavere" privo di iniziativa propria, sembrava ai detrattori, con la deresponsabilizzazione che comportava, la perfetta teoria del sicario e del fanatico.

L'educazione gesuitica veniva accusata di mirare ad un apprendimento mnemonico ma soprattutto ad un pesante indottrinamento degli alunni. Bernardino Giraldi difendeva il metodo umanistico di insegnamento, proprio delle scuole venete, basato sulla lettura dei testi antichi,  contrapponendolo alle innovazioni del metodo gesuita, basato invece su una forte memorizzazione e sulla compilazione di nuovi manuali, scritti da autori della Compagnia.  Sarpi scriveva che l'educazione dei loro collegi consiste nello "spogliare l'alunno di ogni obbligazione verso il padre e verso il Principe naturale, e voltar tutto l'amore e il timore verso il Padre spirituale, dipendendo dalli cenni e motti di quello".

Aneddoti sul fanatismo dei Gesuiti abbondano nella letteratura polemica. Come quando, durante i festeggiamenti a Ingolstadt della beatificazione di Ignazio crollò una impalcatura fatta erigere da loro uccidento uno studente, ed essi dichiararono che si trattava di uno studente protestante.

Allo scopo di promuovere la canonizzazione del loro fondatore, essi giravano per Roma visitando le case dei malati e convincendoli a pregare Ignazio, e poi annotavano scrupolosamente i casi di religione, trascurando quelli di morte, per costruire i miracoli utili alla causa di santificazione.

A Costantinopoli, quando il patriarca della Chiesa Ortodossa Cirillo Loukaris impiantò una pressa di stampa con l'aiuto dell'ambasciatore calvinista dell'Olanda, con l'intenzione di pubblicare un catechismo con evidenti influenze riformate, i gesuiti si recarono dallo stampatore e lo avvisarono che se non desisteva poteva capitare che qualcuno, un giorno o l'altro, l'avrebbe ucciso nella sua casa mentre dormiva.

I Gesuiti si distinsero nella cattolizzazione dei Valdesi di Piemonte a Saluzzo e in altri luoghi dove essi furono ostacolati e perseguitati senza pietà dalle missioni itineranti dell'ordine, che si spingeva fino ai più remoti villaggi dei monti. Durante la guerra di Gradisca, contro Venezia che si era ribellata al Papa e nelle Fiandre, dove la Spagna combatteva gli eretici, i cappellani gesuiti seguivano le truppe incoraggiandole nella sacra missione di trucidare gli eretici e talvolta prestandosi anche come messaggeri militari, e ingegneri militari gesuiti davano consigli sulle fortificazioni. In Boemia, all'indomani della battaglia della Montagna Bianca, con cui l'ultracattolico Ferdinando aveva sconfitto i ribelli calvinisti del Palatinato, i gesuti, fiancheggati da unità militari, dilagarono per tutto il paese, piombando nei villaggi, facendosi aprire a forza le porte delle case per requisire i libri eretici e farne dei roghi e per cercare tracce di eresia che portavano alla cattolizzazione o espulsione forzata dell'intera famiglia. Quando in una regione la presenza cattolica, anche grazie ai loro sforzi, si era sufficientemente rafforzata, essi si recavano presso i fittavoli delle terre che i principi protestanti avevano tolto agli ordini religiosi e imponevano loro con l'intimidazione di pararle all'ordine. Mai una volta restituirono di propria volontà il patrimonio ecclesiastico di cui si erano appropriati agli ordini religiosi che ne erano gli originari proprietari, facendo anzi una forte resistenza ogniqualvolta ne venivano richiesti.

I Gesuiti erano confessori di tutti i sovrani e i nobili cattolici d'Europa, cercavano di accaparrarsi il posto di direttori di coscienza estromettendo gli altri ordini da cui erano accusati di promuovre una casuistica, cioè un esame dei casi di coscienza, più lassista di quella degli altri religiosi, che aveva il potere di ingraziarli agli occhi dei Re e dei principi. Blaise Pascal si scaglierà, nella sua Lettera a un Provinciale, contro il lassismo gesuitico e contro la loro dottrina del probabilismo. Con tale termine si designa tesi secondo cui, nei casi in cui l'applicazione di una regola morale sia dubbia, per non peccare basterebbe attenersi ad una opinione probabile, intendendosi per opinione probabile quella sostenuta da qualche teologo.

I confessori della Compagnia, se pure indulgenti riguardo i peccati privati dei governanti, d'altro lato li istigavano instancabilmente a non scendere a compromessi con i protestanti. Secondo un noto storico anglosassone, la Guerra dei Trent'anni scoppiò a causa del fanatismo del confessore gesuita dell'imperatore Ferdinando II, Wilhelm Lamormaini, che pretese l'applicazione integrale dell'editto di restituzione, ben sapendo che avrebbe scatenato una sollevazione generale dei principi protestanti tedeschi.

Alla corte di Vienna, come in quella di Madrid, i Gesuiti cercarono di creare una rete di influenza legata alla famiglia reale che li metteva in grado di controllare l'erogazione di benefici ai propri benefattori. Un viaggiatore francese di passaggio a Vienna agli inizi del Seicento scrisse che la corte era ostaggio dei padri della Compagnia, che la tenevano nelle loro grinfie, cosicché niente che vi capitava sfuggiva al loro controllo.

Tra gli altri ordini religiosi, non contando i Domenicani, loro acerrimi nemici, i Gesuiti non erano molto popolari. Né aiutava il fatto che non di rado i vescovi o i sovrani li chiamavano a riformare i costumi del clero locale. Né che utilizzassero tutti i mezzi a disposizione per impadronirsi di lasciti, benefici, e persino di edifici ecclesiastici a danno delle altre famiglie religiose. A Mondovì, per ampliare i locali dove tenevano i loro corsi, non esitarono a scacciare le poche monache rimaste nel monastero delle Clarisse, e ad occuparlo.

Santa Teresa d'Avila, benché li avesse come confessori ed alleati nella sua battaglia per la riforma dell'ordine carmelitano, diffidava di loro, e nelle sue lettere di istruzione alle religiose dei suoi conventi ricordava alle monache che "dal trattare con loro riguardo faccende materiali non viene mai alcun bene".

Una delle tattiche dei Gesuiti per "ripulire dalle mele marce" una diocesi, era screditare senza pietà, con ogni mezzo, i religiosi il cui stile di vita essi ritenessero anche minimamente reprensibile. Ancora a distanza di decenni, Matteo Gentili, il padre del famoso giurista Alberico Gentili di Oxford, che era emigrato in Inghilterra per sfuggire le persecuzioni religiose dalla natia San Ginesio nelle Marche, dove esercitava la professione di medico e discuteva troppo liberamente di religione nella confraternita locale dei Santi Tommaso e Barbara,  tremava di rabbia nel ricordre gli "infami gesuiti" la cui venuta nella zona aveva segnato la fine di ogni tentativo di riforma spirituale.

I Gesuiti erano avversari formidabili in ogni campo, compreso quello scientifico, ma talvolta i mezzi che usavano erano decisamente poco ortodossi, per non dire sleali. Nel 1668, nel corso di una controversia che opponeva i loro matematici del Collegio Romano ai matematici dell'ordine dei Gesuati, essi manovrarono perché Clemente IX sopprimesse l'ordine, senza alcuna ragione apparente, con la bolla Romanus Pontifex.

Miguel Mir, un ex gesuita che scrisse un'opera estremamente critica, Storia interna documentata della Compagnia di Gesù, aveva tanto paura delle rappresaglie dell'ordine che la affidò ad un amico perché la pubblicasse dopo la sua morte. Nell'opera viene dato un esempio della spietata disciplina che veniva mantenuta nei collegi dell'ordine sin dai tempi di Sant'Ignazio. Due coadiutori laici un giorno, nella cucina di una delle case di Spagna, presero a schizzarsi per gioco con l'acqua delle tinozze. Saputolo, Ignazio inviò al superiore della casa istruzioni perche per diversi mesi i due sventurati mangiassero a terra, in ginocchio, nella sala comune, cominciando dal bere l'acqua sporca delle tinozze.

La disciplina nei collegi e nelle case dei Gesuiti era strettissima. Veniva largamente impiegata e incoraggiata la delazione reciproca. Al momento dell'ingresso dei novizi nelle case dell'ordine veniva detto loro che tutti dovevano considerarsi spie e spiati, e comportarsi di conseguenza.

È noto che Paolo IV il terribile papa Carafa che creò l'Inquisizione romana, che conosceva bene come andavano le cose nell'Ordine, confidasse ai suoi intimi che Ignazio di Loyola governava la Compagnia "con mano tirannica", il che è tutto dire. Ogni anno c'erano espulsioni dall'ordine, dalle sue Case, dai suoi Collegi, dai suoi seminari, eppure, si meravigliava Paolo Sarpi all'inizio del Seicento, non si trovava nessuno disposto a parlare dei segreti della Compagnia. Allo scopo di rendere ancora più ermetica la cortina di riservatezza, i Gesuiti non utilizzavano manodopera esterna, ma tutti i loro lavoranti, senza esclusione, erano membri laici dell'ordine, come tali tenuti all'osservanza dei dettami dei superiori riguardo il silenzio.

I Gesuiti erano altrettanto spietati nella difesa del loro buon nome. In Spagna, quando un loro membro veniva implicato in pratiche discutibili, prima che venisse messo sotto processo dall'Inquisizione, controllata dai Domenicani, nemici implacabili dell'ordine. questo veniva trasferito in lontani collegi o espulso dall'ordine. Nel caso di membri processati, l'ordine incaricava i propri uomini più influenti presso il Tribunale della Suprema di prevaricare e ostacolare gli inquisitori con ogni mezzo, cercando di distruggere o occultare le prove. Tanta era l'importanza che la Compagnia attribuiva all'"onore" e al "buon nome", presupposto di ogni sua influenza o prestigio.

Le lotte all'interno dell'ordine non erano meno violente né spietate di quelle che la Compagnia sosteneva all'esterno. Esse furono incessanti sin dalla morte di Ignazio, e la lotta di fazioni perdurò con l'impiego di ogni mezzo, dalla richiesta dell'intervento esterno de re o di cardinali a contro la parte avversa, fino alla calunnia propalata contro di essa, sin verso i primi anni del Seicento, quando il Generale Acquaviva riuscì ad imporre una pacificazione generale.

Sebbene si considerassero agenti del Papa e pronti esecutori dei suoi comandi, i Gesuiti lottarono sempre ferocemente, con tutti i mezzi disponibili, per evitare che venissero toccate le loro costituzioni e che i Pontefici si ingerissero nei loro interna corporis. Dando un precoce sfoggio di tattiche tortuose e oblique, essi riuscirono prima ad aggirare e poi ad eliminare il limite massimo di 60 membri previsto dalla bolla di approvazion di Paolo III intendendo questo limite come riguardante solo i professi dei quattro voti. Come risultato, dopo appena qualche decennio accanto ai 60 membri con voce attiva e passiva nell'ordine vi erano migliaia di coadiutori sia laici che preti. A differenza di quasi tutti gli altri ordini religiosi gli ignaziani si opposero sempre alla nomina di un cardinale protettore dell'ordine, che avrebbe avuto poteri di controllo su di esso. Ancora nell'Ottocento, il famoso gesuita spagnolo e storico dell'ordine Antonio Astrain, parlando delle riforme con cui Sisto V e Clemente VIII volevano snaturare la Compagnia, dichiarò che la loro morte, che impedì loro di portare a termine questi empi propositi, era stata "giusta e provvidenziale".