L'ASCESA DEI GESUITI

 

 

 

 

 

 

 

After the year 1530 seven spanish devils entered Italy: Inquisition, Misgovernment, Soldiery, Taxation, Vain Ostentation, and the Jesuits.

symonds, renaissance italy, vol. vi

 

I Gesuiti costituiscono un soggetto storico affascinante. Nato nella fucina della Controriforma, ultimo arrivato tra le grandi famiglie religiose, l'ordine fondato da Ignazio di Loyola a Roma nel 1540, divenne nel giro di pochi lustri uno dei più potenti, agguerriti, famosi e controversi della Cristianità. La storia di questa drammatica crescita, costellata di conflitti, opposizioni e lati oscuri, e culminata, nel Settecento, con la temporanea soppressione ad opera di Clemente XIV con la bolla Domus ac Redemptor, ha costituito materia di inesausto interesse per storici, polemisti, detrattori ed estimatori di parte cattolica e di parte protestante.

Volta a volta i Gesuiti sono stati considerati spie del Papa, eroici difensori della Cristianità, sobillatori di guerre, straordinari missionari, corruttori della morale, eccezionali educatori, innovatori scientifici, campioni dell'oscurantismo, promotori di una straordinaria rinascita religiosa e fanatici sanguinari, fervidi cristiani e scaltri doppiogiochisti, e la lista di contraddizioni potrebbe continuare ancora a lungo.

Per riuscire a penetrare attraverso questo groviglio di rappresentazioni contrastanti e giungere a conoscere cosa sia stata la Compagnia di Gesù ai tempi della sua costituzione e come si sia sviluppata occorre tornare indietro, al tempo in cui un ignoto monaco agostiniano, di nome Martin Lutero, affisse alla porta del castello di Wittenberg - così vuole la storia raccontata da Melantone - un documento che avrebbe scosso le fondamenta della cristianità: le 95 tesi contro le indulgenze.

Era il 31 ottobre 1517. Il fuoco della protesta attecchì con la velocità di un incendio. Nel 1527 il re di Svezia Gustavo Vasa adottò il luteranesimo. Meno di dieci anni dopo il re di Danimarca cacciò i vescovi, abolì i monasteri e seguì il suo esempio. La Finlandia, essendo allora sotto la sovranità della Svezia, subì la stessa sorte: la Scandinvia era stata persa nel giro di vent'anni. In Inghilterra, Enrico VIII si era dichiarato capo della Chiesa indipendente di Inghilterra già nel 1534. La maggioranza dei principi dell'Impero Germanico, a quella data, era già passata al protestantesimo o meditava di farlo. Calvino e Zwingli avevano guadagnato una vasta parte della Svizzera alle nuove idee ed essa sarebbe stata persa per sempre per Roma. Il calvinismo, molto più aggressivo del luteranesimo, fornì ulteriore propellente alla forza esplosiva della Riforma. Nel 1551, quando Enrico II emanò il suo editto contro gli Ugonotti che si erano organizzati con l'aiuto della Chiesa di Ginevra da poco costituita, la Francia piombò nel caos e nel sangue delle guerre di religione, che sarebbero durate, a intermittenza, fino a tutto il primo quarto del Seicento. Nei Paesi Bassi, nell'agosto del 1566, i calvinisti armati assaltano il governatorato spagnolo e le chiese cattoliche. È l'inizio di una guerra che durerà, con una breve pausa, per ottant'anni e sottrarrà definitivamente l'Olanda alla Spagna e al Cattolicesimo.

I mercanti calvinisti olandesi, a differenza di quelli degli altri paesi europei, si fecero aggressivi promotori della Riforma al di fuori dell'Europa. Ben presto Inghilterra e Paesi Bassi, con la creazione del loro impero coloniale, portarono la guerra di religione al di là dell'oceano.

Di fronte a questa serie di catastrofi, ai cattolici europei di quel periodo, sembrava che tutti i demoni dell'inferno fossero usciti dall'oltretomba per spargere violenza, odio e divisione nella critianità. La vecchia Chiesa, che aveva fornito unità e certezza era lacerata da un numero sempre crescente di dottrine in competizione. Ogni giorno sembrava portare nuove notizie di paesi che cadevano nel caos religioso, dove ogni verità veniva messa in dubbio e ogni ordine costituito sfidato e minacciato. Anabattismo, rivolte contadine, ribellioni venivano scatenati dovunque.

Molti cristiani continuavano a guardare al Papa di Roma come alla figura che, in quanto Vicario di Cristo in terra e capo spirituale dell'Occidente era colui che aveva il compito di intervenire a sanare i dissidi religiosi e riportare ordine, unità e certezza. Ma il papato aveva subito un catastrofico declino nel corso dei secoli, e nell'ora in cui veniva chiamato ad assumere il ruolo di guida e pacificatore, veniva a mancare sia della visione ecumenica che del prestigio spirituale richiesti da una simile sfida.

I Papi dell'epoca erano, in primo luogo e soprattutto, principi secolari nell'Italia del Rinascimento, votati all'accrescimento delle proprie famiglie e dei loro clan: i Della Rovere, i Medici, i Farnese. Come monarchi di uno tra gli stati della penisola, essi erano immersi fino al collo in un mondo di intrigo politico, dove nessun mezzo - diplomazia, guerra, tradimento, sicari - era escluso per promuovere i propri interessi territoriali. Non a caso il nipote di un Papa, Cesare Borgia, servì a Machiavelli come modello di principe astuto, brutale e spietato. Per garantirsi l'indipendenza di fronte ai grandi stati nazionali europei, e alle mire degli altri stati italiani, essi si gettarono a capofitto in una politica di guerre e alleanze, aprendo le porte della Penisola alle devastazioni ora di questo ora di quell'esercito straniero e offrendo alla cristianità lo spettacolo desolante di un papato che ora si vendeva alla Francia, ora alla Spagna.

Come conseguenza di tutto questo, nel momento in cui Lutero lanciò la sua sfida, essi avevano semplicemente perso ogni prestigio e autorità morale. Questo si vide immediatamente quando Leone X ricorse ad un'arma collaudata della Chiesa, la scomunica. Quell'arma, che in mano ai suoi formidabili predecessori aveva messo in ginocchio re e imperatori, semplicemente non ebbe alcun effetto. Il Papa si vide costretto a chiedere, riluttante, l'aiuto di Carlo V. Ma anche così, e a causa ancora una volta degli interessi temporali di Roma, che rendevano questa alleanza fragile e precaria, il protestantesimo continuava ad avanzare. Il Papa semplicemente non era in grado di spegnere l'incendio. La situazione era tragica. Nell'anno 1540, con uno scisma che assumeva ogni giorno di più dimensioni epocali e una Curia romana corrotta e dedita agli interessi di fazione, tutti gli osservatori obiettivi in Europa davano i giorni della Chiesa per contati.

Ma nel settembre di quell'anno, nel momento in cui la tempesta infuriava più violenta, e le prospettive sembravano più buie, Paolo III compì un atto apparentemente insignificante e senza alcuna relazione con i drammatici eventi del suo tempo: approvò una petizione da parte di un piccolo gruppo di dieci sacerdoti per formare una compagnia religiosa dedicata al servizio del Papa e della Chiesa. Sebbene questo evento al tempo passò inosservato, esso fu forse il singolo più importante passo fatto dal Papato per salvare la Chiesa Romana dalla dissoluzione. Nella bolla che annunciava la costituzione del nuovo ordine, Paolo III approvò anche il nome che che era stato chiesto dal grupp: essi avevano deciso di chiamarsi Compagnia di Gesù.

La società, come scrisse Ignazio, sarebbe stata aperta a "chiunque desideri servire come soldato di Dio sotto la bandiera della sua croce". Sarebbe stato, in altre parole, l'esercito del Papa.

Ci volle quasi un anno, ma alla fine il Papa approvò la Compagnia di Gesù. Manifestando le sue perplessità, egli limitò il numero di membri che l'ordine avrebbe avuto a sessanta, ma la restrizione fu presto superata, nel momento in cui l'ordine si ingrandì e prosperò. La crescita iniziale della Compagnia di Gesù non può che essere definita spettacolare. Dieci uomini in tutto, intimi amici, elessero Ignazio come primo generale della società, nel medesimo anno. Ma al tempo della sua morte nel 1556, i ranghi dell'ordine si erano moltiplicati di cento volte, di mille volte. Dieci anni dopo la Compagnia aveva tremilacinquecento membri, e alla morte del Generale Acquaviva, nel 1615, non meno di tredicimila uomini avevano preso gli ordini gesuiti. La crescita successiva, sebbene meno impressionante, fu comunque sostenuta e alla fine del secolo successivo era stato raggiunto il numero di ventimila membri. Durante tutto questo periodo, la Compagnia non fece mai concessioni riguardo la qualità delle nuove reclute allo scopo di aumentare i propri effettivi. Sin dall'inizio, Ignazio aveva insistito che tutti i candidati fossero rigorosamente selezionati già prima di essere accettati come novizi. Per quelli che erano accettati, la strada da novizio a membro di pieno diritto era lunga e ardua, e durava anni, talvolta anche decenni. I Gesuiti non abbassarono mai questi standard, anche se tutti gli altri ordini religiosi non richiedevano nulla di remotamente simile a questa severità. A dispetto di questo, o forse proprio per questo, i Gesuiti non mancarono mai di postulanti con le più alte doti intellettuali e le più elevate condizioni sociali.

Molti dei primi leader della Compagnia venivano da antiche e nobili famiglie, come lo stesso Ignazio e il suo compagno dai giorni della Sorbona Francisco Xavier. Il terzo generale dell'ordine, Francisco de Borja, che governò dal 1565 fino al 1572, era stato Duca di Gandia in Castiglia prima di prendere gli ordini. Egli era il pronipote del famoso Papa Alessandro VI Borgia. Claudio Acquaviva era il figlio del Duca di Atri nel Vicereame di Napoli. Altri gesuiti provenivano da umili origini, ma si distinsero come intellettuali di primo piano dell'epoca. Tali furono i teologi spagnoli Francisco de Toledo e Francisco Suarez e l'italiano Roberto Bellarmino. Cristoforo Clavio, Gregorio di St. Vincent e André Tacquet erano matematici d'avanguardia; Christoph Grienberger e Christoph Scheiner erano importanti astronomi; e Athanasius Kircher e Roger Boscovich erano capiscuola di filosofia naturale. E nessuna lista di eminenti gesuiti può tralasciare il brillante Matteo Ricci, che viaggiò sino in Cina per diffondere la parola di Dio e divenne uno dei principali eruditi ed esponenti del pensiero occidentale alla corte Ming. Questo è solo un piccolo campione, ma sufficiente a giustificare il giudizio di Michel de Montaigne quando visitò il loro quartiere generale a Roma, nel 1581. Egli chiamò l'ordine "una culla di grandi uomini".

I Gesuiti, comunque, non erano solo una associazione di individui straordinari. Erano un corpo altamente addestrato e disciplinato, forgiato in un potente strumento per uno scopo tenace: la diffusione degli insegnamenti della Chiesa Cattolica, l'espansione dei suoi confini, il sostegno alla sua autorità. Fu così sin dall'inizio, quando Ignazio e la sua banda di seguaci si offrirono subito di servire il Papa in ogni angolo del mondo, figurandosi in un primo tempo che sarebbero andati a predicare la parola di Dio ai mussulmani in Terrasanta. Sebbene quella missione non si concretizzò mai, non passò molto tempo che i Gesuiti si distinsero per il loro straordinario lavoro missionario in quattro continenti. Già nel 1541, Francisco Xavier lasciò il Portogallo per una missione che lo avrebbe portato a Goa, in India, a Giava, nelle Molucche e in Giappone, a predicare il Vangelo e a stabilire missioni dovunque andasse. Morì nel 1552 mentre attendeva il passaggio per la Cina, dove sperava di convertire la più popolosa nazione del mondo alla fede romana. Nel frattempo, altri Gesuiti viaggiarono fino al Messico, al Perù, e al Brasile, dove si unirono ai Domenicani e ai Francescani nei loro sforzi di cristianizzare il Nuovo Mondo. Lavoravano con zelo ed efficienza, eressero residenze e missioni, si occuparono del benessere spirituale dei primi colonizzatori, e lavorarono incessntemente per convertire i popoli nativi.

Nondimeno, l'impatto cruciale dei Gesuiti va individuato nel loro confronto con pagani molto più vicini ai loro paesi di origine. Perché, negli anni turbolenti della Riforma, quando la stessa sopravvivenza della vecchia Chiesa era appesa ad un filo, i Gesuiti divennero l'avanguardia d'élite del cattolicesimo romano, impegnati con tutte le loro forze a mantenere le posizioni contro la marea protestante che sembrava travolgere ogni cosa. Con eccezionale abilità, dedizione e spirito indomito e pieno di iniziativa, ottennero una stupefacente rinascita cattolica che non solo bloccò l'ulteriore diffondersi della Riforma, ma riconquistò al Papa molti paesi che sembravano persi per sempre. Questi uomini erano esattamente come Ignazio li aveva immaginati: l'esercito personale di Dio, che ingaggiava battaglia con i suoi nemici e si poneva alla testa del movimento cattolico noto come Controriforma.

Era la visione del loro fondatore che rendeva i Gesuiti strumenti così formidabili al servizio del Papa. Già negli Esercizi spirituali del 1522 - quasi vent'anni prima della costituzione ufficiale dell'ordine - Ignazio diede corpo all'intimo paradosso che avrebbe formato lo spirito gesuita per secoli. In primo luogo, gli Esercizi sono un testo mistico, pensato per elevare i lettori al disopra della propria esistenza materiale e portarli ad una unione estatica con Dio. La storia della Chiesa medievale abbonda di mistici carismatici che, come Ignazio, ebbero visioni di Crito e della Vergine e che si elevarono su un piano di esistenza più alto e persino divino. Nei loro scritti, mistici come Gioacchino da Fiore e Caterina da Siena tentarono di condividere in parte la loro esperienza con i seguaci, e a questo proposito Ignazio era assolutamente rappresentativo.

Ma gli Esercizi sono al contempo qualcosa di completamente diverso: un manuale pratico meticolosamente dettagliato su come raggiungere l'unione con Dio. Il corso delle meditazioni prescritti è diviso in quattro "settimane", per quanto esse possano anche non corrispondere  necessariamente a sette giorni. Le meditazioni di ogni settimana hanno un oggetto differente, dalla natura del peccato e dei tormenti dell'inferno nella prima, alle sofferenze di Cristo  alla Resurrezione nella qauarta. L'"esercitante" deve seguire queste direttive con scrupolo, con un cuore aperto e la volontà di rinunciare all'egoismo e di accettare la grazia che Dio ci offre. La strada che porta a Dio, come è tracciata negli Esercizi, non è un singolo misterioso salto dal nostro mondo decaduto ai cieli divini, spiegabile solo attraverso la grazia divina. Piuttosto, è un lungo e arduo viaggio che richiede disciplina, impegno, fiducia incondizionata nella guida del proprio superiore, e stretta obbedienza alle sue direttive.

La tensione tra misticismo estatico e disciplina rigorosa, che rappresenta il nucleo degli Esercizi, li rende profondamente differenti dagli altri testi mistici, in cui l'enfasi viene posta sulla gloria della unione con Dio ma non offrono una itineriario di viaggio per ottenerla. E è precisamente questo paradosso  che animava sin dall'Inizio la Società di Gesù e che la rese lo strumento efficace e potente che rappresentò nelle mani del Papato. Perché i Gesuiti erano inequivocabilmente mistici: ogni novizio, all'ingresso nella società, doveva passare attraverso l'esperienza degli Esercizi spirituali e sperimentava la beata unione con Dio che ne è il culmine. Dopo questa esperienza, egli avrebbe agito con la indiscutibile confidenza che è tipica di tutti quelli che hanno incontrato Dio e sanno ciò che vuole da loro. Ma laddove i mistici tradizionali erano condotti ad una vita di solitudine e contemplazione interiore, i Gesuiti proiettavano la loro intima confidenza sul mondo, procedendo con disciplina, ordine e pazienza. Il risultato fu che i Gesuiti presentavano una combinazione unica di caratteristiche che li rendeva una delle più efficienti organizzazioni, religiose e non, della storia: lo zelo e la sicurezza del mistico, e la rigida organizzazione e tenace proposito di una unità militare d'élite.

Oltre a stabilire i principi guida per l'Ordine, Ignazio predispose il meccanismo che avrebbe tradotto questi principi in realtà. La sfida più grande, capì, era creare un corpo di uomini che fossero incrollabilmente fedeli alla Compagnia e ai suoi scopi e disposti a dedicare la loro intera vita ad entrambi. Persino un individuo brillante e altamente morale avrebbe dovuto essere respinto se la commissione incaricata della selezine avesse stabilitoi che era troppo individualista e quindi inadatto alla vita in un corpo disciplinato. Una volta ammesso, un giovane sarebbe stato distaccato dalla sua vita precedente e passava attraverso un noviziato di due anni in cui gli erano inculcati gli ideali di povertà e di servizio della compagnia. Avrebbe dovuto praticare la successione completa degli Esercizi spirituali e prestare servizio nelle missioni collegi e residenze della Compagnia sparse dappertutto. Sopra ogni altra cosa, gli era richiesto di accettare senza fare domande l'autorità dei superiori, e seguire le loro direttive nelle grandi e nelle piccole cose.

Alla fine dei due anni, i novizi professavano i voti monastici di povertà, castità e obbedienza. Per quelli che non erano destinati a essere ordinati sacerdoti, questo rappresentava la fine dell'addestramento formale. Sarebbero diventati "coadiutori approvati" e, anni dopo, "coadiutori formati", e avrebbero prestato servizio come amministratori, cuochi o giardinieri. I novizi destinati al sacerdozio, invece, sarebbero diventati "scolastici", e avrebbero intrapreso anni di studi avanzati nelle istituzioni dei Gesuiti. Ad un certo punto del percorso darebbero stato ordinati sacerdoti, e avrebbero dovuto anche dedicare diversi anni lontano dagli studi per insegnare ai nuovi studenti. Una volta completati i loro studi, dovevano intraprendere un altro anno di "formazione spirituale" alla fine del quale avrebbero pronunciato i loro voti finali. Alcuni avrebbero formulato di nuovo i tre voti tradizionali e sarebbero diventati "coadiutori spirituali". Ma quelli giudicati più notevoli per conoscenza e carattere, avrebbero aggiunto un quarto voto, tipico dei soli Gesuiti, la professione di obbedienza assoluta al Papa. Questi uomini erano conosciuti come "professi" o "padri professi" e formavano l'indiscussa élite dell'Ordine. Nel suo complesso, questo lungo processo, che durava da otto a quattordici anni, produceva il tipo di persona che Ignazio aveva immaginato: intelligente, energico e disciplinato. Insieme essi formavano una confraternita estremamente unita, legata da una profonda identificazione con gli scopi della Compagnia, un forte cameratismo, e dall'orgoglio di essere un corpo d'élite al servizio di Cristo e della Chiesa.

I Gesuiti, tuttavia, non erano solo una fratellanza basata sull'affetto e la solidarietà; formavano anche una gerarchia rigidamente organizzata dall'alto in basso, concepita per operare fluidamente e con l'efficienza di una moderna unità militare. All'apice c'era il superiore generale, o preposto generale o Generale, immancabilmente un professo dei quattro voti, eletto a vita dalla congregazione generale dell'Ordine. I suoi poteri entro l'ordine erano assoluti e illimitati. Egli aveva facoltà di nominare o licenziare qualsiasi membro da qualsiasi posizione entro l'ordine. Al disotto di lui c'erano i superiori provinciali, responsabili per l'opera della Compagnia in grandi aree territoriali, le "province", quali quella del Reno inferiore e superiore in Germania, o quella del Brasile nel Nuovo Mondo; al disotto di essei c'erano i superiori locali, responsabili per particolari regioni o città, giù giù fino ai singoli collegi e residenza. A differenza degli altri ordini religiosi,  dove le comunità locali godavano di considerevole autonomia e potevano eleggere i propri superiori, il potere, tra i Gesuiti andava rigidamente dall'alto verso il basso: era il Generale a Roma, non i membri locali, che nominava i provinciali, e questi, a loro volta, in stretto accordo con Roma, nominavano i superiori locali. Ci si aspettava che i membri di ogni comunità locale accettassero senza discutere queste decisioni, che ad essi piacessero o meno, e salvo rare eccezioni essi obbedivano.

La prontezza con cui i Gesuiti delle comunità locali si sottomettevano agli editti di superiori che risiedevano molto lontano richiede qualche misura di spiegazione. Dopo tutto, il Generale, a Roma, per quanto zelante e capace, era non di rado all'oscuro delle situazioni locali, e le sue direttive potevano essere erronee, e perfino disastrose. Era stato il caso, ad esempio dell'esperienza dei Gesuiti francesi nel 1594, quando venne loro richiesto di giurare fedeltà ad Enrico IV, il nuovo re di Francia, che si era di recente convertito al cattolicesimo. Il Generale Claudio Acquaviva proibì severamente ai Gesuiti di prestare un simile giuramento, una decisione che ebbe come conseguenza  la loro espulsione da Parigi e per poco non segnò la fine della loro opera in Francia. Ma persino in tale situazione estrema, pur sapendo perfettamente che le direttive di Roma erano sbagliate e basate su una conoscenza erronea delle condizioni locali, e che essi erano destinati a pagare duramente il prezzo degli errori dei superiori, essi obbedirono.

La ragione era che, per i Gesuiti, il principio della "obbedienza" non era solo una concessione pratica alle esigenze di una azione efficiente, ma un ideale religioso del più alto livello. "Con tutte le nostre facoltà di giudizio messe da parte, noi dobbiamo… essere obbedienti alla vera Sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra Santa Madre, la Chiesa Gerarchica", scrisse Ignazio negli Esercizi spirituali. Quest'obbedienza si estendeva non solo alle azioi, ma anche alle opinioni e addirittura alle percezioni dei sensi. "Per mantenersi nel giusto in tutte le cose", scrisse Ignazio, "dobbiamo tenere fermo questo principio: ciò che io vedo come bianco, giudicherò che sia nero se la Chiesa Gerarchica stabilisce così".

Un lettore moderno potrebbe comprensibilmente associare una tale obbedienza assoluta a una rigida gerarchia con i regimi totalitari che hanno gettato un'ombra sulla storia del Ventesimo Secolo. E in effetti, la richiesta di vedere il nero per il bianco ricevendone l'ordine riporta alla mente il libro 1984 di George Orwell, in cui al protagonista, Winston, si ordina di vedere quattro dita anziché cinque per provare la sua lealtà al Grande Fratello. Ma c'è un'importante differenza: Winston, in 1984, viene torturato, ed è costretto ad accettare la supremazia del Grande Fratello contro la sua volontà. Per i Gesuiti, l'obbedienza era un altissimo ideale, e il suo raggiungimento era completamente volontario. Obbedire all'ordine di un superiore, scrisse Ignazio, non era un atto di abietta sottomissione, ma una positiva riaffermazione della missione della Compagnia e del proprio ruolo entro di essa. Ne seguiva che sebbene nella Compagnia di Gesù esistessero severe misure disciplinari come ammonizioni e persino l'espulsione, esse erano raramente usate in pratica. Quelli che avevano completato il rigoroso tirocinio per divenire padri gesuiti raramente avevano bisogno l'implementazione di tali misure per ricordare loro il valore dell'obbedienza. In ultima analisi, aveva scritto Ignazio, "tutta l'autorità deriva da Dio", e di conseguenza, l'obbedienza ai comandi di un superiore avrebbe dovuto essere immediata e volontaria, "come se esso venisse da Cristo nostro Salvatore".

In un senso lato, imporre ordine sul caos era la missione fondamentale della Compagnia, sia nel suo modo di funzionamento interno che nella sua pratia con il mondo. Questo era già evidente negli Esercizi spirituali, che trasformano una esperienza mistica ineffabile in qulacosa che somiglia a un ordinato corso di studi. È anche evidente nelle Costituzioni di Ignazio, che forniscono direttive dettagliate e sistematiche per la gestione della Compagnia, per finire con la Ratio studiorum, il documento che tratteggia in minuto dettaglio ciò che deve essere insegnato nei collegi dei Gesuiti, da chi e in che modo. Persino nelle loro vite individuali i Gesuiti si attenevano a un codice di rigido ordine: "Chiunque studi il regime dei Gesuiti non può non rimanere colpito dalla frequente enfasi sulla pulizia e l'ordine", ha notato uno storico dei Gesuiti del XX secolo. La pulizia, l'ordine sia della camera personale che della residenza comune erano "un requisito assoluto". Più che in ogni altro luogo questo era espresso nella chiara gerarchia della Compagnia, in cui ad ogni membro era assegnato un posto preciso e non discutibile. Fu questa abilità di imporre ordine al caos  che rese la Compagnia uno strumento così straordinariamene efficace per combattere e sconfiggere il Protestantesimo e ristabilire il potere e il prestigio della gerarchia della Chiesa.

Altamente educati e fanaticamente devoti alla causa della Chiesa e del Papa, i Gesuiti erano un esercito spirituale quale l'Europa non aveva mai visto. Per i papi, essi costituirono un'arma senza eguali nella loro lotta per imporre l'autorità e gli insegnamenti della Chiesa ad un mondo turbolento e scettico, ed i pontefici non esitarono a farne buon uso. Sin dall'inizio, i Gesuiti furono mandati per le vie d'Europa e del mondo per puntellare la fede in paesi dove era sotto attacco. Pierre Favre, uno dei primi compagni di Ignazio sin dai tempi di Parigi, fu il primo gesuita ad operare in Germania. La migliore possibilità per la Chiesa Romana, giudicò Favre, era di rinforzare la devozione popolare ai tradizionali sacri riti e servizi: "Se gli eretici vedranno nelle chiese la pratica della comunione frequente, con i fedeli che ricevono la loro Forza e la loro Vita… non uno di loro oserà predicare la dottrina di Zwingli sulla Santa Eucaristia". Egli viaggiò per il Paese, visitò le parrocchie, predicò a vaste folle, e rianimò le antiche tradizioni comunitarie della Chiesa.

Favre morì nel 1546, ma due altri straordinari gesuiti si fecero avanti a dargli il cambio sul fronte della lotta: dapprima lo spagnolo Jeronimo Nadal e poi Pietro Canisio, il "secondo apostolo" di Germania. Dagli anni '40 agli anni '60, Canisio macinò ventimila miglia sulle strade di Austria, Boemia, Germania, Svizzera e Italia. Non si limitò a predicare e ad organizzare il lavoro per risollevare la vita parrocchiale: produsse un flusso ininterrotto di libri popolar di istruzione sia per i sacerdoti che per il loro gregge riguardo le corrette dottrine e pratiche cattoliche. Il risultato che lui e altri gesuiti ottennero fu niente meno che drammatico: i sacerdoti nella chiesa dei Gesuiti di Vfienna, per esempio, ricevettero centinaia di confessioni il giorno di Pasqua del 1560, ma nove anni dopo il numero era arrivato a tremila. A Colonia, nel 1576, quindicimila fedeli ricevettero la Santa Comunione presso la cappella dei Gesuiti, ma solo cinque anni più tardi il numero era triplicato, arrivando a quarantacinquemila. Era la prova della straordinaria capacità dei Gesuiti di riportare in vita la vita del Cattolicesimo là dove essa sembrava la preda designata dell'attacco protestante.

I Gesuiti servirono da motore della ripresa cattolica anche in altre forme. Alcuni, come Francisco Suarez, erano eminenti teologi, che dettagliarono le dottrine della Chiesa e furono più che capaci di tenere testa nelle dispute con i loro avversari protestanti. Altri, come Diego Laynez e Antonio Possevino, agirono come emissari personali del Papa in importanti missioni diplomatiche, e altri ancora, come Roberto Bellarmino, unirono i due ruoli di consigliere e teologo del Papa. Alcuni, come François de la Chaise, confessore personale di Luigi XIV, che diede il nome al famoso cimitero Père Lachaise di Parigi, fornirono guida morale e conforto spirituale ai coronati d'Europa. Altri ancora, come l'inglese Edmund Campion, furono mandati in missioni segrete nei loro paesi protestanti di origine per non far estinguere la fiamma del cattolicesimo, a enorme rischio per se stessi. In tutti questi compiti, essi si dimostrarono eccezionali guarrieri di Dio: colti e non di rado brillanti, dotati, attivi e assolutamente devoti alla causa della Chiesa e del Papa.

Ma mentre i Gesuiti ebbero successo in tutti queste imprese, era in un'area, in particolare, che essi erano realmente senza pari: l'educazione. È notevole il fatto che Ignazio inizialmente non considerava l'educazione l'oggetto primario della sua Compagnia. La sua visione contemplava un gruppo di preti itineranti, pronti a fare i bagagli senza preavviso e a viaggiare ai quattro angoli della terra ad un comando dei loro superiori o del Papa, e di conseguenza non adatti a gestire scuole. Ma quando Francesco Borgia fondò il primo collagio gesuita a Gandia, in Spagna, nel 1545, i principali tra i cittadini lo assediarono con richieste perché i loro figli fossero accolti per esservi istruiti. Borgia si rivolse ad Ignazio, che, intuendo una opportunità preziosa per avanzare la causa del Cattolicesimo, diede il suo consenso. Fu così che già dal 1548 il collegio di Gandia aprì le porte alla gioventù della città.

L'esperienza di Gandia stabilì la rotta per altre istituzioni simili. L'anno 1548 vide anche l'apertura del collegio di Messina, la prima istituzione gesuita rivolta principalmente all'educazione di studenti laici. Per sovrintendere alla sua fondazione, Ignazio inviò un certo numero dei suoi più fidati subordinati, inclusi Nadal e Canisio, che resero Messina un modello per tutti i futuri collegi. Seguendo le direttive di Ignazio, il curriculum includeva un corso intensivo di latino, gli autori classici, e la filosofia, studiata con la guida delle opere di Aristotele. Al culmine della gerarchia degli studi c'era la teologia, la "regina delle scienze" che aveva l'ultima parola in tutti i campi della vera conoscenza. La facoltà di Messina, sotto la guida di Nadal, operò per trasfondere questo ampio programma di istruzione in un curriculum ordinato e sistematico e formulò parecchie proposte per un "ordine degli studi", o ratio studiorum. Dopo aver subito molte revisioni e molte redazioni in bozza, la Ratio studiorum fu formalmente approvata nel 1599 dalla congregazione generale della Società e divenne il modello per l'insegnamento gesuita ovunque impartito.

A seguito di questi primi successi, la domanda di collegi dei gesuiti esplose in tutta l'Europa cattolica. In città grandi e piccole principi regnanti, vescovi locali e cittadini eminenti fecero istanza alla Compagnia perché fondasse dei collegi nelle loro comunità. Riconoscendo il valore dell'educaizone per la diffusione degli insegnamenti della Chiesa, Ignazio scelse di abbracciare questa nuova missione dell'ordine, e lo chiamò a mobilitarsi per stabilire istituzioni gesuite da un capo all'altro dell'Europa. Al tempo della sua morte nel 1556 c'erano già 33 collegi, e la domanda continuava a crescere: 144 collegi nel 1579, 444 collegi e 100 seminari e scuole nel 1626, 669 collegi e 176 seminari e scuole nel 1749. Per la maggior parte in Europa, ma non tutti. Collegi gesuiti potevano incontrarsi nell'estremo oriente, a Nagasaki, in Giappone, e all'estremo ovest, fino a Lima, in Perù.  Era realmente, sotto tutti i punti di vista, un sistema mondiale di istruzione, su una scala che non era stata vista mai prima di allora e, se è per questo, dopo di allora.

Al centro di questa enorme rete educativa svettava il Collegio Romano. Fondato nel 1551 fu inizialmente ospitato in varie modeste abitazioni sparse per la città. Gregorio XIII, ammiratore e sostenitore dei Gesuiti, decise di fornire alla loro istituzione portabandiera una sede più consona. Espropriò due isolati cittadini in prossimità del crocevia principale di Via del Corso e affidò al rinomato architetto Bartolomeo Ammannati il progetto di un adeguato quartier generale  del sistema educativo dei Gesuiti. Il risultato fu un imponente, anche se non appariscente palazzo che rifletteva il potere e il prestigio della Compagnia di Gesù, ma anche la serietà della sua missione e il suo pragmatismo con i piedi per terra. Il Collegio si spostò in questa nuova sistemazione nel 1584. Sarebbe rimasto lì, in Piazza del Collegio Romano, quasi ininterrottamente per i successivi tre secoli.

Il nome semplice di "Collegio Romano", non differente da quello dei collegi delle altre città, suggerisce che esso fosse concepito per servire i giovani di Roma. Ma questo non è esatto. Sebbene educare l'élite romana era invero parte della missione del Collegio, esso era anche, sin dal suo inizio, un modello e un faro intellettuale per gli altri collegi del sistema. Solo i più esperti ed abili studiosi gesuiti venivano chiamati a Roma per fungere da professori al Collegio, che radunò sotto lo stesso tetto i più grandi luminari dell'Ordine. I matematici Christoph Clavius e Christoph Grienberger, i filosofi naturali Athanasius Kircher e Roger Boskovich, i teologi Francisco Suarez e Roberto Bellarmino e molti altri - in pratica la quasi totalità degli intellettuali gesuiti di punta - insegnavano al Collegio Romano. Secondo la consueta pratica gerarchica della Compagnia, la facoltà romana aveva l'autorità di stabilire il curriculum dei collegi provinciali e di determinare ciò che sarebbe e ciò che non sarebbe stato insegnato nelle scuole dei Gesuiti. Come gli ordini del Generale valevano per ogni singolo gesuita, così il Collegio Romano dominava sulle centinaia di collegi gesuiti in tutto il mondo.

Non è difficile rendersi conto del perché nobili e ricchi borghesi in tutta l'Europa cattolica reclamavano a gran voce la costituzione di collegi gesuiti nelle loro cittò. Le tradizionali scuole parrochiali erano di dubbia qualità, e la vita studentesca nelle grandi università era notoriamente dissoluta e immorale e poco preoccupata di darsi effettivamente ad attività di studio. I Gesuiti offrivano qualcosa di completamente diverso: un curriculum esigente e rigoroso, impartito da insegnanti altamente qualificati e regolarmente aggiornato dai luminari del Collegio Romano. Laddove gli studenti delle università erano liberi di indulgere in una vita di dissipata ubriachezza, gli studenti dei collegi gesuiti erano strettamente sorvegliati e occupavano i loro giori con lo studio e la preghiera. Un aristocratico o un mercante che mandavano il proprio figlio ad una scuola gesuita potevano essere sicuri che il ragazzo ne avrebbe avuto un immenso miglioramento, sia morale che intellettuale.

La lunga lista di eminenti allievi dei collegi dei gesuiti conferma in pieno questo giudizio. Oltre ai personaggi famosi dello stesso Ordine, i diplomati includevano coronati come Ferdinando II di Stiria, poi Sacro Romano Imperatore, statisti come il Cardinal Richelieu, umanisti come Justus Lipsius e filosofi e scienziati come René Descartes e Marin Mersenne. L'educazione gesuita, come riconoscevano persino i nemici della Compagnia, era né più né meno la migliore disponibile in tutti i paesi cristiani. Persino Francesco Bacone, Lord Cancelliere di Inghilterra e assolutamente non amico dei Gesuiti, commentò tristemente, talis quus sis, utinam noster esses, "fossero i nostri tali quali siete voi".

Bacone aveva buone ragioni per invidiare l'eccellenza educativa dei Gesuiti. Perché di tutti i servizi inestimabili che la Compagnia di Gesù offrì al Papato nella sua lotta contro il Protestantesimo, nessuno si rivelò più potente o efficace dei collegi. Dovunque uno fosse fondato, diveniva ben presto un centro di vita cattolica e una dimostrazione vivente di ciò che la Chiesa romana poteva fare. Erano rare le scuole luterane e calviniste che potevano competere con i Gesuiti sul piano della pura qualità dell'insegnamento o della competizione per attrarre l'utenza delle élite laiche. Una volta che gli studenti gli erano affidati, i Gesuiti spendevano anni ad impartire gli insegnamenti cattolici, completi di dotte e autorevoli confutazioni delle dottrine protestanti. Inevitabilmente gli studenti assorbivano la devozione gesuita per il papato e lo spirito di sacrificio per la causa della Chiesa e della sua gerarchia. Per mezzo di centinaia di simili collegi in tutta Europa e con centinaia e talvolva migliaia di studenti immatricolati in ciascuno di essi, il sistema educativo gesuita produsse una generazione di cattolici ben istruiti e devoti, che avrebbero occupati i posti di comando nelle loro comunità. In effetti, come principali educatori dell'élite cattolica, i Gesuiti assicurarono la sopravvivenza, tanto quanto il rifiorire della Chiesa Romana in vaste parti d'Europa.

L'impatto dei collegi gesuitici fu innegabile. Il primo collegio gesuita nel Sacro Romano Impero Germanico fu fondato a Colonia nel 1556, in un momento in cui l'Impero sembrava sull'orlo di soccombere sotto l'ondata luterana. Ma con il collegio saldamente stabilito entro la città, Colonia divenne una roccaforte cattolica e la base per le successive espansioni dell'attività dei Gesuiti. Nei decenni successivi, grazie anche ad un forte appoggio  dalle famiglie regnanti dei Wittelsbach e degli Asburgo, i Gesuiti fondarono dozzine di collegi in Bavaria e Austria, e si impadronirono delle università locali. Arrivarono persino a istituire a Roma una scuola speciale dedicata alla formazione di promettenti allievi tedeschi, destinati ad occupare posizioni elevate nella gerarchia ecclesiastica. Dopo aver completato i loro studi, i diplomati del "Collegium Germanicum" ritornavano ai loro paesi, dove divennero vescovi e arcivescovi, e la spina dorsale della riscossa cattolica in Germania. Anche nei Paesi Bassi i Gesuiti furono straordinariamente attivi: quando le province del Nord passarono al protestantesimo e presero le armi contro i loro sovrani della Casa di Asburgo, i Gesuiti contribuirono a rendere le Province del sud un bastione del cattolicesimo. Fu in gran parte grazie ai loro sforzi che il paese fu salvato per la Chiesa Cattolica, acquisì una distinta identità rispetto alle province del Nord e alla fine ottenne l'indipendenza come il moderno stato del Belgio.

In modo molto simile alla Germania, la Polonia del sedicesimo secolo sembrava ormai avviata ad accettare una o un'altra forma di protestantesimo quando i nobili cattolici invitarono  i Gesuiti a aprire i loro collegi negli anni '60 del 1500. L'impresa guadagnò rapidamente l'appoggio della famiglia reale polacca, che aiutò i Gesuiti ad espandersi, dai primi cinque collegi nel 1576 ai trentasei del 1648. I Gesuiti divennero gli educatori della classe dirigente polacca, sia dell'aristocrazia rurale che dell'élite urbana, mentre contemporaneamente a Roma formavano i quadri di un clero istruito che ritornò in Polonia per assumere la leadership della Chiesa. I Gesuiti erano così vicini ai monarchi polacchi che il re Sigismondo II era conosciuto come il "Re Gesuita" e suo figlio, Jan II Kazimierz fu membro dell'ordine e cardinale prima di salire al trono. La Polonia ne fu trasformata: una nazione che in precedenza si era vantata della sua tolleranza religiosa, e aveva aperto le sue chiese ai riformatori, divenne il paese di devoti cattolici che conosciamo oggi. In Polonia, come altrove, l'intervento dei Gesuiti fu decisivo.

I discepoli formati sul modello di Ignazio compirono ciò che i papi del Rinascimento non erano stati in grado di fare: arrestarono il progresso apparentemente inarrestabile del Protestantesimo in Europa e ridiedero nuova vita al potere e al prestigio della Chiesa Romana. Laddove la Compagnia piantò le sue bandiere, una nuova energia di devozione spirituale e una nuova determinazione fu instillava nella vecchia Chiesa e ispirò i suoi aderenti a fare fronte contro gli eretici. Un riconoscente Gregorio XIII si rivolgeva in questi termini alla Congregazione Generale della Compagnia del 1581:

 

Il vostro Santo Ordine si è diffuso per l'intero mondo. Dovunque si guardi, avete collegi e case. Dirigete regni, province, in verità l'intero mondo. In breve, in questi tempi non esiste uno strumento levato da Dio contro gli eretici più grande del vostro Ordine. Esso venne al mondo proprio nel momento in cui i nuovi errori iniziavano a diffondersi. È dunque della massima importanza che questo Ordine accresca la propria prosperità di giorno in giorno.

 

Il miracolo di Sant'Ignazio è un grandioso quadro che originariamente doveva illustrare l'altare della cattedrale di Anversa, e oggi si può ammirare al Kunsthistorisches Museum di Vienna. È opera del fiammingo Peter Paul Rubens, la cui riputazione di pittore di forme opulente ed erotiche nasconde a molti il fatto che era un devotissimo cattolico, che ascoltava messa ogni mattina e era intimo dei gesuiti di Anversa, la sua città natale. Nel 1605, quando i Gesuiti stavano portando avanti la campagna per la canonizzazione del loro fondatore, Rubens contribuì con ottanta incisioni all'opera agiografica ufficiale dell'Ordine, La vita del Ignazio. Quattro anni dopo, quando ci fu la beatificazione, gli fu commissionata la creazione di diversi grandi ritratti del futuro santo per la Chiesa del Gesù, la chiesa madre dell'Ordine a Roma.

Il quadro del Kuntshistorisches Museum ci pone dinanzi agli occhi una scena altamente drammatica, che ha luogo in un vasto ambiente, probabilmente una chiesa, che viene dipinto in tutta la sua magnificenza, dal soffitto a volta fino al pavimento di marmo. In alto, vicino alla cupola fluggua un gruppo di ridenti angeli e cherubini che sembrano non prestare attenzione al caos degli eventi umani che si svolgono al disotto. Là, si assiste ad una scena di dolore, paura e confusione, con un grande gruppo di uomini, donne e parecchi bambini colti in una tormentata frenesia. Uno degli uomini cade sulla schiena come in preda ad un attacco epilettico, mentre un altro, con strisce sanguinanti sulla schiena tende le braccia nella sua direzione. Una donna discinta, con i pugni seerrati, il volto contorto da una smorfia selvaggia e gli occhi vitrei cerca di divincolarsi da due uomini che la sorreggono. Un uomo dai capelli grigi, di cui è visibile solo la testa, leva gli occhi in un moto di disparazione, la faccia distorta in una maschera di orrore. Gli altri, che non sono stati sopraffatti dalla frenesia, guardano in alto con un misto di tormento, supplica e speranza: potranno essere salvati da chi li tormenta?

La figura a cui volgono lo sguardo è lo stesso Ignazio, eretto, risplendente negli abiti sacerdotali. Sulla sua pedana, Ignazio è rialzato solo di pochi palmi dal suolo, ma pare abitare un reame completamente differente. Calmo e imperioso, con la mano destra alzata in segno di benedizione, sta effettuando un esorcismo, scacciando gli spiriti maligni dalle persone, riportando pace e ordine a quelli che erano afflitti da tormento e caos. Una nube di cattivi spiriti è uscita dai corpi e sta fuggendo di fronte alla santità di Ignazio e uno degli angeli fa loro un irrisorio gesto di saluto. Ignazio, sebbene sia il protagonista indiscusso del quadro, non è solo: dietro di lui ci sono i sui uomini, una lunga fila di gesuiti vestiti di nero che si perde nella distanza. Come lui, sono calmi e austeri, e tengono d'occhio la scena di sofferenza che si svolge di fronte a loro. Sono l'esercito di Ignazio, e sono lì per apprendere dal loro maestro, per seguire le sue direttive e infine per succedergli nella missione di trasformare il caos nell'ordine e di portare pace agli afflitti.

Perché è questo il "miracolo" di Sant'Ignazio e dei suoi. Come nessun altro prima di loro essi sono riusciti a riportare la pace e l'ordine in una terra lacerata dalla sfida dei Riformati. Al posto dell'eresia e della confusione essi hanno portato unità e ortodossia; dove il governo della Chiesa è stato rovesciato e i preti e i vescovi spogliati delle proprie prerogative, essi hanno ricostruito il grande e antico edificio cattolico e hanno ristabilito la potenza della sua gerarchia; dove regnava la confusione hanno ripristinato la incrollabile certezza della verità e la giustizia della Chiesa Romana. Il loro successo nel compiere tutto questo è stato veramente miracoloso. Le chiavi di questo miracolo, secondo le convinzioni dei Gesuiti, erano semplici: verità, gerarchia e ordine.

I Gesuiti non credevano nella pluralità delle opinioni: la verità è assoluta. Non credevano nel pluralismo di poteri e autorità: una volta che la verità è conosciuta, tutto il potere deve fluire da quelli che la riconoscono e accettano come tale, e deve essere imposta su quelli che ancora non l'hanno accettata. E certamente essi non credevano nella democrazia, che consente l'espressione di punti di vista differenti e persino opposti e prospera nel libero dibattito e nella libera competizione per il potere. La verità non lascia spazio a simili dissensi o contestazioni. Solo l'autorità assoluta degli emissari di Dio e la verità divina che essi trasmettono, essi erano convinti, può consentire alla pace e all'armonia di prevalere. Questa era la visione del mondo dei Gesuiti, ed essi operavano strenuamente, con tutte le loro forze, entro il loro Ordine, entro la Chiesa e entro il mondo per renderla realtà. Con la sua chiara e strutturata gerarchia, Il miracolo di Sant'Ignazio espone queste idee in forma plastica e visuale. Al sommo, c'è il regno della luce e della verità divina; in basso ci sono gli uomini confusi e tormentati. Tra questi due estremi, ci sono Ignazio e i suoi uomini: disciplinati, imperturbabili e imperiosi, essi scacciano i demoni delle lotte e dei conflitti e fanno risplendere la luce della verità sulle persone.

Grazie ai Gesuiti, la pace prevarrà.