ANTOLOGIA DI BRANI
SPIRITUALI cristianesimo
antico ed eresie |
❍ La verità interiore (Agostino di Ippona)
❍ Il maestro interiore
(Agostino di Ippona, Il maestro)
❍ Il principio di tutte le cose
(Agostino di Ippona, Dialoghi )
❍ La tenebra della
morte (Agostino, Confessioni,
IV,7,12)
❍ Ciò che genera
la carità (Massimo il Confessore, Sulla
carità )
❍ La
disobbedienza alle leggi divine (4 Enoch
di Qumran, c–aII-V)
❍ Inno manicheo I (ritrovato in Egitto nel
1930)
❍ Inno
manicheo II (ritrovato in Egitto nel 1930)
❍ Gli angeli
guardiani di Dio (Libro dei Giubilei,
4, 6)
❍ Inno
manicheo a Gesù rinvenuto in Cina (VIII secolo)
❍ La stella portentosa (Pseudo-Ignazio, Prima lettera agli efesini )
❍ Dal Vangelo di Filippo (testo gnostico del
III secolo d. C.)
❍ Il
seme di ogni cosa secondo i naasseni (Ippolito, Philos., V,19)
❍ Il
punto fatto di nulla (gnosi naassena, Ippolito, Philos., V, 30)
❍ L’annunzio dell’apocalisse (Fekkaré Iyasous, Apocalisse etiopica
apocrifa)
❍ Dionigi l’Areopagita,
Preghiera O Trinità sovraessenziale
❍ Clemente
Alessandrino, Stromata
❍ Origene,
dalle Omelie su Numeri
❍ Origene, Si aprano i vostri occhi all’invisibile (In Genesim Homilia, 15, 7)
❍ Aurelio
Agostino, Le Confessioni , X, 7 e 17
❍ Aurelio Agostino, da La Trinità, III
❍ Aurelio Agostino, La Trinità, VIII
❍ Aurelio
Agostino, La Trinità, X
❍ Agostino
d’Ippona, Preghiera Io ti invoco
❍ Agostino di Ippona, A te io anelo (Soliloquia, I.I.6)
❍ Agostino
di Ippona, Tardi ti ho amato (Confessioni, 10.27.38)
❍ Agostino di Ippona, La ricerca
della divinità (citato da Thomas Merton)
❍ Agostino di Ippona, La strada
fino alla casa di Dio (Enarrationem in
Psalmos 41,9)
❍ Evagrio, Trattato sull’orazione, Prologo, 115
❍ Evagrio,
Trattato sull’orazione, Prologo, 139
❍ Sant’Isacco,
Lo Spirito che dimora
❍ La storia di Paisia
(Da Vita e detti dei padri del deserto)
❍ Gregorio di Narek, Preghiera Tu che sei questo meraviglioso canto
❍ Ambrogio, Aeterne rerum conditor
❍ Ambrogio, da Deus, creator omnium
❍ Ambrogio,
da Veni Redemptor gentium
❍ Si divori la morte il proprio
amo (Ambrogio, Per il giorno di Pasqua)
❍ Prudenzio,
da Ales diei nuntius
❍ Lattanzio,
dall’Epitome XXIX
❍ Gregorio di Nazianzo, O tu, l’al di là di tutto
❍ Domandate ciò che è grande (Agraphon 86 )
❍ La sapienza inafferrabile
(Giovanni Crisostomo)
❍ Gli
uccelli del cielo (Matteo, 6, 26-27)
❍ Il castigo di
Azazel (Libro etiopico di Enoch,
I,10)
❍ La condanna degli angeli che si
unirono alle figlie degli uomini (Libro
etiopico di Enoch, I, 12-13)
❍ La luce della contemplazione
(Isacco di Ninive)
❍ Notte e giorno la preghiera al
Signore (Isacco di Ninive)
❍ La verità priva di immagine
(Isacco di Ninive)
❍ La potenza che rende il cuore
adamantino (Isacco di Ninive)
❍ Lode di colui che non si volta
mai di fronte al nemico (Isacco di Ninive)
❍ Anche i demoni credono e tremano
(Massimo il Confessore)
❍ La lotta alle immagini della
passione (Massimo il Confessore)
❍ La verità interiore (Agostino di
Ippona)
Non voler uscire fuori di te,
ritorna in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità e, se troverai che la
tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando
trascendi te stesso, che trascendi l’anima razionale: tendi pertanto là dove si
accende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben
usare la ragione, se non alla verità? Non è la verità che perviene a se stessa
con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione. Vedi in ciò
la suprema armonia e fa’ in modo di essere in accordo con essa. Confessa di non
essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei
giunto ad essa non già passando da un luogo all’altro, ma cercandola con la
disposizione della mente, in modo che l’uomo interiore potesse congiungersi con
ciò che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello supremo
dello spirito.
❍ Il maestro interiore (Agostino
di Ippona, Il maestro)
Sul mondo intelligibile poi non
ci poniamo in colloquio con l’individuo che parla dall’esterno, ma con la
Verità che nell’interiorità regge la mente stessa, stimolati al colloquio forse
dalle parole. E insegna colui con cui si dialoga, Cristo, di cui è stato detto
che abita nell’uomo interiore, cioè l’eternamente immutabile potenza e sapienza
di Dio. Si pone in colloquio con lei ogni anima ragionevole, ma essa si rivela
a ciascuno nei limiti con cui egli può averne conoscenza secondo la buona o la
cattiva volontà. E il fatto che può sfuggire non avviene per difetto della
verità con cui ci si rapporta, come non è difetto della luce esnsibile che la
vista spesso si inganna… S’ingannano dunque gli uomini nel chiamare maestri
quelli che non lo sono perché il più delle volte fra il momento del discorso e
quello della conoscenza non v’è discontinuità; e, poiché dopo l’esposizione
dell’insegnante immediatamente apprendono nell’interiorità, suppongono di avere
appreso da colui che ha esposto dall’esterno.
❍ Il principio di tutte le cose (Agostino di Ippona, Dialoghi )
E la vera e genuina filosofia
ha l’esclusiva funzione di insegnare l’esistenza di un Principio imprincipiato
di tutte le cose, l’immensità dell’intelligenza che in lui esiste e ciò che da
lui deriva per la nostra salvezza senza che egli si ponga nel divenire.
Riguardo alle cose, di alcune
si deve godere, di altre si deve usare, altre invece sono quelle che godono e
usano.
Fra tutte le cose esaminate, si
deve godere soltanto di quelle cose che abbiamo ricordato essere eterne ed
immutabili; ci si deve solo servire delle altre e servircene in modo da
giungere alla fruizione delle prime.
❍ La tenebra della morte
(Agostino, Confessioni, IV,7,12)
L’angoscia avviluppò di tenebre
il mio cuore. Ogni oggetto su cui posavo lo sguardo era morte. Era per me un
tormento la mia città, la casa paterna un’infelicità straordinaria. Tutte le
cose che avevo atuto in comune con lui, la sua assenza aveva trasformate in uno
strazio immane. I miei occhi lo cercavano dovunque senza incontrarlo, odiavo il
mondo intero perché non lo possedeva e non poteva più dirmi: "Ecco,
verrà", come durante le sue assenze da vivo. Io stesso ero divenuto a me
stesso un grande dilemma. Chiedevo alla mia anima perché fosse triste e perché
mi conturbasse tanto, ma non sapeva darmi alcuna risposta; e se le dicevo
"Spera in Dio", a ragione non ubbidiva, perché l’uomo carissimo che
avevo perduto era più reale e buono del fantasma in cui era sollecitata a
sperare. Soltanto le lacrime mi erano dolci e presero il posto del mio amico
come conforti del mio spirito… Quanto più lo amavo, io credo, tanto più odiavo
e temevo la morte, nemica crudelissima che me lo aveva tolto e si apprestava a
divorare in breve tempo, nella mia immaginazione, tutti gli uomini, se aveva
potuto divorare quello… Mi stupivo che gli altri mortali vivessero, se egli ,
amato da me come se non dovesse mai morire, era morto; e più ancora mi stupivo
che vivessi io, se era morto colui, del quale ero un altro se stesso. Bene fu
definito da un tale il suo amico la metà della sua anima. Io sentii che la mia
anima e la sua erano state un’anima sola in due corpi; e perciò la vita mi
faceva orrore, poiché non volevo vivere scisso, e perciò forse temevo di
morire, per non far morire del tutto chi avevo molto amato. Oh fillia, incapace
di amare gli uomini quali uomini! Oh, stoltezza dell’uomo, insofferente della
condizione umana! Tali erano i miei sentimenti di allora, e così ardevo,
sospiravo, piangevo, sconvolto, non trovando né quiete né senso. Mi trascinavo
dentro un’anima dilaniata e sanguinante, insofferente di essere portata da me; e
io non trovavo dove deporla. Non certo nei boschi ameni, nei giochi e nei
canti, negli orti odorosi, nei conviti sfarzosi, fra i piaceri dell’alcova e
delle piume, sui libri infine e i poemi posava. Tutto per lei era orrore,
persino la luce del giorno; e qualunque cosa non era ciò che lui era, era
insopportabile e odiosa, eccetto i gemiti e il pianto. Qui soltanto aveva un
po’ di riposo: ma appena la toglievo di lì, la mia anima mi opprimeva sotto un
pesante fardello di infelicità. Per guarirla avrei dovuto sollevarla verso di
te, Signore, lo capivo, ma non volevo né ne ero capace, tanto più perché non
eri per la mia mente un essere consistente e saldo, non eri ciò che sei. Un
vano fantasma e il mio errore erano il mio dio. Se tentavo di adagiarvi la mia
anima per farla riposare, scivolava nel vuoto, ricadendo nuovamente su di me; e
io ero rimasto per me stesso un luogo infelice, ove non potevo stare e da dove
non potevo allontanarmi. Dove poteva fuggire infatti il mio cuore via dal mio
cuore, dove fuggire io da me stesso senza inseguirmi?
Allora, dopo la lettura delle
opere dei filosofi platonici, da cui imparai a cercare una verità incorporea;
dopo aver scorto quanto in te è invisibile,
comprendendolo attraverso il creato (Rm 1,20) e aver compreso a prezzo di
sconfitte quale fosse la verità che le tenebre della mia anima mi impedivano di
contemplaare, fui certo che esisti, che sei infinito senza estenderti tuttavia
attraverso spazi infiniti o finiti, e che sei veramente l’Essere, perché sei
sempre l’Identico, ansiché divenire un altro o mutare in qualche parte o per
qualche moto; mentre tutte le altre cose sono derivate da te, come dimostra
questa sola saldissima prova: che sono.
Ammonito da quegli scritti dei
platonici a tornare in me stesso, entrai nell’intimo del mio cuore sotto la tua
guida; e lo potei, perché divenisti il mio soccorritore. Vi entrai e scorsi con
l’occhio della mia anima, per quanto torbido fosse, sopra l’occhio medesimo
della mia anima, sopra la mia intellegenza, una luce immutabile. Non quella
luce comune, visibile a ogni carne, né della stessa specie, ma di genere
assolutamente superiore, quale sarebbe la luce comune se splendesse molto,
molto più splendida e penetrasse con la sua grandezza l’universo. Non così era
quella, ma realtà diversa da tutte le luci della terra. Neppure sovrastava la
mia intelligenza al modo che l’olio sovrasta l’acqua, e il cielo la terra,
bensì era del tutto superiore, poiché fu lei a crearmi, e io ero del tutto
inferiore, percé creato da lei. Chi conosce la verità la conosce, e chi la
conosce conosce l’eternità. La carità la conosce. O eterna verità e vera carità
e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Quando ti
conobbi la prima volta, mi sollevasti verso di te per farmi vedere come vi
fosse qualcosa da vedere, mentre io non potevo ancora vedere; respingesti il
mio sguardo malfermo col tuo raggio folgorante, e io tutto tremai d’amore e di
terrore. Mi scoprii lontano da te in una regione dissimile, ove mi pareva di
udire la tua voce dall’alto: "Io sono il nutrimento degli adulti. Cresci,
e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della
tua carne; ma tu ti trasformerai in me"… Chiesi: "La verità è dunque
un nulla, poiché non si estende nello spazio sia finito sia infinito?"; e
tu mi gridasti da lontano: "Anzi, io
sono colui che sono " (Es. 3,14)". Queste parole udii con l’udito
del cuore. Ora non avevo più motivo di dubitare. Mi sarebbe stato più facile
dubitare della mia esistenza, che dell’esistenza della verità.
❍ Ciò che genera la carità
(Massimo il Confessore, Sulla carità
)
La carità è generata
dall’impassibilità; a sua volta l’impassibilità è generata dalla speranza in
Dio; la speranza dalla sopportazione e dalla longanimità che, a loro volta,
sono generate dalla continenza in tutto; questa continenza è generata dal
timore di Dio, e il timore, dalla fede in Dio.
❍ La disobbedienza alle leggi
divine (4 Enoch di Qumran, c–aII-V)
Considera
tutta la creazione, osserva l’opera dei cieli e gli astri che mai mutano le
loro vie e ciascuno è visibile al suo posto e giammai trasgredisce l’ordine
fissato […] Voi invece avete cambiato la vostra opera ed avete trasgredito la
sua volontà.
❍ Inno manicheo I (ritrovato in
Egitto nel 1930)
Entrato che fui nella Tenebra
Mi toccò bere un’acqua
Che mi sapeva d’amaro,
Portare un fardello che non era
il mio.
Stavo in mezzo ai miei nemici,
Mi circondavano le bestie.
Il fardello che portavo
Era quello delle Potenze e dei
Principati.
Infiammati di collera essi
Si levarono contro di me,
Si gettarono ad afferrarmi
Come pecora senza pastore.
La Materia e i suoi figli
M’hanno spartito tra loro.
Poi bruciato nel loro fuoco
Dandomi un amaro aspetto.
Gli stranieri fra i quali ero
mescolato
Non mi conoscevano.
Sentirono la mia dolcezza
E vollero tenermi con loro.
Per loro io ero vita
Ma essi erano morti, per me.
❍ Inno manicheo II (ritrovato in
Egitto nel 1930)
Che tu possa liberarmi da
questo nulla profondo,
Dall’abisso buio fatto di consunzione,
Dove esiste soltanto la tortura
con ferite mortali,
E non trovi soccorritori né
amici.
Non c’è salvezza quaggiù.
Mai, nel fitto delle tenebre.
Qui sono carceri senza uscita
E chi arriva viene colpito con
asprezza.
Arido, riarso, percorso da
venti canicolari,
Non ci trovi il verde, mai.
Chi mi salverà dall’angoscia
infernale?
Piango su me stesso. Oh,
esserne sciolto.
affrancato dalle creature che
si divorano a vicenda!
E dai corpi degli uomini, dagli
uccelli dell’aria.
Dai pesci nei mari e dalle
bestie e dai demoni.
Chi mi liberà da tutti loro,
esiliato come sono,
Negli inferni esiziali, senza
scampo?
❍ Gli angeli guardiani di Dio (Libro dei Giubilei, 4, 6)
Quando noi veniamo al cospetto
del Signore nostro Dio, gli riferiamo ogni peccato che viene commesso nel cielo
e sulla terra, nella luce, nelle tenebre ed in ogni dove.
❍ Inno manicheo a Gesù rinvenuto
in Cina (VIII secolo)
Misericordia! Raccoglimi e
coglimi!
Fammi entrare nel gregge soave
e pacifico della luce,
Raggiungere l’amena, fiorita altura,
il bosco della legge
Dove io mi possa aggirare
libero e senza paura.
Sono un odoroso seme della luce
Gettato nel fitto di una
foresta tra i rovi.
Misericordia! Sollevami
Nell’aia della legge, nel
ricettacolo della luce.
Sono, o Santo, una vite
Piantata in una campagna pura,
nel giardino della legge.
Ma poi soffocata dai viticci,
irretita dalle liane,
Che mi tolsero la forza
migliore e diedero il tormento dell’aridità.
Sono, o Santo, un suolo grasso
e ubertoso
Dove furono piantate dai demoni
cnque piante velenose.
Oh, ti prego, impugna la scure,
la lama affilata, la falce della legge,
E svelli, e brucia e ridona
purezza!
Io sono, o Santo, un vestito
nuovo splendente
Che fu macchiato dai demoni con
sozzure.
Oh, prego lavalo con l’acqua
della legge e rinnovalo.
Che io ottenga il corpo beato,
trascendente e le membra pure.
❍ La stella portentosa
(Pseudo-Ignazio, Prima lettera agli
efesini )
Stella
in coelo fulsit, splendore exsuperans omnes stellas, & lux illius
ineffabilis erat; & stuporem incussit ipsius novitas. Omnia autem reliqua
astra, una cum Sole & Luna, chorus fuere Stella: ipsa vero lumen suum
extendebat super omnia: & perturbatio erat, unde prodiret illis novitas
dissimilis1.
(1) Una stella brillò nel cielo, superando per
splendore tutte le stelle, e la sua luce era ineffabile; e la sua novità
suscitò l’ammirazione. Ora, tutti gli altri astri, insieme al Sole e alla Luna,
formarono il coro della Stella. Ma questa stessa stendeva la sua luce su tutti;
e il turbamento era, da dove provenisse loro questa novità straordinaria.
❍ Dal Vangelo di Filippo (testo gnostico del III secolo d. C.)
La luce e le tenebre, la vita a
la morte, la destra e la sinistra, sono fratelli.
❍ Il seme di ogni cosa secondo i
naasseni (Ippolito, Philos., V,19)
Secondo essi il seme di ogni
cosa crea dicendo: “Io divengo ciò che voglio e sono ciò che sono” onde ciò che
muove tutto è immoto: poiché egli rimane ciò che è, facendo ogni cosa ma non
divenendo nessuna delle cose prodotte – e questo è il grande occulto mistero
degli Egizi, immanifesto eppure manifesto.
❍ Il punto fatto di nulla (gnosi
naassena, Ippolito, Philos., V, 30)
Il punto che è “nulla” e fatto
di “nulla”, benché senza parti, mediante il suo proprio pensiero diviene una
grandezza di là da ogni comprensione. Questo punto è il “Regno dei cieli”, il
punto semplice, primo principio di esistenza per il corporeo; e dallo spirito,
da null’altro che dallo spirito, può essere conosciuto.
❍ L’annunzio dell’apocalisse (Fekkaré Iyasous, Apocalisse etiopica
apocrifa)
O fratelli, tenetevi in
guardia. In quel giorno vi saranno numerose ingiustizie… Gli uomini venderanno
per niente i compagni, i fratelli e i parenti… Ciò che avranno detto la sera,
non lo ripeteranno il mattino; ciò che avranno detto al mattino non lo
ripeteranno la sera.
Fratelli, tenetevi in guardia.
In quel tempo nasceranno seduttori ed astuti che faranno amicizia con i geni
come cattivi cristiani dicendo: verrà un
tempo felice. Non credetelo, e dite: Io non
voglio…
Fratelli, tenetevi in guardia…
In quei giorni gli uomini saranno sconvolti dalla vista e dall’udito. Coloro
che vedranno e sentiranno non lo riterranno nella loro mente.
Fratelli, tenetevi in guardia…
In quei tempi vi saranno due soli e due lune; la terra verrà sconvolta dalla
violenza del fuoco. Poi l’inverno si mescolerà all’estate e pioverà da un anno
all’altro… La benedizione del nutrimento sarà ridotta ad un terzo; tutto
diminuirà ogni giorno e ogni anno…
❍ Dionigi l’Areopagita, Preghiera O Trinità sovraessenziale
Trinità sovraessenziale,
oltremodo divina ed oltremodo
buona,
custode della divina sapienza
dei cristiani
Portaci non solo al di là di
ogni luce,
ma al di là della stessa
inconoscenza
fino alla più alta vetta
delle mistiche Scritture,
là dove i misteri semplici,
assoluti e incorruttibili della
teologia,
si rivelano nella tenebra
più che luminosa del silenzio
E’ nel silenzio infatti
che s’imparano i segreti
di questa tenebra
della quale troppo poco è dire
che brilla della luce più
abbagliante
in seno alla più nera oscurità,
e che, pur rimanendo
perfettamente intangibile e
invisibile,
riempie di splendori
più belli della bellezza
le intelligenze
che sanno chiuder gli occhi
Questa la mia preghiera.
❍ Clemente Alessandrino, Stromata
Come
l’icona è inferiore al volto vivente, così il mondo rispetto all’ Αίοη
1
(1) Αίοη: “Eone”, ma anche
“durata viva”, “durata”, “midollo”, “umore essenziale e generativo”
Tutti
gli angeli pregano. Ogni creatura prega. Il bestiame prega al pari delle fiere,
che chinano le ginocchia, e all’uscire dalle stalle o dalle spelonche non
guardano con muso ozioso il cielo, ma anzi fanno secondo il loro costume
vibrare lo spirito. Ma anche gli uccelli che, ecco, s’innalzano al cielo, e
stendono le ali in luogo delle mani in forma di croce, e dicono qualcosa che
sembra orazione.
❍ Origene, dalle Omelie su Numeri
Gli angeli di Dio, coltivatori
e agricoltori dei nostri cuori, sono presenti fra noi e cercano se c’è qualcuno
di intelletto così applicato e attento che abbia ricevuto la parola di dio con
avidità come semenza divina, e se quella semenza ha fruttificato appena ci
siamo alzati a pregare, cioè se quell’uomo prega dio raccogliendo e
concentrando i nostri pensieri ed il suo spirito non erra vagabondo, se le sue
riflessioni non si smagliano, se, mentre ha il corpo piegato nell’orazione, le
sue immaginazioni non si disperdono nelle opposte direzioni. Se qualcuno sente
che la sua supplica è attenta e diritta, se intende d’essere sotto lo sguardo
di Dio e nella sua luce indicibile, e se moltiplica preghiere, suppliche,
richieste e ringraziamenti, senza essere turbato da nessuna immaginazione
esteriore, sappia che per mediazione dell’angelo presente nell’altare ha
offerto le primizie della sua immolazione al vero sommo sacerdote, Cristo.
❍ Origene, Si aprano
i vostri occhi all’invisibile (In
Genesim Homilia, 15, 7)
Possa il Signore Gesù porre,
pure a noi,
le mani sugli occhi,
perché iniziamo a volgere lo
sguardo
non alle cose che si vedono,
ma a ciò che non si vede:
apra a noi quegli occhi
che non scrutano le cose
presenti,
ma quelle future,
e sveli a noi quello sguardo
del cuore
mediante il quale si vede Dio
in ispirito.
❍ Aurelio Agostino, Le Confessioni X, 7 e 17
Che
cosa amo, dunque, amando il mio Dio? Chi è questi che sta al di sopra della mia
anima? Salirò a lui proprio mediante la mia anima, andando oltre questa forza
che mi lega al corpo e mi permea di vita. Non raggiungerò il mio Dio per mezzo
di tale forza; se così fosse, lo raggiungerebbero anche il cavallo e il mulo
che sono senza intelligenza e i cui corpi vivono grazie a quella medesima
forza. C’è un’altra forza, quella che dà al mio corpo non solo la vita ma anche
la sensibilità, e che mi ha dato il Signore, comandando all’occhio di non udire
ma di vedre, e all’orecchio di non vedere ma di udire, e così ad ognuno degli
altri sensi l’attività rispondente alle loro rispettive sedi e mansioni: tutte
queste diverse attività le compio, per mezzo loro, io, unico spirito. Ebbene,
supererò anche quest’altra forza: anch’essa infatti è posseduta pure dal
cavallo e dal mulo, perché anch’essi hanno i sensi corporali
Andrò dunque oltre queste mie
energie naturali, salendo passo passo fino a colui che mi ha creato, e
raggiungerò così il vasto campo di azione della memoria, dove sono gli
innumerevoli tesori di immagini di ogni genere portate lì dalle sensazioni. Ivi
è riposta pure tutta l’attività della nostra mente che aumenta, diminuisce o
comunque trasforma quanto percepiscono i sensi, e qualunque altra cosa è stata
messa da parte e non è stata ancora sepolta nell’oblio. Quando mi trovo là
dentro, posso chiedere che ne escano le immagini che voglio: alcune si
presentano subito, altre si fanno desiderare più a lungo e pare si debbano
strappare via da angoli più nascosti; alcune prorompono a frotte e, mentre ne
vorrei altre e continuo a cercare, balzano in mezzo come per dire: "Non
siamo forse noi che tu cerchi?". Io le scaccio dalla memoria, e allora
emerge quella che volevo e si fa avanti uscendo dal buio; altre si aggiungono
snodandosi facili e nell’irdine un cui le vado cercando, l’una dopo l’altra,
per ritirarsi poi lù dove staranno nascoste e da dove riapparirann appena io lo
vorrò. Tutto ciò accade quando racconto qualche cosa a memoria.
Là si trovano conservate
ciascuna secondo il proprio genere, tutte le cose che vi furono immesse
attraverso varie vie di accesso: così la luce e tutti i colori e le forme dei
corpi, che vi entrano attraverso gli occhi; i diversi tipi di suoni attraverso
gli orecchi, i vari odori per la via delle nari, i sapori attraverso la bocca
e, mediante la sensibilità di tutto il corpo, ciò che, sia fuori che dentro il
corpo stesso, vi è di duro, di molle, di caldo, di freddo, di liscio, di aspro,
di pesante, di leggero. La memoria immagazzina tutte queste cose nei suoi ampi
recessi e nelle sue nascoste, misteriose sinuosità, per ripensarle e
richiamarle al momento opportuno. Vi entrano tutte passando ognuna per il
proprio accesso e vengono messe in serbo: in realtà non sono le cose in se
stesse ad entrare, ma le immagini delle cose colte con i sensi. E se ne stanno
lì a disposizione del pensiero che voglia richiamarle. Chi mai sa spiegare
com’esse si siano formate, anche se è chiaro da quali sensi vengono colte e
riposte? ANche mentre io sono al buio e nel silenzio, traggo dalla memoria, se
voglio, i colori, e distinguo tra bianco e nero e ogni altro colore che mi
pare; e non accade che le immagini a cui penso e che ho attinto per mezzo degli
occhi vengano ad essere disturbate da suoni, quantunque anch’essi presenti e
come riposti in un luogo appartato. Se mi garba di chiamare pure loro, si fan
subito avanti mentre io, senza aprir bocca, canto in silenzio finché voglio: e
le immagini dei colori,presenti anch’esse nella memoria, non interferiscono né
mi disturbano mentre sto adoperando quest’altro tesoro penetrato dalle
orecchie. Così tutte le altre cose che vengono introdotte e messe da parte
attraverso i sensi, le posso ricordare quanto mi piace: distinguo il profumo
dei gigli da quello delle viole senza odorare nulla, e, sensa nulla gustare né
toccare, ma soltanto ricordando, preferisco il miele al mosto cotto, il dolce
all’aspro. Compio queste azioni al mio intrno, nella grande stanza dove abita
la memoria. Ivi sono a mia disposizione cielo, terra e mare con tutto ciò che
in essi potei cogliere con i sensi: manca soltanto ciò che ho dimenticato. Ivi
ritrovo anche me stesso e ricordo quello che ho fatto, quando, dove e con quali
sentimenti l’ho fatto. Ivi è ogni cosa che io ricordo o perché sperimentata
personalmente o perché creduta dal racconto di altri. Sempre da questa
ricchezza di oggetti deriva la possibilità di confrontare molte altre realtà, o
sperimentate direttamente o credute sulla base dell’esperienza, e posso
ricollegarle con eventi passati per immaginare da qui azioni, fatti e speranze
future: su tutto ciò rifletto sempre come a cose presenti. "Farò questo,
farò quello", dico fra me nell’immenso vano del mio animo pieno di così
tante immagini di cose: e di fatto segue ciò che dico. "Oh, se avvenisse
questo, oppure quello! Dio ci guardi da questo o da quello!", e mentre
dico così fra me, ecco uscire dal medesimo scrigno della memoria le immagini di
tutto ciò che nomino: se esse non fossero là, non potei nominarne neanche una.
Grande, veramente grande è
questa facoltà della memoria,o mio Dio: è un ampio, sterminato sacrario. Chi
può toccarne il fondo? E questa forza appartiene al mio animo, alla mia natura:
il fatto è che neppur io comprendo a pieno ciò che sono. Ma allora l’animo è
forse incapace di comprendere se stesso, dove si trova e che cosa è suo? E’
dunque fuori e non dentro di sé? Come mai non comprende? Sono molto
meravigliato di questo, mi prende un grande stupore. Gli uomini vanno ad
ammirare le cime dei monti, le onde del mare, l’ampio scorrere dei fiumi,
l’oceano, i moti degli astri, e poi passano inosservati a se stessi. Non si
meravigliano del fatto che, mentre parlo di queste cose, non le vedo con gli
occhi; ma non potrei parlarne se non vedessi nella mia memoria in tutta la loro
immensità come se li avessi dinanzi nella realtà i monti, le onde, i fiumi, gli
astri che ho visto personalmente e l’oceano a cui credo per sentito dire.
Eppure quando li ho visti con gli occhi non è che li abbia fatti entrare in me
sostanzialmente, ma solo per immagini; e so attraverso quale dei sensi
corporali ciascuna mi fu impressa dentro.
Grande è la forza della memoria,
o Signore, stupefacente, profonda e di infinita molteplicità. E tuttavia è la
mia mente – sono io stesso. Cosa sono allora io o Signore? Qual è la mia
natura? La vita è continuo cambiamento con molte forme differenti senza limiti.
Osserva! Nelle vaste pianure della mia memoria e nelle sue innumerevoli caverne
e cavità riempite oltre ogni possibilità di conta con una varietà innumerevole
di cose; o attraverso immagini come per le cose materiali; o direttamente come
sono le abilità fondamentali e il saper fare riguardante le arti o per mezzo di
non so quali nozioni o notazioni come sono le emozioni; perché la memoria le
trattiene anche quando al mente non fa esperienza di esse sebbene qualsiasi
cosa sia in memoria deve anche essere in mente io mi muovo attraverso tutte
queste cose e liberamente vado da questa a quella scavando in mezzo ad esse per
quanto posso e mai finendo. Tale è l’energia della memoria tale l’energia
vitale negli esseri umani che vivono da mortali.
❍ Aurelio Agostino, da La Trinità, III
Raffiguriamo con l’animo un
sapiente la cui anima razionale già partecipi della verità immutevole ed
eterna, che la consulti per ogni suo atto e nulla faccia che non abbia conosciuto
in essa come da farsi, onde agire quale suo suddito ottemperante. Costui,
avendo consultato la suprema ragione della divina giustizia, che ode con
l’orecchio del suo cuore e per ordine suo, poniamo che travagli il corpo con la
fatica, contragga una malattia e che dei medici consultati l’uno dica esser
causa del male la secchezza del corpo, l’altro l’eccesso d’umore: l’uno direbbe
il vero,l’altro sbaglierebbe, tutt’e due però si pronuncerebbero soltanto sulle
cause prossime, vale a dire, corporali. Se poi si cercasse la causa di quella
siccità e si scoprisse nella volontaria fatica: allora eccoci pervenuti alla
causa superiore, proveniente dall’anima a colpire il corpo che essa regge;
neanche quella però sarebbe la prima causa, che senza dubbio è nasosta nella
stessa immutevole Sapienza, servendo la quale in carità e obbedendo ai cui
ordini ineffabili, l’anima del sapiente si accollò una fatica volontaria. Alla
fine si troverrebbe nient’altro che la volontà di Dio come prima causa di
quella malattia. Se nella fatica doverosa e pia quel sapiente adoprasse poi
aiutanti collaboratori, i quali però non servissero Dio con la medesima volontà
di lui, ma fossero solo desiderosi di intascare le loro mercedi per soddisfare
cupidigie carnali o per scansare qualche fastidio carnale, oppure se egli
adoprasse anche bestie da soma richieste per il compimento di quell’opera, cioè
animali irrazionali che muoverebbero le loro membra sotto i finimenti non già
pensando a qualcosa di quell’opera buona, bensì per appetito naturale delle
loro voluttà e per evitare molestie.
Infine mettiamo che quegli usasse di corpi privi di sensibilità necessari alla
sua opera, come frumento, vino, olio, veste, denaro, quaderno e altrettanti, in
tutti codesti corpi impegnati nell’opera, animati e disanimati, mossi,
consumati, riparati, distrutti, rinati e altrimenti affetti dal tempo e dallo
spazio, ci sarebbe una mutazione: forse che ci sarebbe una causa di tutti
codesti fatti visibili e mutevoli, diversa dall’invisibile e immutevole volontà
di Dio che, attraverso l’anima giusta qual sede della Sapienza, usa di tutti,
degli animi cattivi e irrazionali e infine dei corpi sia di quelli che ispirano
e animano sia di quelli privi di senso, usando in primo luogo dell’anima buona
e santa che sottomise al pio e religioso ossequio?
❍ Aurelio Agostino, La Trinità, VIII
Angeli e demoni, che conoscono
i semi delle cose più occulte, li spargono segretamente in noi come agricoltori
e con opportuna coltivazione e temperie di elementi esse germogliano in noi.
❍ Aurelio Agostino, La Trinità, X
Esistono cose provenienti dalla
stessa materia corporale ma volte ad annunciare qualcosa di divino ai nostri
sensi, che propriamente si dicono miracoli e segni, né in tutte le cose a noi
annunciate dal Signore Iddio è la sua maschera a essere indossata. Quando ciò
pure avvenga, si mostra in un angelo o in quella specie che non è un angelo
anche se con ministero d’angelo.
Così non soltanto nei detti, ma
anche nei fatti, la maschera di Dio che dev'essere significata, si impone al
profeta, affinché egli la porti.
❍ Agostino d’Ippona, Preghiera Io ti invoco
Io ti invoco
Dio luce intelligibile
nel quale, dal quale e
per mezzo del quale
ricevono luce
tutti coloro che partecipano
alla tua luce intelligibile
❍ Agostino di Ippona, A
te io anelo (Soliloquia, I.I.6)
A te io anelo
e proprio a te io chiedo gli
strumenti
per anelare a te.
Se mi abbandoni, infatti,
muoio;
ma non mi abbandonerai,
perché sei il bene sommo,
che sempre vien raggiunto
da coloro che lo cercano
rettamente
E lo cerca rettamente
chiunque sia stato da te reso
capace
di cercare rettamente
Fa’, o Padre, che anch’io ti
cerchi,
preservami dall’errore:
che nella mia ricerca
non si presenti a me
nient’altro che te.
Se non desidero null’altro che
te,
fa’, te ne prego, o Padre,
che ti trovi.
E se vi fosse ancora in me
qualche desiderio superfluo,
sii tu stesso a purificarmene,
e rendimi capace di vederti.
❍ Agostino di Ippona, Tardi ti ho amato (Confessioni, 10.27.38)
Tardi ti ho amata,
bellezza tanto antica e tanto
nuova,
tardi ti ho amata!
Ed ecco, tu eri dentro
e io fuori:
là ti cercavo,
e privo di forma mi avventavo
sulle belle forme da te create.
Eri con me,
e non ero con te.
Mi tenevano lontano da te
quelle cose che se non fossero
in te
nemmeno sarebbero.
Mi hai chiamato,
hai gridato,
hai squarciato la mia sordità.
Hai balenato,
hai brillato
e hai fugato la mia cecità.
Hai emanato la tua fragranza:
l’ho aspirata
e ora anelo a te.
Ho gustato
e ho fame e sete.
Mi hai toccato
e ardo per la tua pace.
❍ Agostino di Ippona, La ricerca della divinità (citato da
Thomas Merton)
E’
Dio dunque qualcosa della stessa natura della mente? … Questa nostra mente
cerca di trovare qualcosa che è Dio … cerca di trovare una verità non soggetta
a mutamento, una sostanza che non viene mai meno. La mente stessa non è di tale
natura. E’ capace di progresso e di decadimento, di conoscenza e di ignoranza,
di memoria e di oblio. Questa mutabilità non si trova in Dio.
Cerco
dunque il mio Dio in cose visibili e corporee e non lo trovo; cerco la sua
sostanza in me stesso, quasi fosse simile a ciò che io sono, e neppure qui lo
trovo. Percepisco quindi che il mio Dio è qualcosa di superiore alla mia anima.
Perciò, al fine di poterlo toccare, "ho pensato a queste cose e ho effuso
la mia anima al di sopra di me stesso" (Salmo 41, 5). Quando mai la mia anima avrebbe raggiunto questo
oggetto della sua ricerca, che è "al di sopra della mia anima", se la
mia anima non si fosse riversata al di sopra di se stessa? Poiché, se rimanesse
in se stessa, non vedrebbe altro che se stessa; e vedendo sé non vedrebbe
certamente il suo Dio … Ho effuso la mia anima al di sopra di me stesso, e non
mi resta più nulla da toccare, se non il mio Dio. Il luogo della sua dimora è
infatti al di sopra della mia anima; là egli abita, di là mi guarda, di là mi
ha creato, di là mi governa e provvede per me, di là mi interpella, mi chiama,
mi dirige, mi guida lungo la via e alla fine della mia via.
(Enarrationes in Psalmos 41,7-8)
Accolsi
il consiglio di quelle letture (dei platonici) di tornare a me stesso e con la
tua guida entrai nel mio io intimo: e ci riuscii perché tu ti eri fatto mio
sostegno. Vi entrai, e con l’occhio di quest’anima, quale che fosse, vidi al di
sopra dell’occhio stesso di quest’anima, al di sopra di questa mente, la luce
che non muta … Tu mi hai abbacinato gli occhi incerti con il fulgore del tuo
raggio, e ho tremato d’amore d di spavento.
(Confessioni 7,10,16)
❍ Agostino di Ippona, La strada fino alla casa di Dio (Enarrationem in Psalmos 41,9)
Quante
cose ammiro in questa tenda [la Chiesa]! Perché la tenda di Dio in terra sono
gli uomini fedeli; in essi ammiro l’obbedienza… ammiro le membra del corpo
perché militano al servizio dell’anima … ammiro tutte queste virtù nell’anima;
ma ancora cammino nella tenda … Ma poi oltrepasso anche queste e sebbene la
tenda sia mirabile, quando giungo alla casa di Dio sono colto da stupore. Di
questa dimora parla il salmista in un altro salmo [Salmo 72] … Là, nel
santuario di Dio, la casa di Dio, c’è la fonte della comprensione. Salendo
nella tenda, è giunto alla casa di Dio. Mentre contemplava le parti della
tenda, è stato condotto alla dimora di Dio; ascoltando un certo suono
interiore, guidato dalla sua dolcezza e seguendo la guida del suono,
ritraendosi da ogni rumore di carne e sangue, egli si è aperto la strada fino
alla casa di Dio.
❍ Evagrio, Trattato sull’orazione, Prologo, 115
Non desiderare vedere
sensibilmente Angeli né Potenze né il Cristo, per non perdere completamente il
buon senso sì da accogliere il lupo invece del pastore ed adorare i demoni
nemici.
❍ Evagrio, Trattato sull’orazione, Prologo, 139
Di notte il maestro di orazione
è reclamato dai demoni; di giorno i demoni si servono degli uomini per farlo
vivere tra vicissitudini, calunnie e pericoli
Il demone della fornicazione e
quello della bestemmia sono i più potenti
Sei
teologo se preghi
❍ Sant’Isacco, Lo Spirito che dimora
[Chi abbia raggiunto uno stato
di preghiera spontanea e costante] ha raggiunto il culmine di tutte le virtù,
ed è divenuto la dimora dello Spirito Santo. Quando lo Spirito Santo viene a
vivere in un uomo, costui non smette mai di pregare, perché allora lo Spirito
Santo prega costantemente in lui. Nel mangiare o nel bere, nel dormire o nel
fare qualcosa, persino nel sonno profondo il suo cuore esprime senza sforzo
l’incenso e i sospiri della preghiera.
❍ La storia di Paisia (Da Vita e detti dei padri del deserto)
Una giovinetta di nome Paisia
rimase orfana di entrambi i genitori. Pensò di fare della sua casa un albergo
per gli ospiti dei padri di Scete. Per un periodo non breve rimase lì, dando
ospitalità e servendo i padri. Ma col tempo, consumato il patrimonio, cominciò
a trovarsi in strettezze. Si attaccarono a lei degli uomini traviati e la
distolsero dal buon proposito. Cominciò a comportarsi male, fino a giungere
alla prostituzione. Il padre Giovanni si recò da lei e disse alla vecchia
portinaia: "annunciami alla tua padrona". Quando fu salito, essa,
prevenendolo, si pose sul divano. Giovanni andò a sedersi vicino a lei e,
fissandola in viso, le disse: "che hai da lamentarti di Gesù, che sei
giunta a tal punto?". E abbassata la testa pianse. Gli chiese:
"perché piangi?". Le disse: "Vedo Satana giocare sul tuo
viso". Chiede allora: "C’è penitenza?". Le dice: "Sì".
Ed ella: "Conducimi dove vuoi". E si alzò per seguirlo. Il padre notò
con stupore che non diede nessun ordine né disse nulla riguardo alla sua casa.
Giunsero nel deserto; era tardi; egli formò un piccolo cuscino di sabbia, vi
fece sopra un segno di croce, e le disse: "Dormi qui". Si allontanò
un poco, recitò le sue preghiere e si coricò. Svegliandosi verso mezzanotte,
vide come una strada di luce che scendeva dal cielo fino a lei. Alzatosi, le si
avvicinò e la toccò col piede; e vide che era morta.
❍ Gregorio di Narek, Preghiera Tu che sei questo meraviglioso canto
Tu che sei questo meraviglioso
canto
nel quale noi troviamo il
nostro impulso,
musica al cui seno le forme
sono costruite.
Tu che sei il segreto del
pensiero
grazie a cui tutto insieme è in
movimento,
ogni splendore si trova in te
riunito
come nell’anfora si accostano
le canne.
Tu sei il dito del cipresso che
indica la via
e le tue sopracciglia sono
riunite
in un sol arco
Dio del mezzogiorno che domini
sugli astri
❍ Ambrogio, Aeterne rerum conditor
Del mondo eterno artefice,
che notte e giorno regoli
e i tempi alterni e moderi
per alleviare il tedio,
Già canta il gallo, vigile
araldo, nelle tenebre;
luce ai viandanti provvida
l’ore notturne indica.
L’astro che il giorno annunzia
disperde la caligine;
i malfattori lasciano la via
dei loro crimini.
Il navigante s’anima;
i flutti in mar si placano;
Pietro, all’udir quel monito,
scoppia in amare lacrime.
Alacremente alziamoci:
il gallo i pigri stimola,
sveglia color che dormono,
rimprovera i colpevoli.
Le speranze risorgono,
gli infermi si riprendono,
l’arma i malvagi celano,
torna la fede ai deboli.
A noi malfermi volgiti,
Gesù pietoso e sanaci:
le nostre colpe cadono
e in pianto si dissolvono.
Risplendi, o luce, agli animi;
dal cuore il sonno dissipa:
possiamo lieti ed alacri
alzare a te la supplica.
❍ Ambrogio, da Splendor paternae gloriae
Della paterna gloria
splendor, luce da luce,
fonte di luce vivida,
giorno che il giorno illumina.
O vero sole irradiaci
col tuo fulgore perpetuo,
infondici negli animi
il lume dello spirito.
Ecco l’Aurora sorgere
e Cristo in cielo irrompere,
nel Padre tutto il Figlio,
nel Figlio tutto il Padre
❍ Ambrogio, da Deus, creator omnium
O Dio, artefice del mondo,
che reggi e muovi i cieli,
di luce al giorno prodigo
e di quiete alla notte,
Te canti il nostro spirito,
Perché, quando le tenebre
concluderanno il giorno,
la fede non s’attenui
ma illumini la notte.
❍ Ambrogio, da Veni Redemptor gentium
Vieni, signore dei popoli
Già splende il tuo presepio;
la notte ha la sua lampada;
nulla la possa estinguere
ma brilli in tutti i secoli.
❍ Si divori la morte il proprio amo (Ambrogio, Per
il giorno di Pasqua)
Si divori la morte il proprio amo,
nei suoi lacci s’impigli:
muoia la vita di tutti,
di tutti la vita risorga.
Poi che tutti a morte avrà falciato,
tutti i morti risorgano;
e, da se stessa annientata, la morte
d’esser perita lei sola si dolga.
❍ Prudenzio, da Ales diei nuntius
O Cristo, dissipa il sonno
e i vincoli della notte,
sciogli l’antico debito
e infondi nuovo lume.
❍ Lattanzio, dall’Epitome XXIX
Cur ergo verus ille Deus patitur haec fieri ac non potius
malos vel summovet vel extinguit?
Cur vero ipse daemoniarchen a principio fecit, ut esset qui
cuncta corrumperet, cuncta disperderet?
Quid est caput horum et causa
malorum?1
(1) Perché
il vero Dio permette che queste cose esistano, invece di rimuovere o sopprimere
il male? Perché ha creato sin dall’inizio un principe dei demoni, che avrebbe
corrotto e distrutto tutto?
Qual è la causa e il principio dei mali?
❍ Gregorio di Nazianzo, O tu, l’al di là di tutto
Ineffabile,
poiché le parole a te devono
l’origine.
Inconoscibile,
poiché i pensieri a te devono
l’origine.
A te un inno di silenzio:
lo pronunciano tutti gli esseri
che contemplano il tuo ordine.
Per te tutto permane.
Per te tutto si muove del moto
universale.
A te ogni nome:
quale intelletto penetrerà quei
veli che si stendono al disopra delle nubi?
❍ Domandate ciò che è grande (Agraphon 86 )
Domandate ciò che è grande e
allora ciò che è piccolo vi verrà regalato, domandate le realtà celesti e le
terrestri vi verranno regalate
❍ La sapienza inafferrabile (Giovanni Crisostomo)
La
Tua sapienza mi è stata causa di meraviglia, mi è impossibile afferrarla.
❍ Gli uccelli del cielo (Matteo, 6, 26-27)
Guardate
gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai;
eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E
chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua
vita?
❍ Il castigo di Azazel (Libro etiopico di Enoch, I,10)
Il Signore disse a Raffaele:
"Lega ad Azazel mani e piedi e gettalo nelle tenebre; scava una fossa nel
deserto in Dudael e gettavelo dentro. Ponigli sotto pietre aguzze e affilate e
ricoprilo di tenebre. Egli dimorerà là per l’eternità, e copri il suo volto con
tenebre, cosicché non possa vedere nessuna luce".
❍ La condanna degli angeli che si unirono alle figlie degli
uomini (Libro etiopico di Enoch, I,
12-13)
E
io, Enoc, mi levai, lodando il Signore della maestà e il re del mondo. Ecco, i
Vigilanti del grande Santo chiamarono me, Enoc, lo scriba, e mi dissero:
"Enoc, scriba di giustizia, va, annuncia ai Vigilanti del cielo che hanno
abbandonato l’alto cielo, le eterne sante dimore, e si sono corrotti con le
donne, hanno agito come i figli degli uomini, si sono presi moglie e sono
caduti in una grave corruzione sulla terra: non troveranno nessuna pace né
perdono. E mentre ora gioiscono dei loro figli, dovranno vedere l’uccisione dei
loro amati figli; continueranno a pregare, ma non otterranno misericordia né
pace".
Enoc
allora andò e disse ad Azazel: "Tu non avrai pace; è stata emessa contro
di te una grave condanna, quella di legarti. Non otterrai nessuna clemenza né
intercessione, a causa delle violenza che hai insegnato, e di tutte le
bestemmie, le violenze, le colpe che hai mostrato agli uomini".
❍ La luce della contemplazione (Isacco di Ninive)
La luce della contemplazione
corre parallela a una quiete continua e all’assenza di impressioni esteriori
perché la mente, quando è vuota, si tiene continuamene eretta e attende quale
contemplazione si leverà in lei. Chi invece disputa intorno a questo, non solo
fa errare gli altri, ma devia anche lui dalla strada, né lo avverte, e corre
dietro a un’ombra nei fantasmi del suo intelletto.
❍ Notte e giorno la preghiera al Signore (Isacco di Ninive)
Notte e giorno non venga meno
dal tuo cuore questa preghiera: Signore,
liberami dalla tenebra dell’anima. Essa è infatti il termine di tutta la
preghiera e della conoscenza. Un’anima tenebrosa è un secondo Sheol; una mente
illuminata è la compagna dei serafini.
❍ La verità priva di immagine
(Isacco di Ninive)
La quiete dell’intelletto è lo
stato [necessario] alla [presenza della] verità nell’anima, perché, infatti, la
verità è conosciuta senza immagine. Verità è la limpidezza del pensiero di Dio
che si leva nell’intelletto.
Qualsiasi pensiero imprime nel
pensiero l’oggetto verso cui si muove. La verità, poiché è priva di immagine,
non impressiona l’intelletto, nella sua meditazione, con alcuna materia o
composizione di pensieri. E’ detto bene da uno gnostico rivestito di Dio:
“L’intelletto che guarda Dio è libero da impronte e da materia”. Dunque
qualsiasi immagine posta nell’intelletto è al disotto della verità. La
considerazione di Dio pone l’intelletto al disopra delle immagini.
❍ La potenza che rende il cuore adamantino (Isacco di Ninive)
C’è dunque una potenza presso
l’uomo, e, ogniqualvolta essa si allontana da lui, subito il timore si accosta
al [suo] cuore e l’anima si indebolisce in tutte le sue membra e impoverisce
affatto in ogni conoscenza, e quell’uomo in quell’ora è spogliato del tutto
della confidenza della fede e diviene nel suo pensiero così come un bimbo
piccolo. Ma quando essa gli si accosta di nuovo, immediatamente il coraggio
riveste l’anima e il cuore diviene più saldo di un monte e non teme alcuna
delle creature. Nulla atterrisce il suo cuore, non il timore dei demoni né
[quello] delle fiere né [quello] di uomini cattivi e perversi; non [lo
atterriscono] le malattie del corpo né la nudità né la mancanza di cibo e, fine
di ogni cosa, neppure la morte, che è terribile per la natura. In breve,
[l’uomo] si riveste di zelo, a somiglianza di braci di fuoco, e nulla nella
creazione di Dio atterrisce il suo pensiero, non la sua vista né il suo
ricordo.
Alcuni martiri vedevano questa
[potenza] sensibilmente, ed essa era vista da molti di loro, nel tempo
dell’infittirsi dei tormenti, in modo manifesto. C’è chi [la] vedeva nella
forma di un manto che si stendeva sopra di lui; chi [la] vedeva a somiglianza
di una mano d’uomo, che lo proteggeva, e chi nella forma di un bel fanciullo,
in piedi vicino a lui. Non solo a questa vista essi acquisivano coraggio, ma
divenivano affatto insensibili a tutti i tormenti che si abbattevano su di loro
[…]
E’ questa la potenza che
custodisce in modo invisibile, nel terribile deserto, il solitario dalle offese
dei demoni, mentre essi non sanno di dove [venga] questo, che una natura umana,
per un periodo di quaranta o cinquant’anni, coabitando con le fiere, resti
nella lotta terribile dei demoni senza che il suo pensiero sia offeso o
intristito per nulla. Egli appare così come se abitasse in cielo, mentre il suo
cuore esulta notte e giorno ed è pieno della gioia degli angeli […] E se uno
stabilisce un segno, percepisce a ogni momento quando essa si allontana da lui
e l’ora in cui gli si accosta. [Lo] percepisce dal mutamento che si è prodotto
in lui, dalla potenza indicibile che improvisamente vede in se stesso o dalla
debolezza della natura.
❍ Lode di colui che non si volta mai di fronte al nemico
(Isacco di Ninive)
[Per] ogni passione che si
muove in te con lo scopo del combattimento, nella cui battaglia con te
aderiscono a te timore e tristezza, anche se talora [ne] sarai vinto, pure è
preparata per te misericordia, soprattutto perché non ti sei rilassato né sei
venuto meno nella disfatta, ma, pur pieno di sofferenza e tristezza e lutto,
hai rivolto in modo pronto e coraggioso la lotta contro di essa e ti sei armato
e sei sceso in battaglia contro di essa. Così troverai comprensione in ogni
passione.
❍ Anche i demoni credono e tremano
(Massimo il Confessore)
Non dite – dice il divino
Geremia – che siete tempio del Signore; e tu non dire: La sola fede nel Signore
nostro Gesù Cristo può salvarmi. Questo è impossibile se non acquisisci anche
la carità per lui mediante le opere. Poiché, quanto al solo credere, anche i demoni credono e tremano 1
1 Gc. 2, 19
❍ La lotta alle immagini della passione (Massimo il
Confessore)
Una volta affetti da passione
per un qualunque oggetto, ne portiamo in noi le rappresentazioni passionali.
Chi dunque vince le rappresentazioni passionali, non tiene in nessun conto
neppure gli oggetti di cui esse sono immagine: poiché la guerra contro la
memoria delle cose è tanto più grave, quanto più facile è peccare mentalmente
che in atti.