ANTOLOGIA DI BRANI
SPIRITUALI antichità
classica e alessandrina |
❍ Tu saprai (Pitagora, Detti
Aurei )
❍ Tavoletta
orfica trovata in un sepolcro (Tavoletta Petelia)
❍ Confessione
del sacerdote orfico (da Euripide)
❍ Iscrizione funeraria di Scaterio
Celere
❍ Iscrizione
funeraria romana da Cadice (Spagna)
❍ Iscrizione
funeraria romana da Brindisi
❍ Epitaffio
del soldato romano Sorano, trovato trascritto in manoscritti del IX secolo
❍ Iscrizione funeraria romana di
Cornelia Valentina, da Thimgad (Algeria)
❍ Iscrizione funeraria dello
schiavo Quinto Ammerio (Mitrovica, ex-Jugoslavia)
❍ Iscrizione
funeraria di Procope (Roma)
❍ Tito
Lucrezio Caro, De rerum natura, III,
87-90
❍ La musica delle sfere (Cicerone, Somnium Scipionis)
❍ Seneca, dalle Lettere a Lucilio (la manifestazione
della potenza divina)
❍ Seneca, dalle Lettere a Lucilio (la luce che squarcia
le tenebre)
❍ Marco
Aurelio, Ricordi , XII, 3
❍ Marco Aurelio, Ricordi , esortazione alla bontà
❍ Marco Aurelio, Ricordi, tutte le cose sono eguali per
il saggio
❍ Marco Aurelio, Ricordi , il tempo per perseguire la
serenità dello spirito
❍ Marco
Aurelio, Ricordi, II, 17
❍ Marco
Aurelio, Ricordi, V, 23
❍ Marco
Aurelio, Ricordi, IX, 19
❍ Marco
Aurelio, Ricordi, VII, 1
❍ All’alba (Marco
Aurelio, V, 1)
❍ Epitteto, ciò che è adatto al nostro carattere
❍ Epitteto,
sulla fermezza d’animo
❍ Epitteto, Diatribe,
III, 15, 13
❍ Epigrafe
gnostica del III secolo
❍ Ermete
Trismegisto, dal Pimandro
❍ Ermete Trismegisto, dal
Trattato decimo sesto del Corpus
Hermeticum
❍ Giamblico,
da I misteri egizi e caldei
❍ Zosimo di
Panopoli, da Intorno alla virtù
❍ Rituale
mithriaco del Papiro magico di Parigi
(IV sec. d.C.), prima istruzione
❍ Rituale
mithriaco del Papiro magico di Parigi
(IV sec. d.C.), terzo logos
❍ Rituale
mithriaco del Papiro magico di Parigi
(IV sec. d.C.), quinto, sesto e settimo logos
❍ Enesidemo, Discorsi pirroniani, IV
❍ Filone
di Alessandria, Legum Allegoriae, I,
44
❍ Filone di
Alessandria, De praemiis et poenis,
43
❍ Filone
di Alessandria, De Opificio Mundi, 24
❍ Filone di
Alessandria, De Opificio Mundi, 69
ss.
❍ Filone di
Alessandria, De somniis, I, 60
❍ Filone
di Alessandria, De Gigantibus, 8
❍ Plutarco, De Iside et Osiride, 382
❍ Plutarco, De
E ap. Delph., 392a-393b
❍ Plutarco, De Iside et Osiride, 372F
❍ Plutarco,
De genio Socratis, 391e
❍ Il canto delle
Mènadi (Euripide, Baccanti )
❍ Diogene
Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 25
(sulla filosofia pitagorica)
❍ Numenio, Sul dono
(frammento 23)
❍ Numenio, Frase 11 (Edizione Leemans)
❍ La luce e
la vita (Dal Poimandres, Corpus Hermeticum, I, 21)
❍ L’intelletto e
l’anima (Corpus Hermeticum, X, 24)
❍ Il discorso dell’uomo generato
nell’intelletto (Corpus Hermeticum,
XIII, 3)
❍ L’intelletto e l’intelligibile (Oracoli Caldaici, fr. 1)
❍ Lo slancio dell’intelletto
verso le sfere superiori (Oracoli
Caldaici, fr. 2)
❍ La vita
degli dèi (Plotino, Enneadi, VI, 9,
11)
❍ La vita di
Plotino (Porfirio, Vita di Plotino)
❍ Plotino, Enneadi, III, IV, 6
❍ Plotino, La virtù dell’Uno (Enneadi, VI,9,1, passim)
❍ Plotino,
L’ineffabile (Enneadi, V,3,13)
❍ Plotino, Il
centro e la luce (Enneadi IV,3,17)
❍ Plotino,
Immagini dell’Uno (Enneadi V,1,6)
❍ Plotino, La sorgente inesauribile
e l’albero (Enneadi III,8,10)
❍ Plotino,
Il centro e il cerchio, (Enneadi
IV,4,16)
❍ Parole
di Prometeo incatenato ad Eracle (Pavese, Dialoghi
con Leucò )
❍ Le parole di Orfeo (Pavese, Dialoghi con Leucò )
❍ Il sacrificio della vita dello
straniero alla terra frigia (Pavese, Dialoghi
con Leucò )
❍ Platone: Il sogno di Socrate
❍ Platone: I misteri
non comunicabili a parole
❍ Platone: La “seconda
navigazione”
❍ Tu saprai (Pitagora, Detti Aurei )
E non il sonno negli occhi, per
quanto languenti, accettare, prima che ogni atto tuo diurno, tre volte abbi
tratto ad esame: “Dove son stato? Che ho fatto? Qual obbligo non ho adempiuto”
Ma all’opra ti accingi tu, il
compimento pregandone i Numi: e da essi afforzato, saprai degli Iddii
immortali, saprai degli umani caduchi, l’essenza ond’uno trapassa, ond’altri si
volve ed impera. Saprai Themi, che sia; Natura, a sé identica ovunque; e il non
sperar l’insperabile, e il non lasciar nulla inspiegato.
Saprai che gli uomini prove
sopportan da essi accettate.
Coraggio: l’origine dei mortali
è divina, a cui Natura va aprendo le arcane virtù ch’ella spiega.
Se di essi in te c’è qualcosa,
verrai sin là dove ti esorto, reintegrato e silente, e l’anima immune da mali.
Osserva, discèvera e vàluta
tutto, e Intelligenza sovrana erigi ed auriga dall’alto.
Così, se, il corpo lasciando,
nell’etere libero andrai, spirìtuo nume immortale, non più vulnerabil, sarai.
❍ Tavoletta orfica trovata in un
sepolcro (Tavoletta Petelia)
Tu troverai sulla sinistra
della casa di Ade una sorgente in un pozzo
ed al suo fianco un bianco
cipresso.
Non avvicinarti a questa
sorgente.
Ma tu ne troverai un’altra
vicino al Lago della Memoria,
acqua fredda che sgorga e
davanti vi sono guardiani.
Di’: "Io sono un figlio
della terra e del cielo stellato;
ma la mia razza è del Cielo
soltanto. Questo lo sapete da voi.
E, mirate, io sono arso dalla
sete e perisco. Datemi presto
l’acqua fredda che sgorga dal
Lago della Memoria".
E da se stessi essi ti daranno
da bere dalla sacra fonte
e da allora tu avrai signoria
fra gli altri eroi.
❍ Confessione del sacerdote orfico
(da Euripide)
Le mie giornate sono finite.
Io, servo
iniziato del Giove di Ida,
dove vaga Zagreus a mezzanotte,
io vago;
io ho sopportato il suo grido
di tuono;
ho adempiuto i suoi festini
lunghi e sanguinosi,
mantenuto la fiamma sulla
montagna della Grande Madre.
Io sono liberato e chiamato per
nome
Un Bacco dei sacerdoti con la
corazza.
Abbigliato in puro bianco, io
mo sono nettato
dalla vile nascita umana e
dalla creta chiusa in una bara
ed ho esiliato sempre dal mio
labbro
ogni contatto di carne che
abbia conosciuto la vita.
Cerbero, il divoratore della
carne,
L’infernale guardiano dalla
gola d’ottone,
La belva feroce e potente con
cinquanta teste.
Allora, abbandonato il corpo,
salirai nel libero etere, sarai un dio immortale, incorruttibile, unto
d’eternità.
❍ Iscrizione funeraria di Scaterio
Celere
Non siamo nulla e fummo
mortali. Tu che leggi, rifletti: dal nulla ripiombiamo rapidamente nel nulla.
❍ Iscrizione funeraria romana da
Cadice (Spagna)
Non sono più come altre
fanciulle prima di me. E’ finita ormai. Chi legge, nell’allontanarsi dica: Crocine,
ti sia lieve la terra.
A voi lassù, addio.
❍ Iscrizione funeraria romana da
Brindisi
Se non ti dispiace, passante,
fermati e leggi. Su navi, su velieri spesso ho percorso le ampie distese del
mare. Sono approdato in molti paesi; questo è l’ultimo porto che mi
vaticinarono, il giorno in cui nacqui, le Parche. Qui ho deposto ansie e
fatiche, qui non temo le stelle né la furia del mare.
❍ Epitaffio del soldato romano
Sorano, trovato trascritto in manoscritti del IX secolo
Tra mille prodi Batavi, per
primo riuscii ad attraversare a nuoto il Danubio in tutta la sua ampiezza con
indosso le armi; coglievo a volo e spezzavo un dardo scoccato dall’arco mentre
era ancora in aria, con un dardo scagliato a mia volta. Né a un romano né a un
barbaro riuscì mai di superarmi nel lancio del giavellotto né a un Parto
nell’arco.
Qui deposto celebrai le mie
gesta su questa pietra in memoria. Io fui d’esempio a me stesso, per il primo riuscii
in queste imprese.
❍ Iscrizione funeraria romana di Cornelia Valentina, da
Thimgad (Algeria)
Speravo, ahimé, di vivere a
lungo. Dopo la morte, nulla mi riguarda. Nulla voglio. Nulla desidero.
❍ Iscrizione funeraria dello schiavo Quinto Ammerio
(Mitrovica, ex-Jugoslavia)
La terra tiene il corpo, un
sasso il nome, l’anima l’aëre. Sarebbe stato meglio non aver mai toccato il
suolo.
❍ Iscrizione funeraria di Procope
(Roma)
Procope, levo le mani contro il
dio che m’ha portato via, e non avevo fatto alcun male.
Sol
me rapuit (mi ha rapito il sole)
❍ Tito Lucrezio Caro, De rerum natura, III, 87-90
A volte come i bambini, che
hanno timore del buio, così noi temiamo, alla luce del giorno, per cose
altrettanto inconsistenti di quelle che al buio paventa il bambino.
❍ La musica delle sfere (Cicerone,
Somnium Scipionis)
Questo suono è quello che è
separato secondo intervalli impari e tuttavia distinti in una determinata
misura di parti ed è causato dall’oscillazione e dal moto delle sfere e causa, temperando i suoni
acuti coi gravi, concerti diversi in modo uniforme.
Il sommo corso stellante del
cielo si muove con suono acuto ed eccitato, mentre il lunare ed infimo con
suono gravissimo.
Le otto sfere tra le quali due
hanno pari virtù e velocità producono sette suoni distinti da intervalli, ed è,
questo, un numero che è il nodo di tutte le cose; i dotti, imitandolo per mezzo
di budella tese e di canti si schiusero la via del ritorno a questo luogo,
proprio così come gli altri che coltivarono nell’umana vita studii divini.
Le orecchie degli uomini,
stipate di questo suono, diventarono sorde. In verità questo suono è tanto
forte che le orecchie degli uomini non lo possono cogliere come non potete
guardare in faccia il sole senza essere sopraffatti dai suoi raggi.
❍ Seneca, dalle Lettere
a Lucilio (la manifestazione della potenza divina)
Noi veneriamo le sorgenti dei
grandi fiumi; noi innalziamo altari là dove, improvvise, erompono dal profondo
le acque di un’ampia corrente; e se tu vedrai un uomo impavido, incontaminato
dalle passioni: qui è discesa qualche potenza divina.
❍ Seneca, dalle Lettere
a Lucilio (la luce che squarcia le tenebre)
I
Segreti della natura si schiuderanno davanti a te; queste tenebre si
disperderanno e la luce abbagliante si diffonderà ovunque. Immagina che luce
grandiosa vi sarà quando tanti astri uniranno insieme la loro luce. Nessuna
ombra turberà questa serenità; ogni parte del cielo brillerà uniformemente
Allora
tu dirai che fino a quel momento hai vissuto nelle tenebre, quando contemplando
la pienezza della luce tu la percepirai nella sua totalità, quella che oggi tu
non vedi che confusamente brillare attraverso le porte dei tuoi occhi e che tu
ora ammiri da lontano. Come la luce divina si presenterà a te, quando tu
giungerai nel luogo che è il suo?
❍ Marco Aurelio, Ricordi , XII, 3
Tre sono gli elementi di cui
sei composto: corpo, soffio vitale, mente. I primi due sono tuoi nella misura
in cui ne devi prender cura; il terzo solo è propriamente tuo. Se arriverai
quindi ad allontanare da te stesso, cioè dalla tua mente, tutto ciò che gli
altri fanno o dicono; tutto ciò che tu stesso hai fatto o detto; tutto ciò che
ti turba pensando al futuro; tutto ciò che, in quanto parte del corpo che ti
avvolge e del soffio vitale con esso congenito, ti deriva indipendentemente
dalla tua volontà; tutto ciò che il vortice delle cose esteriori trascina con
sé, in modo che la forza della tua mente, libera dai vincoli del destino, viva
pura e indipendente compiendo ciò che è giusto, accettando ciò che avviene e
professando la verità; se riuscirai, io dico, a separare da questo principio
direttivo tutto ciò che dipende dalle impressioni esteriori, e dal tempo tutto
ciò che deve ancora venire o che è ormai passato, e ti farai simile allo sfero
di Empedocle,
sfero
rotondo che gode della sua solitudine circolare
preoccupandoti solo di vivere
l’attimo che stai vivendo, cioè il presente; allora sì, potrai veramente
trascorrere imperturbato, benevolo e in pace con il tuo demone, il tempo che ti
resta fino al momento della morte.
❍ Marco Aurelio, Ricordi
, esortazione alla bontà
Smettila di parlare del tipo
d’uomo che un uomo buono dovrebbe essere, ma sii tale.
❍ Marco Aurelio, Ricordi,
tutte le cose sono eguali per il saggio
Sia sempre chiaro in te che
questo pezzo di terra è come tutti gli altri e che tutte le cose sono uguali a
quelle in cima alla montagna, sulla riva del mare o dovunque tu abbia scelto di
essere. Così scoprirai ciò che ha detto Platone: Abiterai tra le mura di una
città così come nell’ovile di un pastore su una montagna.
❍ Marco Aurelio, Ricordi
, il tempo per perseguire la serenità dello spirito
E’ indispensabile che tu sappia
a qual mondo tu appartenga e da quale potenza che governa l’universo tu sia
stato espresso; e inoltre che t’è prestabilito un tempo determinato e che, se
non lo usi per conquistare la serenità dello spirito, esso dileguerà, e tu pure
dileguerai, e non ti sarà possibile un’altra volta.
❍ Marco Aurelio, Ricordi, II, 17
La vita umana ha la durata di
un attimo, la sostanza fluida, le sensazioni oscure, la compagine del corpo
intero corruttibile, l’anima errabonda, la fortuna incerta, la fama casuale;
quel che riguarda il corpo è una corrente che passa, quel che riguarda l’anima,
sogno e vanità; l’esistenza è battaglia e sosta in terra straniera; la gloria
postuma è oblio.
❍ Marco Aurelio, Ricordi, V, 23
Medita la rapidità con la quale
passano e dileguano tutte le cose che esistono e che nascono. La materia è
simile al fluire continuo d’un fiume; le forze naturali subiscono
trasformazioni ininterrotte, le cause mutamenti innumerevoli; quasi niente è
stabile. E questa a te così vicina immensità infinita del passato e
dell’avvenire è una voragine nella quale ogni cosa dilegua.
❍ Marco Aurelio, Ricordi, IX, 19
Tutto si trasforma. Tu medesimo
ti muti di continuo e, in certo qual modo, ti vai dissolvendo, e al par di te
l’universo intero.
❍ Marco Aurelio, Ricordi, VII, 1
In alto, in basso, sempre,
dovunque tu ti volga, troverai le medesime cose, delle quali sono piene le
storie antiche e quelle dell’età medie e le nuove; delle quali oggi sono colme
case e città. Nulla di nuovo: sempre le stesse ed effimere cose.
❍ All’alba (Marco Aurelio, V, 1)
All’alba, quando ti dispiace di
essere già sveglio, pensa subito che ti sei destato per compiere il tuo lavoro
di uomo. Sei stato concepito e messo al mondo per agire e ti vuoi lamentare di
doverti mettere al lavoro? O forse sei stato creato per restartene sotto le
coperte? Questo è molto più piacevole; ma sei forse nato per il piacere, per
essere passivo, o non piuttosto per l’azione?
❍ Epitteto, ciò che è adatto al
nostro carattere
Qualcuno chiedeva: "Come
può dunque un uomo tra noi percepire cos’è adatto al suo carattere?"
"Come fa il toro da solo,
quando il leone attacca, a scoprire il proprio potere e a lanciarsi in difesa
dell’intera mandria?" Replicò Epitteto.
❍ Epitteto, sulla fermezza d’animo
Sii come il promontorio contro
cui le onde si frangono di continuo, che rimane fermo e doma la furia
dell’acqua tutto intorno.
Le cose sono di due maniere;
alcune in nostro potere, altre no. Sono in nostro potere l’opinione, il
movimento dell’animo, l’appetizione, l’avversione, in breve tutte quelle cose
che sono nostri propri atti. Non sono in nostro potere quelle cose che non sono
nostri atti. Le cose poste in nostro potere sono di natura libere, non possono
essere impedite né ostacolate. Quelle altre sono deboli, schiave, sottoposte a
ricevere impedimento, e infine sono cose di altri.
❍ Epitteto, Diatribe, III, 15, 13
Non puoi prestare continuamente
attenzione alle cose esterne e alla parte direttrice dell’anima tua. Se vuoi
quelle lascia questa; se no, non avrai né questa né quella.
❍ Epigrafe gnostica del III secolo
Desiderando la luce del Padre
Compagna di sangue e di letto
mia saggia,
Abituata nei lavacri di Cristo
All’unzione pura,
incorruttibile,
Ti sei affrettata a vedere
I volti divini delle Durate,
Il grande Angelo del grande
Consiglio, figlio di Verità.
Giunta all’alcova, subito
Sei balzata ai talami
Paterni delle Durate.
Non ebbe morendo la sorte
comune;
Morì, vive, vede
La luce indistruttibile degli
esseri,
Vive per i viventi, morì
Per i veramente morti.
Terra, perché stupisci di
questa
Sorta di morto, o ti spaventi?
❍ Ermete Trismegisto, dal Pimandro
Ed allora, denudata di ciò che
proveniva dall’armatura delle sfere, l’anima entra nella natura ottoadica,
possedendo la sua potenza propria ed inneggia al padre insieme agli esseri, e
così diventa simile a chi lo circonda, ode potenze superiori all’Ottoade che
inneggiano a Dio con voce soave. E salgono in ordine verso il padre, e si
abbandonano alle loro potenze, e diventando potenze entrano in Dio. Ormai,
perché indugi?
❍ Ermete Trismegisto, dal Trattato decimo sesto del Corpus Hermeticum
Quanto agli altri uomini sono
tutti tirati da una parte e dall’altra, anime e corpi, dai demoni, ed essi
amano queste attività dei demoni dentro di sé.
❍ Giamblico, da I misteri egizi e caldei
Le immagini degli dèi
dardeggiano un gran lume, quelle degli arcangeli sono piene di luce
soprannaturale, quelle degli angeli sono luminose. I demoni brillano di una
fiamma oscura.
❍ Zosimo di Panopoli, da Intorno alla virtù
Guarda, ho compiuto la discesa
per i quindici gradini della tenebra ed ho compiuto la salita per i gradini
della luce. Ed ora mi ergo nella perfezione come spirito.
Questo è il divino e grande
mistero, l’oggetto che si cerca. Questo è il tutto. Da lui il tutto, e per lui
il tutto. Due nature, una sola essenza; perché l’una attrae l’una, e l’altra
domina l’una. Questa è l’acqua di argento, l’ermafrodito, quello che sempre
fugge, quello che è attirato verso i suoi propri elementi. E’ l’Acqua Divina
che tutto il mondo ha ignorato, di cui la natura è difficile a contemplare,
perché non è né un metallo, né acqua sempre in movimento, né un corpo; essa non
è dominata.
Verum, sine mendacio, certum et
verissimum:
quod est inferius est sicut quod est
superius;
et quod est superius est sicut quod est
inferius,
ad
perpetranda miracula rei unius1
(1) E’ vero, senza menzogna, certo e
verissimo :
ciò che è in basso è come
ciò che è in alto;
e ciò che è in alto è
come ciò che è in basso,
per il compimento dei
miracoli di una sola cosa.
❍ Rituale mithriaco del Papiro magico di Parigi (IV sec. d.C.),
prima istruzione
Ed ecco, ti vedrai sollevato in
alto, oltre ogni altezza, onde ti sembrerà di essere in mezzo allo spazio.
Non udrai più nessuno, né uomo
né altro essere, non vedrai più nulla delle cose mortali della terra, ma tutto
ciò che vedrai sarà immortale.
❍ Rituale mithriaco del Papiro magico di Parigi (IV sec. d.C.),
terzo logos
Aprimi! Poiché a causa
dell’amaro, pungente bisogno che mi spinge io invoco gli immortali venerati
tuoi Nomi viventi, quelli che ancor mai scesero in natura mortale, che ancor
mai si articolarono in lingua d’uomo, in voce o lingua mortale.
❍ Rituale mithriaco del Papiro magico di Parigi (IV sec. d.C.),
quinto, sesto e settimo logos
Appena tu abbia pronunciato
ciò, vedrai le porte aperte e sorgere dalla profondità sette Vergini in bisso,
con viso serpentino: sono le sorti dominanti, auree arbitre del Cielo.
Salutate che tu le abbia, si
faranno innanzi ancora sette Dèi, dai visi di tori neri, cinti di lino alle
reni, con sette diademi d’oro: sono i Signori del polo celeste
Guardiani del pernio, che a un
comando volgono insieme l’asse vorticoso della ruota celeste. Tu saluterai
ciascuno di essi.
E la terra sarà scossa e un Dio
discenderà, immenso, di radiante presenza, giovane, con aurea capigliatura, in
tunica bianca e corona d’oro.
Questi è l’Orsa, che muove e
volge il Cielo in alto e in basso, secondo le stagioni.
Azione maggiore di questa non
trovi nel cosmo.
Chiedi le cose che vuoi al Dio
ed Egli te le darà.
Questa è la natura del Grande
Dio.
Questo corpo è infatti un
fardello ed una pena per l’anima che dal peso del corpo è travagliata e tenuta
prigioniera se non viene la filosofia che la porta a rasserenarsi nello
spettacolo della natura e la innalza dalla terra alle regioni celesti. Questa è
la libertà dell’anima, questa è la sua gioia: si sottrae così al carcere in cui
è tenuta e si ravviva in cielo.
❍ Enesidemo, Discorsi pirroniani, IV
Le cose visibili che noi
chiamiamo segni delle cose non visibili, non lo sono affatto e coloro che
credono questo sono indotti in inganno da una vana passione.
❍ Filone di Alessandria, Legum Allegoriae, I, 44
Neppure il cosmo intero
potrebbe costituire un luogo adeguato e una dimora di Dio, perché è Lui che è
luogo a se stesso, ed è Lui che è pieno di se stesso, ed è Lui, Dio, che è
bastevole a se stesso, ed è Lui che riempie e contiene tutte le altre cose, che
sono povere, solitarie e vuote.
❍ Filone di Alessandria, De praemiis et poenis, 43
Esiste una intelligenza
iniziata ai grandi misteri, la quale conosce la Causa non partendo dalle cose
create, come si conosce dall’ombra l’oggetto che la produce, ma, sorpassato il
creato, riceve una chiara manifestazione dell’Increato, e a partire da quello
essa comprende Lui e la sua ombra, il Logos e questo cosmo.
❍ Filone di Alessandria, De Opificio Mundi, 24
Il cosmo intelligibile non è
altro che il Logos di Dio nell’atto di formare il mondo, giacché la città
intelligibile non è altro che il calcolo dell’architetto che già pensa di
fondare una città.
❍ Filone di Alessandria, De Opificio Mundi, 69 ss.
L’uomo fu creato ad immagine e
somiglianza di Dio. Ma né Dio ha forma umana, né il corpo umano ha forma
divina. L’"immagine” è l’intelletto, guida dell’anima.
L’intelletto è di per sé
invisibile, mentre vede tutte le altre cose; ha una essenza inconoscibile,
mentre comprende l’essenza di tutte le altre cose. Mediante le arti e le
scienze molteplici egli dischiude tutte le vie maestre, procede attraverso la
terra e il mare, scrutando ciò che vi è nell’uno e nell’altro elemento. Dopo di
che, levandosi a colpo d’ala, contempla l’atmosfera e i suoi fenomeni e poi si
spinge più in alto verso l’etere e le rivoluzioni celesti e, fattosi partecipe
alle danze dei pianeti e delle stelle fisse secondo le leggi di una musica
perfetta, seguendo l’amore della sapienza che dirige i suoi passi, dopo aver
dominato dall’alto l’intera realtà sensibile, a questo punto raggiunge
l’intelligibile.
❍ Filone di Alessandria, De somniis, I, 60
Colui che ha compreso a fondo
se medesimo e grandemente ha disperato, vedendo chiaramente la nullità che è
propria di tutte le cose create, colui che dispera di se medesimo conosce Colui
che è.
❍ Filone di Alessandria, De Gigantibus, 8
[Gli
astri] sono delle anime complete prive di mescolanza e divine. Per tale ragione
essi si muovono secondo un moto circolare, il movimento maggiormente simile
all’intelligenza.
Ogni
corpo celeste è intelletto […] puro da ogni mescolanza
❍ Plutarco, De Iside et Osiride, 382
Ma il Dio, in se stesso, è
lontanissimo dalla terra, incontaminato, incorruttibile, puro da ogni materia
che soggiaccia alla distruzione e alla morte.
❍ Plutarco, De E ap. Delph., 392a-393b
Ma allora che è l’essere reale?
L’eterno. Ciò che non nasce. Ciò che non muore. Ciò in cui neppure un attimo di
tempo può introdurre cambiamento.
❍ Plutarco, De Iside et Osiride, 372F
La nascita del mondo è immagine
dell’essere nella materia; il divenire è immagine dell’essere.
❍ Plutarco, De genio Socratis, 391e
La parte immersa e presa nei
movimenti del corpo è detta anima; quanto alla parte incorruttibile, i più la
chiamano intelletto e la credono interiore a se medesimi, come i riflessi sono
in uno specchio; ma coloro che meglio giudicano la chiamano Demone, come quella
che è a loro esteriore.
❍ Il canto delle Mènadi (Euripide,
Baccanti )
Dolce tra i monti correr nel
Tiaso
cinte del sacro vello di daino,
e al suol cadere, corrrendo in
traccia del capro, e ucciderlo, fumante beverne
il sangue, ai monti lidi
lanciandosi,
ai frigi; e Bromio
ci guida, e primo grida: Evoè!
Torneranno mai più a me
le lunghe, lunghe danze
durante la notte finché non
svaniscono le stelle?
Sentirò la rugiada sulla gola e
lo scorrere
del vento nei miei capelli? I
miei piedi scintilleranno
nelle buie distese?
O piedi del cerbiatto fuggito
nel verde bosco
solo nell’erba e nella
bellezza;
balzo del fuggiasco non più
impaurito,
al di là delle trappole e del
premere mortale.
Tuttavia una voce risuona
ancora in distanza.
una voce ed una paura ed una
fretta di cani.
O ferocemente rapidi, o
pazzamente affaticantisi,
in avanti attraverso fiumi e
radure.
E’ gioia o terrore, o piedi
svelti come la tempesta?
Verso le care terre solitarie
indisturbate dall’uomo
non suona alcuna voce e fra
l’ombroso verde
i piccoli esseri del bosco
vivono non visti.
❍ Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 25 (sulla
filosofia pitagorica)
Principio di tutte le cose è la
Monade; dalla Monade nasce la Diade infinita, che sottostà come materia alla
Monade che è causa; dalla Monade e dalla Diade infinita nascono i numeri; dai
numeri i punti; da questi le linee, da cui le figure piane; dalle figure piane
le figure solide; da queste i corpi sensibili, i cui elementi sono quattro:
fuoco, acqua, terra, aria che mutano e si volgono per il tutto, e da questi
risulta il cosmo animato, intelligente, rotondo, che contiene al centro la
terra, anch’essa rotonda ed abitata.
E apprenderai che gli uomini
soffrono per mali che essi stessi si procurano; infelici, essi che, avendo
vicini i beni, non li vedono e non li odono, e pochi sanno come liberarsi dai
mali.
❍ Numenio, Sul
dono (frammento 23)
Tutte le cose che, offerte in
dono, passano in possesso a chi le riceve, allontanandosi dal donatore, sono,
in verità, cose mortali ed umane; le cose divine, invece, sono tali che,
trasmesse in dono quaggiù, rimangono di lassù e non si allontanano di là, e,
rimanendo di lassù, recano vantaggio a chi le riceve senza recar danno a chi le
dona.
Così puoi vedere un lume acceso
da un altro lume, che ha luce, pur senza averla tolta al primo, ma perché s’è
accesa la sua materia avvicinandosi a quel fuoco.
❍ Numenio, Frase
11 (Edizione Leemans)
Bisogna
che l’uomo, dopo essersi allontanato dalle cose sensibili, entri in intima
unione col Bene, da solo a Solo, là dove non c’è alcun uomo, né altro essere
vivente, né alcun corpo, né grande né piccolo, ma c’è una solitudine
meravigliosa, indicibile e indescrivibile, là dove c’è la dimora del Bene, le
sue occupazioni e i suoi splendori, il Bene stesso nella pace e nella
benignità, Lui, il Tranquillo e il Signore, che, benevolo, trascende la stessa
essenza. E, se qualcuno, restando aggrappato alle cose sensibili, immagina che
il Bene voli da lui e vivendo nei piaceri crede di raggiungere il Bene, costui
si sbaglia completamente.
Questo
è il fine felice a cui pervengono coloro che posseggono la conoscenza: il
diventare dio
I
teurgi non rientrano nella moltitudine soggetta alla fatalità
❍ La luce e la vita (Dal Poimandres, Corpus Hermeticum, I, 21)
Ma
perché colui che ha conosciuto se stesso si dirige verso Dio, secondo il
discorso di Dio?
Perché
di luce e di vita è costituito il padre di tutti gli esseri, dal quale nacque
l’uomo.
Luce
e vita, questo è il Dio e padre, dal quale fu generato l’uomo. Se dunque tu
riconosci lui nella sua vera natura, cioè costituito di luce e vita, e
comprendi che tu derivi da tali elementi, tu ritornerai alla vita.
❍ L’intelletto e l’anima (Corpus Hermeticum, X, 24)
Spesso
l’intelletto vola via dall’anima, e in quel momento questa non è più capace né
di vedere né di udire, ma diviene simile a un essere senza ragione: tanta è la
potenza dell’intelletto.
D’altra
parte l’intelletto non può sopportare un’anima torbida, ma l’abbandona al
corpo, che la opprime quaggiù in terra. Una tale anima, figlio mio, non
possiede l’intelletto; quindi non si deve chiamare uomo un tale essere.
❍ Il discorso dell’uomo generato nell’intelletto (Corpus Hermeticum, XIII, 3)
Che
ti posso dire, figlio mio? Non ho da dirti che questo: guardando in me stesso
una visione immateriale, realizzatasi per grazia divina, io sono uscito fuori
da me stesso per entrare in un corpo immortale e adesso non sono più quello di
prima, ma sono stato generato nell’intelletto. Questo non può essere oggetto di
insegnamento, e non è oggetto di quell’elemento materiale mediante il quale noi
possiamo vedere; per questo non mi curo della mia forma composta che possedevo
prima. Io non ho più colore, né tatto, né misura: tutto questo mi è estraneo.
Adesso, figlio mio, tu mi vedi con gli occhi, ma non puoi comprendere che cosa
io sono, guardandomi con gli occhi e con la vista del corpo; non con questi
occhi puoi vedermi ora, figlio mio.
❍ L’intelletto e l’intelligibile (Oracoli Caldaici, fr. 1)
Esiste un certo Intelligibile
che devi concepire col fiore dell’intelletto (νοου
ανϑος); poiché se dirigi verso di lui il tuo
intelletto e cerchi di concepirlo come se concepissi un oggetto determinato, tu
non lo concepirai; poiché egli è la forza di una spada luminosa che brilla di
potere tagliente [lett. “di tagli intellettivi”]. Non bisogna dunque concepire
questo Intelligibile con veemenza, ma grazie alla fiamma sottile di un sottile
intelletto, che misura ogni cosa eccetto questo Intelligibile; e non bisogna
concepirlo con intensità, ma portandovi il puro sguardo dalla tua anima
distolta (dal sensibile), tendere verso l’Intelligibile un intelletto vuoto (di
pensiero), per imparare a conoscere l’Intelligibile, dal momento che sussiste
fuori (delle apprensioni) dell’intelletto (umano).
❍ Lo slancio dell’intelletto verso le sfere superiori (Oracoli Caldaici, fr. 2)
Forte
da capo a piedi di una luce fulgida, armato, intelletto e anima, della spada a
tre punte [altri: di una triplice forza], getta nel tuo spirito ogni simbolo
della triade e non frequentare canali di fuoco disperdendoti, ma
concentrandoti.
❍ La vita degli dèi (Plotino, Enneadi, VI, 9, 11)
Ed
ecco la vita degli Dei e degli uomini divini e beati: separazione dalle
restanti cose di quaggiù, vita cui non aggrada più cosa terrena, fuga da solo a
solo.
❍ La vita di Plotino (Porfirio, Vita di Plotino)
Aveva
uno spirito insonne, puro, sempre proteso verso il divino, al quale aspirava
con tutta la sua anima; non tralasciò nulla per sottrarsi al flusso mordente
della vita che si pasce di sangue in questo cosmo inferiore [quaggiù]. A
quest’uomo demonico, mentre volgeva i suoi passi col pensiero sino al primo e
trascendente Iddio, sulle vie indicate dal Convivio
platonico, apparve quel Dio che non ha figura né forma alcuna ma troneggia al
di sopra dello Spirito e dell’intero mondo intelligibile, il Fine supremo, l’al
di sopra di tutto. Quattro volte egli vi giunse. Io, Porfirio, posso attestare
di essermi accostato a Lui una volta sola; ed ora ho sessantotto anni.
Poiché non erano due, ma uno,
il contemplante e il contemplato, colui che fu tale, se potesse ricordarsi di
quando si unì con Dio, avrebbe in sé l’immagine di Dio stesso.
❍ Plotino, Enneadi, III, IV, 6
Se
la natura dei corpi è non-essere, quale ne è dunque la materia? I monti, le
pietre, tutta la terra solida, tutto ciò che ci fa ostacolo, tutti questi corpi
che resistono ai colpi che gli si vibrano contro – l’essere di tutto ciò, come
si deve chiamarlo? E come (dirà qualcuno) ciò che non fa né ostacolo, né
resistenza, ciò che non è solido e nemmeno visibile – l’anima e l’intelletto –
sono veramente degli esseri, degli esseri reali?
Ma
persino sulla terra immobile i corpi che si muovono meglio sono i meno solidi,
e in ciò vi è qualcosa che scende dall’alto: poiché il Fuoco è qualocsa che
sfugge già alla natura dei corpi. Ritengo dunque che gli esseri che sono più
signori di se stessi fanno meno ostacolo, mentre i più pesanti e terrestri, per
il loro essere difettosi, cadenti, incapaci di muoversi da se stessi,
precipitano naturalmente a causa della loro mancanza di forza; e per il fatto
stesso della loro caduta e della loro incapacità a tenersi, cadono sugli altri;
poiché i corpi morti sono i più atti a cadere, e cadendo schiacciano e
feriscono; mentre quelli che sono animati, partecipando all’essere e finché
l’essere è in essi, non incombono su ciò che è loro vicino. E il movimento
essendo come una specie di vita e dando ai corpi questa imitazione della vita,
esso è di più in quelli che sono meno corporei, perché in quelli vi è un
residuo più grande dell’essere dal quale sono decaduti. E, al contrario, per
ciò che si chiama la "passività", noi sappiamo che tutto ciò che è
più materiale è di tanto più passivo, come per esempio la terra e le cose dello
stesso genere. Le cose meno materiali se voi le dividete, tornano da se stesse
all’unità, se nulla fa loro ostacolo: ma tutto ciò che è solido, se lo
dividete, resta diviso; perché più lontani dalla Natura, i solidi hanno in sé
meno dalla azione di questa, e restano là dove sono stati gettati, dove stanno
come annientati, perché ciò che è più materiale è caduto maggiormente nel
non-essere ed è tanto meno capace a tornare all’unità. E’ dunque il fatto del
loro cadere che rende pesanti e violente le une masse rispetto alle altre: è la
loro incapacità di trattenersi che rende più forte questo urto di due
incapacità – non-essere che cade su non-essere.
Noi
diciamo questo per coloro che vedono nei corpi i soli esseri reali, nella
testimonianza degli urti che ne ricevono; e che fondano la loro credenza nella
verità, sui fantasmi prodotti in noi dai sensi. Essi fanno il paio con la gente
che si fa giuocare dai propri sogni, benché siano svegli quando hanno queste
visioni irreali: poiché queste visioni dell’anima sensoriale sono visioni
dell’anima addormentata. Tutto ciò che dell’anima è nel corpo, dorme; uscir dal
corpo è il risveglio vero: uscir dal corpo è risuscitare.
❍ Plotino, La virtù dell’Uno (Enneadi, VI,9,1, passim)
Tutti
gli enti sono enti in virtù dell’Uno.
Cosa
potrebbe esserci se non fosse l’unità?
Tant’è
pure dei corpi delle piante e degli animali.
La
salute stessa si ha solo allora che il corpo sia coordinato in unità; e si ha
bellezza quando le parti siano tenute insieme dalla virtù dell’uno; finanche la
virtù dell’anima ha luogo allorché le potenze si siano fuse nella unità e
precisamente in una concordia unitaria.
Gli
esseri minori hanno in minor grado l’unità; gli esseri maggiori ne hanno di
più.
L’anima
possiede l’unità in più alto grado; e, nondimeno, essa non è l’Uno.
L’anima
è più vicina all’Uno, finanche in comunione con esso.
Ma
è anche l’anima è molteplice, per quanto non consti di parti, poiché moltissime
potenze esistono in essa – ragionare, aspirare, percepire – le quali sono
tenute insieme, come da un legame, solo in virtù dell’uno.
L’anima
introduce l’unità in altrui; ma anche essa la sperimenta ad opera di un altro.
❍ Plotino, L’ineffabile (Enneadi, V,3,13)
Ond’è
che Egli riesce, tra l’altro, ineffabile, nel senso vero del termine. Perché
qualsiasi parola tu pronunzi, tu avrai pur sempre espresso “una qualche cosa”.
Nondimeno, l’espressione “al di là di tutto” o quest’altra “al di là dello
spirito venerabile al sommo” è l’unica che risponde al vero tra tutte le altre,
poiché essa , in definitiva, non è una denominazione che sia qualcosa di
diverso da quello che è Lui,né poi è una cosa tra tutte le altre coes: ed egli
è innominato appunto perché noi non sappiamo dir nulla sul conto suo, ma noi
tentiamo solo, come ci viene, alla meglio, di dare qualche indicazione intorno
a Lui, solo per nostro uso, tra di noi.
❍ Plotino, Il centro e la luce (Enneadi IV,3,17)
Esiste, sì, qualcosa che
potrebbe dirsi un centro: intorno a questo un cerchio che irraggia lo splendore
emanante da quel centro; intorno a questi (centro e primo cerchio) un secondo
cerchio: luce da luce!
Ma dal di fuori di questi, non vi
è più un nuovo cerchio di luce, ma questo cerchio che seguir., per mancanza di
luce propria, avrà bisogno di un irraggiamento estraneo. Sia questo, allora,
una ruota o meglio un globo tale che dal terzo posto (il secondo cerchio)
s’avvantaggi – poiché gli è immediatamente confinante – di tutta la luce
ch’esso irraggi. Ora, la luce immensa persevera mentre s’irraggia; e il raggio
che da essa emana si spande secondo una certa proporzione; ma le restanti luci
cooperano all’irraggiamento, e in parte stan lì ferme, in parte si fanno
attrarre, per soprappiù, dallo stesso splendore delle cose illuminate.
❍ Plotino, Immagini dell’Uno (Enneadi
V,1,6)
In qual modo, allora, e che
cosa dobbiamo pensare di Lui ch’è immobile? Splendore tutt’intorno diffuso che
emana, sì, da Lui, ma da Lui che se ne sta fermo, come, nel sole, lo splendore
che gli fa quasi un alone d’intorno; splendore che si rigenera, eternamente, da
Lui, ch’è fermo. Del resto, tutti gli esseri, finché durano, dal fondo della
loro essenza emanano, tutt’intorno a loro e al di fuori di loro, necessaria,
una certa qual esistenza, collegata alla presenza della loro virtù operante ed
è come una figura degli archetipi donde germogliò: il fuoco emana il suo
interno calore; e la neve non nel suo interno solamente racchiude il freddo; ma
una magnifica prova di quel che s’è detto la danno tutte le sostanze odorose:
infatti, per tutta la lodo durata, qualcosa vien fuori da loro, tutt’intorno,
sì che dalla loro semplice esistenza il vicino trae godimento.
Inoltre, tutti quanti gli
esseri, giunti ormai a maturità, generano; ma ciò che è sempre perfetto, sempre
e in etrno genera; e genera, s’intende, qualcosa di inferiore al suo essere.
Che cosa dovremo dire, allora, di Colui che è perfettissimo? Nulla può nascere
da Lui se non quanto vi è di più grande dopo di Lui; ma il più grande, dopo di
Lui, si è lo Spirito e gli tien dietro come Secondo; vale a dire che lo Spirito
ha la visione di Lui ed ha bisogno di Lui, unicamente, mentre Egli non ha
affatto bisogno dello Spirito. Ancora: ciò che viene generato da Uno che supera
lo Spirito, dev’essere Spirito e lo Spirito alla sua volta supera tutte le cose
poiché le altre cose vengono dopo di Lui. Così, ancora, l’Anima è il Pensiero dello
Spirito ed è, in certo senso, la sua attività, proprio come lo Spirito è
pensiero ed attività che si riferisce all’Uno.
❍ Plotino, La sorgente
inesauribile e l’albero (Enneadi
III,8,10)
Che è, propriamente [l’Uno]?
Potenza di tutti gli esseri; se questa non esistesse, non esisterebbero né la
totalità degli esseri e neppure lo Spirito – vita prima e totale. Ma ciò che è
al di sopra della vita è causa di vita: poiché non è già l’attività della vita
– cioè la totalità degli esseri – che è prima; no, ma essa è proprio come se
sgorgasse da una sorgente. Pensa, cioè, ad una sorgente che non abbia altro
principio che se stessa, la quale però dia di se stessa a tutti quanti i fiumi,
senza lasciarsi esaurire mai da questi fiumi, ma perseveri in sé,
tranquillamente; pensa invece ai fiumi nati da essa, i quali, prima che
scorrano qua e là distinti, se ne stanno insieme ancora un tratto; ma ognuno
già sa, per così dire, dove verserà le sue correnti. Ovvero, pensa a un albero
gigantesco: la sua vita lo pervade tutto, mentre il suo principio resta
immobile e non s’è disperso nel tutto ma s’è invece saldamente fondato, per
così esprimerci, nella radice. Questo principio, quindi, fornisce all’albero la
vita tutta quanta nella sua
molteplicità; esso invece resta immobile in sé, perché non è già
molteplice ma solo principio di molteplice vita.
❍ Plotino, Il centro e il cerchio,
(Enneadi IV,4,16)
Così i singoli gradi
dell’essere si comportano come segue: se si fa del Bene il centro, si deve
porre lo Spirito come un cerchio immoto e l’Anima, invece, come un cerchio
mobile; mobile, intendo, in forza dell’aspirazione. Poiché lo Spirito l’ha
proprio lì dinanzi il Bene e lo tiene abbracciato; l’Anima, per contro, aspira a ciò che è al di là. E la sfera
dell’universo, la quale reca in sé l’anima con quella sua aspirazione al
superno, si muove come detta la sua brama nativa; ma l’universo in quanto è corpo
aspira, naturalmente, a ciò dond’esso è fuori, a stendersi tutt’intorno, cioè a
cingersi di se stesso: e, insomma, circolarmente.
Tu
sei morto. Sei meno del fumo che si è staccato dal fuoco che ti ha consumato.
Sei quasi il nulla. Rasségnati. E per te sono un nulla le cose del mondo, il
mattino, la sera, i paesi.
Fosti
cacciatore e figlio di cacciatori. Non uscisti mai dalle tue selve. Non
conoscesti che qualche compagno, le belve e tua madre. Tu credi che l’uomo,
qualunque uomo, abbia conosciuto altro?
Hai
avuto fortuna. I tuoi figli non nasceranno. Il tuo letto è deserto. I tuoi
compagni vanno a caccia come quando non c’eri. Tu sei un’ombra e il nulla.
❍ Parole di Prometeo incatenato ad
Eracle (Pavese, Dialoghi con Leucò )
C’è una sapienza più antica. Il
mondo è vecchio più di questa rupe a cui sono incatenato. Gli dèi sono giovani
quasi quanto gli uomini.
Un tempo ero un titano e vissi
in un mondo senza dèi. E’ il mondo dei mostri e del caos. E’ il mondo delle
belve e dei boschi. Del mare e del cielo. Di lotta e di sangue. Non c’è cosa
che valga, nel mondo presente o futuro, che non fosse titanica.
La morte è entrata in questo
mondo con gli dèi. Voi mortali temete la morte perché, in quanto dèi, li sapete
immortali. Ma ciascuno ha la morte che si merita. Finiranno anche loro. Tutto
non si può dire. Ma ricordati sempre che i mostri non muoiono. Quello che muore
è la paura che t’incutono. Così è degli dèi. Quando i mortali non ne avranno
più paura, gli dèi spariranno. Non torneranno i titani. Non torneranno i sassi
e le selve. Ci sono. Quel che è stato sarà.
E il mondo ha stagioni come i
campi e la terra. Ritorna l’inverno, ritorna l’estate. Chi può dire che la
selva perisca? O che duri la stessa? Voi sarete titani, fra poco. Voi mortali –
o immortali, non conta.
❍ Le
parole di Orfeo (Pavese, Dialoghi con
Leucò )
Salivamo
il sentiero tra il bosco delle ombre. Erano già lontani Cocito, lo Stige, la
barca, i lamenti. S’intravvedeva sulle foglie il barlume del cielo. Mi sentivo
alle spalle il fruscìo del suo passo. Ma io ero ancora laggiù e avevo addosso
quel freddo. Pensavo che un giorno avrei dovuto tornarci, che ciò ch’è stato
sarà. Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si
portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora?
Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora dissi “Sia finita” e mi
voltai. Euridice scomparve come si spegne una candela. Sentii soltanto un
cigolìo, come un topo che si salva.
Non
si ama chi è morto.
Quando
mi giunse il primo barlume del cielo, trasalii come un ragazzo, felice e
incredulo. Trasalii per me solo. Per il mondo dei vivi. L’Euridice che avevo
pianto era una stagione della mia vita. La stagione che avevo cercato era là in
quel barlume. E mi voltai.
❍ Il sacrificio della vita dello straniero alla terra
frigia (Pavese, Dialoghi con Leucò )
Ecco
il campo che dovrai mietere prima di venire ucciso in sacrificio. Quest’anno il
Meandro vedrà un grano fitto e spesso più di questo. Tu darai vigore a questa
terra. Questo si è sempre fatto. Se non nutri la terra, come puoi chiederle che
nutra te? Prima del raccolto, uccidemmo un vecchio servo e un caprone. Fu un
sangue molle che la terra sentì appena. Vedi la spiga, com’è vana. Il corpo che
noi laceriamo deve prima sudare, schiumare nel sole. Per questo ti faremo
mietere e soltanto alla fine, quando il tuo sangue ferverà vivo e schietto,
sarà il momento di aprirti la gola. Tu sei giovane e forte.
Non
vi sono dèi. C’è soltanto la terra, la Madre, la Grotta, che attende sempre e
si riscuote soltanto sotto il fiotto di sangue. Questa sera, straniero, sarai
tu stesso nella grotta. Noi ne usciamo nascendo. Il sangue che la Madre ci ha
dato glie lo rendiamo in sudore, in escremento, in morte. Ospite, non sperare
di sfuggire tra i solchi come una quaglia o uno scoiattolo. L’usanza vuole che
si laceri la vittima ancor semiviva, e i brani siano sparsi nei campi a toccare
la madre. Conserviamo la testa sanguinosa avvolgendola in spighe e fiori, e tra
canti e allegrie la gettiamo nel Meandro. Perché la Madre non è terra soltanto
ma anche nuvola e acqua. Dappertutto, straniero, si uccide sotto il sole. Il
nostro grano non germoglia che da zolle toccate. La terra è viva, e deve essere
nutrita.
❍ Platone: Il sogno di Socrate
Si narra che Socrate abbia
sognato di avere sulle ginocchia un piccolo cigno, che subito mise ali e volò
via e cantò dolcemente e che il giorno dopo, presentatosi a lui Platone come
alunno, abbia detto che il piccolo cigno era appunto lui
(Diogene Laerzio, III, 5)
❍ Platone: I misteri non
comunicabili a parole
Questo, però, posso dire su
tutti quelli che hanno scritto o che scriveranno: tutti coloro che affermano di
sapere quelle cose di cui mi do pensiero, sia per averle udite da me, sia per
averle udite da altri, sia per averle scoperte da soli: ebbene, non è
possibile, a mio parere, che costoro abbiano capito alcunché di questo oggetto.
Su queste cose non c’è un mio scritto né ci sarà mai.
La conoscenza di queste cose
non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma dopo molte discussioni
fatte su queste cose, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce
che si accende da una scintilla che si sprigiona, essa nasce nell’anima e da se
stessa si alimenta.
(Lettera VII, 341 c-e)
❍ Platone: La “seconda navigazione”
In questo celeberrimo passo del
Fedone, Platone delinea il suo
itinerario di ricerca circa il “perché le cose si generano, perché si
corrompono, perché sono”. Partendo dal rigetto della tesi che riduce tutto ad
un cieco gioco di cause fisiche, critica parimenti Anassagora perché, pur
avendo introdotto il concetto di Intelligenza ordinatrice, non ne ha collegato
l’azione al bene e al meglio, ma piuttosto – ancora una volta – al gioco delle
cause fisiche.
Per illustrare il metodo che
gli ha consentito di arrivare alla verità Platone utilizza la metafora della seconda navigazione, desunta dal linguaggio marinaresco, come ci
informa Eustozio: “si chiama seconda
navigazione quella che uno intraprende quando, rimasto senza venti, naviga
con i remi”.
Le vele al vento dei Fisici
erano i sensi e le sensazioni, i remi della “seconda navigazione” sono i
ragionamenti e i postulati.
Questo [il collegare
l’Intelligenza con gli elementi fisici e non con il meglio] vuol dire non
essere capace di distinguere che altra è la vera causa e altro è ciò senza il
quale la causa non potrebbe mai essere causa. E mi sembra che i più, andando a
tastoni come nelle tenebre, usando un nome che non gli conviene, chiamino in
questo modo il mezzo, come se fosse la causa stessa. Ed è quello il motivo per
cui qualcuno, ponendo intorno alla terra un vortice, suppone che la terra resti
ferma per effetto del movimento del cielo, mentre altri le pone di sotto l’aria
come sostegno, come se la terr fosse una madia piatta. Ma quella forza per la
quale terra, aria e cielo ora hanno la migliore posizione che potessero avere,
questo né cercano, né credono che abbia una potenza divina, ma credono di aver
trovato un Atlante più potente, più immortale e più capace di tenere
l’universo, e non credono affatto che il bene e il conveniente siano ciò che
veramente lega e tiene insieme. Io mi sarei fatto col più grande piacere
discepolo di chiunque, per poter apprendere quale sia questa causa; ma, poiché
rimasi privo di essa e non mi fu possibile scoprirla da me né apprenderla da
altri; ebbene, vuoi che ti esponga, o Cebete, la seconda navigazione che
intrapresi per andare alla ricerca di questa causa?
– Altro che, se voglio, rispose.
(Fedone, 99 b-d)