100 COSE DA SAPERE SU NUTRIZIONE, SALUTE, IGIENE E BELLEZZA

 

 

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INDICE

 

  Una sintesi dei migliori articoli di questo file, con una nuovissima parte sul metabolismo del calcio e delle ossa e altri importanti articoli aggiunti

  Quali sono le cose importanti da sapere sulle ossa e la loro salute? Come posso prevenire l'osteoporosi? Cosa devo mangiare per rafforzare lo scheletro?

  I consigli di Franco Berrino (medico, epidemiologo, patologo, direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano) per prevenire l'osteoporosi.

  La vitamina D e il metabolismo del calcio. Quanto sole dobbiamo prendere?

  Le fonti migliori di vitamina K2 per le vostre ossa tra gli alimenti

  Ho la scoliosi: devo andare in palestra a fare ginnastica correttiva e continuare a frequentarla per tutta la vita?

  Come posso mantenermi in forma e rinforzare la mia schiena con 20 minuti al giorno di ginnastica con i piccoli pesi?

  Allarmi e allarmismi: una lista aggiornata

  Controinformazione: bufale che ci propinano riviste, industrie farmaceutiche e operatori sanitari

  Una maratona vegana di soli 20 giorni integrata con capsule di omega-3 per vedere se per voi il China Study funziona: i risultati potrebbero sbalordirvi, e darvi la spinta (senza esagerare né abbracciare il veganesimo) a fare qualche correzione alla vostra dieta abituale.

  Fibrillazione atriale e ictus ischemico. Nella sola Unione Europea si verificano più di un milione di casi di ictus ogni anno, e l'ictus è la seconda causa di morte a livello mondiale. E la fibrillazione atriale è una delle cause meno note di ictus.

  E' provato: l'alcol nell'adolescenza distrugge il cervello

  Quali consigli dà il libro La grande via di Franco Berrino e Luigi Fontana?

  Alcune critiche e precisazioni di learningsources al libro La grande via di Franco Berrino e Luigi Fontana

  Quali consigli dà il libro La dieta della longevità di Valerio Longo?

  La dieta paleolitica e le malattie da civilizzazione spiegate dal famoso biologo Jared Diamond

  Lo sport allunga la vita?

  Marco Lanzetta, La dieta anti-artrosi

  Una super-dieta mediterranea (la dieta dell’isola di Creta): la Omega-Diet della dott.ssa Artemis Simopoulos

  Perché mangiamo i grassi sbagliati

  Le 6 tappe fatali nella genesi di un attacco cardiaco e come possiamo fare per evitarle

  Cibo per il pensiero: la sorprendente connessione tra grasso nella dieta, intelligenza, disordini mentali e umore.

  Le malattie autoimmuni e infiammatorie croniche e il ruolo preventivo e curativo degli antiossidanti e degli acidi grassi

  Stampante wireless per la vostra salute

  La temperatura notturna della stanza da letto

  Umidificatore ad ultrasuoni? Leggi prima qui

  Una valida alternativa all’acqua in bottiglia dei supermercati

  Alcol da pasticceria e ammoniaca: due detergenti straordinari, non tossici e poco usati

  Trucchi di magia: cuocere il riso integrale dedicando 180 secondi alla preparazione, poi andare a guardare la televisione in attesa di scodellarlo.

  Mantenete le stanze di malati, anziani o neonati a temperatura controllata utilizzando il termosifoncino elettrico e un gadget poco noto.

  Tapis roulant e palestra domestica

  Una piazza e mezza per un sonno più confortevole

  Un condizionatore d’aria per l’estate? Alla larga da quelli portatili, scegliete quelli split

  Kitchen Safe e i suoi fratelli: qualcosa che potrebbe interessarvi per tenere sotto controllo le vostre abitudini sbagliate

  Integratori alimentari: perché vi conviene assumere giornalmente e far assumere ai vostri bambini un integratore di vitamine e minerali e lasciar perdere chi vi dice che è inutile e persino dannoso.

  Cos'è la "restrizione calorica"? E' vero che recenti studi scientifici mostrano che può allungare la vita fino a 120 anni?

  Traduzione della voce “calorie restriction” da Wikipedia

  Leggere eccessivamente, come Giacomo Leopardi, rovina la vista? Cosa devo fare per preservare la vista?

  Qual è l'illuminazione ottimale per leggere? Leggere con la luce bassa fa male agli occhi?

  Qual è il miglior sistema di illuminazione per la casa e lo studio disponibile sul mercato?

  Gli occhi mi si arrossano per la lettura. Quali accorgimenti posso usare e quale medicinale utilizzare?

  E' preferibile acquistare il farmaco generico, oppure quello originale?

  Consumare soia? In che forma? In che quantità? Alcune cose che dovete sapere prima di prendere la vostra decisione.

  Il problema dei fattori antinutrizionali nei vegetali, in particolare il problema dei fitati. Occorre rinunciare ai cereali integrali e alla soia?

  Leggiamo su libri e riviste che ogni giorno assumiamo con frutta e verdura una micidiale quantità di pesticidi (prodotti contro parassiti ed insetti). Quali rischi corro? Devo passare ai prodotti biologici?

  Mangiare cibi "bio" è meglio? Dovrei passare al biologico?

  Gli alimenti biologici nutrono di più?

  Abbronzarsi è consigliabile? Cosa devo fare per mantenere la pelle del volto e delle mani senza le macchie dell'età?

  Dove trovo i grassi omega-3 che fanno bene per la salute?

  Come devo fare la spesa per risparmiare?

  Perché mi converrebbe acquistare farmaci via internet in Inghilterra?

  Come procurarsi vitamina C di qualità ad un costo cinque volte inferiore a quello della farmacia

  Un'aspirina al giorno toglie il cardiologo di torno ... e riduce della metà il rischio di tumori ereditari.

  Dopo i 50 anni è opportuno assumere una aspirina al giorno per migliorare la circolazione e prevenire infarto e ictus?

  Quali sono i rischi e le controindicazioni della assunzione regolare di una aspirina cardio da 75 mg al giorno?

  L'aspirina cardio è acquistabile solo su ricetta medica. Dove posso trovare una aspirina in compresse gastroresistenti, acquistabile liberamente?

  Di quanto andrebbe limitato il consumo di sale? Il sale fa male solo agli ipertesi o ha altre controindicazioni?

  Di quante proteine giornaliere abbiamo bisogno?

  E' meglio il Parmigiano o il Grana Padano?

  Cosa dice in sintesi il famoso China Study di cui ho sentito tanto parlare e discutere? Dove posso trovare online il testo italiano?

  Qual è la marca di the verde deteinato col metodo più naturale e meno nocivo per la salute?

  Le abitudini alimentari raccomandate dal New York Times per arrivare a 100 anni

  Se l’indice di massa corporea (IMC) della vostra obesità supera il valore di 30 potreste non riuscire più a perdere peso.

  Abbandonate la dieta a base di carne e sostituitela con una a base di pesce

  Quale pesce comprano per la propria famiglia i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione? Lasciate stare il pescespada e passate al pesce azzurro: un vero tesoro nutritivo ad un prezzo incredibilmente basso.

  Quali caratteristiche dovete cercare sull’etichetta di un olio di oliva allo scopo di effettuare il migliore acquisto?

  Uova arricchite con omega-3: fanno bene?

  Le virtù delle uova

  Quante uova posso mangiare a settimana? Troppe uova fanno male? E' vero che contengono colesterolo? C'è pericolo di salmonelle nelle uova?

  Cos'è la "frittata proteica" di uova, di cui parlano alcuni libri di dietologia? E' più sana?

  Quali sono le malattie a trasmissione sessuale meno note e più sottovalutate?

  Tè verde o tè nero?

  Partite per una vacanza in un paese tropicale? Ecco alcuni avvertimenti ed elementari regole di igiene.

  Raccomandazioni per l'igiene di tutti i giorni allo scopo di evitare il contagio da germi.

  Esiste un farmaco che mi consente di "smaltire" le calorie dovute ad una occasionale eccessiva ingestione di grassi?

  Qual è il miglior preparato per prevenire la caduta dei capelli?

  Cosa fa realmente la caffeina al nostro cervello?

  Perché è sconsigliabilissimo acquistare occhiali da sole di bassa qualità o, peggio ancora, da un venditore abusivo?

  Zucchero  e cervello.

  E se il nostro micio ospitasse un parassita che ci induce al suicidio?

  Ho l'herpes labiale. C'è un medicinale per farlo andar via?

  Alla larga dagli antiacidi pericolosi: usiamo il rimedio della nonna.

  Iperico contro la depressione? Ma stiamo attenti agli occhi.

  Un medicinale da portare sempre con sé, che vi salva la vita nel 60% dei casi di attacco cardiaco.

  Sgranocchiate le arachidi intere ma state alla larga dal burro di arachidi di qualità scadente: l’aflatossina è in agguato, e può contaminare anche mais, granaglie, soia, caffè, latte, e altri semi oleosi il cui processo di coltura, raccolta, stoccaggio e conservazione non sono stati effettuati correttamente.

  Il caffè fa male al cuore? Quali sono i danni del caffè?

  Devo mangiare uova da allevamenti a terra?

  Esiste un semplice elenco di consigli per dimagrire e rimanere magri?

  Esiste un buon blog di dietologia su internet che potrei guardare ?

  Cos'è che può danneggiare seriamente i denti, oltre gli zuccheri?

  Devo stare attento a non acquistare cibi provenienti da organismi geneticamente modificati?

  Esiste un elenco di cibi per i quali c'è un rischio maggiore di inquinamento?

  Oggi va di moda fare il "runner", persone che corrono da dieci a venti chilometri al giorno e dicono di stare benissimo. Fare molta attività fisica è consigliabile?

  Quanta attività fisica devo fare giornalmente per rimanere in buona salute?

  Qual è il miglior insaccato?

  Quali sono le migliori fonti di fibre?

  Cos'è la terapia delle "megativamine", proposta dal premio Nobel Linus Pauling?

  Cosa fare in caso di influenza? Come posso evitare di ammalarmi troppo spesso di malattie da raffreddamento? La vitamina C è efficace contro il raffreddore e l'influenza?

  Dove posso trovare tabelle che mi informino sul valore degli alimenti e sul loro contenuto calorico e vitaminico?

  La psicoterapia serve?

  Cosa sono gli "zuccheri semplici" e perché dovrei evitarli?

  Qual è la nutrizione migliore per il cervello?

  I 10 effetti negativi della pornografia sulla vostra psiche, il vostro matrimonio e la vostra vita sessuale

  I 18 effetti negativi del sesso fine a se stesso sulla vostra psiche, la vostra salute e la vostra vita di relazione.

  Quali sono le principali e più gravi malattie a trasmissione sessuale? Cosa posso fare per evitarle? Quali sono le vaccinazioni e gli accorgimenti più importanti?

  Fate trekking nei boschi? Attenti alle zecche e al temibile morbo di Lyme

  Non fissate troppo a lungo e troppo da vicino le telecamere di sorveglianza e i rivelatori dei sistemi di allarme.

  Perché l’allattamento al seno è assolutamente preferibile al latte artificiale.

  Mangiate carote ma vi state accorgendo di non trarne alcun beneficio? Ecco i due errori che vi impediscono di trarne vantaggio

  Mangiate tantissime arance? Fate attenzione, se siete predisposti ai calcoli renali.

  Assumete capsule di omega-3? Avete controllato se il prodotto è stato sottoposto a microfiltrazione?

  Quali sono i pericoli del pesce crudo o poco cotto?

  Cosa potrei fare per prevenire le emorroidi e le ernie addominali di cui soffre mio padre?

  In caso di urgenza, qual è la miglior sostanza spermicida e antivirale facilmente reperibile per un immediato utilizzo?

  Cosa sono i  grassi idrogenati? Perché devo evitarli a tutti i costi?

  Bere un succo di frutta è la cosa più stupida che possiate fare

  Tre noci al giorno: una abitudine straordinariamente salutare

  Mangiare poco o niente la mattina e mangiare solo qualche frutto o yoghurt fino al pasto serale danneggia il corpo? Un mito da sfatare. Parola di Umberto Veronesi.

  Abbandonate il dannosissimo cioccolato al latte e passate al cioccolato fondente o, meglio ancora, al cacao magro in polvere e ai semi di cacao ricchi di sorprendenti qualità antiossidanti e cardioprotettive.

  I benefici dei cereali integrali secondo Umberto Veronesi

  Gli straordinari benefici delle crucifere

  Se non vuoi diventate diabetico, ragiona come un diabetico.

  Quali controlli medici, poco consigliati, dovrei far fare ai miei figli?

  Quali sono i fattori di rischio cardiovascolare da tenere sotto controllo, e con quali misure?

  Cosa devo fare per prevenire il cancro?

  Qual è la frutta più vitaminica, e quella meno vitaminica?

  Digiunare, per dimagrire o per filosofia di vita, un giorno a settimana, è dannoso per la salute?

  Il digiuno fa bene: un articolo del ricercatore italiano Giuseppe Remuzzi

  Cos'è la "dieta del digiuno" proposta da Umberto Veronesi?

  Sintesi del libro La dieta del digiuno, di Umberto Veronesi

  Bacche e semi che sono considerati “superalimenti”

  Una cena urban style al ristorante

  Succo di pomodoro da bere: un alimento ottimo, ma quasi sconosciuto in italia

  Curcuma e curcumina fanno bene alla salute e al cervello

  Un'insalata con crescione selvatico? No, grazie!

  I benefici di aglio e cipolla

  Quale shampoo dolce per uso giornaliero potrei usare?

  Lana, pile, piumino: quale dei tre tiene più caldo?

  Da cosa è provocata la carie?

  Come dovrei fare l'igiene orale?

  Ci sono dentifrici e colluttori migliori di altri?

  Quali sono i benefici della vitamina C?

  Ci sono sostanze utili da assumere per tutelare la salute mentale?

  Devo evitare del tutto gli psicofarmaci? Devo curare la mia depressione con psicoterapia anziché con psicofarmaci? Quali sono i principali danni provocati dagli psicofarmaci? Esistono sostanze dannose per la salute mentale?

  La vista: un grande dono da preservare

  L'udito: un altro grande dono da preservare

  L'  epatite

  I calcoli: come evitarli

  I coaguli sanguigni possono danneggiare seriamente il vostro cervello

  I radicali liberi sono pericolosi per la salute? Come si formano?

  Il sesso intenso e regolare fa bene alla salute?

  Come ottenere un the deteinato “fatto in casa”?

  Quante volte al giorno fate la doccia col guanto di crine? Alcune cose che dovreste sapere.

  Il test per la fenilchetonuria: un esame indispensabile che può evitare che il cervello del neonato venga danneggiato irreparabilmente in pochissimo tempo da questo temibile difetto genetico nascosto.

  Come determinare se siete obesi o normopeso e i danni dell’obesità.

  Alcuni motivi per cui è irresponsabile imporre ai propri figli un’alimentazione vegana sin dalla nascita ed occorre invece attendere la fine dell’adolescenza

  Si possono aumentare le riserve di vitamina D dell’organismo anche con l’esposizione alle lampade UV dei solarium?

  Avete acquistato olio di germe di grano per le sue “straordinarie qualita”? Utilizzate olio di girasole anziché olio di oliva perché fa bene al cuore? Avete acquistato la famosa margarina di olio di girasole al posto del burro? Ecco qualcosa che dovreste sapere sulla ossidazione degli olii.

  Usate olio di oliva e non olio di semi per friggere il pesce

  Varietà e consumo equilibrato e moderato dei diversi alimenti: un principio fondamentale della dieta

  Quali sono i pericoli di una eccessiva acidità dei tessuti? Hanno ragione i fautori della "dieta alcalina"?

  Disinfettanti per le mani da usare e disinfettanti per le mani da evitare.

  Quali sono gli alimenti particolarmente sconsigliati da Umberto Veronesi, l'autore de La dieta del digiuno?

  Cosa devo pensare delle affermazioni che la carne di maiali magri (i cosiddetti "magroni") è perfettamente comparabile con quella bovina?

  Il glutine: un nemico per la nostra salute?

  Il dibattito sull'olio di pesce: medicina per il cervello o costoso placebo?

  Un nuovo e insospettabile alleato del nostro cervello: la gomma da masticare.

  Un trucco per ingannare il cervello e perdere peso.

  Grassi finti, rotoli di «ciccia» veri.

  Non riesci a dimagrire? Forse è tutta colpa del cervello.

  Perché al cervello non piacciono le bibite light

  Niente paura, la carne non fa male al cervello.

  I reali effetti dell' alcool sul cervello.

  Inconsapevolmente distratti per colpa dell' alcool.

  Ma in un uovo del fast food cosa c'è?

  Due Tylenol, e 1'angoscia esistenziale è solo un brutto ricordo.

  Una festa in casa per pochi intimi: voi e 37 milioni di carissimi amici.

  E se i farmaci ci fornissero una scusa per continuare a mangiare troppo e male?

  Attenti all'effetto placebo: truffe in agguato sullo scaffale della farmacia.

  Credete nell'uguaglianza? Allora non sapete resistere alla cioccolata.

  Un consiglio: non comprate le riviste di moda.

  Rilassati e spendaccioni

  Ho da sempre difficoltà digestive: posso fare qualcosa?

  Cos'è la celiachia? Perché, se ho difficoltà digestive persistenti dovrei fare un esame per l'intolleranza al glutine?

  Ci sono sostanze anti-invecchiamento?

  Un moderato consumo di vino è consigliabile?

  Come è possibile evitare o ritardare l'invecchiamento del cervello? Cos'è il paradosso del "pupazzo nel cervello"?

  Quali sono le malattie da temere di più nella vecchiaia?

  Perché tutti fanno la dieta Dukan? In cosa consiste?

  Quali sono i latticini che dovrei mangiare? Devo continuare ad assumere il latte anche da adulto?

  Ci sono alimenti di pessima qualità che devo evitare?

  Mangiare il fegato fa bene?

  Mangiare le alghe fa bene?

  Cosa devo fare se soffro di insonnia? Devo prendere sonniferi?

  Devo abbandonare la carne e diventare vegetariano? Cosa devo pensare dello stile vegano?

  La soia è un alimento che può sostituire la carne e il pesce? Il latte di soia può sostituire il latte vaccino per i bambini?

  Quali sono le migliori fonti di ferro? Esistono danni da eccessivo consumo di ferro?

  Quali sono i prodotti migliori contro le mialgie, i mal di testa, i mal di gola e simili?

  Esistono medicinali di uso comune che provocano effetti collaterali dannosi importanti?

  E' possibile migliorare la mia intelligenza e la mia memoria? Esistono delle tecniche apposite? Esistono delle sostanze che potenziano memoria e attenzione?

  Cosa devo fare per evitare osteoporosi e malattie legate alla decalcificazione?

  Nei panini, nei biscotti, nei crackers, e in altri alimenti ci sono grassi industriali nocivi? Li posso individuare leggendo le etichette nutrizionali?

  Non usate il talco

  Senilità e alzheimer

  Invecchiamento e sistema immunitario

  Il colesterolo e altri grassi dannosi

  Due persone su dieci, dopo i sessant'anni, divengono gravemente invalide per una emorragia cerebrale (ictus). Cosa posso fare per prevenirlo?

  Gli aromi naturali sono più sani degli aromi artificiali?

  Zucchero, melassa, miele. lo zucchero di canna è migliore dello zucchero raffinato?

 

 

 

 

 

 

 

 

Una sintesi dei più importanti articoli di questo file, con una nuovissima parte sul metabolismo del calcio e delle ossa e altri importanti articoli aggiunti

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Quali sono le cose importanti da sapere sulle ossa e la loro salute? Come posso prevenire l'osteoporosi? Cosa devo mangiare per rafforzare lo scheletro?

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Consulta il documento Tutto ciò che c'è da sapere sul calcio e le vostre ossa, in questo sito www.learninsourges.altervista.org

Contiene tutto ciò che c'è da sapere sulle ossa e la loro salute, spiegato con chiarezza e completezza da Robert Heaney, uno dei maggiori esperti mondiali in materia.

 

 

I consigli di Franco Berrino (medico, epidemiologo, patologo, direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano) per prevenire l'osteoporosi.

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Ecco una serie di consigli tratti dal recente (2015) libro di Franco Berrino, Il cibo dell'uomo, edito per i tipi della Franco Angeli.

Nel leggere i suoi consigli dovete tenere presente che le sue posizioni sono strettamente vegetariane, e allineate con quelle del China Study: anche se alcuni di noi potrebbero dissentire circa le sue affermazioni sui latticini e sulle fonti alimentari di calcio, la maggior parte dei consigli è tuttavia di sicuro interesse.

 

 

L'osso è vivo, non è una massa inerte di fosfato di calcio, si distrugge e si ricostruisce continuamente, al ritmo di 2-5% per anno. Apparentemente semplici e banali, le nostre ossa hanno una struttura architettonica microscopica meravigliosamente complessa che ne farantisce solidità e leggerezza e anche flessibilità. L'architettura delle ossa si costruisce in risposta agli stimoli meccanici a cui le sottoponiamo. Le ossa degli arti inferiori sono irrobustite soprattutto dalla forza di gravità (il nostro peso), quelle degli arti superiori dal lavoro muscolare, le vertebre dai carichi che portiamo sulle spalle. La causa principale dell'osteoporosi è la vita sedentaria, conla debolezza muscolare che ne consegue. Per ogni mese che passiamo immobilizzati a letto perdiamo il 2% di massa ossea, come gli astronauti che vivono senza gravità.

L'attività delle cellule dell'osso, osteoclasti distruttori e osteoblsti costrutotri, è regolata da numerosi ormoni (ormoni sessuali, ormone della crscita, serotonina, calcitriolo, derivato dalla vitamina D, che aumenta l'assorbimento intetsinale del calcio e la sua deposizione nell'osso; paratormone, ipercalcemizzante, che diminuisce l'escrezione urinaria del calcio, aumenta il riassorbimento osseo e la sintesi di calcitriolo; calcitonina, prodotta dalla toroide, ipocalcemizzante e osteocostruttiva) e da varie sostanze che agiscono sulla differenziazione di osteoblasti e ostoclasti, molto studiate dall'industria interessta a produrre nuovi farmaci. Gli osteoblasti secernono le proteine che costituiscono la matrice dell'osso, che viene poi mineralizzata, e inibiscono l'attività degli osteoclasti attraverso la osteoprotegerina, una proteina la cui sintesi è stimolata dagli estrogeni. Gli ostroclasti degradano la matrice produendo una proteina distruttrice, la catepsina. Vair alimenti influenzano questi processi. A parte gli alimenti ricchi di calcio e di vitamina D, chi consuma quotidianamente cipolle aumenta significativamente la densita minerale delle sue ossa, cibi ricchi di vitamina K, come le verdure verdi e le alghe (vitamina K1) e i prodotti di soia fermentati (vitamina K2) sono associati a minor rischio di fratture, il silicio, di cui sono ricchi i cereali integrali e i fagioli, migliora la matrice dell'osso e ne facilita la mineralizzazoine. Una delle cause più importanti di osteoporosi pare essere l'eccesso di proteine nella dieta. L'osso cede sali di calcio in risposta alla produzione endogena di acidi conseguente al metabolismo delle proteine. Naturalmente il problema non sono le proteine di per sé ma il loro eccesso nella nostra alimentazione quotidiana. Nella coorte EPIC l'incidenza delle fratture del femore aumenta linearmente con il consumo di carne (verosimilmente per l'effetto acidificante delle proteine animali) e diminuisce linearmente con il consumo di verdure (verosimilmente per l'effetto  basificante delle verdure e la ricchezza di calcio di alcune verdure e di vitamina k delle verdure verdi) e non è influenzata né dal consumo di latte né dal consumo di formaggio, alimenti molti ricchi di calcio ma anche di proteine animali. Nella coorte di Framingham l'incidenza della frattura del femore era significativamente inferiorein chi aveva un consujmo elevato di vitamina C, che deriva da frutta e verdura. A livello mondiale l'incidenza di fratture ossee nei vari paesi è fortemente correlata al consumo di proteine animali stimato dalla FAO (r = +0,82) e inversamente correlata al rapporto tra proteine vegetali e animali (r=-0,84).

Le cellule ossee partecipano attivamente al controllo del metabolismo e all'omeostasi, non solo del calcio. L'osteocalcina prodotta dagli osteoblasti aumenta la sensibilità insulinica, la produzione di insulina da parte del pancreas e di adiponectina da parte delle cellule adipose. Il controllo della concentrazione del calcio nel snague è essenziale per il buon funzionamento del cuore e dei muscoli.

L'osteoporosi, la cui prevalenza aumenta drammaticamente ocnl'invecchiamento della popolazone, è un caso esemplare che illustra la deriva dell'industria farmaceutica, sempre più guidata dal profitto e dalla prospettiva di un mercato inesauribile. La nozione stessa di osteopenia (di preosteoporosi), ricalcata su quella di preipertensione, di prediabete, di preobesità, serve a ingigantire il mercato.L'importante è dare l'impressione che i tratamenti farmacologici, sempre più cari, siano più efficaci degli interventi naturali di attività fisica, esposizoine al sole e dieta che da un alto non faccia perdere calcio dalle ossa e dall'altro fornisca una dose sufficiente di calcio e di altre sostanze protettiva.

Il mercato della densitometria ossea è in continua crescita; molt donne in età menopausale si sottopongono a uesto esame ogni anno. È uno strano esame, ben poco affidabile, che si rapporta ad un valore di riferimento molto dubbio, la densità ossea media di donne o uomini giovani, ma la densità ossea dei giovani è diversa in diverse popolazioni, in diverse etnie, e varia molto con la'ttività fisica. Gli specialisti si sono accordati a definire osteoporosi quando la densità  ossea è inferiore di almeno 2,5 errori standard rispetto alla media giovanile (ma già tattano pe carenze inferiori) e osteopenia qunado il valori stanno fra -1 e -2,4. L'altro limite della densitometria è che un osso denso non è di per sé sinonimo di osso robusto. ALcuni trattamenti per l'osteoporosi possono rendere l'osso più denso alla MOC ma in realtà più fragile, ad esempio il fluoro (ora abbandonato) e si sospetta anche lo stronzio (tuttora molto spinto dalla pubblicità, ma probabilmente meno efficace e con più rischi della terapia standard con bifosfonati, anch'essi tuttavia non scevri da rischi). La densitometria non ci dice niente sull'altro importante aspetto dell'osteoporosi, la disorganizzazione della microarchitettura dell'osso. Tant'è che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha proposto un uestiojnario per la valutazione del rischio di frattura (FRAX, Fracture Risk Assessment Tool) che calcola il rischio di frattura a 10 anni con un'affidabilità ben superiore al MOC. Include anche il valore densitometrico ma dà una discreta valutazione anche in sua assenza. Considerà età, sesso, peso, altezza, precedenti fratture, familiarità per fratture, artrite reumatoide, fumo, alcol, trattamenti cortisonici, altre malattie causa di osteoporosi (endocrine, gastrointestinali, ematologiche, trapianti d'organo). Il concetto di rischio di frttura è più pertinente di quello di osteoporosi. L'osteoporosi non è una maklattia; il fatto che quasi la metà delle donne in menopausa ne sia affetta indica che è una normale condizione fisiologica. Inoltre almeno la metà delle fratture in età anziana si verificano in persone non osteoporotiche. Altri fatttori di rischio importanti sono la sedentarietà, la debolezza muscolare che ne segue, i distrbi della visione o dell'equilibrio che facilitano le cadute. La questione del fabbisogno di calcio è particolarmente illustrativa della sociologia della medicina preventiva. I livelli di assunzione raccomandati sono progressivamente cresciuti da 4-500mg al giorno negli anni '40 fino a 1200 (1500 per le donne in menopausa) alla fine del secolo scorso. Più si raccomandava di aumentare ili calcio nella dieta più aumentava l'osteoporosi (verosimilmente soprattutto per la vita sedentaria e l'aumentato consumo di proteine animali). La somministrazione di integratori di calcio è di dubbia utilità. Lo studio WHI, che ha randomizzato 36.000 donne in età postmenopausale in un gruppo che assumeva calcio carbonato (un grammo al giorno) e vitamina D (400 Unità Internazionali) e in un gruppo che assumeva placebo per 7 anni, non ha riscontrato che una piccola differenza non statisticmaente significativa nell'incidenza di fratture (-4% nei primi sette anni, -5% in 11 anni), mentre ha riscontrato un aumento del 17% dei calcoli renali. Complessivamente, gli studi osservazionali e sperimentali su integratori di calcio non mostrano alcun beneficio sulle fratture. La supplementazione di sali di calcio, inoltre, determina unaumento del 20% circa del rischio di infarto del miocardio e di ictus cerebrale. Al contrario, studi sperimentali mostrano chel'integrazione con 7-800 UI di vitamina D (non con dosi inferiori) è associata a una riduzione di fratture di oltre il 20%.

Che far quindi per prevenire l'osteoporosi? E il suo aggravamento?

 

  Ridurre le proteine, soprattutto le proteine di origine animale (togliere carni, salumi, uova, latte, formaggi. Sì, meglio anche latte e formatti, ma anche i preparati proteici vegetali (seitan, tofu, carni di soia, da consumare solo in piccole porzioni), perché le proteine acidificano e per tamponare l'acidità l'osso cede sali di calcio.

  L'argomento è controverso, perché la carenza di proteine è associata a bassa densità ossea, ma la coorte delle infermiere americane mostra una chiara relazoine tra un consumo elevato di proteine e la frattura del polso.

  Ridurre il sale (che facilita l'eliminazione del calcio con le urine: il consumo elevato di sale è associato a ridotta densità ossea).

  Evitare le bevande zuccherate, sia cola che altre, anch'esse sono acidificanti. Le bevande di cola sono associate a perdita di calcio dalle ossa, verosomilmente per effetto del fosforo che contengono.

  Evitare lo zucchero (acidificante, associato a una maggiore eliminazione del calcio con l'urina).

  Aumentare il contenuto di calcio nella dieta:

-   Usare gomasio (10 cucchiaini colmi di sesamo tostato + 1 cucchiaino raso di sale tostato da far penetrare nei semi di sesamo lavorandolo con il pestello nel suribachi) al posto del sale per condire insalate, cereali, pasta.

-   Usare il sesamo in cucina (per pane, biscotti, salse)

-   Usare le mandorle, da sole, nei dolci,nella crema di riso.

-   Consumare legumi (specie soia, fagioli e ceci), cavoli, broccoli, alghe (kombu per ammollare i legumi, wakame per la zuppa di miso, hijiki, arame), erbe e semi aromatici (rosmarino, cumino), pesce (zuppa di pesce magro con carota e cipolla, senza sale in pentola a pressione per 45-60 minuti, filtrare e aggiungere qualche goccia di tamari o shoyu).

  Assicurarsi di assumere provitamina D nella dieta, che viene poi attivata dall'esposizione della pelle al sole e da ulteriori trasformazioni nel fegato e nel rene. La provitamina D3 è di provenienza animale: latticini, rosso d'uovo, fegato di pesce (olio di fegato di merluzzo nei mesi invernali). La provitamina D2 è di provenienza vegetale (ergosterolo che viene trasformato in ergo caociferolo dalle radiazioni ultraviolette): si trova nei funghi, in particolare nei funghi shiitake (lentinus edodes), e in oli di semi spremuti a freddo. Può essere indicato assumere 700-800 UI (unità internazionali) al giorno da integratori

  Non bere caffè né tè ai pasti e dopo pranzo (eccetto il kukicha, che praticamente non ha teina), perché la caffeina impedisce l'0assorbimento intestinale del calcio.

  Moderare il consumo di vitamina A (ne sono molto ricche il fegato e i latticini) e evitare gli integratori con vitamina A preformata (meglio assumerla sotto forma del suo precursore - il beta carotene - vegetale).

  Evitare integratori di calcio senza vitamina D, che possono aumentare il rischio di fratture e di infarto

  Consumare verdure verdi quotidianamente. Nella coorte dele infermiere americane chi mangia una porzione di verdure verdi ogni giorno dimezza il rischio di fratture dell'anca rispetto a chi me mangia solo una porzione alla settimana. Le coorti di Framingham e di EPIC confermano la protezione da vitamina K e da verdure. Non sono consigliati però gli spinaci, il cui elevato contenuto di acido ossalico si combina con il calcio e ne ostacola l'assorbimento.

  Consumare cipolle quotidianamente, meglio cotte. Studi recenti hanno dimostrato che favoriscono l'impiego del calcio per formare gli osteociti.

  Aumentare il consumo di verdure e in generale di cibi di provenienza vegetale. Più studi sulla relazione dello stile alimentare con l'incidenza di fratture hanno evidenziato protezione da uno stile caratterizzato da frutta, verdura e cereali integrali o, in oriente, frutta, verdura, noci, soia, alghe, funghi, e rischio da uno stile con patatine, carni, bevande zuccherate e dessert. Nello studio EPIC troviamo che l'incidenza di fratture dell'anca diminuisce con l'aumentare del punteggio di dieta mediterranea (-7% per ogni punto su un totale di 10 punti).

  Prendere sole: passeggiate quotidiane al sole con braccia e gambe scoperte, per le donne meglio usare la gonna che i pantaloni.

  Fare attività fisica:

-   passeggiate con lo zaino (meglio non correre per evitare traumi alle vertebre), specie in salita;

-   ginnastica con pesi o elastici, bicicletta, tennis, ballo (il nuovo fa bene in generale ma non serve per le ossa perché galleggiando non si esercita un peso sullo scheletro);

-   Meglio associare diverse attività per irrobustire i diversi distretti ossei.

  Non fumare: uno studio su gemelli identici ha mostrato che il gemello che fuma ha un rischio di fratture del 40% superiore a quello che non fuma.

 

 

La vitamina D e il metabolismo del calcio. Quanto sole dobbiamo prendere?

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Nonostante parte della vitamina D all’interno del nostro organismo possa provenire dal cibo, di solito otteniamo tutta quella che ci occorre esponendoci qualche ora alla settimana alla luce del sole. In realtà è la nostra facoltà di produrre la vitamina D che ci fa dire che non si tratta di una vitamina, ma di un ormone (ossia una sostanza prodotta in una parte del corpo che però funziona in un’altra). I raggi UV del sole sintetizzano la vitamina D a partire da un precursore chimico presente nella pelle. Se ci esponiamo sufficientemente alla luce del sole, otteniamo tutta la vitamina D di cui abbiamo bisogno; ovviamente la possiamo trovare anche nel latte arricchito, in certi oli di pesce e in determinati integratori alimentari. La vitamina D sintetizzata nella pelle arriva poi nel fegato, dove un enzima la converte in un metabolita della vitamina stessa, il cui compito principale consiste nel fungere da deposito corporeo di questa vitamina (depositandosi soprattutto nel fegato, ma anche nel grasso corporeo). Il passo successivo è quello decisivo: in caso di necessità, parte di questa vitamina. D depositata nel fegato viene trasportata ai reni, dove un altro enzima la converte in un metabolita superattivo della vitamina D, chiamato 1,25 D. Il ritmo al quale la forma di deposito della vitamina D viene convertita nell’1,25 D superattivo è una reazione cruciale all’interno di questa rete. E' il metabolita 1,25 D a compiere la maggior parte dell’importante lavoro svolto dalla vitamina D nel corpo umano. Questo 1,25 D superattivo è circa mille volte più attivo della vitamina D immagazzinata, e una volta prodotto sopravvive solo per 6-8 ore. La nostra riserva di vitamina D invece sopravvive per venti o più giorni. Questo dimostra un importante principio, tipico di questo genere di reti: l’attività di gran lunga maggiore, la durata di vita di gran lunga minore e le quantità molto inferiori del prodotto finale 1,25 D danno origine a un sistema molto reattivo in cui l’l,25 D può rapidamente adattare la propria attività minuto per minuto e microsecondo per microsecondo fintanto che c’è una riserva sufficiente di vitamina D da cui attingere. Nel giro di poco tempo possono verificarsi piccoli cambiamenti che fanno una grande differenza. Il rapporto fra la vitamina D immagazzinata e l’l,25 D superattivo è paragonabile al possesso di un grande serbatoio di gas naturale sotterrato in giardino (la riserva di vitamina D), di cui però si usa con ogni cautela solo una minuscola quantità per accendere il fornello della propria cucina. E' di fondamentale importanza che la quantità di gas (1,25 D) e il momento del suo arrivo al fornello siano accuratamente regolati, indipendentemente da quanto gas possa esserci nel serbatoio, poco o tanto. E' tuttavia utile mantenere una scorta adeguata nel nostro serbatoio, come è essenziale che in questa reazione l’enzima renale abbia per così dire un tocco delicato e sensibile, così da produrre la giusta quantità di 1,25 D al momento giusto per il suo importantissimo lavoro. Una delle funzioni più importanti svolte dalla vitamina D, principalmente me­ diante la sua trasformazione nell’1,25 D superattivo, consiste nel controllare lo sviluppo di una gran varietà di gravi malattie. Per questioni di semplicità, questo processo viene rappresentato schematicamente mostrando l’inibizione della conversione di tessuto sano in tessuto malato da parte dell’1,25 D. Fin qui possiamo vedere come un’adeguata esposizione alla luce del sole garantisca una riserva sufficiente di vitamina D, impedendo così che le cellule si ammalino. Questo lascia intendere che certe malattie possano essere più comuni dove il sole splende di meno, nei paesi più vicini ai poli. In realtà esistono le prove di questo fenomeno, e più precisamente possiamo dire che nell'emìsfero boreale le comunità che vivono più a nord tendono a soffrire maggiormente dì diabete di tipo 1, di sclerosi multipla, di artrite reumatoide, di osteoporosi, di cancro al seno, alla prostata e al colon, oltre che di altre malattie. Da ottant’anni i ricercatori sanno per esempio che la sclerosi multipla è in relazione con l’aumento di latitudine. Man mano che ci si allontana dall’equatore c’è un’enorme differenza nell’incidenza di sclerosi multipla, che è infatti cento volte più diffusa all’estremo nord che all’equatore. Analogamente, in Australia c’è meno luce solare e maggior incidenza di sclerosi multipla man mano che si va a sud (r = 91%). La SM è circa sette volte più diffusa nell’Australia del sud (43°S) che in quella del nord (19°S). La mancanza di sole non è comunque l’unico fattore collegato con queste malattie. Esiste un contesto più ampio e i primi elementi da notare sono il controllo e la coordinazione di queste reazioni collegate con la vitamina D. Il controllo avviene in diversi punti della rete ma, come già detto, è la trasformazione della riserva di vitamina D nell’1,25 D superattivo nei reni a essere particolarmente importante. Questo controllo è esercitato in misura considerevole da un’altra rete complessa di reazioni, nella quale entra in azione un ormone con funzioni “manageriali” prodotto dalla paratiroide, una ghiandola situata nel collo. Quando per esempio abbiamo bisogno di una maggiore quantità di 1,25 D, l’ormone paratiroideo stimola l’attività enzimatica renale a produrne di più. Quando c’è sufficiente 1,25 D, l’ormone paratiroideo rallenta l’attività enzimatica renale. Nel giro di secondi l’ormone paratiroideo gestisce la quantità di 1,25 D che dev’essere presente in ogni momento e in ogni parte dell’organismo. Questo ormone agisce anche da conduttore in svariati altri punti della rete: consapevole del ruolo di ciascun elemento della sua “orchestra”, coordina, controlla e armonizza queste reazioni come farebbe il direttore di un’orchestra sinfonica. In condizioni ottimali è sufficiente l’esposizione alla luce del sole per fornirci tutta la vitamina D di cui abbiamo bisogno per produrre l’importantissimo 1,25 D al momento giusto. Perfino le persone anziane, che non sono in grado di produrre la stessa quantità di vitamina D a partire dalla luce del sole, non devono preoccuparsi del fatto che ci sia abbastanza sole. Ma quant’è “abbastanza”? Se sapete quanto sole vi provoca un leggero arrossamento della pelle, un quarto di quella quantità due o tre volte alla settimana è più che sufficiente per soddisfare il vostro fabbisogno di vitamina D e farvene immagazzinare un po’ nel fegato e nel grasso corporeo. Se la pelle si arrossa dopo una mezz’oretta di esposizione al sole, allora dieci minuti tre volte alla settimana saranno sufficienti per ottenere vitamina D in abbondanza. Nel caso in cui non si stia abbastanza alla luce del sole, può essere utile assumere la vitamina D con l’alimentazione. Quasi tutta la vitamina D contenuta nella nostra dieta è stata aggiunta artificialmente ad alimenti quali il latte e i cereali da colazione. Insieme agli integratori vitaminici, questa quantità di vitamina D può essere piuttosto significativa e, in determinate circostanze, questa pratica si dimostra salutare. In questo schema, la luce del sole e l’ormone paratiroideo cooperano in perfetta coordinazione affinché il sistema funzioni senza intoppi, sia riempiendo il nostro serbatoio di vitamina D, sia aiutandoci a produrre di momento in momento l’esatta dose di 1,25 D di cui abbiamo bisogno. Se si deve scegliere se ottenere la vitamina D dalla luce solare o dal cibo, la prima opzione è di gran lunga la più sensata.

 

 

Ho la scoliosi: devo andare in palestra a fare ginnastica correttiva e continuare a frequentarla per tutta la vita?

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La ginnastica correttiva per la scoliosi non corregge proprio niente, se non il conto in banca del gestore della palestra, ritoccandolo al rialzo. In realtà la scoliosi ha fattori ereditari e cause che rimangono ancora in gran parte poco studiate, e ben poco possono su di essa la palestra e gli esercizi correttivi.

Questo è stato confidato a chi scrive da un bravissimo ortopedico, sovente consultato dai Tribunali per perizie sull'attività dei colleghi.

Non si equivochi quel che qui stiamo dicendo: andare in palestra a fare ginnastica per la schiena, per mantenerla tonica e prevenire le malattie della colonna vertebrale è un'ottima abitudine, ma andrebbe osservata da tutti. Coloro che sono affetti da scoliosi non dovrebbero fare cose diverse dal frequentare una normale palestra dove svolgere i normali esercizi per la schiena, senza le esagerazioni dei culturisti.

E' tra l'altro falso il pregiudizio che una colonna vertebrale curvata sia estremamente fragile, necessiti di manutenzione continua e non tolleri il sollevamento del minimo peso. In realtà, sin dalla età più tenera, il sistema osseo si adatta alla posizione anomala, sviluppando una resistenza sorprendente e una capacità di sollevare pesi ragionevoli pressoché equivalente a quella di un individuo normale.

 

 

Come posso mantenermi in forma e rinforzare la mia schiena con 20 minuti al giorno di ginnastica con i piccoli pesi?

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La ginnastica con manubri leggeri (1-2 kg) può sostituire completamente la palestra e mantenere il vostro fisico tonico e persino sviluppare la vostra muscolatura con non più di 20 minuti al giorno di esercizi.

Consulta il documento Mantenetevi in forma esercitandovi con i piccoli pesi in questo sito www.learningsources.altervista.org

Gli esercizi proposti sono quelli consigliati dall’esperto trainer americano Myatt Murphy.

 

 

Allarmi e allarmismi: una lista aggiornata

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Quella che segue è una lista – per ora incompleta – di allarmi medici lanciati recentemente su media, blog, forum e libri dedicati alla nutrizione e alla salute.

Molte notizie sono riportate solo per dovere di cronaca e senza commento, perché a giudizio di chi scrive non è ancora chiaro se si tratti di un reale allarme o di puro allarmismo.

Il pallino rosso segnala che si tratta di notizie su cui chi scrive non prende posizione.

  La Nutella Ferrero contiene come ingrediente l’olio di palma (visitare il sito ufficiale www.ferrero.it per credere: vi sono elencati gli ingredienti), che è un olio tropicale dannoso per la salute delle arterie.

  La dieta vegana, cioè vegetariana stretta senza prodotti animali, carne, pesce, latticini, crea carenze più o meno gravi di ferro, calcio, vitamina D, vitamina E, vitamina K, vitamine del gruppo B. Leggete in questo documento l'articolo: "Alcuni motivi per cui è irresponsabile imporre una dieta vegana ai propri bambini".

  Lo stearato di magnesio, un eccipiente usato in pressoché tutti i medicinali e gli integratori in compresse è dannoso la pelle, il fegato e il per il sistema immunitario (in alcuni studi l’acido stearico distrugge i linfociti T provocando il collasso della integrità della membrana cellulare), forma un film (sottile strato) lipidico che riduce notevolmente l’assorbimento intestinale delle vitamine contenute nella compressa; contiene acido stearico ricavato da oli pesantemente inquinati da pesticidi. Inoltre, in campioni di magnesio stearato sfuso destinato alle industrie farmaceutiche si sono trovate tracce di Bisfenolo, idrossido di calcio, e Irganox-10, composti tossici legati al suo ciclo produttivo e alla incompleta pulizia dei macchinari utilizzati.

  Il parassita della toxoplasmosi è facilmente trasmesso dai gatti al cervello dell’uomo mediante le loro feci, e recenti studi statistici, da approfondire, indicano che può influire sul comportamento umano.

  Anche chi consuma molti insaccati e carne poco cotta è a rischio toxoplasmosi, anche più di chi è a contatto con le feci di gatti

  L’anestesia totale, in soggetti di età superiore a 70 anni, può provocare una perdita più o meno marcata e irreversibile delle facoltà mentali. Una delle ipotesi che si sono avanzate è che l’anestetico rallenta la respirazione e il battito cardiaco, e quindi anche la circolazione sanguigna, provocando un deficit di ossigeno che danneggia le cellule cerebrali. Due parenti di chi scrive hanno subito rispettivamente una operazione alla prostata e una operazione all’anca in anestesia totale, e da quel momento hanno mostrato chiari segni di deterioramento mentale, tra cui difficoltà a riconoscere i parenti prossimi e incapacità di tenere la contabilità e gli affari di famiglia.

  Attenti: il morbo di Lyme è arrivato anche in Italia

Clicca qui per vedere l’articolo relativo.

  Mangiate tantissime arance? Fate attenzione se siete predisposto ai calcoli renali

Clicca qui per vedere l’articolo relativo.

  Un nuovo parassita dei pesci può contagiare l’uomo

Clicca qui per vedere l’articolo relativo

  L’iperico, un’erba i cui estratti sono usati per la cura naturale della depressione, potrebbe danneggiare la vista

Clicca qui per vedere l’articolo relativo

  L’aspirina potrebbe favorire lo sviluppo del glaucoma

  Molti antiacidi in commercio contengono alluminio, una pericolosissima neurotossina

  Gli hamburger di soia potrebbero contenere alti livelli di alluminio tossico, come residuo del processo di estrazione delle proteine della soia. La maggior parte degli hamburger di soia sono prodotti a partire dalle proteine isolate della soia. Mangiarli è come mangiare polvere proteica per culturisti, con quel che ne consegue per fegato e reni non perfettamente a posto. Inoltre le loro proteine sono degradate dal processo produttivo e di scarso valore biologico.

Clicca qui per vedere l’articolo sulla soia.

  L’aspartame utilizzato in tutte le bevande light è un potente cancerogeno. Ricercatori hanno rivisto gli studi che ne dimostrerebbero la innocuità e hanno trovato grossolani errori di interpretazione. In realtà gli animali di laboratorio sviluppavano tumori di dimensioni impressionanti.

  La vitamina C (acido ascorbico) in compresse masticabili può danneggiare i denti, perché l’acido ascorbico intacca lo smalto.

  I bifosfonati, i farmaci che vengono prescritti a soggetti a rischio di osteoporosi quando la somministrazione di vitamina D non si dimostra sufficiente, hanno effetti collaterali pesanti, tra cui il rischio di necrosi delle ossa della mascella con effetto sfigurante. Inoltre, anche se aumentano la densità ossea, sembra aumentino il rischio di fratture ossee (che è il pericolo maggiore in soggetti a rischio di osteoporosi)

  Assumere supplementi di calcio per prevenire o curare l’osteoporosi può aumentare il rischio di calcificazione delle arterie, a meno che il calcio non sia assunto insieme a dosi di vitamina K2

  Assumere supplementi di vitamina D potrebbe rivelarsi inutile. La vitamina D dovrebbe essere presa nella sua forma attiva, quella D3 e mai senza vitamina A.

  Il warfarin, un medicinale per abbassare la pressione, depaupera le riserve di vitamina K2 dell’organismo e può provocare in questo modo calcificazione delle arterie

  L’uso di Viagra, Cialis o Levitra può provocare in una percentuale di pazienti perdita parziale o totale dell’udito. In una minoranza di questi casi la perdita è stata immediata (dopo una sola assunzione) e irreversibile.

  Una dieta ricca di cereali integrali può provocare, a causa dei fitati, composti antinutrienti contenuti nei vegetali, malassorbimento di calcio, magnesio, zinco e altri importanti minerali

  Bere una quantità sproporzionata di acqua o the al giorno può depauperare l’organismo di potassio e altri sali minerali.

  Tutti i dentifrici in commercio contengono potenti acidi aggiunti per “sbiancare” i denti dal tartaro, che aggrediscono lo smalto facendo sì che soggetti che usano troppo spesso e male il dentifricio (principalmente sulla superficie laterale dei denti invece che sul colletto e sulla corona – la superficie orizzontale) rischiano di rimuovere lo smalto e rendere i propri denti marroni.

  Il fluoro contenuto nei dentifrici è un elemento chimico terribilmente tossico per il sistema immunitario umano. Utilizzate solo piccole quantità di dentifricio – quelle strettamente necessarie – e controllate che i vostri bambini si sciacquino accuratamente i denti al termine della pulizia e soprattutto che non inghiottano dentifricio durante la pulizia.

  Le piantagioni di tabacco vengono fertilizzate con concimi ricavati dal minerale di apatite, che è lievemente radioattivo. I fumatori accaniti si procurano in un anno radiazioni equivalenti a quelle di parecchie radiografie.

  Il consumo giornaliero di carne rossa può provocare ipertrofia prostatica e costringervi ad operarvi alla prostata entro i settant’anni. Questo perché è risultato praticamente impossibile stroncare la pratica degli allevatori di somministrare testosterone ai vitelli per aumentarne la massa muscolare e la velocità di crescita, malgrado la legislazione europea lo vieti. Negli USA e in paesi extraeuropei questa pratica non è neanche vietata. L’azione ipertrofizzante del testosterone sulla prostata è meno nota di quella cancerogena, ma non meno preoccupante.

  Le trote di allevamento e altri pesci allevati col sistema della piscicoltura sono pieni di antibiotici.

  La cuticola del riso integrale è un vero e proprio magnete per l'arsenico, e il consumo di tale alimento rischia di danneggiarvi seriamente.

  I latticini (e le proteine) decalcificano lo scheletro.

Il prof. Colin Campbell, autore del China Study, afferma nel suo famoso libro che l'assunzione di importanti quantità di latticini, come pure una dieta in cui le proteine siano superiori al 10%, soprattutto se di origine animale, può comportare decalcificazione dello scheletro perché, per mantenere il ph di sangue e tessuti entro un range molto stretto l'organismo interviene immediatamente e "scioglie" una parte delle ossa per ottenere carbonati che fanno da tampone all'eccessiva acidità.

Lo stesso afferma Franco Berrino, direttore dell'Istituto Milanese dei Tumori in suo recente libro, Il cibo dell'uomo.

  "La caseina del latte è il singolo fattore favorente del cancro più importante trovato sinora" (Colin Campbell). Ergo: niente latticini.

  La fibrillazione atriale è una causa poco conosciuta di ictus ischemico, il cui rischio, a causa di questo disturbo cardiaco, aumenta di cinque volte. La fibrillazione delle camere superiori del cuore (gli atri) ne provoca una insufficiente contrazione, che può provocare un ristagno di sangue nel cuore e la formazione di coaguli che possono arrivare fino al cervello, occludendo un'arteria cerebrale ristretta e procurando l'ictus.

Si stima che circa il 20% delle persone che soffrono di fibrillazione atriale abbia un ictus.

A partire da una certa età (60 anni) sono consigliabili esami (in particolare l'holter cardiaco: il monitoraggio per 24 ore dell'attività elettrica del cuore) per individuare la presenza di questo insidioso disturbo.

Vedi in questo documento l'articolo "Fibrillazione atriale e ictus ischemico".

  Recenti studi mostrano che la coca-cola, oltre a sciogliere lo smalto dei denti, provoca anche perdita di calcio dalle ossa. I due effetti (corrosione dello smalto e decalcificazione) sono verosimilmente legati all'acido fosforico, che è un ingrediente della bevanda.

  Non fumate: uno studio su gemelli identici ha mostrato che il gemello che fuma ha un rischio di fratture del 40% superiore a quello che non fuma.

 

 

to be continued

 

 

Controinformazione: bufale che vi propinano industrie farmaceutiche, riviste e operatori sanitari

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Non tutte le affermazioni in cui potreste imbattervi su media, blog e siti internet dedicati all'alimentazione o addirittura che potreste sentirvi dire da un operatore sanitario sono in realtà condivise da tutti. Ecco una lista di notizie sulle quali dovreste informarvi maggiormente o che dovreste guardare con sano scetticismo.

Molte notizie sono riportate solo per dovere di cronaca e senza commento, perché a giudizio di chi scrive non è ancora chiaro se le obiezioni alla loro validità siano solide oppure tendenziose: a questo scopo, il pallino rosso segnala che si tratta di notizie su cui chi scrive non prende posizione.

 

  "Mangiate tre porzioni di salmone a settimana per fare il pieno di grassi omega-3"

La maggior parte del salmone è di allevamento, e quindi non mangia il plancton, che è l'alimento da cui i pesci grassi traggono gli omega-3, quindi è estremamente povero di omega-3.

Inoltre, e per la gioia del vostro portafoglio, il pesce che contiene più omega-3 non è il salmone selvatico, che ne contiene solo 2,08 grammi ogni 100 grammi di prodotto, contro i ben 4,08 grammi delle sardine fresche e i 2,10 grammi delle aringhe fresche, che costano infinitamente meno. Al supermercato, saltate la scansia del salmone e prendete, se c'è, una confezione di aringa affumicata: stessa quantità di omega-3, prezzo ridotto di tre volte.

Infine, tre porzioni garantiscono solo pochi grammi di omega-3 a settimana, insufficienti in molti casi a produrre un qualsiasi beneficio e a bilanciare il rapporto sbilanciato con gli omega-6 che assumiamo da oli di semi, frutta secca e altre fonti alimentari. Se mangiate solo 3 porzioni di pesce a settimana, considerate la possibilità di integrare la vostra dieta con capsule di omega-3, che vi consentiranno di arrivare alla quantità di 1,5-2,5 grammi al giorno, da cui cominciano i benefici per il sistema circolatorio, il cervello e l'intero organismo.

  "I semi di Chia, i semi di canapa, le noci, sono straordinarie fonti vegetali di grassi omega-3"

Gli acidi grassi omega-3 da fonti vegetali (i tanto lodati semi di chia e di lino) non vengono trasformati dal corpo in modo efficiente in EPA e DHA, che sono la forma attiva e benefica di tali grassi: solo il 20% o meno degli acidi omega-3 assunti dai semi oleosi viene trasformata, senza contare l'enorme quantità di calorie che si assumono con questi semi: più di 500 calorie per etto. Meglio i grassi omega-3 del pesce.

  "Gli spinaci ed altre fonti vegetali sono ricchissimi di ferro e possono sostituire le fonti animali"

Il ferro più assimilabile è quello in forma "eme", cioè legato ad una molecola di globina (emoglobina), che si trova nel sangue e nei tessuti degli animali. L'assorbimento di ferro dai vegetali è ridottissimo, anche se, come raccomandano i vegani, assunti con vitamina C, che ne favorisce la metabolizzazione.

  "Il cioccolato, anche fondente, è estremamente grasso, e quindi fa aumentare il colesterolo"

Il cioccolato extrafondente contiene burro di cacao, che non è un grasso saturo, appartiene alla famiglia degli acidi stearici (quelli delle candele) e non viene metabolizzato dall'organismo.

Invece è vero che il cioccolato al latte è dannoso per le arterie, perché contiene i grassi del latte intero.

  "Il nuoto è il modo migliore per far sviluppare lo scheletro dei ragazzi, specie la colonna vertebrale"

Gli ortopedici più aggiornati vi diranno che il nuoto, essendo fatto in condizione di assenza di gravità, è il modo più lento per far rafforzare uno scheletro in crescita, e in particolare la colonna vertebrale.

Chi lo dice? Beh, tra gli altri Franco Berrino, medico, patologo, epidemiologo, già direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, che ha promosso lo sviluppo dei registri tumori in Italia e in Europa. A pagina 237 del suo recente libro (2015) Il cibo dell'uomo, parlando dell'attività fisica migliore per mantenere e sviluppare la densità del nostro scheletro consiglia "ginnastica con pesi o elastici, bicicletta, tennis, ballo" e termina dicendo: "il nuoto fa bene in generale ma non serve per le ossa, perché galleggiando non si esercita un peso sullo scheletro".

È vero che è stato dimostrato che l'attività fisica che fa muovere l'osso ne provoca comunque un rafforzamento, e nuotando intensivamente lo scheletro ne risulterà rafforzato, ma la NASA, per rimediare alla demineralizzazione dello scheletro degli astronauti che sono vissuti in assenza di gravità, utilizza una speciale pedana vibrante che crea sollecitazioni meccaniche per le ossa, specie della colonna vertebrale. Sono proprio le sollecitazioni meccaniche derivanti dalla pressione a spingere l'osso a rafforzarsi.

Fate fare ai vostri ragazzi delle escursioni in montagna, con un vestito leggero per prendere tanto sole e con uno zainetto di peso medio (sì, proprio il tanto aborrito zainetto, che fa venire la scoliosi!) e vedrete che il loro scheletro si svilupperà magnificamente. Da un milione di anni siamo cacciatori-raccoglitori, e camminare a lungo, magari con la preda sulle spalle, o portando il cibo e gli utensili durante gli spostamenti e le migrazioni, è stata la nostra principale occupazione sin da quando siamo diventati bipedi. Il nostro corpo è ingegnerizzato per camminare portando piccoli carichi, e ne ottiene grandi benefici.

E non scordatevi di mangiare cipolle: è stato provato che aumentano la mineralizzazione delle ossa!

  "Andare  a scuola con lo zainetto fa venire la scoliosi ai nostri ragazzi"

La scoliosi, come scritto più sopra in questo stesso articolo, ha principalmente fattori ereditari e di meccanica dello scheletro e dei tendini che sono largamente indipendenti dalla quantità di pesi che un individuo porta nell'infanzia e nell'adolescenza.

Come già detto in un altro punto di questo articolo, uno zainetto di medio peso e lunghe passeggiate, in realtà rafforzano lo scheletro più velocemente del nuoto!

  "Queste compresse a base di aglio non rovinano l'alito", oppure: "questo è un rimedio infallibile per evitare che l'alito puzzi di aglio dopo averlo assunto: mangiate questo o quello…"

Rassegnatevi: il principale e più benefico principio attivo dell'aglio è l'allicina, che viene espulsa dai polmoni attraverso la respirazione: non c'è modo di evitare che il vostro alito tradisca ciò che avete mangiato. Acquistate aglio dal fruttivendolo e non sprecate dei patrimoni in compresse inutili.

  "Lei ha la scoliosi: deve fare ginnastica correttiva intensiva per tutta la vita, altrimenti corre serissimi rischi; inoltre non deve sollevare mai alcun peso, neanche di qualche etto"

Vedi, in questo documento, l'articolo: Ho la scoliosi: devo andare in palestra a fare ginnastica correttiva? e regolatevi di conseguenza.

  "Questo preparato fornisce vitamina C naturale, perché è a base di estratti vegetali, ed è preferibile alla vitamina C di origine chimica"

Come rileva il biologo Dario Bressanini, che ha un ottimo blog di dietologia, la formula della vitamina C è sempre la stessa, sia che la si ricavi da un estratto vegetale, sia che la si produca con una sintesi chimica. Vi diranno che nell'estratto vegetale sono presenti componenti che ne favoriscono l'assorbimento e ne ottimizzano l'azione. Questo non è mai stato provato conclusivamente. Considerate poi che il prezzo delle compresse di vitamina C di sintesi è altissimo rispetto agli altri paesi europei: quello della della vitamina "naturale" è ancora superiore. Il preparato vegetale potrebbe poi non essere titolato: cioè non viene fatto un controllo per stabilire la quantità di vitamina C presente in un grammo di estratto.

  "Questo è un preparato antivirale a base di estratti naturali, che guarisce definitivamente dall'herpes labiale"

Dall'herpes labiale non si guarisce: il virus rimane annidato nello strato più superficiale della pelle per tutta la vita, come tutti i virus della famiglia dell'herpes (labiale, genitale ecc.). Quel che fa qualche medicinale è mitigare i sintomi, in modo che, passato il periodo di debolezza delle difese immunitarie che ha causato il riacutizzarsi dell'infezione, il virus ritorna quiescente.

Uno dei pochi preparati validi è quello a base di aciclovir. Non comprate sciocchezze erboristiche senza alcuna sperimentazione scientifica a supporto.

  "Questo preparato vegetale elimina i funghi alle unghie di mani e piedi"

Sarà. Ma il miglior preparato per eliminare le colonie fungine che possono essersi insinuate sotto le vostre unghie è "Trosyd" in preparazione ungueale, che contiene un potente agente chimico antimicotico.

  "I cibi biologici sono più ricchi di quelli non biologici. Occorre mangiare biologico per evitare di essere avvelenati da residui chimici di concimi e pesticidi"

Falso. Vedi in questo documento l'articolo: Mangiare cibi bio è meglio?

  "Più attività sportiva si fa, meglio si sta. Il runner, che corre per 10 chilometri al giorno o più, si mantiene in eccellente salute e si garantisce una vita longeva"

Non fraintendete. Fare sport, anche agonistico, è bello e appagante. Ma ricerche recenti rivelano che la quantità di attività fisica per mantenersi in buona salute è mezz'ora di camminata di buon passo al giorno, o dieci minuti di sforzo "cardio". Il 90% dei vantaggi si ottiene con queste attività. Sforzi ulteriori migliorano ben poco la situazione. Una attività sportiva troppo intensa accelera l'ossidazione dei tessuti, provoca stress all'organismo, eccessivo sforzo digestivo, può usurare articolazioni (anche se un moderato esercizio è necessario per mantenerle in buone condizioni). E non esistono studi conclusivi sull'effetto di una attività fisica intensa sulla longevità delle persone.

  "Questo preparato, a base di fosforo, aumenta la concentrazione e la prontezza intellettuale, favorisce la memorizzazione, ecc. ecc."

Lasciate il fosforo ai produttori di cerini e fiammiferi. Una cosa è la carenza di fosforo, che è molto rara in una dieta razionale, e che va curata. Un'altra un iperdosaggio di fosforo, che non ha nessun effetto.

  "Questo preparato contro la caduta dei capelli, la cui azione consiste nel rafforzare il bulbo pilifero e stimolare il fattore di ricrescita delle cellule del capello, ha una efficacia sperimentalmente provata". Oppure: "Questa prescrizione di vitamine (tipicamente: Rovigon) e minerali (tipicamente: zinco) rafforzerà i suoi capelli e ne eviterà la caduta". Oppure: "Questa lozione esfoliante, che si farà preparare in farmacia, rinnova il cuoio capelluto e rafforza i capelli". Oppure: "Tagliarsi i capelli a zero ne stimola la ricrescita; chi tiene i capelli lunghi li fa indebolire".

Tutto falso. Gli unici preparati efficaci contro la caduta di capelli degli uomini non sono quelli che rafforzano il capello o stimolano il fattore di ricrescita delle cellule, ma sono gli antiandrogeni, che contrastano l'azione del testosterone. Vedi in questo documento l'articolo Qual è il miglior preparato per prevenire la caduta dei capelli?

Ci sono ditte farmaceutiche e cosmetiche, anche di grande rinomanza, che hanno la sfacciataggine di inserire nella loro pubblicità dichiarazioni del tipo: "Effetto: miglioramento del 10% sperimentalmente provato(*)" con una nota in caratteri piccoli, contrassegnata dall'asterisco che dice: "basato su valutazioni soggettive dei soggetti dell'esperimento". Capito? Valutazioni soggettive! C'è di che rimanere allibiti.

Vitamine, sali minerali, esfolianti e quant'altro sono solo degli inutili placebo. La ragione per cui molti dermatologi prescrivono queste ricette anziché le cure ormonali è che sono restii a rivelare al paziente che una cura ormonale può provocare (ma solo in alcuni casi) calo della libido e (ma solo in rari casi) un principio di femminilizzazione (lieve ingrossamento dei pettorali, lieve aumento del'adipe in determinate zone). Questi aspetti della faccenda possono essere tranquillamente tenuti sotto controllo da un attento monitoraggio medico. Ma se vi preoccupano, non vi rimane che essere filosofi e accettare la caduta dei vostri capelli, senza farvi dissanguare da chi vi fa false promesse.

Radersi a zero né migliora né peggiora la situazione. Rivela solo a chi vi sta intorno che siete preoccupati per lo stato del vostro cuoio capelluto.

 

 

to be continued

 

 

Fate una maratona vegana di soli 20 giorni integrata da capsule di omega-3 per vedere se per voi funziona: i risultati potrebbero sbalordirvi, e darvi la spinta (senza esagerare né abbracciare il veganesimo) a fare qualche correzione alla vostra dieta abituale.

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La pratica è migliore della teoria. Perché continuare a leggere e a informarsi se poi non si passa all'azione?

Le polemiche sulle conclusioni che il prof. Colin Campbell ha tratto dal suo famoso China Study infuriano più che mai sul web. I suoi procedimenti di calcolo statistico sono messi in discussione. Il post di una una studentessa inglese appena ventitreenne, Denise Menger, che ha pubblicato una serie di critiche severe ai metodi di analisi dei dati del China Study è rapidamente diventato virale e ha infiammato il web nel 2010. Tra botta e risposta, ad oggi siamo ancora nel pieno delle discussioni: vedi il sito di Denise Menger, www.rawfoodsos.com . Senza considerare che quel che va bene per il fisico di uno di noi potrebbe non funzionare o non andar bene per il fisico di qualcun altro.

Cosa farebbe una persona di buon senso? Proverebbe la dieta vegana e confronterebbe le sue analisi (principalmente il profilo lipidico) prima e dopo.

Per quanto tempo? Chi scrive ha provato a fare una maratona, e vi dice che sono sufficienti venti giorni per osservare cambiamenti veramente notevoli - sempre, è chiaro, che al vostro fisico e alle vostre condizioni attuali si addica una tale dieta.

Quanto può essere difficile seguire una dieta vegana per venti giorni? Ricordate che qui non si parla di calorie e diete dimagranti: potete mangiare quanto volete (nei limiti del ragionevole).

Ecco il profilo lipidico di chi scrive prima della dieta:

 

Colesterolo totale: 190

Colesterolo HDL: 46

Colesterolo LDL : 129

Trigliceridi : 76

Rapporto LDL/HDL : 2,8

 

Ecco il profilo lipidico dopo venti giorni di completa dieta vegana integrata con capsule di omega-3 e tre tazze di the verde giornaliero:

 

Colesterolo totale: 154

Colesterolo HDL: 47

Colesterolo LDL : 96

Trigliceridi : 58

Rapporto LDL/HDL : 2,04

 

Alla dieta vegana sono state aggiunte, nei venti giorni in cui è stata praticata, 3 grammi di EPA+DHA al giorno (equivalenti a 12 capsule da 250 mg): ma voi potreste provare con 1-1,5 grammi (equivalenti a 4-6 capsule da 250 mg). Inoltre, sono state bevute tre tazze (3 bustine) di the verde al giorno e assunti tre cucchiaini di lecitina di soia al giorno.

La dieta vegana bandisce carne, latte, latticini, uova e ricava le sue proteine da soia, seitan, semi oleosi, cereali complementati con legumi.

Ecco l'elenco di alimenti che chi scrive ha utilizzato oltre la frutta e la verdura:

 

Patate

Legumi (ceci, lenticchie, piselli fagioli) complementati con cereali (riso integrale o pasta integrale)

Yoghurt di latte di soia

Tofu

Latte di soia

Tempeh (soia fermentata)

Lievito in polvere o compresse

Seitan (proteine del glutine del frumento)

Pane di segale integrale (ottimo quello prodotto da Pema per Loacker)

Semi oleosi ricchi di omega-6 (arachidi, girasole, mandorle)

Semi oleosi ricchi di omega-3 (semi di chia, semi di lino)

Semi oleosi con un contenuto bilanciato di omega-3 e omega-6 (noci, semi di canapa decorticati)

 

Ecco qualche esempio di piatti sostitutivi della carne:

 

Riso + Piselli lessati + tofu o tempeh + mandorle o arachidi

Zuppa di legumi e cereali (es. Zuppa del Casale Findus) + lievito in polvere + tofu o tempeh + semi di canapa o arachidi o semi di girasole

Noci + Pane di segale + Yoghurt di soia

 

Provare per credere.

 

 

Fibrillazione atriale e ictus ischemico. Nella sola Unione Europea si verificano più di un milione di casi di ictus ogni anno, e l'ictus è la seconda causa di morte a livello mondiale. E la fibrillazione atriale è una delle cause meno note di ictus.

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Cos’è la fibrillazione atriale (FA)?

La fibrillazione atriale (FA) è la forma più comune di aritmia ed è un problema legato alla frequenza del ritmo cardiaco. Durante un’aritmia il cuore può battere troppo velocemente, troppo lentamente o in maniera irregolare. La FA avviene se i segnali elettrici rapidi e caotici provocano la fibrillazione delle due camere superiori del cuore, gli atri.

Nella FA, il cuore non si contrae con la forza con la quale dovrebbe. Questo può provocare un ristagno di sangue nel cuore con conseguente formazione di coaguli. Quando questi coaguli di sangue si spostano possono avanzare fino al cervello, dove rischiano di rimanere intrappolati in un’arteria cerebrale ristretta, bloccando così la circolazione e provocando un ictus. La letteratura suggerisce che più del 90% dei coaguli di sangue responsabili dell’ictus nei pazienti affetti da FA viene generato in una sacca nella parte sinistra del cuore, chiamata auricola atriale sinistra (LAA).

La FA può essere di breve durata, con sintomi che compaiono e scompaiono ed è possibile che un episodio di FA si risolva senza alcun intervento. Tuttavia, questa patologia può essere persistente e necessitare di trattamento; talvolta è permanente e farmaci o altri trattamenti non possono ripristinare un ritmo cardiaco normale.

I fattori di rischio per la FA includono:

• Stress emodinamico (ossia, scompenso cardiaco o ipertensione)

• Ischemia atriale

• Infiammazione

• Cause respiratorie non cardiovascolari

• Uso di alcool e sostanze stupefacenti

• Disturbi endocrini (ossia, diabete)

• Disturbi neurologici

• Fattori genetici/età avanzata

Prevalenza e tassi di mortalità

La FA colpisce circa l’1,5-2% della popolazione generale mondiale. Oltre 6 milioni di Europei presentano questa forma di aritmia e si prevede che la sua prevalenza raddoppierà nei prossimi 50 anni con il progressivo invecchiamento della popolazione. Nel 2012 è stato stimato che, in Italia, sono circa 850mila le persone affette da FA.

La FA è fortemente correlata all’età e colpisce il 4% dei soggetti di età superiore ai 60 anni e l’8% delle persone di età superiore agli 80 (in Italia tale percentuale si attesta intorno al 9%).6 Lo studio Framingham, studio cardiovascolare a lungo termine, attualmente in corso, ha evidenziato che circa il 25% delle persone, di età pari o superiore ai 40 anni potrebbe sviluppare FA nel corso della vita.

La FA in sé costituisce una causa importante di mortalità, morbidità e compromissione della qualità della vita. La patologia è associata a un rischio di decesso 1,5-1,9 volte più elevato. in base ai dati dello studio Framingham, ciò è in parte dovuto alla forte correlazione tra FA ed eventi tromboembolici.

Che cos’è l’ictus?

L’ictus è un evento cerebro-vascolare, che provoca anomalie della funzionalità neurologica che persistono per più di 24 ore. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’ictus come una sindrome, che consiste in segni clinici di disturbi focali (o talvolta globali) della funzionalità cerebrale in rapida evoluzione. I sintomi persistono per 24 ore o più e possono portare al decesso, senza causa apparente diversa da una causa di origine vascolare.18 In caso di ictus, la sintomatologia più frequente comprende debolezza improvvisa o intorpidimento del viso, del braccio o della gamba, molto spesso localizzati in un lato del corpo; altri includono confusione, difficoltà di linguaggio o di comprensione del linguaggio, difficoltà a vedere con uno o entrambi gli occhi, difficoltà di deambulazione, capogiri, perdita di equilibrio o della coordinazione, mal di testa grave senza alcuna causa nota, svenimento o perdita di conoscenza. Se all’origine dell’ictus vi è un coagulo che ostruisce la circolazione del sangue al cervello, si parla di ictus ischemico, mentre se la causa scatenante è la rottura di un vaso sanguigno che impedisce la circolazione del sangue al cervello, si definisce ictus emorragico. Un attacco ischemico transitorio (TIA) è provocato da un coagulo temporaneo e i sintomi correlati solitamente spariscono del tutto entro 24 ore. Per i soggetti che hanno subito un TIA la probabilità di subire un ictus in futuro è molto elevata.

Prevalenza dell’ictus e tassi di mortalità

Secondo l’OMS, l’ictus è il disturbo cardiovascolare più frequente dopo la cardiopatia e colpisce 15 milioni di persone ogni anno in tutto il mondo. L’OMS stima che l’ictus sia la seconda causa di morte nel mondo; dei 15 milioni di soggetti che annualmente subiscono un ictus, 5 milioni muoiono e altri 5 sono resi permanentemente disabili dalla patologia. Nell’Unione Europea (UE) ogni anno si verificano circa un milione di ictus e circa il 25% degli uomini e il 20% delle donne di età pari almeno a 85 anni è a rischio di subire un ictus.19 Il numero totale di decessi per ictus nei 51 Paesi europei è attualmente stimato a 1.074.000 l’anno.

In Italia, si verificano circa 200mila nuovi casi di ictus ogni anno. Di questi, circa l’80% è rappresentato da nuovi episodi. La mortalità a 30 giorni dopo un ictus ischemico è pari al 20%, mentre quella a un anno è pari al 30% circa. La mortalità a 30 giorni dopo ’ictus emorragico è pari al 50%. Il tasso di prevalenza di ictus nella popolazione anziana (età 65-84 anni) italiana è del 6,5%, leggermente più alto negli uomini (7,4%) rispetto alle donne (5,9%).

Rischio di ictus correlato alla FA

La FA è un importante fattore di rischio e comporta un aumento del rischio di ictus di 5 volte rispetto alla popolazione generale. Complessivamente, si stima che la FA sia responsabile per circa il 15% di tutti gli ictus24 25 26 e per il 20% di tutti gli ictus ischemici.27 In Italia, sono 40mila le persone che soffrono della combinazione delle due patologie. Con l’invecchiamento della popolazione, il peso a livello globale dell’ictus correlato a FA continuerà ad aumentare. La prevalenza di ictus nei pazienti di età superiore ai 70 anni affetti da FA raddoppia con ciascuna decade. Inoltre, gli ictus correlati a FA sono associati ad esiti più gravi rispetto agli ictus non correlati a FA. A causa delle loro dimensioni, essi occludono un’arteria intracranica di dimensioni maggiori, escludendo dalla circolazione sanguigna una porzione più ampia del cervello. Sono solitamente collegati a livelli più elevati di morbidità e comportano costi elevati di ospedalizzazione, rispetto ad altre forme di ictus.

Ridurre il rischio di ictus nella fibrillazione atriale (FA)

Il trattamento della FA mira a ridurre i sintomi e il rischio di gravi complicanze ad essa associate, come l’ictus. La terapia di base per la riduzione del rischio di ictus correlato a FA è la terapia anticoagulante orale (OAC), con warfarin come standard di cura. Inoltre, gli approcci non farmacologici, come la chiusura dell’auricola atriale sinistra (LAA), offrono un’alternativa terapeutica, per esempio per i pazienti con FA non valvolare che necessitano di un trattamento per la possibile formazione di trombi nella LAA e che sono controindicati alla terapia con anticoagulanti orali. Questi interventi offrono una soluzione permanente ai pazienti con FA ed eliminano la necessità di assumere una terapia anticoagulante orale a vita.

Linee guida terapeutiche

Il percorso terapeutico più idoneo per la profilassi dell’ictus correlato a FA è definito da linee guida internazionali, europee e nazionali ed esistono inoltre diversi metodi per classificare il rischio di ictus. Lo schema più semplice di valutazione del rischio è l’indicatore CHADS2, che si basa su un sistema a punti, nel quale vengono assegnati due punti per anamnesi di ictus o TIA e un punto ciascuno a età superiore ai 75 anni, anamnesi di ipertensione, diabete o recente scompenso cardiaco. Le raccomandazioni terapeutiche si basano sul punteggio CHADS2 di un paziente. In aggiunta a questo parametro, le linee guida 2010 della Società Europea di Cardiologia (ESC) per la gestione della FA fanno riferimento al punteggio CHA2DS2-VASc. Tale punteggio include ulteriori fattori di rischio minori per l’ictus (quali l’età compresa tra i 65 e i 74 anni, il sesso femminile e la malattia vascolare) e completa il precedente sistema di classificazione.39 Inoltre, enfatizza l’età “superiore ai 75 anni” come importante fattore di rischio. Al fine di ridurre il rischio di ictus correlati a FA, la Società Europea di Cardiologia consiglia di avviare una terapia anticoagulante. Quando tale terapia viene usata e monitorata in modo appropriato, è molto efficace e riduce il rischio di ictus di circa due terzi. Tuttavia, i dati attuali indicano che la gestione della FA è ancora sub-ottimale e molti dei pazienti trattati con anticoagulanti non rientrano nel range terapeutico ottimale in maniera continuativa. Inoltre, una percentuale elevata di pazienti non viene trattata con anticoagulanti orali, la maggior parte dei quali ha più di 80 anni. Nell’agosto del 2012, la Società Europea di Cardiologia (ESC) ha annunciato l’inclusione della procedura di chiusura dell’auricola sinistra con dispositivo medico - come il WATCHMAN™ - all’interno delle proprie linee guida: “Guidelines for Management of Patients with Atrial Fibrillation”. Le nuove linee guida ESC raccomandano la procedura di chiusura della LAA in classe IIb, livello di evidenza B, per pazienti ad alto rischio di ictus e controindicati alla terapia anticoagulante a lungo termine, sulla base delle evidenze cliniche esistenti, come quelle provenienti dallo studio PROTECT AF.44 Già la versione precedente delle linee guida suggeriva che la chiusura della LAA avrebbe consentito una riduzione del numero di ictus in pazienti con FA.

Terapia anticoagulante

L’obiettivo della terapia anticoagulante è quello di ridurre il rischio di formazione o espansione di coaguli, attraverso la somministrazione di una bassa dose di farmaco anticoagulante. La terapia anticoagulante con warfarin (Coumadin™) è ampiamente considerata come lo standard terapeutico per la profilassi dell’ictus nei pazienti con FA ad alto rischio di ictus. Tuttavia, l’effetto terapeutico del warfarin è estremamente imprevedibile e può cambiare a causa di diversi fattori, quali le modifiche alla dieta o ai farmaci assunti in concomitanza. Di conseguenza, l’assunzione sicura ed efficace della terapia cronica con warfarin richiede un monitoraggio frequente. L’International Normalised Ratio (INR) misura il tempo di coagulazione del sangue e lo mette a confronto con un valore medio; la misurazione di questo valore è una fase importante per garantire una terapia anticoagulante ottimale. Il warfarin ha una finestra terapeutica ristretta e ciò può facilmente portare al sovradosaggio o al sottodosaggio nei pazienti, che sono così esposti al rischio di complicanze, principalmente di sanguinamento. Il sistema di segnalazione degli eventi avversi dell’FDA rilevati nei decenni del 1990 e 2000 indica che il warfarin è tra i primi 10 farmaci con il più alto numero di eventi avversi gravi correlati.

Negli ultimi anni, sono entrati in commercio nuovi anticoagulanti orali. Farmaci come apixaban, dabigatran o rivaroxaban possono essere utilizzati come alternativa al warfarin nella prevenzione dell’ictus in pazienti affetti da FA. Secondo la Società Europea di Cardiologia, i nuovi anticoagulanti orali, testati negli studi clinici finora condotti, hanno dimostrato la non-inferiorità rispetto al warfarin, offrendo una migliore efficacia, sicurezza e comodità per la maggioranza dei pazienti affetti da FA non valvolare. Sono necessari, però, ulteriori dati clinici prima di concludere che questi nuovi farmaci anticoagulanti possano sostituire il warfarin nei pazienti con FA. Pertanto, è fortemente raccomandata una rigorosa aderenza al trattamento e un attento monitoraggio, in quanto l’aderenza del paziente al trattamento e il rischio emorragico continuano a rappresentare sfide importanti per la riduzione del rischio di ictus in pazienti con FA.

Chiusura della LAA per la riduzione del rischio di ictus correlato a FA

La ricerca evidenzia che, in più del 90% dei pazienti con FA non valvolare, i coaguli di sangue che provocano l’ictus si sviluppano nell’auricola atriale sinistra (LAA). Al momento questi pazienti, essendo ad alto rischio di ictus, sono trattati con warfarin o con altri farmaci anticoagulanti. Tuttavia, chiudendo la fonte della formazione dei coaguli di sangue, si può ridurre il rischio di ictus ed eliminare la necessità di una terapia anticoagulante orale a lungo termine. La chiusura della LAA è una procedura minimamente invasiva che ha una durata di circa un’ora e offre un’opzione terapeutica permanente per la profilassi dell’ictus nei pazienti con FA non valvolare che necessitano di trattamento per la possibile formazione di trombi. Nel primo, vasto, studio randomizzato, PROTECT AF, è stato dimostrato che la chiusura della LAA con il dispositivo WATCHMAN™ rappresenta un’alternativa al warfarin. I dati clinici a lungo termine dello studio hanno dimostrato la superiorità della chiusura della LAA rispetto al warfarin nel ridurre il rischio di ictus in pazienti con FA non valvolare con un punteggio CHADS2 ≥1.58 Un secondo importante studio - lo studio ASAP (Aspirin And Plavix® ) - studio di fattibilità, non randomizzato, prospettico e multicentrico ha dimostrato una riduzione del 77% del rischio di ictus ischemico in pazienti affetti da FA, ad alto rischio e controindicati alla terapia con warfarin. La ricchezza di dati esistenti a supporto di WATCHMAN™ ha condotto, nell’agosto del 2012, all’approvazione in Europa per un uso più esteso del dispositivo, offrendo un trattamento alternativo ai pazienti affetti da FA, sia che siano tolleranti alla terapia anticoagulante orale sia che siano controindicati ad essa. Ciò consente di estendere i benefici della terapia con dispositivo ad una più vasta popolazione, in particolare a coloro che sono più soggetti di altri a un alto rischio di ictus. Un secondo studio clinico randomizzato, su larga scala, PREVAIL, conferma la sicurezza della procedura di impianto di WATCHMAN™ e ha dimostrato bassi tassi di complicanze sia tra i clinici che effettuano i primi impianti sia tra i clinici più esperti, e complicanze significativamente più basse rispetto alla fase iniziale dello studio PROTECT AF. Oltre ai risultati di efficacia e sicurezza, esistono dati clinici che sottolineano che la chiusura della LAA, effettuata con dispositivo WATCHMAN™, è complessivamente più efficace e meno costosa rispetto alla terapia farmacologica con warfarin, aspirina, clopidogrel e dabigatran, indipendentemente dal punteggio CHADS2 dei pazienti. Un’ulteriore analisi mostra una progressiva riduzione del rapporto incrementale di costo-efficacia (ICER) di chiusura della LAA vs. aspirina, al peggiorare delle condizioni dei pazienti, come dimostrato dall’aumento dei punteggi di CHADS2. Attualmente, tre dispositivi per la chiusura della LAA hanno la marcatura CE, tra cui WATCHMAN™, e vi sono altri dispositivi ancora in fase di sperimentazione clinica.

 

 

Le fonti migliori di vitamina K2 per le vostre ossa tra gli alimenti

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le fonti alimentari di vitamina k e in particolare di vitamina k2

La vitamina K è un nutriente essenziale per il corpo umano ma, piuttosto che essere un singolo composto, è formato da un gruppo di composti strutturalmente correlati. Questi composti sono tutti dotati della stessa molecola ad anello chinino alla loro estremità, che conferisce loro l´attività come vitamina K. Esse differiscono nelle loro catene laterali, con vitamina K1 avente una coda di quattro gruppi fitilici, mentre le code dei sottotipi della vitamina K2 sono formate da un numero variabile di gruppi di isoprenoidi.

 

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La vitamina K1 (fillochinone) è sempre di origine vegetale ed è la forma di vitamina K più conosciuta e studiata. E´ presente in alimenti vegetali ed il suo contenuto si trova dettagliato nei vari database nutrizionali. La vitamina K2 (menachinone) è meno conosciuta e studiata e si trova solo negli alimenti di origine animale ed anche negli alimenti fermentati. Il Menachinone-4 (MK-4), un sottotipo di menachinone prodotto da tessuti animali e il menachinone-7 (MK-7), che è presente nel fagiolo di soia fermentato (il natto), sono tra i menachinoni più studiati, ma una serie di altre forme di menachinone si trovano negli alimenti fermentati lattiero-caseari come il formaggio.

Il fegato è spesso consigliato come fonte di vitamina K2: il fegato di manzo, in particolare. Dalle tabelle allegate sembra che, nonostante il fegato di manzo contenga mk-4, in realtà non sia una fonte particolarmente buona. Tuttavia, la maggior parte degli studi non hanno testato i menachinoni a catena lunga, da mk-6 a mk-13, che sono prodotti dalla fermentazione batterica nello stomaco dei bovini e di fornisce, ai bovini stessi, una fonte facilmente assorbibile di vitamina K2. Quando assorbita dall’intestino, questi menachinoni, raggiungono il fegato dove poi sembrano rimanere. Questi possono essere visti come quantitativi irrisori anche se l’unico studio che li ha testati, ha trovato quantitativi di mk-11-12-13 piuttosto elevati. Mi piacerebbe vedere questo dato confermato, ma lo studio suggerisce che l´mk-4 non è il solo menachinone contenuto nel fegato di manzo. In effetti la quantità totale di vitamina K2 e dei vari manaquinoni contenuti nell fegato di manzo è incerta, in quanto solo uno studio minore ne ha misurati i quantitativi.

 

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I prodotti avicoli, compreso il fegato, sono in genere una buona fonte di vitamina K2 in forma di mk-4. Altre forme di vitamina K2 non sono disponibili, in quanto i polli hanno una capacità limitata per la produzione batterica di menachinoni nel loro intestino, in quanto la loro dieta è ricca in genere di vitamina K. Nella loro dieta naturale la vitamina K probabilmente è fornita dal fillochinone contenuto nelle foglie delle piante che mangiano che è convertito in mk-4 dal pollo. Tuttavia, l’alimentazione del pollame è invece di solito completata con un sacco di menadione, una forma sintetica della vitamina K (K3), che è prontamente convertito in mk-4, determinando elevati livelli di mk -4 in tutte le parti del pollo. Il menadione viene aggiunto perché i polli sono vulnerabili a carenze di vitamina K, soprattutto quando sono giovani, e l’aggiunta di menadione riduce il rischio di questa carenza in allevamenti di pollame intensivo. Questo mi porta a sospettare che gli alti livelli di mk-4 riportati nel fegato, carni e tuorli d’uovo di polli testati finora, sono molto probabilmente dovuti all´integrazione alimentare dai polli allevati industrialmente. è possibile pertanto che i polli tenuti a razzolare e liberi potranno avere livelli più bassi di mk-4 nella loro carne e uova. L´idea che mi sono fatto è che, a causa delle grandi quantità di batteri nelle viscere del ruminanti, di solito, questi, non richiedono forme supplementari di vitamina K nella loro dieta.

Di tutti i cibi di origine animale il foie gras, si distingue come la più ricca fonte di vitamina K2 in forma di mk-4. E´ incerto perché queste oche contengano tali quantitativi. Le oche si nutrono di piante verdi in misura maggiore di polli e, forse, sono solo più adatte a convertire il fillochinone in menachinone-4. Tuttavia, durante la produzione di foie gras, le oche sono alimentate con una dieta ricca di grano che non è una buona fonte di vitamina K. Sono incerto se la loro dieta sia integrata con menadione come per i polli.

 

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La vitamina K nei latticini è per lo più in forma di menachinone-4 che è prodotta nei tessuti della vacca da altre forme di vitamina nella loro dieta e per i loro batteri intestinali. Il filloquinone (K1) può trovarsi anche in piccole quantità e deve provenire dalla dieta delle mucche. Come il menachinone-4 è liposolubile e si concentra nei prodotti lattiero-caseari con un contenuto di grassi molto alto come il burro che ne contiene un maggiore quantitativo.

I vari tipi di natto analizzati contengono un contenuto di vitamina K2 in forma di mk-7 più alto di qualsiasi altro cibo. Di contro, i crauti (purtroppo industriali), sono stati testati da uno studio nei Paesi Bassi ed hanno mostrato quantità piuttosto piccole di una varietà di menachinone.

 

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I menachinoni trovati che sono presenti nel formaggio sono principalmente in forma mk-6 e mk-10 che sono i menachinoni prodotti dai batteri normalmente utilizzati per la produzione di formaggi. Ci sono anche piccole quantità di fillochinone e mk-4 che provengono dal latte di partenza utilizzato. La quantità e la miscela dei menachinoni nei prodotti caseari fermentati sembra variare parecchio tra prodotti diversi e all’interno dello stesso tipo di prodotto. Formaggi prodotti con Propionibacterium, come lo Jarlsberg, l´Emmental ed il Gouda hanno dimostrato di contenere tra i più alti valori di vitamina K in forma di menachinone-9. Tuttavia, i risultati qui mostrano che altri tipi di formaggi, tra cui formaggi molli ed il formaggio blu possono ugualmente contenere elevate quantità di vari menachinoni. L’effetto nutrizionale di questa forma di vitamina K per la salute umana hanno finora ricevuto scarsa attenzione.

 

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Sorprende il contenuto di menaquinone-9 dei latti fermentati con batteri mesofillici. Purtroppo lo studio che ho preso in esame non specificava con quali batteri mesofillici erano prodotti questi latti fermentati però specificando che la temperatura di fermentazione era inferiore rispetto alla fermentazione classica se ne deduceva che questi erano prodotti lattiero-caseari tipo kefir.

 

il ruolo della vitamina k

Per molti anni si è pensato che la funzione della vitamina K fosse esclusivamente legata ai processi di attivazione dei fattori della coagulazione. Tuttavia negli ultimi dieci anni ha assunto sempre più importanza la vitamina K2, in relazione al suo ruolo nell’ambito delle malattie cardiovascolari e dell’osteoporosi.

Esistono due forme di Vitamina K, K1 e K2, ed è importante conoscere le differenze tra loro: la Vitamina K1 (fillochinone) si trova nei vegetali verdi, va direttamente nel fegato ed aiuta a mantenere un corretto controllo della coagulazione sanguigna (è la vitamina che spesso viene data ai neonati alla nascita per aiutare a prevenire problemi emorragici, ma questa pratica è sotto osservazione per il forte sospetto che possa provocare in seguito problemi cognitivi nei bambini, NdT). 

La Vitamina K2 (menachinone, MK) è prodotta dai batteri, è presente in alte quantità nell’intestino, ma sfortunatamente è scarsamente assorbita e passa nelle feci. La troviamo direttamente nelle pareti dei vasi sanguigni, nelle ossa e nei tessuti, oltre che nel fegato. Si trova nei cibi fermentati, particolarmente nei formaggi e nel Natto, un cibo giapponese a base di semi di soia fermentati, che ne è la maggiore fonte.

Il calcio risulta essenziale per ogni cellula del corpo, svolgendo una serie di ruoli importanti, ma l’eccessiva calcificazione delle pareti delle arterie rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare, poiché oltre ad aumentare la loro rigidità e fragilità, ostacola il normale flusso sanguigno da e verso il cuore. Recenti evidenze hanno mostrato inoltre che la calcificazione arteriosa a livello dei più importanti vasi sanguigni al di fuori del cervello, visibile nelle scansioni di risonanza magnetica (MRI), si associa a malattia vascolare cerebrale e può essere collegata a rischi futuri di demenza e ictus.

E’ noto da tempo che gli individui che presentano una carenza di calcio nello scheletro (cioè sono a rischio di osteoporosi o sono già osteoporotici) hanno una più elevata tendenza ad andare incontro alla malattia cardiovascolare per la presenza di calcificazioni a livello dei vasi arteriosi (coronarie, vasi cerebrali e renali). Al contrario, chi presenta più calcio a livello dello scheletro tende ad avere minori depositi calcifici nelle arterie e quindi minor rischio cardiovascolare.

Alla base di questo fenomeno, noto come “Paradosso del calcio”, esiste una non corretta utilizzazione da parte dell’organismo del minerale quotidianamente assunto con gli alimenti o con gli integratori.

Un tempo infatti, si credeva che la calcificazione fosse un processo irreversibile e un risultato dell’invecchiamento, ma oggi sappiamo che la giusta presenza di calcio a livello dei vasi e anche nello scheletro è legata, oltre che allo stesso calcio, anche alla Vitamina K2, in grado sia di evitare la calcificazione delle arterie e l’insorgenza dell’arteriosclerosi, sia di prevenire l’osteoporosi.

Vitamina K2: elemento essenziale per la salute cardiovascolare

La Vitamina K2 è una vitamina liposolubile non stoccata nell'organismo umano, e quindi deve essere introdotta regolarmente attraverso l'alimentazione. Svolge un fisiologico effetto protettivo contro la calcificazione delle pareti arteriose: recentemente infatti è stato dimostrato che attiva l’ MGP (proteina Gla della matrice vitamina K dipendente), che lega il calcio presente nelle pareti dei vasi attraverso un processo di carbossilazione.

E 'ormai noto che l'accumulo di calcio è un processo attivo, regolato e fortemente influenzato dalla Matrix Gla Protein (MGP), il più potente inibitore della calcificazione dei tessuti molli attualmente conosciuto, che lega il calcio ed evita che si depositi nelle pareti dei vasi, contribuendo quindi a mantenere le arterie elastiche e flessibili.

Per svolgere adeguatamente le proprie funzioni inibitorie l’MGP deve essere attivata dalla Vitamina K2 in una reazione di carbossilazione, e la carenza di questa Vitamina porta alla sintesi di specie inattive dell’ MGP, che non possono inibire la calcificazione.

Adulti sani in carenza di vitamina K producono questa proteina in forma inattiva per il 30%, in questo modo la protezione dalla calcificazione cardiovascolare è solo del 70% nella popolazione giovane e sana, mentre tende a decrescere con l’età.

Nei tessuti arteriosi sani si è osservata una concentrazione di Vitamina K 20-50 volte superiore a quella delle arterie malate.

Vitamina K2: benefici sulla salute delle ossa

La Vitamina K2 ha inoltre un ruolo chiave nell'omeostasi dell'osso, perché è necessaria per l’attivazione dell'osteocalcina, proteina fondamentale per la normale mineralizzazione ossea in grado di legare i cristalli di idrossiapatite (65% della struttura ossea) e di regolarne la crescita. La Vitamina K2 (MK-7) mostra una maggiore biodisponibilità intestinale rispetto alla Vitamina K1 e contribuisce anche a incrementare e migliorare la sintesi degli osteoblasti. Il meccanismo antifratturativo della Vitamina K2 si pone in alternativa a quelli dei farmaci oggi disponibili per la prevenzione e terapia dell'osteoporosi. Come dimostrano gli studi clinici, i farmaci tradizionali agiscono aumentando la densità (estrogeni, bisfosfonati) o il volume osseo (paratormone), ma non sono tuttavia in grado di incidere su altri parametri importanti, quali la qualità dell'osso neoformato.

Studi Clinici

Gli effetti benefici della vitamina K2 sono stati ampiamente documentati in anni di ricerca e  dalla comparazione tra Vita K1 e K2 è emerso che solo quest’ultima produce effetti positivi sulla salute. Ciò è coerente con quanto evidenziato da importanti studi, che hanno rilevato la superiorità in termini di benefici sulla salute della K2.

Fra tutti il Rotterdam Study è stato il primo a dimostrare che un’assunzione quotidiana di Vitamina K2, superiore a 32 mcg, riduce il rischio sia di calcificazioni arteriose, che di morte cardiovascolare, di ben il 50%, senza avere effetti collaterali.

Nel Prospect Study, dove 16000 persone sono state seguite per 10 anni, i ricercatori hanno osservato che ogni dose supplementare di 10 mcg di K2 nella dieta, ha permesso una riduzione del 9% del rischio di malattia coronarica, mentre la vitamina K1 non ha ottenuto gli stessi i risultati. 

 

 

E' provato: l'alcol nell'adolescenza distrugge il cervello

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Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Alcoholism: Clinical & Experimental Research esamina la correlazione tra l'esposizione ripetuta all'alcol durante l'adolescenza e i suoi effetti su apprendimento e memoria.

Lo studio, condotto dal Dipartimento di psichiatria e scienze comportamentali della Duke University Medical School, ha sottoposto all'alcol dei roditori in fase adolescente per esplorarne l'impatto cellulare e sinaptico risultante. Il problema è il seguente: durante l'adolescenza il cervello non si è ancora completamente sviluppato e l'esposizione ripetuta all'alcol durante quel periodo può, in parole povere, bruciare diverse connessioni cerebrali che potrebbero tornare utili più avanti nel corso della vita.

Ma a chi si riferiscono esattamente i ricercatori quando parlano di "adolescenti"? "Per la legge, una volta raggiunti i 18 anni si viene considerati adulti, ma il cervello continua a maturare fino ai 25 anni circa", ha spiegato l'autrice e ricercatrice Mary-Louise Risher. Evitare l'alcol per tutto quel tempo?

Ecco com'è andato l'esperimento. I ricercatori hanno esposto i giovani roditori a un livello di alcol tale da "stordire, ma non sedare". Anche senza essee esposti ulteriormente all'alcol in età adulta, gli animali sono risultati più "stupidi" delle loro controparti astemie. "L'esposizione ripetuta all'alcol […] ha causato cambiamenti a lungo termine nelle regioni del cervello che controllano l'apprendimento e la memoria", scrivono i ricercatori.

La memoria e le funzioni cognitive nei topi sottoposti all'esperimento sono peggiorate a causa di un'eccessiva attività di potenziamento a lungo termine, o LTP, una forma di plasticità sinaptica del cervello. In breve, le sinapsi dei ratti che avevano sbevazzato erano sature e gli animali sono diventati incapaci di apprendere.

Inoltre, aggiungono gli scienziati, dopo aver assorbito l'equivalente di troppi white russian per topi, nelle povere cavie si è verificato un vero e proprio cambiamento strutturale. Le spine dendritiche - minuscole protrusioni che partono dalle ramificazioni delle cellule cerebrali - non sono naturate a causa dell'esposizione precoce all'alcol. Insomma, avvertono i ricercatori, "durante l'esposizione all'alcol in fase adolescenziale accade qualcosa che cambia il modo in cui funzionano l'ippocampo e altre regioni del cervello" e quel qualcosa non è niente di buono.

 

 

Quali consigli dà il libro La grande via di Franco Berrino e Luigi Fontana?

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Alcune critiche e precisazioni di learningsources al libro La grande via di Franco Berrino e Luigi Fontana

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Ci si limiterà a trattare solo alcuni punti del libro di Berrino e Fontana, in attesa di poter scrivere una recensione più completa.

 

(1) Non è vero che assumere la quantità consigliata di proteine giornaliere da fonti animali, e in particolare dai latticini, faccia decalcificare lo scheletro. Robert Heaney, una autorità mondiale (direi una leggenda) nel campo dell'Osteologia, di cui è stato pubblicato in Italia il libro "Come farsi le ossa nella vita" (che consiglio di leggere) considera questa affermazione una vera bufala (Heaney, "Protein intake and bone health: the influence of belief systems on the conduct of nutritional science",The American Journal of Clinical Nutrition, 2001) e con lui, per buona misura, il professor Eugenio del Toma, uno dei più autorevoli nutrizionisti italiani.

Gli studi mostrano chiaramente che in una dieta con adeguate quantità di frutta e verdura e con adeguato apporto di calcio proveniente da latticini, la perdita di calcio nelle urine, che innegabilmente si verifica quando si assumono proteine, è diminuita dagli alcali della frutta e più che compensata dal maggiore apporto di calcio e dal maggiore assorbimento del calcio intestinale.

Heaney rincara la dose affermando che la dose raccomandata di proteine è probabilmente più bassa di quella richiesta per la saluta delle ossa, in particolare negli anziani (Heaney et al., “Amount and type of proteine influences bone health”, The American Journal of Clinical Nutrition, 2008).

Anche gli studi di Valerio Longo e dei suoi collaboratori mostrano che dopo i 65 anni una maggior assunzione di proteine è benefica (Longo et alt., "Low Protein Intake is Associated with a Major Reduction in IGF-1, Cancer, and Overall Mortality in the 65 and Younger but Not Older Population")

Pensare che le proteine non sono necessarie per le ossa (come un lettore ingenuo potrebbe essere portato a supporre leggendo Berrino) è una vera eresia. Le proteine costituiscono il 50% del volume delle ossa e circa 1/3 della sua massa. La matrice proteica è sottoposta ad un continuo turnover e rimodellamento. Molto del collagene rilasciato durante questi processi non può essere riutilizzato per costruire nuova matrice ossea, e quindi un supplemento giornaliero di proteine è necessario per la conservazione delle ossa.

In uno studio del 2002 è mostrato che l’assunzione di proteine da parte di un gruppo che assumeva supplementi di calcio conduceva ad un guadagno di massa ossea, laddove il gruppo di controllo senza supplementi la perdeva (Dawson-Hughes et al., "Calcium intake influences the association of protein intake with rates of bone loss in elderly men and women", The American Journal of Clinical Nutrition, 2002). Di più: quelli con il più basso consumo di proteine avevano perso massa ossea, mentre quelli col più alto consumo di proteine avevano guadagnato massa ossea. Questo studio prova che il calcio non è sufficiente a proteggere lo scheletro quando l’assunzione di proteine è bassa, e confuta l’idea che un’alta assunzione di proteine danneggia lo scheletro. Lo studio mostra che l’escrezione urinaria di calcio aumenta leggermente, ma non in modo significativo, quando si assumono proteine, sfatando un’altra idea diffusa da certi ricercatori troppo influenzati dal pensiero vegano radicale.

(Per inciso: l'affermazione che la caseina dei latticini faccia venire il cancro, propalata da Colin Campbell, è un'altra bufala: vedi in proposito quanto ne scrive l'ottimo Dario Bressanini (biologo) nel suo blog "Scienza in cucina" nel post "China Study: Bibbia o bufala?")

(Per chi non conoscesse il blog del biologo Dario Bressanini e il suo livello di serietà dirò solo che è il blog ufficiale di "Le Scienze", l'edizione italiana della prestigiosa rivista "Scientific American")

Uno studio su un gruppo di donne latto-ovo-vegetariane, il cui consumo di latticini è presumibilmente alquanto elevato, mostra che la salute delle loro ossa è addirittura superiore a quella delle donne onnivore e sicuramente superiore a quella dei vegani.

E per finire, citerò, accanto agli studi clinici che ho indicato, una "comunicazione personale": non più tardi di due anni fa, un medico che lavora al prestigioso CTO di Torino ha confidato allo scrivente che vede in soggetti vegani di 40 fratture e deficienze ossee che di solito riscontra in soggetti onnivori pù anziani di 20 anni.

Vedete un po' voi...

 

(2) Non è vero, come affermano Berrino e Fontana, che i "grani antichi" contengano meno glutine e quindi siano più benefici dei "grani moderni". Vedi l'approfondita disamina della questione, con tanto di rassegna della letteratura scientifica più recente sull'argomento, nel blog di Dario Bressanini, “Scienza in cucina”, nel post "Grano antico fa buon glutine?” dove viene smontata scientificamente questa affermazione.

 

(3) Non è del tutto provato che le proteine vegetali, in particolare quelle di soia, possono essere sostituite alla carne nello svezzamento dei bambini senza che si noti alcuna differenza nella loro crescita: studi effettuati sui piccoli di primati a cui sono state somministrate proteine di soia mostrano che il loro sviluppo scheletrico è più lento e che lo scheletro, sebbene ugualmente mineralizzato, è più piccolo (Ullrey et al., “Nutrient Requirements for Nonhuman Primates”, 2003). E' possibile che lo stesso effetto (bambini più bassi) si riscontri negli esseri umani, anche se le proteine di soia vengano complementate con altre proteine vegetali, perché le proteine vegetali (come mostrano Longo e Fontana negli studi citati proprio nel libro di Berrino) stimolano in misura minore il fattore di crescita IGF-1.

Inoltre, le proteine di soia somministrate ai piccoli di primati limitano in maniera significativa l'assorbimento di ferro, e i piccoli sviluppano anemia nel giro di sei mesi. (Ullrey et al., cit.).

Ci sono poi aminoacidi, come la taurina, che non sono contenuti che in minima misura in cibi vegetali. Piccole scimmie nutrite con una preparazione per la nutrizione infantile umana a base di soia hanno mostrato seri disturbi metabolici e di sviluppo dell'apparato visivo a causa della deficienza di taurina (Ullrey et al., cit.).

Gli acidi grassi omega-3, essenziali per lo sviluppo del cervello del neonato e del bambino che si trovano nei vegetali sono in quantità minore e con biodisponibilità molto minore (20-30% solamente) rispetto ai cibi animali (pesce, crostacei, molluschi, tuorli di uova di galline allevate allo stato selvatico).

La vitamina B12, pure essenziale per lo sviluppo cerebrale, non si trova in cibi vegetali.

E l'elenco di possibili deficienze nutritive potrebbe continuare.

 

(4) Questo ci porta ad un altro punto debole del libro di Berrino: in esso non si fa sufficiente distinzione tra le necessità nutrizionali di età diverse. Le necessità nutrizionali di un bambino e di un adolescente sono diverse da quelle di un individuo in età matura, che a loro volta sono diverse da quelle di una persona anziana. Non si può estrapolare da studi fatti prevalentemente per la fascia di età adulta conclusioni sull'effetto di certi nutrienti sulla fascia di età infantile e dell'adolescenza.

Valerio Longo, nel suo libro La dieta della longevità, conferma questo punto di vista, quando, nel riportare gli esperimenti sulla relazione tra proteine e neoplasie, afferma che gli studi hanno mostrato che dopo i 65 anni un incremento dell'assunzione proteica appare maggiormente protettivo nei confronti del rischio di patologie.

Ai bambini svezzati e agli adolescenti dovrebbero essere concessi i cibi animali (tra cui latticini e carne rossa) con maggiore ampiezza rispetto ai soggetti in età più matura, perché diversamente c'è serio rischio di carenze nutritive. Il professor Eugenio del Toma si è dichiarato in una recente intervista recisamente contrario a razionare carne e latticini a bambini e agli adolescenti, perché questo, secondo lui, vorrebbe dire privarli di importanti principi nutritivi necessari per la loro crescita.

La salute delle ossa si gioca in particolare nei primi 23 anni di vita, quando la densità ossea raggiunge il picco per poi decrescere inesorabilmente nel corso della vita successiva. Chi riesce a farsi uno scheletro più forte è immunizzato dai pericoli di osteoporosi in età adulta e avanzata. Dosare con troppa parsimonia proteine e latticini in giovane età potrebbe avere conseguenze negative nel corso successivo della vita.

Berrino cita studi epidemiologici che mostrerebbero che una nutrizione iperproteica della madre produrrebbe obesità dei figli una volta giunti alla maggiore età e che provocherebbero anticipo del menarca e conseguente maggiore predisposizione al cancro al seno nelle donne. Ma gli studi sull'anticipo del menarca dovuto a (eccesso di) proteine animali e sulla successiva obesità dei figli sono ancora tutti da confermare, e in ogni caso riguardano una dose di proteine superiore a quella raccomandata dai nutrizionisti.

 

(5) Non è vero che è stato dimostrato "al di là di ogni dubbio", come dice Berrino nel suo sito www.lagrandevia.it, che un consumo giornaliero moderato di carne rossa non conservata favorisca le infiammazioni e il diabete. In uno studio recente viene mostrato che coloro che assumono 60 gr. di carne rossa fresca (non conservata) al giorno non hanno un rischio cardiovascolare superiore a quello dei vegetariani, se mantengono un Body Mass Index nella norma e fanno uno stile di vita sano, non sedentario e senza fumo né troppo sale (Ley et al., "Associations between red meat intake and biomarkers of inflammation and glucose metabolism in women", Am J Clin Nutr. 2014). Dallo studio emerge che la parte maggiore nel causare infiammazione e alterazioni metaboliche sia imputabile ad un errato indice di massa corporea. Lo studio citato da Berrino afferma addirittura che "il consumo di carne conservata, ma non quello di carne non conservata, è associato ad un più alto rischio di patologie cardiovascolari e diabete" (Micha et al., "Red and processed meat consumption and risk of incident coronary heart disease, stroke, and diabetes mellitus: a systematic review and meta-analysis", Circulation, 2010), mostrando che il prof. Berrino non dovrebbe fare di tutte le erbe un fascio.

Una parte delle critiche di Berrino alla carne è frutto di mancati e doverosi distinguo che lui per primo, come scienziato obiettivo e rigoroso, avrebbe dovuto fare: tra carne fresca e tra carne conservata, ma soprattutto tra carne di animali allevati in batteria e carne di animali allevati con metodi naturali. Berrino, nel criticare il consumo di carni rosse, allude più volte al fatto che in quelle prodotte in allevamenti tradizionali sono talvolta presenti alte quantità di ormoni, tra cui il testosterone, che è un noto promotore di cancro, ad es. alla prostata, ma questo lascia impregiudicata la questione per le carni prodotte in modo sano e controllato

(Una dritta per tutti: la carne di puledro è una delle più sane in assoluto, perché questi giovani animali non sopportano la somministrazione di preparati per la crescita utilizzati per i bovini).

Berrino stesso, nel libro Processo alla carne afferma testualmente che lui mangerebbe carni di animali dei cui controlli sulla salute fosse sicuro, allevati liberamente e con i frutti della natura.

 

(6) Non è vero che la restrizione calorica possa condurre tutti a 120 anni di età. I centenari sono una rarità genetica, ed il loro numero non dipende certamente solo dalle abitudini alimentari di quella popolazione (non è vero tra l'altro che tutti i centenari mangino diete corrette).

Si potrebbe addirittura ipotizzare una situazione in cui una popolazione, durante un precedente periodo storico, abbia mangiato talmente male che gli individui più deboli siano stati tolti di mezzo a causa dei terribili danni della dieta, dieta che successivamente è migliorata. Di conseguenza, questa popolazione ha sviluppato un numero di centenari molto superiori a quelli con diete più sane di quella che segue attualmente, per una sorta di… eugenetica alla rovescia.

L'aumento della vita media dei macachi sottoposti a restrizione calorica, considerando tutte le cause di mortalità, è stato di 1,5 anni (da 24,73 anni a 26,23 anni) (Colman et al., "Caloric restriction reduces age-related and all-cause mortality in rhesus monkeys") che, rapportato alla durata media della vita della popolazione occidentale (79 anni) rappresenta un aumento della vita media pari a 4,79 anni, in linea con l’aspettativa di vita più lunga del mondo, quella della popolazione di Okinawa, che è di 4,6 anni superiore a quella degli Stati Uniti per le femmine e di 2,3 anni per i maschi (Wilcox, “Caloric Restriction, CR Mimetics, and Healthy Aging in Okinawa: Controversies and Clinical Implications”, Curr Opin Clin Nutr Metab Care. 2014). Come si vede, adottando la dieta di Okinawa, caratterizzata da una modesta restrizione calorica, un individuo di sesso maschile ottiene benefici sensibili ma non eccezionali, e un individuo di sesso femminile non può sperare di arrivare ai 100 anni se non nei pochi casi in cui i geni gli consentono già di arrivare ad una età molto avanzata.

 

(7) Non è vero che gli esperimenti sui primati mostrano che una restrizione calorica del 30% sia necessaria per ottenere gli effetti della longevità. Uno degli esperimenti citati da Berrino in nota contraddice la sua affermazione! I due esperimenti principali sulla restrizione calorica dei macachi hanno mostrato che un identico aumento della durata della vita media delle scimmie si è verificato anche nelle scimmie del gruppo di controllo nutrite con moderazione (Mattison et al., ”Impact of caloric restriction on health and survival in rhesus monkeys from the NIA study”, 2012; Colman et al., "Caloric restriction reduces age-related and all-cause mortality in rhesus monkeys")

(E' però vero che le scimmie dell'esperimento dell'Università del Wisconsin hanno mostrato una completa immunizzazione al cancro solo con una restrizione del 30%).

Si tenga presente che con una restrizione del 30% il rischio malnutrizione è elevatissimo.

Nell'esperimento che il prof. Fontana ha fatto, confrontando un gruppo di individui che praticavano la restrizione calorica con un gruppo di controllo, nel primo gruppo non tutti la praticavano al 30% (Fontana et al., "Long-term calorie restriction is highly effective in reducing the risk for atherosclerosis in humans", Proceedings of the National Academy of Sciences USA, 2004). Alcuni assumevano addirittura 2200 calorie giornaliere, cosa che non chiamerei restrizione calorica.

È possibile evitare la restrizione calorica? In generale non è ancora ben chiaro quanta parte dei benefici della restrizione calorica sia dovuta ad un diminuito BMI o ad una restrizione nel consumo di proteine o ad un aumento di proteine vegetali rispetto a quelle animali. Aumentare le proteine vegetali potrebbe diminuire la necessità di restrizione calorica, come pure il digiuno intermittente o la concentrazione dei pasti della giornata potrebbero  essere una alternativa.

Fontana nota che i centenari di Okinawa prendono il 9% dell'energia dalle proteine, che, per una persona che assume 2.200 calorie, rappresentano proprio gli 0,8 g/kg raccomandati dai nutrizionisti. Questo conferma che 2.200 calorie è una moderata restrizione calorica, capace di assicurare i vantaggi della longevità (Fontana et al., "Long-term calorie restriction is highly effective in reducing the risk for atherosclerosis in humans", Proceedings of the National Academy of Sciences USA, 2004) e di rispettare la RDA di proteine giornaliera.

 

(8) La regola del giusto mezzo è sempre una regola aurea. Se è vero che un aumentato livello di IGF-1 a seguito di aumentato introito proteico comporta un maggiore rischio di cancro, è però vero che un basso livello di IGF-1 comporta rischi per lo scheletro e che un basso livello di IGF-1 è legato a calo cognitivo e demenza nelle persone che invecchiano. Quindi sarebbe opportuno incrementare le proteine durante lo sviluppo e la vecchiaia, e decrementarlo nel segmento intermedio della vita. In altre parole, la soluzione delle proteine vegetali per limitare il fattore IGF-1 non è la ricetta per tutte le stagioni.

 

(9) Non è vero che la RDA consigliata di proteine è eccessiva, sotto nessun punto di vista, e faccia venire il cancro, soprattutto se sono proteine animali. Se è vero che spesso consumiamo troppe proteine rispetto alle raccomandazioni ufficiali, non è assolutamente vero che le raccomandazioni ufficiali sono esagerate e promuovono la malattia. Un semplice calcolo mostra che un adulto che consuma 2200 calorie al giorno, assumendo la RDA consigliata di 0,8 grammi per kg di peso corporeo, assumerebbe attraverso le proteine il 9,8% dell'energia che gli abbisogna, che non è lontano dal valore del 7% che Fontana ha mostrato produca una regressione fino al 57% dei tumori alla prostata e al seno negli animali di laboratorio (Fontana et al., "Dietary protein restriction inhibits tumor growth in human xenograft models of prostate and breast cancer"). In altre parole: non c'è bisogno di restringere ulteriormente la RDA per ottenere i benefici che Fontana e Longo predicano per la restrizione calorica e la restrizione proteica, anche se si mangiano proteine provenienti esclusivamente da fonti animali. Se poi si sostituisce una parte delle proteine animali con proteine vegetali, la protezione è ancora maggiore e non c'è bisogno di scendere con la quantità giornaliera.

Dopo i 65 anni il legame tra proteine e patologie si inverte, e un aumento di consumo proteico è associato ad una minore mortalità (Morgan et al., " Low Protein Intake is Associated with a Major Reduction in IGF-1, Cancer, and Overall Mortality in the 65 and Younger but Not Older Population").

Fontana nota che i centenari di Okinawa consumano il 9% dalle proteine, che è proprio 0,8 g/kg e 2.200 calorie, che conferma che 2.200 calorie è una moderata restrizione calorica, capace di assicurare i vantaggi della longevità (Fontana et al., "Dietary protein restriction inhibits tumor growth in human xenograft models of prostate and breast cancer").

 

(10) Come non esiste una ricetta per tutte le stagioni così non esiste una ricetta per tutte le patologie. Berrino e Fontana dovrebbero saperlo meglio di tutti: ogni medico sa che ciò che cura una patologia, non sempre è completamente innocuo per un'altra. Valga per tutti il caso dell'aspirina: è un farmaco importante nella prevenzione secondaria dell'ictus e dell'infarto, e in certi casi anche di quella primaria, ma promuove una catena di reazioni cellulari che privano lo stomaco e l'intestino del loro prezioso rivestimento di bicarbonato, causando a certuni problemi digestivi.

Declino cognitivo e patologie legate all'età (cancro, disturbi cardiovascolari, osteoporosi, diabete) NON SEMPRE conducono agli stessi requisiti dietologici di prevenzione.

Un colesterolo inferiore a 190 ml/dl si accompagna ad un declino nei punteggi dei test cognitivi, e un declino del fattore IGF-1 si accompagna ad un declino cognitivo per gli anziani, mentre sono protettivi rispetto al cancro.

Un surplus di proteine promuove meglio la salute del cervello rispetto ad un deficit, anche se può essere meno protettivo rispetto al cancro. Secondo uno studio recentissimo, chi consuma il 20% in più di proteine, secondo uno studio sulla popolazion cinese, ha meno probabilità di ictus, una dei principali eventi distruttivi del cervello. Sembra addirittura che per ogni 20% in più di proteine il rischio di ictus scenda del 26%.

Una dieta vegana che immunizza dai disturbi cardiovascolari può provocare deficit di vitamine del complesso B che possono danneggiare nel lungo termine le facoltà cognitive e la funzionalità del cervello.

Mangiare esclusivamente proteine vegetali immunizza forse (e dicesi forse) completamente dal cancro, ma mangiare tuorli di galline allevate allo stato selvatico, pesce grasso, crostacei e molluschi (che sono ricchissimi di colesterolo) dà al cervello i preziosi grassi omega-3 che servono per mantenerne la sua funzionalità nel tempo.

A che pro vivere sano dieci anni in più ma impossibilitato a leggere un libro o a ricordare ciò che si è fatto cinque minuti prima, venendo considerato un demente da quelli che ci sono intorno?

Pensare di rallentare il declino cognitivo con meditazione ed esercizi, come propone Berrino, è fideistico e chimerico, se vi sono deficit importanti sul piano nutrizionale.

È questione di scelte personali stabilire un equilibrio tra le esigenze della prevenzione del declino cognitivo e quelle delle altre patologie legate all'età.

 

(11) Si vorrebbe anche far notare al Prof. Berrino che esistono cose chiamate analisi mediche, che possono dirci se è il caso, per noi, di intraprendere la dieta che egli vorrebbe far intraprendere a tutti. Se una persona ha bassi marcatori di infiammazione e basso IGF-1 può evitare le sofferenze della restrizione calorica e del vegetarianesimo che egli addita e vivere felice.

 

(12) Valerio Longo, nel libro La dieta della longevità, ammonisce a mangiare la dieta dei propri antenati, con solo lievi modifiche per adattarla alle più recenti scoperte scientifiche, senza gettarsi in diete che sono una assoluta novità per il proprio genoma, come quella vegana.

 

(13) Esiste un certo numero di correzioni al nostro stile di vita che andrebbero fatte PRIMA di darsi al veganesimo, alle proteine vegetali, alla restrizione calorica, alla macrobiotica, alla restrizione proteica e ai pellegrinaggi mariani per vedere se il cambiamento nelle vostre analisi è sufficiente:

a) Eliminare il sale; b) Riportare il consumo di proteine al disotto di 1 grammo al giorno; c) Provare a mangiare quanto basta per non dimagrire, ma non di più; d) Eliminare i latticini grassi e le carni grasse, cioè gli alimenti ricchi di grassi saturi sostituendoli con le carni magre, il pollame e i latticini magri come lo yogurt e i fiocchi di latte (anche mozzarelle, in mancanza di maggior forza di volontà…); e) Prendere un supplemento di Omega-3, perché la nostra dieta è squilibrata verso gli omega-6; f) Aumentare la quantità di frutta e verdura nella dieta; f) Eliminare lo zucchero raffinato e tutti i cibi che lo contengono (comprese, ahimé, le marmellate); g) Riportare i BMI nella norma; h) Sostituire (almeno in parte) il pesce alla carne (almeno due porzioni settimanali di pesci ricchi di omega-3 come sgombri e sardine); i) Introdurre 4 noci al giorno nella dieta; j) Portare l'esercizio fisico a 150 minuti settimanali di esercizio moderato o a 75 minuti settimanali di esercizio vigoroso (tanto basta per l'American Cancer Society): cioè l'equivalente di parcheggiare ogni giorno la propria auto a un km di distanza dal posto di lavoro e fare il tratto rimanente a piedi; k) Eliminare il fumo; l) inserire un minestrone al giorno o ogni due giorni nella dieta; m) Eliminare tutti i cibi che contengono "calorie nude"; n) Eliminare tutti i cibi che contengono grassi idrogenati o che nell'etichetta riportano "grassi vegetali" senza specificarne il tipo, e se possibile limitare i prodotti industriali a base di olio di mais o di girasole (che anche se più sani sono estratti con procedimenti chimici e si ossidano facilmente); o) Eliminare la "carne vegana" a base di proteine isolate di soia, prodotta con dubbi procedimenti chimici, e passare agli altri prodotti di soia più tradizionali e più sani; p) Eliminare tutte le fonti di alluminio che provocano demenza, a cominciare da prodotti contro l'acidità di stomaco che contengono sali di alluminio; q) Assumere più liquidi per migliorare l'evacuazione; r) assumere the verde; s) evacuare in posizione accosciata; f) Aumentare la quantità di calcio e vitamina D, con supplementi o l'esposizione alla luce solare; g) prendere un integratore di vitamine e sali minerali (Valerio Longo lo consiglia).

Queste modifiche probabilmente produrranno più frutto della restrizione calorica, e produrranno l'80% dei suoi risultati, senza bisogno di affamarsi a vita inseguendo l'impossibile sogno dell'immortalità.

 

(14) Cereali integrali sì, cereali integrali no: si propongono un po' di riflessioni in ordine sparso, che suggeriscono una posizione di equilibrio e cautela, prima di riempire la propria dieta con enormi quantità di "whole grains" o addirittura passare al macrobiotico integrale (praticamente solo cereali).

I cereali integrali non hanno un indice glicemico inferiore a quello dei cereali non integrali

L'arsenico, che la cuticola del riso attrae come un magnete, è un potente mutageno cancerogeno, insieme al berillio, e danneggia il rivestimento dello stomaco e dell'intestino.

La cuticola dei cereali integrali contiene fitati, che impediscono l'assorbimento di sali e vitamine.

Le fibre indigeribili dei cereali e dei legumi provocano flatulenza, perché le emicellulose producono nell'intestino una massa di gas pari a cinquanta volte il proprio volume.

Prima di darvi al culto della cuticola grezza, vi consiglio caldamente di fare una mossa razionale: portare i vostri cereali presso un laboratorio di analisi chimiche e farli analizzare alla ricerca di tracce di arsenico, PCB e pesticidi vari. Dopodiché, se siete stati rassicurati come lo scrivente, che adora il riso integrale, potete mangiarlo tranquillamente.

I cereali sono acidificanti, esattamente come la carne, anche se in misura minore, e mancano studi sugli effetti a lungo termine del loro potere acidificante.

Tutti gli antropologi sanno che gli scheletri con meno di diecimila anni, cioè da quando è stata scoperta l'agricoltura e si è cominciato a consumare i cereali, sono più piccoli, con la dentatura rovinata e meno mineralizzati. Questo per dire che i cereali, da soli, non sono il toccasana, e che non deve venirvi in mente di darvi ad una dieta macrobiotica a base di soli cereali.

Si vorrebbe sapere dove il prof. Berrino vede tutta questa favolosa ricchezza di "vitamine del complesso B" nella cuticola dei cereali: frumento, orzo, segale e riso hanno solo la vitamina B1 e B2 e B3; l'avena non possiede vitamine del complesso B. Mancano le vitamine B5 (acido pantotenico), B6 (piridossina), B8 (biotina), B9 (acido folico), B12 (cobalamina).

 

(16) È vero che esistono popolazioni primitive praticamente vegane, come ad esempio i Papua della Nuova Guinea, la cui dieta è stata descritta da Jared Diamond nel suo libro Il mondo fino a ieri, ma è altrettanto vero che, a parte i cacciatori-raccoglitori estinti, esistono popoli arcaici (e sono in verità la assoluta maggioranza), che si alimentano anche con fonti animali. Gli antropologi e i biologi evoluzionisti oggi tendono a pensare che non esista una sola dieta sana, ma ne esistano molte.

Berrino ne è ben consapevole, e per screditare le "altre" diete, afferma che non si ha notizia di centenari presso i popoli che seguono queste diete.

Si potrebbe rispondere al prof. Berrino in molte maniere, a cominciare dal fatto che "lui non c'era" per registrare il numero di obituari paleolitici di ultratentenari, e che in base a questo criterio anche la dieta dei Papua, che hanno una salute strepitosa, sarebbe errata, visto che non si ha notizia di centenari neanche tra di loro: in realtà i popoli che vivono allo stadio paleolitico hanno un'alta mortalità dovuta a parassitosi, malattie infettive, carestie, violenza, avverse condizioni ambientali, che impedisce di raggiungere un'età molto tarda.

 

(18) La dieta vegana è una dieta eccellente per i cardiopatici (Bill Clinton è passato al veganesimo dopo il terzo bypass, e ha rilasciato una intervista alla CNN in cui dice di stare benissimo) e forse anche per chi soffre di gravi infiammazioni sistemiche (lupus, artrite reumatoide ecc.) e anche per chi deve compiere un cammino spirituale, ma ha delle controindicazioni che dovrebbero essere conosciute.

Chi addita popolazioni che da tempo immemorabile hanno una dieta completamente vegetale (es. i Papua della Nuova Guinea) trascura il fatto che esiste pur sempre una complementazione con piccoli animali e insetti, ma soprattutto che quelle popolazioni sono adattate da millenni al loro ambiente. A meno di non essere sicuro di avere i geni giusti, sarebbe il caso di riflettere a lungo prima di abbracciare la dieta vegana, una dieta che nella sua purezza non è mai stata praticata da alcun popolo della terra e che se fosse “naturale" per il nostro corpo non darebbe tante carenze nutritive (vitamina B12, calcio, ferro in testa)

 

(20) Certamente ci si può immunizzare dal cancro, privando l'organismo degli aminoacidi essenziali in modo che questi manchino anche alle cellule cancerogene, ma a scapito dell'efficienza complessiva del nostro corpo. Se seguissimo il ragionamento di Berrino, dovremmo scegliere di essere nani dalla nascita, sprovvisti dei recettori dell'IGF1, ma chi abbraccerebbe questa alternativa? Una via di mezzo ragionevole per chi non ha una storia familiare di neoplasie è possibile.

 

 

Quali consigli dà il libro La dieta della longevità di Valerio Longo?

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La dieta paleolitica e le malattie da civilizzazione, spiegate dal famoso biologo Jared Diamond

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Jared Mason Diamond è un biologo, fisiologo e ornitologo statunitense., Ph.D. all'Università di Cambridge, nel Regno Unito. È noto a livello mondiale per il saggio Armi, acciaio e malattie, che ha venduto milioni di copie ed ha ricevuto il Premio Pulitzer per la saggistica. 

Nel suo recente e affascinante libro Il mondo fino a ieri: che cosa possiamo imparare dalla società tradizionali?, Diamond analizza l’organizzazione delle società primitive che sono sopravvissute fino al ventesimo secolo, e dedica un interessantissimo capitolo alle malattie da civilizzazione (diabete, ipertensione, infarto, ecc.), da cui queste società sono completamente esenti.

Ecco la traduzione italiana del capitolo:

 

sale, zucchero, grassi e pigrizia

 

Malattie non trasmissibili. Quanto sale assumiamo. Sale e pressione arteriosa. Cause dell’ipertensione. Fonti di sodio alimentari. Il diabete. Tipi di diabete. Geni, ambiente e diabete. Gli indiani pima e gli abitanti di Nauru. Il diabete in India. Vantaggi genetici contro il diabete. Perché gli europei soffrono meno di diabete? Il futuro delle malattie non trasmissibili.

Malattie non trasmissibili.

 

Quando nel 1964 iniziai a lavorare in Papua Nuova Guinea, la grande maggioranza dei guineani abitava ancora nei villaggi e seguiva uno stile di vita tradizionale, coltivando ciò che mangiava e consumando poco sale e pochi zuccheri. Gli alimenti base delle popolazioni degli altipiani erano le radici commestibili (patate dolci, taro e igname), che fornivano circa il 90 per cento dell’apporto calorico, mentre quello delle popolazioni dei bassipiani era l’amido granulare estratto dal cuore delle palme da sago. Chi disponeva di un po’ di denaro acquistava piccole quantità di cibo nei negozi, alimenti di lusso come i cracker, il pesce in scatola e un po’ di sale e di zucchero.

Fra le molte cose che mi sorprendevano nei guineani c’era la loro condizione fisica: tutti asciutti, muscolosi ed estremamente attivi, un po’ come i culturisti occidentali ma piú snelli. Quando non erano impegnati a trasportare qualcosa li vedevo trotterellare agilmente su e giú per ripidi sentieri di montagna, e quando erano oberati da carichi pesanti procedevano allo stesso passo che tenevo io libero da fardelli. Ricordo una donnina minuta, a occhio non doveva superare i 45 chili di peso, che marciava nel letto sassoso dei fiumi e su per le montagne con un sacco di riso da 30 chili appoggiato sulla schiena e assicurato con una cinghia intorno alla fronte. In quei primi anni laggiú non mi capitò mai di vedere un solo guineano obeso o anche semplicemente grasso.

Dal canto loro, i referti ospedalieri e gli esami a cui i medici curanti sottoponevano i pazienti confermavano almeno in parte l’evidente stato di buona salute. Le malattie non trasmissibili che oggi uccidono la maggioranza dei cittadini del Primo Mondo – diabete, ipertensione, ictus, infarti, arteriosclerosi, malattie cardiovascolari in generale e cancro – fra i guineani tradizionali delle aree rurali erano rare se non sconosciute, e questa assenza non era dovuta solo a un’aspettativa di vita piú breve, perché la si registrava anche fra soggetti che avevano abbondantemente superato i 60, 70 e 80 anni di età. Da un’indagine condotta nei primi anni Sessanta del Novecento, su 2000 ammissioni al Pronto Soccorso dell’ospedale di Port Moresby (capitale e prima città della Nuova Guinea) non risultava un solo caso di coronaropatia e soltanto quattro di ipertensione, tutti in pazienti di origini miste, non in guineani puri.

Ciò non significa che la Nuova Guinea tradizionale godesse di una salute utopicamente perfetta: tutt’altro. La durata della vita media era, ed è tuttora, inferiore alla nostra in Occidente e le malattie mortali, insieme agli incidenti e agli esiti da violenza, erano quelle da noi ormai debellate: malaria, parassitosi, malnutrizione e patologie secondarie che colpivano soggetti già indeboliti da cause primarie. In altre parole, nonostante abbiamo scambiato il nostro bagaglio di malattie tradizionali con uno nuovo di malattie moderne, noi occidentali godiamo comunque di una salute mediamente migliore e di un’aspettativa di vita piú lunga.

Già nel 1964, però, i nuovi killer che mietevano vittime nel Primo Mondo cominciavano a fare la loro comparsa anche in Nuova Guinea, per la precisione tra le popolazioni da piú tempo in contatto con i bianchi e che di questi avevano già adottato diete e stili di vita. Quel processo di occidentalizzazione conosce oggi un vero e proprio boom sia per quanto riguarda l’alimentazione, sia per quanto riguarda lo stile di vita e i problemi di salute di cui soffrono i guineani: decine di migliaia, forse anche centinaia di migliaia di essi, sono ormai diventati uomini d’affari, politici, piloti di linea e programmatori informatici, si procacciano cibo nei supermercati e nei ristoranti e fanno pochissimo esercizio fisico. Nelle città grandi e piccole e in molti ambienti occidentalizzati si incontrano cosí guineani obesi o sovrappeso, e uno dei maggiori tassi di prevalenza mondiale del diabete (ben il 37 per cento) è stato rilevato proprio fra i wanigela, prima popolazione guineana ad avere subíto su larga scala il processo di occidentalizzazione. L’infarto oggi colpisce molti abitanti delle zone urbane. Dal 1998 seguo un campo petrolifero guineano i cui dipendenti mangiano tre volte al giorno in una mensa a buffet, dove ciascuno è libero di servirsi da solo e su ogni tavolo ci sono saliera e zuccheriera: di fronte a una simile abbondanza quotidiana, chi è cresciuto in villaggi tradizionali esposti a imprevedibili oscillazioni nella disponibilità di cibo reagisce riempiendosi il piú possibile il piatto a ogni pasto e letteralmente inondando di sale e zucchero bistecche e bevande. La compagnia petrolifera si è cosí vista costretta a rivolgersi a dietologi locali per insegnare ai dipendenti l’importanza di un’alimentazione corretta; peccato che, a lungo andare, persino alcuni di essi comincino a sviluppare problemi di salute tipicamente occidentali.

I cambiamenti a cui ho assistito in Nuova Guinea non sono che un esempio dell’ondata epidemica di malattie non trasmissibili (NCD, Non-communicable Diseases) associate allo stile di vita occidentale che sta ormai investendo il mondo intero. Le NCD si distinguono dalle malattie infettive (trasmissibili) e parassitarie in quanto queste ultime sono causate da agenti infettivi (come batteri e virus) e da parassiti e si trasmettono di soggetto in soggetto attraverso la diffusione dell’agente patogeno. Una volta avvenuto il contagio, molte malattie infettive hanno tempi di manifestazione rapidi che, nel giro di qualche settimana, portano alla guarigione o alla morte della persona colpita. Le principali malattie non trasmissibili (cosí come quelle parassitarie e alcune infettive, tipo l’AIDS, la malaria e la tubercolosi) si sviluppano invece lentamente e persistono a livello cronico per anni o decenni, fino a produrre conseguenze esiziali, a essere curate o bloccate o, ancora, fino a che il paziente non muore per altre cause. Nell’ondata epidemica attuale rientrano svariate patologie cardiovascolari (infarti, ictus e malattia vascolare periferica), il comune diabete, alcune nefropatie e alcune forme di tumore, come quello allo stomaco, al seno e ai polmoni. La grande maggioranza dei miei lettori, come peraltro il 90 per cento di europei, americani e giapponesi, morirà di una di queste malattie non trasmissibili, mentre la maggioranza degli abitanti dei paesi a basso reddito muore di patologie trasmissibili.

Presso le società di piccola scala tradizionali le NCD hanno diffusione rara o nulla, e se l’esistenza di qualcuna era già attestata da antichi documenti, anche in Occidente hanno preso piede solo negli ultimi secoli. La relazione con l’attuale dilagare a macchia d’olio dello stile di vita occidentale è confermata dalla diffusione di queste malattie all’interno di quattro tipologie di popolazioni. Innanzitutto vi sono alcuni paesi arricchitisi di colpo e in tempi recenti – parliamo dell’Arabia Saudita e di altri produttori arabi di petrolio, oltre a un certo numero di nazioni isolane che hanno conosciuto un’improvvisa fortuna, come Nauru e Mauritius – dove la maggioranza dei cittadini «gode» oggi dello stile di vita occidentale e dove l’intera popolazione nazionale è ormai a rischio. (Gli otto paesi con una prevalenza del diabete superiore al 15 per cento, per esempio, appartengono tutti alle due categorie appena descritte). L’epidemia colpisce anche i cittadini di molte nazioni in via di sviluppo emigrati nel Primo Mondo, che dal vecchio stile di vita spartano sono bruscamente passati a quello occidentale, accusando il colpo molto piú dei connazionali rimasti a casa o di quelli residenti da piú tempo nei nuovi paesi d’arrivo. (In questo caso abbiamo gli esempi dei cinesi e degli indiani emigrati in Inghilterra, negli Stati Uniti, a Mauritius e verso altre destinazioni piú legate al benessere della Cina e dell’India, cosí come quello degli ebrei yemeniti e degli etiopi emigrati in Israele). L’ondata di NCD sta inoltre colpendo le città di molti fra gli stessi paesi in via di sviluppo, come Papua Nuova Guinea, la Cina e numerose nazioni africane, e i gruppi che, migrando dalle zone rurali a quelle urbane, finiscono per adottare stili di vita sedentari e per consumare piú cibi acquistati nei negozi. Infine, le malattie non trasmissibili coinvolgono specifici gruppi non europei che, senza emigrare, hanno comunque sposato lo stile di vita occidentale e si sono cosí aggiudicati il triste primato di alcuni fra i tassi di diabete e di altre NCD piú alti del mondo (e siamo cosí arrivati agli indiani nordamericani pima, ai wanigela guineani e a numerosi gruppi di aborigeni australiani).

Questi quattro esperimenti naturali dimostrano che, a prescindere dalle cause che la producono, l’adozione dello stile di vita occidentale a discapito di quello tradizionale porta a un’esplosione di malattie non trasmissibili. Ciò che invece gli esperimenti non ci dicono se non dopo un’analisi approfondita è quale sia il fattore scatenante o quali siano i fattori scatenanti dell’epidemia, perché lo stile di vita occidentale vede la convergenza di piú componenti: la scarsa attività fisica, l’alto apporto calorico, l’aumento ponderale e l’obesità, il fumo e il forte consumo di alcolici e di sale. La dieta si sposta in genere verso una minore assunzione di fibre e una maggiore assunzione di zuccheri semplici (soprattutto il fruttosio), di acidi grassi saturi e acidi grassi insaturi trans. Con l’occidentalizzazione, un popolo va incontro a tutti, o quasi, questi cambiamenti contemporaneamente: per questo è difficile identificare la responsabilità relativa dei singoli fattori nello scatenamento delle epidemie di malattie non trasmissibili. Per alcune di queste gli indizi sono chiari: il fumo è una delle principali cause del tumore ai polmoni, e una dieta ricca di sale è una delle principali cause dell’ipertensione e dell’ictus. Ma per le altre, ivi inclusi il diabete e varie patologie cardiovascolari, ancora non sappiamo quali siano i fattori concorrenti di maggior rilevanza.

Se oggi abbiamo qualche cognizione in questo campo, lo dobbiamo soprattutto al lavoro pionieristico di S. Boyd Eaton, Melvin Konner e Marjorie Shostak, autori che hanno raccolto dati e informazioni sulla nostra «dieta paleolitica» – vale a dire sulla dieta e lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori primitivi e moderni – e sulle differenze tra le principali patologie che affliggevano i nostri antenati e che affliggono le moderne popolazioni occidentalizzate. L’ipotesi di partenza era che le malattie non trasmissibili legate alla moderna civiltà dipendano da una discrepanza fra la costituzione genetica del nostro corpo, rimasto fondamentalmente adatto a una dieta e a uno stile di vita paleolitici, e la dieta e lo stile di vita correnti. Hanno cosí proposto una serie di test conoscitivi e suggerito alcune raccomandazioni dietetiche e generali per ridurre la nostra esposizione a nuove malattie «della civiltà»; i riferimenti al libro e agli articoli originali si trovano nella parte relativa a questo capitolo della sezione Letture consigliate.

In effetti l’esempio piú concreto che porto nel mio libro a proposito delle lezioni ricavabili dagli stili di vita tradizionali è forse proprio quello delle malattie non trasmissibili associate allo stile di vita occidentale: in linea di massima, le popolazioni tradizionali non sviluppano infatti le varie NCD appena citate, mentre la maggior parte delle popolazioni occidentalizzate morirà per i loro effetti. Naturalmente non sto auspicando il ritorno a uno stile di vita tradizionale tout court, né mi auguro il crollo dei nostri assetti statali o il ritorno di periodiche carestie, e nemmeno vorrei che ricominciassimo ad ammazzarci a vicenda, a praticare l’infanticidio e a combattere guerre religiose. Il nostro obiettivo è semmai individuare e fare tesoro di quei particolari ingredienti dello stile di vita tradizionale che possono proteggerci dalle NCD. E mentre aspettiamo la risposta definitiva da parte di scienziati e ricercatori, sarei pronto a scommettere che la ricetta vincente includa il basso apporto di sale tipico dell’alimentazione tradizionale e ne escluda invece l’altrettanto tipica mancanza di governo centrale. Alla luce dei fattori di rischio attualmente noti, decine di milioni di persone in tutto il mondo cercano già di condurre una vita piú sana. In questo capitolo mi soffermerò dunque soprattutto sulla diffusione di due malattie non trasmissibili, legate a un’eccessiva assunzione di sale e al diabete.

 

Quanto sale assumiamo.

 

Se per i chimici le sostanze che rientrano nella categoria dei «sali» sono moltissime, per la gente comune «sale» significa semplicemente cloruro di sodio. È il sale da cucina, quello di cui sentiamo il bisogno e con cui condiamo i nostri cibi, di cui facciamo uso eccessivo e per cui ci ammaliamo. Al giorno d’oggi il sale ci aspetta dentro una saliera su ogni tavola apparecchiata, si compra in negozio, costa poco ed è a nostra disposizione in quantità praticamente illimitate. A livello fisico, il problema principale riguarda la sua eliminazione, che avviene in misura abbondante attraverso le urine e il sudore. In tutto il mondo il consumo medio giornaliero di sale pro capite si aggira fra i 9 e i 12 grammi, il range è compreso tra i 6 e i 20 e i livelli piú alti in assoluto si registrano in Asia.

Il cloruro di sodio però non nasce sulla tavola e deve essere estratto in natura: provate dunque a immaginare come funzionavano le cose prima dell’avvento delle nostre saliere. Il fatto è che in passato il problema per l’uomo non era eliminare il sodio, ma assumerne abbastanza, perché la maggior parte dei vegetali ne contiene pochissimo, mentre tutti i fluidi extracellulari animali ne hanno bisogno in alte concentrazioni. Se gli animali carnivori soddisfano quindi facilmente il loro fabbisogno di sale cibandosi di animali erbivori ricchi di sodio extracellulare, questi ultimi stentano invece a procurarselo: perciò gli animali che vedete leccare golosamente il sale sono cervi e antilopi, e non tigri e leoni. I cacciatori-raccoglitori umani che consumavano molta carne, come gli inuit e i san, soddisfacevano a loro volta piú facilmente il fabbisogno quotidiano di sale, sebbene la perdita di sangue prezioso e di fluidi extracellulari conseguente ai metodi di macellazione e cottura riducesse l’assunzione giornaliera totale a 1 o 2 grammi. Fra le società tradizionali di cacciatori-raccoglitori e agricoltori che ancora oggi consumano invece piú vegetali e meno carne, quelle stanziate nelle zone costiere marine o nei pressi di depositi di sale interni hanno comunque facile accesso alle fonti di sodio. Il consumo di sale dei lau delle Salomone, per esempio, che vivono sulla costa e usano acqua salata per cucinare, si aggira intorno ai 10 grammi al giorno, cosí come fra i pastori nomadi qashqai dell’Iran, originari di un ambiente naturale ricco di depositi di sale di superficie.

Ma presso decine di altri gruppi monitorati di cacciatori-raccoglitori e agricoltori tradizionali i valori scendono sotto i 3 grammi giornalieri, e il record in negativo spetta agli yanomami del Brasile, che si cibano soprattutto di banane, povere di sodio, e ne eliminano una media di 50 milligrammi al giorno – circa un duecentesimo rispetto all’americano medio. Un solo Big Mac analizzato da «Consumer Reports» conteneva 1,5 grammi (cioè 1500 milligrammi) di sale, equivalenti al consumo mensile di un indio yanomami, mentre un barattolo di zuppa di pollo e noodle (2,8 grammi di sale) rappresenta quasi due mesi del consumo di sodio di uno yanomami. Ma forse il record assoluto spetta a un ristorante sino-americano di Los Angeles, nei pressi di casa mia: analizzato, un unico double pan-fried noodles combo dish (doppia porzione di tagliatelle all’uovo saltate in padella con verdure e servite con manzo, maiale, pollo e gamberetti) rivela di contenere una quantità di sale pari a quella di un anno e tre giorni di un indio yanomami.

Le popolazioni tradizionali sentono dunque un fortissimo bisogno di sale e fanno di tutto per ottenerlo. (Anche noi ne sentiamo il bisogno: provate a mangiare cibi freschi, non trattati e non salati anche solo per un giorno, e vedrete che meraviglia poter tornare a usarlo liberamente!) Gli abitanti degli altipiani orientali della Nuova Guinea con cui ho avuto modo di lavorare, la cui dieta consisteva per il 90 per cento di patate dolci a basso contenuto sodico, mi hanno raccontato quanto costava in termini di fatica procurarsi il sale fino a poche decine di anni fa, prima cioè che i bianchi lo portassero in negozio. Raccoglievano le foglie di particolari piante, le bruciavano, ne recuperavano le ceneri, le bagnavano in acqua per sciogliere i residui solidi e infine facevano evaporare l’acqua per ottenerne minime quantità di sale amaro. I dani dugum degli altipiani occidentali, invece, ricavavano il sale dalle uniche due pozze naturali salmastre della valle: vi immergevano un pezzo di corteccia spugnosa di banano e, quando questo aveva assorbito l’acqua, lo recuperavano e lo lasciavano asciugare al sole, lo bruciavano, ne innaffiavano la cenere con altra acqua e impastavano il composto cosí ottenuto in panetti da consumare o barattare. Dopo tanti sforzi per ritrovarsi alla fine con un pugno di sale amaro e impuro, non c’è da stupirsi che i guineani che mangiano in mense all’occidentale non resistano alla tentazione di salare come pazzi tutte le loro pietanze.

Con la nascita degli stati centralizzati, il sale divenne e ancora è un genere diffusissimo e prodotto su scala industriale a partire da essiccatoi per l’acqua salata, miniere e depositi di superficie. Oltre a impiegarlo come condimento, pare che circa 5000 anni fa i cinesi abbiano iniziato a usarlo come conservante invernale. Merluzzo e aringhe salate diventarono quindi capisaldi dell’alimentazione in Europa, e il sale si trasformò cosí nella merce preziosa piú tassata al mondo. I soldati romani venivano pagati in sale – da cui il termine «salario», che non ha dunque niente a che fare con la radice di «moneta» o «denaro» –, per il sale si sono combattute guerre e contro le tasse imposte sul sale sono scoppiate rivoluzioni. Il mahatma Gandhi uní gli indiani contro l’ingiustizia del dominio britannico marciando per un mese verso l’oceano e violando le leggi inglesi che impedivano di raccogliere un po’ di sale per sé usando l’acqua salata che arrivava sulla spiaggia e apparteneva a tutti, per poi rifiutarsi di pagare la tassa imposta da Sua Maestà.

La recente adozione di una dieta ad alto contenuto sodico da parte di metabolismi tradizionali tuttora prevalentemente adatti a diete iposodiche ha conferito all’assunzione di sale il ruolo di fattore di rischio nella maggioranza delle malattie non trasmissibili moderne. Molti degli effetti nocivi sono mediati dal ruolo che il sale gioca nell’innalzamento della pressione sanguigna, di cui parlerò fra poco. L’ipertensione, come anche viene chiamata, figura tra i principali fattori di rischio nelle malattie cardiovascolari in generale, nell’ictus, nell’insufficienza cardiaca, nelle coronaropatie e soprattutto negli infarti del miocardio, nonché nel diabete di tipo 2 e nelle nefropatie. L’eccessivo consumo di sale ha però effetti negativi che vanno al di là dell’ipertensione, poiché inspessisce e indurisce le arterie e induce l’aggregazione piastrinica e l’ipertrofia del ventricolo sinistro del cuore, tutte cose che concorrono all’aumento delle malattie cardiovascolari. Altri effetti indipendenti dall’ipertensione sono un maggior rischio di ictus e di tumore allo stomaco. Infine, l’assunzione di sale contribuisce in maniera indiretta ma significativa all’obesità (a sua volta un fattore di rischio in molte malattie non trasmissibili) in quanto aumenta la sete, che molti soddisfano consumando bevande zuccherine ipercaloriche.

 

Sale e pressione arteriosa.

 

Vorrei ora invitarvi a un piccolo corso accelerato su pressione sanguigna arteriosa e ipertensione per aiutarvi a capire meglio cosa accade quando il vostro medico vi sistema un bracciale gonfiabile intorno al braccio, pompa aria, si mette in ascolto, sgonfia il bracciale e sentenzia: «120 su 80». La pressione arteriosa viene espressa in unità di millimetri di mercurio: l’altezza a cui la pressione del vostro sangue spingerebbe una colonna verticale di mercurio nel caso, Dio non voglia, si ritrovasse improvvisamente collegata alle vostre arterie. Naturalmente la pressione cambia durante l’intero ciclo del battito cardiaco, innalzandosi a ogni contrazione del cuore e riscendendo quando il cuore si rilassa. Per questa ragione il medico prende nota di un primo e poi di un secondo numero (per esempio, 120 su 80 millimetri di mercurio), riferendosi rispettivamente al picco pressorio rilevato a ogni battito (e chiamato pressione sistolica) e al minimo rilevato fra i battiti (chiamato pressione diastolica). La pressione del sangue può inoltre variare a seconda della posizione in cui ci troviamo e del nostro grado di attività e ansia, quindi la si misura di preferenza da sdraiati e in stato di calma: in queste condizioni, 120 su 80 è la pressione media degli americani adulti. Ma tra una pressione normale e una pressione alta non esiste una linea di separazione netta: semplicemente, quanto piú avete la pressione alta, tanto piú rischiate di morire d’infarto, ictus, insufficienza renale o di rottura dell’aorta. In genere oltre i 140 su 90 si parla arbitrariamente di ipertensione, ma c’è chi a 50 anni muore di colpo apoplettico pur avendo la pressione piú bassa e chi, con una pressione piú alta, muore a 90 in perfetta salute in un incidente automobilistico.

Sulla breve distanza, la pressione sanguigna aumenta con l’aumentare dell’ansia e in concomitanza di sforzi energici. Sulla lunga invece aumenta in presenza di altri fattori, specie, per le ragioni già discusse, a causa di un eccesso di sale e, presso noi occidentali moderni ma non presso i popoli tradizionali, con l’età. La relazione fra consumo di sale e pressione arteriosa compare già citata oltre duemila anni fa nel testo di medicina Huangdi neijing suwen [Le domande semplici, tomo primo del Canone di Medicina Interna dell’Imperatore], dove si legge: «Perciò, introducendo grandi quantità di sale, il polso si irrigidisce e indurisce». Durante esperimenti recentemente condotti su scimpanzé – i nostri parenti animali piú stretti – in cattività, si è visto che con una dieta a base di Purina Monkey Chow e di 6-12 grammi di sale giornalieri (equivalente alla dieta occidentale degli umani moderni) la pressione arteriosa si manteneva intorno a un sano 120 su 50. Dopo un anno e sette mesi di dieta ad alto contenuto di sodio (fino a 25 grammi giornalieri), la pressione degli scimpanzé saliva invece a 155 su 60, dato equivalente a un’ipertensione umana, quanto meno a giudicare dal valore sistolico.

Per noi esseri umani è chiaro che l’assunzione di sale influenza i valori della pressione sanguigna, o che sicuramente lo fa ai due estremi di bassissimo e altissimo apporto di sodio. Negli anni 1980, il progetto internazionale INTERSALT utilizzò una metodologia uniforme per rilevare il rapporto fra assunzione di sale e valori pressori in 52 popolazioni di tutto il mondo. Quella che ho già detto detenere il record mondiale di dieta iposodica, cioè gli indios yanomami del Brasile, aveva anche i valori piú bassi: un sorprendente 96 su 61. Al secondo e terzo posto figuravano quindi gli indios brasiliani xingu e gli abitanti degli altipiani della Asaro Valley in Papua Nuova Guinea: 100 su 62 e 108 su 63 rispettivamente. Diversamente da quanto accade in America e negli altri paesi occidentalizzati, queste tre, piú altre decine di popolazioni tradizionali varie con diete iposodiche, non mostravano alcun aumento di pressione nemmeno con l’avanzare dell’età.

All’estremo opposto c’è il Giappone, dai medici soprannominato «terra dell’apoplessia» a causa dell’altissima incidenza di ictus fatali (prima causa di morte nel Paese del Sol levante e cinque volte piú frequenti che negli Stati Uniti), legati a ipertensione e a cibi notoriamente salati – fattori addirittura esasperati nella prefettura settentrionale di Akita, celebre per il riso saporito che gli agricoltori locali aromatizzano con il sale, consumano insieme alla salatissima zuppa di miso e alternano a stuzzichini sotto salamoia. Su 300 adulti di Akita studiati, non ce n’era uno che assumesse meno di 5 grammi di sale al giorno (quanto uno yanomami in tre mesi), il consumo medio era di 27 grammi e il soggetto piú ghiotto ne ingeriva ben 61 al giorno – quanto basta per far fuori in soli otto giorni il classico pacchetto di sale da mezzo chilo. In capo a ventiquattr’ore, il detentore di questo record negativo assumeva dunque tanto sale quanto l’indio yanomami medio ne assume in tre anni e tre mesi. La pressione media dei cinquantenni di Akita viaggiava intorno a 151 su 93: in pratica, l’ipertensione era la norma. Nessuna sorpresa, insomma, se i casi di morte per ictus erano piú che doppi rispetto alla media già alta del Giappone e se in alcuni centri della prefettura il 99 per cento della popolazione non arrivava a settant’anni.

Esiste dunque un legame incontrovertibile fra variazioni estreme nel consumo di sale e variazioni importanti nei valori pressori: una dieta molto povera di sodio si riflette in valori pressori molto bassi, mentre una dieta molto ricca si traduce in valori molto alti. Tuttavia, nessuno di noi seguirà mai una dieta estrema come quella di un indio yanomami o di un agricoltore della prefettura di Akita. Ci piacerebbe invece sapere se variazioni piú modeste, comprese fra i valori intermedi dei consumi mondiali, comportano effetti anche modesti sulla pressione sanguigna, ma per varie ragioni non sorprende che su questo punto esistano ancora pareri discordi. L’intervallo centrale comprende infatti solo una porzione ristretta di valori: delle 52 popolazioni oggetto dello studio INTERSALT, 48 (cioè tutte, tranne gli yanomami e le tre piú virtuose a seguire) si attestavano per esempio fra 6 e 14 grammi di assunzione giornaliera di sale. Presso la maggior parte delle popolazioni, la variazione individuale nel consumo di sale e nella pressione arteriosa è però ampia e tende a oscurare le differenze tra singoli popoli. L’entità stessa dell’assunzione è notoriamente difficile da rilevare in maniera uniforme e sistematica, a meno di non confinare per una settimana un’intera popolazione nel reparto malattie metaboliche di un ospedale e misurare i livelli di sodio presenti in tutti i cibi consumati e in tutte le urine prodotte: operazione ovviamente impossibile per gli indios yanomami della giungla, ma anche per la maggioranza di noi cittadini urbani occidentali. L’assunzione di sale viene quindi normalmente e individualmente valutata sulla base delle urine raccolte nell’arco delle ventiquattr’ore, ma questi valori sono soggetti a forti oscillazioni giornaliere, a seconda che la persona consumi un pasto regolare o un Big Mac o una zuppa di pollo e noodle in scatola.

Nonostante le incertezze, oltre agli esperimenti manipolativi un gran numero di esperimenti naturali (quali la variazione regionale, la migrazione e la variazione individuale) mi dice che le variazioni nel consumo di sodio giornaliero influiscono sulla pressione anche entro il range di normalità. Le popolazioni costiere di Terranova e delle Isole Salomone assumono piú sale di quelle delle zone interne, e il consumo è piú alto fra i nigeriani delle zone rurali vicine a laghi salati che fra i nigeriani di aree analoghe ma prive di laghi salati: in tutti questi casi, a un’assunzione di sodio maggiore corrisponde un aumento medio della pressione arteriosa. Quando i kenyoti o i cinesi delle campagne si trasferiscono in città, spesso il loro consumo di sale aumenta e cosí i valori della pressione. Viaggiando da sud a nord in Giappone si registra quasi un raddoppio dei livelli di sodio ingerito, fino ai picchi massimi della già citata prefettura settentrionale di Akita, e il trend della dieta si accompagna al parallelo aumento dei casi di ipertensione e di morte per ictus. Anche all’interno di una stessa città (Takayama), i casi di ipertensione e ictus aumentano con l’aumentare del consumo di sodio da parte dei singoli individui studiati.

Per quanto riguarda invece gli esperimenti manipolativi, un gruppo di americani sottoposti per 30 giorni a dieta (moderatamente) iposodica, uno di guineani tenuti per 10 giorni a dieta (moderatamente) ipersodica e uno di cinesi tenuti per 7 giorni a dieta (moderatamente) iposodica o ipersodica hanno sperimentato tutti un aumento o un abbassamento della pressione arteriosa in concomitanza con l’aumento o la diminuzione nel consumo di sale. In un sobborgo periferico della città olandese dell’Aia alcuni epidemiologi hanno condotto un esperimento di sei mesi su 476 neonati, quasi tutti allattati al seno: alle madri veniva chiesto di somministrare ai bambini, scelti a caso, degli integratori alimentari che si differenziavano per un fattore pari a 2,6 nel contenuto di sodio. Nel corso dei sei mesi, la pressione arteriosa dei neonati tenuti a regime lievemente piú salato è andata progressivamente aumentando rispetto a quella dei neonati a dieta lievemente iposodica, dopodiché l’intervento sperimentale si è concluso e per i successivi 15 anni i bambini hanno potuto mangiare quello che volevano. Cosa interessante, l’effetto di quei sei mesi di assunzione di sale nell’infanzia si è rivelato permanente: da adolescenti, quelli del primo gruppo avevano ancora valori pressori superiori a quelli del secondo (forse perché erano rimasti condizionati e continuavano a prediligere i cibi salati). Infine, in almeno quattro paesi noti per l’alto livello medio di consumo di sodio e il conseguente ed elevato tasso di mortalità per ictus – Cina, Finlandia, Giappone e Portogallo –, alcune campagne sulla salute pubblica durate anni o decenni hanno prodotto a livello locale o nazionale una diminuzione nei valori della pressione arteriosa e nel tasso di mortalità per ictus. Nel caso della Finlandia, per esempio, una campagna ventennale per la riduzione del consumo di sodio si è tradotta in un abbassamento dei valori pressori medi, in una parallela riduzione del 75-80 per cento dei decessi per coronaropatie e ictus e nell’aumento di 5 o 6 anni dell’aspettativa di vita dei finlandesi.

 

Cause dell’ipertensione.

 

Per affrontare il problema della pressione alta dobbiamo capire quali cause concorrono a scatenarla oltre a una dieta ricca di sale, e come mai non tutti coloro che usano molto sale ne soffrono. Perché alcuni di noi hanno valori tanto piú elevati di altri? Solo nel 5 per cento dei pazienti affetti da ipertensione si riesce infatti a individuare un’unica e chiara causa scatenante, come uno squilibrio ormonale o l’uso di contraccettivi orali; nel restante 95 per cento dei casi, invece, la causa non è affatto evidente e l’eufemismo con cui la medicina maschera la sua ignoranza è «ipertensione arteriosa essenziale».

Nell’ipertensione essenziale possiamo valutare il ruolo dei fattori genetici mettendo a confronto i valori pressori fra parenti piú o meno stretti. Prendendo a campione i membri di una stessa famiglia si osserva che i gemelli omozigoti, i quali condividono un identico corredo genetico, hanno una pressione arteriosa molto simile; la somiglianza diminuisce invece ma resta pur sempre significativa nel caso dei gemelli eterozigoti, dei fratelli e dei genitori di figli biologici, che condividono circa il 50 per cento del corredo genetico. Questa somiglianza si riduce ulteriormente nel caso di fratelli adottivi o dei genitori di figli adottivi, privi di legame genetico ma immersi nello stesso ambiente domestico. (Chi di voi abbia dimestichezza con la statistica e i coefficienti di correlazione, quello della pressione arteriosa è di 0,63 fra gemelli omozigoti, di 0,25 fra gemelli eterozigoti e fra genitori e figli biologici e di 0,05 tra fratelli adottivi e tra genitori e figli adottivi. Se il coefficiente fra gemelli omozigoti fosse pari a 1, significherebbe che la pressione arteriosa è praticamente determinata solo dai geni e che [dopo il concepimento] non è piú possibile intervenire in alcun modo su di essa). Evidentemente i geni influenzano molto i valori pressori, ma anche i fattori ambientali hanno il loro peso, dato che la pressione dei gemelli omozigoti è simile ma non identica.

Per mettere in prospettiva questi risultati, proviamo a confrontare l’ipertensione con una patologia genetica semplice come la malattia di Tay-Sachs, dovuta al difetto di un unico gene. Ogni paziente affetto da Tay-Sachs presenta dunque un problema sempre nello stesso gene, e tutti coloro che abbiano quel singolo gene difettoso sono certi di morire di questa malattia, indipendentemente dallo stile di vita e dall’ambiente. Per contrasto, l’ipertensione investe solitamente parecchi geni diversi, ciascuno dei quali, preso singolarmente, influisce in misura minima sulla pressione stessa: per questo pazienti diversi affetti da ipertensione devono la loro patologia a diverse combinazioni genetiche. Il fatto poi che un individuo geneticamente predisposto all’ipertensione sviluppi o meno dei sintomi dipende molto dallo stile di vita che conduce. L’ipertensione non è insomma una di quelle malattie poco comuni, omogenee e intellettualmente eleganti che i genetisti amano studiare, bensí, al pari di ulcera e diabete, si presenta come un insieme di sintomi prodotti da cause eterogenee, tutte riconducibili all’interazione fra agenti ambientali e predisposizione genetica.

Gli studi comparativi sull’incidenza dell’ipertensione in gruppi che vivono in condizioni diverse hanno identificato numerosi fattori di rischio di tipo ambientale o legati allo stile di vita. Oltre al consumo di sale, altri fattori importanti comprendono l’obesità, la mancanza di esercizio fisico, l’elevato consumo di alcol e di grassi saturi e un ridotto apporto di calcio. Questo dimostra che i pazienti affetti da ipertensione che modificano il loro stile di vita in modo da minimizzare questi fattori riescono spesso ad abbassare la pressione. Chi non conosce il mantra dei medici di base: «Ridurre sale, stress, colesterolo, grassi saturi e alcol, perdere peso, eliminare le sigarette e fare regolarmente esercizio fisico»?

Ma come funziona il legame fra sale e pressione arteriosa? In altre parole, quale meccanismo fisiologico fa sí che un aumentato apporto di sodio produca un innalzamento pressorio in molte persone, anche se non in tutte? Buona parte della spiegazione sta nell’espansione del volume dei fluidi extracellulari del corpo. Negli individui sani il sale in eccesso viene eliminato dai reni per mezzo delle urine, ma in quelli affetti da insufficienze a carico del sistema renale l’eliminazione non riesce a tenere il passo con un eventuale aumento nella sua assunzione: l’eccesso cosí risultante innesca una sensazione di sete che spinge a bere acqua, e ciò aumenta il volume del sangue. Di conseguenza il cuore pompa di piú e la pressione arteriosa sale, costringendo i reni a filtrare e a eliminare piú sodio e piú acqua. Si ripristina cosí l’equilibrio fra assunzione di sale ed escrezione di acqua e di sale, ma nel frattempo il corpo avrà incamerato una quantità maggiore sia dell’una sia dell’altro.

Per quale motivo l’aumento di pressione corrispondente all’aumento di sodio si verifica solo in alcune e non nella maggioranza delle persone? In fondo, pur consumando piú di 6 grammi di sale al giorno, quasi tutti riusciamo a conservare una pressione arteriosa «normale» (almeno dal punto di vista dei medici occidentali, non certo per gli standard degli yanomami). Il fatto è che una dieta ricca di sodio non porta automaticamente tutti all’ipertensione, ma solo qualcuno: e che cos’ha di diverso questo qualcuno?

I soggetti piú reattivi a livello pressorio all’assunzione di sale vengono definiti dai medici «sodio-sensibili». In generale, i soggetti ipertesi sensibili al sale sono circa il doppio dei soggetti normotesi (che hanno cioè valori pressori normali). Ciononostante, la maggior parte dei decessi dovuti a pressione alta non si verifica tra gli ipertesi, che per definizione hanno valori pressori decisamente elevati (superiori a 140 su 90), bensí fra normotesi con valori solo moderatamente elevati – e questo perché i normotesi sono di gran lunga piú numerosi degli ipertesi, e il maggior rischio individuale di mortalità negli ipertesi non controbilancia la forte preponderanza numerica dei normotesi. Quanto alla differenza fisiologica specifica fra normotesi e ipertesi, è ormai dimostrato che il problema primario di cui soffrono i secondi si annida da qualche parte nei reni. Se si trapianta sperimentalmente un rene da una cavia normotesa a una ipertesa, o da un donatore umano normoteso a un ricevente iperteso gravemente malato che si intende aiutare, la pressione arteriosa di quest’ultimo infatti precipita. Se, al contrario, si trapianta un rene da una cavia ipertesa a una normotesa, la pressione di quest’ultima si alza.

A ulteriore riprova del legame fra ipertensione e origine renale del disturbo, la maggior parte dei geni umani noti per la loro influenza sulla pressione arteriosa è addetta anche alla codifica delle proteine coinvolte nel processo di metabolizzazione del sale all’interno dei reni. Questi di fatto eliminano il sodio in due tappe: per prima cosa, un filtro chiamato glomerulo posto all’inizio di ciascun tubulo renale filtra il plasma sanguigno (contenente sale) nel tubulo stesso; dopodiché la maggior parte del sodio cosí filtrato viene riassorbito nel sangue per mezzo del segmento di tubulo situato dietro il glomerulo, e la quantità non riassorbita viene eliminata tramite le urine. Quando in uno dei due passaggi intervengono dei cambiamenti, si può avere un innalzamento della pressione arteriosa: gli anziani tendono a soffrirne in funzione di una diminuita filtrazione da parte del glomerulo, e gli ipertesi perché presentano elevati tassi di riassorbimento del sodio da parte del tubulo. In entrambi i casi – minor filtrazione o maggior riassorbimento – il risultato finale è un aumento del sodio e della ritenzione idrica, con pressione arteriosa piú elevata.

In genere i medici definiscono «difetto» l’alterato riassorbimento tubulare negli ipertesi, per questo li si sente dire frasi come: «I reni degli ipertesi presentano un difetto genetico nell’eliminazione del sodio». Ma ogni volta che sento parlare in termini di «difetto» di tratti apparentemente negativi che ricorrono con una certa frequenza in popolazioni numerose e antiche, come biologo evoluzionista mi scatta subito un campanello d’allarme. I geni che ostacolano fortemente la sopravvivenza, infatti, difficilmente si diffondono per piú generazioni, a meno che il loro effetto rete non ne aumenti in qualche modo la capacità di riprodursi e sopravvivere. La medicina umana ci fornisce ottimi esempi di geni apparentemente difettosi controbilanciati dai loro effetti riequilibranti: l’emoglobina falciforme, tanto per citarne uno, è prodotta da un gene mutante e tende a provocare l’anemia, cosa indubbiamente negativa; ma lo stesso gene fornisce anche una certa protezione nei confronti della malaria, ragion per cui nelle zone malariche dell’Africa e del Mediterraneo l’effetto rete diventa positivo. Per comprendere allora il motivo per cui, se non curati, gli ipertesi rischiano oggi di morire per ritenzione renale del sodio, dobbiamo domandarci in quali condizioni l’umanità potrebbe invece aver tratto beneficio da questo apparente difetto.

La risposta è semplice. Nelle condizioni di scarsa disponibilità di sale in cui la maggioranza degli esseri umani ha vissuto per la maggior parte della sua storia e fino alla recente invasione di saliere sulle nostre tavole, chi aveva reni efficienti nel trattenere il sodio aveva anche piú probabilità di sopravvivere all’inevitabile perdita di sale prodotta dal sudore o da un attacco di diarrea. Reni di questo tipo si sono trasformati in fattori negativi solo quando il sale è diventato costantemente disponibile, portando ai relativi e fatali problemi di ritenzione e ipertensione. Per questo la pressione arteriosa e la prevalenza dell’ipertensione sono schizzate cosí in alto in tante popolazioni di tutto il mondo, comprese quelle passate da stili di vita tradizionali e scarsa disponibilità di sale allo status di clienti di supermercati molto riforniti. E vale la pena di sottolineare anche il paradosso evolutivo: chi decine di migliaia di anni fa aveva antenati piú adatti a superare i problemi di deficit di sodio nelle savane africane, oggi si trova piú esposto al rischio di morire per strada a Los Angeles per problemi legati all’eccesso di sale.

 

Fonti di sodio alimentari.

 

Se a questo punto vi siete convinti che consumare meno sale sia meglio per la vostra salute, forse vi chiederete come procedere. In passato credevo di avere risolto il problema eliminando drasticamente l’abitudine di salare i cibi che mi ritrovavo nel piatto. In realtà non ero mai andato a misurare né quanto sale assumevo, né quanto ne eliminavo, ma ingenuamente ero sicuro che si trattasse di valori bassi. Peccato che ora mi renda conto che si sarebbero rivelati ben al di sopra di quelli degli yanomami, e forse non poi cosí inferiori a quelli dell’americano medio.

Il fatto è che, purtroppo, ho capito quali sono le fonti dietetiche da cui dipende la nostra effettiva assunzione di sodio. In Nord America e in Europa solo il 12 per cento dell’apporto viene dal sale che, in fase di preparazione o a tavola, aggiungiamo manualmente e consapevolmente alle pietanze, e dunque era solo quel 12 per cento che io avevo eroicamente eliminato. Un altro 12 per cento proviene dal sodio presente in natura nei cibi freschi. Sfortunatamente, però, il restante 75 per cento di apporto rimane occulto e ci arriva, aggiunto da altri, nei cibi confezionati che acquistiamo o nei piatti che consumiamo al ristorante. Il risultato è che gli americani e gli europei (me compreso) non hanno idea di quanto sale ingeriscono quotidianamente, a meno di non effettuare una raccolta delle urine nelle ventiquattr’ore. Astenersi dall’uso della saliera non basta affatto ad abbassare in maniera drastica l’assunzione di sale: dobbiamo anche imparare a selezionare ciò che compriamo e i ristoranti in cui mangiamo.

I cibi lavorati contengono quantità di sale straordinariamente superiori a quelle dei corrispondenti cibi non lavorati. Un chilo di salmone in scatola contiene per esempio 2,5 volte piú sodio di un chilo di salmone fresco cotto al vapore e non salato, e un chilo di quello affumicato comprato in negozio ne contiene addirittura 12 volte di piú. Il tipico cheeseburger con patatine fritte da fast food fornisce un apporto di 3 grammi di sodio (un terzo dell’apporto totale giornaliero di un americano), cioè 13 volte quello contenuto in un’analoga bistecca con patate fritte fatte in casa. Altri cibi lavorati ad altissimo apporto di sodio sono la carne in scatola, i formaggi lavorati e le noccioline tostate, e con mia grande sorpresa ho scoperto che la principale fonte dietetica di sodio negli Stati Uniti e in Inghilterra sono i prodotti a base di cereali – pane, altri prodotti da forno e cereali per la colazione – che in genere non associamo affatto all’idea di salato.

Ma come mai i produttori di cibi lavorati aggiungono tanto sale? Un motivo è che si tratta di un espediente a costo quasi zero per rendere gradevoli al gusto cibi di scarsa qualità. Un altro è che aumentando il contenuto di sale aumenta anche la quantità d’acqua legata nella carne, e cosí grazie a essa il prodotto finale arriva a pesare sulla bilancia un buon 20 per cento in piú: in altre parole, per lo stesso prezzo al chilo il macellaio ci avrà venduto in realtà meno carne (83 per cento) e piú acqua legata (17 per cento). Ma un terzo motivo è che il sale è una delle cause prime della sete: piú sale consumiamo, piú beviamo, e americani ed europei bevono soprattutto acqua in bottiglia e bibite, alcune delle quali commercializzate dalle stesse aziende che vendono gli snack salati e i cibi lavorati che scatenano la sete. Va infine notato che il gusto generale è ormai assuefatto e preferisce di gran lunga gli alimenti salati a quelli non salati.

Diverso invece è il quadro delle fonti di sodio principali in Asia orientale e meridionale e nella maggioranza dei paesi in via di sviluppo, dove la parte preponderante del sale ingerito non viene da cibi lavorati o dalle preparazioni dei ristoranti, bensí proprio dalla saliera di casa. In Cina, per esempio, il 72 per cento dell’aggiunta di sodio avviene in fase di cottura o a tavola, e un altro 8 per cento deriva dall’uso della salsa di soia. Anche in Giappone le fonti primarie sono la salsa di soia (20 per cento), la zuppa di miso (10 per cento), la verdura e la frutta saltate (10 per cento), il pesce fresco e salato (10 per cento) e il sale aggiunto nei ristoranti, nei fast food e a casa (10 per cento). Per questo in molti paesi asiatici il consumo giornaliero supera i 12 grammi. Nei paesi in via di sviluppo, invece, insieme al sale aggiunto in fase di cottura spicca quello contenuto in salse, condimenti e cibi conservati in salamoia.

In termini di costi medici e ospedalieri e di perdita del lavoro, l’elevata frequenza dei casi di ipertensione, di ictus e di altre patologie legate all’eccessivo consumo di sodio ha indotto alcuni paesi a condurre lunghe campagne di informazione pubblica, tranne a rendersi presto conto che senza la collaborazione dell’industria alimentare arrivare a un’effettiva riduzione del consumo di sale era impossibile. Questo processo ha gradualmente portato a un abbassamento del 10 o 20 per cento ogni anno o due del sale aggiunto, ancora troppo poco perché i singoli si accorgano dei benefici. In Inghilterra, Giappone, Finlandia e Portogallo queste campagne proseguono da circa venti-quarant’anni, con i già citati esiti sul piano del diminuito consumo di sodio, della riduzione dei costi a carico dei sistemi sanitari nazionali e dei miglioramenti dei dati statistici sullo stato di salute dei cittadini.

Noi abitanti dei paesi industriali siamo dunque ostaggi impotenti nelle mani delle aziende alimentari? Ed è davvero cosí poco ciò che possiamo fare per ridurre la nostra assunzione di sale e la nostra pressione arteriosa, a parte sperare in una campagna pubblica efficace contro il sodio? In realtà, oltre a quello di usare meno la saliera, c’è un passo fondamentale che dipende solo da noi compiere: osservare una dieta sana ricca di cibi freschi e povera di cibi lavorati, in altre parole consumare molta frutta e verdura, fibre, carboidrati complessi, latticini e formaggi non lavorati, cereali integrali, pollame, pesce (sí, anche i pesci grassi), oli vegetali e semi, ma povera di carni rosse, dolci, bevande zuccherate, burro, panna, colesterolo e grassi saturi. Durante alcuni esperimenti controllati condotti su volontari, questo regime alimentare – denominato DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension, «approccio dietetico contro l’ipertensione») – ha dimostrato di poter abbassare nettamente la pressione arteriosa.

Forse qualcuno di voi starà già pensando: «Mai e poi mai, una dieta insipida e priva di grassi mi toglie ogni piacere di mangiare, e questo solo per vivere dieci anni in piú! Meglio settanta di buona cucina e buon vino, che ottanta di gallette sciape e acqua del rubinetto!» In realtà il regime DASH si basa sulla dieta mediterranea, con il suo non indifferente 38 per cento di grassi e cosí detta perché di fatto è quella tradizionalmente seguita da italiani, spagnoli, greci e da molti francesi (i grassi della dieta mediterranea e DASH sono soprattutto i cosiddetti grassi monoinsaturi, cioè quelli che fanno bene alla salute). Stiamo parlando di popoli che non sopravvivono certo ad acqua e gallette, ma che possono vantare le migliori gastronomie della civiltà occidentale: gli italiani, che ogni giorno passano ore consumando i loro gloriosi piatti di pasta, e poi pane, formaggi, olio d’oliva e altre delizie, sono ancora fra i popoli piú magri del mondo occidentale. Noi americani, invece, che osserviamo regimi alimentari tutto fuorché mediterranei, abbiamo le circonferenze vita medie piú alte dell’Occidente: un terzo dei nostri cittadini adulti è obeso e un altro terzo di noi è «solo» sovrappeso, e in compenso non possiamo nemmeno consolarci all’idea che questo è il prezzo che stiamo pagando per i piaceri della cucina italiana. Anche noi, insomma, possiamo mangiare di gusto e mantenerci sani.

 

Il diabete.

 

Le diete occidentali sono ricche di zuccheri e di carboidrati raffinati che stanno al diabete come il sale sta all’ipertensione. Quando i miei due gemelli erano ancora troppo piccoli per avere acquisito abitudini alimentari corrette, per me e mia moglie portarli in un supermercato significava superare un percorso a ostacoli pieno di trappole zuccherine. Tra i cibi preferiti dai miei figli a colazione c’erano gli Apple Cinnamon Cheerios e i Fruit Loops, stando alle indicazioni dei produttori rispettivamente composti per l’85 e l’89 per cento da carboidrati, metà dei quali sotto forma di zuccheri. Le famose tartarughe Ninja dai superpoteri riportate sulle confezioni solleticavano nei bambini la voglia di mangiare piatti di pasta al formaggio preconfezionati come il Teenage Mutant Ninja Turtles Cheese Pasta Dinner, con il loro 81 per cento di carboidrati, e fra gli snack piú gettonati c’erano i Fruit Bears (92 per cento di carboidrati, 0 proteine) e i biscotti al cioccolato con crema alla vaniglia Teddy Graham’s Bearwich (71 per cento carboidrati), questi ultimi due contenenti, fra gli altri, anche sciroppo di mais e zucchero.

Tutti alimenti con apporto limitato o nullo di fibre che, se confrontati con la dieta a cui la nostra evoluzione ci ha resi piú adatti, si differenziavano enormemente per l’elevato contenuto di zucchero e di altri carboidrati (con valori compresi fra il 71 e il 95 per cento, anziché fra il 15 e il 55 per cento) e per l’apporto pressoché nullo di fibre e proteine. Se ho citato questi esempi non è certo perché costituivano un’anomalia, anzi, semmai proprio perché la loro composizione rappresentava invece l’offerta tipica. Intorno al 1700, negli Stati Uniti (allora una colonia) e in Inghilterra il consumo pro capite annuo di zucchero era di circa 2 chili, mentre oggi supera i 75, e un quarto dell’attuale popolazione americana arriva a 100. Da uno studio condotto in America fra gli studenti di terza media è emerso che il 40 per cento della loro dieta consisteva di zuccheri e carboidrati raffinati (che la digestione trasforma in zucchero). Considerato a questo punto che i nostri supermercati sono i percorsi a ostacoli di cui sopra, pronti a tentare piccoli e grandi, perché stupirsi se la causa di morte di molti miei lettori americani sarà una delle conseguenze del diabete, la malattia piú comune legata al metabolismo dei carboidrati? O se ci ritroviamo con i denti cariati, fenomeno rarissimo presso i !kung? Negli anni 1970 abitavo in Scozia, dove il consumo di dolciumi e caramelle era prodigioso, e già sentivo parlare di adolescenti che per colpa della carie avevano perso quasi tutti i denti.

La causa remota di molti danni legati al diabete è proprio l’alta concentrazione di glucosio nel sangue, che provoca un riversamento di questo zucchero nelle urine: da qui l’origine del nome completo di questa patologia, diabete mellito, cioè «scorrimento di miele». Di per sé il diabete non è contagioso né rapidamente fatale, ragion per cui non occupa le prime pagine dei giornali come magari fa l’AIDS; ciononostante, l’epidemia mondiale di diabete falcia piú dell’AIDS, aggredendo e riducendo lentamente la qualità di vita delle sue vittime. Poiché tutte le cellule del nostro corpo vengono a contatto con lo zucchero per mezzo del sangue, il diabete può infatti colpire il sistema afferente a quasi tutti gli organi. Negli Stati Uniti rappresenta per esempio la principale causa di cecità negli adulti, la seconda causa non traumatica di amputazioni del piede, la causa di un terzo dei casi di insufficienza renale, uno dei maggiori fattori di rischio d’infarto, ictus, malattia vascolare periferica e degenerazione nervosa, e una voce nella spesa sanitaria annuale di oltre un miliardo di dollari (pari al 15 per cento dei costi legati alla totalità delle patologie). Per dirla con Wilfrid Oakley: «L’uomo può essere padrone del proprio destino, ma è anche vittima della propria glicemia».

Nel 2010 è stato calcolato che nel mondo vi erano circa 300 milioni di diabetici, ma poiché sicuramente esistevano già casi non ancora diagnosticati, specie nei paesi in via di sviluppo poco monitorati dal punto di vista medico, probabilmente si trattava di una stima per difetto. Il tasso di crescita del numero dei diabetici si aggira intorno al 2,2 per cento annuo, circa il doppio del tasso mondiale di crescita della popolazione adulta: è dunque evidente che la prevalenza del diabete sta aumentando. Se le cose resteranno cosí e la popolazione mondiale continuerà ad aumentare, invecchiare e migrare dalle campagne alle città (con stile di vita sedentario associato e dunque maggiore esposizione al diabete), allora il numero di casi previsti nel 2030 sarà di 500 milioni e il diabete diventerà una delle malattie piú diffuse e uno dei problemi di salute pubblica piú grossi del mondo. Ma la prognosi potrebbe essere addirittura piú cupa, perché stanno aumentando anche altri fattori di rischio, in particolare la ricchezza e l’obesità nelle zone rurali. L’attuale picco di diffusione del diabete si registra infatti soprattutto nel Terzo Mondo, e in India e in Cina, i due paesi piú popolosi del mondo, l’epidemia non è che agli inizi. Un tempo considerato appannaggio quasi esclusivo dei ricchi europei e americani, nel 2010 il diabete ha dunque stabilito due nuovi record: oltre la metà delle vittime colpite è oggi asiatica, e i due paesi con il numero maggiore di casi sono appunto l’India e la Cina.

 

Tipi di diabete.

 

Che cosa accade quando consumiamo del glucosio o altri carboidrati contenenti zuccheri? Accade che, mentre lo zucchero viene assorbito dal nostro intestino, l’aumento della sua concentrazione nel sangue segnala al pancreas la necessità di rilasciare un ormone chiamato insulina. A sua volta questo ormone segnala al fegato che deve diminuire la produzione di glucosio e ai muscoli e alle cellule adipose che anche loro devono assorbire glucosio (per diminuirne la concentrazione a livello sanguigno), immagazzinandolo sotto forma di glicogeno o di grasso da utilizzare come fonte energetica negli intervalli tra i pasti. A scatenare il rilascio di insulina contribuiscono però altre sostanze nutrienti, come gli amminoacidi, e l’insulina ha effetti anche su componenti alimentari diversi dallo zucchero (per esempio come inibitore della scomposizione dei grassi).

Il normale corso degli eventi può allora risultare alterato da una molteplicità di fattori e il termine «diabete mellito» arriva a coprire un’ampia varietà di problematiche implicite, legate da una sintomatologia comune a sua volta derivante da livelli glicemici troppo elevati. Potremmo grossolanamente dividere queste problematiche in due gruppi di patologie: quelle del diabete mellito di tipo 2, non insulino-dipendente (noto anche come «diabete a esordio tardivo» o «senile»), e quelle del diabete di tipo 1, molto meno comune e insulino-dipendente (noto anche come «diabete giovanile»). Quest’ultimo è una malattia autoimmune in cui gli anticorpi del paziente distruggono le sue stesse cellule pancreatiche responsabili della secrezione dell’insulina. I diabetici di tipo 1 tendono a essere magri, e a non produrre e quindi a necessitare di quotidiane iniezioni di insulina. Molti di essi sono inoltre portatori di geni (particolari alleli cosiddetti HLA) che codificano come elementi del sistema immunitario. Il diabete di tipo 2 implica invece un’aumentata resistenza da parte delle cellule corporee all’insulina prodotta dal paziente e la loro conseguente incapacità di ricevere glucosio in misura normale. Finché il pancreas è in grado di reagire producendo piú insulina, la resistenza delle cellule può essere superata e il tasso di glucosio nel sangue resta nella norma, ma prima o poi il pancreas non ce la fa piú e smette di produrre abbastanza insulina per contrastare questa resistenza: il livello glicemico allora sale e il paziente sviluppa il diabete. Le persone affette da questo secondo tipo di diabete tendono a essere obese, ma ai primi stadi della malattia riescono spesso a tenere sotto controllo i sintomi stando a dieta, facendo esercizio e dimagrendo, senza dover ricorrere all’assunzione di pastiglie o a iniezioni di insulina.

Distinguere il diabete di tipo 1 da quello di tipo 2 può comunque essere difficile, in quanto il secondo tende ormai a presentarsi anche in soggetti adolescenti, mentre il primo può non manifestarsi fino all’età adulta. Inoltre, il diabete di tipo 2 (identificato in base alla resistenza all’insulina) è a sua volta associato a una molteplicità di geni diversi e si manifesta attraverso sintomi molto variabili. Nelle pagine seguenti mi concentrerò esclusivamente su quest’ultimo tipo, circa dieci volte piú comune dell’altro, e d’ora in avanti lo chiamerò semplicemente «diabete».

 

Geni, ambiente e diabete.

 

Oltre 2000 anni fa i medici indú, annotando episodi di «urina di miele», commentavano già che quei casi «passavano di generazione in generazione attraverso il seme» ed erano correlati a «diete imprudenti». I medici di oggi hanno riscoperto e riformulato quelle precisissime intuizioni dicendo che il diabete dipende da fattori sia genetici sia ambientali, e forse anche da fattori intrauterini che influirebbero sul feto nel corso della gravidanza. A dimostrazione del ruolo svolto dai geni basta citare il rischio decuplicato di contrarre il diabete da parte di chi ha un parente di primo grado che ne è già affetto (come un genitore o un fratello) rispetto a chi invece non ha parenti diabetici. Ma, al pari dell’ipertensione, il diabete non è una di quelle malattie genetiche semplici (come l’anemia falciforme) in cui il responsabile è sempre una mutazione nello stesso gene. Al contrario, per quanto riguarda il diabete sono state identificate decine e decine di fattori di suscettibilità genetica diversi, molti dei quali legati solo dalla caratteristica comune che una singola mutazione in uno qualsiasi di essi può tradursi in un elevato tasso glicemico nel sangue dovuto a resistenza all’insulina. (Ci tengo a ripetere che queste considerazioni valgono solo per il diabete di tipo 2, mentre quello di tipo 1 ha fattori di suscettibilità genetica diversi e specifici).

In aggiunta a questi, il diabete dipende poi da fattori ambientali e legati allo stile di vita. Anche se siete geneticamente predisposti al diabete, infatti, non è detto che necessariamente lo svilupperete, come avverrebbe invece se foste portatori di una coppia di geni della distrofia muscolare o della malattia di Tay-Sachs. Il rischio di sviluppare il diabete aumenta inoltre in base all’età e alla presenza di una madre o di parenti di primo grado già malati, tutte condizioni rispetto alle quali potete fare ben poco. Ma gli altri fattori predittivi del diabete sono invece controllabili, e fra questi in particolare l’eccesso ponderale, la mancanza di esercizio, una dieta ipercalorica e un eccessivo consumo di zuccheri e grassi. Quasi tutti i diabetici (sempre di tipo 2) possono ridurre la sintomatologia agendo proprio su questi fattori di rischio: il diabete colpisce per esempio da 5 a 10 volte di piú i soggetti obesi che non quelli normopeso, perciò non è raro che i pazienti recuperino un certo grado di salute mettendosi a dieta, facendo esercizio fisico e dimagrendo, e che questi stessi provvedimenti riescano a proteggere i soggetti predisposti dallo sviluppo della malattia.

Per chiarire in modo piú specifico il ruolo dei fattori ambientali nel diabete si possono citare molti tipi di esperimenti naturali, come quelli riportati all’inizio di questo capitolo a dimostrazione del legame esistente in generale fra stile di vita occidentale e malattie non trasmissibili: l’aumento a livello mondiale di tali fattori sta infatti alla base dell’attuale epidemia di diabete, e uno degli esperimenti naturali in questione vede la prevalenza del diabete crescere e decrescere in modo direttamente proporzionale al grado di benessere e allo stile di vita condotto dalla popolazione colpita. In Giappone i grafici relativi ai periodi di prevalenza del diabete e agli indicatori economici nazionali viaggiano a braccetto fin nelle minime variazioni annuali, e questo perché quando la gente ha piú disponibilità economiche mangia anche di piú e rischia maggiormente di sviluppare i sintomi della malattia. Analogamente, il diabete e i suoi sintomi conoscono un declino o scompaiono completamente nelle popolazioni che patiscono la fame, come nel caso dei diabetici francesi costretti a razionare il cibo durante l’assedio di Parigi del 1870-71. Gli aborigeni australiani che per un certo periodo hanno abbandonato la sedentarietà del nuovo stile di vita occidentale per tornare ai faticosissimi sistemi di procacciamento di cibo tradizionali hanno immediatamente visto regredire i sintomi del diabete, arrivando a perdere una media di 9 chili di peso nell’arco di sette settimane. Non dobbiamo infatti dimenticare che l’obesità è uno dei fattori di rischio principali del diabete. Anche i diabetici svedesi che per tre mesi hanno rinunciato alla loro dieta molto poco mediterranea (piú del 70 per cento dell’apporto calorico derivava dall’assunzione di zucchero, margarina, prodotti caseari, alcolici, olio e cereali) per adottare quella dei piú snelli italiani hanno registrato una riduzione della circonferenza vita e dei sintomi della malattia, e ancora meglio si sono sentiti e maggiore è stata la perdita ponderale in coloro che hanno adottato una «dieta paleolitica» sulla falsariga di quella dei cacciatori-raccoglitori.

Un altro esperimento naturale è quello che ha rilevato autentiche esplosioni di diabete presso i gruppi di emigrati che si erano emancipati da stili di vita decisamente spartani, adottando abitudini sedentarie e ipercaloriche grazie all’abbondanza di offerta alimentare nei supermercati. Prendiamo gli ebrei yemeniti aerotrasportati in Israele durante l’operazione Tappeto Volante del 1949-50, strappati al Medioevo e immersi dall’oggi al domani nella vita del XX secolo: al loro arrivo in Israele, praticamente il diabete non sapevano nemmeno cosa fosse, eppure nel giro di vent’anni il 13 per cento di essi si ammalò. Altri emigrati trovarono, insieme alla fortuna, il diabete: gli ebrei etiopi trapiantati in Israele, i messicani e i giapponesi negli Stati Uniti, i polinesiani in Nuova Zelanda, i cinesi a Mauritius e Singapore e gli indiani asiatici finiti a Mauritius, Singapore, nelle Fiji, in Sudafrica, negli Stati Uniti e in Inghilterra.

I paesi in via di sviluppo che negli ultimi anni si sono arricchiti e occidentalizzati hanno a loro volta sviluppato tassi di diabete piú alti. Al primo posto spiccano gli otto produttori di petrolio arabi e le nuove e abbienti isole-nazione oggi in testa alle tristi classifiche mondiali (tutti sopra il 15 per cento), ma anche i paesi latinoamericani e caraibici vedono ormai una prevalenza del diabete superiore al 5 per cento. Per quanto riguarda l’Estremo Oriente e l’Asia meridionale si parla di tassi ovunque superiori al 4 per cento, tranne nel caso di cinque dei paesi piú poveri, dove la prevalenza rimane attestata sull’1,6 per cento. Le elevate percentuali di diffusione del diabete nei paesi che vanno sviluppandosi piú rapidamente costituiscono inoltre un fenomeno recente: nel 1959 la prevalenza in India era ancora dell’1 per cento, mentre oggi è all’8 per cento. Di contro, la maggior parte dei paesi dell’Africa subsahariana è ancora povera e mostra tassi di prevalenza del diabete inferiori al 5 per cento.

Le medie nazionali celano tuttavia grosse differenze interne che costituiscono a loro volta degli esperimenti naturali. In tutto il mondo, infatti, il processo di urbanizzazione è associato a un minor esercizio fisico e a una maggiore disponibilità di cibo, all’obesità e al diabete. Le singole popolazioni urbane piú colpite dalla malattia comprendono i già citati wanigela della capitale di Papua Nuova Guinea (con una prevalenza del 37 per cento) e diversi gruppi urbani di aborigeni australiani (fino al 33 per cento), casi tanto piú interessanti in quanto fino al perdurare delle condizioni tradizionali il diabete era rimasto sconosciuto sia presso i guineani, sia presso gli australiani.

Lo stile di vita occidentale comporta insomma il rischio di ammalarsi di diabete, ma stiamo parlando di una patologia legata a svariati elementi correlati: quali contribuiscono dunque maggiormente al suo sviluppo? Se da un lato distinguere tra effetti delle influenze correlate non è facile, dall’altro pare che i tre fattori di rischio principali siano obesità e sedentarietà (su cui si può intervenire), e familiarità (a cui non si può porre rimedio). Un altro fattore di rischio non controllabile è il peso alla nascita. Se la composizione della dieta in parte agisce per mezzo della sua relazione con l’obesità, essa sembra però esercitare anche un certo grado di influenza indipendente: tra soggetti ugualmente affetti da obesità, quelli che osservano una dieta mediterranea paiono andare incontro a un rischio di sviluppare il diabete inferiore a coloro che hanno un consumo elevato di zuccheri, acidi grassi saturi, colesterolo e trigliceridi. La mancanza di esercizio fisico può a sua volta diventare una fonte di rischio in quanto fattore predisponente all’obesità, mentre il fumo, i processi infiammatori e l’elevato consumo di alcol sembrano rappresentare fattori di rischio indipendenti. In breve, il diabete di tipo 2 nasce da fattori genetici e forse anche intrauterini, successivamente «smascherati» da fattori legati allo stile di vita che producono i sintomi della malattia.

 

Gli indiani pima e gli abitanti di Nauru.

 

Le prove del ruolo che l’ambiente ha nello sviluppo del diabete sono tragicamente confermate dalla storia delle due popolazioni in assoluto piú colpite al mondo: gli indiani pima e gli abitanti dell’Isola di Nauru. Per oltre 2000 anni i pima sono riusciti a sopravvivere nei deserti dell’Arizona meridionale grazie a metodi di coltivazione basati su complessi sistemi irrigui, integrati da caccia e raccolta. Data la forte variabilità delle precipitazioni annue nelle zone desertiche, ogni cinque anni un raccolto andava perduto e per un po’ ciò li costringeva ad alimentarsi esclusivamente di cacciagione e vegetali selvatici, in particolare di jack rabbit (lepri americane) e di fagioli di mesquite. Molti dei loro vegetali selvatici preferiti avevano un alto contenuto di fibre ed erano poveri di grassi e a lento rilascio di glucosio, caratteristiche che li rendevano un’ottima dieta antidiabetica. Dopo questa lunga storia di periodiche ma brevi carestie, verso la fine del XIX secolo i pima dovettero affrontare una carestia di durata maggiore, allorché i coloni bianchi deviarono alla sorgente il corso dei fiumi da cui essi dipendevano per l’irrigazione dei campi: il risultato furono la perdita dei raccolti e la fame. Oggi i pima mangiano cibi comprati in negozio, e se all’inizio del 1900 gli osservatori riportavano solo rari casi di obesità e l’assenza pressoché totale del diabete, a partire dagli anni 1960 i pima obesi sono diventati la maggioranza, alcuni arrivano a pesare 140-150 chili e metà di essi supera il novantesimo percentile ponderale in rapporto all’altezza. Le donne pima consumano circa 3160 calorie giornaliere (50 per cento in piú della media statunitense), il 40 per cento delle quali è composto da grassi. I pima hanno inoltre conquistato la fama nella letteratura scientifica sul diabete, aggiudicandosi il record mondiale assoluto di frequenza della malattia: la metà dei pima ultratrentacinquenni e il 70 per cento di quelli compresi fra i 55 e i 64 anni di età sono diabetici, con tutti i tragici casi di cecità, amputazione degli arti e insufficienza renale che ne conseguono.

Il secondo esempio è quello di Nauru, piccola e remota isola del Pacifico tropicale colonizzata in tempi preistorici dai micronesiani. Nel 1888 Nauru fu annessa alla Germania, nel 1914 venne occupata dall’Australia e finalmente nel 1968 ottenne l’indipendenza, diventando la piú piccola repubblica del mondo. Purtroppo però Nauru vanta anche un macabro primato, in quanto sede tristemente istruttiva di un fenomeno pochissimo documentato: un’epidemia di una malattia genetica. Noi siamo abituati a epidemie di malattie infettive che esplodono quando la trasmissione dell’agente infettivo dilaga e vanno in remissione quando il numero delle vittime potenziali precipita, in seguito all’immunizzazione dei sopravvissuti e alla mortalità differenziale dei soggetti geneticamente suscettibili. Un’epidemia di tipo genetico esplode invece a causa di un aumento nei fattori di rischio ambientali e si placa quando il numero delle potenziali vittime suscettibili precipita (ma solo in seguito al decesso dei soggetti geneticamente piú esposti, non certo grazie all’immunità acquisita: non esiste immunizzazione possibile nei confronti del diabete).

Lo stile di vita tradizionale dei nauruani era basato sulla pesca e l’agricoltura e comportava frequenti carestie dovute alla siccità e alla povertà del terreno dell’isola. Ciononostante i primi visitatori europei notarono che gli abitanti erano floridi, che ammiravano le persone grosse e grasse e che sottoponevano bambine e ragazze a diete ingrassanti per farle crescere piú attraenti. Nel 1906 si scoprí che la maggior parte del sottosuolo dell’isola era composto da rocce con la piú alta concentrazione al mondo di fosfato, ingrediente fondamentale dei fertilizzanti, e nel 1922 la società che lo estraeva cominciò finalmente a pagare gli isolani per i diritti di sfruttamento minerario. Nel 1927 il benessere economico aveva dunque già spinto i nauruani a consumare in media la bellezza di mezzo chilo di zucchero al giorno e a lasciare che l’odiato lavoro in miniera fosse svolto solo da manodopera straniera.

Nel corso della Seconda guerra mondiale Nauru fu però occupata dalle forze militari giapponesi, che imposero i lavori forzati, ridussero le razioni alimentari a meno di tre etti di zucca al giorno e deportarono quasi tutta la popolazione a Truk, dove metà di essa morí d’inedia. Quando a guerra finita i sopravvissuti fecero ritorno a casa, riacquisirono i loro diritti di sfruttamento del fosfato, abbandonarono quasi del tutto l’agricoltura e ricominciarono a fare la spesa nei supermercati, riempiendo i carrelli di sacchi di zucchero e assumendo il doppio dell’apporto calorico giornaliero raccomandato. Diventarono inoltre sedentari e iniziarono a spostarsi per la loro piccola isola (circa due chilometri e mezzo di raggio) solo con veicoli a motore. Nel 1968, in seguito all’indipendenza, i diritti annuali pro capite sul fosfato arrivarono a qualcosa come 23000 dollari, trasformando i nauruani in una delle popolazioni piú ricche del mondo. Oggi detengono invece il primato assoluto di obesità e di ipertensione media delle isole del Pacifico e, a parità di altezza, il loro peso medio è una volta e mezzo quello degli australiani bianchi.

Sebbene i medici bianchi di Nauru fossero in grado di riconoscere il diabete e lo avessero diagnosticato in alcuni lavoratori non nauruani, il primo caso di nativo colpito da questa patologia venne registrato solo nel 1925 e il secondo nel 1934. A partire dal 1954, però, la prevalenza sull’isola ha conosciuto un vero e proprio picco e il diabete è diventato la prima causa di morte non accidentale: un terzo di tutti gli abitanti di Nauru sopra i 20 anni, due terzi di quelli sopra i 55 e il 70 per cento dei pochi che sopravvivono fino ai 70 sono oggi diabetici. Negli ultimi dieci anni il picco ha cominciato a calare, non perché siano diminuiti i fattori di rischio ambientali (obesità e sedentarietà sono diffuse quanto nel passato), ma probabilmente perché i soggetti geneticamente piú predisposti sono ormai morti. Se la mia interpretazione si dimostrasse corretta, grazie a questa epidemia che nell’arco di meno di quarant’anni ha colpito una popolazione intera Nauru diventerebbe l’esempio di selezione naturale umana piú rapido che conosca.

 

Il diabete in India.

 

La tabella 7 confronta in modo sintetico la prevalenza del diabete in alcune parti del mondo. È evidente che i valori medi nazionali presentano forti differenze, spaziando da ordini di grandezza minimi come l’1,6 per cento della Mongolia e del Ruanda fino al 19 per cento degli Emirati Arabi Uniti e al 31 per cento di Nauru; ma è anche evidente che dietro alle medie nazionali si celano differenze interne altrettanto grandi e legate ai diversi stili di vita, per cui – almeno nei paesi in via di sviluppo – le popolazioni agiate, occidentalizzate o inurbate tendono a presentare tassi di incidenza molto piú elevati di quelle povere, tradizionali o rurali.

L’India fornisce alcuni esempi perfetti di queste differenze subnazionali (a questo proposito ringrazio per le informazioni il professor Vishwanathan Mohan, della Diabetes Research Foundation di Madras). Nel 2010 la prevalenza media del diabete in India era dell’8 per cento, ma fino a poche decine di anni or sono da quelle parti si trattava di una patologia davvero molto rara. Da indagini condotte nel 1938 e nel 1954 in grandi città come Calcutta e Mumbai, oggi roccaforti del diabete, emergeva una prevalenza pari all’1 per cento o inferiore, e solo negli anni 1980 la percentuale ha cominciato a salire, dapprima lentamente e ora vertiginosamente, al punto che ormai l’India conta piú diabetici (oltre 40 milioni) di qualunque altra nazione al mondo. Fondamentalmente le ragioni sono le stesse che troviamo alla base dell’epidemia mondiale: urbanizzazione, innalzamento dello standard di vita, diffusione di alimenti dolci e salati a basso costo accessibili a tutti nelle città e aumento della sedentarietà, associata al tramonto di molti lavori manuali e all’avvento di computer, televisione e videogiochi che ogni giorno tengono i bambini (e gli adulti) letargicamente seduti per ore davanti agli schermi. Sebbene il ruolo specifico giocato dalla Tv in India non sia stato quantificato, uno studio australiano ha evidenziato che ogni singola ora trascorsa guardando la televisione è associata a un aumento del 18 per cento della mortalità per cause cardiovascolari (gran parte delle quali correlate al diabete), e questo anche dopo avere tenuto conto della presenza di altri fattori di rischio, quali i valori della circonferenza vita, il fumo, il consumo di alcolici e la dieta. Ma, notoriamente, il peso di questi fattori cresce con l’accrescersi dei tempi di permanenza davanti alla Tv, ragion per cui la percentuale reale dev’essere addirittura superiore a quella stimata.

All’interno di questo 8 per cento di prevalenza media nazionale c’è un ampio ventaglio di risultati associati ai diversi gruppi di indiani. All’estremo piú basso il tasso di prevalenza del diabete è solo dello 0,7 per cento, nei soggetti rurali non obesi e fisicamente attivi; si passa poi all’11 per cento nel caso degli indiani obesi e sedentari che abitano in città, per raggiungere un picco del 20 per cento nel distretto di Ernakulam di uno degli stati piú urbanizzati del paese: il Kerala. Una percentuale ancora superiore si attesta come secondo valore mondiale piú alto ed è il 24 per cento dell’Isola di Mauritius, nell’Oceano Indiano, dove una comunità di immigrati prevalentemente indiani si è avvicinata agli standard di vita occidentali piú rapidamente di qualunque altro gruppo del paese.

Tra i fattori predittivi del diabete legati allo stile di vita in India alcuni sono gli stessi che valgono anche per l’Occidente, mentre altri capovolgono del tutto le aspettative occidentali. Cosí come da noi, anche in India questa patologia è infatti associata all’obesità, all’ipertensione arteriosa e alla sedentarietà; ma i diabetologi europei e americani rimarranno alquanto stupiti nell’apprendere che la prevalenza è piú alta tra gli indiani benestanti e istruiti delle città che non tra gli abitanti delle campagne poveri e privi di istruzione: l’esatto opposto rispetto ai trend occidentali, benché esistano analogie con altri paesi in via di sviluppo, fra cui Cina, Bangladesh e Malaysia. È dunque piú facile che i pazienti indiani affetti da diabete siano laureati o diplomati, e piú difficile che siano analfabeti come molti non diabetici. Nel 2004 la prevalenza del diabete aveva raggiunto una media del 16 per cento nelle aree urbane dell’India e solo del 3 per cento in quelle rurali: il contrario che in Occidente. La possibile spiegazione di questi paradossi si lega a due aspetti dello stile di vita occidentale da noi molto piú diffusi, e da molto piú tempo, che non in India. In primo luogo, le società occidentali sono di gran lunga piú abbienti della società indiana, quindi anche le nostre popolazioni rurali possono permettersi di frequentare di piú i fast food, che espongono i consumatori al rischio di diabete. In secondo luogo, gli occidentali istruiti che accedono ai fast food e svolgono lavori sedentari hanno ormai sentito parlare spesso della nocività di queste diete e della necessità di fare esercizio fisico, mentre fra gli indiani istruiti questa consapevolezza deve ancora farsi strada: quasi il 25 per cento degli abitanti delle città indiane (la sottopopolazione a piú alto rischio) non sa nemmeno che cosa sia il diabete.

In India cosí come in Occidente questa patologia è in ultima analisi dovuta a livelli cronicamente elevati di glucosio nel sangue, e alcune delle sue conseguenze cliniche sono simili. Per altri versi, tuttavia, forse perché i fattori correlati allo stile di vita o i geni sono diversi, la malattia non si manifesta nello stesso modo. Mentre gli occidentali pensano al diabete di tipo 2 come a una patologia che insorge in età adulta, specie dopo i 50 anni, i diabetici indiani presentano sintomi anche a 30 o 40 e il momento dell’esordio, cosí come presso molte altre popolazioni, ha continuato a spostarsi verso il basso per tutto l’ultimo decennio. Tra i diciassettenni e diciottenni indiani il diabete a «esordio tardivo» (quello di tipo 2, o non insulino-dipendente) si manifesta piú spesso del diabete «giovanile» (o di tipo 1, insulino-dipendente). Mentre l’obesità costituisce un fattore di rischio per il diabete sia in India sia in Occidente, qui e in altri paesi asiatici il diabete si instaura a una soglia di obesità inferiore. Anche i sintomi differiscono: i pazienti indiani vanno meno soggetti di quelli occidentali a cecità e insufficienza renale secondarie, ma è piú probabile che vengano colpiti da coronaropatia in età relativamente giovane.

Sebbene attualmente gli indiani poveri abbiano meno probabilità di ammalarsi degli indiani ricchi, la rapida diffusione del cibo da fast food espone al rischio del diabete persino gli abitanti degli slum di New Dehli. Il dottor S. Sandeep, A. Ganesan e il professor Mohan della Madras Diabetes Research Foundation hanno cosí sintetizzato il quadro attuale: «Ciò induce a pensare che [in India] il diabete non sia piú una malattia delle classi ricche o agiate, ma che stia diventando un problema anche fra gli strati sociali a medio reddito e piú poveri. Gli studi hanno dimostrato che i soggetti diabetici poveri sono inoltre piú colpiti da complicazioni perché in genere non riescono ad accedere a cure di qualità».

 

Tabella 7. Prevalenza del diabete di tipo-2 nel mondo.

 

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I valori sulla destra del grafico si riferiscono alla prevalenza del diabete espressa in percentuale, cioè alla percentuale di popolazione colpita dal diabete di tipo 2. Si tratta della cosiddetta prevalenza standardizzata per età, che vado qui di seguito a definire. Poiché la prevalenza del tipo 2 in una data popolazione aumenta con l’età, sarebbe fuorviante confrontare valori grezzi di prevalenza tra due popolazioni diverse dal punto di vista della composizione anagrafica: anche se a una certa età la prevalenza fosse identica in entrambe le popolazioni studiate, ci si aspetterebbe infatti che i valori grezzi prima o poi finissero per differire in quanto prodotto della diversa distribuzione anagrafica (la prevalenza risulterebbe superiore fra la popolazione piú anziana). Per questa ragione si misura la prevalenza all’interno di una popolazione come una funzione dell’età, per poi calcolare la prevalenza per l’intera popolazione in base a una certa distribuzione anagrafica standardizzata.

Si noti la maggiore prevalenza fra le popolazioni ricche, occidentalizzate o urbane rispetto alle popolazioni povere, tradizionali o rurali di uno stesso paese. Si noti anche che le differenze nello stile di vita dànno origine a forti contrasti (oltre il 12%) fra le basse e le alte prevalenze in ciascun gruppo umano esaminato, tranne fra gli europei occidentali, dove, per ragioni ancora da discutere, secondo gli standard mondiali non si dà alcuna popolazione ad alta prevalenza. La tabella illustra inoltre l’aumento e il successivo crollo della prevalenza sull’Isola di Nauru, fenomeni dovuti prima al rapido processo di occidentalizzazione, quindi alla selezione naturale fra gli individui colpiti dal diabete.

 

Vantaggi genetici contro il diabete.

 

La forte componente genetica del diabete pone un interrogativo di natura evoluzionistica: perché una patologia tanto debilitante appare cosí diffusa presso un gran numero di popolazioni umane, là dove sarebbe stato legittimo aspettarsi che a poco a poco scomparisse, con l’eliminazione da parte della selezione naturale dei soggetti geneticamente predisposti e della loro prole?

Due sono le spiegazioni che possiamo subito scartare, applicabili invece ad altre malattie genetiche: le mutazioni ricorrenti e l’assenza di conseguenze selettive. Se il diabete fosse poco diffuso come la distrofia muscolare (circa 1 caso su 10000), la sua prevalenza sul piano genetico potrebbe spiegarsi come un semplice prodotto delle mutazioni ricorrenti: i bambini portatori di una nuova mutazione nascono alla stessa velocità con cui la malattia uccide i portatori delle mutazioni precedenti. Nessuna mutazione è tuttavia cosí frequente da presentarsi in veste nuova in una percentuale compresa fra il 3 e il 50 per cento di tutti i neonati, corrispondente alla prevalenza del diabete nelle società occidentali.

Inoltre, periodicamente i genetisti rispondono all’interrogativo evoluzionistico dichiarando che il diabete uccide solo i pazienti piú anziani, coloro cioè che si sono ormai lasciati alle spalle la vita riproduttiva, e tali decessi non dovrebbero dunque comportare svantaggi selettivi per i geni predisponenti al diabete. Per quanto diffuso, si tratta però di un argomento sbagliato per due ovvi motivi. Il primo è che, se fra gli europei il diabete di tipo 2 compare soprattutto negli ultracinquantenni, fra i nauruani, gli indiani e altri non europei colpisce soggetti in età riproduttiva tra i 20 e i 40 anni, specie le donne incinte, che partoriscono neonati a propria volta esposti a un rischio superiore di diventare diabetici. In Giappone, per esempio, nonostante l’aggettivo «senile» oggi ci sono piú bambini affetti dal diabete di tipo 2 che non da quello di tipo 1. Inoltre, come già visto al capitolo VI, diversamente dalle moderne società del Primo Mondo nelle società umane tradizionali nessun anziano è mai davvero «postriproduttivo» e ininfluente dal punto di vista della selezione, in quanto i nonni contribuiscono ancora in modo decisivo al procacciamento di cibo, al godimento di un certo status sociale e alla sopravvivenza di figli e nipoti.

Dobbiamo perciò ritenere che i geni che attualmente predispongono al diabete siano stati favoriti dalla selezione naturale prima che compissimo il nostro improvviso salto verso lo stile di vita occidentalizzato. Quei geni devono anzi essere stati favoriti e preservati dalla selezione naturale per decine di volte in maniera indipendente, poiché esistono decine di problematiche genetiche diverse già identificate che hanno per esito il diabete (di tipo 2). Quali vantaggi comportavano dunque per noi in passato i geni legati al diabete, e perché oggi si sono trasformati in problema?

Innanzitutto ricordiamoci che l’effetto rete dell’ormone insulina è quello di permetterci di conservare sotto forma di grasso il cibo ingerito ai pasti, e di evitare la scomposizione delle nostre riserve di grassi già accumulate. È a partire da qui che, trent’anni or sono, il genetista James Neel ipotizzò che il diabete derivasse da un «genotipo frugale» che rendeva i portatori particolarmente efficienti nell’immagazzinare il glucosio alimentare sotto forma di grasso. Poniamo che alcuni di noi reagiscano con un rapidissimo rilascio di insulina al minimo aumento del tasso glicemico nel sangue: grazie a questa risposta di tipo genetico, i possessori di un gene simile avrebbero la possibilità di sequestrare il glucosio alimentare in forma di grasso, senza lasciare il tempo alla concentrazione glicemica del sangue di tracimare nelle urine. Nei periodi di abbondanza, costoro utilizzerebbero dunque il cibo in maniera piú efficiente, depositando scorte di grasso, acquistando velocemente peso e diventando cosí piú resistenti in caso di futura carestia. Questi geni rappresenterebbero insomma un bel vantaggio nelle imprevedibili condizioni di carestia e abbondanza che caratterizzavano il tipo di vita tradizionale (tav. 26), ma nel mondo moderno, dove non si fa esercizio fisico, ci si procaccia il cibo solo nei supermercati e ogni giorno si consumano pasti ad alto apporto calorico (tav. 27), porterebbero invece all’obesità e al diabete. In un’epoca in cui tanti di noi si muovono pochissimo e assumono sistematicamente alimenti ad alto contenuto zuccherino, gene frugale significa disastro garantito: ci fa ingrassare, ma poiché non rischiamo periodiche carestie in cui bruciare le nostre riserve adipose, il pancreas continua a rilasciare insulina fino a non farcela piú, o finché i nostri muscoli e le nostre cellule grasse non diventano resistenti, e cosí ci ritroviamo con il diabete. Sulla scia di Arthur Koestler, Paul Zimmet parla dello stile di vita occidentale predisponente al diabete chiamandolo «coca-colonizzazione».

Nel Primo Mondo siamo ormai abituati a disporre di quantità di cibo certe in momenti altrettanto certi della giornata e questo ci impedisce di immaginare le fluttuazioni, spesso imprevedibili, tra i ricorrenti periodi di vacche magre e i rari periodi di vacche grasse che sino a poco tempo fa hanno accompagnato l’evoluzione umana, e in molte parti del mondo ancora lo fanno. Ma io mi sono imbattuto spesso in queste fluttuazioni mentre lavoravo sul campo con i guineani che ancora vivono di caccia e agricoltura, e a questo proposito vorrei ricordare un incidente memorabile. Avevo ingaggiato una decina di portatori per trasportare le mie pesanti attrezzature lungo un ripido sentiero verso un campo di montagna ed eravamo giunti a destinazione poco prima del tramonto, dopo un intero giorno di cammino. Altri portatori con i viveri avrebbero dovuto precederci sul posto, ma a causa di un malinteso non erano arrivati. A quel punto mi aspettavo di essere linciato dal primo gruppo esausto e affamato, invece gli uomini si misero a ridere e dissero: «Orait, i nogat kaikai, i samting nating, yumi slip nating, enap yumi kaikai tumora» («Okay, non abbiamo cibo, non è niente, dormiamo a pancia vuota e per mangiare aspettiamo domani»). Di contro, nelle occasioni in cui vengono macellati i maiali i miei amici guineani sono capaci di banchettare per diversi giorni di seguito: io stesso (un tempo giudicato dai miei amici un pozzo senza fondo) resto scioccato dalle quantità di cibo consumato, e c’è gente che finisce per sentirsi letteralmente male.

Questi aneddoti mostrano quanto l’uomo sia in grado di adattarsi alle oscillazioni fra i periodi di abbondanza e carestia che nel corso della nostra storia evolutiva si sono ripetuti spesso ma in modo irregolare. Nel capitolo VIII ho riassunto le ragioni della frequenza delle carestie nelle condizioni di vita tradizionale: penuria di cibo associata a variazioni quotidiane nell’esito della caccia, brevi ondate di maltempo, variazioni stagionali nell’abbondanza di cibo prevedibili nell’arco dell’anno e variazioni meteorologiche annuali non prevedibili, frequente incapacità parziale o totale di accantonare eccedenze alimentari e mancanza di governi centralizzati o di altri sistemi in grado di organizzare e integrare sulle lunghe distanze stoccaggio, trasporto e scambio delle scorte. La tabella 8 porta invece notizia di alcune grandi abbuffate in periodi in cui presso le società tradizionali il cibo non scarseggia.

In un contesto tradizionale di alternanza digiuno-abbuffata gli individui con un genotipo frugale godrebbero indubbiamente di un certo vantaggio, vista la loro capacità di immagazzinare scorte di grasso nei tempi di surplus alimentare, di bruciare meno calorie nei periodi bui e dunque di resistere meglio alla fame. Fino a poco tempo fa alla maggioranza dei nostri simili cose come i centri dietetici e la tipica paura dell’obesità dell’Occidente moderno sarebbero parse non solo ridicole, ma addirittura l’esatto contrario del buonsenso tradizionale. Un tempo i geni che oggi ci predispongono al diabete devono averci effettivamente aiutato a sopravvivere alle carestie, e allo stesso modo la passione per i cibi dolci, grassi e salati, oggi tanto facile da soddisfare al punto da esporci a diabete e ipertensione, in passato ci induceva a fare scorta di nutrienti rari e preziosi. Come nel caso dell’ipertensione, torno dunque a sottolineare il paradosso evolutivo: coloro i cui antenati decine di migliaia di anni fa sopravvivevano meglio alle carestie nelle savane africane sono gli stessi che oggi rischiano di piú di morire di diabete per la troppa abbondanza di cibo.

La modalità digiuno-abbuffata tradizionalmente condivisa da tutte le popolazioni umane si è insomma tradotta in una selezione naturale a favore del genotipo frugale che in quelle condizioni ci avvantaggiava enormemente, ma che in ragione della perenne abbondanza moderna ha finito con l’esporre praticamente l’intera umanità al rischio di diabete. Per quale motivo, allora, questa malattia colpisce cosí tanto proprio gli indiani pima e i nauruani? Credo la risposta sia perché in tempi molto recenti questi due popoli sono stati sottoposti a processi di selezione del genotipo frugale di un’intensità senza pari. All’inizio i pima andavano incontro a periodiche carestie esattamente come tutti gli altri nativi americani; alla fine del XIX secolo però, con il blocco delle irrigazioni e la perdita dei raccolti causati dall’intervento dei coloni bianchi, attraversarono un periodo particolarmente prolungato di fame e di selezione naturale. Dal punto di vista genetico i pima sopravvissuti erano dunque ancora piú adatti degli altri indiani a resistere al digiuno, grazie alla loro capacità di immagazzinare grasso in tempi di abbondanza. Per quanto riguarda invece i nauruani, dopo due violente ondate di selezione naturale a vantaggio dei geni frugali hanno subíto l’impatto altrettanto violento della coca-colonizzazione. Come altri abitanti delle isole del Pacifico, ma diversamente da quelli delle regioni continentali, i nauruani erano i discendenti di un popolo che si spostava da un’isola all’altra affrontando viaggi in piroga di parecchie settimane. Molte di queste interminabili navigazioni si concludevano con la morte per inedia di quasi tutti i passeggeri e a sopravvivere erano i piú grassi: per questo gli abitanti delle isole del Pacifico tendono in genere a una certa corpulenza. Ma durante la Seconda guerra mondiale i nauruani si sono distinti dalla maggioranza degli altri popoli isolani per l’altissimo numero di morti d’inedia, e probabilmente questo ha prodotto un’eredità genetica di suscettibilità al diabete ancora maggiore. Dopo il conflitto, il ritrovato benessere legato ai diritti di sfruttamento del fosfato e alla sovrabbondanza di cibo, piú la diminuita attività fisica, hanno cosí finito per tradursi in una straordinaria prevalenza dell’obesità.

Ad avvalorare la plausibilità dell’ipotesi dei geni frugali elaborata da Neel vi sono tre linee di evidenza umane e due modelli animali. I nauruani, gli indiani pima, gli afroamericani e gli aborigeni australiani non diabetici mostrano livelli di insulina postprandiale nel plasma (in risposta all’assunzione di glucosio per via orale) parecchie volte superiori a quelli degli europei. Gli abitanti degli altipiani guineani, gli aborigeni australiani, le tribú masai del Kenya e altri popoli che seguono stili di vita tradizionali presentano invece livelli glicemici molto inferiori a quelli dei bianchi americani. Quando abbiano a disposizione cibo in abbondanza, le popolazioni delle isole del Pacifico, i nativi americani e gli aborigeni australiani inclini al diabete mostrano maggiore propensione all’obesità degli europei: prima ingrassano, poi si ammalano di diabete. Quanto ai modelli animali, le cavie da laboratorio con geni predisponenti a obesità e diabete sopravvivono alla fame meglio dei normali topi, a riprova dell’utilità di quei geni in caso di carestia. Se tenuto artificialmente in regime di abbondanza alimentare come i «topi occidentali», lo Psammomys obesus israeliano, volgarmente detto «topo delle sabbie» e adatto a un ambiente desertico caratterizzato da frequenti penurie di cibo, sviluppa alti livelli di insulina, insulino-resistenza, obesità e diabete, tutti sintomi che scompaiono non appena l’offerta di cibo cala. La cavia da laboratorio e lo Psammomys obesus israeliano servono dunque da modelli sia per i benefici dei geni frugali e dell’immediato rilascio di insulina in condizioni di «vita da topi tradizionali», sia per le conseguenze negative che questi stessi geni comportano in condizioni di «vita da topi da supermercato».

 

Tabella 8. Esempi di abbuffate nei periodi di abbondanza.

Daniel Everett (Don’t Sleep, There Are Snakes, pp. 76-77): «A loro [gli indios pirahã sudamericani] piace molto mangiare. Quando al villaggio c’è cibo in abbondanza, lo consumano tutto... [Ma] se capita di saltare un pasto, o anche di non mangiare per un giorno intero, non si agitano affatto. Ho visto gente danzare per tre giorni di fila, facendo solo piccole pause [...] La prima volta che mettono piede in città i pirahã restano sempre sbalorditi dalle abitudini alimentari degli occidentali, soprattutto dal fatto che mangino tre volte al giorno. Il primo pasto fuori dal villaggio – carboidrati e proteine in quantità – viene quasi sempre divorato con ingordigia; il secondo in genere è uguale al primo, ma al terzo cominciano a mostrare una certa frustrazione. “Dobbiamo mangiare di nuovo?” chiedono spesso, sconcertati. Quella che è la loro abitudine, cioè dare fondo al cibo quando ce n’è, viene a confliggere con una disponibilità improvvisamente continua e inesauribile. Non è raro che, dopo un soggiorno di tre-sei settimane, un pirahã [che in origine pesava fra i 45 e i 55 chili] torni al villaggio con piú di dieci chili addosso e rotoli di ciccia sulla pancia e sulle cosce».

Allan Holmberg (Nomads of the Long Bow, p. 89): «Le quantità di cibo che in certe occasioni [gli indios sirionó della Bolivia] riescono a divorare sono impressionanti. Non è raro che quattro persone facciano fuori un pecari di trenta chili in una volta sola. Quando la carne abbonda, un singolo uomo riesce a ingollarne anche 15 chili nell’arco di una giornata. Un giorno ho visto con i miei occhi due uomini mangiarsi sei scimmie atele che andavano dai cinque ai sette chili l’una, e quella stessa sera li ho sentiti lamentarsi che avevano ancora un po’ fame».

Lidio Cipriani (The Andaman Islanders, p. 54): «Per gli onge [delle Isole Andamane, nell’Oceano Indiano] ripulirsi significa pitturarsi il corpo per tenere lontani gli spiriti maligni e togliersi di dosso, cosí dicevano, l’odore del grasso di maiale dopo le orge colossali che seguono a una caccia particolarmente fortunata, quando loro stessi arrivano a trovare eccessivo quel puzzo. Le orge alimentari, che procurano indigestioni di giorni e giorni, sono seguite da un istintivo cambio di dieta, che vira verso vegetali crudi o cotti. Fra il 1952 e il 1954 mi è capitato di presenziare a tre di questi solenni festini a base di maiale e miele e ho visto gli onge mangiare fin quasi a scoppiare; poi, quasi incapaci di muoversi, darsi a una grandiosa sessione di pittura purificatrice».

Ibid., p. 117: «Quando la marea si ritira, i banchi [di pesci simili a sardine] rimangono intrappolati nei reef che circondano le isole e gli onge abbandonano qualunque attività per andare di pozza in pozza con le piroghe e stiparle fino all’orlo. L’acqua pullula letteralmente di pesci e gli onge ne raccolgono finché non resta loro piú posto dove metterli. Da nessun’altra parte al mondo ho visto nulla di simile a questi stermini. Le sardine delle Andamane sono piuttosto grosse, alcune raggiungono e superano il chilo di peso [...] Uomini, donne e bambini si dànno affannosamente da fare immergendo in quella massa rigonfia le mani, che poi puzzano di pesce per giorni interi [...] Tutti cucinano e mangiano insieme, fino a non poterne (temporaneamente) piú, e il resto del bottino viene allora disposto su rastrelliere improvvisate, sotto le quali spira il fumo di un fuoco di legna verde. Dopo qualche giorno la scorta finisce e ricomincia la pesca, e le cose vanno avanti cosí per settimane, finché i grandi banchi non si lasciano le isole alle spalle».

 

Perché gli europei soffrono meno di diabete?

 

Un tempo i diabetologi indicavano i pima e i nauruani come palesi eccezioni di alta prevalenza del diabete, stagliate contro uno sfondo in cui la norma era rappresentata dalla scarsa prevalenza fra gli europei. I dati di questi ultimi decenni dimostrano tuttavia che la vera eccezione sono gli europei, a fronte dell’alta prevalenza generalizzata presso tutte le altre popolazioni occidentalizzate. I pima e i nauruani sono «soltanto» la punta piú elevata di una normalità di per sé alta – record a cui si stanno avvicinando anche diversi gruppi di guineani e di aborigeni australiani. Oggi sappiamo che a ogni grosso raggruppamento di popolazioni non europee ben studiate corrisponde qualche sottogruppo occidentalizzato in cui la prevalenza del diabete supera l’11 e di solito si attesta intorno al 15 per cento; parliamo di nativi americani, di nordafricani, africani neri subsahariani, di mediorientali, indiani, asiatici orientali, guineani, aborigeni australiani, micronesiani e polinesiani. Rispetto a questa norma, fra le popolazioni mondiali gli europei continentali e quelli emigrati in Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti rappresentano un fenomeno unico: i valori di tutti e 41 i tassi di prevalenza nazionali europei (tab. 7, prima riga) si situano tra il 2 e il 10 per cento, con una media soltanto del 6 per cento.

Davvero sorprendente, se si riflette che, sia in Europa sia all’estero, gli europei costituiscono la popolazione piú ricca e piú nutrita e sono i veri inventori dello stile di vita occidentale. Se infatti definiamo tale il nostro stile indolente, obeso e supermercato-dipendente è proprio perché si fece largo anzitutto fra gli europei e i bianchi americani, e solo adesso va diffondendosi in altri popoli. Come spiegare un simile paradosso? Perché gli europei contemporanei non hanno il tasso di diabete piú alto, anziché il piú basso?

A livello di pura ipotesi, molti esperti del campo mi hanno detto che forse gli europei tradizionali sono stati esposti a poche carestie e che quindi hanno subíto poca selezione dal punto di vista dei geni frugali. In realtà, però, la storia offre numerose testimonianze di carestie che hanno messo in ginocchio l’Europa in epoca medievale e rinascimentale, dunque anche lí avrebbe dovuto verificarsi questa selezione. Un’ipotesi piú promettente chiama invece in causa la storia alimentare europea postrinascimentale. Le devastanti e prolungate carestie che spazzavano l’Europa cosí come il resto del mondo si esaurirono nell’arco di due o tre secoli, fra il 1650 e il 1900, in momenti diversi a seconda delle zone ma partendo dall’Inghilterra e dai Paesi Bassi per poi continuare, verso la fine dell’Ottocento, con il Sud della Francia e dell’Italia. Tranne una famosa eccezione, a porre fine alle carestie europee fu la combinazione di quattro fattori: l’intervento sempre piú efficiente da parte degli stati, che in tempi rapidi ridistribuirono le eccedenze di grano nelle aree colpite; i trasporti alimentari sempre piú efficienti, via mare e soprattutto via terra; la sempre maggior diversificazione dell’agricoltura dopo il viaggio di Colombo del 1492, grazie all’arrivo in Europa di molti prodotti originari del Nuovo Mondo (come le patate e il mais); e, infine, un sistema agricolo basato non sull’irrigazione (come in molte altre aree popolose del mondo) bensí sulle precipitazioni, cosa che riduceva il rischio di improduttività agricola in aree troppo estese per essere soccorse con la spedizione di derrate alimentari.

La famosa eccezione al definitivo tramonto delle ondate di carestia europee fu ovviamente la grande carestia delle patate nell’Irlanda degli anni 1840. In realtà si trattò proprio dell’eccezione che confermava la regola, dimostrando che cosa poteva succedere persino in Europa se i primi tre fattori appena citati venivano meno. La carestia irlandese fu il risultato di una malattia che colpí una singola varietà di patate all’interno di un’economia agricola unica in Europa, poiché interamente affidata a quel tipo di raccolto. La carestia si abbatté dunque su un’isola (l’Irlanda) governata da uno stato di etnia diversa, stanziato su un’altra isola (l’Inghilterra) e destinato a diventare noto per l’inefficienza e la mancanza di motivazione nella sua risposta all’emergenza.

Sono stati proprio questi avvenimenti nella storia dell’alimentazione europea a farmi pensare quanto segue. Cosí come i moderni nauruani, svariati secoli prima dell’avvento della medicina moderna gli europei potrebbero essere incorsi in un’epidemia di diabete provocata da una nuova e costante disponibilità di cibo, epidemia che avrebbe eliminato i portatori del genotipo frugale piú esposti alla malattia e che sarebbe all’origine dell’attuale bassa prevalenza del diabete presso le popolazioni europee. Forse è da secoli che l’eliminazione di quei portatori continua: figli di madri diabetiche morti alla nascita, adulti diabetici che muoiono prima di altri adulti, e figli e nipoti di questi adulti diabetici che muoiono per trascuratezza o mancanza di sostegno materiale. In ogni caso, fra quell’ipotetica e occulta prima epidemia in Europa e le epidemie moderne ben documentate presso i nauruani e altre popolazioni contemporanee devono esserci notevoli differenze. In quelle moderne la disponibilità costante e abbondante di cibo si è verificata all’improvviso: nell’arco di un decennio a Nauru e di appena un mese nel caso degli ebrei yemeniti. I risultati si sono manifestati proprio sotto gli occhi dei moderni diabetologi come violente impennate della malattia, con picchi di prevalenza del 20-50 per cento. Si tratta quindi di valori destinati a calare rapidamente (come già osservato fra i nauruani), visto che i portatori di geni frugali sono stati eliminati dalla selezione naturale nel giro di una o due generazioni. Per contrasto, l’abbondanza di cibo in Europa fu un fenomeno lento e graduale, che si instaurò nell’arco di alcuni secoli. Il risultato potrebbe dunque essere stato un aumento quasi impercettibile della prevalenza del diabete fra il 1400 e il 1700, ben prima che dei diabetologi potessero registrarlo. Di fatto, pima, nauruani, wanigela, indiani istruiti e inurbati e i cittadini dei ricchi paesi arabi produttori di petrolio stanno comprimendo all’interno di un’unica generazione i cambiamenti nello stile di vita, e la conseguente impennata e caduta del diabete, che in Europa ebbe luogo nell’arco di molti secoli.

Una vittima di questa epidemia occulta di diabete in Europa potrebbe essere stato il compositore Johann Sebastian Bach (nato nel 1685 e morto nel 1750). Se la sua storia medica è troppo poco documentata per ammettere certezze circa le cause del suo decesso, la pesantezza del viso e delle mani nel suo unico ritratto autenticato (tav. 28), i racconti di come gli fosse peggiorata la vista in vecchiaia e l’ovvio deterioramento della sua calligrafia, probabilmente legato all’indebolimento degli occhi e / o a lesioni dei nervi, rientrano perfettamente nel quadro clinico del diabete. Ciò che è sicuro è che in Germania questa malattia esisteva già ai tempi di Bach e che veniva chiamata honigsüße Harnruhr («malattia dell’urina dolce»).

 

Il futuro delle malattie non trasmissibili.

 

In questo capitolo ho esaminato soltanto due fra le molte malattie non trasmissibili che a causa dello stile di vita occidentale stanno conoscendo una vera e propria impennata: l’ipertensione con le sue conseguenze e il diabete di tipo 2. Altre importanti NCD su cui purtroppo non potevo dilungarmi in questa sede, ma di cui parlano S. Boyd Eaton, Melvin Konner e Marjorie Shostak, sono le coronaropatie e altre patologie cardiache, l’arteriosclerosi, le affezioni vascolari periferiche, molte malattie renali, la gotta e numerose neoplasie, fra cui il tumore allo stomaco, ai polmoni, al seno e alla prostata. Dello stile di vita occidentale ho inoltre preso in esame solo alcuni fattori di rischio, in particolare il sale, lo zucchero, le diete ipercaloriche, l’obesità e la sedentarietà. Ho invece citato solo en passant altri fattori, come il fumo, il consumo elevato di alcolici, il colesterolo, i trigliceridi, i grassi saturi e gli acidi grassi trans.

Abbiamo visto che le NCD stanno diventando la causa principale di morte nelle società occidentalizzate, a cui la maggioranza dei miei lettori appartiene, e purtroppo di queste patologie non si muore all’improvviso, tra i 78 e gli 81 anni (questa l’aspettativa di vita media nelle longeve società occidentali), dopo un’esistenza spensierata e meravigliosa trascorsa in piena salute: le malattie non trasmissibili comportano un declino e un abbassamento della qualità della vita che, prima di uccidere, si trascina per anni e anni. Le stesse NCD però quasi non esistono nelle società tradizionali: quale prova migliore del fatto che queste società possono insegnarci moltissimo sul valore della vita e della morte? I termini della questione non si riducono tuttavia al semplice «vivere in modo tradizionale», e molti sono gli aspetti di quel genere di vita che giustamente non abbiamo alcuna intenzione di emulare: il periodico ripetersi di cicli di violenza, il rischio elevato di morire d’inedia e le speranze di vita brevi dovute alle malattie infettive. Ciò che dobbiamo fare è semmai capire quali componenti specifiche degli stili di vita tradizionali proteggono queste popolazioni dalle NCD. Alcune di esse sono già chiare (per esempio, l’esercizio fisico costante e il minore apporto di zucchero), mentre altre non lo sono affatto e per questo se ne discute ancora (per esempio, i livelli ottimali di assunzione dei grassi).

L’attuale epidemia di malattie non trasmissibili è comunque destinata a peggiorare ancora prima di poter cominciare a scemare, mentre purtroppo ha già raggiunto un picco fra i pima e i nauruani. Ora come ora i piú esposti sono i paesi popolosi dove gli standard di vita si stanno rapidamente innalzando: i ricchi paesi arabi produttori di petrolio in primis, seguiti dal Nord Africa e, a ruota, da Cina e India. Altre nazioni popolose in cui l’epidemia è già galoppante sono Bangladesh, Brasile, Egitto, Indonesia, Iran, Messico, Pakistan, Filippine, Russia, Sudafrica e Turchia, e fra i paesi meno popolosi ma già compromessi figurano l’intera America Latina e il Sudest asiatico, senza dimenticare che l’epidemia è agli esordi fra il miliardo scarso di abitanti dell’Africa subsahariana. Di fronte a una prospettiva del genere, difficile non deprimersi.

Ma non è detto che dobbiamo per forza perdere la battaglia contro le malattie non trasmissibili: siamo stati noi gli artefici dei nostri nuovi stili di vita, dunque è in nostro potere anche cambiarli. In parte ci aiuterà a farlo la biologia molecolare, che cercando di stabilire nessi fra particolari rischi e particolari geni punta a individuare per ciascuno di noi i rischi specifici a cui i nostri geni ci predispongono. Ma la società nel suo complesso non deve attendere né gli esiti di una ricerca, né l’invenzione di una pillola magica o delle patatine fritte ipocaloriche. Quali sono i cambiamenti in grado di ridurre molti rischi (anche se non tutti) per la maggioranza di noi lo sappiamo già: smettere di fumare, fare esercizio fisico regolare, limitare il consumo giornaliero di calorie, alcolici, sale e cibi salati, zucchero e bibite zuccherate, acidi grassi saturi e trans, cibi lavorati, burro, panna e carne rossa, e aumentare l’assunzione di fibre, frutta e verdura, calcio e carboidrati complessi. Un altro semplice cambiamento sta nel mangiare con calma: per quanto paradossale possa sembrare, se mangiamo velocemente finiamo per mangiare di piú e quindi per mettere su peso, perché la rapidità non consente il rilascio degli ormoni che inibiscono l’appetito. Gli italiani sono piú snelli non solo per merito della qualità della loro dieta, ma anche perché mangiano chiacchierando e prendendosela comoda. Tutti questi cambiamenti potrebbero risparmiare a miliardi di persone in tutto il mondo il destino già toccato in sorte a pima e nauruani.

È un consiglio talmente banale, che quasi mi imbarazza ripeterlo. Eppure vale sempre la pena di ribadire la verità, e cioè che ne sappiamo già abbastanza per poter essere speranzosi, anziché depressi. E la ripetizione serve solo a sottolineare ancora una volta che l’ipertensione, la dolce morte del diabete e altri micidiali killer del XX secolo sono qui per ammazzarci solo con il nostro permesso.

 

 

Lo sport allunga la vita?

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L’autore di questo documento sostiene in un altro paragrafo che, a suo parere, non sono necessari più di 30 minuti di passeggiata al giorno per acquisire il 90% dei benefici dell’attività fisica, e che una attività sportiva intensa non allunga la vita ed è forse controproducente (vedi in questo documento il paragraro: “Quanta attività fisica devo fare giornalmente per mantenermi in buona salute?”)

Ma, per dovere di obiettività, deve riportare una voce contraria: ecco una notizia riportata su yahoo il 26 dicembre 2016.

 

 

Il primo dato interessante è che di oltre 80mila persone analizzate meno della metà ha dichiarato di aver fatto regolarmente attività fisica tra il 1994 e il 2008. Solo il 44% del campione, infatti, si è dedicato allo sport con regolarità e, in quel periodo, sono morte 8.790 persone per varie cause e 1.909 per problemi cardiaci o ictus.

Tra gli sport più praticati c’è il tennis ed è anche quello che è risultato avere una maggior incidenza positiva sulla mortalità. Tra i tennisti, infatti, si è notata una riduzione del rischio di morte del 47 per cento rispetto a chi non pratica sport.

Il nuoto è uno sport completo ed è consigliato ai ragazzi. Vero, ma è anche uno sport che ti allunga la vita. Rispetto a chi non pratica sport, infatti, chi nuoto ha una riduzione della mortalità del 28% secondo la ricerca dell’Università di Oxford.

Viene abbinata a Jane Fonda, agli scaldamuscoli e agli anni ’80, ma la ginnastica aerobica è un’attività fisica molto salutare e secondo i dati raccolti dall’Università di Oxford riduce i rischi di mortalità del 27%.

Non tutti gli sport, però, abbattono i rischi di mortalità e ci allungano la vita. Tra il campione analizzato, infatti, l’incidenza della mortalità è diminuita in maniera poco consistente tra chi pratica calcio o rugby (-18%), ciclismo (-15%) e la corsa (-13%).

’analisi, poi, si è spostata sull’incidenza dell’attività fisica sulla mortalità causata da problemi cardiovascolari e ictus. Anche qui si confermano i dati sulla mortalità generale, ma è importante la crescita dell’incidenza del nuoto, con il 41% in meno di rischio di morte per malattie cardiovascolari.

Si conferma lo sport più salutare anche in questo caso il tennis, ma il rischio di morte per malattie cardiovascolari scende oltre il 50% per i tennisti, che si attestano su una riduzione del 56% della mortalità.

Se l’aerobica riduce del 36% il rischio di problemi cardiovascolari e la corsa sale a un comunque basso 19%, per calcio, rugby e ciclismo l’incidenza sulla mortalità scende ancor più che quella generale. Calciatori e rugbisti hanno una riduzione della mortalità per problemi cardiovascolari e ictus del 10%, mentre per i ciclisti la percentuale è solo del 7%.

La ricerca è sicuramente interessante, ma va contestualizzata. I dati, infatti, provengono da diverse ricerche e le statistiche non considerano tutte le variabili. Inoltre, gli intervistati non hanno specificato quanto praticano sport e, dunque, il dato va considerato solo come una panoramica sul rapporto tra sport e salute.

Quello, però, che si può notare dalla ricerca è come - probabilmente - più che l’attività fisica in sé (nella categoria tennis erano compresi badminton e squash, sport che richiedono un tipo di sforzo motorio diverso) va considerato il contesto sociale e culturale di chi pratica i diversi sport, con chi pratica tennis o nuoto che ha uno stile di vita più salutare e un’attenzione per la salute maggiore di chi gioca a calcio o rugby.

 

 

Marco Lanzetta, La dieta anti-artrosi

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Ecco alcune notizie utili sull’artrosi tratte dal recente libro di Marco Lanzetta, La dieta anti-artrosi. Il libro contiene anche una dieta-tipo, che qui non è riportata.

 

Al primo posto tra i nemici dell'artrosi è l'acido arachidonico, un acido grasso polinsaturo della serie degli omega-6 presente soprattutto nella carne, oltre che nelle uova nei formaggi, e sintetizzato anche dall'organismo a partire da un altro acido grasso, l'acido linoleico, a sua volta contenuto in particolare negli oli vegetali (girasole, sesamo, soia, mai sei). L'acido arachidonico è un precursore degli eicosanoidi (sostanze aventi atomi di carbonio), i quali vengono poi trasformati in prostaglandine della serie due e leucotrieni, che promuovono l'infiammazione aumentando la vasodilatazione (rossore), la permeabilità capillare (con fiori) e il dolore.

Un'azione contrastante benefica viene svolta dall'acido Alfa linolenico, un acido grasso della serie degli omega tre presente nell'olio di pesce, nell'olio di canapa, nell'olio di semi di lino, oltre che nel pesce azzurro nei semi di chia, di kiwi e di lino. Questo acido grasso favorisce la produzione di prostaglandine della serie uno e tre che svolgono un'azione antinfiammatoria. Quando l'apporto di acido alfa-linolenico e dei suoi derivati (EPA e DHA) è corretto, questi vengono incorporati in misura ottimale nei fosfolipidi di membrana, che sono componenti importanti della membrana delle cellule, a scapito dell'acido arachidonico. In presenza di uno stimolo flogistico la risposta infiammatoria in questo caso meno violenta.

Un'altra sostanza in parte negativa è un ormone prodotto dal pancreas, l'insulina. In pratica l'autore afferma che l'insulina promuove un aumento di metabolismo per trasformare gli zuccheri in grassi e questo produce sostanze di scarto tossiche e radicali liberi che si possono accumulare nelle articolazioni.

Le superfici delle articolazioni sono rivestite da uno strato sottile di cartilagine, un tessuto dotato di un'architettura fibrosa che non contiene nervi, arterie o vene, e nemmeno vasi linfatici ed è composto per il 75% di acqua e per il resto di collagene e di proteoglicani. La matrice organica di questa cartilagine è regolata dai condrociti, speciali cellule che producono una serie di sostanze che ne regolano la vita. I condrociti reagiscono e si attivano in conseguenza stress meccanici, instabilità dell'articolazione, fattori di crescita, presenza di citochine. In circostanze normali un danno della matrice è associato subito un aumento dell'attività di condrociti per rimpiazzare la parte degenerata (azione anabolica) e ad una diminuzione della loro capacità di rimuovere cartilagine (azione catabolica). In caso di artrosi, l'equilibrio tra sintesi degradazione della matrice si perde, si verifica un'esagerata azione di rimozione della cartilagine danneggiata, a fronte di una insufficiente attività di costruzione di quella nuova. La progressiva degradazione della cartilagine innesca un processo infiammatorio di tipo chimico, mediato sempre dai condrociti. Questi ultimi vengono attivati dalle citochine presenti nel liquido sinoviale, un liquido lubrificante prodotto da una membrana che riveste l'articolazione al suo interno, che bagna le superfici articolari. I condrociti, insieme alla membrana sinoviale, a questo punto rilasciano ulteriori citochine infiammatorie (chiamati interleuchine) e altre sostanze, le prostaglandine e radicali liberi. Tutti questi agenti contribuiscono alla morte dei condrociti. Nel tempo la distruzione della cartilagine si fa completa fino a danneggiare l'osso sottostante anche in modo molto importante. Il paziente va incontro ad una chirurgia protesica di sostituzione dell'articolazione malata.

Se, oltre a una grande quantità di cibi raffinati (farine bianche carboidrati raffinati) e si consuma anche carne e prodotti ricchi di grassi animali (burro, uova, formaggi), si può andare incontro a una situazione di insulino- resistenza, per un'alterazione permanente della membrana cellulare che ostacola il trasporto dello zucchero all'interno delle cellule. Il risultato è un aumento della glicemia, un viatico verso un diabete di tipo II.

Un altro nemico delle articolazioni è l'acidità, intesa come condizione generale del nostro organismo. Condivido la teoria diffusa secondo la quale molti stati patologici siano sostenuti anche da un grado di acidità persistente del nostro organismo. L'artrosi e l'artrite sono tra questi. Quando l'acidità si deposita all'interno delle articolazioni possiamo trovarci di fronte ad una forma di artropatia gottosa, per la formazione di cristalli di acido urico dovuti essenzialmente a una dieta ricca di purine (contenute in carni rosse, selvaggina, frutti di mare, superalcolici), ma anche in altre forme di artropatia si può presupporre che l'ambiente sia troppo acido.

Dobbiamo menzionare un'altra sostanza negativa per l'artrosi l'artrite, la solanina. Sebbene l'argomento sia controverso, esiste un'evidenza scientifica che lega il consumo dei vegetali ricchi di solanina ad un aumento della sintomatologia nei casi di artrosi e ancora di più nei casi di artrite reumatoide. Non si intende certo criminalizzare il pomodoro e vegetali di questa categoria, ma ridurre l'apporto dietetico di solanina non può che giovare soprattutto negli individui particolarmente sensibili.

Il pesce va mangiato solo 2-3 volte a settimana non deve eccedere con le proteine.

Bisogna riequilibrare il rapporto tra acidi grassi omega sei e acidi grassi omega tre portandolo ad una proporzione di quattro ad uno.

Le carni rosse sono ricche di purine, che possono portare all'accumulo di cristalli di acido urico nelle articolazioni.

I 10 peggior alimenti per l'artrosi sono: carne, zucchero, sale, latte e latticini, solanacee, tuorlo d'uovo, farine raffinate, superalcolici, agrumi.

I 10 migliori alimenti per l'artrosi sono: avena, farine e cereali integrali, riso integrale, legumi, pesce azzurro, soia, verdura biologica, frutta di stagione, alghe, spezie.

Le bevande gli integratori anti artrosi sono: tè verde, acqua, vino rosso, integratori specifici messi a punto dall'autore e dalla sua équipe (pagina 32).

Chi soffre di artrosi dovrebbe limitare al massimo grassi saturi e colesterolo.

La carne, essendo ricca di acido arachidonico, fornisce attraverso questo acido grasso della categoria degli omega-6 un prezioso sostegno alla produzione di prostaglandine e leucotrieni pro infiammatori

Lo zucchero alza i tassi di insulina, promuovendo un circolo vizioso che ha un impatto assai negativo sulla salute delle articolazioni.

Oltre a indurire la parete delle arterie il sale produce anche una dispersione del calcio dalle ossa.

Si pensa comunemente che calcio e vitamina D siano contenuti nel latte nei suoi derivati in misura importante quasi esclusiva, me realtà non è così. Innanzitutto il processo di pastorizzazione del latte dei formaggi distrugge quasi del tutto le componenti benefiche del latte, comprese le vitamine, i batteri utili come il lactobacillus acidophilus, gli enzimi e proteine.

L'albume dell'uovo è del tutto privo di colesterolo e contiene molte proteine ma non va consumato crudo perché contiene l'avidina (che impedisce l'assorbimento delle vitamina H), la quale viene inattivata con la cottura.

Le farine non integrali sono ricche di carboidrati raffinati, i quali portano un rapido innalzamento del livello di zucchero nel sangue subito dopo l'ingestione e quindi al rilascio di insulina.

Gli agrumi vanno eliminati da chi soffre di artrosi perché sono troppo acidi e portano a una esacerbazione dei sintomi dolorosi

Una dieta antinfiammatoria non può prescindere dall'avena, sotto forma di farina, fiocchi, crusca. Per la prima colazione è la cosa ideale. Essendo particolarmente ricca di fibre solubili e insolubili svolge una funzione di pulizia di miglioramento del transito intestinale e pur essendo un carboidrato, grazie al suo basso indice glicemico non porta picchi insulinici. Poca acidità, alta digeribilità, una certa capacità di abbassare i valori di colesterolo. Fra tutti i cereali contiene la più alta percentuale di proteine (16%), qualitativamente simili a quelle della soglia, e per questo motivo può quindi sostituire le proteine animali della carne, del latte e delle uova.

Esempi di cibi integrali da includere nella nostra alimentazione quotidiana sono il pane di segale integrale, i biscotti di aver integrali, tutte le farine integrali per la preparazione casalinga di pane e pasta, il bulgur (frumento integrale frantumato), l'orzo perlato che spesso i seitan, glutine puro ottenuto dal germe del grano.

Il riso rappresenta una fonte inesauribile di proprietà benefiche. Il riso integrale è perfetto per contrastare uno stato infiammatorio artrosico. Per il 75% è composto di carboidrati, è ricco di svariati minerali, ma soprattutto di ferro fosforo, nonché di vitamina B1 e B3. Per la sua capacità di rilasciare lentamente il carico di carboidrati, permette di avviare una gestione più lente più regolare, mantenendo stabili tassi di insulina nel sangue ed evitando di conseguenza accelerazioni metaboliche che sono in diretta relazione con gli stati infiammatori.

Il tè verde contiene in abbondanza e i fenoli, principali killer dei radicali liberi, la migliore azione antiossidante si ritrova nel tè bancha e nel tè kukicha.

Lo zenzero a un'azione inibitoria sulla produzione dei leucotrieni, sostanze che intervengono nella catena infiammatoria. Inoltre, attraverso i salicilati riduce la produzione di alcune prostaglandine, anch'esse responsabili del fenomeno infiammatori articolare.

La curcumina, contenuta al 2-6% nella curcuma ha un forte effetto antiossidante protettivo per le articolazioni.

Il salice viene utilizzato a scopo medicinale. L'estratto della corteccia viene utilizzato per ovviare in modo naturale ai problemi legati all'artrite all'infiammazione quindi non solo aspirina, ma corteccia di salice.

Il grasso corporeo in eccesso, oltre a rappresentare un fattore di rischio per il peso che le articolazioni devono sostenere, aumenta, come abbiamo visto in precedenza, la sintesi di citochine pro infiammatorie, tra cui le interleuchine "cattive". Queste ultime, a loro volta, stimolano gli adipociti (le cellule del grasso) a produrre dei neuropeptidi, tra i quali la sostanza P, implicata nella modulazione del dolore. Una interleuchina specifica stimola invece la produzione epatica di proteina C reattiva che presenta quindi valori elevati sia in caso di obesità che nell'artrosi.

 

 

Una super-dieta mediterranea (la dieta dell’isola di Creta): la Omega-Diet della dott.ssa Artemis Simopoulos

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Potete trovare in questo sito la traduzione completa del libro The Omega Diet di Artemis Simopoulos (clicca sul link)

Quella che segue è la presentazione della dieta contenuta nel primo capitolo.

Solo un’avvertenza: Artemis Simopoulos propone l’olio di canola come alternativa all’olio di oliva. Sebbene molte delle notizie allarmistiche sull’olio di canola vengano dalla propaganda vegana e anti-ogm (chi ha letto gli articoli di questo documento sa come la pensa l’autore in merito: che sono preoccupazioni infondate al 99%; in particolare, se fosse vero che l’olio di canola fosse così tossico sarebbe stato da tempo ritirato dal commercio sommerso da una montagna di cause per risarcimento), tuttavia è vero che è un olio non testato per un sufficiente periodo di tempo sugli esseri umani, e normalmente estratto con procedimenti industriali ad alta pressione e con solventi chimici, perché la resa dell’estrazione a bassa temperatura e senza solventi è troppo bassa, e quindi l’acquirente non ha modo di sapere se acquista un prodotto già adulterato e ossidato. L’olio di canola è stato impiegato nel Lyon Diet Heart Study solo per tre anni, un periodo troppo limitato per danneggiare i pazienti.

Noi raccomandiamo di lasciar stare l’olio di canola e di utilizzare l’alternativa presentata dall’autrice: olio di oliva e supplementi di omega-3 o consumo di pesce grasso.

 

una nuova dieta

 

In anni recenti la ricerca medica ha scosso molte delle nostre nozioni semplicistiche riguardo la dieta. Per esempio le idee popolari che "il grasso fa ingrassare" e che il grasso animale è "cattivo" e che gli oli vegetali sono "buoni" sono stati contestate da nuovi eccitanti scoperte riguardo i grassi che ci hanno aiutato a combattere i disturbi metabolici e a promuovere una salute ottimale. Allo stesso modo la nozione ingenua che i supplementi vitaminici possano rimpiazzare frutta e verdura è stata abbandonata in favore di un nuovo apprezzamento per il tesoro di nutrienti che questi cibi integrali contengono, inclusi gli antiossidanti che non sono vitamine, i folati, e le componenti anticancro chiamate "fitochimici". Questo libro traduce queste nuove scoperte in un piano dietologico semplice, delizioso che aumenterà enormemente le vostre possibilità di vivere una vita lunga, in forma e salutare.

Una delle principali conclusioni a cui si è giunti in base alle scoperte dei laboratori medici è che non dovete privarvi dei grassi per perdere peso o per godere una migliore salute. Molte delle diete che producono una perdita di peso e le cosiddette "diete salutari" buttano via il grasso buono con grasso cattivo, lasciandovi con cibo deprivato. Molte poche persone sono capaci di resistere a una simile dieta, e ne risulta un senso di frustrazione e fallimento. L’Omega Plan, il rivoluzionario piano dietrologico che viene presentato in in questo libro rimpiazza i grassi dannosi con quelli benefici, consentendovi di mangiare dal 30 al 35% delle vostre calorie provenienti da grassi - assolutamente senza nessun senso di colpa. Di fatto vi inciterò a mangiare una quantità maggiore di certi tipi di grasso. E tuttavia gli studi mostrano che anche senza questo apporto supplementare voi sarete in salute migliore che se vi sottoponeste a un'allucinante successione di insalate condite con poco olio, formaggio e senza grassi, gallette di riso, vegetali bolliti, petti di pollo senza pelle bolliti nel brodo.

E non guadagnerete peso. Di fatto, come scoprirete nei capitoli successivi quando voi combinerete l'Omega Plan con un programma esercizi regolari voi aumenterete le vostre possibilità di essere in forma e magri. Se avete una grande quantità di peso da perdere (10 libbre o più), questo libro vi può aiutare a farlo alla stessa maniera. Il capitolo 13 presenta due versioni dietetiche dell'Omega Plan - un programma "brucia grassi veloce" e uno più moderato di perdita di peso. Entrambi contengono la stessa generosa percentuale di grassi che la dieta regolare. Oggi, voi potete cominciare a perdere fino a due libbre in una settimana mentre approfittate di tutti i benefici per la salute del programma regolare.

 

nuove scoperte riguardo gli acidi grassi

 

La nostra nuova rivalutazione dei grassi proviene dallo studio dei loro blocchi molecolari - "acidi grassi". Quando versate il vostro olio vegetale, sembra una sostanza uniforme, ma a livello submicroscopico è composto da sei o più differenti tipi di acidi grassi. Nuovi studi mostrano che particolari acidi grassi possono avere notevoli effetti sulla vostra salute. Alcuni promuovono il cancro; altri lo bloccano. Altri aumentano il vostro rischio di attacchi cardiaci e di ictus; altri lo riducono. Alcuni sono accumulati come grasso corporeo; altri sono bruciati velocemente come carburante. Alcuni sono legati alla depressione e altri problemi mentali. Alcuni sostengono il benessere emozionale. La maniera in cui un dato grasso influenza la vostra salute dipende dalla sua miscela unica di acidi grassi.

Sfortunatamente la tipica dieta occidentale è carica di acidi grassi che sono legati ad alcuni dei nostri peggiori problemi di salute, mentre è decisamente mancante di alcuni acidi grassi che sono essenziali per la nostra salute ottimale. Anche se siete ben informato riguardo la nutrizione e molto attento riguardo a ciò che mangiate, potreste stare ancora nutrendo il vostro corpo con la proporzione sbagliata gli acidi grassi. Molti dei medici, ricercatori, e perfino dietisti che hanno partecipato alle mie conferenze scoprono che stavano mangiando la stessa proporzione sbilanciata di grassi che il grande pubblico.

 

i grassi cattivi e i grassi buoni

 

Un tipo di grasso - il grasso saturo - ha confermato la sua reputazione di essere un grasso "cattivo". Presenti nella carne, nei latticini, e in alcuni oli tropicali, i grassi saturi aumentano il vostro rischio di disturbi delle arterie coronariche, diabete obesità. Recentemente è stato identificato un altro colpevole – gli "acidi grassi trans", molecole create dall'uomo che sono prodotte durante l'idrogenazione di oli vegetali. Nuovi studi mostrano che gli acidi grassi trans possono essere perfino peggiori per il vostro sistema cardiovascolare che gli acidi grassi saturi e possono aumentare anche il rischio di cancro al seno. Sostituire il burro con la margarina non era poi un'idea così buona dopotutto.

Alcuni acidi grassi tuttavia, sono effettivamente buoni per la vostra salute. Acidi grassi monoinsaturi, del tipo che si ritrova nell'olio di oliva e di canola, aiutano a proteggere il vostro sistema cardiovascolare. Essi riducono perfino il rischio di certi disordini metabolici come la "resistenza l'insulina" e il diabete, e sono legati a una minor incidenza del cancro. Queste buone notizie stanno cominciando a raggiungere il grande pubblico, come risultato di un'accresciuta popolarità dell'olio di canola e dell'olio di oliva.

Ma alcune delle ricerche più significative riguardo gli acidi grassi sono rimaste confinate alla letteratura medica. In particolare, poche persone conoscono i benefici che vengono dal mangiare la corretta proporzione di acidi grassi essenziali, chiamati EFA. Gli EFA sono acidi grassi che sono necessari per la crescita normale e lo sviluppo e non possono essere prodotti dal vostro corpo; dovete ottenerli alla vostra dieta. Ci sono due famiglie di EFA: omega-6 e omega-3. Gli omega-6 sono più abbondanti nei comuni oli vegetali, come nell'olio di mais, di cartamo, di semi di canapa, e di girasole. Gli acidi omega-3 si trovano principalmente nei prodotti del mare, nei vegetali a foglia verde, nel pesce, nell'olio di canola e nelle noci. Una scoperta critica è che il vostro corpo funziona meglio quando la vostra dieta contiene una proporzione bilanciata di EFA, tuttavia la tipica dieta occidentale contiene approssimativamente da 14 a 20 volte più omega-6 che omega-3.

Questo squilibrio è legato dalla ricerca attuale a una lunga lista di disturbi seri che includono: attacco cardiaco, ictus cancro, obesità, resistenza all'insulina, diabete, asma, artrite, lupus, depressione, schizofrenia, iperattività da deficit di attenzione, depressione post parto, Alzheimer.

Per apprendere di più riguardo gli EFA, i ricercatori hanno allevato animali di laboratorio con diete simili alle nostre che hanno un'alta percentuale di omega-6 e una bassa percentuale di omega-3. Invariabilmente, gli animali ne hanno sofferto. Quando sono state impiantate loro cellule cancerose, per esempio, i loro tumori sono cresciuti più velocemente, più ampiamente, e più invasivamente. Quando è stato loro concesso pieno accesso al cibo, gli animali hanno guadagnato peso e sviluppato un disturbo metabolico comune chiamato resistenza insulinica. Quando sono stati somministrati ad essi test psicologici e mentali hanno avuto difficoltà a trovare la via fuori dai labirinti, hanno dimostrato una maggiore propensione a comportamenti erratici e autodistruttivi, una minore propensione e curiosità ad esplorare spazi aperti. Le prove che presenterò in questo libro suggeriscono con forza che mangiare una proporzione squilibrata di acidi grassi essenziali sta causando gli stessi disastri anche nei corpi degli esseri umani.

L'Omega Plan nutre il vostro corpo con una miscela idealee di EFA e altri nutrienti chiave, consentendo a ogni cellula e sistema del vostro corpo di funzionare più efficacemente. Se avete un serio problema di salute, fare questi semplici cambiamenti può attenuare i vostri sintomi, consentirvi di diminuire i medicinali, o perfino salvare la vostra vita.

 

qual è la storia dell'omega plan?

 

Sebbene l'Omega Plan è confortato dalle ricerche mediche più recenti, ha le sue radici remote. In verità, è basato sulla tradizionale dieta dell'isola greca di Creta, una dieta che è rimasta virtualmente immutata per 4000 anni fino ai tempi moderni. La dieta dell'isola di Creta attirò l'attenzione della comunità medica negli anni 60, quando un importante studio della durata di 15 anni mostrò che gli uomini dell'isola di Creta erano i più sani tutti gli altri 12.000 uomini tenuti sotto controllo in sette altri differenti paesi - Grecia, Italia, Paesi Bassi, Finlandia, Jugoslavia, Giappone, Stati Uniti

La differenza di salute tra gli uomini di Creta e il resto era rilevante. Paragonati agli americani per esempio avevano la metà del rischio di cancro e 1/20 della mortalità per disturbi coronarici. Comparati ai giapponesi avevano la metà del tasso di mortalità - anche se la dieta di Creta era una dieta con il 40% di grassi che conteneva tre volte tanto grasso di quella giapponese. Sorprendentemente, gli uomini di Creta avevano anche un tasso di mortalità che era la metà degli uomini italiani, anche se entrambi i gruppi mangiavano diete mediterranee che erano ricche di olio d'oliva, legumi, frutti e vegetali. C'era qualcosa di unico nella dieta dell'isola di Creta, ma a quel tempo ricerca scientifica non era capace di individuarlo.

 

l'elemento mancante

 

Due decenni dopo io fui in grado di fornire uno degli elementi mancanti: la dieta tradizionale dell'isola di Creta aveva un rapporto ideale di EFA. Ebbi l’intuizione mentre stavo indagando il contenuto di acidi grassi omega-3 delle piante selvatiche. Come avevo sospettato trovai che certe piante selvatiche contengono molti più grassi omega-3 delle piante coltivate. Questa scoperta mi ha aiutato a gettare nuova luce sulla dieta di Creta perché il popolo dell'isola di Creta mangia grandi quantità di piante selvatiche, inclusa la portulaca, la pianta che era il soggetto di uno dei miei studi. Forse questo tesoro nascosto di acidi grassi omega-3 era una delle ragioni per la loro superba salute.

I miei sospetti furono confermati da uno studio fondamentale condotto poco dopo da due colleghi francesi, Serge Renaud e Michel de Lorgeril. In uno studio attentamente concepito conosciuto come Lyon Diet Heart Study, Serge Renaud e Michel de Lorgeril somministrarono a 302 sopravvissuti a un attacco cardiaco una dieta tradizionale "prudente" raccomandata dall'American Heart Association. A un altro simile gruppo venne somministrata una versione leggermente modificata della dieta dell'isola di Creta. Questa nuova dieta era basata sull'olio di canola e sull'olio d'oliva, e aveva una proporzione di omega-6 e omega 3 di 4 contro 1, molto più bassa della dieta dell'American Heart Association e delle diete tradizionali occidentali. La dieta aveva anche meno carne rossa e meno affettati, ma aveva una quantità maggiore di pesce, cereali integrali, frutta e verdura. In totale conteneva il 35% di grasso laddove la dieta dell'American heart Association raccomandava il 30%.

I risultati di questo studio fecero epoca nella ricerca medica. Appena quattro mesi dopo l'inizio del test clinico, i ricercatori scoprirono che c'era una diminuzione significativa di decessi nel gruppo con la dieta dell'isola di Creta rispetto al gruppo con la dieta dell'American Heart Association. Questo in sé è notevolissimo, perché nessun'altra dieta per malati cardiaci e nessun altro farmaco avevano mostrato benefici per la vita dei pazienti prima di almeno sei mesi. L'indice di sopravvivenza dei due gruppi aumentò per ogni mese che passava. Quando i pazienti giunsero a essere seguiti per due anni, lo studio fu bruscamente interrotto perché la nuova dieta si era dimostrata talmente superiore che non sarebbe stato etico continuare la ricerca e far morire membri del gruppo con la dieta tradizionale che potevano essere salvati. Comparati a quelli con la dieta dell'American Heart Association, i pazienti della dieta di Creta avevano un rischio del 76% più basso di morire di disturbi cardiovascolari o di soffrire di arresto cardiaco, attacco cardiaco o ictus! Incredibilmente, la nuova dieta si era dimostrata più efficace nel salvare vite che qualsiasi altra dieta, farmaco, tecnica chirurgica, programma di vita o qualsiasi combinazione di questi elementi. Questi risultati furono considerati talmente importanti da essere pubblicati contemporaneamente in tre prestigiose riviste mediche, The Lancet, The American Journal of Clinical Nutrition, e il Journal of the American College of Cardiology.

L'Omega Plan vi fornisce lo stesso equilibrio di acidi grassi essenziali e di altri nutrienti che è stato provato così benefico contro gli attacchi cardiaci dei pazienti francesi, consentendovi di beneficiare di queste straordinarie ricerche salvavita per la prima volta in assoluto. Udite tanto spesso notizia di un promettente studio medico, solo per scoprire successivamente che non potete trarne vantaggio perché "maggiore ricerca necessita di essere fatta". Non è così con il Lyon Heart Study questo libro vi consente di cominciare a trarre beneficio da questa stupefacente ricerca già sin dal vostro prossimo viaggio al supermercato.

Ma l'Omega Plan è molto di più che una dieta per il cuore. Gli studi hanno dimostrato che questo nuovo programma vi renderà meno vulnerabile a disturbi infiammatori e autoimmuni. Il vostro rischio di cancro potrebbe diminuire del 50%. Potreste essere meno a rischio di disturbi psichici come depressione e Alzheimer. Quando mangiato una dieta che contiene la giusta proporzione di grassi e di altri nutrienti essenziali ogni sistema del vostro corpo funzionerà in modo più normale.

 

l'omega plan è delizioso e facile da seguire

 

L'Omega Plan è un programma molto semplice da seguire. A differenza di altre diete popolari, non dovete deprivarvi del grasso, sforzarvi di mangiare quantità anormalmente alte di proteine, o controllare che ogni boccone di cibo si conformi a una rigida proporzione di grassi carboidrati e proteine. In verità, molto del "lavoro" della dieta ha luogo nel supermercato. Se voi riempirete il vostro carrello con saggezza sarete già sulla strada per soddisfare i sette principi guida di questa dieta.

Il cambiamento più importante che farete è di mangiare una proporzione più sana di grassi. Una combinazione di olio di oliva e di olio di canola diventerà il vostro olio primario. Altrettanto importante sarà supplementare la vostra dieta con cibi ricchi di acidi grassi omega-3 mentre limitate il vostro introito di acidi grassi omega-6, grassi saturi e acidi grassi trans. Questi cambiamenti sono più facili da fare di quanto vi aspettiate. Semplicemente usando l'olio di canola come vostro olio principale per esempio, soddisfarete molti di questi requisiti dietetici. Potrebbe esservi stato detto che l'olio di canola è ricco di acidi grassi monoinsaturi, ma è anche una fonte poco nota di acidi grassi omega-3. Il fatto che abbia una scarsa percentuale di acidi grassi saturi, acidi grassi trans e acidi grassi omega-6 rispetto a molti altri oli lo rende uno dei cibi più salutari nella vostra cucina.

Un altro cambio che farete è mangiare più frutta, verdura, legumi. Le linee guida attuali del dipartimento USA dell'agricoltura (USDA) raccomandano che si mangino cinque o più porzioni di questi cibi salutari ogni giorno. Nell'Omega Plan ne mangerete sette o più porzioni ogni giorno ricevendo un maggior apporto di vitamine, fibre, minerali, antiossidanti e sostanze benefiche della salute chiamate "fitochimici".

 

le sette linee-guida dell'omega plan

 

1. Mangiate cibi ricchi di acidi grassi omega-3 come pesci grassi (salmone, tonno, trota, aringa, maccarello), noci, olio di canola, semi di lino, e vegetali a foglia verde. Oppure, se preferite, assumete supplementi di omega-3.

2. Utilizzate oli monoinsaturi come l'olio di oliva e l'olio di canola come vostri grassi principali.

3. Mangiate sette o più porzioni di frutta e verdura ogni giorno.

4. Mangiate più proteine vegetali, inclusi piselli, fagioli e noci.

5. Evitate grassi saturi scegliendo la carne magra rispetto a quella grassa (se mangiate carne) e latticini magri rispetto ai latticini grassi.

6. Evitate oli che hanno un'alta percentuale di acidi grassi omega-6, incluso l'olio di girasole, l'olio di mais, l'olio di cartamo, l'olio di soia, l'olio di semi di canapa.

7. Riducete il vostro introito di acidi grassi trans eliminando margarine, pasticceria commerciale, cibi fritti nel grasso e molti snack preparati.

 

evidenze mediche per l'omega plan

 

Comprensibilmente il pubblico è diventato diffidente riguardo libri che proclamano di rivelare il reale segreto per la salute e la forma fisica, specialmente dal momento che i consigli sono tanto contraddittori. Un anno viene dichiarato che la soluzione definitiva e togliere tutto il grasso visibile dalla vostra dieta. L'anno successivo il nuovo "rivoluzionario" programma raccomanda un'alta quantità di proteine. Ma proprio quando state per andare al supermercato per attuarlo, qualcuno vi dice che dovreste mangiare una particolare proporzione di grassi proteine e carboidrati. Ciò che genera ancora più confusione è il fatto che tutte queste diete si dichiarano basate sulle "ultime scoperte scientifiche".

Che sicurezza avete che l'Omega Plan non è un'altra dieta da affamatori? Fortunatamente ci sono dei modi in cui potete giudicare la validità di questo programma, o di qualsiasi altra dieta. La domanda più importante da porre è se una dieta è stata provata in uno studio medico di grandi dimensioni. Se l'unica "prova" di una dieta è un piccolo studio non pubblicato o se è la testimonianza di un gruppo selezionato di clienti o, peggio ancora, le affermazioni entusiastiche di una celebrità ("Ho fatto questa dieta per tre settimane e ora mi sento benissimo!") allora non avete nessuna garanzia che questa dieta funzioni per voi.

L'Omega Plan supera questa prova, perché, come ho spiegato, le sue proprietà protettive della salute del cuore sono state attentamente testate nel Lion Diet Heart Study. Questo studio era un "trial clinico randomizzato" - il sistema aureo degli studi medici. In tale studio una nuova terapia è confrontata con un placebo, o con una forma di cura comunemente accettata. Il termine "randomizzato" significa che i pazienti sono assegnati a sorte ai differenti gruppi di studio, il che impedisce ai ricercatori di corrompere i risultati dello studio destinando i pazienti più sani a una particolare delle cure. Una precauzione aggiuntiva del Lyon Diet Heart Study è che era "cieco". Questo significa che i medici che valutarono i risultati non conoscevano se un determinato paziente aveva seguito la dieta dell'isola di Creta o la dieta dell'American Heart Association, il che li aiutava a valutare i risultati più obiettivamente.

Ma nessuna dieta, non importa per quanto ampiamente sia stata testata, vi può dare garanzie per il miglioramento della vostra salute a meno che non abbia retto la prova del tempo. La letteratura medica è piena di esempi di diete e di farmaci che sono stati benefici negli studi a breve termine ma si sono rivelati dannosi a lungo termine. L'Omega Plan supera anche questo test finale. Basata sulla tradizionale dieta dell'isola di Creta, essa è cambiata ben poco dai tempi di Ippocrate. In pratica è stata testata "sul campo" nelle cucine di generazioni di uno dei popoli più sani del mondo. Ma come scoprirete nel capitolo tre, questa dieta ha radici ancora più remote nella storia. La proporzione di EFA che contiene è simile a quella trovata in piante selvatiche e nella selvaggina, il tipo di cibo che era mangiato dai primi esseri umani negli ultimi 6.000.000 di anni di evoluzione. Per questa ragione la dieta è ideale per il nostro patrimonio genetico. Sostanzialmente, l'Omega Plan fornisce ai nostri corpi il cibo che essi si "aspettano" di ricevere.

 

domande sull’omega plan

 

Domanda: Che ruolo gioca l'esercizio fisico nel programma?

Risposta: Questo libro si occupa principalmente di dieta ma l’esercizio è altrettanto vitale per la vostra salute. Di fatto un regolare esercizio fisico migliora la vostra salute allo stesso modo che l'Omega Plan, inclusa una riduzione del vostro rischio di cancro, obesità, diabete e disturbi cardiaci. Quando combinerete questa nuova dieta con l'esercizio fisico avrete una combinazione imbattibile. Vi suggerisco assolutamente di esercitarvi per 45 minuti o più ogni giorno.

Domanda: Sono un vegano. Funzionerà l'Omega Plan con me?

Risposta: Come vegetariano siete fortunato perché probabilmente state seguendo molte delle linee guida dietetiche dell'Omega Plan. Per esempio è probabile che la vostra dieta abbia pochi grassi saturi e colesterolo e contenga generose porzioni di frutta e verdura. Dovete semplicemente avere cura di aggiungere più acidi grassi omega-3 alla vostra dieta, comunque, perché la tipica dieta vegetariana è troppo ricca di grassi omega-6 e povera di grassi omega-3.

Domanda: Sono diabetico. L'Omega Plan è una buona dieta per me?

Risposta: Si. Parecchi studi mostrano che la combinazione di grassi di questa dieta migliora i livelli dei grassi, lo zucchero nel sangue e la sensibilità all'insulina. Pertanto la dieta non è semplicemente sicura per voi ma anche altamente raccomandata. Naturalmente dovrete sempre sentire il vostro medico.

Domanda: Sto assumendo una quantità di medicinali per il cuore. Se seguo la dieta religiosamente posso smettere di prenderli?

Risposta: Solo sentendo il vostro dottore. Gli uomini e le donne che hanno preso parte al Lyon Heart Study erano sopravvissuti attacchi cardiaci e assumevano un certo numero di medicinali e continuarono a prenderli durante lo studio. Se la vostra salute cardiovascolare migliora notevolmente, tuttavia, chiedete al vostro dottore se è possibile diminuire medicinali. Ma solo con l'approvazione del vostro medico.

Domanda: Ho sentito che il cibo proveniente dal mare una buona fonte di omega-3 ma non sono molto amante del pesce. Devo mangiare pesce in questa dieta?

Risposta: Il nocciolo della questione è che voi dovete aumentare il vostro introito di acidi grassi omega-3, ma come apprenderete più avanti nel libro, potete ottenere questi nutrienti vitali in un certo numero di modi, inclusa l'assunzione di supplementi, oppure usando olio di canola come vostro olio principale, o aggiungendo semi di lino o olio di semi di lino alla vostra dieta, o mangiando più noci, legumi e vegetali a foglia verde. (In molte aree del paese è anche possibile comprare uova che sono state arricchite con acidi grassi omega-3)

Domanda: Posso bere vino?

Risposta: Potete bere vino. In Grecia la gente beve vino nella maggior parte dei pasti. Il Lyon Heart Study è stato condotto in Francia, un paese di amanti del vino. Di modo che un moderato consumo di alcol è consentito - persino incoraggiato. Se volete potete bere uno o due bicchieri di vino al giorno preferibilmente ai pasti.

Domanda: Ho necessità di perdere peso ma incontro parecchie difficoltà a farlo. Posso ottenere i benefici dell'Omega Plan anche se rimango al mio presente peso?

Risposta: A differenza delle altre diete della salute, l'Omega Plan non richiede che voi perdiate peso. I pazienti nel Lyon Heart da stati non avevano restrizioni riguardo la quantità di cibo che mangiavano a parte evitare grassi "cattivi". Nella media il loro peso era rimasto lo stesso e tuttavia avevano ottenuto benefici per la salute senza precedenti. Se voi siete considerevolmente sovrappeso, tuttavia, avrete benefici addizionali se perdete diversi chili. Tra gli altri vantaggi avrete un migliore aspetto, maggiore energia; allevierete lo stress delle vostre articolazioni; abbasserete la vostra pressione, i trigliceridi, il colesterolo, e rischio di diabete. Le versioni della dieta concepite per perdere peso contengono la stessa percentuale generosa di grassi che la versione regolare che renderà la vostra dieta molto più godibile.

Domanda: mi piacerebbe che il mio partner mi segua nella dieta ma non penso che otterrò questa cooperazione.

Risposta: L'Omega Plan dovrebbe diventare una pratica di tutta la famiglia. Ma se incontrate resistenza, potrete ottenere grossi risultati lavorando dietro le scene. Per esempio potreste cambiare il tipo di grassi che usate nella vostra cottura, senza che nessuno se ne accorga. Potete aggiungere più verdure alle minestre e alle carni. Potete servire frutta per dessert. Apprenderete altre strategie nei prossimi capitoli.

 

 

Perché mangiamo i grassi sbagliati

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Una delle scoperte più importanti degli anni recenti è che mangiare una percentuale bilanciata di EFA riporta la vostra dieta in sintonia con la vostra genetica e vi aiuta a ottenere una salute ottimale. Gli esseri umani o pre-umani sono esistiti su questo pianeta per 4.000.000 gli anni e per il 99% di questo tempo sono stati cacciatori-raccoglitori. Durante questo lungo periodo di evoluzione i geni umani si sono adattati alla proporzione di EFA che si trovavano nelle piante selvatiche e nella selvaggina. Secondo l'esperto nel campo della nutrizione evoluzionistica della Emory University, Boyd Eaton, "I principi dell'adattamento evoluzionistico suggeriscono che se uno schema dietetico è stato mantenuto per 2.000.000 di anni, deve essere per forza ottimale".

I grassi mangiati dai primi uomini sono ottimali anche per noi perché i nostri geni sono virtualmente identici ai loro. Anche se la nostra linea evolutiva si è differenziata da quella degli scimpanzé più di 4.000.000 di anni fa, per esempio, c'è solo l'1,6% di differenza fra i geni umani e quelli dello scimpanzé. Ogni differenza tra il nostro presente patrimonio genetico e quello degli umani che vivevano durante il paleolitico, da 40.000 a 15.000 anni fa è ritenuta assolutamente trascurabile. Questo significa che quando ci sediamo a fare pranzo il nostro corpo dell'età della pietra si aspetta di essere nutrito con gli stessi tipi e le stesse percentuali di grasso che ha nutrito i nostri antenati che abitavano le caverne. Quando noi mangiamo patatine fritte con grassi parzialmente idrogenati invece di piante selvatiche, o ingurgitiamo un hamburger carico di grassi con la maionese invece di carne di un animale magro lasciato pascolare all'aperto, i nostri corpi risentono del colpo.

 

nuovi grassi e vecchi geni

 

Una delle ragioni per cui i nostri corpi sono così strettamente sensibili al tipo di grasso alla nostra dieta è che gli EFA possono "parlare" ai nostri geni, mandandogli dei chiari messaggi di produrre una quantità maggiore o minore di certe proteine vitali. Per esempio, un recente studio ha mostrato che gli oli con un'alta percentuale di acidi grassi omega-6 manda ai geni un messaggio di produrre un tipo di proteina cancerogena chiamata "ras p21". Per contro gli acidi grassi omega-3 rendono questa proteina inattiva probabilmente riducendo il rischio di cancro. Altri studi hanno mostrato che gli acidi grassi omega-3 mandano messaggi cardiaci protettivi ai nostri geni istruendoli a produrre una minore quantità di un enzima che è essenziale per la produzione di grasso. Come risultato avete livelli più bassi di trigliceridi nel vostro sangue, ciò che riduce il vostro rischio di disturbo cardiovascolare.

Chiaramente se volete combattere questi disturbi e godere di una salute ottimale, dovete mangiare una proporzione di EFA che mandi ai vostri geni dei messaggi che li incitano a un'attività anticancro e pro-cuore. La percentuale che manda questi benefici messaggi, come hanno mostrato degli studi, è una percentuale di omega-6 rispetto agli omega-3 che è meno di quattro a uno. Non per coincidenza, è simile alla percentuale che si trova nella nostra dieta evoluzionistica. Tuttavia oggi, quando andiamo a fare le provviste nel supermercato è probabile che portiamo a casa cibi che contengono da 14 a 20 volte più omega-6 che omega-3, sconvolgendo così un equilibrio critico che è stato mantenuto per milioni di anni e ponendoci in una situazione di aumentato rischio per praticamente tutti i disturbi chiamati "malattie da civilizzazione".

 

esaminando il menu paleolitico

 

In che modo sappiamo quali tipi di grassi erano mangiati dai nostri primi antenati? I ricercatori hanno cercato risposte a questa domanda usando una varietà di strategie, incluso lo studio dei dipinti delle caverne, degli strumenti di cottura, degli strumenti da caccia, delle conchiglie, delle ossa, dei semi, e dei residui fossilizzati di cibo. Con una tecnologia molto avanzata sono stati perfino in grado di analizzare le tracce di colesterolo trovate nelle ossa fossilizzate e nei denti dei primi umani - la prima evidenza diretta del tipo di grassi che mangiavano. Questa informazione è stata completata con una accurata analisi delle diete delle tribù di cacciatori-raccoglitori che sono sopravvissute fino al 20º secolo inoltrato. Oggi gli etnobiologi hanno stabilito il contenuto nutrizionale di più di 320 piante selvatiche e selvaggina mangiate dai popoli primitivi.

Una delle conclusioni che è stata tratta da tutto questo lavoro è che i primi esseri umani ottenevano molto del loro nutrimento da pesce e carne, frutta e verdura, - solamente due di ciò che noi oggi consideriamo "i quattro gruppi della piramide alimentare". È stato calcolato che si mangiavano tre volte più frutta e verdura di quanto ne facciamo oggi e quantità molto maggiori di carne e pesce. Gli altri due gruppi di alimenti della piramide dietetica, cereali e pane da un lato e latticini dall’altro, giocavano ruoli minori nella dieta paleolitica. Prodotti a base di cereali erano praticamente inesistenti fino alla rivoluzione agricola perché i cereali selvatici erano troppo piccoli e troppo dispersi per essere mieituti. I prodotti dei latticini erano sconosciuti fino alla domesticazione degli animali, approssimativamente 10.000 anni fa. Secondo Boyd Eaton "gli americani considerano il pane e il latte come la quintessenza del cibo naturale. Questa è comprensibile, visto che i nutrizionisti hanno indicato i cereali e i latticini come due dei quattro gruppi ‘essenziali’ di cibo. Però, dal punto di vista della biologia umana geneticamente determinata, questi cibi sono dei nuovi arrivati".

Il fatto che i nostri antenati mangiavano più verdure e meno cereali di quanto noi facciamo oggi aiuta a spiegare la grande differenza nel nostro consumo di EFA. Attraverso analisi sofisticate abbiamo imparato che gli EFA non sono distribuiti uniformemente nel regno vegetale. Gli acidi grassi omega-3 sono concentrati nelle foglie verdi delle piante (e pochi semi e noci, come semi di lino semi di colza e ravizzone e noci), mentre gli acidi grassi omega-6 sono molto più concentrati negli altri nei semi e nei cereali, che sono gli ultimi arrivati della nostra dieta. Il nostro basarci attuale su prodotti di cereali, pane, cracker, dolci, e il nostro introito minimo di cibi verdi è una delle ragioni per cui noi siamo così pesantemente saturati di acidi omega-6 ed efficienti di grassi omega-3.

 

le lezioni apprese dalla portulaca

 

La portulaca è stata usata dalle società tradizionali per trattare molti dei problemi della salute che stavano mostrando risposte positive agli acidi grassi omega-3, inclusa l'infiammazione, i problemi cardiaci, i disordini di stomaco, il dolore la febbre. Per esempio, Teofrasto (372 - 287 a.C.), il padre della botanica, raccomandava la portulaca come rimedio contro i problemi cardiaci, lo scorbuto, il mal di gola, il mal di orecchie, il gonfiore alle giunture, la pelle secca. In un continente differente, gli indiani del Nord America usavano il tè di portulaca per alleviare i dolori di gola che l'infiammazione. Tribù dall'Africa tropicale dell'ovest usavano la portulaca tonico cardiaco e unguento per bolle e bruciature. Nel Punjab e nel Kashmir, i semi di portulaca erano raccomandati contro le infiammazioni dello stomaco e le ulcere intestinali.

Non poteva essere una coincidenza, che la portulaca avesse le proprietà salutari che ora venivano attribuite agli acidi grassi omega-3. Di fatto, la portulaca è ricchissima di acidi grassi omega-3. 100 g contengono 400 mg di acido grasso omega-3 chiamato alfa-linolenico, 15 volte più della lattuga in commercio. Come beneficio aggiuntivo, è ricca di antiossidanti. Una porzione fornisce la quantità giornaliera di vitamina e e un ammontare significativo di vitamina C, betacarotene e glutatione.

Una delle implicazioni è che la portulaca e simili piante selvatiche dovettero contribuire a fornire un notevole ammontare di acido alfa-linolenico e di antiossidanti nella dieta dei primi umani. La portulaca, in particolare, è molto diffusa. È considerata una delle 8 più comuni piante selvatiche del mondo, e fu anche una delle prime piante coltivate dai primi umani: semi di portulaca sono stati trovati in una caverna in Grecia che era stata abbandonata dai suoi abitatori 16.000 anni fa.

Noi sappiamo oggi che la portulaca non è la sola ad essere una miniera di acidi grassi omega-3. Quantità apprezzabili di acido alfa-linolenico sono state trovate in molti vegetali a foglia verde scuro, funghi, felci, legumi e in molte erbe e spezie come mostarda, finocchietto, cumino e fieno greco. Ma mano che la ricerca continuerà è probabile che la lista continuerà a crescere.

 

ciò che i polli amano mangiare

 

I polli che razzolano all’aperto seguono la loro dieta naturale di erbe verdi, insetti, vermi. Questa è la loro dieta giusta, ed essi beccano il granturco solamente perché noi li costringiamo a farlo. Non è un caso che essi hanno una predilezione per la portulaca. I test di laboratorio mostrarono che le uova da polli allevati all'aperto contenevano 20 volte più acidi grassi omega-3 che non le uova standard del supermarket. La percentuale di omega-6 omega-3 era di uno a uno, mentre nelle uova del supermercato la percentuale era di 20 a uno.

Queste osservazioni riguardo le uova di pollo valgono anche per la carne degli animali allevati all'aperto. Tutti gli animali allevati al pascolo avevano carni molto più ricche di acidi grassi omega-3 rispetto agli animali confinati in gabbie e nutriti con diete artificiali a base di cereali. Per esempio, un ricercatore, Michael Crawford, ha trovato che nelle carni di un bufalo selvatico che è libero di nutrirsi nel suo habitat naturale si ritrova un decimo del grasso totale, la metà del grasso saturo e sei volte più grassi omega-3 rispetta animali allevati in cattività.

Dunque gli esseri umani, che mangiassero pesci, piante o animali terrestri, si nutrivano di acidi grassi omega-3. Oggi noi consumiamo solo una frazione di questo nutriente essenziale. Le statistiche mostrano che 1/4 della popolazione di Stati Uniti non mangia pesce. Al contempo mangiamo solo 1/3 dei vegetali a foglia verde dei nostri antenati e le uova e la carne che mangiamo vengono da animali le cui diete sono artificialmente basse quanto ad acidi grassi omega-3. Si è calcolato che stiamo mangiando 1/10 dell'ammontare di acidi grassi omega-3 che sono normali per il nostro ordinario funzionamento. Quello che è più allarmante, è che un 20% della popolazione ha livelli di omega-3 così bassi che non possono essere rilevati dalle analisi. L'ammonizione a mangiare "diete bilanciate" non ha senso quando il nostro cibo è stato spogliato di uno dei suoi più essenziali nutrienti.

 

piantare i semi della distruzione

 

Nella stessa misura in cui la nostra dieta manca di acidi grassi omega-3, è sovraccaricata di acidi grassi omega-6. La ragione principale di questo diluvio è la nostra crescente tendenza ad affidarci a oli vegetali come quello di mais, di girasole, di cartamo, di semi di canapa, oli che non sono mai stati presenti nella nostra dieta evoluzionistica. Questi oli non erano usati dalle società tradizionali perché erano troppo difficili da estrarre. L'olio di mais è un esempio particolarmente buono. Se voi prendete i semi di un centinaio di pannocchie e macinate con una macina di pietra, ottenete un liquido lattiginoso che ha solamente dall'uno al 3% di grasso, e che fornisce al massimo cinque cucchiai da tavola di olio di mais. Non era pratico per i nostri antenati utilizzare l'olio di mais fino all'invenzione di sofisticati frantoi che potevano processare tonnellate di mais in breve tempo, strizzando fuori ogni goccia di olio attraverso la combinazione di alta temperatura pressione idraulica e solventi chimici.

Il nostro uso di oli vegetali ha avuto un'escalation durante gli anni 60 e 70 - dovuta in larga parte a un'aggressiva campagna per abbassare il colesterolo. Un'importante scoperta medica durante quegli anni fu che una dieta che aveva un'alta percentuale di grassi saturi aumentava il colesterolo, e questo aumentato livello di colesterolo era legato con un alto livello di disturbi delle arterie coronariche. Logicamente, i cardiologi cominciarono a prescrivere diete con basso livello di colesterolo. Una delle loro scoperte fu che aggiungendo oli vegetali come olio di mais alla dieta si produceva una lieve diminuzione nei livelli di colesterolo. A quel tempo, la dieta ideale per i cardiopatici sembrava essere una dieta con una bassa percentuale di grassi saturi e un'alta percentuale di oli polinsaturi omega-6.

Migliaia di volontari negli Stati Uniti in Europa furono arruolati in studi concepiti per testare queste nuove idee. Molti di questi studi erano a breve termine, concepiti per rilevare cambiamenti nel livello di colesterolo, così non davano alcuna indicazione se queste diete effettivamente salvavano la vita. Quei pochi studi che durarono per un tempo abbastanza lungo da produrre statistiche di mortalità affidabili dettero risultati deludenti. Per esempio una dieta con olio di mais testata in Inghilterra nel 1965 in effetti incrementò il rischio di morire per disturbo cardiaco. I ricercatori scrissero testualmente: "Date le circostanze di questa ricerca, l'olio di mais non può essere raccomandato come un trattamento per i disturbi cardiaci. È improbabile che sia benefico e probabilmente è dannoso". Altre diete basate su oli omega-6 abbassavano il rischio di morti cardiache ma incrementavano il tasso di mortalità per altre cause, in particolare per cancro, violenza e suicidio. Il risultato netto era zero. Peggio ancora, uno studio che ebbe luogo in un ospedale per veterani di Los Angeles negli anni 70 mostrò che un gruppo di uomini con una dieta con alti livelli di oli omega-6 avevano il doppio delle morti per cancro di quelli con una dieta tradizionale. Questo costituì il primo grande studio a mostrare un legame tra gli acidi grassi omega-6 e il cancro documento.

Sebbene questi risultati negativi fossero pubblicati nella letteratura medica, non raggiunsero la stampa popolare. Questa mancanza di consapevolezza del pubblico, accoppiata con politiche economiche permissive, concessero ai produttori di cibo di creare e vendere qualsiasi tipo di olio essi volessero. Era altamente vantaggioso vendere più oli omega-6, perché, a quel tempo, questi oli erano poco usati, erano sottoprodotti della nutrizione animale e dell'industria del cotone. Potevano essere venduti al grande pubblico come "cibo sano". Una campagna pubblicitaria generosamente finanziata fu messa in piedi per ungere le ruote. Un annuncio pubblicitario di quegli anni era apparso il 1 settembre 1979 in un'edizione del National Geographic l'annuncio a piena pagina mostrava un uomo sorridente di mezz'età che sedeva alla propria tavola. Sua moglie, vestita con i panni della casalinga, presenta un bel piatto di insalata. L'annuncio dice: "stasera Mrs. Flynn inizia a 'polinsaturare' suo marito, con il decisivo aiuto di Mazola".

Per un pubblico che non era pienamente informato annunci come questo erano altamente persuasivi. Da un giorno all'altro, milioni di persone passarono dal burro alle margarina e di mais, dal lardo ai prodotti sostitutivi a base di grassi vegetali e dal grasso contenuto nel bacon ai grassi polinsaturi nel 1972 una statistica rivelò che nove persone su 10 che avevano scelto gli oli vegetali avevano fatto a causa di avvisi pubblicitari o di articoli sui mass - media, e senza aver minimamente consultato il proprio medico.

Dagli anni 60, il nostro consumo di acidi grassi omega-6 è più che raddoppiato rendendo gli americani il secondo più grande gruppo di consumatori di acidi grassi omega-6, superati solo dagli israeliani. Come apprenderete in capitoli successivi, sta progressivamente diventando sempre più evidente che questa propensione per gli acidi grassi omega-6 sta contribuendo ai nostri tassi elevati di cancro, depressione, obesità, resistenza all'insulina, allergie, disturbi autoimmune diabete

 

per favore, passami gli acidi grassi trans

 

Gli americani ignoravano che insieme agli oli alle margarina e di acidi grassi polinsaturi sarebbero arrivati anche gli acidi grassi trans. L'olio vegetale liquido presenta per i produttori un certo numero di problemi. Ad esempio l'olio di mais non si spalma bene sul pane, e non produce alimenti cotti al forno con una crosta croccante, ed è anche molto sensibile all'ossidazione da parte della luce, dell'aria, e del calore, specialmente dopo che il processo di raffinazione lo ha privato di tutti i suoi naturali antiossidanti e fitochimici. L'idrogenazione era la risposta al problema. Attraverso la moderna alchimia l'olio vegetale può essere riscaldato, esposto a un catalizzatore metallico di nickel o rame e trasformato in un grasso più plastico che è meno deperibile. Questo grasso può allora essere aggiunto ai cibi pronti, consentendo loro di essere trasportati in tutte le condizioni di tempo - anche con un tempo caratterizzato da temperatura elevata e umidità elevata, e di rimanere sugli scaffali dei negozi per mesi. Intorno al 1979 il pubblico americano stava consumando non meno di 10 miliardi di libbre di grasso e olio all’anno, del quale 60% era idrogenato.

Il processo di idrogenazione ha un numero di conseguenze negative. Un fatto raramente discusso e che riduce il contenuto di acidi grassi essenziali, sia di omega-6 che di omega-3. L'olio di soia non trattato, per esempio, contiene all'incirca l'8,5% di acidi grassi omega-3. Quando è parzialmente idrogenato il suo contenuto di acidi grassi omega-3 scende al 3%. Un altro aspetto negativo dell'idrogenazione è che essa riplasma i legami molecolari degli acidi grassi trasformandoli in molecole simili, chiamate "acidi grassi trans". Gli acidi grassi trans si comportano in modo molto simile ai grassi saturi, tra l'altro aumentano il vostro colesterolo LDL (cattivo). Ma sono anche più distruttivi dei grassi saturi perché abbassano anche il colesterolo HDL (buono), spingendo ciascuno di questi due grassi nel sangue nella direzione sbagliata. Per rendere le cose peggiori, essi sostituiscono gli EFA nelle membrane cellulari, interferiscono con loro metabolismo, e usurpano alcuni degli enzimi necessari per creare e sostanze simili agli ormoni chiamati eicosanoidi che sono coinvolte in molti aspetti della fisiologia umana.

Oggi, gli americani consumano da cinque a 10% del loro calorie sotto forma di acidi grassi trans. Gli studi hanno mostrato che quantità maggiori del 5% possono avere conseguenze negative per la salute. È pericolosamente facile raggiungere questo livello perché ogni prodotto che ha le parole "parzialmente idrogenato" sull'etichetta contiene acidi grassi trans. Questi includono molti tipi di margarina, grassi da cucina, formaggio artificiale, patatine fritte, prodotti da forno commerciali, snack e cracker. Potete raggiungere questo livello del 5% semplicemente mangiando una brioche per breakfast, una piccola quantità di patatine a pranzo e un cucchiaino da tè in margarina a pranzo e cena e due biscotti per dessert.

L'attuale mania anti-grasso ha causato la rovina finale nel nostro consumo di grassi. A causa di una paura irrazionale del grasso, le persone stanno invitando oli sani, noci, pesci grassi, stupidamente privandosi delle poche fonti rimanenti gli acidi grassi omega-3. I venditori di pesce sono stati veloci nell'approfittare del trend. Molto del tonno che si vende attualmente sui mercati ha una percentuale di grasso molto bassa, non superiore a 0,75 g ogni 100 gr. di prodotto. Il risultato è che per ottenere la vostra razione di acidi grassi omega-3 ora dovete mangiare cinque scatolette di tonno invece di una. Un altro prodotto che ha fatto il suo debutto è il salmone "fat-free". Ovviamente è anche "omega-3-free". Mangiare questo tipo di salmone ha lo stesso senso che mangiare delle carote che siano state private del betacarotene e della vitamina C.

Dove stiamo andando? C'è una tale ricchezza di evidenza che si è gradualmente accumulata riguardo l'importanza del consumare un rapporto equilibrato di EFA e di limitare l'introito di grassi saturi e acidi grassi trans che io credo che le sette linee-guida dell'Omega Plan rimpiazzeranno alla fine le nostre linee-guida correnti. Ancora più importante, la gente troverà facile seguire le nuove linee guida perché l'opinione pubblica sarà forzata dall'industria del cibo a prendere consapevolezza dell'importanza di mangiare grassi sani. Nel 21º secolo potrete comprare in un negozio o un supermercato carne e uova da animali allevati con diete arricchite con omega-3. Sarete in grado di acquistare maionese, condimento per l'insalata e snack che sono fatti con olio di canola; semi di lino e prodotti a base di semi di lino saranno inclusi molti tipi di prodotti da forno. Per aiutarvi a selezionare i cibi più sani le etichette nutrizionali includeranno informazioni intorno gli EFA e agli acidi grassi trans.

Finché non sarà arrivato quel giorno tuttavia siete voi che dovete prendere l'iniziativa. Dovete evitare prodotti che contengono grassi poco sani e darvi da fare per trovare quelli che contengono grassi che migliorano la salute. La parte terza di questo libro vi dà tutti i consigli e gli appoggi necessari per apportare questi cambiamenti salvavita.

 

un corso accelerato sugli acidi grassi

 

●  Gli acidi grassi sono le componenti molecolari di grassi e oli ma differiscono l'uno dall'altro nel numero di atomi di carbonio e nella posizione e natura dei loro legami molecolari.

●  Ci sono tre categorie di acidi grassi: saturi, monoinsaturi e polinsaturi.

●  Gli acidi grassi polinsaturi sono ulteriormente suddivisi in omega-3 e omega-6. Questi acidi grassi sono chiamati "essenziali" perché sono essenziali per la normale crescita e lo sviluppo e non possono essere prodotti dal vostro corpo. Devono provenire dalla dieta.

●  Gli acidi grassi omega-3 includono l'acido alfa-linolenico (LNA), l'acido eicosapentaenoico (EPA), e l'acido docosaexaenoico (DHA). La famiglia di acidi grassi omega-6 include l'acido linoleico (LA), l'acido gamma-linolenico (GLA), e l'acido arachidonico (AA)

●  Gli acidi omega-3 e gli omega-6 sono convertiti in sostanze simili ad ormoni chiamate eicosanoidi, che possono avere una profonda influenza sulla vostra salute. Gli eicosanoidi prodotti a partire dagli omega-3 e dagli omega-6 hanno funzioni opposte. Per questa ragione potete influenzare notevolmente la vostra salute semplicemente scegliendo un tipo di olio vegetale rispetto a un altro.

●  Molti disturbi cronici sono caratterizzati da una super-produzione di eicosanoidi a partire da acidi grassi omega-6. Quando bilanciate il vostro introito di acidi grassi omega-6 omega-3 ottenete un rischio molto più basso di disturbi infiammatori e di altro tipo.

 

 

Le 6 tappe fatali nella genesi di un attacco cardiaco e come possiamo fare per evitarle

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Di tutte le cause più comuni di morte prematura - attacco cardiaco, ictus, cancro, incidenti, diabete, malattie infettive - la probabilità più grande è che voi morirete di un attacco cardiaco o di un ictus. Questo è vero che voi siate un maschio o una femmina. Le persone tendono a pensare che i disturbi cardiovascolari sono una malattia maschile perché i sintomi si mostrano 10 anni prima negli uomini, ma le donne recuperano il terreno perduto dopo la menopausa. Di fatto, su base annuale, muoiono più donne che uomini. Cinque volte più donne muoiono di attacco cardiaco che di cancro alla mammella. Quale che sia il vostro sesso, seguire l'Omega Plan è uno dei passi più importanti che voi potete fare per salvaguardare la vostra salute.

Perché l’Omega Plan e così superiore alle altre diete per il cuore? La risposta è che si rivolge a bersagli multipli. Molte diete per il cuore hanno un unico scopo primario - abbassare i livelli di colesterolo. Ma abbassare i vostri livelli di colesterolo e solo una delle tante maniere per proteggere il vostro cuore, e sorprendentemente, potrebbe essere non la più importante se tutti gli adulti si dedicassero a una dieta che abbassa il colesterolo per il resto della loro vita aspettativa di vita negli Stati Uniti incrementerebbe di soli tre mesi per le donne ed i quattro mesi per gli uomini. Per la protezione più completa avete bisogno di ridurre anche altri fattori di rischio.

Per esempio un fattore di rischio di importanza critica e il vostro livello sanguigno di omocisteina, un aminoacido che può danneggiare le pareti delle vostre arterie coronariche. Alti livelli di omocisteina sono stati ritenuti responsabili fino al 30% degli attacchi di cuore e di ictus nei maschi americani. Potete ridurre i vostri livelli di omocisteina incrementando il vostro introito di acido folico, una vitamina che si trova nella frutta, nei vegetali a foglia verde e nei legumi. Il pesce, un altro componente chiave del piano, anch’esso abbassa i livelli di omocisteina.

È opportuno anche innalzare i livelli dei vostri antiossidanti, la riduzione del rischio di coaguli sanguigni e un aiuto per normalizzare la vostra pressione sanguigna e il battito cardiaco.

Ecco di seguito i sei passi nella genesi di un attacco cardiaco, dalla prima microscopica lesione alle vostre arterie coronariche al battito finale del cuore. Mano a mano che descriverò questa mortale progressione saranno evidenziati tutti i modi in cui una dieta corretta, con un apporto adeguato di antiossidanti e di acidi grassi omega-3 può bloccarla.

 

passo 1: una piccola lesione alle pareti delle arterie coronariche

 

Per molte persone, il dolore che annuncia un attacco di cuore sembra venire dal nulla. Un minuto prima stavano allacciando le scarpe o spalando la neve, il minuto successivo sono presi dalla morsa di un dolore lancinante; è come se un minuto prima fossero perfettamente sani, e il minuto dopo stessero bussando alla porta della morte. Potreste non rendervi conto che virtualmente tutto quanto questo prolungato dramma ha luogo nelle vostre arterie coronariche, non nel vostro cuore. Le vostre arterie coronariche sono i grandi vasi che provvedono il sangue per il vostro muscolo cardiaco famelico d'ossigeno. Sebbene il vostro cuore sia pieno di sangue, trae tutto il suo nutrimento dal sangue che fluisce attraverso queste arterie vitali. Se diventano bloccate, il vostro muscolo cardiaco diviene affamato l'ossigeno, e si scatena un attacco.

Il primo segno in assoluto di una malattia alle arterie coronariche è un piccolo danno al rivestimento delle pareti della vostra arteria. Alcuni danni sono inevitabili perché causati dal flusso del sangue attraverso questi vasi. Degli studi hanno dimostrato che anche persone di vent'anni mostrano segni di questo tipo di abrasione. Ma alcuni danni possono essere prevenuti, come quelli causati da una pressione alta. Quando avete una pressione alta il sangue fluisce attraverso i vostri vasi con più forza, come attraverso un tubo da giardino che collegate ad una bocca d’acqua ad alta pressione. Più alta è la vostra pressione sanguigna, più grande il danno potenziale per le vostre arterie e più grande rischio di attacco di cuore e di ictus. Una persona con pressione diastolica sopra 105 ha due volte il rischio normale di eventi coronarici e quattro volte il rischio di ictus

 

capire la lettura dei vostri valori della pressione

 

La vostra pressione è espressa da due numeri, per esempio "145/92". Il numero più alto, chiamata (pressione sistolica) è la pressione arteriosa mentre il muscolo del vostro cuore si sta contraendo. Il numero più basso, la "pressione diastolica" è la pressione quando il vostro cuore è a riposo tra due battiti.  Questi numeri sono espressi in termini di millimetri di mercurio.

La pressione normale è intorno a 120/80. L'ipertensione è comunemente definita come valori di pressione superiori a 140/90.

La buona notizia è che potete abbassare la vostra pressione sanguigna semplicemente scegliendo un certo tipo di olio per il vostro condimento piuttosto che un altro. L’olio d'oliva e oli omega-3 sono stati sperimentalmente accreditati dell'abbassamento della pressione del sangue. Per esempio degli studi hanno mostrato che prendendo giornalmente supplementi di olio di pesce che contengono anche solo 3 g di EPA e DHA, può abbassare la vostra pressione sistolica di cinque punti e la vostra pressione diastolica di tre punti. Un cambiamento anche di questa modesta entità potrebbe ridurre il numero di americani definiti "ipertesi" del 40%! L'acido alfa-linolenico (l'acido grasso omega-3 che si trova nell'olio di canola, nell'olio di noci e nell'olio di semi di lino) può passare anch’esso la vostra pressione sanguigna. Un incremento dell'1% nei livelli sanguigni di acido alfa-linolenico è collegato a una riduzione di 5 mm nella pressione del sangue.

Perfino l'olio d'oliva potrebbe aiutare a mantenere la vostra pressione bassa. In uno studio del 1996,16 donne con una pressione moderatamente alta passarono l'olio d'oliva per un mese. In media la loro pressione sanguigna scese da 161/94 a 151/85, una caduta di quasi 10 punti sia nella pressione diastolica che in quella sistolica.

Come abbassano gli acidi grassi omega-3 la vostra pressione sanguigna?

Il nostro fegato scinde i grassi della vostra dieta in acidi grassi individuali. Questi acidi grassi sono poi convertiti in sostanze simili ad ormoni chiamati eicosanoidi. Gli oli ricchi di omega-6 sono convertiti in un tipo di eicosanoidi chiamato tromboxano A2, che è un potente costrittore delle vostre arterie. Le arterie ristrette forzano il vostro cuore a lavorare più duramente per far circolare il sangue attraverso il vostro corpo, contribuendo a un'alta pressione del sangue. Oli ricchi di acidi grassi omega-3 al contrario sono convertiti in un eicosanoide affine chiamato tromboxano A3, che ha solo una frazione del potenziale vasocostrittore dell'altra sostanza.

Inoltre, nuovi studi mostrano che gli acidi grassi omega-3 possono aumentare la produzione di un'importante sostanza chimica chiamata ossido nitrico, che rilassa le vostre arterie. In uno studio recente uomini a cui stati dati supplementi di pesce avevano un incremento del 43% nella produzione di ossido nitrico.

 

passo 2: ridurre il vostro rischio di infiammazione arteriosa

 

Una volta che un’arteria diventa danneggiata, attrae l'attenzione della squadra di riparazione del corpo, incluse le piastrine e i globuli bianchi del sangue. Queste sostanze promuovono la guarigione, ma possono anche causare coagulazione e infiammazione. Prevenire l'infiammazione cronica si ritiene oggi che sia altrettanto efficace nell'abbassare il vostro rischio di attacco cardiaco e di ictus rispetto quanto ridurre i livelli di colesterolo LDL. Uno studio pubblicato nel 1997 nel New England Journal of Medicine ha rivelato che gli uomini con i più alti livelli di infiammazione erano tre volte più soggetti ad avere attacchi cardiaci e due volte ictus rispetto a uomini con i livelli più bassi.

Il fatto che l'aspirina aiuti a ridurre l'infiammazione potrebbe essere una delle ragioni per cui è così protettiva nei confronti di attacchi cardiaci. Sappiamo oggi che gli acidi grassi omega-3 hanno proprietà antinfiammatorie simili. Di fatto, funzionano quasi nella stessa maniera di un'aspirina, sebbene, a differenza dell'aspirina non danneggino il sensibile rivestimento dello stomaco. Questa è una delle ragioni per cui il pesce è un cibo così amico del cuore. In uno studio del 1996 uomini che mangiavano pesce grasso su base regolare avevano il 42% di probabilità in meno di morire di attacco di cuore rispetto a uomini che non mangiavano pesce.

 

passo 3. l'invasione del colesterolo

 

Il terzo passo nel processo che dura decenni per arrivare un attacco cardiaco è la graduale accumulazione di una placca nelle vostre arterie. In passato, gli sforzi per prevenire quest'accumulo di colesterolo si sono concentrati nell'abbassare i livelli di colesterolo LDL, il colesterolo cattivo che invade le arterie. Ora che abbiamo maggiori conoscenze riguardo i disturbi cardiovascolari, la strategia è diventata più sofisticata ed efficace. Una scoperta importante è stato il fatto che il colesterolo LDL è trasportato nelle vostre arterie attraverso speciali globuli bianchi chiamati macrofagi. Ma prima che macrofagi inglobino il colesterolo, il colesterolo deve essere danneggiato da un processo distruttivo chiamato ossidazione. Se voi mantenete il vostro colesterolo LDL al riparo dall'ossidazione, dunque, non sarà preso dai macrofagi e trasportato sulle pareti delle vostre arterie.

Una dieta sana rallenta l'ossidazione del vostro colesterolo LDL in due maniere chiave. Anzitutto nutre il vostro corpo con oli monoinsaturi come l'olio d'oliva, che sono naturalmente resistenti all'ossidazione. In secondo luogo, aumenta il vostro apporto di frutta e vegetali, aumentando i vostri livelli di antiossidanti. Gli studi hanno mostrato che più antiossidanti sono nel vostro flusso sanguigno più basso è il rischio di morire da disturbi cardiovascolari.

 

passo 4. l'accumulo della placca

 

Ora stiamo per arrivare al quarto passo nella genesi di un attacco cardiaco. In questo quarto critico passo, quantità significative di colesterolo ossidato hanno cominciato a prendere la via delle vostre arterie. Avere piccole quantità di placche causa poco danno. Di fatto, le autopsie mostrano che anche bambini di tre anni hanno i "fatty streaks", cioè delle strie di grasso nelle loro arterie, il primo segno visibile dell'invasione del colesterolo. Il danno consiste nell'avere un deposito così ampio da restringere a bloccare l'arteria coronarica. Più colesterolo LDL avete nel vostro flusso sanguigno, maggiore è la quantità a disposizione per l'ossidazione, e più grandi sono la possibilità che questo evento accada.

Un colesterolo al di sotto di 200 è considerato normale. Se il vostro colesterolo arriva a 250 avete due volte il rischio di un attacco coronarico. Se arriva a 300 il vostro rischio raddoppia di nuovo. Se arriva a 350 e oltre avete otto volte il normale rischio di avere arterie malate e ristrette.

Fortunatamente, il vostro corpo a un meccanismo interno per tenere i vostri livelli di LDL a bada - uno squadrone di colesterolo HDL. Il colesterolo HDL ha la forma di un pallone da football sgonfiato. Quando circola nel vostro flusso sanguigno rastrella il colesterolo LDL, riempiendosi gradualmente. Poi trasporta il colesterolo LDL al nostro fegato, dove esso è captato da particolari recettori LDL sulle vostre cellule epatiche, trascinato dentro le cellule e degradato in sostanze meno dannose. Più colesterolo HDL avete nella vostra squadra di cellule, meno colesterolo ossidato LDL avete nelle vostre arterie.

 

il vantaggio dell'olio d'oliva

 

L'olio d'oliva vi dà un vantaggio ulteriore: contiene una sostanza chiamata "squalene" che abbassa il colesterolo. In uno studio recente, pazienti che hanno assunto supplementi di squalene per cinque mesi hanno avuto una diminuzione del 22% nel loro colesterolo LDL.

Una delle ragioni per cui la dieta mediterranea è così protettiva contro disturbi cardiaci è che è basata su oli monoinsaturi, oli che è stato provato abbassano il vostro colesterolo LDL mentre mantengono o addirittura aumentano il vostro colesterolo HDL, il meglio in entrambe le facce della medaglia. Nessun altro grasso ha quest'effetto. I grassi saturi, è noto da lungo tempo, aumentano il vostro colesterolo LDL. Gli acidi grassi trans aumentano il vostro colesterolo LDL e allo stesso tempo abbassano il vostro colesterolo HDL, spingendo entrambi questi grassi nella direzione sbagliata. Una ricerca di un gruppo di ricercatori di Boston ha trovato che persone con i più alti livelli di acidi grassi trans nella loro dieta hanno due volte e mezza il rischio di attacco cardiaco rispetto a coloro che ne mangiano un ammontare più basso. Gli oli omega-6 abbassano il vostro colesterolo LDL, ma al tempo stesso possono anche abbassare il vostro colesterolo protettivo HDL.

Sorprendentemente, voi potete anche squilibrare il colesterolo del vostro corpo mangiando una dieta a basso tenore di grasso ad alto tenore di carboidrati. Esattamente come gli omega-6, questo tipo di dieta abbassa il vostro colesterolo LDL e vostro colesterolo HDL, gettando via il bambino con l'acqua sporca. Questo è un altro esempio ancora di come la nostra attuale mania anti-grassi sia sbagliata. Invece di mangiare cibi a basso tenore di grassi o completamente magri, noi ci dobbiamo concentrare sul mangiare una moderata quantità di grassi buoni per la salute.

 

che cosa vi dice il vostro livello di colesterolo rispetto al vostro rischio di attacco cardiovascolare.

 

Un predittore affidabile del vostro rischio di attacco cardiaco è il rapporto fra il vostro colesterolo totale e il vostro colesterolo HDL. Più basso è questo rapporto meglio è. Se, per esempio il vostro colesterolo totale è 200 e il vostro colesterolo HDL è 50, il vostro rapporto e 200/50, ovvero 4, che è nella media. Idealmente sarebbe necessario avere un numero pari a 3,5 o più basso.

 

passo 5. il blocco dell'arteria coronarica

 

Supponiamo che tutto sia andato male e ora siete nel quinto passo di questo fosco dramma. A causa del fumo, dell'età, della genetica, di una dieta malsana, di uno stile di vita sedentario, o, più probabilmente, di qualche combinazione di questi fattori, le vostre arterie coronariche sono diventate così intasate di placca che stanno togliendo sangue alla provvista nutritiva del vostro cuore. Un processo mortale che è cominciato decenni prima ha raggiunto adesso la massa critica. Tutto quello che è necessario per un effettivo attacco cardiaco è che un coagulo si chiuda un'arteria già ristretta, bloccando il flusso sanguigno.

Tipicamente, un'arteria diventa bloccata a seguito della brusca rottura di una grossa area della placca. Un deposito di placca è più probabile che si rompa se è grande, cronicamente infiammato, e separato dal flusso sanguigno solo da un piccolo rivestimento di tessuto. Una volta che la placca esplode, spande i suoi detriti nel flusso del sangue e scatena la formazione di coaguli sanguigni. In pochi secondi, un coagulo e altri detriti possono essere portati nella corrente sanguigna e incunearsi in un'arteria coronarica. Un'area importante del vostro cuore è improvvisamente privata di sangue ossigenato e causa un attacco cardiaco potenzialmente mortale.

Come potete ben immaginare, uno degli obiettivi principali della prevenzione degli attacchi cardiaci e dell'ictus è impedire che i coaguli sanguigni blocchi non arteria critica. Questa è la ragione per cui le persone ad alto rischio assumono aspirina o agenti di fluidificazione ancora più potenti. Una scoperta fondamentale fatto all'inizio degli anni 70 e che gli acidi grassi omega-3 rallentano anche la formazione di coaguli sanguigni. Dobbiamo questa scoperta a due ricercatori danesi, H.O. Bang e Jorn Dyerberg, che furono affascinati dalla tradizionale dieta eschimese - sufficientemente affascinati di fatto da condurre una spedizione su slitta di 20 uomini nella Groenlandia del Nord. Bang e Dyerberg osservarono che gli eschimesi che mangiavano loro dieta tradizionale di pesce e mammiferi marini avevano un tasso estremamente basso di morte per accidenti cardiaci. Di fatto, quando analizzarono 10 anni di dati sanitari presso un ospedale della Groenlandia che serviva 2000 persone, non trovarono un singolo caso di morte causato da attacco cardiaco. Alla fine, Bang e Dyerberg furono in grado di dimostrare che una delle principali ragioni della salute cardiaca degli eschimesi era che la loro dieta aveva un alto tasso di acidi grassi omega-3, che, tra gli altri benefici, rallentavano la formazione dei coaguli sanguigni. Quando Bang e Dyerberg pubblicarono le loro scoperte, fecero la seguente profezia: " noi crediamo che mangiare più acidi grassi omega-3 possa essere efficace nella prevenzione dei disturbi cardiovascolari esattamente come l'uso su larga scala di medicinali".

 

in che modo gli acidi grassi omega-3 impediscono ai coaguli sanguigni di formarsi?

 

Un coagulo sanguigno può essere paragonato alla produzione di cartapesta. La "colla" è fornita dalle vostre piastrine, e i fogli di giornale sono forniti da "fibrinogeno" lunghe catene di proteine che si intrecciano con le piastrine e altri elementi creando un trombo o un coagulo. Una recente ricerca ha mostrato che persone con alti livelli di fibrinogeno hanno un rischio cinque volte maggiore di attacco cardiaco, di attacco cardiaco ricorrente e di morte prematura.

Gli oli omega-3 impediscono a coaguli indesiderati di formarsi in due maniere. Anzitutto, rendono le vostre piastrine meno "collose", rendendo meno probabile che si aggreghino insieme. In secondo luogo, diminuiscono la produzione di fibrinogeno. Il risultato finale è un rischio notevolmente ridotto di attacco cardiaco.

 

passo 6. un battito cardiaco caotico

 

Gli attacchi cardiaci sono eventi traumatici, ma non sono sempre letali: avete tre probabilità su cinque di sopravvivere. Che voi viviate o meno dipende in largo grado da come il vostro cuore risponde al trauma. Se comincia a battere in modo incontrollabile, una reazione purtroppo comune chiamata "aritmia maligna" o "aritmia ventricolare", le vostre possibilità di sopravvivenza sono scarse. Un cuore che si contrae selvaggiamente, non funziona più come una pompa efficace, bloccando la circolazione nel vostro intero corpo, non solo nel vostro cuore. Di tutti i vostri organi, il vostro cervello è il più vulnerabile alla mancanza di sangue. Se il flusso del sangue il vostro cervello è bloccato per meno di quattro minuti il probabile risultato è un severo danno cerebrale alla morte.

Il fatto che gli acidi grassi omega-3 prevengano l'aritmia è stato mostrato per la prima volta agli studi su animali condotti negli anni ‘80. In uno di questi esperimenti, otto animali di laboratorio sono stati soggetti a condizioni che mimano un attacco cardiaco. Tutti gli otto animali svilupparono prontamente delle aritmie che li avrebbero uccisi se l'esperimento fosse continuato. L'esperimento fu ripetuto ancora una volta usando un differente gruppo di animali a cui era stata dato un infuso di olio di pesce appena 60 minuti prima del test. Gli acidi grassi omega-3 abolirono completamente l'aritmia in sette animali su otto, mentre l’ottavo animale ebbe un evento di modesta gravità non letale.

Poiché gli acidi grassi omega-3 hanno il potenziale di bloccare tutti e sei i passi che portano a un attacco cardiaco, inclusi i due passi più pericolosi, il blocco finale dell'arteria coronarica e l'aritmia, essi possono salvare le vite delle persone con un avanzato stato di deterioramento coronarico. Ci sono prove dal Lyon Diet Heart Study e anche da un'influente studio inglese conosciuto come il Diet and Reinfarction Trial (DART). I partecipanti allo studio DART del 1989 erano 2000 uomini che si stavano riprendendo da recenti attacchi cardiaci. Essi vennero distribuiti tra tre differenti diete: 1) una dieta ricca di fibre; 2) una dieta con una percentuale bassa di grassi saturi e relativamente ricca di olio omega-6 (la dieta standard è per i malati di cuore); 3) una dieta ricca di acidi grassi omega-3 sia da pesci grassi sia da supplementi di omega-3. Relativamente agli altri due gruppi, i pazienti che avevano arricchito la loro dieta con acidi grassi omega-3 avevano un tasso di mortalità più basso del 29%, che a quel tempo rappresentava la più grande riduzione di mortalità per qualsiasi dieta per malati cardiaci.

Una dieta che fornisca una ricca provvista di antiossidanti naturali, acidi grassi monoinsaturi e acidi grassi omega-3, accoppiata con bassi livelli di grassi saturi, omega-6 e acidi grassi trans, è la prescrizione ideale per la salute del cuore.

Nello schema sottostante viene mostrata all'azione positiva o negativa dei vari tipi di grassi:

 

grassi saturi

Fonti: carne grassa, burro, uova, formaggio, latte intero

HDL: non lo bassa e potrebbe alzarlo

LDL: aumenta

Pressione del sangue: potrebbe aumentare

Rischio di coaguli sanguigni: potrebbe aumentare

Ossidazione del colesterolo LDL: invariata

 

grassi trans:

Fonti: margarina, grassi da cucina, cibi fritti nel grasso, pasticceria commerciale, snack

HDL: diminuisce

LDL: aumenta

Pressione: effetto sconosciuto

Rischio di coaguli sanguigni: invariato

Ossidazione LDL: effetto sconosciuto

 

oli omega-6:

Fonti: oli ricchi di acidi grassi omega-6, incluso l'olio di mais, di cartamo e di girasole.

HDL: diminuisce

LDL: diminuisce

Pressione del sangue: può aumentare

Rischio di coaguli sanguigni: può aumentare

Ossidazione LDL: aumenta

 

acidi grassi monoinsaturi

Fonti: olio di oliva, olio di canola, olio di girasole "high oleic", olio di cartamo "high oleic"

HDL: può aumentare

LDL: diminuisce

Pressione sanguigna: può diminuire

Rischio di coaguli sanguigni: invariato

Ossidazione LDL: diminuisce

 

acidi grassi omega-3

Fonti: olio di pesce, olio di canola, olio di semi di lino.

HDL: può aumentare

LDL: può diminuire uomo aumentare lievemente

Pressione sanguigna: diminuisce

Ossidazione LDL: invariata

 

 

Cibo per il pensiero: la sorprendente connessione tra grasso nella dieta, intelligenza, disordini mentali e umore.

 

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questo articolo in sintesi

 

●  I tipi di grasso nella vostra dieta potrebbero influenzare la vostra memoria, il vostro umore, la risposta allo stress e le capacità di apprendimento.

●  Il vostro cervello contiene un'alta percentuale di grasso. Si tratta di grasso "strutturale" il tipo che aiuta a formare le vostre membrane cellulari e gioca un ruolo vitale del funzionamento delle cellule cerebrali. Il vostro cervello è insolitamente ricco dell'acido grasso omega-3 DHA.

●  Il latte umano contiene DHA, ma negli Stati Uniti e in altri paesi le formule del latte per l'infanzia non lo contengono. I bimbi allattati al seno ottengono punteggi più alti in molti tipi di test standard rispetto a quelli nutriti con il latte per l'infanzia. Il DHA ha migliorato funzionamento del cervello in bambini, adulti e anziani.

●  La depressione è collegata a bassi livelli ematici di DHA.

●  L'alcol depaupera il cervello di DHA. Tra il 16 e il 50% degli alcolisti soffrono di depressione, come pure il 70% degli alcolisti cronici e grandi bevitori.

●  Se una donna incinta non dispone di sufficienti oli omega-3 nella sua dieta, il feto la priverà degli acidi grassi dei suoi tessuti. Se una donna ha altri bambini oltre il primo e non rimpiazza gli EFA perduti, avrà livelli sempre più bassi di DHA per ogni figlio successivo. Una mancanza di DHA è stata collegata alla depressione post parto

●  I test del sangue mostrano che i bambini con "sindrome da deficit di attenzione e iperattività" o ADHD hanno livelli anormalmente bassi di acidi grassi omega-3. Questo è legato a sfoghi emozionali, impulsività, disturbi del sonno e incapacità a concentrarsi.

●  Un certo numero di studi ha mostrato che i criminali adulti violenti hanno livelli insolitamente bassi di acidi grassi omega-3.

●  Le persone arrabbiate e ostili hanno più probabilità di avere attacchi di cuore. Una mancanza di acidi grassi omega-3 potrebbe essere alla base sia dei problemi di umore e dei problemi cardiaci.

●  Gli schizofrenici in generale hanno livelli anormalmente bassi di DHA. In uno studio su piccola scala, supplementi di omega-3 hanno alleviato un certo numero di sintomi chiave.

 

Una delle nuove scoperte più affascinanti riguardo il grasso, è che è inestricabilmente legato col vostro stato mentale. Il tipo di maionese che mettete nel vostro sandwich e il tipo di condimento che versate sulla vostra insalata potrebbero influenzare i vostri umori, il vostro livello dello stress, impulsività, i sentimenti riguardo gli altri - perfino la vostra capacità di apprendere.

Una delle ragioni per cui il grasso ha un effetto così profondo sulla vostra mente e il vostro umore è che il nostro cervello è largamente composto di grasso. Dal 50 60% della sua materia solida è grasso. Inoltre, il grasso del vostro cervello non è un grasso "di deposito", il tipo che vi portate in giro intorno al vostro giro vita e alle vostre cosce come riserva contro la carestia, ma grasso "strutturale", il tipo che forma le membrane delle vostre cellule e svolge un ruolo vitale nel funzionamento delle stesse cellule.

Un'altra caratteristica unica del cervello è che i vostri neuroni, le cellule che trasmettono i messaggi chimici, sono insolitamente ricchi di acidi omega-3. C'è cinque volte più DHA nei vostri neuroni che nei vostri globuli rossi. Se state mangiando una tipica dieta occidentale con deficienza di DHA e altri acidi grassi omega-3, state privando il vostro cervello di un componente critico, il che potrebbe danneggiare la vostra capacità di apprendere e ricordare. Uno dei primi studi animali che ha mostrato un legame tra il grasso l'intelligenza fu pubblicato nel 1975. In questo esperimento, un gruppo di ratti fu allevato con una dieta di olio di cartamo, un olio che un'alta percentuale di acidi grassi omega-6 e ha solamente tracce di acidi grassi omega-3. Un altro gruppo fu allevato con una dieta che conteneva un'apprezzabile ammontare di acido alfa-linolenico. Quando i ratti sono stati messi alla prova in un semplice labirinto, quelli allevati con l'olio di cartamo facevano la scelta esatta solamente nel 60% dei casi, in confronto al 90% di successo dei ratti la cui dieta conteneva un adeguato ammontare di acidi grassi omega-3.

Un secondo gruppo di ricercatori ha condotto un test in una situazione di vita o di morte. Una colonia di topi è stata divisa in gruppi e allevata con diete che erano rispettivamente ad alto e basso tenore di acidi grassi omega-3. Durante un esperimento, gli animali vennero piazzati in una cisterna d'acqua che aveva uno spazio sicuro - una piccola piattaforma sommersa proprio al di sotto della superficie dell'acqua. I ricercatori cronometrarono quanto tempo impiegava ciascun topo per raggiungere la piattaforma, poi ripeterono il test nei giorni successivi. Coerentemente, i topi con la dieta arricchita di omega-3 raggiungevano la piattaforma in meno tempo dei topi la cui dieta aveva un basso tenore di questo nutriente. Il secondo giorno, per esempio, i topi con la dieta arricchita con omega-3 raggiunsero la salvezza in un tempo medio di 42 secondi, mentre i topi con la dieta senza omega-3 si dibatterono in acqua per 81 secondi.

 

cibo per il cervello

 

Gli acidi grassi omega-3 aiutano gli esseri umani ad apprendere e a ricordare? Alcune prove dalle nursery suggeriscono che potrebbe essere così. Il latte umano contiene DHA, ma le formule del latte per l'infanzia non lo contengono. La legge non impone ancora ai produttori statunitensi di aggiungere questo ingrediente ai loro prodotti. Come risultato, i bambini allattati al seno hanno più DHA nei loro cervelli e nelle loro retine che i bambini non nutriti col latte materno. I bambini allattati al seno hanno anche una migliore acutezza visiva rispetto ai bambini allattati con latte per l'infanzia e, anni più tardi, realizzano punteggi più alti nei test standard di lettura, interpretazione visuale, completamento di frasi, abilità non verbali e matematica. La performance superiore di bambini allattati al seno potrebbe essere dovuta a un qualsiasi numero di fattori, comunque, incluso il fatto che le donne che allattano i propri bambini al seno appartengono a una classe socioeconomica più elevata. Ma attenti studi mostrano che il DHA gioca un ruolo chiave nello sviluppo cognitivo. Il ricercatore Ricardo Uauy ha confrontato il cervello e la funzione visuale di tre gruppi di bambini: bambini allattati al seno; bambini nutriti con una formula standard carente di omega-3; e bambini nutriti con la stessa formula arricchita con olio di pesce. Un test che usa misura il "potenziale visuale evocato", che è il modo in cui il cervello risponde a una serie di schemi in bianco e nero che si succedono sul monitor. Ha trovato che i bambini allattati al seno e quelli la cui dieta è stata supplementata con olio di pesce hanno punteggi simili, mentre quelli a cui è stata data la formula standard è per la nutrizione dell'infanzia hanno punteggi significativamente più bassi.

I bimbi prematuri a cui sono stati dati supplementi di omega-3 solo per alcuni mesi hanno ottenuto migliori risultati nei test di intelligenza un anno dopo. In uno studio condotto presso il Department of Pediatrics  dell'Università del Tennessee, a neonati prematuri è stata somministrata una formula standard per l'infanzia mentre ad altri una formula arricchita con DHA. Due mesi dopo la nascita, tutti i bambini sono tornati a una nutrizione standard, carente di DHA. A un anno di età, ai bimbi venne somministrato il Fagan Test of Infant Intelligence. I risultati hanno mostrato che i bambini a cui era stato dato DHA processavano le informazioni più rapidamente di quelli nutriti con la formula standard. I ricercatori hanno notato che "poiché la supplementazione era stata interrotta al secondo mese e gli effetti si vedevano dopo un anno, questo studio dimostra per la prima volta che un periodo relativamente breve di supplementazione con DHA può produrre effetti significativi sulla successiva attenzione visuale”.

 

intelligenza e allattamento al seno

 

Maggiore è il tempo in cui i bambini sono allattati, più DHA si accumula nei loro cervelli. Gli studi hanno mostrato che i neonati allattati al seno per almeno quattro mesi ottengono nei test di visione risultati altrettanto buoni di quelli che sono stati allattati al seno per tutta l'infanzia. I bimbi allattati per un periodo di tempo più breve hanno punteggi più bassi. Secondo un gruppo di ricercatori, "i dati indicano un bisogno di un rifornimento continuo di acidi grassi omega-3 dal latte materno per almeno i primi quattro mesi di vita".

Ci sono anche nuovi dati affascinanti sui bimbi in età scolare. Recentemente i ricercatori della Purdue University hanno misurato il livello di acidi grassi essenziali di un centinaio di bambini di età tra i sei e i 12 anni. Hanno trovato che i bambini con i più alti livelli di acidi grassi omega-3 avevano i minori problemi di apprendimento.

Esistono nuove prove che l'assunzione di supplementi di omega-3 potrebbe migliorare anche le capacità mentali degli adulti. Un certo tipo di onda cerebrale chiamato "p300" è legato all'apprendimento e alla memoria. Più alta è la frequenza, più efficientemente sta funzionando il cervello. La frequenza declina con l'età ed è notevolmente più bassa in persone affette da demenza. Per vedere se gli acidi grassi omega-3 influenzano questo particolare tipo di funzione cerebrale, 26 volontari adulti normali furono collegate agli elettrodi e fu loro somministrato un test che determinava la frequenza delle loro onde p300. Immediatamente dopo il test, furono loro somministrati supplementi o di DHA o di EPA (due acidi grassi omega-3). Due ore più tardi, le loro onde cerebrali vennero misurate ancora. Questa volta, la frequenza dell'onda p300 era significativamente più veloce nelle persone a cui era stato somministrato DHA. I ricercatori affermano che "il DHA, dunque sembra essere un farmaco emozionante che può migliorare funzionamento del cervello… in persone sane"

 

il legame tra acidi grassi omega tre e apprendimento

 

È stata proposta una nuova teoria per spiegare come gli acidi grassi omega-3 potrebbero migliorare l'abilità di apprendere. Il processo di apprendimento e di ricordo coinvolge la trasmissione di varie sostanze chimiche da una terminazione nervosa all'altra. Queste sostanze chimiche sono conservate in piccoli contenitori chiamati "vescicole sinaptiche". Più alto è il numero di vescicole sinaptiche in una terminazione nervosa, più alta è la quantità di sostanze chimiche che può essere trasmessa.

In uno studio sulle abilità di apprendimento, dei ratti vennero allevati con una dieta carente di grassi omega-3 pure con una dieta nutrizionalmente completa. Inizialmente, entrambi i gruppi di ratti avevano lo stesso numero di vescicole sinaptiche. Dopo un programma di apprendimento durato un mese, comunque, i ratti con la dieta arricchita di omega-3 avevano un numero considerevolmente superiore di vescicole sinaptiche nelle loro terminazioni nervose e riuscivano decisamente meglio nei test. Questo studio suggerisce che ci potrebbe essere una connessione diretta tra l'ammontare di acidi grassi omega-3 nella vostra dieta, il numero di vescicole sinaptiche nei vostri neuroni, e la vostra abilità di apprendere.

Supplementare la vostra dieta con DHA (uno dei costituenti principali dell'olio di pesce) potrebbe anche ridurre il vostro rischio di demenza. Ernst Schaefer, della Tufts University ha scoperto che la quantità di DHA nel vostro sangue all'età di 65 anni è un possibile predittore del fatto che voi possiate diventare o meno demente in tarda età. Schaefer ha determinato l'ammontare di DHA nel plasma di 1137 adulti sani di età più avanzata. Nei successivi nove anni, 64 di questi soggetti avevano sviluppato demenza. Quelli che avevano i livelli più bassi di DHA all'inizio dello studio avevano una probabilità più alta del 60% di divenire dementi. Le scoperte di Schaefer vanno a confermare uno studio olandese che ha riguardato 55 uomini anziani. In questo studio, i ricercatori hanno trovato che gli uomini che mangiavano più pesce erano quelli che avevano la minor probabilità di divenire dementi, mentre quelli le cui diete avevano un alto rapporto di acidi grassi omega-6 erano quelli con la maggiore probabilità di sviluppare demenza.

Dare a pazienti anziani supplementi di omega-3 migliora il loro stato mentale? Forse sì. In uno studio pilota condotto in Giappone, 18 pazienti anziani tra i 57 e 94 anni, con chiari segni di demenza ricevettero da 700 a 1400 mg di DHA ogni giorno per sei mesi. Il 70% di coloro che avevano un tipo di demenza causato da insufficiente irrorazione cerebrale (demenza cerebro-vascolare) mostrarono segni significativi di miglioramento. Allo stesso tempo, tutti i pazienti con Alzheimer risultarono "lievemente migliorati". Sebbene la reazione fosse più modesta nei pazienti con Alzheimer, i ricercatori notarono che una vasta gamma di sintomi era migliorata, compreso l'umore, la deambulazione, e la capacità di sostenere una conversazione. Il gruppo di ricercatori ha concluso che "questi risultati suggeriscono che un olio ricco di DHA è utile per il miglioramento della prevenzione sia dei disturbi cardiovascolari sia della demenza e dell'Alzheimer".

 

la vostra dieta vi deprime?

 

Due ricercatori dei National Institutes of Health, Joseph Hibbeln e Norman Salem, hanno trascorso anni a esplorare la connessione tra EFA e depressione. Una delle scoperte che ha dato lo spunto per la loro ricerca è il fatto che le persone che mangiano molto pesce hanno bassi tassi di depressione. In Giappone, Taiwan e Hong Kong, per esempio, il consumo di pesce è alto e la percentuale di depressione bassa. I giapponesi sono un esempio che colpisce. La dieta tradizionale giapponese contiene 15 volte più omega-3 della dieta americana. Attenti studi mostrano che i giapponesi hanno solamente un decimo del tasso di depressione degli americani. La differenza è ancora più pronunciata tra le vecchie generazioni. Approssimativamente il 44% degli anziani americani hanno sintomi di depressione, in confronto al solo 2% degli anziani giapponesi. Le percentuali più basse di depressione in Giappone si trovano nei villaggi di pescatori. Nel 1995, un team di psichiatri ha intervistato tutti i vecchi abitanti che vivevano in una comunità giapponese di pescatori, e non ha trovato un singolo caso di depressione clinica.

L'equilibrio degli EFA nella dieta sembra anch'esso influenzare la gravità della depressione. Pazienti psichiatrici australiani il cui sangue aveva un contenuto relativamente alto di omega-6 e basso di omega-3 avevano più probabilità di essere gravemente depressi di quelli con un rapporto più bilanciato.

Hibbeln e Salem suggeriscono che l'epidemia di depressione negli Stati Uniti potrebbe essere collegata alla nostra dieta sempre più squilibrata. Nei cinquant'anni passati, abbiamo assistito a un deciso incremento della percentuale di depressione. Le persone nate dopo il 1945 hanno 20 volte la probabilità di avere episodi di depressione che quelle nate prima del 1934. Per di più, la depressione sta interessando persone in fasi più precoci della vita. Si stima che 500.000 bambini in età scolare stiano prendendo attualmente antidepressivi. Negli anni dell'adolescenza, questo alto tasso di depressione si traduce in un numero tragicamente alto di suicidi e tentati suicidi. La percentuale di suicidi giovanili è aumentata tre volte dal 1960, divenendo la terza principale causa di morte tra gli adolescenti.

 

mangia pesce, stai felice

 

Hibbeln e i suoi colleghi stanno attualmente conducendo uno studio per vedere se supplementi di omega-3 possono alleviare la depressione. Ad un gruppo di pazienti depressi sono somministrati placebo oppure 2 g di DHA al giorno. Durante il corso dello studio sono attentamente monitorati i cambiamenti di umore e nei livelli di serotonina.

Mentre attendiamo i risultati di questo e di altri studi noi possiamo ottenere qualche spiraglio di informazione da dottori che hanno già trattato di pazienti con acidi grassi omega-3, incluso il dottor Robert Burdon, che praticava più di trecento anni fa. Il trattamento standard di Burdon contro la depressione consisteva nel somministrare ai suoi pazienti una dieta a basso tenore di altri tipi di grasso ma ricca di olio di pesce. Se un paziente era gravemente depresso, Burdon raccomandava una dieta di due settimane a base di cervella bovine. Le cervella bovine, risulta, sono un eccellente fonte di DHA.

In Italia i ricercatori stanno continuando la lunga tradizione di trattare i pazienti depressi con un estratto di cervella bovine chiamato "fosfatidilserina". In uno studio pilota, 10 donne anziane depresse ricevettero l'estratto per 30 giorni. Alla fine dello studio, le donne erano meno depresse, più socievoli, meno ansiose, meno irritabili, si ottenevano migliori risultati nei test della memoria a lungo termine. Salem suggerisce che l'ingrediente attivo di questo nuovo antidepressivo sia il DHA. "Il 40% del peso della fosfatidilserina è composto di DHA" afferma, "gli studi italiani potrebbero essere in realtà un test degli effetti di miglioramento dell'umore degli acidi grassi omega-3".

Uno dei primi medici americani a trattare i pazienti con gli acidi grassi omega tre è Donald O. Rudin, che è stato direttore del del Dipartimento di biologia molecolare del Pennsylvania Psychiatric Institute. All'inizio degli anni 80, ha condotto l'esperimento non controllata in cui ha dato olio di semi di lino a 44 persone con disordini mentali. L'olio di semi di lino è una fonte concentrata di LNA. La dose variava da due a sei cucchiai da tavola il giorno. Incredibilmente, riferisce che entro due ore dall'assunzione del supplemento, "l'umore migliora e la depressione si dissipa" in alcuni pazienti. Una delle sue pazienti cronicamente depresse aveva avuto accentuati sbalzi d'umore in pochi giorni. "Tre giorni dopo aver iniziato con sei cucchiai di olio di semi di lino giornalmente, aveva sviluppato un accentuato senso di aumento dell'energia fisica e un'esuberanza notevole". La donna affermò che prendere l'olio di semi di lino "le dava il solo sentimento di pura gioia che avesse conosciuto nella vita". Entro un periodo da sei a otto settimane, la maggioranza dei suoi pazienti dormiva meglio, aveva più energia, e si sentiva meno ansioso e depresso. Quando i pazienti passarono supplementi di omega-6 o venivano privati del tutto di supplementi, i loro sintomi si ripresentavano. Rudin ha scoperto che l'olio di semi di lino ha un effetto di miglioramento dell'umore così accentuato in certi pazienti che a grandi dosi li rende maniacali, con fuga di pensieri, insonnia e sentimenti di grandezza. La riduzione delle dosi, riferisce, li riporta a un umore normale.

Casi clinici come questi sono affascinanti, ma non sono considerati prova scientifica. Sebbene Hibbeln ritenga che c'è una ragionevole possibilità che gli acidi grassi omega-3 possano effettivamente alleviare la depressione, ammonisce a non saltare le conclusioni. "Come dottore, non posso raccomandare che tutti prendano omega-3 come trattamento di qualsiasi disturbo mentale. Non è stato fatto un sufficiente numero di studi per provare la loro efficacia. Le prove finora ottenute sono suggestive e provocanti, ma sono lungi dall'essere conclusive. Non c'è alcun danno nel prendere questi supplementi - ma la faccenda è come quella dell'efficacia della crusca d'avena: tutti saltano alle conclusioni prima che sappiamo qualcosa di vero. In pochi anni saremmo in una posizione molto migliore per emettere giudizi”.

Ciò detto, egli ha arricchito la sua dieta di omega-3, come praticamente tutti i ricercatori del ramo. "Mangio moltissimo pesce" riferisce.

 

alcolismo

 

L'alcolismo e la depressione vanno a braccetto. Tra i 16 il 50% di tutti gli alcolisti soffrono di depressione, e la percentuale si eleva al 70% negli alcolisti cronici e grandi bevitori. Data la relazione tra la sbronza e cattivo umore, è significativo che l'alcol sia una delle poche sostanze che depaupera il cervello di DHA. "Il vostro cervello è riluttante a separarsi dal DHA", secondo il ricercatore del NIH Salem. "Viene tenacemente trattenuto, anche quando non vestiamo ottenendo dalla dieta. Possiamo dare ai ratti diete a basso contenuto di grassi anche per un anno, che è la metà della loro vita, ed essi possiederanno lo stesso ammontare di DHA nei loro cervelli di quando l'esperimento è cominciato". Ma date loro un singolo drink alcolico, ha scoperto, e i loro cervelli perderanno il DHA nel giro di ore. Lo stesso è vero per i gatti. "Noi abbiamo dato ai gatti piccolo drink alcolico al giorno", riferisce, ed essi hanno perso una quantità significativa di DHA sia dai loro cervelli che dalle loro retine". In un altro esperimento, scimmie Rhesus hanno avuto libero accesso all'alcol per un periodo di tre anni. Sebbene le scimmie fossero più moderate nel loro bere che molti esseri umani, i loro cervelli furono tuttavia depauperati del DHA.

Salem  è un altro dei ricercatori il cui lavoro nel campo degli EFA lo ha spinto a cambiare la sua dieta. "Ho aumentato la mia assunzione di omega-3, scegliendo tra il pesce e pollame quando posso. Sto anche lontano dagli omega-6. Non uso olio di mais o di cartamo, per esempio".

 

la depressione post parto.

 

Subito dopo la nascita del bimbo, le donne presentano un rischio sei volte aumentato di seri disordini mentali, un rischio che rimane alto per i successivi due anni. I cambiamenti ormonali e lo stress del ruolo di genitori, sono due possibili cause, e una terza potrebbe essere una deficienza di omega-3.

Gli acidi grassi omega tre sono essenziali per lo sviluppo del cervello del bambino non ancora nato, specialmente durante gli ultimi tre mesi di gestazione, quando il volume del suo cervello aumenta di tre volte. Se la madre non riesce a ottenere una sufficiente quantità di questi nutrienti nella sua dieta, il feto la priverà di ciò che essa ha immagazzinato nei suoi tessuti, incluso suo cervello. I test di laboratorio mostrano che le nuove madri hanno la metà del livello ematico normale degli omega-3. Diversi decenni fa, era una pratica comune per le donne di assumere olio di fegato di merluzzo durante la gestazione. Le donne che nutrono al seno i loro bambini hanno livelli di DHA ancora più bassi, perché stanno continuando a far fronte ai bisogni del bimbo di acidi grassi omega-3. Se una donna non rifornisce la propria riserva di questi elementi essenziali dopo la nascita di un bambino, avrà livelli sempre più bassi con ciascun figlio successivo. Alcuni suggeriscono che questa sia la ragione per cui i primogeniti hanno punteggi più alti ai test di intelligenza. Finora, si era attribuita la ben documentata superiorità mentale dei primogeniti al fatto che passano più tempo in un rapporto individuale col genitore. È stato ora suggerito che le loro maggiori abilità cognitive possono essere anche dovute a un più generoso apporto di DHA materno.

Finora, nessuno ha condotto uno studio per vedere se gli acidi grassi omega-3 possono ridurre il rischio di depressione post parto. Tuttavia, il fatto che questi nutrienti siano essenziali per lo sviluppo del feto è una ragione sufficiente perché le donne incinte si debbano assicurare un'adeguata provvista di questo nutriente. Un gruppo di ricercatori della Mayo Clinic vanno ancora più in là, e raccomanda che le donne equilibrino la loro dieta prima del concepimento: "l'apparato mentale della generazione in arrivo è sviluppato nel grembo. Il tempo per iniziare la supplementazione è prima della concezione. Un cervello normale non può essere fabbricato senza un'adeguata provvista di acidi grassi omega-3, e potrebbero non presentarsi opportunità successive per riparare agli effetti di una deficienza di acidi grassi omega-3, una volta che il sistema nervoso stato formato".

 

non si tratta di cattivi comportamenti.

 

Una delle conseguenze di crescere con una deficienza di acidi grassi omega-3 potrebbe essere un rischio più alto della "sindrome da deficit di attenzione e iperattività" o ADHD. A cinque scolari su 100 è diagnosticata la ADHD, e questo lo rende il più comune di tutti i problemi comportamentali dell'infanzia. In anni recenti, questo disordine è stato diagnosticato anche a centinaia di migliaia di adulti. I sintomi includono iperattività, impulsività, difficoltà di concentrazione e pianificazione. I bambini con ADHD sono quelli che vengono continuamente esortati a "calmarsi e fare attenzione!" e a "pensare prima di agire!" Il trattamento accreditato consiste nel somministrare loro dei farmaci stimolanti come il Ritalin, ma forse un giorno sarà prescritto pesce a pranzo.

I ricercatori hanno trovato un collegamento tra gli acidi grassi e la ADHD, quando hanno scoperto che i ragazzi con ADHD hanno livelli significativamente più bassi sia di EPA e di DHA di quelli che non presentano questo disordine. I ragazzi col comportamento più anormale hanno i livelli più bassi di DHA. In particolare hanno una maggiore probabilità di essere iperattivi, impulsivi, ansiosi, inclini a sfoghi emozionali, e disturbati da disordini del sonno, inclusa la difficoltà di andare a dormire e di alzarsi dal letto la mattina. Uno studio pilota sta venendo condotto alla Purdue University per vedere se supplementi di omega-3 possono alleviare alcuni di questi sintomi fastidiosi.

 

comportamento impulsivo e violento.

 

Una deficienza di acidi grassi omega-3 è anche stata collegata con un comportamento adulto anormale, inclusa impulsività e aggressione. I test del sangue di un gruppo di criminali violenti hanno mostrato che avevano livelli più bassi di DHA rispetto alle persone senza una storia di violenza. Un fenomeno simile è stato osservato nei primati. Nutrire scimmie maschio con una dieta un'alta proporzione di omega-6 rispetto agli omega-3 (33:1) ha avuto come risultato un aumento delle sberle, delle baruffe, delle spinte e dei morsi.

Attualmente esiste la prova che dando a persone normali acidi grassi omega-3 può aiutare a ridurre quella ostilità attenuata che proviene dagli stress della vita quotidiana. Un gruppo di ricercatori giapponesi ha dato placebo oppure omega-3 a un gruppo di studenti universitari. Lo studio è iniziato a metà delle vacanze estive, un periodo di basso stress, ed è proseguito attraverso la settimana massacrante degli esami finali. Durante la settimana degli esami, gli studenti che avevano ricevuto placebo avevano punteggi più alti nei testi di ostilità, mentre quelli che prendevano supplementi di omega-3 superarono il periodo degli esami con l'atteggiamento di benevolenza verso gli altri inalterato.

I supplementi gli omega-3 possono anche alleviare alcune manifestazioni fisiche dello stress mentale. Un gruppo di uomini ipertesi è stato collegato a un equipaggiamento per monitorare la pressione del sangue e poi soggetto a un test stressante di matematica e abilità verbali. Come ci si aspettava, tutti gli uomini hanno risposto alla sfida mentale con un brusco aumento della pressione del sangue. Per le successive due settimane, gli uomini ricevettero placebo o supplementi giornalieri di olio di semi di lino (60 ml, approssimativamente quattro cucchiai da tavola). Alla fine di questo periodo, gli uomini furono testati nuovamente. Questa volta, quelli che avevano preso l'olio di semi di lino avevano un aumento della pressione sanguigna notevolmente più basso. Come risultato positivo inaspettato, avevano anche i livelli più bassi di trigliceridi, colesterolo totale, LDL, ma livelli più alti di HDL, il colesterolo buono.

 

il cuore ostile

 

Un certo numero di anni fa si pensava che i disturbi cardiaci fossero più comuni nelle persone con comportamento del cosiddetto di "tipo-A" - competitività, perfezionismo, impazienza, senso di urgenza, ostilità. Attualmente si ritiene che solo l'ostilità - il cosiddetto comportamento di "tipo-H" sia un fattore che contribuisce a disturbi cardiaci. In una statistica recente, studenti di medicina che avevano alti punteggi nella scala di ostilità mostrarono di avere una probabilità sette volte maggiore di morire entro i cinquant'anni di età rispetto ai loro compagni di classe più pacifici. La differenza di longevità era dovuta largamente a un'aumentata incidenza di attacchi cardiaci.

Le persone depresse hanno anch'esse una maggiore probabilità di soffrire di attacchi cardiaci. Di fatto, una persona che ha sperimentato almeno un serio bisogno di depressione, a quattro volte il rischio normale. Cercando di spiegare la connessione tra ostilità, depressione e disturbi coronarici, alcuni ricercatori hanno suggerito che gli ormoni dello stress che sono prodotte durante la depressione o la rabbia, sono la fonte ultima del problema. Altri hanno proposto che le persone ostili e depresse hanno una maggiore probabilità di darsi a comportamenti autodistruttivi come bere, fumare e trascurare di assumere medicinali per il cuore. Ora è stata proposta una terza spiegazione. In un articolo recente, Hibbeln e Salem hanno suggerito che una deficienza di acidi grassi omega-3 possa essere alla base tutte e tre le condizioni - disturbi coronarici, ostilità e depressione. È possibile che i disturbi dell'umore non siano la causa di disturbi cardiaci, in altre parole, ma possano provenire dalla stessa deficienza di acidi grassi omega-3.

 

rendere la vita più tollerabile agli schizofrenici.

 

La schizofrenia è un devastante disordine mentale che tende a colpire nella prima età adulta. Nuovi farmaci antipsicotici hanno aiutato gli schizofrenici ad ottenere un funzionamento sociale minimo, ma non sono riusciti ad alleviare del tutto i gravi sintomi. Recentemente, tre gruppi indipendenti di ricercatori hanno trovato che gli schizofrenici hanno livelli anormalmente bassi di DHA.  stimolato da queste scoperte, un quarto gruppo di ricercatori ha trattato 20 pazienti schizofrenici con olio di pesce. La terapia era ben tollerata e ha alleviato entrambi i tipi di sintomi comunemente notati negli schizofrenici: "sintomi positivi" come illusioni o allucinazioni, e "sintomi negativi"  come  ritiro sociale e mancanza di emozioni. Alcuni pazienti hanno avuto anche una remissione dei movimenti anormali involontari chiamati "discinesia tardiva", che sono un effetto collaterale comune del prolungato trattamento con psicofarmaci. Gli investigatori hanno concluso gli acidi grassi omega tre presentano "nuove ed eccitanti possibilità terapeutiche".

Queste indagini sulla relazione tra EFA e cervello hanno aperto una nuova promettente area di ricerca. A questo stadio, si tratta più di promesse che di prove. Tuttavia i dati sono sufficientemente indicativi da far sì che sarebbe saggio per chiunque voglia avere il massimo delle performance mentali e godere pienamente la vita arricchire la propria dieta con i grassi giusti.

 

 

Le malattie autoimmuni e infiammatorie croniche e il ruolo preventivo degli acidi grassi e degli antiossidanti

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questo articolo in sintesi

 

●  Le malattia infiammatoria dei comuni sono legate a un sistema immunitario iperattivo

●  Gli attuali trattamenti per bloccare l'infiammazione includono farmaci steroidei, aspirina, ibuprofene e altri farmaci non steroidei. Tutti questi farmaci possono avere seri effetti collaterali.

●  Aggiungere omega-3 alla vostra dieta può ridurre la produzione da parte del vostro corpo di un certo numero di sostanze pro infiammatorie, inclusa interleuchina-1 e LTB4, che sono legati con una lunga lista di malattie autoimmune infiammatorie.

●  Diminuendo l'introito di grassi omega-6 mentre si aumenta l'introito di acidi grassi omega-3 può abbassare il rischio o la gravità di un certo numero di malattie infiammatorie autoimmuni, che includono l'artrite reumatoide, l'asma, Alzheimer, il disturbo ostruttivo cronico polmonare, morbo di Crohn, colite ulcerosa, nefropatia IgA, lupus, dismenorrea, psoriasi, osteoporosi, gengivite.

 

La gente spende milioni di dollari ogni anno per vitamine, erbe, ormoni che promettono di dare una spinta positiva al loro sistema immunitario. Ciò di cui probabilmente non si rendono conto è che molti problemi di salute sono causati da un sistema immunitario iperattivo o che va nella direzione sbagliata, non da un sistema immunitario pigro, e questo include condizioni disparate come allergie, asma, diabete, arteriosclerosi, artrite reumatoide, morbo di Crohn, lupus, sclerosi multipla, Parkinson, Alzheimer, fuoco di Sant'Antonio, psoriasi, bronchite e colite. Chiaramente la soluzione non è tanto di avere un sistema immunitario forte, ma un sistema immunitario "intelligente" - che sappia quando attaccare cosa attaccare e quando invece trattenersi. Mangiare una quantità equilibrata di acidi grassi vi aiuterà a ottenere proprio questo.

 

cosa ci insegnano gli eschimesi.

 

Ricercatori medici sapevano da tempo che gli omega-6 possono provocare infiammazione. Quando mangiamo oli che hanno un alto contenuto di questi EFA, il vostro corpo aumenta la produzione di un certo numero di sostanze che possono causare febbre, dolore, irritazione gonfiore. Queste sostanze giocano un ruolo chiave in molti disturbi: artrite reumatoide, borsite, colite, dermatite, gengivite, e bronchite, tutte parole che finiscono per "ite". In uno sforzo di bloccare queste sintomatologie le persone ricorrono a farmaci anti-infiammatori non steroidei come l'aspirina, l'ibuprofene o ai più potenti anti-infiammatori steroidei.

Potrebbe essere possibile ottenere beneficio da un rimedio più sicuro e più naturale - gli acidi grassi omega-3. Si aveva poca consapevolezza che gli acidi grassi omega-3 potevano moderare un sistema immunitario iperattivo fino agli anni 70, quando i ricercatori cominciarono a esplorare la salute degli eschimesi della Groenlandia. Un'osservazione chiave fu che gli eschimesi erano raramente interessati da disordini del sistema immunitario come il diabete e l'asma. La loro dieta a base di cibo proveniente dal mare, con la sua ricchezza di acidi grassi omega-3, si riteneva fosse una delle ragioni di questo. Questa teoria ha stimolato un certo numero di analisi dei dati statistici, che alla fine hanno rivelato che le popolazioni con un alto introito di pesce avevano un minore rischio di artrite, asma, enfisema, bronchite, disturbo di Crohn, sclerosi multipla e psoriasi.

Oggi, ricercatori medici hanno fatto un passo ulteriore e stanno cominciando a trattare i disordini del sistema immunitario con supplementi di omega-3. I risultati sono stati incoraggianti - in alcuni casi hanno salvato la vita. Queste sono notizie veramente importanti, poiché i medicinali usati per trattare le malattie relative al sistema immunitario hanno seri effetti collaterali. I farmaci steroidei per esempio possono aumentare il rischio di infezione e aumentare la pressione, la glicemia, influenzare il vostro umore, danneggiare il vostro sonno, causare la ritenzione di fluidi. Chi usa con frequenza anti-infiammatori non steroidei ha tre volte più probabilità di avere eventi gastrointestinali negativi, come sanguinamento, perforazione o altri eventi che possono portare alla ospedalizzazione o alla morte. La terapia a base di raggi ultravioletti comunemente usata per trattare la psoriasi rende le persone più vulnerabili al melanoma, un tipo mortale di cancro della pelle. Giudicando dalle scoperte che leggerete in questo capitolo, mangiare una proporzione più bilanciata di acidi grassi essenziali consentirà molte persone di ridurre il loro ricorso a queste terapie e in certi casi di eliminarle totalmente.

 

spegnere il fuoco dell'infiammazione cronica

 

L’infiammazione è stata descritta per la prima volta da Ippocrate come una condizione caratterizzata da rossore, calore, dolore e gonfiore. Poiché l'infiammazione coinvolge tutti questi sintomi le persone la trovano un'eventualità estremamente sgradevole. Ma in realtà è una parte necessaria del processo di guarigione. Supponiamo che abbiate un taglio nel vostro dito che è diventato infetto. Senza che ve ne rendiate conto le cellule del sistema immunitario che si trovano nei dintorni rilevano la presenza di batteri e rilasciano sostanze chiamate istamine che aumentano il flusso sanguigno verso il vostro dito facendo rilassare i capillari. Tutto ciò che voi vedete è che il vostro dito sta cominciando a diventare molle e più caldo. Man mano che i capillari si espandono, diventano più permeabili, il che consente ai globuli bianchi di penetrare le pareti e di migrare nel sito dell'infezione. Insieme ai globuli bianchi c'è anche un fluido chiaro che inonda la zona infettata e diluisce tutte le sostanze dannose. Non appena i globuli bianchi arrivano sulla scena, essi fagocitano e poi distruggono i batteri colpendoli con delle molecole dannose chiamate radicali liberi. Nel loro zelo, continuano ad assorbire sempre più batteri finché diventano così gonfi che esplodano. Il risultante fluido cellulare si mescola al fluido chiaro diventando la sostanza viscosa conosciuta come "pus". Una volta che l'invasione batterica è sconfitta, il gonfiore sparisce, il vostro dito si raffredda e la vita ritorna normale. Grazie alla risposta infiammatoria, un'infezione che potrebbe essersi diffusa per tutto il nostro corpo è stata messa in quarantena ed è stata eliminata.

In alcune persone e sotto certe circostanze tuttavia l'infiammazione può diventare più un problema che una cura. Per esempio troppi globuli bianchi si possono occupare in un'area infettata generando così tanti radicali liberi che il tessuto sano viene danneggiato. Oppure i globuli bianchi possono rimanere attivi anche molto tempo dopo che il nemico è stato sconfitto, causando infiammazione cronica. Oppure il vostro sistema immunitario può iperreagire di fronte a sostanze relativamente innocue come acari, polline, scaglie di pelle di gatto, gravandovi di tutte le sofferenze dell'infiammazione senza alcun beneficio.

Entro un certo grado, la vulnerabilità a disturbi infiammatori è ereditaria. Gli afro-americani, per esempio, sono più portati alle allergie e alle infiammazioni croniche. È stato proposto che il loro sistema immunitario diventi iperattivo perché è concepito per combattere i batteri parassiti che sono più prevalenti in Africa.

Noi sappiamo ora che gli omega-3 possono mettere freni un sistema immunitario che è andato fuori controllo. Un modo in cui fanno ciò è rallentando il reclutamento di globuli bianchi. Quando un'area del vostro corpo diviene infettata, i globuli bianchi antibatterici necessitano di essere diretti verso l'area. Per mostrare la via, il vostro corpo produce un "aroma" chimico che crea una sorta di pista. Gli acidi grassi omega-3 possono rendere questa traccia meno attraente, riducendo il numero di globuli bianchi che si recano sulla scena.

 

in che modo gli omega-3 rallentano il reclutamento di globuli bianchi?

 

Una sostanza chiave il corpo usa per reclutare globuli bianchi è chiamata leucotriene B4 (LTB4). L'LTB4 è prodotto dall'acido arachidonico. Più acido arachidonico c'è nel vostro corpo più grande è la produzione di LTB4. Gli acidi grassi omega-3 sono trasformati in una sostanza collegata chiamata "leucotriene B5" (LTB5). Anch'essa può attrarre globuli bianchi, ma è 30 volte meno efficace. Se voi mangiate più omega-3 e meno omega-6, dunque, rimpiazzate una sostanza che è una forte reclutatrice di globuli bianchi con una che lo è meno, riducendo il vostro rischio di infiammazione cronica.

Gli acidi grassi omega-3 possono bloccare l'infiammazione anche in un altro modo, mandando un messaggio ai vostri geni di diminuire la produzione di un'importante proteina di segnalazione chiamata interleuchina-1. Una sovrapproduzione di interleuchina-1 è coinvolta in un gran numero di disturbi: arteriosclerosi, artrite reumatoide, sclerosi multipla, asma, diabete di tipo I, psoriasi, disturbo polmonare ostruttivo cronico, AIDS, Alzheimer, allergie, colite ulcerosa, morbo di Crohn. Integrare la vostra dieta con omega-3 può abbassare il vostro livello di interleuchina-1 anche del 50%, un grado di soppressione simile a quello di alcuni antinfiammatori steroidei.

 

disturbi autoimmuni

 

Avere un disturbo autoimmune può essere paragonato a essere attaccato da un missile mal guidato. Invece di assaltare il nemico, il vostro sistema immunitario si è girato di 360° e ha cominciato a distruggere le vostre cellule sane. Il tipo di disturbo che si sviluppa dipende dal tipo di cellule che sono assediate. Se il vostro sistema immunitario attacca le guaine che circondano i vostri neuroni, per esempio, sviluppato una sclerosi multipla. Se distrugge le cellule che producono insulina nel nostro pancreas sviluppate il diabete di tipo I; se prende d'assalto la cartilagine e le ossa delle vostre articolazioni, diventate artritico.

Il colpevole di molti disturbi autoimmuni è un tipo di cellula bianca conosciuta come “cellula T auto-reattiva”. Le normali cellule T sono tra le più importanti cellule del vostro sistema immunitario che sono programmate per passare immediatamente all'attacco di un obiettivo molto specifico. Una cellula T potrebbe essere creata per attaccare il virus dell'antipolio; un'altra per attaccare l'epatite B; un'altra per il virus dell'AIDS e così via. Ciascuna dei vostri miliardi di cellule T ha il suo proprio obiettivo. Non appena una cellula T riconosce il suo obiettivo, è messa in moto una complessa catena di eventi che trasforma una cellula in centinaia di migliaia di cloni. Entro diverse ore c'è un battaglione di cellule T pronte per dare battaglia.

Sfortunatamente alcune delle vostre cellule T sono preprogrammate per attaccare le vostre cellule sane. Questo è vero in tutti gli individui, perfino nei bambini sani. A meno che queste cellule fuori controllo non siano eliminate, possono causare disordini autoimmuni. Il lavoro di eliminarle e assegnato alla ghiandola del timo. Le cellule T filtrano continuamente attraverso il timo, e a quelle che hanno il potenziale di distruggere le cellule sane viene dato l'ordine di autodistruzione. Questa salvaguardia essenziale manca nelle persone con disturbi autoimmuni. Le cellule auto-reattive entrano nel timo e vengono fuori intatte. Un’importante nuova scoperta è che gli omega-3 possono aumentare il ritmo di distruzione delle cellule T auto-reattive.

Nelle pagine che seguono descriverò un certo numero di disturbi che possono essere prevenuti o alleviati mangiando un mix più naturale di acidi grassi essenziali. Ci sono reali possibilità che quest'informazione possa esservi di aiuto.

 

artrite reumatoide

 

Ci sono due tipi artrite - osteoartrite e artrite reumatoide. L'osteoartrite è causata dalla consunzione delle vostre articolazioni man mano che invecchiate. L'artrite reumatoide è un disturbo infiammatorio cronico che danneggia il tessuto connettivo le ossa in tutto il vostro corpo, specialmente le vostre articolazioni.

L'artrite reumatoide affligge più di 6 milioni di americani, tre volte più donne che uomini, con molte persone che mostrano i primi segni della malattia già nell'età di mezzo. Il problema sottostante è che sistema immunitario crea anticorpi che attaccano un’importante proteina (IgG). Quando gli anticorpi attaccano la proteina, si formano grossi complessi che causano una reazione di ipersensitività, che produce l'infiammazione cronica. Per un certo numero di ragioni, l’infiammazione colpisce le articolazioni. L'aspirina e altri farmaci da banco sono le principali risorse per la terapia dell'artrite reumatoide, che alleviano il dolore l'infiammazione. In casi gravi sono necessari dei farmaci che sopprimono il sistema immunitario.

Più di una dozzina di studi negli ultimi 10 anni ha mostrato che gli omega-3 possono aiutare ad alleviare alcuni dei sintomi dell'artrite, inclusa la rigidità mattutina, la sensazione di spossatezza, il dolore e il numero delle articolazioni infiammate. Alcune persone hanno preso supplementi di omega-3 e sono state capaci di eliminare del tutto i medicamenti tradizionali. Per esempio, uno studio del 1995 ha mostrato che pazienti con artrite che prendevano dei medicinali standard contro l'infiammazione ricevettero supplementi di omega-3. Dopo diversi mesi, i farmaci antinfiammatori furono rimpiazzati con placebo. Significativo numero di pazienti fu in grado di proseguire senza i medicamenti senza sperimentare un riaccendersi del disturbo.

Gli acidi grassi omega-3 possono anche essere usati come trattamento topico contro l'infiammazione. L'olio di semi di lino è stato usato come antinfiammatorio per gli animali per centinaia se non migliaia d'anni. Di fatto la parola "linimento" deriva dalla parola "semi di lino". L'olio di semi di lino è anche una sostanza importante nella medicina popolare. Nella medicina del Vecchio Continente, venivano applicate delle poltiglie di semi di lino e olio di semi di lino riscaldate per dare sollievo a muscoli contratti o stirati i segni mantenevano il calore e l'olio aiutava a ridurre l'infiammazione.

Recentemente ricercatori australiani hanno riportato un grande successo nel trattare pazienti con artrite con un linimento fatto da quattro parti di olio di lino e una parte di alcol.

 

l’asma

 

40 milioni di bambini americani soffrono di asma, il doppio che negli anni 80. L'asma può essere di vari gradi, da un blando ansimare fino al collasso respiratorio. 5000 persone muoiono di asma ogni anno. Un recente esame dei dati medici ha mostrato che i bambini che mangiano pesci grassi hanno meno probabilità di sviluppare l'asma rispetto ai bambini che non mangiano pesci o solamente pesci magri. Uno studio di un largo numero di adulti ha mostrato che quelli che mangiano pesci almeno una volta a settimana hanno una migliore funzionalità polmonare rispetto agli altri.

Altrettanto incoraggiante è il fatto che i supplementi di omega-3 possono aiutare a ridurre i sintomi di asma in alcune persone. In uno studio durato un anno, gli asmatici che hanno preso 1 g di omega-3 al giorno avevano un miglioramento più grande nella capacità polmonare di quelli che prendevano placebo. Studi di durata minore hanno mostrato un effetto scarso o nullo, tuttavia, suggerendo che i nutrienti devono essere presi per un certo ammontare di tempo prima che diventino efficaci

 

come gli omega-3 aiutano a combattere l'asma

 

Quando le persone sperimentano un attacco d'asma, il loro corpo produce il triplo di una sostanza infiammatoria chiamata leucotriene B4 (LTB4). I farmaci steroidei bloccano la produzione di LTB4. Gli acidi grassi omega-3 anch'essi la bloccano, ma in base a un differente meccanismo. Questi acidi grassi essenziali fanno sì che il sistema immunitario produca meno LTB4 e una quantità maggiore di un leucotriene antagonista chiamato LTB5. Maggiore è la quantità di LTB5 che è prodotta, meno grave e l'attacco asmatico.

Un avvertimento: ci sono indicazioni che alte dosi di omega-3 possono causare un lieve declino nella capacità polmonare di alcuni asmatici. Consultate il vostro dottore prima di assumerli.

 

l’alzheimer

 

Sebbene poche persone se ne rendono conto, l'Alzheimer è, in parte, un disturbo infiammatorio. Le autopsie mostrano che il cervello dei pazienti malati di Alzheimer contiene quantità insolitamente alte di un elemento pro-infiammatorio chiamato interleuchina-1 B (IL-1B). E l'IL-1B è più concentrato nelle aree del cervello che sono gravemente danneggiate dalla malattia. Un altro indizio che è coinvolta l'infiammazione è che i farmaci antinfiammatori hanno mostrato di incrementare le performance mentali e l'umore dei malati di Alzheimer. Ci sono ulteriori prove che i medicinali antinfiammatori possono aiutare a prevenire il disturbo o a ritardare la sua apparizione: in uno studio su gemelli anziani, il gemello che assumeva più sostanze antinfiammatorie aveva un rischio più basso di sviluppare l'Alzheimer.

Mangiare una miscela bilanciata di acidi grassi fornisce un grado simile di protezione. Ricercatori olandesi hanno analizzato le abitudini alimentari di 900 anziani e hanno trovato che coloro le cui diete avevano un contenuto più alto di acido linoleico avevano la probabilità più alta di demenza. Contemporaneamente, quelli che mangiavano più pesce avevano le migliori funzioni mentali. Diminuendo il vostro introito di acido linoleico e integrando la vostra dieta con pesce o altre fonti di omega-3 potete contribuire a mantenere le vostre abilità cognitive man mano che invecchiate.

 

disturbo polmonare ostruttivo cronico (copd)

 

COPD è un termine che comprende tre gravi disturbi di respirazione - enfisema, bronchite cronica e asma. 17 milioni di americani soffrono di COPD, il che lo rende il più comune di tutti i disturbi polmonari cronici. Le statistiche mostrano che una persona ha una maggiore probabilità di sviluppare COPD se fuma, ha allergie, o soffre di infezioni respiratorie ricorrenti. Il fumo è di gran lunga il più grosso fattore di rischio. Inalare fumo di sigaretta, sia attivo che passivo, danneggia i vostri canali respiratori in vari modi, incluso l'interferire con l'azione di strutture ciliate che foderano i vostri passaggi respiratori. Oppure produce infiammazione, aumenta la produzione di muco. Sintomi del COPD tipicamente appaiono nella mezza età. Segni premonitori comuni sono una ridotta resistenza all'esercizio fisico, una tosse con catarro, e una voce roca. I sintomi peggiorano man mano che la malattia progredisce e possono condurre a disabilità, respirazione deficiente, perfino la morte.

Per esplorare simile relazione tra acidi grassi essenziali e COPD, un gruppo internazionale di ricercatori ha esaminato la dieta di 8.960 fumatori o ex fumatori. Ha trovato che più alta è la percentuale di pesce nella dieta della persona più basso è il rischio di COPD. Le persone che mangiavano la quantità maggiore di pesce avevano una probabilità inferiore del 40% di avere una bronchite cronica e del 60% di avere enfisema. I ricercatori notarono che "sebbene molti dei benefici antinfiammatori dei grassi omega-3 sono stati dimostrati con supplementi dietetici che forniscono dosi molto più alte rispetto alla media, incrementi molto piccoli dell'assunzione di questi acidi grassi possono avere effetti benefici." Mangiare pesce 2-3 volte a settimana, in altre parole, vi garantisce una minore probabilità di avere gravi disturbi polmonari - perfino se voi fumate. Un ricercatore si è spinto a dire che "i supplementi di oli di pesce e un forte consumo di pesce possono essere considerati protettivi rispetto alla COPD rispetto a qualsiasi altra singola misura".

 

morbo di crohn

 

Il disturbo di Crohn è una dolorosa infiammazione del tratto gastrointestinale, ed è più comune in persone di età tra 20 e i quarant'anni. I suoi sintomi includono dolore (principalmente nel quadrante destro inferiore, ed è questa la ragione per cui può essere confuso con l'appendicite), crampi, mollezza, perdita di peso, depressione, nausea, febbre, sanguinamento diarrea. In casi gravi, sezioni dell'intestino sono rimosse.

Come molti disordini autoimmuni, il disturbo di Crohn è caratterizzato da fasi acute e periodi di remissione. In uno studio clinico randomizzato, i supplementi omega-3 sono stati dati a pazienti che erano nella fase di remissione, ma che avevano un alto rischio di ricaduta. Non furono dati farmaci aggiuntivi. Alla fine dell'anno, il 59% dei pazienti che prendevano i supplementi di olio di pesce, erano ancora in fase di quiescenza, di fronte al 26% di quelli che prendevano il placebo.

I farmaci comunemente usati per il trattamento del morbo di Crohn possono avere seri effetti collaterali, incluso un danno alla rigenerazione del midollo osseo, disturbi metabolici ossei, ritardi della crescita e aumentato rischio di cancro. Questo è particolarmente grave dato il fatto che questo disturbo tende a colpire persone in età giovanile o di mezza età che devono prendere i medicinali per decenni. È altamente incoraggiante che il semplice mangiare più pesce grasso o assumere omega-3 potrebbe ridurre la dose o anche la necessità di questi farmaci.

 

colite ulcerosa

 

Molte persone confondono la colite ulcerosa col morbo di Crohn, ma sono condizioni differenti. La colite ulcerosa è una infiammazione cronica dell’intestino crasso. La gravità va da una lieve infiammazione localizzata a un colon perforato e a una infezione fatale del rivestimento della cavità addominale. Il disturbo si verifica principalmente in giovani donne ed è più diffuso in persone con antenati ebrei.

In uno studio condotto dai ricercatori di un ospedale di St. Louis, 18 pazienti con colite ulcerosa in fase acuta sono stati trattati con supplementi di omega-3 o alternativamente con un placebo. I supplementi omega-3 hanno consentito ai pazienti di ridurre della metà l'assunzione di medicinali. Il gruppo che consumava placebo, durante questo stesso periodo ha dovuto aumentare la dose di medicinali.

 

la gengivite

 

La gengivite è infiammazione delle gengive, caratterizzata da rossore rigonfiamento, sanguinamento e ritrazione della gengiva dal dente. Se l’infiammazione si intensifica può progredire arrivando uno stadio più grave, la periodontite, che può condurre alla perdita di osso e di dente.

Ricercatori francesi hanno mostrato che gli omega-3 possono ridurre l'infiammazione e la gravità della gengivite. In uno studio alquanto inconsueto, 36 volontari sani sono stati divisi in due gruppi. Metà dei volontari assumevano olio di oliva e gli altri supplementi omega-3.  Entrambi i gruppi ebbero la direttiva di praticare un'igiene orale intensiva per un periodo di due settimane. Per le successive tre settimane fu richiesto loro di smettere di lavarsi i denti e di usare il filo interdentale, ponendo le precondizioni per la gengivite. I segni di gengivite furono molto meno evidenti nel gruppo che assumeva supplementi di omega-3, mostrando una volta ancora come questi nutrienti possono essere altamente protettivi contro l'infiammazione, dovunque si verifichi.

 

nefropatia iga

 

Il disturbo potenzialmente mortale con questo strano nome è più comune in persone dai quarant'anni in poi, specialmente ipertesi. La nefropatia IgA è un disordine degli elementi filtranti principali dei reni, i glomeruli. La malattia può essere mortale. Cinque anni dopo la diagnosi, dal 20 al 40% dei pazienti muoiono.

Attualmente, non c'è cura efficace per la nefropatia IgA, sebbene molti medicinali siano stati testati, inclusi i farmaci steroidei, gli anticoagulanti, e gli antiaggreganti piastrinici. Ciò rende ancora più sorprendente il fatto che supplementi omega-3 si sono dimostrati in grado di ridurre la gravità della malattia e perfino di salvare vite. In un recente studio condotto presso la Mayo Clinic, 110 pazienti con nefropatia IgA sono stati assegnati a caso o a placebo o alte dosi di omega-3 (12 g al giorno). Quattro anni dopo attente misurazioni hanno mostrato che i pazienti che prendevano olio di pesce avevano una migliore funzionalità renale rispetto a quelli che non lo prendevano. Ancora più importante, solo il 10% di essi erano morti o avevano sviluppato la malattia terminale, confrontati al 40% di quelli del gruppo placebo. A causa di questa notevole differenza nella sopravvivenza, i ricercatori credono che di pesce abbia recato beneficio ai pazienti in un certo numero di modi oltre che a ridurre l'infiammazione. Sospettano anche che potrebbe aver incrementato il flusso sanguigno attraverso i reni, riducendo il rischio di coaguli, e abbassando il rischio di attacco cardiaco e ictus.

 

lupus eritematoso sistemico

 

Il lupus eritematoso sistemico è una malattia autoimmune e può variare come gravità da una lieve eruzione cutanea a una aggressione fatale del cervello, dei reni e di altri organi. La tipica dieta americana col suo surplus di omega-6 può peggiorare il lupus. Per vedere se abbassare l'introito di questo nutriente potrebbe essere benefico, ricercatori svedesi hanno consigliato a 19 pazienti di smettere di mangiare oli con omega-6 e di rimpiazzarli con grasso saturo. Alla fine dell'anno il numero di pazienti con casi attivi era caduto da 11 a 3. Altrettanto importante, molti dei pazienti furono in grado di ridurre la dose degli antinfiammatori steroidei.

La prima indicazione che aggiungere omega-3 alla dieta può aiutare a controllare il lupus è venuta da studi sugli animali. In uno studio rivelatore, topi con una condizione simile a quella del lupus assumevano olio di pesce o grasso bovino. L'85% dei topi nutriti con olio di pesce erano ancora vivi a 19 mesi di età, in confronto al solo 2% di quelli nutriti con grasso bovino.

Due studi pilota hanno mostrato che le pillole di olio di pesce possono aiutare gli esseri umani allo stesso modo. In uno studio, pazienti con un lupus attivo ricevettero placebo o in alternativa 20 g di olio di pesce al giorno. Mentre prendevano i supplementi di omega-3, l’82% fu giudicato come nettamente migliorato. Quando vennero trasferiti alla dieta placebo, solo il 28% mostrò un qualche beneficio. In uno studio condotto in India, una dose giornaliera molto più piccola di omega-3 (300 mg di EPA più DHA) fu data a 10 pazienti con una diagnosi di lupus. Tutti a 10 pazienti beneficiarono di una fase di remissione, alcuni per la lunghezza di tre anni. Erano in remissione ancora al tempo in cui lo studio fu scritto. È notevole che fossero capaci di interrompere l'assunzione di tutti gli altri farmaci e non ebbero nessun effetto negativo dagli acidi grassi omega-3.

 

dolori mestruali (dismenorrea)

 

I crampi dolorosi che alcune donne sperimentano prima e durante le mestruazioni sono legati una sovrapproduzione di un agente antinfiammatorio chiamato prostaglandina E2 o PGE2. L'aspirina e farmaci simili mandano in cortocircuito la produzione di PGE2, che è una delle ragioni per cui alleviano i dolori mestruali. Anche l’olio di pesce blocca il PGE2, di modo che non è sorprendente che le donne che mangiano pesce su base regolare hanno minori probabilità di essere disturbate da crampi. Aggiungere acidi grassi omega-3 alla dieta si è rivelato efficace come terapia. 48 giovani donne che soffrivano di crampi mestruali ricevettero dei placebo oppure delle piccole dosi giornaliere di EPA e DHA (1,8 g). Dopo due mesi di trattamento le giovani donne che prendevano le pillole di olio di pesce avevano significativamente meno dolore di quelle che prendevano placebo.

 

la psoriasi

 

La psoriasi è una cronica infiammazione della pelle con delle chiazze rosse rilevate e scagliose. La condizione può causare dolore, prurito e depressione. Come molte malattie autoimmuni infiammatorie, la psoriasi ha delle fasi acute e delle fasi di remissione, viene attivata dallo stress, dagli ormoni, da cambiamenti di tempo (specialmente una discesa della temperatura), e da vari fattori sconosciuti.

La causa alla base della psoriasi è l'incontrollata crescita cellulare. Il ciclo di vita di una cellula sana della pelle è di circa 28 giorni. Sono necessari 14 di questi giorni perché la cellula si sviluppi pienamente e si sposti dal livello più basso livello più elevato della cute. Altri 14 giorni sono necessari perché la cellula muoia e venga dislocata. La cellula di una pelle con la psoriasi ha un ciclo di vita molto più accelerato, emigra alla superficie in soli quattro giorni. Questo non è un tempo sufficiente perché essa maturi e dunque ha un'apparenza anormale. A causa della rapida crescita, le cellule affollano la superficie e formano uno spesso è scaglioso strato superiore.

Non esiste nessuna cura permanente per la psoriasi. Per alleviare il dolore e il prurito e aiutare ad ammorbidire le scaglie, la pelle viene esposta al sole o alla luce di una lampada artificiale e trattata con petrolio o linimenti a base di catrame. Ma c'è una nuova preoccupazione riguardo l'uso dei raggi ultravioletti da parte di pazienti che si sottopongono un elevato numero di trattamenti perché hanno nove volte il rischio normale di sviluppare un melanoma, un cancro della pelle che può risultare mortale.

Diversi studi hanno mostrato che supplementi omega-3 possono portare sollievo alla psoriasi. In uno studio in doppio cieco, le persone con psoriasi attiva ricevettero dosi giornaliere di EPA oppure placebo. Quando vennero esaminati due mesi più tardi, i pazienti che prendevano gli omega-3 avevano meno prurito, meno scaglie e meno rossore, e l'area interessata era diventata più piccola. Applicare acidi grassi omega-3 direttamente sulla pelle potrebbe essere altrettanto giovevole. In un piccolo studio, olio di pesce è stato aggiunto alla gelatina di petrolio (l'unguento aveva il 10% di olio di pesce) e applicata sulla pelle. 8 su 11 pazienti hanno mostrato netti miglioramenti.

 

l’osteoporosi

 

Per tutta la vita, le ossa sono sottoposte all'azione di due differenti tipi di cellule - osteoblasti, che le ricostruiscono, e osteoclasti, che le rendono meno dense - e più fragili. L'osteoporosi - letteralmente "ossa porose" - affligge decine di milioni di americani, e produce nel breve e nel lungo termine disabilità e miliardi di dollari di spese mediche.

C'è un'evidenza sempre crescente dagli studi sugli animali che seguire una dieta come l'Omega Plan che è ricca di antiossidanti e di acidi grassi omega-3 potrebbe aiutare a mantenere la densità ossea. Gli antiossidanti aiutano a proteggere le ossa e la cartilagine dal danno dei radicali liberi, gli acidi grassi omega-3 abbassano la produzione di PGE2, LTB4 e altre interleuchine infiammatorie, che sono fattori che è noto producono la perdita di osso (o "riassorbimento"). Deve essere svolto ancora parecchio lavoro in questo campo, ma ci sono prove preliminari che le persone la cui dieta è relativamente ricca di acidi grassi omega-3 e bassa in omega-6 hanno una percentuale più bassa di osteoporosi anche se consumano meno dell'apporto ottimale di calcio.

Nel diagramma sottostante è riassunto il ruolo degli acidi grassi nelle infiammazioni.

 

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Da questo grafico si può vedere che sia l'acido arachidonico che l'EPA interagiscono con le stesse due famiglie di enzimi, la famiglia delle lipoxigenasi e delle ciclo-ossigenasi. Quando l'acido arachidonico interagisce con questi enzimi, forma elementi infiammatori, in particolare la prostaglandina E2 (PGE2), e il leucotriene B4 (LTB4). Questi due elementi sono collegati a una varietà di disordini infiammatori e del sistema immunitario, che includono quelli mostrati nell'illustrazione.

Quando l'EPA interagisce con questi stessi enzimi, comunque, forma elementi strettamente correlati ma meno infiammatori -  PGE3 e LTB5. In tal modo, una dieta come quella dell'Omega Plan, che ha una bassa percentuale di omega-6 e una relativamente alta percentuale di omega-3 rimpiazza gli eicosanoidi infiammatori con eicosanoidi meno infiammatori, diminuendo il rischio di infiammazione cronica.

 

 

Stampante wireless per la vostra salute.

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Se dovete acquistare una nuova stampante e avete una rete Wi-Fi domestica, la cosa migliore che possiate fare acquistarne una wireless: potrete piazzarla dove volete e stamperà perfettamente qualsiasi documento dal computer posto sulla vostra scrivania.

Questo è particolarmente importante se volete acquistare stampanti laser con toner che potrebbe essere tossico e che andrebbero poste in una stanza diversa da quella in cui lavorate.

Quanto costa una stampante wireless?

Assolutamente quanto una stampante normale: esistono stampanti wireless inkjet della Epson del costo di 70 €.

 

 

La temperatura notturna della stanza da letto.

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Espongo qui un'opinione personalissima: le malattie da raffreddamento e le influenze si prendono nella camera da letto, e precisamente nelle ore più fredde della notte, quando il riscaldamento centrale è disattivato e una persona inavvertitamente si scopre.

Ci sono comunque alcuni dati oggettivi che vale la pena di considerare: il calore si può trasmettere per convezione, per irraggiamento e per conduzione. Quando una persona si trova in una stanza, c'è un continuo scambio di radiazioni infrarosse tra il suo corpo e le pareti (sempre più fredde) della stanza, secondo la legge fisica che vuole che i due corpi posti a contatto termico uniformano la loro temperatura.

Durante la notte, quindi, le pareti funzionano da radiatori freddi che assorbono calore da qualsiasi superficie non sia adeguatamente protetta.

Ma non basta: pochi sanno che l'apparato respiratorio patisce ugualmente una stanza molto fredda, anche se la persona è ben coperta. Il celebre professor Nicola Pende affermava negli anni Sessanta che un barbone che dorme per strada, per quanto sia messo dentro 10 sacchi a pelo, è come se praticamente dormisse nudo, perché l'aria fredda che entra nei bronchi gli provoca lo stesso danno che se fosse senza alcuna protezione termica.

Chi scrive non ha preso un'influenza negli ultimi 25 anni, e ritiene che questo sia dovuto al fatto che durante la notte mantiene la temperatura della stanza costantemente a 19°. A voi ponderare questo consiglio ed eventualmente seguirlo.

 

 

Umidificatore a ultrasuoni? Leggi prima qui.

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Volete il top per la climatizzazione della vostra stanza, e avete intenzione di acquistare un umidificatore a ultrasuoni? Il sottoscritto ha provato ad acquistare un umidificatore a ultrasuoni dotato di igrostato. Le sue osservazioni sono le seguenti:

1) poiché l'umidificatore a ultrasuoni produce un vapore freddo, se non lo si pone ad un'altezza di almeno 2 m, una sorta di pioggerellina cade a terra e tutto intorno ad esso, facendo una pozza. Questo a differenza degli umidificatori a vapore riscaldato, che si solleva in aria.

2) Il sottoscritto ha posto l'umidificatore a ultrasuoni in una stanza con termosifone senza vaschetta, e ha notato, utilizzando un igrometro, che l'umidità della stanza non cambiava granché.

Alla fine della storia, l'umidificatore è stato regalato ad un amico e sono ricomparse le vaschette.

 

 

Una valida alternativa all’acqua in bottiglia dei supermercati

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Oggi, in molti quartieri delle grandi città, è possibile trovare un'alternativa intelligente ai pacchi pesantissimi di bottiglie d'acqua caricati settimanalmente sul retro della vostra auto.

Esistono dei punti di erogazione di acqua minerale, esattamente come quelli che dispensano latte fresco, che consentono di abbattere drasticamente i costi e, se si trovano vicino casa vostra, costituiscono una strepitosa alternativa alle visite al supermercato.

 

 

Alcool da pasticceria e ammoniaca: due detersivi straordinari, ecologici e poco usati.

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Acquistate ancora i flaconi di alcol denaturato dal colore rosato e dall'odore terribile, che non va via che dopo ore, dal corpo o dai mobili?

Allora non sapete che esiste un'alternativa ecologica molto meno puzzolente, anche se quanto costosa: una bottiglia di alcol da pasticceria puro a 90°, costa circa 18 €, ma è un disinfettante-pulente straordinario da utilizzare per la vostra casa ecologica.

L'unico neo dell'alcol come liquido di pulizia è che non elimina le piccole incrostazioni di sporco, anzi le rende più dure, perché sottrae loro l'acqua.

Usate quindi l'alcol alternandolo con l'ammoniaca, che è un'altra sostanza assolutamente naturale, che evapora completamente, e che è un'alternativa perfetta ed estremamente economica a prodotti spray per la pulizia dannosi per la salute perché lasciano depositi chimici e vapori tossici.

 

 

Trucchi di magia: cuocere il riso integrale dedicando 180 secondi alla preparazione, poi andare a guardare la televisione in attesa di scodellarlo.

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Chi scrive, per ragioni di tempo, aveva sempre dovuto fare a meno del risotto, che, soprattutto se integrale, richiede un lunghissimo tempo di preparazione e un rimestare continuo in una pentola metallica.

Eppure il riso è uno degli alimenti più sani e più raccomandati, migliore ancora della pasta. Una dieta di riso e di pesce si ritrova spesso tra i popoli più longevi della terra.

Ecco come alla fine sono riuscito a cucinare il riso in pochissimo tempo: è necessaria una scodella di ceramica pyrex di piccole dimensioni che possa essere inserita all'interno di una pentola a pressione con due dita d'acqua.

Nella pyrex ponete la quantità di riso (ad esempio 70 g) con non più di due dita d'acqua (l'esperienza vi insegnerà a regolarvi).

Chiudete la pentola a pressione, accendete il fornello, e quando arriva il sibilo del vapore, abbassate la fiamma e regolate il timer a 35-45 minuti.

Dopodiché andate a guardare la televisione o dedicatevi i vostri hobby domestici: quando il timer da cucina suonerà il vostro riso sarà perfettamente cotto, morbido e non avrà niente da invidiare ad una laboriosa cottura in pentola.

 

 

Mantenete le stanze di malati, anziani o neonati a temperatura controllata utilizzando il termosifoncino elettrico e un gadget poco noto.

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Il termosifoncino elettrico è una risorsa eccezionale per riscaldare stanze fredde dove c’è un neonato, una persona anziana o un malato o dove si abbia bisogno di una temperatura più alta e confortevole rispetto al resto della casa.

Sarebbe una risorsa eccezionale, ma non lo è. Perché?

Per tre ragioni, due effettive e una solo immaginata: a) perché il suo termostato vi costringe a continui accendi-spegni per aggiustare la temperatura; b) perché il suo termostato non offre un sufficiente risparmio energetico; c) perché consuma troppa energia elettrica (questa è la ragione immaginaria).

Il termostato dei termosifoncini elettrici serve unicamente a regolare la loro temperatura, e non la temperatura della stanza. Il risultato è, che se non si interviene a spegnerlo, la temperatura della stanza sale costantemente, malgrado il termostato.

Occorre quindi collegare il termosifoncino ad una presa elettrica gestita da un termostato ambientale. Questo fa sì che il termosifoncino rimanga acceso solo il tempo indispensabile per raggiungere la temperatura programmata della stanza, e consente di realizzare dei notevolissimi risparmi di energia elettrica.

Fino a poco tempo fa non si trovavano in commercio dispositivi del genere. Chi scrive ne ha realizzato uno nel proprio laboratorio hobbistico di elettronica.

Ma recentemente un'azienda tedesca ha messo in commercio un apparecchio composto da due parti: un termostato wireless da piazzare sul tavolo, e una unità ricevente dotata di presa elettrica per il termosifoncino, che viene acceso o spento per regolare perfettamente la temperatura. Il prodotto si chiama oneConcept, e viene venduto su amazon.it a 70 euro (vedi foto).

 

 

Chi scrive l'ha acquistato e può garantire che funziona perfettamente.

Se siete preoccupati per il consumo elettrico del termosifoncino, potete accoppiare a questo dispositivo un misuratore di consumo elettrico, che visualizza i kilowattora e costa all'incirca 14 € (vedi foto).

 

 

In questo modo potete fare i calcoli di quante ore e di quanti gradi di riscaldamento supplementare potete permettervi.

Comunque non siamo ai livelli allarmistici di chi afferma che il riscaldamento elettrico manda in rovina: io ho scoperto che riscaldare per 24 intere ore una stanza col termosifoncino aggiungendo 3 gradi alla temperatura dei termosifoni ha un costo che non supera i 40 € al mese.

 

 

Tapis roulant e palestra domestica

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Volete migliorare la vostra salute e avete deciso di fare dell'esercizio fisico giornaliero? Vi si aprono molteplici opzioni, una delle quali, ormai molto pubblicizzata, è il tapis-roulant.

Chi scrive ha acquistato il top della gamma, un prodotto Technogym dotato di cardiofrequenzimetro che regola la velocità del tappeto in modo da mantenere costanti battiti cardiaci, e può portare la sua inclinazione fino a 30°, in modo da simulare una camminata in salita e aumentare le calorie bruciate.

È stata una spesa utile? Francamente non saprei.

Intanto, ho dovuto installare un ventilatore vicino al tappeto rotante, perché, se una persona correre all'esterno, un vento della velocità di 4 km/h raffredda suo corpo, mentre se corre all'interno praticamente schiatta di sudore.

Sono arrivato alla conclusione che uscire per una corsa mattutina o serale sarebbe stata la stessa cosa.

Però sto meditando di acquistare una "palestra domestica", sempre della Technogym, costituita da un unico attrezzo "all in one", che consente di far esercitare tutti i dipartimenti corporei.

Questo, secondo me, è un acquisto veramente utile anche se alquanto costoso (3000 € circa).

Nel frattempo, il sottoscritto ha acquistato dei piccoli pesi è un libro di ginnastica con piccoli pesi, oltre che una panca, che gli consentono, con poca spesa, di mantenere in forma e tonica tutta la muscolatura corporea.

A voi la scelta.

 

 

Una piazza e mezza per un sonno più confortevole

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Se siete un single o un separato in casa, non fate l'errore di dormire da un letto a una piazza e di privarvi il lusso assoluto del letto da una piazza e mezzo: la qualità del sonno è incomparabilmente superiore.

Provare per credere.

 

 

Un condizionatore d’aria per l’estate? Alla larga da quelli portatili: scegliete quelli split.

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Avete deciso che non intendete passare l'estate a sciogliervi come un ghiacciolo in un appartamento troppo caldo?

Fate benissimo, ma state attenti a una trappola micidiale: i condizionatori d'aria portatili, monoblocco, che si installano all'interno della stanza e sono collegati all'esterno con un tubo.

Chi scrive ha fatto a suo tempo l'errore di acquistare un condizionatore del genere: sono sempre in funzione, non si spengono mai e il rumore di sottofondo della ventola, pur con ogni accorgimento tecnologico, è continuo e fastidiosissimo.

Il sottoscritto si è rivolto alla ditta fabbricante per sapere perché non era possibile spegnere il condizionatore neanche quando la temperatura della stanza raggiungeva il livello desiderato.

La risposta è stata che i condizionatori portatili devono continuamente far girare le ventole, anche quando il gruppo refrigerante si spegne, perché altrimenti i componenti freddi dell'apparecchio produrrebbero fiumi di condensa che allargherebbe il pavimento.

Morale della favola: gli unici condizionatori da prendere in considerazione sono quelli "split", composti da due parti: la ventola e sistema di raffreddamento, che sono le parti più rumorose, all'esterno, e l'unità per convogliare l'aria fredda posta all'interno e silenziosissima. Uomo avvisato mezzo salvato.

 

 

Kitchen Safe e i suoi fratelli: qualcosa che potrebbe interessarvi per tenere sotto controllo le vostre abitudini sbagliate

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È recentemente comparso sul mercato nei paesi anglosassoni un prodotto chiamato "Kitchen Safe": si tratta di contenitori da cucina di plastica opaca o trasparente di varie misure col coperchio "temporizzato".

Cosa significa?

Significa che una volta impostata l'ora di apertura, il contenitore si blocca e non si aprirà più fino a quell’ora, a meno di manometterlo, con una perdita di diverse decine di euro (il prodotto, su amazon.it viene venduto ad un costo stratosferico, ma su Amazon.co.uk viene venduto alla cifra ragionevole di 30-80 €).

 

 

Che tipo di consumatori acquista questo prodotto? Esso viene pubblicizzato come un sistema per mettere al sicuro dalla nostra fame eccessiva dolciumi o altri alimenti caloricamente "pericolosi". Ma molti utenti hanno dichiarato di utilizzarlo per "bloccare" l'uso del telefonino da parte dei familiari.

Un altro prodotto del genere, di prossima immissione sul mercato, si chiama "distractagone", ed è una vera e propria mini cassaforte grande quanto una cassettina di sicurezza, dove mettere il telefonino che non sarà possibile riprendere prima dell'orario fissato di apertura.

 

 

In contemporanea con Kitchen Safe è stata immesso sul mercato, e può essere acquistato anche su amazon.it, una mini cassaforte temporizzata, delle misure di 31x20x20 cm., prodotta dalla ditta Time Locking Safe, di cui può essere impostato il tempo di apertura.

 

 

Sino ad oggi le casseforti temporizzate erano solo quelli di grandi dimensioni e dal costo proibitivo. Questa mini cassaforte non è esattamente economica (costa circa 200 €), ma i consumatori che l'hanno utilizzata se ne sono dichiarati completamente soddisfatti.

 

 

Integratori alimentari: perché vi conviene assumere giornalmente un integratore di vitamine e minerali e lasciar perdere chi vi dice che è inutile e persino dannoso.

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Chiariamo subito una questione che potrebbe costituire una remora alla assunzione di integratori per molte persone: assumere integratori multivitaminici e multiminerali è perfettamente sicuro e non fa alcun danno alla salute. Le notizie terroristiche sull’eccesso tossico di consumo di vitamina A sono assolutamente infondate, perché la dose tossica è stratosferica, ben al disopra di quella contenuta in un integratore. Vedi quanto si dice in proposito nell’articolo di questo documento “Gli occhi mi si arrossano per la lettura. Quali accorgimenti posso usare e quale medicinale utilizzare?”.

Sgombriamo il campo da un’altra idea assolutamente idiota: le vitamine contenute in frutta, verdura e altri alimenti della dieta sarebbero più “naturali” di quelle prodotte dalle industrie farmaceutiche e contenute negli integratori. Il bravissimo biologo e ricercatore Dario Bressanini, nel suo ottimo e seguitissimo blog La scienza in cucina si fa beffe di questa creduloneria: la formula della vitamina C, come pure di tutte le altre, in natura, è sempre e esattamente la stessa, sia che si tratti di una compressa di vitamine che di un frutto.

Un altro argomento spesso usato contro gli integratori è che negli alimenti naturali le vitamine agirebbero in sinergia con altre sostanze contenute nelle piante o nelle carni animali in modo da produrre effetti benefici per la salute laddove le vitamine, da sole, non funzionerebbero. Ma questa è una pura ipotesi scientifica, che è stata avanzata dai ricercatori per spiegare la mancanza di effetti delle compresse di vitamine nei confronti di alcune patologie (vedi qui sotto). Niente è stato provato al riguardo. Chiunque sia minimamente smaliziato e abbia osservato la classe medica, sa che i medici, per lanciare mode o propagandare le loro cure, più spesso fanno affermazioni verosimili, ma non vere (nel senso di definitivamente provate: prendiamo per tutte la recentissima dieta dei gruppi sanguigni o la cronodieta, basate su ipotesi brillanti ma non ancora provate): qualsiasi scienziato degno di tale nome potrebbe citarvi statistiche del fatto che il 50% delle tesi verosimili, per quanto brillanti e argomentate si dimostra poi errato alla prova dei fatti, cioè della sperimentazione.

Per scoraggiare il consumo di integratori, viene citato spessissimo uno studio epidemiologico scandinavo degli anni ’90, che ha confrontato due gruppi di persone, uno che utilizzava integratori di varie vitamine ritenute preventive del cancro e del sistema cardiocircolatorio, uno che non le assumeva, e non ha trovato sostanziali differenze. Ma questo non vuol dire: a) che gli integratori siano dannosi; b) che le vitamine non esplichino un numero di funzioni, nel corpo umano, infinitamente superiori a quelle di prevenzione dei rischi cardiovascolari e anticancro – ad esempio molti le trovano efficaci per aumentare i livelli di energia e recuperare più velocemente la fatica o come cura di bellezza – per cui il dibattito deve considerarsi aperto e ancora molti altri studi dovranno essere fatti prima di dimostrare conclusivamente che gli integratori sono del tutto inutili.

A dispetto di questi dati il numero di persone che assumono integratori è in continuo aumento e il mercato mondiale degli integratori fattura ormai miliardi di dollari: tutta gente che sbaglia? Molte di queste persone lo fanno come autoprescrizione, ma ad altre è stato consigliato da medici. Possibile che migliaia di medici sbaglino?

Il vostro medico, che vi sconsiglia di assumere compresse di vitamine, ha controllato attentamente la vostra dieta, e quella dei vostri figli per stabilire se è realmente bilanciata, prima di emettere il verdetto inappellabile: “niente integratori vitaminici”? Probabilmente no, perché non ne ha tempo. Quello che fa in realtà è raccomandare di consumare una dieta ricca e vitaminica, cosa che naturalmente, la gente non fa. Esattamente come non segue i consigli per non ingrassare o quelli per mantenere la salute cardiovascolare. E quindi si ritorna al punto di partenza: l’integrazione vitaminica e minerale in questi casi è necessaria.

Ciò detto, passiamo alla questione della utilità, e chiariamo subito un’altra faccenda: il fatto che il vostro medico di famiglia sconsigli l’assunzione di integratori (e secondo chi scrive è assolutamente da biasimare, specie se il consiglo riguarda bambini), non ha in realtà alcun reale valore, per un semplice motivo: che il 50% dei medici e dei ricercatori oggi consiglia di assumere regolarmente integratori, mentre l’altro 50% lo considera del tutto inutile. Siete semplicemente capitato con un medico che sta dall’altra parte della barricata. La morale è che dovete farvi un’idea da soli. E forse quello che leggerete qui vi aiuterà.

Ecco una serie di argomenti importanti a favore del consumo regolare di integratori vitaminici.

  Oggi neanche medici che raccomandano diete naturali e vegetariane con alimenti integrali, come ad esempio Umberto Veronesi, sottoscrivono l’affermazione che in determinati periodi, come quello della crescita o in vecchiaia, gli integratori siano inutili. E’ risaputo che i bambini e gli adolescenti hanno bisogno di importanti quantità di vitamine, tra cui la D, e che gli anziani hanno una maggiore difficoltà nell’assorbimento di vitamine.

  Chi pratica un’attività fisica impegnativa o sportiva ha senz’altro bisogno di integrare il suo fabbisogno di vitamine.

  Oggi può facilmente capitare che si viva in condizioni che aumentano il consumo di vitamine. Ecco un elenco di abitudini molto diffuse che “bruciano” o consumano più vitamine:

-   Fumare

-   Assumere molti zuccheri semplici

-   Vivere in zone inquinate da smog o da altri agenti chimici rilasciati dalle fabbriche

-   Svolgere un’attività fisica o sportiva impegnativa o frequentare palestre

-   Arraffare di fretta tramezzini, cioccolate, succhi di frutta depauperati per riempire lo stomaco e tornare al lavoro o allo studio che i ritmi accelerati della società odierna ci impongono

  Una dieta realmente “ricca e varia” nutrizionalmente, che potrebbe evitare il consumo di vitamine è in realtà molto costosa: dovrebbe includere carne o meglio pesce, latticini e olii di qualità, verdure e frutta fresca in quantità e molto altro. Per ragioni economiche molte persone, che non hanno a disposizione diverse centinaia di euro al mese da spendere per il vitto di una sola persona vivono al disotto di questo standard, e beneficerebbero pertanto di una integrazione vitaminica e minerale.

  I processi industriali di preparazione dei cibi (riscaldamento, raffinazione, pastorizzazione, aggiunta di additivi) ne depauperano fortemente il contenuto vitaminico

  Uno dei pregiudizi più diffusi è che le vitamine siano necessarie alle popolazioni dei paesi sottosviluppati, dove la gente stenta a sopravvivere e l'alimentazione è poco variata o scarsa. Ebbene, non c'è niente di più inesatto. Vero è che nei paesi del Terzo Mondo ancora non sono state debellate malattie come il beriberi, la pellagra, lo scorbuto o l'anemia grave. Tutte patologie mortali dovute a carenze prolungate di vitamine. Ma è altrettanto vero che, nei Paesi industrializzati, sempre di più i ricercatori rilevano in laboratorio e fuori di esso, direttamente sui pazienti, forme di carenze subcliniche, in percentuali cospicue di popolazione. Sono da ricondurre a queste carenze subcliniche che alla lunga creeran­no certamente qualcosa di più di un fastidio fisico, tutte quelle forme che ognuno di noi considera "normali", perché ormai diffuse nella stragrande maggioranza della popolazione.

  Nessuno pensa di essere malato perche ha di sera le caviglie gonfie o perché prende l'influenza due o tre volte l'anno. E invece ciò vuoI dire che siamo già vittime di un sistema immunitario che funziona male oppure di una "cattiva" circolazione. Esistono “indicatori” clinici di carenze vitaminiche che noi giornalmente trascuriamo.

  È vero che abbiamo a disposizione l'indispensabile per mangiare e che cuciniamo come vogliamo i nostri cibi, ma è vero che beviamo alcool, fumiamo,. prendiamo caffè, viviamo sotto stress, passiamo molte ore della gìomata in zone inquinate, in mezzo al traffico e ai suoi gas venefici, che siamo costretti a subire forme di radioattivi­tà prima sconosciute, che mangiamo, volenti o nolenti con una quantità di additi_vi .chimici da fare impazzire qualsiasi laborato­no, ingerendo dosi di grassi, zuccheri e farine raffinate impensabili per I nostri nonni. E quando diciamo di non farsi illusioni sulla quantità di vitamine che effettivamente riusciamo a prendere dalI alimentazione quotidiana, diciamo una cosa ormai conferma­ta dai maggiori studiosi di scienza dell'alimentazione.

La forma degli alimenti non corrisponde più alloro contenuto: un arancia staccata dall'albero un mese prima di arrivare sulla nostra tavola, ad esempio, non ha quel contenuto di vitamine che servirebbe. In genere, chi è consapevole di fare una vita non rispondente alle esigenze del proprio organismo, prende vitamine e mmerah la mattma come forma di assicurazione contro le malattie. I pionieri della ricerca hanno aperto la strada alla sperimentazione in positivo: vitamine non più e non solo per evitare grandi carenze, ma vitamine per migliorare lo stato di salute individuale. La conseguenza diretta è che ognuno di noi dovrebbe essere in grado di stabilire un preciso programma di integratori alimentari alla luce delle proprie esigenze nel periodo che attraversa e per i problemi fisici che deve affrontare.

  Molti di noi, privi di adeguate conoscenze nutrizionali (e si tratta del 99% della popolazione) si orientano verso diete ricche di prodotti praticamente privi di vitamine, perché le industrie li rendono artificialmente più appetitosi per il palato. Si tratta delle cosiddette “calorie nude”: una zolletta di zucchero o un etto di farina di pane bianco contengono praticamente solo carboidrati e nessuna vitamina o minerale utile.

Lo stesso vale per le patatine, per quasi tutti i prodotti da forno industriali e per moltissimi altri alimenti. In queste condizioni,

  Le autorità USA sono decisamente e da sempre orientate per l’integrazione vitaminica: folati nelle farine che potrebbero essere consumati dalle future madri, latte vitaminizzato, ecc. Negli USA le autorità sono consapevoli che nelle zone povere o comunque con dieta non esattamente ricca le carenze vitaminiche possono pregiudicare lo sviluppo cognitivo dei bambini. Ecco in proposito la straordinaria testimonianza di uno scienziato come Carl Sagan, che ringrazia i programmi governativi per diffondere l’uso dei complementi vitaminici, perché la sua intelligenza è in parte dovuta anche a questo:

 

Ann Druyan e io veniamo da famiglie che conobbero una grande povertà. I nostri genitori erano però appassionati alla lettura. Una nostra nonna imparò a leggere perché suo padre, un contadino che produceva quanto bastava per sopravvivere, vendette una volta un sacco di cipolle a un insegnante itine­rante. Lei cominciò a leggere a non smise più. I nostri genitori avevano una grande igiene personale, e la teoria dell' origine delle malattie a opera di microrganismi fu loro insegnata con grande insistenza dalle scuole pubbliche di New Y ork. Essi se­guirono le prescrizioni sull' alimentazione dei bambini racco­mandate dal ministero americano dell' Agricoltura come se fos­sero discese direttamente dal Monte Sinai. TI libro del nostro governo sulla salute dei bambini posseduto dalla mia famiglia era stato riparato ripetutamente con nastro adesivo in quanto le pagine si staccavano in conseguenza di un uso assiduo. Gli angoli delle pagine erano strappati. I consigli più importanti erano sottolineati. Il libro veniva consultato ogni volta che c'e­rano problemi di salute. Per un po' di tempo i miei genitori ri­nunciarono a fumare - uno dei pochi piaceri a loro accessibili negli anni della Depressione - cosÌ che i loro figli potessero avere vitamine e integratori minerali. lo, e come me Ann, fummo molto fortunati.

Ricerche recenti mostrano che molti bambini che non hanno abbastanza da mangiare finiscono con l'avere una ca­pacità diminuita di capire e imparare (« menomazione cogni­tiva»). Non c'è bisogno che i bambini muoiano di fame per­ché accada questo. Persino una modesta denutrizione - come quella comune presso gli americani poveri - può avere tale effetto. Questo effetto della denutrizione può verificarsi sia prima della nascita (se la madre non mangia abbastanza du­rante la gestazione), sia nella prima infanzia sia nell'infanzia in generale. Quando non c'è abbastanza cibo, il corpo deve decidere come investire le limitate risorse disponibili. Prima di tutto viene la sopravvivenza, in secondo luogo la crescita. In questa difficile scelta su chi salvare, il corpo sembra obbli­gato a mettere l'apprendimento all'ultimo posto. E meglio es­sere stupidi e vivi, pensa, che intelligenti e morti.

Invece di mostrare entusiasmo, gusto per l'apprendimento _ come la maggior parte dei bambini sani -, i bambini sottonu­triti si annoiano, diventano apatici, non hanno reazioni. La de­nutrizione grave della gestante conduce a un minore peso alla nascita e, nelle forme più estreme, a un cervello di peso mi­nore. Ma anche un bambino che sembri perfettamente sano ma che abbia, per esempio, carenza di ferro, soffre di un calo immediato della capacità di concentrazione. L'anemia ferro­priva potrebbe essere presente in un quarto di tutti i bambini appartenenti a famiglie a basso reddito in America; essa me­noma la capacità di attenzione e la memoria del bambino, e le sue conseguenze possono continuare a farsi sentire fino al­l'età adulta.

Oggi sappiamo che quella che un tempo veniva considerata una denutrizione relativamente lieve è potenzialmente as­sociata a menomazioni della capacità cognitiva destinate a du­rare per tutta la vita. I bambini che hanno sofferto di denutri­zione anche per un tempo relativamente breve hanno una mi­nore capacità di apprendimento. E milioni di bambini ameri­cani soffrono la fame tutte le settimane. Anche il saturnismo, ossia un'intossicazione cronica da piombo, che è endemico nei centri urbani, causa gravi deficit dell' apprendimento. Se­condo molti criteri, la diffusione della povertà in America è an­data crescendo costantemente a partire dall'inizio degli anni Ottanta. Quasi un quarto dei bambini americani vivono oggi in povertà; questo è il tasso di povertà infantile più alto nel mondo industrializzato. Secondo una stima, fra il 1980, e il 1985 sono morti per malattie prevenìbili, per denutrizione e

per altre conseguenze di una grave povertà un numero di bam­bini superiore a quello delle perdite americane in tutta la guerra del Vietnam.

Alcuni programmi saggiamente istituiti a livello federale o di singolo stato in America si occupano della denutrizione. Lo Special Supplemental Food Program for Women, Infants and Children (WIC), che si propone di integrare l'alimenta­zione carente di donne, neonati e bambini poveri, i pro­grammi per la prima colazione e i pasti scolastici, e il Sum­mer Food Service Program, che distribuisce cibi nei mesi estivi, funzionano bene, anche se non raggiungono tutte le persone bisognose. Un Paese cosÌ ricco come gli Stati Uniti dovrebbe essere in grado di fornire abbastanza cibo a tutti i suoi bambini.

Si possono correggere alcuni effetti deleteri della denutri­zione; la terapia per l'integrazione del ferro, per esempio, può eliminare alcune conseguenze dell'anemia ferropriva. Non tutti i danni, però, sono reversibili. La dislessia - una varietà di di­sturbi che menomano la capacità di leggere - può influire sul 15 per cento di noi, ricchi e poveri in ugual misura. Le sue cause (che potrebbero essere biologiche, psicologiche o am­bientali) sono spesso indeterminate. Oggi però esistono me­todi per aiutare molti bambini affetti da dislessia a imparare a leggere.

 

  Alberto Fidanza, titolare della cattedra di Fisiologia dell'Università La Sapienza di Roma e presidente del Centro Internazionale di Vitaminologia fa presente che recenti ricerche hanno innanzuutto messo in evidenza che le vitamine, per la loro azione protettiva e terapeutica, sono in grado di curare e prevenire alcune delle malattie oggi più largamente diffuse quali l'arteriosclerosi, le malattie dismetaboliche e i tumo­ri.

Vitamine in alte dosi possono curare patologie senza o quasi controindicazioni (bastano cautele elementari) e senza effetti collaterali gravi; sono tra i pochi strumenti identificati (su cui esistono prove di laboratorio) utili a prevenire efficacemente le malattie; sono sostanze nutritive orga­niche che ottimizzano le nostre condizioni di salute con la prospettiva di allungare al massimo l'arco di vita individuale; sono gli elementi che ci garantiscono di posticipare i processi degenerativi della vecchiaia; sono in grado di vivacizzare le nostre reazioni immunitarie, biochimiche, intellettive; sono tra le poche sostanze capaci di correggere problemi metabolici o degenerativi dell'età. E soprattutto danno la possibilità a ognuno di noi di scrutare all'interno del proprio organismo, rettificando gli acciac­chi, i malanni, prima di aver bisogno dell'intervento urgente di un medico. Le vitamine curano l'organismo prima che si "guasti", evitando che i danni diventino irreparabili e alimentando in noi la sensazione di avere le risorse dei vent'anni.

  In secondo luogo, dice ancora questo ricercatore, è ormai riconosciuto che proprio l'alimentazio­ne dei paesi ricchi è responsabile di forme subcliniche di carenza di vitamine in strati sempre più larghi della popolazione, mentre sino a poco tempo fa si pensava che ciò non si dovesse verificare. Si ha la certezza anzi che proprio questi stati di ipovitaminosi siano responsabili di una minore difesa di fronte agli agenti patogeni e di una minore efficienza fisica e psichi ca dell'individuo. Tanto è vero che sempre più frequentemente in molti Paesi ad alto tenore di vita si lanciano appelli in favore di un'alimentazione povera di grassi, ricca di verdure e di frutta, con continuo riferimento alle vitamine da assumere quotidianamente.

I metodi moderni di analisi consentono oggi di dosare le vitamine nel sangue e proprio questi metodi, afferma il prof. Fidanza, associati alle inchie­ste sull'alimentazione, hanno rilevato che le giovani generazioni e i soggetti a rischio di ipovitaminosi come gli anziani e le gestanti, saranno sempre più esposti a malattie che potrebbero essere prevenute se si attuasse una sistematica integrazione vitaminica, con assunzione di una equilibrata e ben dosata quantità di tutte le vitamine.

  È difficile determinare il reale fabbisogno quotidiano di vitamine. In realtà è più un’arte che una scienza. Gli stessi medici hanno cambiato più volte, nel corso dei decenni le raccomandazioni sulla RDA (Recommended Daily Allowance, dose raccomandata giornaliera) e comunque tra di loro continuano a non essere tutti d’accordo – ci sono coloro che ritengono che le dosi siano più alte e coloro che ritengono che vadano ribassate. Alcuni risultati sono stati acquisiti, ma riguardano i fabbisogni medi e minimi, mentre per quelli ottimali si è ancora lontani dall’aver raggiunto una conoscenza adeguata. Esistono fabbisognì "medi" che sono stati identificati e che vengono aggìornatì periodicamente. Per soddisfare le nostre necessità nutritive si sa, ad esempio, che avremmo bisogno di 60 milligrammi di vitamina C al giorno. Questa quantità è stata stabilita, secondo calcoli fatti in genere sulla media di differenti gruppi di popolazione, su quella che dovrebbe essere un'ipotetica buona salute. Ma nessuno stabi­lisce se il nostro organismo, il meccanismo metabolico, le abitudi­ni alimentari, le condizioni di vita, aumentano il nostro fabbisogno di acido ascorbico. In altre parole andare sotto la soglia dei 60 milligrammi al giorno di vitamina C significa aprire le porte allo scorbuto, ma non vuol dire che con 60 milligrammi al giorno noi ci sentiremo al massimo delle nostre possibilità. Chi può calcolare quanti nitriti o nitrati abbiamo ingerito nella giornata, quanti coloranti, quanti conservanti considerati dal nostro organismo tossici? Chi può dire in quale bagno batterico siamo vissuti nelle ventiquattro ore, con quanti fumatori al nostro fianco o in quale mqumamento da monossido di carbonio per i tubi di scappamento delle auto?

Ecco perché diversi ricercatori, tra cui un premio Nobel come Linus Pauling, che si è sempre battuto per la diffusione alcune vitamine e alcuni minerali sono consigliati ben sopra il livello indicato dai fabbisogni "medi". Ciò non per curare qualche malattia, ma semplicemente per prevenirla e farci star bene.

  La domanda più frequente è: se mangio bene, correttamente, perché avrei bisogno di vitamine? Perché il "correttamente" è parola tutta da spiegare e da verificare.

Le nostre buone intenzioni non possono modificare né l'ambien­te che ci circonda, né l'aria che respiriamo, né il tipo di lavoro che facciamo, né il traffico in cui siamo immersi certamente per alcune ore al giorno. E se anche tutti questi fattori non ci fossero, se anche avessimo la forza di vivere in campagna o in un piccolo centro, con uno stile di vita più tranquillo, il "correttamente" non si verifiche­rebbe mai per quel che riguarda strettamente l'alimentazione. Per ~ motivo semplice: la società industriale del dopoguerra ha Impostato i suoi migliori affari proprio nel campo dell'alimenta­zione e per quanto noi possiamo fare di tutto per scoraggiare l'acquisto, nostro e di altri, di un certo tipo di prodotto in scatola o immerso nei conservanti, non possiamo pensare di essere al di fuori di questo mercato.

Noi ingeriamo merende e merendine, scatole dì biscotti che hanno date di scadenze a distanze di mesi (ma come mai se fate un dolce in casa dopo una settimana di frigorifero lo dovete buttare e una scatola di biscotti nel negozio del vostro droghiere si conservano tanto?), scatolame, insaccati, tutti. inesorabilmente con additivi: prodotti già precucinati e congelati, gli stessi surgelati, oli di semi "lavati" con derivati dalla benzina nel migliore del casi, paste alimentari raffinate con sistemi industriali di decorticamento, conservanti di vario tipo, coloranti, dolci con burro scadente e zucchero bianco, dolcificanti presi in dosi massicce ogni giorno.

C'è da congratularsi con il nostro organismo: noi riusciamo a sopravvivere. E, cosa forse assai più grave dell'inqui.namento atmosferico di cui ora tanto si parla, abbiamo motìvo di pensare che il controllo su ciò che mangiamo sia fatto con cnteri che tengono conto solo del danno immediato che un determinato prodotto può provocare su di noi quasi fosse stricnina: ma non di quello che succede alla bìochìmica molecolare con l’andare del tempo e con l'uso costante di certe sostanze.

E ancora, immaginiamo una società supercontrollata, in cui effettivamente ciò che ognuno di noi compra sia selezlonato e debba rispondere a certi criteri di coltura (ad esempìo senza l’uso di concimi chimici o diserbanti o altre sostanze tossiche), In cui il terreno non sia supersfruttato e possa dare alle nostre verdure tutti i minerali che servono. Ebbene anche in queste condizioni noi non potremmo mangiare "correttamente". Lo stoccaggìo nei magazzi­ni, l'esposizione prolungata al sole, quella nel reparti refrigerati dei supermercati sotto luce artificiale, lo stesso calore della cottura farà perdere la stragrande maggioranza delle s.ostanze nutrìtìve che servirebbero a proteggerei. Questa situazione collegata al nostro sistema di vita, rende l'assunzione delle vitamine in via preventiva assolutamente ìndispensabile propri~ come comple­mento di ciò che mangiamo o, meglio, non mangiamo.

Oggi dovremmo stare meglio, perché la nostra alimentazione è senz'altro più ricca e varia, senza contare che la razionalizzazione di certi processi porta ad alimenti più integri, se ci si passa il termine, e quindi all'origine più "vitaminìzzatì", Ma non è così. Basta una distribuzione complessa, come quella che avviene in tutti i Paesi industriali, perché al consumatore arrivino le spoglie di un alimento depauperato di tutto ciò che poteva essere vitale.

Prendiamo la frutta. La vitamina C, riportano gli studi di Fidanza, contenuta in un'arancia, diminuisce drasticamente dopo poco tempo e si può valutare che l'acido ascorbico di una mela che arrivi sulla vostra tavola dopo due mesi (non è neanche tanto) si riduca di due terzi. Potreste pensare di assumere la vitamina C dalla verdura, ma qui va ancora peggio, perché bastano pochi giorni per ridurla a zero. A questo punto molti di voi possono ritenere che sia la luce artificiale a procurare danni. Non è vero. Quella del sole non è da meno. L'équipe del Centro Internazionale di Vitaminologia, guidata dal professor Alberto Fidanza ha misurato quanta vitamina B2 (riboflavina) si perde nel latte esposto al sole. Immaginiamo di vivere in campagna e di prendere il latte direttamente dalla mucca. Se il latte resta esposto alla luce del sole per due ore, il 90 per cento di vitamina B2 si perde, ma se il tempo è nuvoloso la quantità di vitamina si dimezza e, se il cielo è coperto, solo il 30 per cento di B2 sarà distrutto. Se noi siamo accorti, portiamo il latte subito in una stanza con poca luce, ma anche in questo caso nel giro di una giornata il latte perde il 30 per cento di vitamina B2.

Si potrebbe obiettare che C e B2 sono due vitamine molto delicate. Non è così. La maggioranza delle vitamine idrosolubili sono inesorabilmente danneggiate dal calore e dalla cottura.

Scrive Fidanza: "Durante le normali operazioni di cottura, quali la preparazione casalinga dei vegetali, della frutta e dei cereali freschi, si può andare incontro a perdite vitaminiche che si aggirano, in media, attorno al 75 per cento ma che possono talora raggiungere anche il 100 per cento. In particolare vengono distrut­te dalla cottura le vitamine idrosolubili, quali la tiamina, la riboflavina e la vitamina C". Quest'ultima si perde anche se usiamo la pentola a pressione (che pure per altri versi è tra i sistemi più "sani" di cucinare) o a vapore e diventa totale con qualsiasi tipo di bollitura.

Esistono però vitamine più resistenti. La vitamina A è certamen­te tra queste. Se cuciniamo a vapore, la perdita di questa vitamina è risibile, ma bisogna stare attenti, perché, se friggiamo, la perdita diventa ingente. Più cuociamo i nostri alimenti e più distruggiamo vitamine. Se prendiamo un alimento stoccato in magazzino dopo la raccolta (ma come facciamo a saperlo?) partiamo da una perdita del 35 per cento di vitamina A e da una riduzione del 20 per cento di betacarotene. Se poi prendiamo una margarina e la mettiamo in una pentola, allora dobbiamo sapere che la A si riduce del 16 per cento, se siamo sui 100 gradi centigradi per 30 minuti, del 70 per cento se la temperatura arriva a 160 gradi, del 100 per cento se la margarina resta in padella per un' ora. Se friggiamo, la A scompare dopo IO minuti.

Il betacarotene è più stabile, ma nonostante la maggiore stabili­tà, sopra i 180 gradi centigradi in lO minuti tende a svanire.

La vitamina C si perde nelle patate messe a bollire già sbucciate; se poi si friggono la perdita aumenta di un ulteriore 30-50 per cento. Friggere fa male anche alle vitamine. Quasi la metà di B6 e di acido pantotenico scompare dagli alimenti cotti, mentre il pane che compriamo ha una diminuzione del 20 per cento di tiamina e del 30 per cento di acido folico. Quanto poi a lavare i vegetali in acqua abbondante, lasciandoli a bagno fino alla cottura, è bene sapere che è un'abitudine pessima, perché minerali e vitamine idrosolubili passano direttamente nel lavandino.

Fin qui siamo "colpevoli" solamente di cucinare male o di friggere. Ma la parte del leone, in questa sciagurata opera di depauperamento, la fanno le tecniche moderne di demolizione dei cibi. Noi mangiamo pasta e pane bianchi. Ebbene ricordiamo che abbiamo eliminato ingenti quantità di vitamine indispensabili alla nostra salute e che i minerali, più resistenti, sono ridotti in questa percentuale: lo zinco del 78 per cento, il cromo del 98 per cento, il manganese dell'86 per cento. Al bar non possiamo certo chiedere un cucchiaino di zucchero grezzo o di melassa. E allora impariamo che stiamo usando una sostanza che ha quasi niente di vitamine e 1'88 per cento in meno di zinco, il 95 per cento in meno di cromo, 1'89 per cento in meno di manganese. Aquesto punto si potrebbe supporre che la farina bianca conservi per intero, comunque, qualche minerale. Ebbene no. Il calcio se ne va al 60 per cento, il fosforo al 70, il magnesio all'84 per cento, il ferro all'86 per cento e il selenio durante la raffinazione si perde al 15 per cento.

Ognuno di noi conta sulle dita di una mano le persone che usano il riso integrale non brillato. Il motivo è anche in questo caso da ricercare nei tempi convulsi nei quali siamo costretti a vivere e che ci spingono a cucinare sempre più in fretta. Ma il riso bianco che noi usiamo non ha quasi nulla e perde gli stessi minerali fino al 90 per cento.

Se tutto questo accade con elementi stabili e "robusti", come i minerali, potete immaginare il danno prodotto alle vitamine dalle tecniche industriali dei cibi. Essiccamento, inscatolamento, sbian­camento delle verdure, significano la distruzione di sostanze vitali per la nostra salute. Lo sbiancamento costituisce un danno che non possiamo valutare. Fidanza spiega (Le vitamine nella dietetica e nella terapia) che lo sbiancamento a vapore ad esempio degli spinaci per la durata di due minuti provoca una perdita di tiamina, riboflavina, vitamina C e niacina entro il 12 per cento, mentre se i minuti sono tre-quattro e lo sbiancamento viene fatto per immer­sione, la vitamina C scompare fino al 36 per cento. Se l'immersione dura 45 minuti, scompare al 94 per cento. Naturalmente nessuno di noi potrà mai chiedere al fruttivendolo come è stata trattata la verdura che sta comprando ma proprio la più bella a vedersi potrebbe essere la più sprovvista di vitamine.

I prodotti inscatolati vengono prima sterilizzati. E a questo punto già sappiamo quanto sia importante la temperatura per rendercì conto che nella migliore delle ipotesi mangiamo il simulacro dell'alimento d'origine. Meglio le tecniche di disidrata­zione. Questo procedimento di per sé non provocherebbe gravi danni se i prodotti disidratati non fossero già stati in precedenza "trattati" e "stoccatì". Anche il processo di surgelazione sarebbe un buon procedimento di conservazione dei cibi se tutto avvenisse secondo determinate regole, cosa più difficile di quello che pensia­mo. Spesso lo stesso meccanismo di surgelazione, il tragitto, la distribuzione, l'arrivo in casa, il nostro disordine provocano il processo, sia pure accennato, di scongelamento e ricongelamento che danneggia le molecole degli alimenti e provocano la fuoriusci­ta degli enzimi. Inoltre è da ricordare che tutto deve essere conservato a bassissime temperature, perché sotto i 18 gradi il contenuto vitaminico si mantiene inalterato, mentre a temperatu­re superiori ai 9 gradi si perde in grande quantità. Si può comunque dire che a volte, più del processo di congelamento, fanno male agli alimenti l'esposizione alla luce del supermercato e l'ossigeno imprigionato nei contenitori sigillati.

  Non vi siete accorti che le industrie ormai stanno mettendo vitamine in moltissimi cibi, dal latte agli alimenti per neonati, ai biscotti e a molto altro? Questa è una chiara prova che i cibi che consumiamo sono depauperati e necessitano di una integrazione.

  Oggi tutti i sistemi di essiccazione avvengono ad alta temperatura: l’industria non ha tempo di lasciare che il the secchi naturalmente nei magazzini, né che i pomodorini secchi si disidatrino naturalmente esposti al sole, né che la pasta riposi e perda umidità. Come risultato, abbiamo cibi “precotti” dove le vitamine sono state parzialmente distrutte.

  A questo panorama catastrofico vanno aggiunti altri due sistemi "moderni" di conservazione dei cibi: i preconfezionati e surgelati e I'ìnfinìta varietà di additivi chimici. Esistono ormai tabelle redatte da solerti ricercatori (Testolin, Simonetti, Porrini, Ciappellano, Il contenuto vitaminico negli alimenti pronti, rivista di Vitaminologia di Fidanza) che potreste anche portarvi al supermercato quando andate a fare la spesa. Ma sappiate che state comprando acqua fresca dal punto di vista del valore nutritivo e che l'elenco è sconsolante. Possiamo fare qualche esempio. La vitamina A quan­do avrete messo a scaldare il vostro alimento pronto, sarà andata perduta nell'ordine del 70 per cento. Bisogna ricordare che in questi casi un alimento subisce prima una cottura per una quantità non precisata di minuti, poi una refrigerazione, quindi ancora un processo di riscaldamento. In genere il calo vitaminico complessivo rispecchia quello della vitamina A (che pure è tra le resistenti), tranne il betacarotene che subisce perdite inferiori, attorno al 40 per cento. Come dicevamo, sugli alimenti pronti all'uso esistono rilevamenti dettagliati, sempre che abbiate la pazienza di fare acquisti tabella alla mano e l'accuratezza di non lascire gli alimenti già riscaldati nel frigorifero per un considere­vole numero di giorni, perché in questo caso la situazione può persino peggiorare.

Quanto agli additivi chimici e ai conservanti, diciamo che siamo immersi letteralmente in sostanze chimiche di tutti i tipi e di tutti gli effetti. Negli USA i libri che hanno più successo sono i manuali per orientarsi tra additivi e conservanti, in modo che ognuno possa rendersi edotto di quanti veleni sta ingoiando. Ogni tanto, qualche additivo viene messo al bando perché capace di essere mutageno, di provocare effetti cancerogeni. Ma si può dire che la stragrande maggioranza di quelli in circolazione ha scarse verifiche sui tempi lunghi e spesso viene tollerata anche quando è provatamente dannosa: come nel caso dei nitrati che vengono usati quali stabilizzanti del colore (ma una volta i prosciutti non diventavano neri con l’esposizione all’aria?) e conservanti degli insaccati. Nel caso dei nitriti e dei nitrati di sodio, ci troviamo di fronte a sostanze dichiaratamente nocive, eppure tollerate e diffuse in moltissimi alimenti che possono essere usati quotidianamente. Basti pensare che i nitriti formano nel nostro intestino le nitrosammine, sostanze altamente cancerogene.

  Vale la pena aggiungere due parole ancora sui minerali, sia perché tuttì sostengono, e a ragione, che almeno i minerali sono resistenti alle varie demolizioni che impongono i procedimenti industriali del cibi, sia perché non abbiamo fatto cenno al sistema di coltura moderna, se non per dire che sulla carta dovrebbe essere meglio di quello di una volta: nel senso di "più razionale".

Ma vogliamo riportare le opinioni di Anna Powar, docente in Nutrizione all'U­niversità della California: "Il danno più grave all'alimentazione del dopoguerra è indotto dalla perdita dei minerali-traccia. Una pianta fertilizzata con i comuni trifasici non assimila minerali tracca perché il terreno è impoverito. Senza contare che le colture intensive spesso non lasciano alla terra il tempo di ricaricarsi. Tanto è vero. che l’agricoltura intensiva produce verdure e frutta povera di minerali traccia. Quali le conseguenze? Possiamo fare alcuni esempi: il diabete e In grande aumento e secondo alcuni è da imputare alla carenza di cromo; i disturbi della pelle possono essere riconducìbili a carenze di zinco; la pressione alta afflgge molta gente, ma ciò può essere dovuto alla mancanza di potassio nel cibo e a un eccessivo uso di sodio; e ancora: l'aterosclerosi il cancro sono tutte malattie correlate a una mancanza di selenio e manganese, utile a produrre interferone, importante difesa dell'or­ganismo".

Secondo la Powar, l'assunzione che noi facciamo dei minerali importanti per la nostra salute è da tutti i punti di vista assoluta­mente insufficiente. Tra gli elementi dannosi, perché distruggono i minerali, anche lei pone gli agenti chelanti che vengono usati nella preparazione industriale dei cibi. Inoltre i minerali che resistono nelle verdure potrebbero non essere biodisponibili e quindi non assimilabili dall'organismo. La nostra alimentazione spesso non consente di "legare il minerale a certi amminoacidi che devono essere consumati entro un' ora per una giusta assimilazione dei metalli". A tutte queste difficoltà, la Powar aggiunge quella gamma infinita di disturbi intestinali, dalle diarree alle costipa­zioni croniche, che affligge l'umanità proprio in base all'alimenta­zione "moderna". Tutto questo rende ancora più difficile l'assimi­lazione dei minerali.

In definitiva la morale è questa. L'alimentazione del dopoguer­ra, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, ha portato molte complicazioni al nostro organismo e ha certamente favorito una riduzione delle capacità immunitarie. A parte alcum gusti che ci sono stati imposti, resta il fatto che nessuno di noi è fuori da una certa organizzazione di vita e che l'alimentazione, povera di vitamine e di minerali, è parte consistente dei ritmi moderni. In queste condizioni, rettificare certe abitudini e saper come fare a prevenire malattie significa dare un impulso verso l' evoluzione del genere umano. Nel Terzo Mondo si soffre ancora di malattie clìnìcamente definite da carenze vitaminiche. noi rischiamo di vivere con carenze subcliniche, non per questo meno insidiose. Saper usare le vitamine e rettificare l'alimentazione significa, tra l'altro, ritardare i processi di invecchiamento.

La perdita costante di vitamine nell'alimentazione induce a pensare che abbiamo bisogno di aggiungere ogni giorno "corretti­vi" che ripristinino efficacemente almeno parte di quello che non riusciamo a prendere con i cibi. Già le industrie alimentari, consapevoli di aver spogliato i prodotti di sostanze organiche e inorganiche, si preoccupano di introdurre "aggiunte di vitamine". Ma per quanto un alimento sia di qualità e per quanto un'industria sia piena di ottime intenzioni, nessuna "aggiunta" ci compenserà di ciò che è stato tolto. Perché in natura quell'alimento non sarà fatto solo da grassi, proteine, carboidrati e vitamine, ma da un complesso di elementi infinitesimali (a cominciare dai minerali) che non verranno reintegrati. Quindi le "aggiunte" riportate sulle etichette dei prodotti solo in teoria ci forniscono quel che ci dovrebbe servire. In pratica si tratta di un'affermazione di buona volontà, e non di una compensazione. In genere è difficile persino che si riesca ad annullare la nocività di alcuni conservanti utilizzati dalle stesse industrie.

Quanto abbiamo detto sull'alimentazione significa che non esiste una categoria di persone esenti dalla necessità di fare riferimento quotidiano agli integra tori alimentari.

Molti medici, anche i più illuminati, sostengono che le vitamine sono indispensabili a chi ha un fabbisogno accresciuto. Queste persone sono: i bambini nell'infanzia e nell'adolescenza, le donne incinte, le nutrici che allattano e gli anziani. Su questo ormai concordano tutti. Ma fin qui siamo soltanto alla definizione di "categorie a rischio", per così dire. Si tratta di persone che senza un consistente apporto di vitamine e minerali andrebbero incontro a patologie gravi nell'arco di pochissimo tempo. Siamo sempre nella logica di curare il malato quando è già costretto a letto. Il problema che bisogna affrontare e che sarà l'obiettivo della medicina del futuro è quello di non far insorgere le malattie, di prevenirle, di allontanare le degenerazioni dell'età e lo spettro di morire dopo lunghe e spaventose degenze.

Secondo la convinzione di una schiera sempre più numerosa di scienziati e nutrizionisti, le vitamine, assunte quotidianamente e con tutte le cautele che via via spiegheremo, potrebbero far ottenere sia un allungamento del life span, dell'arco di sopravvivenza, sia un miglioramento della qualità della vita attraverso un'ottimizzazione del sistema immunitario e una vivacizzazione dei processi metabolici. Ciò non ci esime dall'impegnarci nella battaglia per il risanamento dell'ambiente in cui viviamo, dell'aria che respiriamo e per indurre le industrie alimentari a scendere a patti con la nostra salute. Questo è per tutti un impegno irrinunciabile.

Alberto Fidanza, presidente del Centro Internazionale di Vitaminologia e professore di Fisiologia Generale all'Università di Roma, ha scritto nel 1983 (Le vitamine nella dietetica e nella terapia): "Negli ultimi anni le ricerche in campo vitaminologico hanno messo in evidenza un nuovo ruolo terapeutico delle vitamine: quello protettivo. Le vitamine infatti proteggono le cellule e i sistemi biologici dall'azione lesiva degli agenti chimici e fisici. La sempre più larga ìntroduzione m terapia di molecole di sintesi, l'immissione nell'ambiente di sostanze tossiche e l'uso crescente di additivi alimentari, coloranti e conservanti determinano un maggiore inquinamento interno par­ticolarmente dannoso per il protoplasma cellulare. Inoltre nell'or­ganismo si accumulano, a causa delle errate abitudini alimentari: metaboliti intermedi che alterano considerevolmente gli equilibri biochimici e che sono uno degli elementi determinanti delle malattie metaboliche e degenerative. Fondamentalmente l'azione protettiva delle vitamine consiste o nell'attivare le funzioni fisio­logiche oppure nel potenziare e mantenere mtegre le difese organiche"

Aggiungiamo un altro buon motivo che induce a una campagna di massa per educare tutti all'uso delle vitamine: questa società è mantenuta dal mito della giovinezza e comunque dal mito di “essere in forma”. Viene isolato chi è malato e non è più sufficiente a se stesso, chi diventa un peso, perché ha bisogno di aiuto costante. Vengono aborrite certe forme di patologie che sono caatteristiche della vecchiaia: non si tratta solo delle rughe, ma del processi dì senescenza acuti che investono tutti i tessuti che rendono incontinenti, che rallentano i processi metabolici anche quelli cerebrali, che fanno sentire vittime gli anziani e li lasciano in compagnia della propria fine.

Ma questa è una società che avrà un numero sempre maggiore di vecchi, perche la scienza medica fa progressi costanti e tende a far sopravvivere tutti. Già, ma in quali condizioni? Quanto limita la propria esistenza quotidiana il sapere di essere un "malato croni­co", di dover far ricorso sempre a determinati farmaci, di non poter guanre, di aver imboccato una strada senza ritorno? E quanto costa tutto questo alla comunità? E quanto tutti noi siamo in grado dì fare, per dare il nostro contributo agli altri?

È importante insegnare a non invecchiare, a evitare le forme di senescenza che condizionano oltre qualsiasi misura. "Non è mai troppo presto per smettere di invecchiare", è scritto in alcuni studi medici americani. E ancora: "L'età non è tossica". Tutto vero, ma solo a certe condizioni. Una di queste è quella di regolare l'alimentazione. e di imparare a "leggere" le necessità del proprio organismo, utilizzando le risorse che ci sono in natura, compreso il remtegro di vitamine e minerali.

In. tutta la Comunità Europea sono in circolazione gli integra tori alimentari, alcuni derivati diret­tamente dai prodotti naturali, altri di sintesi. Grosso modo da tutte le case produttrici sono utilizzate alcune vitamine che hanno scarse controindicazioni e alcuni minerali dei quali si conosce il sicuro effettto. Sulle etichette normalmente c'è anche un "suggeri­mento” indicativo delle quantità da prendere quotidianamente.

Non si può parlare di prescrizioni, che spetterebbero comunque ai medici, ma di indicazioni generiche. Questi suggerimenti ricalca­no circa venti anni di sperimentazione e sono riassunti e spiegati in questo libro. Leggete un buon libro sulle vitamine per sapere quali sono le differenze, quali funzioni hanno e per chi potrebbero essere indicati. Naturalmente nessuno può considerare integratori alimentari quelli che contengono alcune vitamine, come la K ad esempio, che vanno prese con molte cautele e solo dietro stretto consiglio medico. La vitamina K, che il lettore troverà in questo libro, sovrintende alla coagulazione del sangue e va da sé che potrebbe creare problemi cardiovascolari se presa in modo non controllato. Esula quindi da quelle integrazioni alimen­tari che possono essere prese ogni giorno.

Lo stesso criterio vale per alcuni minerali che sono ancora allo studio presso i laboratori. Si sa, ad esempio, che il vanadio potrebbe essere utile a prevenire malattie di cuore, ma il fabbiso­gno individuale non è stato ancora stabilito e quindi i complessì di minerali non prevedono né il vanadio né altre sostanze inorgani­che sulle quali la ricerca scientifica è, si può dire, agli inizi.

Cominciamo dalle unità di misura. Le misure con cui si valuta l'attività delle vitamine possono essere di tre tipi: Unità Interna­zionali, sistema metrico e sistema farmaceutico. Si può prendere l'esempio della vitamina A e del betacarotene. La prima è misurata in Unità Internazionali (daremo conto sia del fabbisogno sia delle necessità in casi particolari), il secondo in microgrammi. Questa la proporzione: una U.I. di retinolo equivale a 0,6 microgrammi di betacarotene. Sempre più frequentemente però si legge sulla boccetta scura del betacarotene non già, la misura in microgram­mi, ma la quantità di U.I. di vitamina \. che il betacarotene induce nell'organismo. Le altre vitamine misurate in U.I. sono la E e la D.

Poi ci sono le misure metriche. Le vitamine e i minerali si misurano in milligrammi (un millesimo di grammo) oppure in microgrammi (un milionesimo di grammo) se il fabbisogno è in dosi infinitesimali. In uno stesso prodotto, un complesso B ad esempio, possiamo trovare alcune vitamine B misurate in milli­grammi e altre come la B12 o l'acido folico misurate in microgram­mi. Anche quando leggete sulla boccetta "B50" o "B100", state tranquilli che queste regole sono già rispettate: 50 milligrammi saranno ad esempio di B1, ma di B12 saranno al massimo solo 50 microgrammi.

Facciamo un'ultima osservazione sulle dosi. Normalmente sulla confezione, oltre alla quantità di vitamine contenute in una singola compressa, è indicata la data di scadenza (importantissima, come la conservazione della confezione, per evitare di assumere pastiglie inutili), e la RDA (fabbisogno quotidiano). Cercate poi di assumere le vitamine da confezioni non in prossimità della data di scadenza.

 

 

Cos'è la "restrizione calorica"? E' vero che recenti studi scientifici mostrano che può allungare la vita fino a 120 anni?

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Vedi anche, in questo documento, l’articolo “Traduzione della voce calorie restriction da Wikipedia”. La voce di Wikipedia sulla restrizione calorica, non disponibile in italiano, è una delle migliori sull’argomento.

Le principali cause di morte in occidente sono il tumore al polmone e le malattie cardiovascolari.

Il fumo, la riduzione dell'attività fisica, una alimentazione troppo ricca di calorie totali, di grassi animali e carboidrati sono i nemici della longevità.

La restrizione calorica tende ad eliminare l'eccesso di calorie che danneggia il nostro corpo.

Il dottor Edward Masoro, dell'Università del Texas, ha provato a dimezzare l'alimentazione quotidiana di un gruppo di ratti del suo laboratorio e si è accorto che la vita media degli animali si allungava sensibilmente rispetto a quelli delle altre gabbie che continuavano a mangiare come prima. Non solo: dopo due anni, età già venerabile per un roditore, i ratti con restrizione alimentare erano più attivi e più pronti all'apprendimento nei confronti degli altri. Dunque il loro cervello si manteneva più giovane.

Numerosi altri studi sono seguiti, e nel 1998 Scientific American pubblicava i risultati impressionanti di esperimenti condotti su animali del più vario tipo: insetti, uccelli, rettili, piccoli mammiferi. Essi mostravano tutti che una riduzione dal 20 al 40% delle calorie assunte giornalmente non solo allungava la vita media delle cavie, ma allungava anche la vita massima. Nei piccoli roditori (topi e cavie) esso allungava la vita da tre a quattro anni (un terzo in più).

Le ragioni per cui questo avvenga sono poco chiare. Per produrre l'energia che muove il corpo le cellule utilizzano glucosio che viene "bruciato" nei mitocondri, piccoli organi di ciascuna cellula. La combustione del glucosio avviene mediante l'ossigeno, e in tal modo si creano dei radicali liberi: ioni positivi di ossigeno, che danneggiano i tessuti. Una minore quantità di cibo rallenta la combustione e quindi la produzione di radicali liberi.

Da 8 anni sono in corso almeno due esperimenti pilota con due colonie di macacus rhesus, una piccola scimmia che vive fino a trent'anni.

Ci si aspettava una conferma dei risultati ottenuti con i mammiferi più piccoli, ma i risultati sono alquanto controversi: alcuni studi indicherebbero che i parametri fisiologici (glicemia, colesterolo ecc.) dei macachi soggetti a restrizione siano migliori che nel gruppo che viene cibato normalmente, ma altri parametri, come la mortalità, sono identici. I sostenitori dell'efficacia della restrizione calorica (si possono vedere i loro interventi sui numerosi siti internet dedicati all'argomento) sostengono che sono state utilizzate scimmie procreate da madri non in buona salute e allevate in un ambiente poco salubre (gabbie strette, poca igiene). Il dibattito per ora prosegue.

Nel frattempo, sempre più persone decidono di attuare la restrizione calorica. Sono numerosissimi i siti in cui si scambiano opinioni, consigli e pubblicano le analisi che mostrano i loro parametri fisiologici

Non esistono protocolli ufficiali, redatti dalla comunità scientifica per la restrizione calorica nell'uomo, per cui si tratta largamente di un "fai da te", o dei consigli di singoli medici (che l'aspirante dovrebbe sempre interpellare). La restrizione dovrebbe essere iniziata non prima che una persona abbia raggiunto il pieno sviluppo fisiologico cibandosi in modo normale (23-25 anni); dovrebbero essere assunti integratori vitaminici e forse anche proteici. Necessita un monitoraggio periodico dei parametri fisiologici, perché pare che il limite di restrizione calorica oltre il quale invece che vantaggio si avrebbe danno sia piuttosto variabile e non facilmente fissabile. Comunque tutti dovrebbero farsi monitorare da un medico.

 

Ecco la ricetta per la restrizione calorica fornita dal celebre cardiologo statunitense Isadore Rosenfeld:

Negli esperi­menti di ,laboratorio è stato osservato che la vita degli animali da laboratorio. può essere prolungata mantenendo basso il loro peso e riducendo il consumo totale di proteine. Risulta insomma che me­no proteine ha a disposizione la cellula, minori sono le probabilità che essa traligni e trasmetta informazioni genetiche negative o comunque si comporti in modo non positivo. Viene cosi suggerito a tutti noi, indipendentemente dall'età (non è mai infatti troppo tardi per approfittare di questa dieta), di ridurre in modo sostanziale, ma graduale, le nostre calorie nell'arco di cinque anni fino a portarle al sessanta per cento del consumo normale. La dieta deve contenere tutti gli elementi e gli amminoacidi essenziali. Le proteine devono essere consumate in quantità sufficiente durante l'infanzia per per­mettere una crescita normale e, in gravidanza, per nutrire il feto, ma in seguìto le quantità devono venire progressivamente ridotte. Cosi quando arriviamo a metà della vita adulta dovremmo mangia­re soprattutto carboidrati con poche proteine e pochi grassi. Si reputa che questa dieta povera di calorie, di grassi e di protei­ne e ricca di carboidrati sia soprattutto utile perché genera un mi­nor numero di radicali liberi « dannosi ».

Anche per mantenere attivo il sistema immunitario con l'avanzare dell'età e per impedire che sviluppi una tendenza autoimmune gli scienziati ritengono che modificando la dieta, e soprattutto riducendo le proteine, e fornendo specifiche in­tegrazioni di quelle sostanze di cui il corpo è carente, sia possibile controbattere entrambe queste tendenze e proteggere l'organismo durante la fase di invecchiamento. Sulla base di queste teorie sembrerebbe quindi ragionevole che tutti cercassero di perdere peso, di consumare meno grassi e meno proteine (il che significa ridurre .la quantità di carne e pesce) per concentrarsi sui carboidrati e aggiungere quel tanto di vìtamìne e di minerali che serve per non presentare carenze in tal senso.

 

 

 

Traduzione della voce “calorie restriction” da Wikipedia

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definizione

Restrizione calorica (CR) è un regime dietetico che è basato su un basso consumo di calorie. "Basso" si intende riferito al consumo calorico del soggetto prima della restrizione o al consumo medio di un soggetto di corporatura simile. La restrizione calorica senza malnutrizione si è dimostrata per una notevole varietà di specie, tra cui pesci, lieviti, roditori, cani, efficace nel rallentare il processo biologico di invecchiamento, permettendo di ottenere più a lungo una forma fisica giovanile e un incremento sia della durata media che della durata massima della vita. Tuttavia l’effetto estensivo della durata della vita della restrizione calorica non appare essere universale.

Negli esseri umani gli effetti sulla salute a lungo termine di una moderata restrizione calorica con sufficienti nutrienti non sono ancora conosciuti.

Sono stati effettuati due studi sui primati (scimmie rhesus). Uno, iniziato nel 1987 presso il National Institute of Aging, ha pubblicato risultati provvisori nell’agosto 2012 che mostravano che la CR dà benefici perr la salute di questi animali ma non mostravano un aumento della vita media. I dati sulla durata massima della vita non sono ancora disponibili, dato che lo studio è ancora in corso. Un secondo studio dell’Università del Wisconsin è iniziato nel 1989 e ha pubblicato nel 2009 i dati preliminari riguardanti la lunghezza della vita degli animali e i risultati finali nel 2014. Lo studio mostra che i primati sottoposti a CR hanno una probabilità di morire per disturbi legati all’età del 36,4% in confronto al gruppo di controllo senza CR e ha un tasso di mortalità praticamente dimezzato (56,2%) rispetto a cause di morte di qualsiasi tipo.

 

effetti negativi della malnutrizione

La malnutrizione può provocare seri effetti negativi, come è stato mostrato dal Minnesota Starvation Experiment. Lo studio è stato condotto durante la Seconda Guerra mondiale su un gruppo di uomini magri, che ridussero del 45% per sei mesi l’introito calorico totale e adottarono i carboidrati per il 90% della loro dieta. Come ci si aspettava, la denutrizione provocò aggiustamenti metabolici che possono essere considerati positivi (diminuzione del grasso corporeo, diminuzione della pressione, miglioramento del profilo lipidico, bassa concentrazione serica di ormone tiroideo T3, diminuzione della frequenza cardiaca a riposo e diminuzione del metabolismo basale), ma causò anche un’ampia gamma di effetti negativi, come anemia, edema delle estremità inferiori, diminuzione del tessuto muscolare, debolezza, deficit neurologici, vertigini, irritabilità, letargia e depressione.

perdite muscolo-scheletriche

Studi a breve termine sugli esseri umani riportano perdita di massa muscolare e di forza muscolare e riduzione della densità ossea.

Gli autori di un riesame del 2007 della letteratura scientifica sulla CR ammonirono che “anche una moderata restrizione calorica potrebbe essere dannosa in particolari gruppi di pazienti, come persone magre, che hanno un minimo ammontare di grasso corporeo”.

body mass index (bmi) più basso del normale e mortalità

Le diete CR tipicamente conducono ad una riduzione del peso corporeo, ma la riduzione del peso corporeo può provenire anche da altre cause e non è necessariamente salutare. In alcuni studi un basso peso corporeo è stato associato ad una più elevata mortalità, in particolare in pazienti di mezza età avanzata o anziani. Un basso peso corporeo negli anziani può essere provocato da condizioni patologiche associate all’invecchiamento e predispongono ad una mortalità più alta,come ad esempio da cancro, da disordini ostruttivi cronici dei polmoni, da depressione, oppure a cachessia (perdita di peso, riduzione muscolare e perdita di appetito) e sarcopenia (perdita di massa, struttura e funzione muscolare). Uno dei più famosi di tali studi, quello del Center for Disease Control and Prevention ha trovato legami tra un BMI inferiore a 18 nelle donne e una aumentata mortaltà da cause diverse dal cancro e dai disturbi cardiovascolari. Gli autori tennero conto dell’effetto di fattori congiunti (fumo, ignoranza di precedenti disturbi); altri ricercatori contestarono che tali aggiustamenti erano inadeguati. Epidemiologi dell’American Cancer Society, dell’American Heart Association, dell’Harvard School of Public Health e di altre organizzazioni hanno sollevato specifiche obiezioni metodologiche su questo studio del CDC e hanno presentato altri insiemi di dati. La preoccupazione principale era che lo studio del CDC non teneva adeguatamente conto di perdite di peso dovute a serie patologie come cancro e disturbi cardiaci e non era in grado di tenere adeguatamente conto degli effetti del fumo sul peso. Secondo queste critiche lo studio sovrastimava i rischi della magrezza e sottostimava i rischi dell’obesità.

Questi studi epidemiologici non riguardano specificamente la CR, perché il peso corporeo può essere influenzato da molti altri fattori oltre che la restrizione calorica. Perdipiù, è stato affermato che la qualità delle diete di individui con basso BMI è difficile da valutare, e potrebbe mancare di nutrienti importanti per la longevità. Le diete a basso tenore calorico raramente forniscono gli alti livelli di assunzione di nutrienti che sono una caratteristica necessaria della restrizione calorica anti-invecchiamento. Parimenti, gli individui con basso peso corporeo negli studi citati non seguono diete definibili CR, perché essi hanno fissato arbitrariamente il proprio introito calorico anziché ridurlo rispetto ad un livello precedente.

scatenamento di disordini alimentari

In coloro che già soffrono di bulimia-anoressia la restrizione calorica può causare episodi di bulimia, ma non sembra porre altrimenti alcun rischio.

individui giovani e donne incinte

La restrizione calorica a lungo termine ad un livello sufficiente a rallentare il processo di invecchiamento è generalmente sconsigliata ai bambini, agli adolescenti e ai giovani adulti (approssimativamente sotto i 21 anni), perché questo tipo di dieta può interferire con la crescita del fisico, come è stato osservato in animali di laboratorio. Oltre a ciò, sviluppi mentali e cambiamenti fisici nel cervello hanno luogo nella tarda adolescenza e all’inizio dell’età adulta, che potrebbero essere influenzati negativamente da una restrizione calorica severa. Le donne incinte e quelle che tentano di essere fecondate sono consigliate di non intraprendere la restrizione calorica, perché il basso BMI è legato a disfunzioni ovulatorie e madri sottopeso sono maggiormente soggette a parto prematuro

altri possibili effetti negativi

Si è notato che le persone che perdono peso con una dieta CR mostrano un aumentata sensibilità al freddo, irregolarità mestruali e perfino infertilità e modificazioni ormonali.

 

i meccanismi di azione della restrizione calorica

Sebbene ci sia stata una ricerca sulla CR da almeno 70 anni, il meccanismo di azione della CR è ancora poco compreso. Alcune spiegazioni includono la riduzione della core body temperature (la temperatura in condizioni di operatività normale delle strutture interne di un organismo, come il fegato, in contrapposto alla temperatura dei tessuti periferici), la riduzione della divisione cellulare, bassi livelli di metabolismo, ridotta produzione di radicali liberi, ridotto danno del DNA, maggiore resistenza a tossine o altri fattori ambientali che potrebbero provocare stress all’organismo.

abbassamento della temperatura

La restrizione calorica abbassa la core body temperature, un fenomeno che si ritiene essere una risposta adattiva allo scopo di ridurre il consumo energetico quando la disponibilità di nutrimento è limitata. L’abbassamento della temperatura può prolungare la durata della vita in animali a sangue freddo. Tra gli animali a sangue caldo, sono stati prodotti con l’ingegneria genetica dei ceppi di topi di laboratorio con una ridotta temperatura corporea, e questi animali mostrano un aumento della durata della vita, indipendentemente dalla restrizione calorica.

aumentata resistenza a tossine e fattori di stress per l’organismo (ormesi)

Alcune ricerche hanno indicato l’ormesi come spiegazione degli effetti della CR. Southam ed Ehrlich (1943) hanno riferito che un estratto di corteccia che era conosciuto come inibitore della crescita di funghi, somministrato a basse concentrazioni ne stimolava la crescita. Essi coniarono il termine “ormesi” per descrivere questa azione positiva che si ottiene dalla risposta di un organismo a stressori biologici di bassa intensità. L’ipotesi mico-ormetica della CR propone l’ipotesi che la dieta promuova un moderato livello di stresso nell’organismo che attiva una risposta difensiva che aiuta a proteggerlo nei confronti delle cause di invecchiamento. In altre parole, la restrizione calorica pone l’organismo in uno stato difensivo in modo che possa sopravvivere alle avversità, ottenendo una salute migliorata e una vita più lunga. Questo passaggio ad uno stato difensivo potrebbe essere controllato da specifici geni della longevità.

ormesi mitocondriale

L’ormesi mitocondriale era un concetto di pura speculazione fino al 2007, quando i lavori del gruppo di Michael Ristow su un piccolo verme denominato Caenorhabditis elegans hanno suggerito che la restrizione del metabolismo del glucosio estende la durata della vita principalmente aumentando lo stresso ossidativo con l’effetto di stimolare l’organismo ad ottenere alla fine una maggiore resistenza ad ulteriori stress di tale genere. Questa è probabilmente la prima evidenza sperimentale circa la ormesi come causa dell’allungamento della durata della vita in organismi sottoposti a restrizione calorica.

Sebbene l’invecchiamento può essere concettualizzato come accumulo di danno, tra cui cellulare, le indicazioni più recenti sul fatto che i radicali liberi contribuiscono al sistema di segnali intracellulari ha reso l’equazione “radicali liberi = danni cellulari” più problematica di quanto era comunemente ritenuto in passato. Era già stata proposta in passato l’ipotesi che i radicali liberi possono indurre una risposta endogena che culmina in adattamenti più efficaci che proteggono contro radicali esogeni (e forse da altri componenti tossici). La recente evidenza sperimentale suggerisce fortemente che le cose stanno così e che una simile induzione di produzione di radicali endogeni estende la vita del modello di organismo utilizzato e mitormeticamente esercita effetti di allungamento della vita e di miglioramento della salute. Uno stress mitocondriale subletale con un concomitante aumento stechiometrico di tipi di ossigeno reattivo può accelerare molte delle benefiche alterazioni nella fisiologia della cellula prodotte dalla restrizione calorica.

evoluzione

E’ stato recentemente sostenuto che durante gli anni di carestia potrebbe essere evoluzionistamente desiderabile per un organismo evitare la riproduzione e settare a livelli più alti meccanismi enzimatici di riparazione e protezione per cercare di assicurare che l’organismo sia idoneo alla riproduzione in anni successivi. Questa argomentazione sembra essee supportata da recenti studi sulla fisiologia degli ormoni. Uno studio su topi maschi ha riscontrato che la CR femminilizza l’espressione dei geni e che molti dei geni più significativi che vengono cambiati sono connessi all’invecchiamento, ai segnali ormonali e al ciclo e all’apoptasi cellulare collegata alla proteina p53 soppressiva dei tumori. Lo studio concludeva che gli effetti di estensione della vita della CR possono sorgere in parte da uno spostamento dell’espressione genetica verso un profilo più tipico di individui femmina. Una prolungata e severa CR abbassa il livello sierico e libero del testosterone mentre al contempo aumenta le concentrazioni dell’ormone sessuale che lega la globulina (SHBG) negli esseri umani: questi effetti sono indipendenti dall’adiposità.

L’abbassamento della concentrazione di insulina e di sostanze legate all’insulina, come il fattore della crescita insulino-simile-1 e l’ormone della crescita sono state dimostrate responsabili dell’attivazione ad un livello più alto dei meccanismi di autofagia, meccanismi implicati nella degradazione cellulare di componenti cellulari non necessari o disfunzionali attraverso l’azione dei liposomi. Nei casi di estrema carenza di cibo la degradazione di componenti cellulari promuove la sopravvivenza della cellula mantenendo adeguati livelli di energia. Ma la CR influenza molti altri indicatori della salute ed è ancora incerto se l’insulina sia l’effetto principale. E’ stato dimostrato che la CR aumenta i livelli di DHEA nei primati, ma non ha mostrato incrementi in primati post-pubescenti. La misura in cui queste scoperte si possano applicare all’uomo è ancora sotto indagine.

cromatina e pha-4

Evidenze sperimentali suggeriscono che gli effetti della CR sono legati strettamente alla funzione della cromatina. Uno studio condotto dal Salk Institute for Biological Studies e pubblicato su Nature nel marzo 2007 ha stabilito che il gene PHA-4 è il responsabile della longevità causata dalla CR negli ascaridi, e che per gli umani “ci si aspetta risultati simili”.

radicali liberi e glicazione

Due importanti spiegazioni dell’invecchiamento che coinvolgono la CR sono la teoria dei radicali liberi e la teoria della glicazione. Quando dispongono di alti livelli di energia i mitocondri non operano in modo molto efficiente, e generano una maggiore quantità di superossido. Con la CR l’energia è conservata e c’è una minore produzione di radicali liberi. Un organismo CR ha meno grasso e richiede meno energia per supportare il peso, il che significa anche che non ha bisogno di molto glucosio in circolo.

Meno glucosio in circolo significa minore glicazione delle proteine e meno grassi da ossidare nel circolo sanguigno che possano causare depositi che conducono ad ateriosclerosi. I diabetici di tipo 2 sono persone con insensibilità all’insulina causata da una esposizione a lungo termine ad alti livelli di glucosio. Il diabete di tipo 2 e il diabete non controllato di tipo 1 sono “acceleratori dell’invecchiamento” a causa degli effetti citati. Ci potrebbe essere anche un continuum dalla CR alla sindrome metabolica.

ridotto danno del dna

La restrizione calorica riduce la produzione di tipi di ossigeno reattivo (ROS). ROS causa diversi tipi di danni al DNA, che includono la 8-idrossi-2-deossiguanonosina (8-OHdG). Il livello di 8-OHdG è spesso usato come indicatore del livello generale di danno ossidativo del DNA.

Sohal e altri hanno osservato che la CR diminuisce i danni rivelati dal 8-OHdG nel DNA del topo nella muscolatura, nel cervello, nei muscoli, nel fegato e nei reni. Il livello di 8-OHdG in questi organi in topi di 15 mesi erano ridotti in media dell’81% rispetto ai topi senza restrizioni dietetiche. Kaneko e altri hanno osservato che nei ratti la CR ritarda la comparsa legata all’età di 8-OHdG nel DNA del nucleo di cervello, cuore, fegato e reni. Il livello di 8-OHdG in questi organi, nei ratti di 30 mesi in media era il 65% del livello di ratti nutriti senza restrizioni dietetiche. Hamilton e altri hanno trovato che la CR in topi e ratti riduceva i livelli di 8-OHdG legati all’età. In ratti di 24-26 mesi il livello di 8-OHdG nel DNA di cuore, cervello, fegato e reni era il 71% rispetto ai roditori nutriti con una dieta senza restrizioni.

Così, nei roditori, la CR rallenta l’invecchiamento, diminuisce la produzione di ROS e riduce l’accumulazione di danno ossidativo al DNA in molti organi. Questi risultati ricollegano il ridotto danno ossidativo del DNA al rallentamento dell’invecchiamento. La corposa massa di osservazioni circa il fatto che la CR riduce il danno ossidativo del DNA sembra appoggiare l’affermazione di Holmes e altri che il danno ossidativo del DNA è una delle principali cause di invecchiamento.

meccanismo mediato della sirtuina

Il Sir2 (“silent information regulator 2”) è una sirtuina, scoperta nelle cellule dei lieviti del pane che è stato ipotizzato sopprima l’instabilità del DNA. Nei mammiferi Sir2 è conosciuta come SIRT1. David Sinclair, della Harvard Medical School a Boston è il principale sostenitore che il gene Sir2 potrebbe essere responsabile dell’effetto della restrizione calorica nei mammiferi proteggendo le cellule che altrimenti morirebbero sotto stress. E’ stato suggerito che una dieta CR che richieda meno dicotinamideadenindinucleotide (NAD) da metabolizzare può consentire a SIRT1 di essere più attiva nei suoi processi che estendono la durata della vita. In un articolo del giugno 2004 su Nature è stato mostrato che SIRT1 provoca il rilascio di grasso dalle cellule che lo accumulano.

Le sirtuine, in particolare Sir2 (trovata nei lieviti) è stata chiamata in causa per l’invecchiamento dei lieviti. Omologhi della Sir2 sono stati trovati in un vasto spettro di organismi, dai batteri agli esseri umani. Il lievito ha tre geni SIR (SIR2, SIR3, SIR4) che sono responsabili dell’inattivazione di corrispondenti loci genetici, di telomeri e di rDNA. Sebbene per l’inattivazione dei loci e dei telomeri siano richiesti tutti e tre i tipi di SIR, solo SIR2 sembra essere implicata nell’inattivazione del rDNA. Perdipiù, i geni legati al SIR2 regolano anche la formazione di alcune forme specializzate di sopravvivenza, come la forma di spora dei lieviti e le larve in stato di stasi della Caenorhabditis elegans. Uno studio sui lieviti condotto da Kaeberlin e altri (1999) ha trovato che la distruzione di SIR2 diminuisce la durata della vita, mentre copie addizionali la allungano. Tutti questi studi implicano un ruolo della SIR2 nella sopravvivenza e nella longevità.

In molti studi di CR si sostiene che la SIR2 fa da mediatrice per gli effetti sulla longevità della restrizione calorica per diverse ragioni. Per prima cosa, la CR in lieviti senza SIR2 non aumenta la longevità; anche organismi con ceppi mutanti di SIR2 non hanno tratto benificio dalla CR. In secondo luogo, la restrizione calorica aumenta l’attività della SIR2 in vivo. Il meccanismo attraverso il quale la SIR2 è regolata dalla restrizione calorica è ancora dibattuto. Due ipotesi sono rappresentate rispettivamente dal meccanismo del coenzima NADH (dicotinamideadenindinucleotide) e dal NAD Salvage Pathway Mechanism. Secondo la prima ipotesi la restrizione calorica causa un aumento della respirazione che a sua volta causa una riduzione dei livello di NADH, che fa aumentare i livelli di SIR2, di cui il NADH è un inibitore competitivo. E’ stato anche dimostrato che una superespressione di NAD-idrogenasi aumenta la longevità e bloccando la catena di trasporto elettronica bloccava la longevità collegata alla CR. Il NAD Salvage Pathway Mechanism si basa sullo studio di Anderson e colleghi con cui hanno mostrato che la CR causa una regolazione al rialzo di PCN1 (un enzima responsabile della sintesi del NAD a partire dal nicotinamide e dal ADP-ribosio) che diminuisce i livello di nicotinamide che a loro volta regolano al rialzo il SIR2 e in tal modo aumentano la durata della vita. Sebbene questi due modelli non siano mutuamente esclusivi, non è stato condotto alcun esperimento per stabilirne il collegamento.

farmaci cr-mimetici

Il lavoro sui meccanismi della CR ha acceso le speranze di sintetizzare in futuro farmaci per aumentare la durata della vita umana simulando gli effetti della restrizione calorica. In particolare, il gran numero di geni e vie metaboliche che si è riscontrato regolano le azioni della CR in organismi modello rappresentano stimolanti obiettivi per lo sviluppo di farmaci che simulano i benefici della CR senza i suoi effetti collaterali. Comunque, il biologo del MIT Leonard Guarente ha ammonito che “la somministrazione di farmaci non può essere un sostituto di uno stile di vita sano. La gente sarà comunque obbligata ad andare in palestra”.

Alcuni tentativi sono già stati intrapresi, e molti si sono concentrati su una classe di proteine chiamate sirtuine. Il resveratrolo è stato indicato come attivatore delle SIRT1 ed estende la durata della vita dei lieviti, dei vermi nematodi, del moscerino della frutta, dei pesci vertebrati e dei topi che consumano una dieta molto calorica. Però il resveratrolo non estende la durata della vita nel topo normale e gli effetti sui nematodi e sul moscerino della frutta sono stati contestati.

Ci sono studi che mostrano che il resveratrolo potrebbe non funzionare tramite la SIRT1, ma attraverso altre sostanze bersaglio.

 

storia della restrizione calorica

La prima persona che promosse la restrizione calorica per aumentare la durata della vita fu Luigi Cornaro, un nobile veneziano del 1500 che adottò una dieta con restrizione calorica all’età di 35 anni per rimediare alla sua salute cagionevole. La sua dieta restrittiva curò tutti i suoi distirbi in meno di un anno ed egli giunse all’età di 102 anni. Il suo libro, Discorsi della vita sobria descrive il suo regime, che è centrato nel “principio di quantificazione” che limita il cibo a 350 grammi giornalieri di cibo (incluso pane, uova, tuorlo, carne e cena) e 414 millilitri di vino. Il libro ebbe un grande successo e promosse una revisione delle idee sull’età avanzata. Ai tempi del Rinascimento venivano enfatizzati gli aspetti negativi di questa fase della vita. Il metodo di Cornaro offriva per la prima volta la possibilità non solo di una vita lunga, ma anche degna di essere vissuta in modo soddisfacente.

Nel 1934, Mary Crowell e Clive McCay della Cornell University osservarono che i ratti di laboratorio sottoposti a una forte riduzione di calorie mantenendo al contempo adeguati livelli di micronutrienti mostravano una durata di vita doppia di quella che ci sarebbe potuta aspettare. Queste scoperte furono approfondite in una serie di esperimenti con topi condotti da Roy Walford e dal suo studente Richard Weindruch. Nel 1986 Weindruch riferì che la restrizione delle calorie dei topi di laboratorio aumentava proporzionalmente la durata della loro vita rispetto a topi nutriti con una dieta normale. I topi sottoposti a restrizione calorica mantenevano un aspetto e livelli di attività giovanili più a lungo e ritardo nella comparsa di disturbi legati all'età. Il risultato dei numerosi esperimenti di Walford e Weindruch furono sintetizzati nel loro libro Il ritardo dell'invecchiamento e della malattia mediante restrizione calorica (1988).

Queste scoperte sono state accettate ed estese a tutta una serie di altri animali. I ricercatori stanno indagando la possibilità di correlazioni fisiologiche tra primati umani e non umani. Nel frattempo molte persone hanno iniziato a praticare la restrizione calorica in qualche forma.

Attualmente ci sono due studi a controllo randomizzato in corso sugli effetti della CR sui primati non umani: il Wisconsin National Primate Research Center Monkey Study e il National Institute of Aging Monkey Study. Nel 1989 scienziati dell'università del Wisconsin iniziarono uno studio che riguardava 46 maschi adulti e 30 femmine di scimmia rhesus. Lo studio del National Institute of Aging, iniziato nel 1987, riguarda 60 maschi e 60 femmine di scimmia rhesus. Le scimmie sono state assegnate a caso, secondo una proporzione 1:1 ad una dieta CR o ad una dieta di controllo normale. I risultati sono stati pubblicati periodicamente.

Un gruppo di scienziati dell'Università di Washington a St. Louis ha studiato gli effetti fisiologici, metabolici e molecolari a lungo termine della CR in un gruppo di adulti sani e non grassi, uomini e donne.

Nel maggio del 2007 uno studio clinico multicentrico chiamato CALERIE (Comprehensive Assessment of the Long-term Effects of Reducing Energy Intake) è stato iniziato allo scopo di esaminare l'effetto di due anni di restrizione calorica continuata del 25% su: a) ritardo dell'invecchiamento mostrato da indicatori; b) protezione da processi morbosi legati all'età. Sono stati reclutati 220 volontari in buona salute in tre centri (Tufts University, Pennington Biomedical Research Center, Washington University School of Medicine).

Uno studio dell'UCSF chiamato CRONA è iniziato nel dicembre del 2010 e ha studiato 28 praticanti di lunga data la restrizione calorica per alcuni mesi. Lo studio è stato completato il 20 Settembre del 2011. Al 20 Agosto 2012 i risultati non erano ancora stati pubblicati.

 

sommario delle ricerche

mosche comuni

Un gruppo di esperimenti mostra che la CR non produce benefici per la mosca comune. Gli autori ipotizzano che gli asseriti benefici della CR potrebbero derivare dal fatto che una dieta che contiene più calorie può incrementare la proliferazione di batteri o perché il tipo di dieta ad alto tenore calorico usato in esperimenti passati ha una consistenza appiccicosa, una composizione generale o una consistenza che riducono la longevità.

Ad un certo punto alcuni ricercatori hanno sostenuto che alcuni degli effetti della CR erano artefatti, perché gli organismi utilizzati negli studi di laboratorio ricevono diete altamente caloriche non fisiologiche. Quindi gli studi sulla CR illustrerebbero semplicemente la disponibilità di cibo di un ambiente naturale. Comunque, molti studi attuali sulla CR limitano gli animali di controllo del 10-20% rispetto a quella che sarebbe la loro scelta libera, per evitare che gli studi siani inquinati dagli effetti dell’obesità. Inoltre, alcuni studiosi hanno notato che “almeno in qualche caso i topi di laboratorio sottoposti a CR hanno mostrato cessazione del ciclo degli estrogeni. Poiché tutte i gruppi esistenti di topi allo stato selvatico devono riprodursi per non perire, presumibilmente essi mangiano di più rispetto ai topi sottoposti a CR, quantomeno per una parte dell’anno”. Uno studio che si proponeva di determinare l’introito, la spesa e il saldo energetico di topi selvatici, topi liberi di nutrirsi in laboratorio e topi sottoposti a CR ha concluso che “gli esperimenti con CR di fatto limitano il consumo di energia oltre quello tipico dei topi non in cattività. Dunque l’effetto di ritardare l’invecchiamento osservato con la CR non è dovuto all’eliminazione di presunti effetti negativi della superalimentazione”.

primati

Sono stati condotti parecchi studi sulla restrizione calorica su primati diversi dall’uomo. Uno ha riscontrato effetti positivi sulla durata della vita e su patologie legate all’invecchiamento. Un altro ha trovato riduzione di parecchie patologie legate all’età ma nessuna differenza nella durata media della vita; la durata massima della vita non è ancora stata riportata, perché lo studio sta ancora proseguendo. Una ipotesi è che il patrimonio genetico degli animali e la qualità del cibo sia più imprtante della quantità.

roditori

Settant’anni fa C. M. McCay e colleghi scoprirono che riducendo l’ammontare calorico somministrato ai roditori si raddoppiava quasi la loro vita. L’estensione variava in relazione alle specie, ma in media mostrava un aumento del 30-40% sia nei topi che nei ratti. CR preserva un certo numero di parametri strutturali e funzionali nei roditori che invecchiano. Studi su topi femmina hanno mostrato che il recettore-alfa degli estrogeni declina nella fase immediatamente precedente l’invecchiamento nell’area post-oculare dell’ipotalamo. Le femmine di topo nutrite con CR durante quasi tutta la loro vita mantenevano livelli più alti di questo recettore rispetto alle femmine di controllo. D’altra parte, in un recente riesame relativo a 41 ceppi di topi da laboratorio, una restrizione calorica del 40% diminuiva la durata della vita in un numero maggiore di ceppi rispetto a quelli in cui la aumentava. Questo suggerisce che gli effetti della restrizione calorica possono essere modificati dal background genetico e/o da altri fattori e che la relazione tra CR e longevità nei topi potrebbe dimostrarsi più complessa di quanto sinora apparso.

Gli studi sulle femmine di topo hanno mostrato che sia il nucleo sopraottico (SON) che il nucleo paraventricolare (PVN) perdono almeno un terzo di immunoreattività durante il normale processo di invecchiamento. I topi anziani sottoposti a CR perdono un numero maggiore di cellule IGF-1R non-immunoreattive mentre mantengono praticamente lo stesso numero di cellule IGF-1R immunoreattive in confronto ai topi non soggetti a CR. Di conseguenza a questo numero superiore di cellule immunoreattive, i topi CR mostrano una maggiore sensibilità ipotalamica alle cellule IGF-1.

lieviti

I funghi sono molto facili da manipolare in laboratorio e molti progressi importanti nella comprensione dei meccanismi di invecchiamento sono stati fatti per mezzo loro. Molti studi sono stati intrapresi, sia nei confronti di lieviti che si riproducono mediante scissione cellulare che di quelli che si riproducono per gemmazione per analizzazre il meccanismo cellulare che sta dietro all’aumento di longevità dovuto alla restrizione calorica.

La CR è spesso chiamata anche “dietary restriction” perché gli stessi effetti sulla durata della vita possono essere ottenuti semplicemente cambiando la natura dei nutrienti senza cambiare l’introito calorico. Dati forniti da Guarente, Kennedy, Jaziwinski, Kaeberlein, Longo, Shadel, Nyström, Piper e altri mostrano che le manipolazioni genetiche delle vie metaboliche relative alla segnalazione dei nutrienti possono imitare gli effetti della restrizione calorica. In alcuni casi la restrizione calorica richiede la respirazione mitocondriale per aumentare la longevità (invecchiamento cronologico) e in altri casi no (invecchiamento replicativo). I segnali riguardanti i nutrienti, nei lieviti, controllano la difesa dallo stress, le funzioni mitocondriali, Sir2 e altre funzioni. Queste funzioni sono tutte note per regolare il processo di invecchiamento. I geni implicati in questo meccanismo sono TOR, PKA, SCH9, MSN2/4, RIM15, SIR2, ecc. La risposta dei lieviti alla CR può essere modulata dal background genetico. Quindi, mentre alcuni ceppi rispondono alla CR con un aumento della durata della vita, altri questa viene abbreviata.

caenorhabditis elegans

Recenti studi sul Caenorhabiditis elegans, un verme nematode trasparente hanno mostrato che una restrizione del metabolismo del glucosio aumenta la durata della vita principalmente aumentando lo stresso ossidativo così che si ottiene una aumentata risposta a tale stress, secondo un processo chiamato (mito)ormesi.

esseri umani

Sono stati intrapresi studi per esaminare gli effetti di una CR con adeguato apporto di nutrienti negli esseri umani; tuttavia gli effetti a lungo termine sono sconosciuti.

biomarcatori del rischio cardiovascolare

Un riesame degli studi sugli effetti della CR sull’invecchiamento del cuore e del sistema vascolare ha concluso che “i dati dagli studi condotti su esseri umani e su animali mostrano che, oltre l’implementazione di diete più sane e di esercizio regolare, interventi come la restrizione calorica con adeguata nutrizione (CR) può avere benefici addizionali su parecchi fattori metabolici e molecolari che modulano l’invecchiamento cardiovascolare (come l’irrigidimento del cuore e delle arterie e la variabilità del ritmo cardiaco)”. Studi su persone che praticano una rigorosa dieta CR a lungo termine mostrano che i loro fattori di rischio di aterosclerosi sono sostanzialmente migliorati, in accordo con gli studi sui roditori e i primati di laboratorio. I fattori di rischio come la proteina c-reattiva, i trigliceridi sierici, le lipoproteine LDL e HDL, la pressione e i livelli di glucosio a digiuno sono notevolmente più favorevoli rispetto a persone che consumano le normali diete occidentali e comparabili o migliori di quelli ottenuti da coloro che si dedicano alla pratica di lungo termine di esercizi di resistenza. Effetti simili si sono riscontrati durante un esperimento nell’habitat Biosphere 2 e in soggetti del Minnesota Starvation Experiment durante la Seconda Guerra mondiale. La funzione cardiaca diastolica era migliore in soggetti che avevano praticato restrizione calorica per 3-15 anni rispetto a soggetti in salute del gruppo di controllo della stessa età e sesso. I soggetti hanno una minore rigidità ventricolare e meno perdita viscosa di reflusso diastolico, ed entrambe le cose sono coerenti con una minore fibrosi miocardica. Questi effetti, in combinazione con altri benefici della CR come la protezione contro obesità, diabete, ipertensione e cancro, suggeriscono che CR può avere un rilevante effetto sulla durata della salute, della vita e sulla qualità della vita degli esseri umani.

biomarcatori del rischio di cancro

La pratica della CR a lungo termine riduce parecchi fattori ormonali e metabolici che sono stati associati con un aumento di rischio di alcuni dei più comuni tipi di cancro nei paesi sviluppati, in accordo con simili modifiche nei roditori e nei primati, nei cui confronti gli studi mostrano un effetto protettivo della CR contro la morbilità neoplasica e la mortalità. Queste modifiche includono livelli più bassi di grasso totale e addominale, di insulina circolante, di testosterone, di estradiolo e di citochine ad effetto infiammatorio legate al cancro. La pratica della CR a lungo termine riduce anche i livelli sierici del fattore-1 di crescita insulino-simile negli esseri umani ed incrementa i livelli di IGFBP-3; comunque, a differenza che nei roditori, questo effetto può essere bloccato se le proteine nella dieta non vengono ridotte alla assunzione ufficialmente raccomandata dal Dietary Reference Intake.

 

raccomandazioni

livelli di attività

La restrizione calorica preserva il tessuto muscolare in primati non umani e nei roditori. I meccanismi coinvolti includono riduzione dei processi di apoptosi delle cellule e di infiammazione; protezione o adattamento nei confronti di anomalie mitocondriali legate all’età; conservazione della funzionalità delle cellule staminali muscolari. Il tessuto muscolare cresce con la stimolazione, ed è stato ipotizzato che gli animali soggetti a CR facessero esercizio fisico in quantità superiore a quella dei loro simili con un regime calorico più alto, forse perché durante la CR gli animali entrano in modalità di ricerca cibo. Gli studi mostrano che i livelli di attività sono simili per animali di entrambi i gruppi di età giovane, mentre gli animali soggetti a CR sono più attivi nella mezza età e oltre, grazie ad un effetto protettivo contro il declino dell’attività osservato in tali fasce di età.

esercizio fisico

L’esercizio fisico è stato dimostrato efficace nell’incrementare la salute e la durata della vita e diminuire l’incidenza di parecchie patologie, ma solo in confronto a gruppi di controllo costituiti da persone sedentarie e obese, non nei confronti di gruppi di persone sedentarie che praticavano CR. In esperimenti su animali che confrontavano i benefici della CR con quelli dell’esercizio fisico, gli animali sottoposti a CR vivevano molto più a lungo di quelli sottoposti ad esercizio fisico. Si ritiene che la restrizione calorica sia incompatibile con una attività agonistica, perché non apporterebbe sufficienti livelli di energia e di aminoacidi.

l’età per iniziare la restrizione calorica

Esiste una qualche evidenza che suggerisce che che i benefici della CR nei ratti si limitano al primo periodo della loro vita. Uno studio su ratti che sono stati (gradualmente) sottoposti ad una dieta CR a 18 mesi non ha mostrato alcun aumento della durata della vita rispetto al gruppo di controllo. Questa opinione è contestata da Spindler, Dhahbi e colleghi che hanno mostrato che nella tarda età adulta una severa CR era in grado di invertire parzialmente o completamente le alterazioni legate all’età del fegato, del cervello, delle proteine del cuore, e che topi posti in CR a 18 mesi mostravano aumenti della durata di vita. Lo studio sulle scimmie rhesus del Wisconsin ha mostrato un aumento nel tasso di sopravvivenza e una diminuzione delle patologie dell’età grazie alla CR anche se lo studio era iniziato con scimmie adulte.

diversità degli organismi

Una obiezione all’adozione della CR come stile di vita da parte di esseri umani risiede nel fatto che i meccanismi della longevità sono molto complessi e che potrebbero non funzionare con una specie come la nostra, che ha una durata di vita superiore a quella di molte altre. Tuttavia, parecchi dei cambiamenti fisiologici osservati negli animali con la più lunga durata di vita soggetti a CR si sono osservati anche in esseri umani, e questo potrebbe voler dire che i dati degli esperimenti sugli animali potrebbero valere anche per l’uomo.

comportamenti stereotipati

Alcune osservazioni hanno riportato un aumento di comportamenti stereotipati in animali sottoposti a CR. Ad esempio le scimmie mostravano un aumento di comportamenti come il leccare, il succhiare e il dondolarsi.

aggressività

Un regime di CR può portare ad aumento di aggressività degli animali.

 

 

Leggere eccessivamente, come Giacomo Leopardi, danneggia la vista? Cosa devo fare per preservare la vista?

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Giacomo Leopardi non morì o danneggiò la sua vista per lo "studio matto e disperatissimo", ma perché a Napoli, in piena epidemia di colera, si fermò ad un chiosco a comperare un sorbetto. Quello fu effettivamente un gesto suicida.

Gli oculisti dicono che potete leggere quanto volete, anche 16 ore al giorno, e non ne avrete alcun danno.

Il mal di testa e lo sfarfallio della vista che potrebbero sopraggiungere non sono indicatori di un danno all'occhio, ma di un affaticamento dei centri della visione del cervello, che sono costretti ad un superlavoro: niente che una buona notte di sonno non rimetta in sesto. Il bruciore agli occhi è effettivamente un indice di affaticamento dell'occhio stesso, ma a parte il fastidio non è indice di alcuna lesione o danno: è come aver corso molto e sentire le gambe far male. Se però il bruciore sopravviene dopo poco tempo e diventa normale, allora è indice di qualche patologia che andrebbe individuata.

Ecco alcuni consigli per preservare la vista (senza alcuna pretesa di completezza):

Utilizzate occhiali da sole. Il buco dell'ozono ha aumentato la radiazione ultravioletta che può danneggiare la retina, specie in persone con iridi chiare, di tipo nordico, che sono meno protette da essa

Il succo di mirtillo o le capsule di estratto secco di mirtillo hanno un effetto protettivo nei confronti della porpora retinica e della microcircolazione degli occhi (non usare il succo di frutta pieno di zucchero, ma il succo di mirtillo concentrato e non zuccherato o i mirtilli surgelati che si possono trovare in alcuni supermercati)

Colui che scrive ha sempre preferito la luce bassa o soffusa alla luce piena della lampada sul foglio, e a distanza di molti anni ha mantenuto una vista buona. Lavorare con la luce più bassa possibile affatica forse un po' di più gli occhi ma è un eccellente modo per mantenerli integri.

Evitate di prendere sul serio gli "esercizi per migliorare la vista" e "sconfiggere la miopia": accettate la vostra miopia e non perdete centinaia di ore della vostra vita dietro a chimere

Zuccheri e diabete danneggiano la vista ed occorre vigilanza

Andate da studi oculistici che possiedano tutti gli strumenti più all'avanguardia. Difficilmente un piccolo studio oculistico avrà le apparecchiature computerizzate, che costano centinaia di migliaia di euro, per un esame computerizzato del campo visivo, una misurazione della pressione della retina e altri esami sofisticati che possono diagnosticare per tempo eventuali malattie

Il consiglio, per tutti è comunque: spendete di più e recatevi da un luminare, almeno una volta, e sottoponetegli i risultati dei vari esami. Saltate i medici di medio livello o quelli di cui semplicemente "si parla bene"

 

 

Qual è l'illuminazione ottimale per leggere? Leggere con la luce bassa fa male agli occhi?

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La luce non è tutta uguale. Ecco un elenco di vari tipi di luce che può essere utilizzata per la lettura:

Luce solare: senz'altro la migliore!

Lampadina ad incandescenza trasparente: è una luce "calda" (ha una buona percentuale di radiazioni vicine al rosso), che sfarfalla al ritmo di 50 cicli al minuto dinanzi al nostro occhio (con l'alimentazione domestica a corrente alternata della casa, infatti, la lampadina si accende e spegne 50 volte al secondo, anche se noi non ce ne accorgiamo), ma pare che questo micro-sfarfallio non danneggi l'occhio.

Lampadine ad incandescenza azzurre: hanno il vetro azzurro, e sono prodotte specificamente per la lettura, perché l'occhio trova la luce più riposante, e in tal modo si ritarda il bruciore e la lacrimazione della lettura protratta

Alogene di grande potenza (da 300 W in su): le alogene producono raggi ultravioletti che danneggiano l'occhio, ma questi vengono bloccati dalla piastrina di vetro che viene messa sopra l'elemento a incandescenza; oppure questo elemento viene racchiuso in un bulbo di vetro che blocca gli ultravioletti. E' una luce che è alimentata da corrente alternata, e quindi ha micro-sfarfallii. Normalmente ha una tonalità un po' meno calda della luce delle lampadine a incandescenza. Non è possibile mettere un filtro blu alle alogene, perché la luce è talmente intensa che non esiste vetro blu che possa resistervi a lungo

Alogene di bassa potenza (i tipici faretti, da 20 a 100W): sono alimentate da corrente continua di trasformatore e non presentano micro-sfarfallii.

Led: esistono led a luce calda e led a luce fredda. Sono alimentati dalla corrente continua di un trasformatore, consumano pochissimo, non hanno controindicazioni, ma per ora sono molto costosi: una lampadina equivalente ad una da 60 W costa 20 euro

Leggere con la luce bassa, come preferiscono alcuni, non fa male agli occhi, affatica solo un po' di più i centri della vista nel cervello, e potreste avere un lieve mal di testa.

Leggere con la luce più bassa compatibile con il vostro comfort è una regola che alcuni di coloro che leggono moltissimo ritengono utile. I cercatori di uova di tartaruga dei paesi tropicali sviluppano una cecità precoce dovuta al riflesso della sabbia bianca. 8-10 ore di riflesso di un foglio bianco non danneggiano certamente a quel livello l'occhio, tranne che provocare un maggior utilizzo di vitamina A, che viene "consumata" in gran quantità per la lettura. Tuttavia queste persone pensano che si debba evitare di leggere a luce altissima.

Utilizzare per ore una lampada che getti una luce violenta sulla pagina, con l'idea che "una buona illuminazione è necessaria per la lettura" sia eccessivo. Preferisce la luce soffusa di una alogena.

 

 

Qual è il miglior sistema di illuminazione per la casa e lo studio disponibile sul mercato?

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Il miglior sistema di illuminazione attualmente disponibile è il sistema hue della Philips. Esso consiste in lampade led, ciascuna in grado di produrre 12 milioni di colori diversi, comandabili singolarmente tramite una app scaricabile gratuitamente sul vostro telefonino e attraverso il router della vostra rete domestica wi-fi.

Ciascuna lampadina hue ha una luminosità corrispondente a quella di una lampada a incandescenza da 60 watt.

L'app hue può controllare fino a 50 lampade. Può essere generata qualsiasi tipo di luce: dalla luce fredda, adatta allo studio, alla luce calda, adatta al salotto, alla luce azzurra adatta alla stanza da letto.

Tra i vantaggi delle lampadine led, oltre il bassissimo consumo (un decimo di quelle ad incandescenza) e la durata assai superiore a quella delle lampade a incandescenza (ben 18.000 ore in media), c'è il fatto di avere una luce priva di raggi infrarossi o ultravioletti, che potrebbero danneggiare o dare fastidio all'occhio.

Il livello di luminosità di ogni lampadina è regolabile come con un dimmer, sempre tramite telefonino. Questa è una caratteristica molto importante, perché la maggior parte delle lampadine led in commercio non è dimmabile. Quelle poche che sono dichiarate dimmabili in realtà non accettano tutti i dimmer in commercio - o meglio sono compatibili solo con quelli dichiarati dai costruttori. E anche con un dimmer compatibile, spesso il cambio di luminosità avviene a scatti ed è poco controllabile, mentre con una lampadina Hue è perfettamente fluido e completamente controllabile.

Lo Starter Kit hue costa 100 € e comprende due lampadine e il bridge da collegare ad un ingresso USB del vostro router wi-fi. Ogni lampadina costa 50 €.

Tra le funzionalità più interessanti c'è quella delle "scene": una volta selezionato un gruppo di lampadine e impostato il tono e la luminosità di ciascuna, questa combinazione può venir registrata nel telefonino come una "scena", richiamabile a piacere.

E' anche possibile fotografare una luce che ci piace particolarmente (ad es. quella di un cielo terso o la luce uniforme fuori della finestra con un tempo chiaro ma nuvoloso) e registrarla come scena: il sistema hue riprodurrà ogni volta fedelmente la tonalità originale.

Sono acquistabili a parte gli interruttori Tap hue, dotati di quattro pulsanti, a ciascuno dei quali può venir abbinata una scena. Questi interruttori non necessitano di fili di collegamento per l'alimentazione, perché sono autoalimentati dal movimento di pressione del dito che genera elettricità con un sistema piezoelettrico, e possono essere avvitati o incollati ovunque.

Numerosissime altre possibilità sono disponibili collegandosi al sito Hue della Philips.

Esistono diverse altre app di terze parti a pagamento (qualche euro) che ampliano le possibilità del sistema Hue con altre funzionalità.

Unico accorgimento: i telefonini con sistema Windows Phone non sono in grado di scaricare correttamente l'app, che funziona invece perfettamente con Android.

 

 

Gli occhi mi si arrossano per la lettura. Quali accorgimenti posso usare e quale medicinale utilizzare?

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Quando si legge, la retina umana "consuma" vitamina A come fosse un carburante. L'assunzione di compresse di Rovigon (vitamina A + E) quando si comincia a notare un bruciore o quando si prevede una lunga giornata di lettura o sotto luci violente come quelle dei neon degli esercizi commerciali può ridurre sensibilmente il bruciore. In queste compresse la vitamina A lavora in sinergia con la E, che ne migliora gli effetti.

Tenete solo presente che una singola compressa di Rovigon contiene una quantità elevatissima di vitamina A: 30.000 U.I. (la dose raccomandata giornaliera non supera le 3.000 U.I.) e che l'organismo è capace di immagazzinarla per più giorni nel fegato, e regolatevi circa il numero di compresse settimanali da assumere. Se leggiamo molto la dose può essere aumentata fino a 5.000-8.000 UI al giorno. A queste dosi non dovreste preoccuparvi dell’ipervitaminosi tossica, perché questa sopravviene solo con dosaggi molto alti (sopra le 30.000 UI al giorno) protratti per lunghi periodi (8 mesi e oltre). Uno studiosi di Cambridge ha affermato che “dosi di 20.000 UI dovrebbero essere innocue anche per periodi indeterminati". Ad ogni modo, potete sperimentare l’alternanza tra 5-6 giorni di somministrazione intensiva, seguiti da 5-6 giorni di somministrazione normale o sospensione per consentire all’organismo di riequilibrarsi. Basta comunque sospendere per 72 ore la vitamina A per eliminare qualsiasi eccesso che si fosse accumulato nel fegato. La vitamina A può essere vantaggiosamente associata alla vitamina E e allo zinco, che aiuta il fegato a veicolare la vitamina.

Se dovete lavorare a lungo ogni giorno, leggendo o davanti allo schermo del computer, evitate di aggiungere a questo stress visivo uno stress aggiuntivo quando uscite di casa: d’estate utilizzate sempre occhiali da sole; gli occhiali sono utilissimi anche per evitare il vento e le correnti d’aria di mezzi pubblici ecc. che possono irritare o arrossare gli occhi. Non mettete al massimo per lungo tempo il riscaldamento dell’auto. Non aggiungete lo stress della televisione a quello dello studio, perché guardare molto la TV, secondo alcuni medici, brucerebbe più vitamina A.

Ricordate che la vitamina A viene distrutta, oltre che da certe luci artificiali (vedi più avanti), dall’alcool, dal guardare molto la TV, dagli antiacidi per lo stomaco, dagli anticoagulanti, dall’aspirina, dai barbiturici, da alcuni farmaci contro il colesterolo, come la colestermina.

Abbassate la luce ambiente: l’ideale sono le veneziane, ma si può andare anche oltre: se non siete claustrofobici, quando i vostri occhi sono veramente stanchi, provate a chiudere gli scuri e mettere una illuminazione fredda.

Non utilizzate la luce diretta, ma la luce morbida e diffusa di una lampada posta sulla parete o su un supporto a 2 metri di altezza o sopra un mobile alto, schermata per evitare che la luce diretta vi colpisca gli occhi.

Il tuorlo d'uovo è uno straordinario coadiuvante, perché apporta sostanze nutritive utili all'occhio, a cominciare dalla vitamina A. Sono noti i casi di persone che sono guarite da semi-cecità con una dieta ricca di tuorlo d'uovo.

Secondo numerosi studi, un uovo al giorno può prevenire la degenerazione maculare a causa dell’alto contenuto di carotenoidi, in particolare luteina e zeaxantina. Questi due nutrienti risultano essere particolarmente assimilabili dal nostro organismo soprattutto dalle uova. Altri studi hanno rivelato che le persone che mangiano uova ogni giorno riducono il loro rischio di sviluppare cataratta, soprattutto a causa di luteina e zeaxantina.

Un tuorlo d’uovo al giorno vi sembra eccessivo? Sentite qua:

-   L’Harvard School of Public Health considera sicuro, nel caso di persone diabetiche o con problemi di cuore un consumo di non più di tre tuorli d’uovo a settimana.

-   Le raccomandazioni dell’American Heart Association riguardo il colesterolo in persone sane sono di non più di un tuorlo e mezzo al giorno.

-   Studi recenti sull’andamento del colesterolo di persone sane che consumavano da uno a tre tuorli d’uovo al giorno non hanno mostrato un significativo impatto sui livelli di colesterolo. I ricercatori hanno concluso che fino a tre tuorli al giorno non provocano alcun danno all’organismo.

-   Studi recenti rivelano che è il consumo di grassi saturi quello che ha il maggiore impatto sul livello ematico di colesterolo, più che l’assunzione di colesterolo. E un uovo – fatto poco noto – ha pochissimi grassi saturi: un uovo grande ha appena 1,6 grammi di grassi saturi, una quantità paragonabile a poco più di 100 grammi di latte parzialmente scremato. Tanto per fare il paragone, un cucchiaio di burro ha 7 grammi di grassi saturi.

Ne possiamo concludere che un tuorlo al giorno di uovo piccolo, per una persona sana è perfettamente sicuro, e nel caso si abbiano problemi di salute, tre tuorli a settimana sono una quantità che non darà alcun problema.

Capsule con estratto secco di mirtillo, o mirtilli surgelati (si trovano facilmente nei supermercati: quelli freschi costano troppo) o succo di mirtillo aiutano a migliorare la microcircolazione nella retina e a mantenere gli occhi sani. Inoltre, la vitamina A  e il succo di mirtillo, che veniva fatto bere ai piloti della Seconda Guerra Mondiale per migliorare la visione notturna, partecipano alla rigenerazione della porpora retinica, recettore della luce per la visione a bassa intensità luminosa. La porpora retinica è un pigmento fotosensibile (rodopsina), che si trova nei bastoncelli della retina, che ha la caratteristica di decomporsi con una luce a bassa intensità, generando un impulso nervoso. In questo modo potrete abbassare la luce con cui studiate, ed aumentare ancora il tempo di lavoro prima che soprggiunga arrossamento e stanchezza oculare.

Le piante forniscono un precursore di vitamina A che si chiama betacarotene. Mangiare diverse porzioni a settimana di ortaggi giallo-arancioni (zucca, carota, ecc.) aiuta ad apportare provitamina A.

Gli occhi, con l'età, perdono una parte della funzionalità di umidificazione. A questo proposito, più efficienti dei colliri sono le cosiddette "lacrime artificiali", delle gocce che creano una pellicola che protegge l'occhio più a lungo di un normale collirio. Un ottimo prodotto, che viene da un marchio come Novartis, è "Gen Teal", che è disponibile anche nella formulazione con acido ialuronico (Gen Teal HA).

Il tipo e l’intensità della luce con cui si lavora sono tra i fattori più importanti da tenere sotto controllo per evitare l’arrossamento degli occhi. Certe luci artificiali bruciano più vitamina A. Se avete una fonte luminosa ricca di infrarossi (come le lampadine domestiche) e ultravioletti gli occhi si affaticheranno e lacrimeranno dopo pochissimo tempo, molto più velocemente che con una luce appositamente studiata.

Una luce lievemente azzurrina, non solo farà irritare gli occhi molto meno della luce calda e ricca di infrarossi delle normale lampadine, ma secondo alcuni studi pare che incrementi anche la concentrazione. Tanto è vero che recentemente la Philips ha messo in commercio una lampada che produce questa illuminazione per lo studio, la Philips GoLITE BLU Energy Light (la potete trovare su Amazon).

Anche l’uso di un dimmer è indispensabile, per aggiustare la luce al grado di stanchezza degli occhi.

Un sistema completo da questo punto di vista e ancora più avanzato è il sistema hue Philips (no, non ricevo soldi per pubblicizzare i prodotti Philips!), anch’esso illustrato in questo documento (clicca sul link).

Ricordate infine che se dovete leggere per diverse ore, la raccomandazione che usualmente si sente: "per leggere è necessaria una buona illuminazione" non va assolutamente interpretata nel senso di una illuminazione intensa: per evitare arrossamenti e lacrimazioni dovete tenere l'illuminazione alquanto bassa, al minimo indispensabile per leggere senza sforzo. Una illuminazione violenta su un foglio bianco per diverse ore al giorno, non solo provoca bruciori e irritazioni, ma può a lungo andare danneggiare l'occhio: ne sanno qualosa i raccoglitori di uova di tartaruga dei paesi tropicali, che diventano ciechi per il continuo riverbero della spiaggia bianca sulle loro retine.

La sera, se state di fronte ad un monitor, abbassate al minimo la sua luminosità e, per evitare affaticamento nervoso, se non dovete consultare documenti che avete sul tavolo, abbassate col dimmer la luce ambiente, in modo da ridurre ulteriormente la quantità di illuminazione (inutile) che l’occhio riceve. Questo, di abbassare la luce ambiente mentre si lavora col monitor è un consiglio che molti sottovalutano, ma che in realtà consente di lavorare per ore davanti allo schermo senza risentire fatica o arrossamento.

Anche l’uso di lenti da vista scurite (non sto parlando di lenti semplicemente antiriflesso, che pure sono utili) da mettere al posto di quelle chiare verso la fine della giornata di lavoro al computer, può allungare i tempi di affaticamento dell’occhio.

 

 

E' preferibile acquistare il farmaco generico, oppure quello originale?

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Acquistare farmaci generici è decisamente sconsigliabile per varie ragioni: a) gli standard di efficacia terapeutica a cui devono soddisfare sono ridotti rispetto agli originali; b) gli eccipienti sono di dubbia qualità; c) la sperimentazione clinica, essendo farmaci a basso costo, è fatta in modo insufficiente; d) si sono addirittura verificati casi di generici che non bloccano le crisi epilettiche mentre il farmaco originale lo fa. A buon intenditor poche parole.

 

 

Consumare soia? In che forma? In che quantità? Alcune cose che dovete sapere prima di prendere la vostra decisione.

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riassunto dell’articolo: la soia è un potente allergene, e inoltre contiene fitati, che limitano l’assorbimento di importanti minerali, e isoflavoni, che hanno potenti effetti ormonali ancora poco chiari. la soia non fermentata (tofu, latte di soia) contiene troppi fitati e il suo consumo va limitato a due porzioni a settimana, cercando se possibile di cuocerla e accompagnarla con altre fonti proteiche e minerali. esistono anche altre strategie per  inattivare i fitati (vedi).

la soia fermentata (tempeh, natto) e la “carne di soia” ottenuta da proteine di soia isolate industrialmente sono prive di fitati, ma hanno ancora gli isoflavoni: data l’incertezza sui loro effetti sull’organismo, anche questi alimenti vanno consumati nella misura di non più di tre porzioni a settimana. la soia non può e non deve diventare la base della vostra dieta e tantomeno di quella dei vostri bambini.

le proteine della “carne di soia” sono denaturate e di basso valore biologico, inoltre occorre controllare attentamente l’etichetta di questo prodotto perché non vi compaia la dicitura “grassi vegetali” (si tratta di oli tropicali dannosi). qualche medico ha denunciato il rischio che il processo industriale di isolamento delle proteine della carne di soia rilasci alte quantità di alluminio (che è una potente neurotossina e induce alzheimer e demenza senile), nitriti e lisinoalanina (una tossina dannosa) nel prodotto commercializzato a cui viene pure addizionato glutammato sodico.

ricordate comunque che secondo il china study, non necessitano proteine per più del 10% delle calorie giornaliere consumate, quindi consumare troppe proteine di soia è quantomeno inutile.

deve astenersi precauzionalmente dal consumo di soia chi ha disfunzioni della tiroide, anemia, rischi ereditari di cancro al seno.

la soia va assolutamente integrata con altre fonti di proteine, siano esse animali (ottimo il pesce o l’albume d’uovo) o vegetali (semi, seitan, legumi complementati con pasta).

e’ consigliabile acquistare prodotti da soia biologica, non tanto perché non ogm, ma perché la soia ogm può contenere residui molto pericolosi di pesticidi.

 

  La soia è un potente allergene: controllate se il consumo di soia genera flatulenze, problemi intestinali o astenia, e in tal caso astenetevi decisamente

Mentre gli orientali, Cinesi e Giapponesi in testa, sono da millenni assuefatti al consumo di soia, questo alimento rappresenta per gli occidentali una novità assoluta, e, come è capitato per altri alimenti di recente immissione, come i kiwi, esso può dare problemi di intolleranza.

  La soia eccessivamente manipolata (hamburger, hot-dog, gelati alla soia e simili) non apporta i danni derivanti dai fitati (ridotto assorbimento di minerali), ma neanche alcun beneficio alla vostra salute, in quanto le proteine sono denaturate. Inoltre il procedimento di estrazione delle proteine non inattiva gli isoflavoni, i cui effetti sulla salute sono estremamente controversi. Va quindi applicata la regola del consumo con moderazione (non più di 3 porzioni a settimana).

La maggior parte degli alimenti trasformati a base di soia venduti come sostituti della carne, sono fatti con proteine ​​di soia isolate e trasformate, spesso con l'aggiunta di monodigliceridi degli acidi grassi e altre sostanze che li rendono più palatabili. Chi diventa vegano spesso consumando questi alimenti cerca di non privarsi dei piaceri della tavola di cui godeva in passsato, e inizia a consumare formaggio di soia, panna di soia, hamburger di soia, hot dog di soia, gelato di soia, yogurt di soia.

L’esano è un composto impiegato da alcune industrie per separare la componente oleosa da quella proteica nei fagioli di soia. Le proteine vengono poi utilizzate per produrre “carni” vegetali e altri prodotti basati su isolati proteici. L’esano è potenzialmente pericoloso sia per i lavoratori che per l’ambiente, ma non ci sono evidenze di pericolosità per i consumatori e l’Unione Europea pone dei limiti di 30 mg/kg (30 ppm) come residuo massimo nei prodotti di soia. Comunque, qualora si consumino isolati proteici, come forma cautelare sarebbe preferibile scegliere aziende biologiche, che prediligono processi meccanici come l’estrusione ad alte temperature o i trattamenti a vapore.

Ma con queste manipolazioni vengono perse tutte le qualità positive ascritte alla soia: funzione protettiva dei tumori, abbassamento del colesterolo totale e del colesterolo LDL “cattivo”, aumento del colesterolo HDL “buono”, riduzione dei trigliceridi. Ecco cosa dice in proposito Umberto Veronesi nel suo libro La dieta del digiuno:

 

La soia dovrebbe far parte della nostra alimentazione in modo regolare perché ha tante virtù benefiche. Ma non sto parlando di alimenti di altro tipo cui siano state aggiunte le proteine della soia: al contrario, i benefici si hanno grazie al consumo di soia non trattata con troppe procedure che ne eliminano quasi le virtù. I fagioli della soia, insomma.

 

Nell’espressione “fagioli della soia”, come spiega successivamente l’illustre oncologo, si intendono ricompresi prodotti come tofu e latte di soia, a cui potremmo sicuramente aggiungere miso, tempeh e natto, tutti alimenti ricavati da millenni con procedimenti rigorosamente naturali senza alcuna separazione chimica delle proteine della soia.

  La soia eccessivamente manipolata (hamburger, hot-dog, gelati alla soia e simili) potrebbe contenere comunque sostanze nocive, la cui presenza va attentamente controllata. Anche le intolleranze andrebbero controllate, perché le proteine isolate sono più allergeniche.

Ecco il procedimento di produzione delle proteine isolate di soia che sono l’ingrediente base della cosiddetta “carne di soia”, come riportato dai medici Sally Fallon e Mary Enig, nel quadro di un articolo fortemente critico sul consumo di soia:

L’isolato di proteine di soia, o proteine isolate della soia (SPI) è un prodotto industriale ottenuto a partire dagli scarti della produzione di olio di soia, che contengono proteine sgrassate. Essi vengono dapprima mescolati con una soluzione alcalina per eliminare le fibre, poi precipitati e separati utilizzando un lavaggio acido e finalmente neutralizzati in una soluzione alcalina. Il lavaggio acido in serbatoi di alluminio introduce alti livelli di alluminio nel prodotto finale. Il prodotto finale è essiccato con il metodo spray ad alta temperatura per produrre polvere di proteine. A questo processo può seguire un processo di estrusione ad alta temperatura e ad alta pressione delle proteine isolate di soia per ottenere un prodotto chiamato TVP (proteine tissutali vegetali). Questo processo ad alta temperatura rimuove la maggior parte degli inibitori della tripsina presenti nella soia, ma non tutti. La percentuale di inibitori della tripsina presente nel prodotto finale può variare di cinque volte. Nei ratti di laboratorio persino queste proteine producono un livello di crescita più basso rispetto agli animali del gruppo di controllo). Il procedimento ad alta temperatura denatura gli aminoacidi delle proteine, rendendoli largamente inutilizzabili dall’organismo. E’ questa la ragione per cui gli animali nutriti con le proteine della soia necessitano un supplemento di lisina per la crescita normale. Durante il processo di essiccazione spray si formano nitriti, potenti sostanze cancerogene, e una tossina chiamata lisinoalanina si forma durante i processi di alcalinizzazione. Numerosi aromi artificiali, tra cui il glutammato monosodico, sono aggiunti alle proteine isolate di soia per mascherare il loro forte e sgradevole sapore di fagiolo crudo. Esperimenti di laboratorio hanno mostrato che la nutrizione con SPI aumenta il fabbisogno di vitamine E, K, D, B12 e crea sintomi da deficienza di calcio, magnesio, manganese, molibdeno, rame, ferro e zinco. Gli animali di laboratorio mostravano ipertrofia di tiroide e pancreas e un incremento dei depositi di acidi grassi nel fegato.

Come si vede, uno dei pericoli è la possibile presenza di alluminio, una temibile neurotossina che può provocare demenza senile e Alzheimer.

Un altro pericolo è la presenza di “oli tropicali” (olio di palma, di cocco, di palmisti, di miristica), che sono terribilmente aterogeni. Quando leggete “oli vegetali” tra gli ingredienti, siete praticamente certi che si tratti di tali olii, che costituiscono l’80% di quelli impiegati dall’industria alimentare. Dal 2014 dovrebbe comunque entrare in vigore la normativa europea che impone di dichiarare il tipo specifico di olio utilizzato.

L’olio di cocco, che si può trovare in una nota marca di gelati “vegetariani” a base di soia, è il meno dannoso degli oli tropicali, perché è quasi neutro rispetto ai lipidi plasmatici (ma non del tutto). Si tratta comunque di un alimento controverso, perché contiene acido miristico (13-18%) e acido palmitico (8-10%), che sono fortemente aterogeni. La scelta se assumerlo è lasciata al consumatore.

Sia l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) che l’Aha (American heart association), così come le maggiori entità legiferanti in ambito di sicurezza degli alimenti, si sono pronunciate, consigliando, come detto, un consumo limitato di tutti questi oli, principalmente per l’alta percentuale di grassi saturi e la conseguente tendenza a alzare i livelli di colesterolo e aumentare così il rischio di patologia cardiovascolare.

Un altro pericolo è la possibile presenza di grassi idrogenati.

  Una valida alternativa o variazione alle proteine vegetali della soia è il seitan, composto dalle proteine vegetali del grano e di altri cereali. Anche mangiare insieme soia e albume d’uovo ben cotto può apportare grandi quantità di proteine.

Il seitan è un alimento altamente proteico ricavato dal glutine del grano tenero o da altri cereali, un vero e proprio concentrato, alternativo alle altre fonti proteiche. Secondo la ricetta tradizionale, il seitan si ottiene estraendo il glutine dalla farina di frumento, successivamente lo si impasta e lo si lessa in acqua insaporita con salsa di soia, alga kombu e altri aromi. Di aspetto simile alla carne, il suo sapore è invece più delicato e la sua consistenza più morbida, anche se spesso quest’ultima varia da un tipo di seitan all’altro.

Quanto al valore proteico dell’albume d’uovo, consultate in questo documento l’articolo sulle virtù delle uova.

  I prodotti tradizionali a base di soia (tofu, tempeh, latte di soia, natto, yoghurt), anche se più “naturali” dei prodotti industriali manipolati chimicamente (hamburger, hot-dog, gelati) non devono comunque diventare la base della vostra dieta: la soia è un alimento ancora controverso, e qui più che mai va applicata la regola base di una alimentazione razionale: variare gli alimenti ed assumerli con misura; inserire la soia nel quadro di una dieta bilanciata che comprenda carne o pesce o comunque altre fonti di proteine. I prodotti con soia non fermentata (tofu e latte di soia) non dovrebbero essere assunti più di due volte a settimana. Complessivamente le assunzioni di prodotti derivanti dalla soia non sovrebbe superare le 4 porzioni a settimana.

La cosa più sorprendente della soia non sono le sue (supposte) virtù alimentari, ma il fatto che ancor oggi, a distanza di vent’anni dalla sua immissione su larga scala nel mercato (inizio anni ’90) il dibattito sui benefici, ma soprattutto sugli effetti negativi del suo consumo infuria ancora con estrema asprezza, esattamente come venti anni prima.

Ecco un elenco di presunte qualità negative della soia:

   La soia contiene fitati, un antinutriente che impedisce l’assimilazione di minerali come calcio, magnesio, rame, ferro e zinco.

L’acido fitico, presente nella crusca o nella cuticola di tutti i semi, inclusi i cereali e la soia, è una sostanza che può bloccare l’assorbimento di minerali essenziali, come calcio, magnesio, rame, ferro, e specialmente zinco, nel tratto intestinale. La soia contiene percentuali di fitati nettamente superiori a quelle di altri legumi e dei cereali. La massima concentrazione si ha nel fagiolo di soia e nella farina di soia.

   La soia favorisce il cancro

Sebbene studi epidemiologici abbiano dimostrato che i giapponesi, che consumano fino a 30 volte più soia degli americani, abbiano una più bassa incidenza di cancro al seno, all’utero e alla prostata, essi hanno però una incidenza più alta di altri tipi di cancro, in particolare dell’esofago e del fegato. Gli asiatici hanno anche una maggiore incidenza di cancro alla tiroide.

I fitoestrogeni della soia comportano un più elevato rischio di cancro al seno per le donne in menopausa e di cancro al pancreas negli animali di laboratorio.

   La soia provoca deficienze nel funzionamento della tiroide

Gli isoflavoni della soia possono inibire la perossidasi tiroidea (enzima coinvolto nella sintesi degli ormoni tiroidei), e provocare ipotiroidismo, anche cronico e sono documentati casi di gozzo negli infanti alimentati con latte di soia. Negli USA, quando ad una persona viene diagnosticato ipotiroidismo, la prima raccomandazione è smettere di consumare soia.

   Gli isoflavoni della soia danneggiano il meccanismo di funzionamento di numerosi ormoni dell’organismo, turbando profondamente il suo equilibrio ormonale

100 grammi di proteine di soia forniscono una quantità di isoflavoni corrispondenti al contenuto di una pillola anticoncezionale.

Particolarmente impressionante è la testimonianza della giornalista Marian Burros che racconta che quando stava scrivendo il suo articolo sulla soia, tutti e diciotto gli scienziati intervistati si sono rifiutati di sottoscrivere l’affermazione che assumere isoflavoni non comporta alcun rischio.

   La soia provoca perdita della libido e femminilizzazione negli uomini e diminuisce la funzione spermatica.

Recentemente sono stati segnalati negli USA due casi di ginecomastia e disfunzione erettile che sono cessate interrompendo il consumo di soia. Una pubblicazione epidemiologica del 2008 ha trovato che gli uomini in una clinica di fertilità avevano minori concentrazioni di sperma se consumavano maggiori quantità di soia. Sono in corso studi sulla possibilità che gli isoflavoni contenuti nella soia alterino la produzione di testosterone negli uomini: gli isoflavoni sono dei composti che si legano ai recettori degli estrogeni, ii principali ormoni sessuali femminili, e per questo sono studiati ed utilizzati da anni per bilanciare gli ormoni delle donne in menopausa. I risultati degli esperimenti sembrano negativi, gli isoflavoni sembrano modulare la produzione di estrogeni nelle donne in menopausa, ma non alterare la produzione di testosterone e quindi la fertilità nei maschi adulti, ma gli studi sono appena iniziati, volete fare parte delle cavie che tra qualche decina di anni ci riveleranno gli effetti reali della soia non fermentata sulla salute umana?

   La soia provoca danni allo sviluppo di neonati e bambini di entrambi i sessi e malformazioni del feto

L’inibizione dell’assorbimento di minerali provoca malnutrizione. Intolleranze non diagnosticate possono provocare eruzioni cutanee, disturbi intestinali, febbre e vomito.

I neonati e bambini nutriti con latte di soia hanno nel loro sangue una quantità di isoflavoni molto maggiore degli adulti, equivalente agli estrogeni contenuti in cinque pillole anticoncezionali. Questo può provocare deficienza tiroidea e può interferire con gli effetti del testosterone che maschilizza il feto dei futuri bambini, il che potrebbe avere serie conseguenze (è noto che madri che prendono alte dosi di pillole anticoncezionali possono partorire bambini con aspetto femminile e con le gonadi non fuoriuscite, una sindrome simile all’AIS o Androgen Insensitivy Syndrome).

Alcuni studi suggeriscono che il consumo di soia sia una delle cause della pubertà prematura che si riscontra con sempre maggior frequenza nelle bambine occidentali. Sono stati anche associati al consumo infantile di soia disturbi dell’umore, asma, deficienze immunitarie e pituitarie.

Persino i più strenui difensori della soia ammettono che non è raccomandata a bambini con ipotiroidismo congenito e a quelli nati prematuri, in quanto il latte vaccino si è rivelato migliore per lo sviluppo osseo.

   La soia provoca infarti

La soia contiene emoagglutinina, che provoca l’aggregazione delle cellule sanguigne con conseguente rischio di infarto e ictus per soggetti già predisposti.

   La soia provoca deficienze cognitive e demenza

Uno studio prospettico, condotto alle Hawaii su anziani di provenienza asiatica (Honolulu-Asia Aging Study), ha associato il consumo di tofu alla degenerazione cognitiva senile. Uno studio dall’Indonesia, indagando le capacità cognitive in un  gruppo di persone tra i 52 e i 98 anni, ha riscontrato che il consumo di tempeh era associato a migliori risultati nei test di memoria, mentre il consumo di tofu sortiva effetti opposti.

   La soia è un potente allergene, provoca intolleranze e disturbi intestinali

La maggior parte degli esperti pone le proteine della soia tra i primi otto allergeni tra tutti gli alimenti.

   La soia è inquinata dai pesticidi

Il 90% della produzione mondiale di soia è OGM. E la soia non biologica ha una delle più alte percentuali di contaminazioni da pesticidi rispetto a qualsiasi altro cibo. Quasi sempre si tratta della varietà roundup ready, della Multinazionale Monsanto, che è stata manipolata con l’ingegneria genetica per resistere a pesanti dosi di pesticidi senza che la pianta muoia. Il principio attivo degli erbicidi usati in questi casi si chiama glofosato, responsabile della distruzione del delicato equilibrio ormonale del ciclo riproduttivo femminile. E’ un distruttore endocrino che interferisce con l’aromatasi, un enzima che produce estrogeni. In più, il glifosato è tossico per la placenta, responsabile della trasmissione dei nutrienti vitali dalla mamma al bambino e dell’eliminazione dei prodotti di scarto. Una volta che la placenta viene danneggiata o distrutta, può avvenire un aborto. In quei bambini nati da madri esposte anche a una piccolissima dose di glicofosfato, si possono riscontrare diversi difetti di nascita.

   La maggior parte della soia che mangiamo è geneticamente modificata

Il 90% della produzione mondiale di soia è ottenuto da soia geneticamente modificata. E’ persino tollerata per legge una percentuale di inquinamento OGM anche nella soia biologica

Secondo le biologhe Sally Fallon e Mary Enig, la quantità di soia assunta dagli asiatici nella loro dieta non è così elevata come si pensa: uno studio del 1988 ha riscontrato un consumo giornaliero medio in Giappone di 8 grammi per gli uomini e 7 per le donne. Il famoso China Study ha trovato che il consumo di legume in Cina varia da 0 a 58 grammi al giorno, con una media di circa 12 grammi. Assumendo che due terzi dei consumi di legumi riguardino la soia, otteniamo una consumo massimo di 40 grammi giornalieri.

Altre fonti indicano quantità più alte, ma anch’esse sostengono che nei paesi asiatici la soia non è consumata in misura superiore a 1,5 porzioni al giorno. E le “porzioni” dei giapponesi sono notoriamente scarse. Come già detto, Cinesi e Giapponesi non fanno comunque della soia la base – o l’unica base – della loro alimentazione. I cinesi in particolare mangiano anche carne, mentre i giapponesi mangiano anche pesce.

  La soia, inserita in una alimentazione vegana e a base di cereali integrali, richiede più cautele e controlli che se inserita in una alimentazione onnivora o latto-ovo-vegetariana.

I fitati dei cereali integrali si aggiungono a quelli della soia per inibire l’assorbimento di minerali da parte dell’organismo

  Il pesce è una alternativa altrettanto salutare della soia. Molti popoli orientali (Giapponesi in testa) non sono vegani né vegetariani, ma assumono la soia insieme al pesce.

L’unica voce negativa è quella di Colin Campbell, uno degli autori del China Study, che afferma perentoriamente che tutte le proteine di origine animale, yoghurt magro e pesce compreso,  in confronto alle proteine di origine vegetale conducono ad un aumentato rischio di cancro.

  Tenete presente che recenti pubblicazioni, come il China Study, sostengono che le proteine in una dieta non devono superare il 10% delle calorie totali, e non assumete più proteine della soia di quanto sia necessario.

  Acquistate solo e rigorosamente prodotti ottenuti con soia biologica e non ogm

La soia geneticamente modificata può dare maggiori problemi di intolleranza

  Sempre per la questione dei suoi controversi effetti negativi, è consigliabile utilizzare la soia per l’alimentazione adulta piuttosto che per quella dei lattanti o dei bambini. La cosa in assoluto più irresponsabile è somministrare la soia a lattanti e bambini nel quadro di un’alimentazione vegana (solo alimenti vegetali, senza carne, uova, latte o pesce), con poche fonti alternative di proteine.

  I prodotti di soia non fermentata (tofu e latte di soia) vanno assunti adottando misure per minimizzarne gli effetti negativi

I prodotti a base di soia non fermentata contengono alte percentuali di fitati, che limitano l’assorbimento di minerali. Ecco una serie di misure da adottare per minimizzare questo inconveniente:

   La fermentazione riduce significativamente la quantità di fitati. In Cina molti hanno l’abitudine di far fermentare anche il tofu prima di mangiarlo.

   Alcuni esperti affermano che anche col semplice calore, riscaldando o cuocendo i cibi, i fitati si riducono. In Giappone molti hanno l’abitudine di consumare la soia cotta (ad es. bollita in un brodo di pesce).

   In Giappone un tipo di pasto tradizionale con il tofu prevede la sua assunzione insieme a un brodo di pesce ricco di minerali, seguito da una porzione di pesce.

   L’inibizione dell’assorbimento di minerali può essere contrastata da molti elementi nutritivi, come acidi organici, acido lattico, acido ascorbico e proteine.

   50 grammi di vitamina C sono in grado di inattivare i fitati di un pasto medio. 80 mg di vitamina C sono in grado di inattivare 25 g di fitati. Fonti particolarmente ricche di vitamina C sono la guaiava, peperoni, kiwi, arance, pompelmi, fragole, meloni, cavoini di bruxelles, papaya, broccoli, patate dolci, ananas, cavolfiore, cavolo riccio, succo di limone.

   L’aceto può contribuire ad inattivare i fitati e a migliorare l’assorbimento di minerali.

   Non mangiate la soia insieme ad altri cibi ricchi di fitati, come cereali integrali, legumi, mandorle, anacardi, noci del brasile

   Sono disponibili in commercio preparati a base di enzima fitasi che possono essere assunti durante i pasti.

   Coloro che utilizzano un multivitaminico e multiminerale potrebbero essere meno vulnerabili ai fitati.

   Aggiungere proteine animali (tranne quelle dei prodotti caseari, che sembrano addirittura favorire l’inibizione dell’assorbimento di ferro e zinco) può migliorare l’assorbimento di ferro, zinco e rame.

   Assumere fermenti probiotici per mantenere in buone condizioni la propria flora intestinale può garantire un pH basso del tratto digestivo.

  I prodotti a base di soia (tofu, tempeh, natto) La soia andrebbe preparata nei modi tradizionali in cui viene preparata in Cina e Giappone per minimizzare gli effetti negativi del suo consumo.

In Cina, non di rado il tofu viene fatto fermentare prima di essere mangiato.

In Giappone il tofu viene spesso cotto prima di essere mangiato.

Un tradizionale pasto giapponese con il tofu prevede la sua assunzione insieme a un brodo di pesce ricco di minerali, seguito da una porzione di pesce.

In Cina e Giappone il tofu è spesso accompagnato da altri alimenti proteici

In Giappone il tofu è alternato a prodotti di soia fermentata (tempeh e natto)

  Il fagiolo di soia o la farina di soia non andrebbero consumati, ma solo la soia lavorata con metodi tradizionali (tofu, tempeh, miso, natto).

La soia contiene percentuali di fitati nettamente superiori a quelle di altri legumi e dei cereali. La massima concentrazione si ha nel fagiolo di soia e nella farina di soia.

Il fagiolo di soia bollito o la farina di soia sono prodotti troppo grezzi: solo con la lavorazione il loro tenore di fitati, un antinutriente che impedisce l’assimilazione di minerali come calcio, magnesio, rame, ferro e zinco.

Inoltre, la soia grezza (farina e fagiolo) possiede molti più allergeni della soia trasformata con metodi naturali.

Quanto al pane multicereali, non dovreste prendere quello che contiene anche la farina di soia: infatti, la farina di soia ha tempi di panificazione più lunghi delle altre farine, e quindi il pane o il panino viene estratto prima che la sua farina sia completamente cotta. Questo fa sì che gli elementi antinutrizionali contenuti nella soia (vedi altro articolo sulla soia) non siano inattivati. Il pane risulta quindi di più difficile assimilazione.

  Coloro che hanno problemi di ipotiroidismo o di anemia o di malassorbimento di minerali, o rischi ereditari di cancro alla mammella devono astenersi dal consumare la soia

  Tenete d’occhio la letteratura medica per eventuali segnalazioni negative riguardo la soia, e per eventuali segnalazioni riguardo i possibili effetti positivi dei fitati che alcuni studi recenti sostengono compensano quelli negativi (malassorbimento di minerali)

Poiché la controversia scientifica sulle presunte qualità negative della soia ancora è in corso, il consiglio è tenere d’occhio i blog di medicina e la letteratura scientifica e divulgativa per avere sempre informazioni aggiornate.

Quanto ai fitati, che sono, come detto, degli inibitori dell’assorbimento di minerali, studi recenti hanno messo in evidenza anche non pochi effetti positivi:

   effetti antiossidativi: legando i minerali impediscono la formazione di radicali liberi

   effetti preventivi della calcificazione patologica: calcoli renali, calcificazione delle arterie e dei vasi del cuore, formazione di placche aterosclerotiche)

   Diminuzione dell’insulino-resistenza: regola la secrezione pancreatica di insulina e può ridurre il picco glicemico, facendovi sentire sazi più a lungo

   abbassamento dei livelli di colesterolo

   attività anticancro: aumentano l’attività delle cellule-killer e inibiscono la crescita dei tumori. L’incidenza del cancro alla mammella e alla prostata è minore. Anche quella del cancro al colon, perché diminuire la presenza di ferro nel colon sembra essere un fattore protettivo. I fitati sembrano diminuire gli effetti collaterali della chemioterapia.

   protezione dall’accumulo di metalli pesanti.

Alcuni esperti arrivano a suggerire che le proprietà protettive dei cereali integrali sono dovute in larga parte ai fitati.

 

 

Il problema dei fattori antinutrizionali nei vegetali, in particolare il problema dei fitati. Occorre rinunciare ai cereali integrali e alla soia?

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La scienza alimentare è ben lungi dall’aver raggiunto certezze conclusive su un gran numero di importanti questioni.

Tanto per fare qualche esempio, non è assolutamente ancora chiaro se gli OGM facciano bene o male per la salute; non è ancora chiaro se il consumo di soia possa comportare effetti negativi; non è ancora chiaro se la sterilizzazione dei cibi con raggi gamma a scopo di conservazione sia innocua o meno; ci sono coloro che ritengono che il forno a microonde danneggi il cibo e coloro che citano studi che dimostrano il contrario; è molto controversa la questione degli integratori alimentari (vitamine, minerali e aminoacidi); non si è ancora ben stabilita la giusta quantità di attività fisica giornaliera: e si potrebbe continuare ancora per molto.

Uno dei problemi sul tappeto è quello dei fattori antinutrizionali negli alimenti, e in particolare quello dei fitati. I fautori della dieta vegetariana e a base di cereali integrali, si vedono opporre l’obiezione che i cereali integrali e la soia contengono quantità molto alte di “fitati”, dei composti chimici che ostacolano l’assorbimento dei principi nutritivi, in particolare dei minerali, creando delle serie deficienze.

L’acido fitico, presente nella crusca o nella cuticola di tutti i semi, inclusi i cereali e la soia, è una sostanza che può bloccare l’assorbimento di minerali essenziali, come calcio, magnesio, rame, ferro, e specialmente zinco, nel tratto intestinale.

I fitati fanno parte della più vasta categoria dei “fattori antinutrizionali”, che sono dei composti, presenti nei cibi, che inibiscono l’assorbimento dei nutrienti o provocano altri danni. Altri casi ben noti di fattori antinutrizionali sono quello dell’alcaloide tossico solanina nelle patata (ancora nei Seicento, con le prime varietà di patate selvatiche importate dal Nuovo Mondo, i contadini morivano per intossicazione) o quello dell’avenina (un componente dell’albume dell’uovo che, se non inattivato con la cottura, inibisce l’assimilazione dei principi nutritivi). Sebbene il nostro corpo, dopo centinaia di migliaia di anni di consumo di vegetali abbia sviluppato una discreta immunità ad alcuni “antinutrienti”, o “pesticidi naturali”, come vengono chiamati, questo non è vero – o non lo è completamente –per altri di essi.

Quanto c’è di vero nell’allarme riguardante i fitati? Ebbene, non scandalizzatevi, ma la risposta di chi scrive è: “non saprei”!

Questo è un tipico caso in cui l’atteggiamento più ragionevole è: a) seguire lo sviluppo del dibattito scientifico in attesa di certezze conclusive; b) consumare con moderazione e variare gli alimenti (vedi ad esempio l’articolo sulla soia).

Riportiamo alcuni brani tratti dalla letteratura sull’argomento, che forniscono qualche informazione aggiuntiva.

 

breve lezione sui fattori antinutrizionali nei vegetali

Nella pianta e nei semi i fattori antinutrizionali agiscono primariamente come biopesticidi, proteggendo contro muffe, batteri, attacchi di predatori.

Classificazione dei fattori antinutrizionali 

  fattori che hanno un effetto depressivo sulla digestione proteica e sulla utilizzazione delle proteine (inibitori della tripsina e della chimotripsina, lectine o emoagglutinine, composti fenolici, saponine); 

  fattori che hanno un effetto negativo sulla digestione dei carboidrati (inibitori dell’amilasi, composti polifenolici, fattori di flautolenza); 

  fattori che hanno un effetto negativo sulla digestione e sulla utilizzazione dei minerali (glicosinolati, acido ossalico, acido fitico, gossipolo); 

  fattori che inattivano le vitamine o causa un incremento nel fabbisogno di vitamine (antivitamine); 

  fattori che stimolano il sistema immunitario (antigeni). 

 

fattori antinutrizionali in alcuni alimenti di

comune consumo (i cereali sono integrali)

alimento

inibitori

tripsina

lectine

composti

polifenolici

altri

Frumento

+-

-

-

-

Mais

+-

-

-

-

Segale

++

-

-

-

Orzo

+-

-

++

-

Soia

+++

++

+

+++

Fava

+

+

++

+++

Pisello

+

++

++

+

Girasole

+.

-

++

++

Arachidi

-

-

++

-

 

contenuto di fitati in alcuni vegetali

alimento

grammi di acido fitico

per 100 grammi

di alimento secco

Grano

0,52 – 1,05

Granturco

0,62 – 1,17

Orzo

0,85 – 1,18

Avena

0,90 – 1,42

Piselli

0,72 – 1,23

Lupini

0,76 – 1,63

Segale

0,54 – 1,46

Miglio

0,18 – 1,67

Riso

0,06 – 1,08

Arachidi

0,17 – 4,47

Mandorle

0,35 – 9,42

Noci

0,20 – 6,69

Anacardi

0,19 – 4,98

Noci del Brasile

0,29 – 6,34

Pistacchi

0,29 – 2,83

Nocciole

0,23 – 0,92

Noci di macadamia

0,15 – 2,62

Noci di pecan

0,18 – 4,52

Pinoli

0,2

Fagioli di soia

1,0 – 2,22

Proteine di soia isolate

0,82

Tofu

0,1 – 2,9

Semi di lino

2,15 – 3,69

Semi di colza

2,50

Semi di girasole

3,9 – 4,3

 

principali effetti dei fattori antinutrizionali sugli animali

(eccettuati i ruminanti)

Lectine

- danni alla parete dello stomaco

- reazioni immunitarie

- alterazione assorbimento nutrienti

- tossicità metabolica

Inibitori enzimi

proteolitici

- riduzione attività enzimi (tripsina e chimotripsina, necessari per la digestione delle proteine)

- ipertrofia pancreatica

Inibitori di

alfa-amilasi

- inibizione amilasi salivare e pancreatica

- riduzione disponibilità amidi

Tannini e composti

polifenolici

- formazione di complessi con enzimi o con proteine alimentari

- riduzione digeribilità proteine

Fattori di flatulenza

- disordini gastrointestinali

Antigeni

- danni alla parete dello stomaco

- risposte immunitarie

Acido fitico

- formazione di complessi con minerali e proteine

- riduzione assorbimento minerali e proteine

Vicina/Convicina

- anemia emolitica

- riduzione fertilità

- alterazioine schiusa uova nei volatili

Saponine

- emolisi

- alterazione permeabilità intestinale

Glicosinolati

- inibizione produzione T3-T4, gozzo

- lesioni renali ed epatiche

Acido ossalico

- ipocalcemia

- gastroenterite

- danni renali (calcoli renali)

Gossipolo

- anemia da ridotta disponibilità di ferro

- riduzione peso uova nei volatili

Alcaloidi

- disturbi nervosi

- riduzione appetibilitù

Sinapine

- odore di pesce (uova, carne)

 

Tra i fattori antinutrizionali più importanti abbiamo:

  Lectine (o emoagglutinine) Generalmente glicoproteine, ad alta affinità per gli zuccheri, resistenti alla proteolisi. Esistono nelle leguminose diversi tipi di lectine, a diversa tossicità; diverso può essere l’effetto tossico della stessa lectina tra le specie animali. L’attività delle lectine può essere misurata mediante emoagglutinazione dei globuli rossi o mediante ELISA. Le lectine riducono la digeribilità dei nutrienti. Vengono inattivate dal trattamento termico (100 °C; 15 min -  estrusione 145°C; 16 s). 

  Inibitori delle proteasi I principali tipi riscontrabili in leguminose (soia soprattutto) e cereali sono inibitori della tripsina e della chimotripsina. Si tratta di peptidi che formano complessi inattivi e stabili con enzimi pancreatici, con conseguente aumento del rilascio di colecistochinina (stimolo pancreatico). Determinano un aumento delle perdite endogene di proteine. Inattivate dal trattamento termico (120°C; >15 min). 

  Tannini Polifenoli di varia complessità chimica. Contenuto estremamente variabile negli alimenti (sorgo, cotone, fave). Formano negli alimenti complessi  con proteine e carboidrati; formano complessi anche con enzimi digestivi. Determinano una riduzione della digeribilità, dell’ingestione di alimento, danni all’app. gastrointestinale, riduzione dell’assorbimento di minerali.

 

breve lezione sui fitati nei cereali integrali

Cariosside è il nome dato al frutto secco (chicco) delle graminacee. La cariosside dei cereali è composta da tre parti: l’embrione, l’endosperma e il tegumento. L’endosperma è formato da tue tessuti: l’endosperma amilaceo, formato da cellule dalla parete sottile e ricche di amido utilizzato per l’alimentazione umana, e lo strato di aleurone. Le cellule dell’aleurone hanno pareti spesse e contengono numerosi organuli che accumulano proteine e sono chiamati granuli di aleurone o corpi proteici. L’embrione o germe è una piccola formazione, di solito posto in prossimità della superficie del seme, che, ingrandito al microscopio, riproduce la struttura della pianta adulta: in esso sono riconoscibili un abbozzo del futuro fusto, uno della radice e una o più foglie embrionali o cotiledoni.

Lo strato aleuronico è uno sottile strato di cellule presente tra il pericarpo esterno e l’endosperma (amido) della cariosside di cereale. È un tessuto ad elevato valore nutrizionale per l’elevata percentuale di proteine di tipo solubile (albumine e globuline), oltre a lisina, amilasi e proteasi, agenti della degradazione dell’amido e delle proteine di riserva durante il processo di germinazione. Nell’aleurone sono inoltre contenuti sia fibra alimentare, che sali minerali, ma anche acido fitico.

Il tegumento è il rivestimento esterno, quello che nei frutti è la parte polposa chiamata pericarpo, e invece in un frutto-seme come la cariosside, è saldato al seme o episperma.

Tutti i vegetali contengono fitati

L’acido fitico o “fitato” (“fitati”) è un composto largamente presente nel cibo vegetale. A causa della sua struttura molecolare, l’acido fitico può interferire con l’assorbimento intestinale di minerali e microelementi nell’uomo e negli animali. Molti studi sugli esseri umani si sono perciò concentrati sugli effetti dei fitati sull’assorbimento e sulle deficienze di minerali. Attualmente gli studi indicano che i fitati presenti nella dieta possono avere proprietà benefiche, producendo effetti antiossidativi, anticancro e anticalcificazione.

Cosa sono i fitati?

Il fitato, e cioè il mio-inosotol-esachifosfato, è un sale dell’acido fitico largamente distribuito in tutti i semi e anche le cellule delle piante. Radici, tuberi e altri vegetali ne possiedono quantità più basse. Serve come riserva di fosforo e minerali e contiene l’80% del fosforo delle piante. Oltre i fitati, altri fosfati di inositolo sono presenti nei semi, ma in quantità molto minore. Nei cereali, il fitato è localizzato per l’80% nello strato aleuronico, ma si trova anche nel germe, mentre l’endosperma amilaceo è praticamente privo di fitati. Durante la germinazione del seme il fitato è idrolizzato e vengono liberati fosforo, calcio, magnesio e ferro, in tal modo resi disponibili per la creazione del germoglio e della pianticella.

Fonti di fitati

Le principali fonti di fitati nella dieta sono cereali e legumi, ma anche semi oleosi e noci. Questi cibi sono importanti nella dieta umana e rappresentano il 40-60% dell’apporto calorico giornaliero rispettivamente nei paesi in via di sviluppo e nei paesi sviluppati. I cereali sono ricchi di fitati, ne contengono in media l’1%, con punte del 2,2% dell’alimento secco. La crusca di grano ne ha fino al 7,2% e la crusca di riso fino ne ha fino a 8,7% dell’alimento secco. Nei semi delle leguminose i fitati si trovano in prevalenza nei corpi proteici dell’endosperma, e variano dallo 0,2 al 2,9%. Nei semi oleosi come semi di girasole, semi di soia, semi di sesamo, semi di lino e nei semi di colza il fitato contenuto l’acido fitico varia tra 1% e 5,4%. Nei concentrati di soia si sono rilevati contenuti del 10,7%. Nelle noci, nocciole, mandorle e negli anacardi il contenuto varia dallo 0,1% al 9,4%, con le mandorle in testa. La concentrazione di fitati può variare in relazione dalle verietà coltivate, dalle condizioni climatiche e da differenti stadi di maturazione del seme.

Assunzione di fitati

Studi clinici sulla quantità di fitati assunti mediamente da un essere umano sono molto rari. I dati che si trovano nella letteratura sono inferiti dalla composizione e quantità della dieta nei vari paesi del Mondo. Da un livello basso (250-350 mg) nella dieta occidentale più tradizionale, si passa a livelli maggiori (500-800 mg) nelle diete occidentali con un apporto più alto di cereali integrali e altri cibi vegetali ricchi di fitati, per arrivare ai livelli alti (superiori a 1000 mg) nelle diete ricche di vegetali e di cibi contenenti fitati come quelle vegetariane. Nei paesi in via di sviluppo, con un’alta percentuale di cereali e legumi nella dieta, si possono riscontrare consumi giornalieri di fitati di 2000 mg o più.

Studi fatti su popolazioni che seguivano la dieta mediterranea hanno rilevato una assunzione giornaliera di 1000-2000 mg di acido fitico (gli studi hanno rilevato che questo apparentemente non provocava stress all’organismo).

Il consumo di fitati mostra forti variazioni non solo tra paesi industrializzati e in via di sviluppo, ma anche tra aree urbane e rurali, tra maschi e femmine, tra giovani ed adulti, tra onnivori e vegetariani.

Influenza dei fitati sull’assorbimento dei minerali

Le autorità sanitarie di tutto il mondo raccomandano un aumento del consumo di cereali e legumi integrali, in quanto fonti di fibre, di numerosi componenti bioattivi, vitamine, minerali e microelementi.

Un alto contenuto di fitati in questi prodotti è stato considerato un fattore limitante della biodisponibilità dei minerali: ferro, zinco, manganese, calcio, magnesio e rame. I fitati riducono anche la digeribilità di proteine, amidi e grassi.

I ruminanti possiedono una flora batterica che produce l’enzima fitasi, che inattiva i fitati, ma gli esseri umani e gli animali “monogastrici” no.

Il consumo di 5-10 mg di acido fitico può ridurre l’assorbimento del ferro del 50%. I vegetariani dovrebbero quindi procurarsi più ferro (33 mg al giorno) rispetto agli onnivori (18 mg al giorno).

Strategie per inattivare i fitati

Ovviamente, mangiando semi privati del tegumento, come orzo perlato, riso brillato o farine non integrali, i fitati spariscono quasi completamente. Ma esistono delle strategie per inattivarli in parte o in tutto anche nei prodotti integrali.

I fitati sono degradati in parte (37 – 66%) nello stomaco e nell’intestino tenue. Normalmente il nostro corpo regola la quantità di fitati assorbiti. I livelli di vitamina D influenzano il livello di fitati: più sono alti, più alta è la quantità di fitati che riceve il nostro organismo.

L’inibizione dell’assorbimento di minerali può essere contrastata da molti elementi nutritivi, come acidi organici, acido lattico, acido ascorbico e proteine.

50 grammi di vitamina C sono in grado di inattivare i fitati di un pasto medio. 80 mg di vitamina C sono in grado di inattivare 25 g di fitati. Fonti particolarmente ricche di vitamina C sono la guaiava, peperoni, kiwi, arance, pompelmi, fragole, meloni, cavoini di bruxelles, papaya, broccoli, patate dolci, ananas, cavolfiore, cavolo riccio, succo di limone.

L’aceto può contribuire ad inattivare i fitati e a migliorare l’assorbimento di minerali.

Sono disponibili in commercio preparati a base di enzima fitasi che possono essere assunti durante i pasti.

Coloro che utilizzano un multivitaminico e multiminerale potrebbero essere meno vulnerabili ai fitati.

Aggiungere proteine animali (tranne quelle dei prodotti caseari, che sembrano addirittura favorire l’inibizione dell’assorbimento di ferro e zinco) può migliorare l’assorbimento di ferro, zinco e rame.

Assumere fermenti probiotici per mantenere in buone condizioni la propria flora intestinale può garantire un pH basso del tratto digestivo.

I minerali sono anche maggiormente disponibili in cibi fermentati, come ad esempio pane lievitato. Nei paesi con diete ben bilanciate gli effetti inibitori dei fitati sono scarsi e non rappresentano un problema significativo. In diete sbilanciate o in caso di malnutrizione, come avviene nei paesi in via di sviluppo, gli effetti inibitori dei fitati possono condurre a seri deficit. Questi gruppi di persone, che possono anche trovarsi in paesi occidentali, devono incrementare l’assunzione dei minerali nella dieta o aumentarne la biodisponibilità. I fitati possono essere degradati mediante processi di manipolazione del cibo come l’ammollo, la germinazione, la maltificazione (germinazione controllata del cereale), fermentazione, come pure dall’aggiunta dell’enzima fitasi, che idrolizza il fitato. A questo scopo si utilizza un mezzo liquido che varia a seconda del seme. In condizioni ottimali per l’enzima fitasi (55°C, pH 4,5-5,0) il fitato può essere effettivamente ridotto dopo 12-16 ore di ammollo. L’acidità della impasto per il pane è di grande importanza per la degradazione dei fitati. Si è visto che l’utilizzazione di pasta madre (il 10% sul totale fornisce un pH tra 4,4 e 5,0) riduce i fitati in modo più efficiente rispetto all’uso del semplice lievito. Dopo otto ore di fermentazione a 37°C si ottiene una riduzione del 65% dei fitati in un pane lievitato solo con lievito e una ben maggiore riduzione del 97% in un pane lievitato con pasta madre.

La fermentazione riduce il numero di gruppi fosfati del fitato, e i fitati con un numero di gruppi fosfati inferiori a 5 non inibiscono l’assorbimento dello zinco, mentre i fitati con un numero di gruppi fosfati inferiori a 3 non inibiscono l’assorbimento del ferro. Inoltre, alcuni acidi prodotti durante la fermentazione possono favorire il processo di assorbimento.

Anche il far germogliare i semi e la maltizzazione provocano la degradazione di una parte della fitasi.

Alcuni esperti affermano che anche col semplice calore, riscaldando o cuocendo i cibi, i fitati si riducono

Proprietà favorevoli dei fitati

I fitati presenti nella nostra dieta hanno ricevuto molta attenzione come “antinutrienti”, ma studi più recenti mostrano gli effetti benefici dei fitati riguardo parecchie malattie del benessere:

  effetti antiossidativi: legando i minerali impediscono la formazione di radicali liberi

  effetti preventivi della calcificazione patologica: calcoli renali, calcificazione delle arterie e dei vasi del cuore, formazione di placche aterosclerotiche)

  Diminuzione dell’insulino-resistenza: regola la secrezione pancreatica di insulina e può ridurre il picco glicemico, facendovi sentire sazi più a lungo

  abbassamento dei livelli di colesterolo

  attività anticancro: aumentano l’attività delle cellule-killer e inibiscono la crescita dei tumori. L’incidenza del cancro alla mammella e alla prostata è minore. Anche quella del cancro al colon, perché diminuire la presenza di ferro nel colon sembra essere un fattore protettivo. I fitati sembrano diminuire gli effetti collaterali della chemioterapia.

  protezione dall’accumulo di metalli pesanti.

Alcuni esperti arrivano a suggerire che le proprietà protettive dei cereali integrali sono dovute in larga parte ai fitati.

 

rassegna della letteratura sull’argomento

 

In questo brano si afferma che, sebbene la soia abbia un alto contenuto di fitati, l’assorbimento di minerali come ferro e zinco è comunque sufficiente anche se ridotto.  Nei prodotti a base di soia fermentati questo problema è ulteriormente ridotto

L’acido fitico è presente in molti cibi vegetali integrali, ma la soia ne ha quantità mediamente maggiori. Questo tipo di composto è importante per la prevenzioiine della perossidazione lipidica, l’ossidazione del ferro nei tessuti del colon-retto e la calcolosi renale, ma inibisce l’assorbimento di alcuni minerali. Inibizione non significa però che l’assorbimento non avvenga: il calcio viene generalmente assorbito a livelli comparabili con quelli dal latte di mucca; lo zinco tra il 10 e il 20% ed il ferro fino al 30% (che è un valore elevato e alcuni prodotti a base si soia  sono particolarmente ricchi di questo minerale, senza contare che cibi ricchi di vitamina C possono aumentarne ulteriormente l’assorbimento. I prodotti fermentati (tempeh, miso, natto) hanno di per sé una migliore bio-disponibilità.

(dal sito www.comedonchisciotte.org)

 

In questo brano si afferma che consumare la soia non fermentata può dare seri problemi (non si accenna al problema dei fitati in particolare, ma è chiaro che si parla anche di questo). Gli asiatici consumano la soia fermentata e hanno l’abitudine di cuocere il tofu. E comunque il loro sistema digestivo è adattato da millenni al consumo di soia.

Nei paesi asiatici, i prodotti consumati a base di soia sono sempre fermentati, anche il tofu in cina viene spesso fatto fermentare prima di essere cucinato. Miso, slasa di soia, tempeh, natto, sono tutti alimenti fermentati in modo naturale, e consumati da millenni dalle popolazioni asiatiche senza problemi per la loro salute, anzi, questo processo naturale aumentano il valore nutritivo di questo alimento.In oriente non bevono latte di soia tutte le mattine, non consumano germogli crudi, non mangiano la soia gialla in scatola, non mangiano il tofu crudo, almeno da quello che mi risulta. E soprattutto non sono vegani e neanche vegetariani. Quindi per loro la soia é un'aggiunta alla dieta, non un sostituto giornaliero ad altri cibi.

E soprattutto i loro corpi sono abituati da millenni al consumo di soia, puoi dire lo stesso di noi occidentali? Loro hanno enzimi nell'intestino per digerirli. Come faricano a digerire i latticini perché manca loro l'enzima lattasi che negli occidentali si é sviluppato nel tempo a causa del consumo di latte. Io scrivo in pubblico, e sono ben consapevole di quello che dico.

(dal sito www.greenme.it)

 

Nei brani che seguono si afferma che quando i fagioli di soia vengono trasformati in latte, tofu, tempeh, miso, i fattori antinutrienti vengono praticamente inattivati

 

E’ vero che la soia, come molti vegetali, ha composti anti-nutrienti. Ma quando viene cotta, fermentata, arrostita o fatta germogliare, ci si libera degli anti-nutrienti. Citiamo dal dott. Andrew Well: “Non esistono dati scientifici che suggeriscano che il consumo di soia conduca ad una deficienza di minerali negli esseri umani. E’ vero che le proteine contenute nei fagioli di soia bolliti sono leggermente meno digeribili di quelle della maggior parte degli alimenti animali. Comunque, quando i fagioli di soia sono trasformati in latte di soia, tofu, tempeh e le altre comuni preparazioni della soia, la digeribilità delle loro proteine aumenta e diviene paragonabile a quella del cibo animale. In tali cibi l’azione degli inibitori degli enzimi che si trovano nei fagioli di soia è praticamente irrilevante. E persino i fagioli di soia, pur con la loro ridotta digeribilità, hanno un così elevato contenuto di proteine e in amminoacidi essenziali che al bisogno possono comunque fungere, da soli, come fonti di proteine nella dieta di una persona.

(dal sito www.zenhabits.net)

 

Recentemente ha avuto ampia diffusione l’articolo contro il consumo di soia dei giornalisti Sally Fallon e Mary G. Enig intitolato “Tragedia e battage pubblicitario”. In esso si afferma che “il fagiolo di soia contiene grandi quantità di tossine naturali o “antinutrienti”, inclusi potenti enzimi inibitori che bloccano l’azione della tripsina e di altri enzimi necessari per la digestione delle proteine. Essi possono produrre seri malfunzionamenti dell’organismo, ridotta digestione delle proteine e serie deficienze nell’assorbimento di aminoacidi”.

Sebbene vi sia un nucleo di verità in queste affermazioni, tuttavia esse sono largamente esagerate. E’ vero che le proteine nel fagiolo bollito di soia sono lievemente meno digeribili della maggior parte di quelle di origine animale. Tuttavia, quando i semi di soia sono trasformati in latte di soia, tofu, tempeh e le altre comuni preparazioni della soia, la digeribilità delle loro proteine aumenta ed è paragonabile a quella del cibo animale. Ogni effetto negativo sulla digeribilità delle proteine dovuto ad enzimi inibitori contenuti nel fagiolo di soia è praticamente azzerato da tali preparazioni. E comunque i fagioli di soia hanno un contenuto così alto di proteine e di aminoacidi essenziali che potrebbero comunque rappresentare l’unica fonte di proteine nella dieta di una persona.

(dal sito www.johnrobbins.info)

 

Nei brani che seguono si afferma che l’acido fitico, presente in tutti i cereali integrali e nella soia, può bloccare l’assorbimento di calcio, magnesio, rame e ferro, e che il fagiolo di soia ne contiene una quantità elevatissima. Pertanto non è consigliabile mangiare prodotti a base di soia non fermentata.

 

La soia è ricca di acido fitico, presente nella crusca o nella cuticola di tutti i semi. L’acido fitico è una sostanza che può bloccare l’assorbimento di minerali essenziali, come calcio, magnesio, rame, ferro, e specialmente zinco, nel tratto intestinale. La soia ha un livello di fitati più elevato di qualsiasi altro cereale o legume che sia mai stato studiato, e i fitati presenti nella soia sono estremamente resistenti alle tecniche normalmente usate per ridurli, come la lunga e lenta cottura. Solo un lungo periodo di fermentazione riduce significativamente il contenuto di fitati della soia. Quando i prodotti della soia precipitati, come il tofu, vengono consumati con della carne l’effetto di bloccare l’assimilazione dei minerali, normalmente causato dai fitati, è ridotto. I giapponesi mangiano tradizionalmente una piccola quantità di tofu o miso come ingrediente di un brodo di pesce ricco di minerali, seguito da una porzione di carne o pesce.

I vegetariani che consumano tofu e caglio di fagioli come sostituti della carne e dei latticini rischiano gravi carenze di minerali. Gli effetti della carenza di calcio, magnesio e ferro sono ben noti; quelli dello zinco sono meno conosciuti. Lo zinco è chiamato il “minerale dell’intelligenza”, perché è necessario per lo sviluppo e il funzionamento ottimale del cervello e del sistema nervoso. Gioca un ruolo importante nella sintesi delle proteine e nella formazione del collagene; è coinvolto nei meccanismi di controllo dei livelli di glicemia ed in questo modo protegge dal diabete; inoltre è necessario per un sistema riproduttivo sano. La carne di manzo biologica è ricca di questo nutriente importante, a differenza della soia.

(dal sito www.addominaliperfetti.com)

 

Gli asiatici seguono da sempre una dieta ricca di soia fermentata, che è l’unica ad offrire benefici per la salute. La soia non fermentata è stipata di acido fitico, un fattore antinutrizionale che assorbe ogni nutriente vitale dal corpo. Inoltre, esso blocca l’assorbimento di minerali essenziali come calcio, magnesio rame e ferro.

Chi consuma abitualmente e apprezza il tofu, è meglio ne interrompa l’utilizzo poiché si tratta di un prodotto derivato dalla soia non fermentata. Quindi la promessa che la soia possa prevenire l’osteoporosi, diminuire il rischio di malattie cardiovascolari e la demenza senile, che protegga dal rischio di cancro alla prostata, al fegato e ai polmoni è veritiera ma solo se la soia è fermentata. Questo poiché la fermentazione della soia distrugge le sostanze dannose di cui si è parlato in precedenza, rendendola adatta al consumo alimentare. I prodotti derivati dalla soia fermentata sono ricchi di vitamina K2, che insieme alla vitamina D agisce a beneficio della saluta. La vitamina K regola la coagulazione del sangue e previene cancro, osteoporosi e malattie cardiache. La vitamina K regola la coagulazione del sangue e previene cancro, osteoporosi e malattie cardiache. La vitamina D è essenziale per qualsiasi funzione dell’organismo.

(dal sito www.generazionebio.com)

 

Nel brano che segue, tratto da una delle più complete rassegne sui benefici e gli effetti negativi della soia, ad opera di una associazione vegana statunitense, si afferma che dal panorama delle ricerche recenti emerge che è improbabile che 1-2 porzioni di soia al giorno possano provocare deficienza di calcio, zinco, magnesio o ferro, specie se la soia viene fatta fermentare.

Il fagiolo di soia contiene acito fitico, conoscito anche come fitato, che può inibire l’assorbimento di calcio, zinco, ferro e in qualche caso magnesio. Molti vegetali integrali contengono fitati, ma la soia ne ha più di tutti. Mentre l’acido fitico ha una cattiva reputazione, esso ha anche qualche effetto positivo. Nel loro riesame del 2002 sulla letteratura scientifica sull’interazione di minerali e acido fitico, Lopez e colleghi notano che i fitati possono prevenire la perossidazione dei lipidi, l’ossidazione del ferro nel colon-retto e i calcoli renali prodotti dal calcio.

Tre studi effettuati su un campione di adulti hanno mostrato che il calcio è assorbito dalla soia in una percentuale comparabile a quella del latte vaccino. Uno studio su ragazzi cinesi ha trovato che il calcio veniva assorbito al 43% da latte di soia, mentre il calcio da latte vaccino era assorbito al 64%.

Sebbene due meta-analisi del 2010 e del 2008 abbiano entrambe trovato che supplementi di isoflavoni di soia di 80-90 mg al giorno ncrementano la densità ossea nelle donne in menopausa, una sperimentazione clinica più recente ha trovato scarso beneficio da un supplemento di 80-120 mg al giorno per tre anni. Esistono numerosissime evidenze che la soia non danneggia le ossa; incluso uno studio incrociato dalla Università Cinese di Hong Kong (2003) che ha trovato che le donne che mangiano più soia (10 grammi al giorno di proteine di soia o un quantitativo maggiore) avevano una densità ossea maggiore di quelle del gruppo che ne assumeva una quantità minore.

Gli studi hanno mostrato che lo zinco è assorbito per il 10-20%

Il ferro da cibo vegetale non è in genere assorbito con la stessa facilità del ferro proveniente da carni animali. Ma un tipo di ferro della soia, la ferritina, è assorbita per circa il 30% da soggetti con ridotte riserve di ferro e questa è una percentuale alquanto alta. La ferritina costituisce una larga percentuale del ferro dei fagioli di soia (circa il 90%). Alcuni prodotti a base di soia hanno un accettabile contenuto di ferro, incluso il tofu molto rassodato (3,35 mg. in mezza tazza), l’edamame (1,75 mg. in mezza tazza) e le soy nuts (1,7 mg in un quarto di tazza). Non c’è alcuna ragione per preoccuparsi che moderati quantità di soia possano causare deficienza di ferro. Si noti anche che aggiungendo vitamina C ai pasti  (in una dose di circa 100 mg) si è riscontrata un significativo aumento nell’assorbimento di ferro dai vegetali da parte di numeroso studi. Uno studio non ha riscontrato alcun effetto, ma due hanno riscontrato un significativo aumento dell’assorbimento di ferro dal latte di soia per bambini con una formula appositamente studiata.

Non si è trovato alcuno studio sull’effetto della soia sull’assorbimento del magnesio. Si è trovato che i fitati legano il magnesio, perciò non dovrebbe sorprendere la eventuale scoperta che il magnesio nella soia è assorbito in percentuale più bassa rispetto agli altri cibi. I vegetali a foglia verde, i cereali integrali e i semi sono le migliori fonti di magnesio e le persone che mangiano tali cibi aggiungendovi alcune porzioni di soia al giorno non dovrebbero correre pericoli di deficienza di magnesio.

 

 

Leggiamo su libri e riviste che ogni giorno assumiamo con frutta e verdura una micidiale quantità di pesticidi (prodotti contro parassiti ed insetti). Quali rischi corro? Devo passare ai prodotti biologici?

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i pesticidi nella frutta e nella verdura che mangiamo

Bisogna sbucciare la frutta prima di mangiarla per paura dei pesticidi presenti sulla buccia? Si sente e si legge di tutto al riguardo: che non si dovrebbe comperare frutta «trattata», e che addi­rittura i pesticidi utilizzati sono cancerogeni. La paura dei residui di pesticidi nel cibo è abbastanza diffusa, e probabil­mente è anche per questo che negli ultimi anni gli alimenti da agricoltura biologica hanno aumentato le loro quote di mercato e godono del favore di molti consumatori. Ma si tratta di una preferenza fondata?

L'agricolrura moderna fa largo uso della chimica per proteggere le colture da infestanti e parassiti. Le sostanze impiegate sono collettivamente identificate dal termine «pesticidi» e comprendono gli erbicidi per eliminare le pian­te infestanti, gli insetticidi, i fungicidi e così via. Queste sostanze sono strettamente regolamentate. Alcune si possono usare solamente per determinate colture e in dosi ben specificate. In più l'agricoltore deve rispettare i cosid­detti «tempi di carenza», ossia un intervallo di sicurezza tra l'ultimo trattamento e la raccolta. Il rispetto dei tempi di carenza serve a garantire la salubrità delle derrate alimentari in commercio, lasciando il tempo al pesticida di degradarsi e di ridurre la propria concentrazione sul prodotto desti­nato al consumo.

La gran parte di queste sostanze non può essere utilizzata da chi coltiva alimenti biologici, la cui produzione è disci­plinata in Europa da un regolamento del Consiglio della CEE. l Secondo i principi enunciati in quel documento, la protezione delle colture da insetti, piante infestanti, funghi o altro deve avvenire senza l'ausilio di pesticidi di sintesi ma solo utilizzando quelli di origine naturale (ad esempio la famiglia di molecole chiamate piretroidi, il batterio Bacillus thuringiensis o il rotenone) oppure alcune sostanze usate tradizionalmente quali il solfato e l'idrossido di rame, lo zolfo, la paraffina, alcuni oli minerali e cosl via. Abbiamo già discusso del fatto che «naturale-» non significa necessariamente «innocuo». Limpatto ambientale di alcune di queste sostanze è tutt' altro che trascurabile. Il rotenone ad esempio, per via della sua tossicità, è in via di eliminazione dai protocolli di coltivazione biologica mentre i sali di rame, ampiamente utilizzati ad esempio nella coltivazione della vite, sono sostanze tossiche che non vengono elimi­nate facilmente dal terreno. Esistono prodotti di sintesi meno dannosi di alcune sostanze ammesse in agricoltura biologica, ma poiché sono contrari alla «filosofia» del bio­logico non si possono utilizzare, anche se il loro impatto ambientale è minore.

In alcuni rari casi l'agricoltore biologico può fare uso di sostanze normalmente non permesse, ad esempio quando vi è un incombente pericolo per le coltivazioni, oppure quando le autorità nazionali impongono la cosiddetta «lotta obbligatoria» a particolari parassiti.

È indubbio tuttavia che l'agricoltore biologico disponga di «armi» più ridotte (e meno efficaci) per proteggere le proprie piante rispetto a chi coltiva in modo tradizionale, ed è anche per questo che il metodo biologico è conside­rato da molti «amico dell'ambiente». Di questo aspetto in relazione alla biodiversità ci occuperemo in un prossimo capitolo.

Il consumatore di cibi biologici non si aspetta di tro­vare residui di pesticidi di sintesi (quanto a quelli naturali, non è detto che sappia che si possono usare) e ritiene, per questo motivo, che questi alimenti siano più «sicuri». Un sondaggio di Eurobarometro riporta che il 28 per cento dei cittadini europei si ritiene «molto preoccupato» per i residui di pesticidi nella verdura, nella frutta e nei cereali. Il 42 per cento si dichiara «abbastanza preoccupato». In Italia queste percentuali sono rispettivamente addirittura del 37 cento e del 49 per cento.!

La legislazione (sia europea sia nazionale) stabilisce che i residui presenti nei prodotti in commercio non debbano superare un certo limite'. Questi valori sono spesso inter­pretati dal consumatore come soglie di sicurezza. In realtà, come ci ricorda l'Autorità europea per la sicurezza alimen­tare (EFSA), «nella maggior parte dei casi queste soglie sono ben al di sotto dei livelli tossicologicamente accettabili»: anche quando «i residui eccedono i limiti di legge, non significa necessariamente che la salute del consumatore sia a rischio. In questo caso è necessario fare una stima dell' espo­sizione probabile e confrontare questi dati con i valori di riferimento tossicologici, al fine di stabilire se il cibo pone un rischio sanitario al consumatore»."

 

limiti per il biologico

È importante chiarire che le colture biologiche non sono sottoposte a livelli più restrittivi di pesticidi rispetto a quelle tradizionali. Ovviamente ci si aspetta che ce ne siano meno, o che non ce ne siano del tutto, ma la certificazione non è sul prodotto finale bensì sul metodo di produzione. Questo è uno degli equivoci di fondo che l'agricoltura biologica si porta dietro sin dalla nascita. I controlli a cui le aziende del settore sono periodicamente sottoposte accertano che la produzione non si avvalga, ad esempio, di sostanze non autorizzate. Questo però non implica che non si possano trovare nel prodotto finale, perché potrebbero provenire da una contaminazione del suolo o dell' acqua, o essere stati aggiunti nelle fasi di trasporto o di stoccaggio. Non c'è nulla nei regolamenti che obblighi i prodotti finali ad avere determinate caratteristiche, proprio perché la legislazione si occupa solo del metodo di produzione. Vi ricordate quando, nel capitolo precedente, abbiamo discusso di come si dia spesso molta importanza ai «metodi di produzione» mentre si dovrebbe più correttamente spostare l'attenzione verso i prodotti finali? Ecco, questo è un caso da manuale.

I controlli sulla salubrità dei prodotti venduti in Italia vengono effettuati dal ministero della Salute attraverso vari laboratori autorizzati sparsi sul territorio. Vengono moni­torati, con controlli a campione, i livelli massimi accettati di residui di pesticidi, i livelli di tossine dovute a funghi e muffe, i livelli di contaminazione microbiologica e così via. I prodotti biologici e quelli convenzionali debbono sotto­stare agli stessi limiti di legge, non essendo previsti valori specifici per il biologico.

Le ricerche svolte negli ultimi anni dimostrano che gli alimenti convenzionali con residui di pesticidi oltre i limiti sono una piccola percentuale (nell'Unione europea il 3,99 per cento). Per i prodotti biologici il dato è ancora inferiore (1'1,24 per cento). Nel caso degli alimenti per bambini, che hanno vincoli più restrittivi, solo lo 0,6 per cento non era conforme alla legge.

I campioni fuori norma solitamente non rappresentano una minaccia per la salute. Nel caso di rischi potenziali con­siderati inaccettabili si agisce riducendo i livelli permessi elo revocando il permesso d'uso di alcune sostanze.

In Europa il continuo monitoraggio degli alimenti che assumiamo ne garantisce la sicurezza e rende i rischi sani­tari derivanti dai residui di pesticidi estremamente piccoli (non possono essere nulli perché nessuna attività umana è esente da rischi, per quanto ridotti). Sono molto più ele­vati, a volte anche con esito fatale, ad esempio i rischi da avvelenamento e intossicazione microbiologica.

L'uorno tuttavia non è un essere perfettamente razionale e spesso basa le sue decisioni e il suo agire non sui rischi effettivi ma sulla loro percezione. Nel caso dei pesticidi il rischio percepito è sicuramente molto superiore a quello effettivo. Ecco perché alcune persone si rivolgono ai pro­dotti biologici, anche se sono più costosi. C'è chi fuma, ad esempio, ma acquista prodotti biologici per ridurre il rischio da pesticidi. Una delle paure più diffuse è che que­ste sostanze possano provocare il cancro. Per capire che cosa c'è di vero dobbiamo esaminare che cosa si intende con la parola «cancerogeno».

 

gli agenti cancerogeni

L'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARe) classifica gli agenti cancerogeni - sostanze chimiche, muffe, virus, batteri, radiazioni e altri elementi che potrebbero causare il cancro negli esseri umani - in cinque categorie.

Il Gruppo 1, «cancerogeni per l'uomo», comprende gli agenti sicuramente cancerogeni per gli esseri umani. Potrà stupire sapere che sono sorprendentemente pochi gli agenti di cui è dimostrata senza ombra di dubbio la cancerogenicità in determinate dosi e circostanze. Accanto ai ben noti benzene, amianto, cadmio, fumo e formaldeide, abbiamo agenti bio­logici come il virus di Epstein-Barr, i virus dell'epatite B e C e il papilloma virus. Ma abbiamo anche la radiazione solare e i raggi X, alcune aRatossine (tossine prodotte da alcune muffe che possono attaccare gli alimenti) e le bevande alcoliche, l'arsenico presente in tracce anche nell' acqua che beviamo e le esposizioni professionali all' alluminio, al catrame per pavi­mentare le strade e così via. Sono in tutto 108 agenti.

Il Gruppo 2A, «probabili cancerogeni per l'uomo», com­prende quegli agenti per cui vi sono prove sufficienti di cancerogenicità sugli animali in laboratorio e prove limitate che lo siano anche per l'uomo, perché ad esempio mancano delle indagini epidemiologiche specifiche. Questo gruppo comprende 66 agenti, tra cui i gas esausti dei motori diesel, le radiazioni ultraviolette, i composti del piombo, il triclo­roetilene, alcune nitrosammine che si generano anche dai nitriti e nitrati che assumiamo dai cibi, un parassita come il Clonorchis sinensis, e il cloramfenicolo, un antibiotico.

Il Gruppo 2B, «possibili cancerogeni per l'uomo», com­prende agenti sui quali esistono prove limitate di cancero­genicità sia sull'uomo sia sugli animali. La lista comprende 248 agenti. Oltre a molte sostanze chimiche che cono­sciamo, composti clorurati, aniline e così via, troviamo anche prodotti curiosi o inaspettati come i vegetali sotta­ceto preparati alla maniera asiatica, il caffè, il fenobarbital, il biossido di titanio usato in vari cosmetici «naturali» e il safrolo contenuto nella noce moscata, nel pepe, nello zaffe­rano e in molte altre spezie.

Il Gruppo 3, «non classificabili come cancerogeni per l'uomo», comprende 515 agenti la cui cancerogenicità per l'uomo o per gli animali non è comprovata da dati suffi­cienti. Insomma, sono solo «sospettati». Anche qui molti nomi noti: ci sono alcune aniline (sono una classe di mole­cole), l'atrazina, la caffeina, la polvere di carbone, alcuni coloranti, la cumarina presente nella cannella e in molti altri vegetali, il diazepam, l'aciclovir, i campi elettrici a bassa frequenza, i fluoruri nell' acqua potabile, il paracetamolo, il tè, le tinture per capelli e molti altri agenti.

Nel Gruppo 4, «probabilmente non cancerogeni per l'uomo», c'è una sola sostanza, il caprolattame, da cui si ricavano varie fibre sintetiche, tra cui il nylon.

Insomma, sappiamo con certezza che 108 agenti sono cancerogeni per l'uomo, e abbiamo fondati sospetti che lo siano altri 66. Altri 248 potrebbero esserlo ma non ne siamo sicuri, mentre 515 agenti non hanno dato prove certe nep­pure sugli animali. In tutto, meno di mille agenti.

E tutti gli altri? Nel campo delle sostanze chimiche, naturali di sintesi, conosciamo milioni di diversi composti chimici, in grande maggioranza sostanze naturali. Che cosa sappiamo del loro effetto sull'uomo? Quasi nulla di certo. Eppure non passa giorno che una certa sostanza o molecola non venga bollata come cancerogena sui giornali. Come è possibile?

 

i test sui roditori

Solamente per poche sostanze incluse nei gruppi dello IARe descritti sopra si sono accumulate indagini epidemiologiche sufficienti per poterle classificare con sicurezza come cancerogene O probabilmente cancerogene per l'uomo. Alcune categorie professionali, per esempio, vengono a contatto durante il loro lavoro con determinate sostanze per tempi prolungati, per cui si sono potute condurre indagini epi­demiologiche sugli effetti a lungo termine dell' esposizione. Tuttavia non è possibile effettuare le stesse indagini per sostanze chimiche per cui si hanno esposizioni molto pic­cole e brevi, come appunto i residui di pesticidi sulla mia mela. Un eventuale effetto nocivo non emergerebbe chiara­mente perché verrebbe nascosto da moltissimi altri fattori quali la dieta e le abitudini di vita.

In linea di principio potremmo scoprire se una determi­nata sostanza è cancerogena per l'uomo effettuando sperimentazioni sugli esseri umani, somministrando voluta­mente in modo controllato e continuativo delle sostanze sospette, e verificare poi quanti soggetti a lungo andare svi­luppano il cancro. Ma è ovvio che un tale esperimento non sarebbe eticamente accettabile.

Come si comporta allora chi deve regolamentare l'utilizzo di sostanze come i pesticidi, gli additivi alimentari, i prodotti che finiscono nei cosmetici e così via? Vista la mancanza di studi epidemiologici, normalmente ci si basa sui test di can­cerogenicità sugli animali, i roditori in particolare. Lassun­zione di fondo è che le sostanze chimiche che inducono il cancro nei roditori sono anche potenziali cancerogeni per l'uomo. «Potenziale» però non significa «certo».

In un test standard sui roditori si somministrano in modo continuativo per un certo periodo dosi elevate della sostanza che si vuole valutare, fino alla massima dose tolle­rata. Si osserva poi l'eventuale insorgenza di patologie, nel nostro caso i tumori.

A questo punto, attraverso modelli matematici che di solito assumono che la probabilità di sviluppare un cancro sia direttamente proporzionale alla dose somministrata, si stabilisce una «dose virtualmente sicura», che corrisponde, secondo il modello, a un massimo rischio ipotetico sugli esseri umani, solitamente l'insorgenza di un cancro ogni milione di persone.

 

un database delle sostanze cancerogene

Andiamo dunque a vedere che cosa dicono questi test. Il Carcinogeni c Potency Database (CPDB)6 è un archivio svi­luppato all'Università di Berkeley da molti scienziati tra cui Lois Swirsky Gold e Bruce N. Ames, e comprende i risul­tati di 6540 test a lungo termine di 1547 sostanze chimiche di varia natura testate su animali.

Bruce Ames è un tossicologo molto autorevole e famoso, docente di biochimica e biologia molecolare all'Università di Berkeley, autore di più di 450 pubblicazioni scientifi­che e ventitreesimo nella classifica degli scienziati di ogni campo più citati negli articoli specializzati. È l'inventore del famoso test di Ames, che consente di valutare in modo veloce la mutagenicità dei composti chimici, cioè la loro capacità di indurre mutazioni genetiche. Insomma, è uno scienziato rispettato e serio.

Esaminando i 193 pesticidi commerciali inseriti nel database si scopre che 79 di questi causano il cancro nelle condizioni specifiche dei vari test," Ciò corrisponde al 41 per cento dei pesticidi testati. I prodotti in commercio sono molti di più di 193, ma è probabile che la percentuale totale di positivi al test non si discosti molto da quella otte­nuta con il campione più piccolo.

Questo dato, apparentemente allarmante, dovrebbe preoc­cuparmi. Analizzando il database emerge un fatto ancora più interessante. Se invece di limitarci ai pesticidi consideriamo in generale le sostanze chimiche di sintesi presenti nell' archivio e non esistenti in natura ma «inventate» dall'uomo, scopriamo che il 60 per cento di queste sostanze è positivo ai test: sono cancerogene per i ratti e i topi.

Lopinione pubblica generalmente tende erroneamente a identificare le «sostanze chimiche» solo con le molecole sintetizzate in laboratorio, e in più associa mentalmente questa «artificialità» a una potenziale tossicità. Lanalisi del database di Ames e Gold parrebbe confermare tale visione. O no?

 

la maggior parte dei pesticidi che ingeriamo è "naturale"

Da chimico però non posso fare a meno di pormi alcune domande: cosa ci sarebbe di «intrinsecamente cancerogeno» nelle molecole create dai chimici e non esistenti in natura? Sono talmente varie come struttura e proprietà che è diffi­cile immaginare una caratteristica che le accomuni tutte se non, appunto, quella di non esistere in natura. E poi perché mi dovrei preoccupare solo delle molecole di pesticidi sin­tetici eventualmente presenti sulla buccia e non anche delle molecole naturali che mi sto ingoiando con la mela?

E questo non vale solo per la mia mela, ma per ogni cibo e bevanda: il 99,99 per cento delle sostanze chimiche che ingeriamo sono naturali." Certo, ci sono le vitamine, le proteine e altre sostanze che normalmente non associamo a pericoli. Ma i vegetali ad esempio producono anche una serie enorme di «pesticidi naturali» per proteggersi dagli attacchi dei funghi, dagli insetti e da altri predatori. Dovrei considerarli innocui solo perché sono naturali? Dopo tutto assolvono lo stesso compito dei pesticidi sintetici: proteg­gere la pianta dalle «pesti», gli organismi nocivi. Gli studi del gruppo di ricerca di Bruce Ames hanno stimato che l'americano medio ingerisce ogni giorno circa 1,5 grammi di pesticidi naturali (e stiamo parlando di migliaia di mole­cole diverse), contro 0,09 milligrammi al giorno di pesticidi di sintesi usati in agricoltura: una dose almeno diecimila volte più bassa." Insomma, la stragrande maggioranza dei pesticidi che ingeriamo è di ori~ine naturale. Come dob­biamo interpretare questo dato? E sensato preoccuparci dei pesticidi sintetici e non di quelli naturali? C'è una qualche differenza tra le due classi? Il nostro corpo non ha certo modo di sapere se una sostanza l'ha prodotta la natura da qualche parte o un chimico in un laboratorio.

 

le nostre difese sono quelle dei cacciatori-raccoglitori

Ci sono motivi per pensare che le sostanze di sintesi deb­bano essere, a causa della loro origine «non naturale», intrinsecamente più pericolose? Qualcuno ne è convinto, e l'argomento è più o meno il seguente: le sostanze naturali esistono da migliaia o addirittura milioni di anni, e l'uomo si è evoluto in loro presenza, in qualche modo adattandosi e producendo delle difese, che invece non ha potuto svi­luppare per le sostanze di sintesi che esistono solo da meno di un secolo. Potremmo chiamare questa argomentazione «l'equilibrio uomo - sostanze naturali». Potrebbe sembrare ragionevole a prima vista. In realtà non lo è, per vari motivi che ora andiamo a esaminare.

Prima di tutto l'uomo, come gli animali, ha sviluppato delle «linee di difesa» piuttosto generali, che non dipen-

dono dalla particolare struttura di una molecola, e quindi funzionano altrettanto bene sia con le molecole naturali sia con quelle di sintesi. Ad esempio, una linea di difesa è costituita dalle cellule superficiali della bocca, dell' esofago, dell'intestino, dello stomaco e cosl via, che intrappolano le sostanze dannose per il nostro organismo impedendone l'ingresso e l'assimilazione. Il nostro corpo poi scarta e rimpiazza queste cellule periodicamente. Se, nonostante le difese esterne, qualche agente estraneo (molecola o micror­ganismo) riesce a penetrare in una cellula e a danneggiare il DNA, allora si mettono in funzione gli enzimi che cercano di ripararlo. Anche qui, non ha molta importanza quale sia l'agente che ha causato il danno. Forse una radiazione, forse una molecola contenuta in una tazzina di caffè o nella tisana alla menta, oppure un pesticida di sintesi o una tos­sina prodotta da una muffa sul mais biologico.

Abbiamo poi degli altri meccanismi di difesa «chimica» piuttosto generali, che agiscono su famiglie di composti piuttosto che su singole molecole. E meno male che è cosl. Dal punto di vista evoluzionistico è sensato che gli animali (uomini compresi) si siano sviluppati in questo modo: avere difese generali invece che molto specifiche ha permesso loro di sopravvivere anche quando l'ambiente circostante e quindi il cibo cambiavano. I nostri avi cacciatori-raccoglitori migra­vano per cercare territori migliori e tro~avano nuovi frutti a cui non erano abituati, ma le loro difese funzionavano comun­que. Da allora sono passate poche decine di migliaia di anni, un tempo troppo breve per raggiungere un «equilibrio» con i pesticidi naturali. Levoluzione e la selezione naturale hanno bisogno di tempi molto più lunghi. I nostri geni sono ancora praticamente quelli del nostro antenato cacciatore-raccogli­tore, solo che, rispetto a lui, noi mangiamo in modo comple­tamente diverso.

Pensate a tutti quegli alimenti che abbiamo introdotto solo da poche centinaia di anni: le patate, i pomodori, il caffè, il cioccolato, il tè, il mais e così via. Alcuni addirit­tura sono arrivati in Italia soltanto di recente. Il caso del kiwi, introdotto nel nostro paese poche decine di anni fa, è emblematico. Gli italiani non l'avevano mai mangiato. Il nostro DNA non poteva certo essere «in equilibrio» con qual­cosa che non aveva mai incontrato. I nostri geni, insomma, non possono essersi evoluti con pomodori, patate, caffè e kiwi. La selezione naturale lavora molto lentamente, e non è possibile che l'uomo sia «in armonia» con il proprio cibo, come a volte si sente dire. È una posizione che di scientifico non ha nulla. A meno che, ovviamente, uno non sia crea­zionista e creda che siamo stati creati direttamente da Dio «in armonia» con i pesticidi naturali.

D'altra parte, l'uomo convive da sempre con molte sostanze tossiche, ma non per questo il nostro corpo ne è diventato immune. Alcuni metalli come il cromo e il cadmio, o elementi come l'arsenico che possiamo trovare nell' acqua che beviamo, sono cancerogeni a dosi elevate. Anche alcuni agenti biologici con cui l'uomo ha contatti da sempre, come le muffe, producono delle tossine estrema­mente tossiche, ad esempio le aRatossine della frutta secca e le fumonisine che a volte contaminano il mais. Anche con queste niente «equilibrio». Purtroppo.

 

anche le molecole n aturali possono sesere cancerogene

Come abbiamo visto, molti degli agenti classificati dallo IAR.C come cancerogeni per l'uomo sono molecole natu­ali. Non pare quindi esserci una differenza di principio Ila pesticidi «naturali» e «artificiali». Nel tentativo di otte-

nere vegetali più resistenti agli attacchi dei parassiti e meno dipendenti dai pesticidi di sintesi sono state selezionate varietà che producono quantità maggiori di pesticidi natu­rali. Come dire: se non la proteggiamo noi, la pianta ci pensa da sola. È capitato ad esempio che una nuova varietà di sedano sviluppata per essere naturalmente resistente agli insetti producesse delle sostanze tossiche in quantità così elevate (otto volte superiore al normale sedano) da imporne il ritiro dal commercio: alcune persone avevano manife­stato forti reazioni cutanee in seguito al semplice contatto con la pianta. IO

Quindi se il nostro corpo ci protegge efficacemente dai pesticidi e dalle molecole naturali potenzialmente tossiche che ingeriamo ogni giorno, ciò avviene sulla base di mecca­nismi generali, non perché il nostro organismo distingua in modo magico e misterioso le molecole create dalla natura da quelle inventate dagli scienziati in laboratorio, per il sem­plice motivo che non esiste alcun modo per distinguerle.

Queste sensate osservazioni si possono mettere alla prova analizzando il database che abbiamo citato prima e conside­rando la cancerogenicità delle sostanze chimiche naturali. È ciò che ha fatto Ames. Considerando 139 sostanze chimiche naturali, 79 di queste (ossia il 57 per cento) sono risultate cancerogene per ratti e topi. Andando invece a considerare 451 sostanze chimiche di sintesi, il 60 per cento di que­ste sono risultate cancerogene. Come vedete, le percentuali sono molto simili. Certo, non stupisce che esistano sostanze naturali tossiche, velenose e pure cancerogene. L'esem­pio banale viene dai funghi mortali. Ma se credete che le sostanze naturali classificate nel database come cancerogene per i ratti siano solo noti veleni vi sbagliate di grosso.

Se vi dicessi che nella tazza di caffè che sorseggiate ogni mattina ci sono delle molecole che risultano cancerogene

per i ratti continuereste a berla? In realtà, su circa mille molecole diverse contenute nel caffè, soltanto trenta sono state esaminate nel saggio di cancerogenicità. Di queste, ben ventuno (ossia il 70 per cento) hanno causato il cancro sui roditori. 11 Una tazzina di caffè ne contiene lO milli­grammi: una quantità equivalente secondo Ames ai residui di pesticidi sintetici che un americano assume in un anno. Degli altri quasi mille composti chimici presenti nel caffè non sappiamo nulla, ma potrebbero risultare anch' essi per il 70 per cento positivi ai test di cancerogenicità, come le sostanze chimiche che sono state testate.

Se avete intenzione, a questo punto, di evitare il caffè per non ingerire quelle sostanze vi devo disilludere. Le molecole cancerogene per i ratti sono presenti sicuramente anche nei seguenti alimenti (e probabilmente in molti altri): mela, albicocca, banana, basilico, cavolo, melone, carote, cavol­fiore, sedano, ciliegie, peperoncino, cioccolato, cannella, chiodi di garofano, mais, ribes, melanzane, cicoria, finoc­chi, aglio, pompelmi, uva, miele, limoni, lenticchie, lat­tuga, liquirizia, tiglio, mango, maggiorana, menta, funghi, senape, noce moscata, cipolla, arancia, paprika, prezze­molo, pesca, pera, piselli, ananas, prugne, patate, ravanello, lamponi, rabarbaro, rosmarino, rape, salvia, santoreggia, semi di sesamo, soia, anice stellato, dragoncello, tè, timo, pomodoro, curcuma, cime di rapa e molti altri.

Insomma, una sostanza chimica non è potenzialmente più cancerogena solo per il fatto di essere stata sintetizzata in laboratorio, e una sostanza naturale non è necessariamente più benigna solo perché l'ha prodotta la natura. Questo fatto va contro il diffuso pregiudizio secondo cui ciò che è naturale è anche benefico. Sarebbe bello che fosse cosl, ma purtroppo è solo un luogo comune, ampiamente sfruttato dal marketing (e vi giuro che mi fa una rabbia!).

Il numero di sostanze sintetiche esistenti è di gran lunga inferiore al numero di sostanze naturali, ma il database uti­lizzato da Ames ne prende in esame una percentuale molto ampia, il 77 per cento. Questo in parte è il risultato anche del pregiudizio a cui accennavo: poiché le sostanze di sin­tesi sono spesso considerate intrinsecamente (ma erronea­mente) più pericolose, allora sono più spesso sottoposte a verifica, mentre della stragrande maggioranza delle molecole naturali con cui veniamo in contatto tutti i giorni non sap­piamo nulla. Anche andando a considerare altre categorie di molecole osserviamo che, grossolanamente, almeno la metà induce il cancro nei ratti. Ciò avviene ad esempio per il 61 per cento delle tossine presenti nei funghi, ma anche per il 44 per cento dei farmaci presenti nel database della Food and Drug Administration (FDA), l'ente pubblico statunitense che si occupa della regolamentazione degli alimenti e dei farmaci.

 

e il modo di cucinare non lo contiamo?

Anche cucinare il cibo porta alla formazione di sostanze chimiche potenzialmente cancerogene. Il furfurale (o furfu­raldeide), ad esempio, è una molecola che si forma quando si scaldano gli zuccheri ad alte temperature (avete presente quando caramellate lo zucchero, la cipolla o altri cibi?) ed è cancerogena per i ratti.

Le nitrosammine sono molecole cancerogene presenti nel fumo del tabacco, ma che si possono formare cuocendo o trattando cibi contenenti nitrati o nitriti. La N-nitrosodieti­lammina (DEN), ad esempio, induce il tumore al fegato nelle SCimmie.

Un' altra categoria di molecole cancerogene e mutagene -le ammine eterocidiche - si formano quando carne e pesce

vengono cotti ad alte temperature, specialmente alla brace o alla griglia. In media negli Stati Uniti (ma in Italia probabil­mente non siamo molto lontani) ogni persona mangia circa due grammi al giorno di materiali bruciacchiati che conten­gono sostanze cancerogene e mutagene per i ratti. Alcune delle sostanze nocive contenute nel caffè vengono prodotte durante il processo di tostatura e ce le ritroviamo anche in altri alimenti tostati: dall'orzo per la birra al cioccolato.

Ci sono poi sostanze come l'alcol etilico che sono debol­mente cancerogene per i ratti, ma che causano cancro al fegato e all' esofago a chi consuma grandi quantità di bevande alcoli­che. Queste infatti sono inserite nel Gruppo 1 dello IARC.

Anche gli additivi e gli aromi che si usano nei cibi, siano essi naturali o sintetici, possono essere cancerogeni per i ratti. La saccarina (E954), un dolcificante che ora è stato parzialmente sostituito da altre sostanze come l'aspartame, è cancerogena per i roditori, ma il suo meccanismo di azione nei ratti non pare rilevante ai fini del metabolismo umano, e quindi lo IARC la classifica nel Gruppo 3.

Non c'è che l'imbarazzo della scelta: le sostanze naturali potenzialmente tossiche contenute nei cibi sono numerose. Alcuni vegetali, ad esempio, hanno la capacità di produrre cianuro: le piante più diffuse di questa classe sono la cas­sava o manioca (da cui si ricava l'omonima farina, chiamata anche tapioca) e i fagioli di Lima.

 

è la dose che fa il veleno

In una normale dieta non pare insomma possibile evitare le sostanze che risultano cancerogene o tossiche per i roditori. Il che però non significa che tutte rappresentino necessaria­mente un pericolo per l'uomo. Ecco cosa dice Ames:

Attraverso i test si stanno accumulando sempre più prove che è la divisione cellulare causata dalle alte dosi di sostanza som­ministrata a contribuire all'insorgenza del cancro, piuttosto che la sostanza chimica in sé. Le alte dosi causano lesioni cro­niche dei tessuti, morte delle cellule e una conseguente divi­sione cellulare delle cellule vicine: un fattore di rischio per il cancro. Ogni volta che una cellula si divide vi è la probabilità che avvenga una mutazione, quindi un incremento della divi­sione cellulare porta a un rischio di cancro più alto."

Ogni volta che una cellula si divide per duplicarsi c'è la possibilità che intervenga un errore che aumenta il rischio di cancro. Secondo Ames, i livelli di sostanze chimiche a cui gli esseri umani sono esposti (a parte i casi di esposizione professionale) non sono tali da provocare un aumento delle divisioni cellulari.

Insomma, in assenza di dati aggiuntivi, il fatto che un roditore nel corso dei test di laboratorio abbia sviluppato il cancro potrebbe essere dovuto alle alte dosi a cui è stato sottoposto, oppure a un meccanismo che non funziona allo stesso modo nell'uomo. Ad esempio tra le sostanze analiz­zate nel caffè c'è il d-limonene, che induce il tumore al rene nei ratti maschi. Ma questo risultato non è predittivo di quello che accade nell'uomo: dunque possiamo tranquilla­mente mangiare le arance e i limoni, che contengono que­sta sostanza. Senza altre informazioni su come tali sostanze causino il cancro nei ratti si deve essere molto cauti nell'in­terpretare i risultati di questi test. Vale comunque la pena di ricordare che fortunatamente la maggior parte dei pesti­cidi naturali vengono ingeriti insieme a sostanze che invece esercitano un effetto positivo e anticancerogeno sul nostro corpo. Sono inutili quindi i test sui roditori? Certo che no. Tutti gli agenti cancerogeni sull'uomo sono risultati canee-

rogeni anche per i ratti. In assenza di studi epidemiologici non possiamo basare le nostre stime su null' altro.

 

una classifica dei rischi

Il punto che Ames vuole sottolineare è che siamo esposti ogni giorno a moltissime sostanze chimiche naturali risul­tate positive agli stessi test i cui esiti ci allarmano quando riguardano i pesticidi. E della stragrande maggioranza delle sostanze chimiche che ingeriamo non sappiamo nulla, anche se è probabile che solo pochissime possano essere potenzialmente dannose per l'organismo. È quindi neces­sario, per dare una «graduatoria» di possibile pericolosità, tenere in conto le quantità tipiche di assunzione giornaliera per le varie sostanze, naturali o di sintesi. Ciò è impor­tante anche perché, visto che siamo continuamente espo­sti a sostanze potenzialmente cancerogene e non possiamo evitarle tutte, non è prudente focalizzare l'attenzione su sostanze che si trovano al fondo della «classifica», mentre è sensato concentrarsi su quelle che stanno in cima.

Ovviamente i criteri quantitativi su cui si basa la clas­sifica possono variare molto. Il gruppo di ricerca di Bruce Ames ne ha identificati alcuni e ha costruito, in base a questi, una «graduatoria» di possibili rischi di cancro per l'uomo (scala Herp). Non stupisce che in cima alla classi­fica vi siano sostanze a cui sono esposte continuativamente varie categorie professionali: ad esempio il tetracloroetilene per chi lavora nelle lavanderie a secco, l' 1 ,3-butadiene per i lavoratori dell'industria della gomma e la formaldeide, usata in vari processi industriali. Molto in alto nella clas­sifica si trova però anche un estratto botanico naturale, la consolida, della famiglia della borragine. Le pasticche dige-

stive a base di quest' erba vendute negli Stati Uniti rappre­sentavano infatti un fattore di rischio per chi ne faceva un uso continuativo. E pure il vino e la birra, a causa del con­tenuto di alcol etilico. Al terzo posto della classifica c'è un sonnifero: il fenobarbital.

Nell' elenco troviamo anche cibi insospettati come il succo d'arancia, simbolo di salute. E questo perché con­tiene il d-limonene, cancerogeno per i ratti. Vale la pena di ricordare che quella di Ames non è una graduatoria di sostanze cancerogene per l'uomo, ma solo un tentativo di razionalizzare i rischi potenziali per l'uomo dovuti all'as­sunzione giornaliera di sostanze cancerogene per i ratti. Un modo, diciamo così, per indirizzare la ricerca e gli studi sulle sostanze che potrebbero dare più problemi a causa della maggiore esposizione per l'uomo combinata con i risultati di cancerogenicità sui ratti. Abbiamo già detto che il d-limonene non pare (la scienza non fornisce sicu­rezze, solo probabilità) essere cancerogeno per l'uomo. Le idrazine invece, contenute naturalmente nei funghi, anche quelli commestibili e prelibati, hanno anche loro una posi­zione elevata in classifica, anche se sono classificate dallo IARe nei gruppi 2A e 2B. Tornando alla mela che mangiuc­chiavo all'inizio del capitolo, è al trentunesimo posto, per­ché contiene acido caffeico. E quindi non stupisce trovare al diciannovesimo posto proprio il caffè, che ovviamente lo contiene.

 

ma c'è chi crede che naturale equivalga a sicuro

L'approccio di Ames è solo uno dei tanti possibili e la sua scala Herp è stata criticata perché ad esempio si basa su una stima dell' esposizione alle varie sostanze che è difficile da valutare correttamente.P La nostra ignoranza sugli eventuali rischi legati all'assunzione di sostanze naturali sta diventando sempre più un problema, soprattutto da quando è aumentato l'uso di estratti vegetali in vari pro­dotti - dai cosmetici agli alimenti, dagli integratori alimen­tari ai detersivi - che non sono controllati come i farmaci o altre categorie di sostanze, quali gli additivi alimentari. Il pericolo è segnalato dalla stampa specializzata:

Molti consumatori associano «naturale» a «sicuro» quando considerano gli integratori alimentari o le preparazioni far­maceutiche a base di vegetali. Sfortunatamente il presuppo­sto che i prodotti naturali siano per definizione sicuri è falsa. In realtà, nonostante una lunga storia di uso sicuro di molti preparati botanici o alimenti a base di erbe, alcuni preparati botanici contengono singoli ingredienti riconosciuti come tossici e addirittura genotossici e cancerogeni, che potrebbero creare motivo di preoccupazione a determinati livelli di espo­sizione.'"

Molti consumatori associano «naturale» a «sicuro» quando considerano gli integratori alimentari o le preparazioni far­maceutiche a base di vegetali. Sfortunatamente il presuppo­sto che i prodotti naturali siano per definizione sicuri è falsa. In realtà, nonostante una lunga storia di uso sicuro di molti preparati botanici o alimenti a base di erbe, alcuni preparati botanici contengono singoli ingredienti riconosciuti come tossici e addirittura genotossici e cancerogeni, che potrebbero creare motivo di preoccupazione a determinati livelli di espo­sizione.'"

cannella o di basilico che contiene quelle molecole, ma non posso aggiungerle a una preparazione. Parleremo in detta­glio in un apposito capitolo del basilico «cancerogeno», che ha avuto comprensibilmente un certo risalto sui giornali italiani. Per il momento mi interessa soltanto sottolineare i paradossi che si creano quando si considerano automatica­mente «sicure» le molecole prodotte in natura.

 

rischi trascurabili e pericoli reali

Gli studi di Ames sui rischi di cancro legati al consumo di un certo alimento non hanno certo lo scopo di creare allarme. Al contrario:

Bisogna essere cauti nel trarre conclusioni dalla presenza nella dieta di sostanze chimiche che sono cancerogene per i rodi­tori. Non intendiamo affatto sostenere che queste esposizioni, nella dieta, abbiano necessariamente molta rilevanza per il rischio di cancro nell'uomo."

Ames sostiene infatti che ci stiamo focalizzando troppo su eventuali piccoli rischi, sottraendo attenzione e risorse, sia umane sia finanziarie, alla lotta contro rischi di cancro più gravi e ben documentati:

Gli ormoni endogeni, diete sbilanciate, infiammazioni dovute a infezioni e fattori genetici sono i maggiori responsabili del cancro nell'uomo, e nessuno di questi coinvolge sostanze can­cerogene esogene.

Un elevato consumo di frutta e verdura è associato a un rischio minore di malattie degenerative, tra cui il cancro, le malattie cardiovascolari, la cataratta e le disfunzioni al cervello. Più di duecento studi epidemiologici rivelano una corrispondenza significativa tra il basso consumo di frutta e verdura e una elevata incidenza di cancro. 16

Ames spiega che il 25 per cento della popolazione ame­ricana che mangia meno frutta e verdura ha una possibi­lità circa doppia (!) di sviluppare il cancro rispetto al 25 per cento di popolazione che ne mangia di più. Ciò vale per vari tipi di tumore - al polmone, alla laringe, all' eso­fago, allo stomaco, alla cervice, alle ovaie ecc. - anche se l'effetto protettivo del consumo di frutta e verdura pare più debole e meno consistente per i tumori al seno e alla prostata.

L'80 per cento dei bambini e il 68 per cento degli adulti americani non consuma frutta e verdura a sufficienza, il che fa aumentare in modo considerevole il rischio di cancro.

L'atrenzione verso centinaia di piccoli rischi ipotetici, come i residui di pesticidi, può provocare una perdita di prospettiva su cosa è importante: metà della popolazione statunitense non sa che consumare frutta e verdura è una protezione con­tro il cancro. Frutta e verdura sono di importanza fondamen­tale per ridurre il cancro. Se questi prodotti diventassero più costosi a causa del ridotto uso di pesticidi sintetici, la dimi­nuzione dei consumi potrebbe causare un aumento dei casi di cancro. Le persone con basso reddito mangiano meno frutta e verdura e spendono una percentuale più elevata del loro reddito in cibo.

Dopo tutto lo scopo dei pesticidi è di uccidere organismi viventi, e sicuramente la presenza di residui di pesticidi nel cibo non porta ad alcun beneficio. La sanità pubblica quindi sarebbe meglio perseguita se si eliminassero o si riducessero i residui di pesticidi, specialmente quelli sospettati di essere potenziali cancerogeni. 17

Ames sostiene però che continuare a demonizzare i pesti­cidi di sintesi in generale, spesso per promuovere l'agricol­tura che non ne fa uso, potrebbe portare a un aumento dei prezzi della frutta e della verdura che influirebbe nega­tivamente sul consumo, specialmente fra le persone con reddito più basso, che correrebbero maggiori rischi di con­trarre un cancro.

Non vorrei essere frainteso. Qui non si vuole certo soste­nere che i pesticidi che si usano in agricoltura siano equiva­lenti al succo di arancia, ma solo mettere la loro pericolosità, come categoria, nella giusta prospettiva per il consumatore. Come sostiene Aaron Wildavsky, «noi dovremmo essere guidati dalla probabilità e dall'ampiezza del danno, non dalla mera possibilità. La ricerca delle possibilità è senza fine e banalizza l'argomento»."

 

una ricerca in lombardia

Presso l'ospedale Luigi Sacco a Milano è attivo il Centro internazionale per gli antiparassitari e la prevenzione sanita­ria, noto anche come ICPS (International Centre for Pestici­des and Health Risk Prevention). Il centro è responsabile per la Lombardia del piano di monitoraggio dei residui di pesti­cidi sugli alimenti di origine vegetale ed è coordinato a livello nazionale dal ministero della Sanità. Alcuni suoi ricercatori hanno pubblicato uno studio che riporta i risultati delle ana­lisi su 3508 campioni, di cui 266 da agricoltura biologica, effettuate in Lombardia dal 2002 al 2005:

I risultati mostrano come la grande maggioranza dei prodotti da agricoltura biologica sono in conformità con la legislazione di riferimento, e non contengono residui rilevabili di pesticidi. Una quantità limitata di campioni aveva una concentrazione di residui inferiore ai limiti massimi di legge. Solo in un campione il livello di residui era superiore al consentito, tuttavia non poneva alcuna preoccupazione per la salute pubblica, come dimostrato dai risultati di una stima del rischio alimentare associato.'

Scendendo nei dettagli, il 27 per cento dei prodotti conven­zionali conteneva residui di pesticidi, ma soltanto nell' 1 per

cento dei casi (36 campioni) i livelli erano superiori ai limiti di legge. Insomma, il 99 per cento dei campioni rispettava le no.rme e ~on'p0nev~ rischi sanitari. Addirittura il 73 per cento del camplom ~on npo~tava ~lcu_n residuo. Diamo spesso per scontato che l prodotti dell agncoltura convenzionale siano sempre in qualche modo «contaminati», ma non è così.

Nei prodotti biologici esaminati la percentuale di cam­pioni del tutto esenti da pesticidi saliva al 97,4 per cento, mentre. soltanto il 2,6 per cento dei test risultava positivo. In particolare, le analisi positive riguardavano mandarini riso, kiwi, patate, limoni e mele. Tranne in un caso - le patate - i residui riscontrati erano inferiori ai limiti di legge, che sono gli stessi validi per i prodotti tradizionali. Quel campione di patate invece, oltre a superare i limiti, ripor­tava anche residui di ben quattro pesticidi diversi. Sforare la soglia tuttavia non significa che vi sia un rischio immediato per la salute pubblica. I ricercatori hanno infatti stimato c~e, persino nell'ipotesi che dei bambini consumassero ogni gIorno quelle patate in quantità molto superiori alla norma, l'assunzione dei pesticidi riscontrati rimarrebbe molto al di sotto dei valori di sicurezza.

A qualcuno può venire spontanea la domanda: «Ma se quei pesticidi non sono ammessi per il biologico, come fanno a trovarsi nel prodotto finale?». I ricercatori formu­lano alcune ipotesi: magari il suolo su cui crescono le colture biologiche era contaminato in precedenza, oppure ci sono state delle infiltrazioni di sostanze chimiche attraverso il ter­reno. Magari l'agricoltore ha usato prodotti non autorizzati, oppure il vento ha portato sul suo campo sostanze spruz­zate sui campi vicini, o ancora ci sono stati dei trattamenti durante il trasporto, lo stoccaggio e la trasformazione.

Poiché i limiti di legge per i residui non sono tali da de­stare, secondo l'opinione scientifica corrente, alcun timore

per la salute umana, i ricercatori osservano che «nel tenta­tivo di confrontare cibo convenzionale e biologico in ter­mini di rischio potenziale per la salute dovuto all'esposizione alimentare ai residui di pesticidi, non si possono trarre facili conclusioni perché in entrambi i casi la presenza di residui al di sopra delle soglie di legge è molto bassa». E aggiungono:

Vi ~ una diffusa convinzione che i prodotti dell' agricoltura bio­logica sono più sicuri e più sani del cibo convenzionale. È dif­ficile trarre delle conclusioni in merito, ma ciò che deve essere chiaro al consumatore è che «biologico» non significa automa­ticamente «sicuro». In assenza di adeguati dati di confronto, sono necessari ulteriori studi in questa area di ricerca.?

Insomma, non si può dire che i prodotti biologici siano generalmente più sicuri di quelli convenzionali perché in entrambi i casi i parametri di legge sono rispettati. Per qualsiasi prodotto, la sicurezza dei prodotti alimentari è garantita dal rispetto dei limiti consentiti e non dal tipo di produzione.

 

la situazione in italia

Volendo dare un' occhiata alla situazione italiana nel suo complesso possiamo fare riferimento al rapporto presen­tato nel 2007 dal ministero della Salute, che ha analizzato 6845 campioni di frutta e verdura senza distinguere sulla base dell' origine dei vegetali (da agricoltura biologica o con~e~zi?~al~) visto che entrambi debbono rispettare gli stessi limiti di legge." La percentuale di irregolarità, cioè di prodotti contenenti residui superiori alle soglie consentite, è risultata dell' 1,1 per cento:

I campioni ortofrutticoli regolamentari, intesi come somma di campioni privi di residui (4563) e di campioni con residui inferiori al limite di legge (2206), sono stati 6769, pari al 98,9 per cento del totale; nell'ambito dei campioni regolamentari il 66,7 per cento è risultato privo di residui, mentre il 32,2 per cento con residui entro i limiti previsti dalla legge.

In particolare, è la frutta ad avere una percentuale legger­mente superiore di campioni con residui superiori al limite di legge (1,4 per cento) mentre gli ortaggi (0,7 per cento di campioni irregolari) hanno addirittura 1'84 per cento dei campioni senza residui rilevabili.

Il documento riporta anche i risultati delle analisi sui cereali (0,2 per cento di campioni irregolari), sull' olio (1,3 per cento) e sul vino (nessun campione irregolare).

Questi numeri mostrano, a mio parere, come la frutta e la verdura in commercio in Italia nella stragrande maggio­ranza dei casi siano prodotte rispettando i limiti di legge e quindi non pongono, dal punto di vista dei pesticidi, pro­blemi alla salute.

È curioso rilevare come, tra la frutta, hanno presentato maggiori irregolarità, in ordine decrescente, cachi, fragole, clementine, albicocche, pere e limoni, mentre non hanno presentato alcuna irregolarità mandarini, banane, olive, ananassi e pompelmi.

Tra la verdura «irregolare» troviamo, sempre in ordine decrescente, sedano rapa, prezzemolo, sedano, ortaggi a foglia, indivia, cetriolo e peperone. Nessuna irregolarità riscontrata invece per patate, carote, cipolle, finocchi, fagiolini, melanzane, spinaci, cavoli, radicchio, cavolfiori, meloni, cicoria, piselli e lenticchie.

Loccasionale superamento dei limiti di legge non deve creare allarme. Il rapporto del ministero precisa:

Relativamente al livello di esposizione della popolazione ita­liana con la dieta, le stime di assunzione elaborate con i dati relativi ad anni precedenti, ma simili nei risultati, indicano che i residui dei singoli pesticidi ingeriti ogni giorno dal consuma­tore rappresentano una percentuale molto modesta dei valori delle dosi giornaliere accettabili delle singole sostanze attive e molto al di sotto del livello di guardia preso come riferimento per assicurare la qualità igienico-sanitaria degli alimenti.

Il ministero riporta inoltre che nel 14,7 per cento dei cam­pioni analizzati era presente più di un pesticida. Vari pro­dotti con residui di pesticidi superiori alla norma erano di provenienza straniera. Andiamo quindi a vedere un rap­porto analogo per l'Unione europea.

 

in europa

Nel 2009 l'EFSA (l'Autorità europea per la sicurezza alimen­tare, con sede a Parma) ha pubblicato il suo primo rapporto annuale sui residui di pesticidi sugli alimenti nell'Unio­ne europea, relativo all'anno 2007.4 Sono stati analizzati 74.305 campioni di circa 350 prodotti alimentari diversi. Il 96,01 per cento dei campioni sono risultati conformi ai limiti di legge mentre nel 3,99 per cento dei casi sono stati superati i limiti legali per uno o più pesticidi. Negli alimenti per bambini, che hanno limiti più restrittivi, le irregolarità riguardavano solo lo 0,6 per cento.

Se si considerano gli alimenti biologici, la percentuale di prodotti con residui nella norma è del 98,76 per cento, mentre 1'1,24 per cento era fuorilegge. Quest'ultimo dato ha stupito prima di tutto le associazioni che promuovono l'agricoltura biologica. Il noto portale dell' agricoltura biologica Green Planet titolava: Pesticidi negli alimenti, ma che ci fanno nel bioi?

Questi risultati, avverte l'EFSA, sono da intendere come indicativi e non come veramente rappresentativi della situa­zione degli alimenti in vendita in Europa. I valori reali però non si dovrebbero scostare di molto, e possiamo sicuramente concludere che la quasi totalità rispetta i limiti di legge ed è quindi sicura per quel che riguarda i residui di pesticidi.

Il rapporto dell'asse è ricco di dettagli. Scopriamo per esempio che le categorie più inclini a sforare i limiti di legge sono la frutta e la verdura per l'agricoltura conven­zionale (4,19 per cento) e i prodotti trasformati per i cibi biologici (4,21 per cento), mentre i campioni fuori norma di frutta e verdura bio scendono allo 1,09 per cento. I dati mostrano anche come sia più probabile che un prodotto extraeuropeo superi i limiti di legge rispetto a un alimento prodotto in Europa.

Riguardo alla presenza di residui multipli, il rapporto EFSA riporta che la maggioranza dei prodotti (il 53,6 per cento) non ne conteneva. Nel gruppo restante si riscontra­vano residui di un solo pesticida (20,4 per cento) o di due

più (25,9 per cento).

Come abbiamo detto, un residuo di pesticidi superiore al limite di legge non necessariamente pone un rischio sani­tario. La valutazione del rischio deve essere fatta stimando l'esposizione del consumatore e applicando a quella determi­nata sostanza fuori norma i limiti tossicologici di riferimento riportati in letteratura. In particolare si deve consultare un valore chiamato ADI (accettable daily intake, in italiano tra­dotto con DGA, dose giornaliera ammissibile) e l'ARFD (acute reference dose, dose acuta di riferimento).

LADI rappresenta la quantità di sostanza, espressa in milligrammi. per chilogrammo di peso corporeo, che può

essere assunta giornalmente e per tutta la vita da una per­sona senza rischi significativi. LARIO invece è la quantità di sostanza, sempre espressa in milligrammi per chilo­grammo di peso corporeo, che può essere assunta in un breve periodo di tempo, solitamente un giorno, senza cor­rere rischi apprezzabili, anche tenendo conto di gruppi di persone particolarmente sensibili come i bambini. I livelli di residui di pesticidi ammessi sono fissati anche tenendo conto di questi valori di soglia di sicurezza e possono venire ridotti anche in seguito alle azioni di monitoraggio come quella presentata nel rapporto.

In presenza di campioni fuori norma, l'EFSA esegue una stima del rischio potenziale, sia per l'assunzione prolungata sia per quella a breve termine. A tale scopo si preferisce sovra­stimare di molto il rischio, ipotizzando situazioni estreme in cui un potenziale consumatore assuma quantità giornaliere dell' alimento molto superiori alla media del campione con il più alto valore di residui. In più questo valore viene mol­tiplicato per un ulteriore parametro di sicurezza (per mele o pomodori, ad esempio, questo fattore è pari a sette) per tener conto di un' everituale disomogeneità nella distribuzione dei residui. A questo punto i valori presunti di pesticida assunto vengono quindi confrontati con i livelli di soglia ADI e AREo.

Dopo aver effettuato questo calcolo, si è visto che per tutti i pesticidi tranne uno la possibile assunzione cronica non desta preoccupazioni per la salute. Lunica eccezione è rappresentata da un insetticida, il diazinone: dal 2007 tutte le autorizzazioni che lo riguardano sono state revocate e i residui ammessi ridotti. Per tutti gli altri prodotti, il rap­porto sostiene:

Anche la valutazione dell'esposizione acuta (a breve termine) è stata basata sui peggiori scenari. Di conseguenza, le stime hanno tenuto conto di un elevato consumo alimentare combinato con il residuo più elevato osservato nel programma di monitoraggio dell'Unione europea del 2007. Nella realtà è assai improbabile che si verifichino tali casi critici di assunzione. Supponendo che si presenti un tale scenario, per taluni dei risultati con riferi­mento a 52 combinazioni di pesticida/prodotto alimentare non potrebbe escludersi un potenziale rischio per i consumatori; per la maggior parte di questi sono già state ritirate le autorizzazioni o sono stati abbassati gli LMR

 

in nuova zelanda

Risultati analoghi si riscontrano in vari paesi extraeuropei. Un gruppo di ricercatori neozelandesi ha analizzato i resi­dui di pesticidi su un certo numero di alimenti (lattuga, patata, broccolo, pomodoro, banana, uva, vino) ottenuti sia in modo tradizionale sia secondo i protocolli dell' agricoltura biologica, che consente l'utilizzo di alcuni pesticidi di origine naturale ma non ammette quelli (la maggioranza) di origine sintetica. Dunque il consumatore in genere si aspetta che i prodotti bio siano privi di residui di pesticidi di sintesi. Lo studio ha riscontrato tracce di pesticidi nel 42 per cento degli alimenti prodotti in modo convenzionale (130 su 307) e nel 22 per cento degli alimenti biologici (9 su 41). Solo il 9,8 per cento dei campioni biologici presentava residui di più pesticidi contemporaneamente, mentre questa percentuale arrivava al 24 per cento per i prodotti convenzionali,"

Nei casi in cui è stato possibile confrontare direttamente prodotti convenzionali e biologici che presentavano resi­dui di pesticidi, si è visto che nei secondi le concentrazioni medie erano più basse che nei relativi prodotti convenzio­nali. Tuttavia queste tracce

sono generalmente più elevate di quanto ci si attenderebbe da una contaminazione occasionale. Nonostante la presenza di questi residui non rappresenti un rischio significativo per la salute umana, la loro presenza non è consistente con le aspet­tative dei consumatori verso i prodotti biologici .

Il tipo di contaminazione varia a seconda del tipo di pro­dotto: nessuno dei sei campioni di patate biologiche ha mostrato tracce di pesticidi. Al contrario ben sei campioni su undici (il 55 per cento) di pomodori bio ne riportavano tracce, una percentuale non troppo dissimile da quella rile­vata per i pomodori convenzionali (46 per cento).

 

 

Mangiare cibi "bio" è meglio? Dovrei passare al biologico?

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Consiglio d'oro, che vi farà risparmiare un sacco di soldi: mangiate normale e lasciate stare il biologico.

I cibi biologici sono costosissimi, e non sono né più ricchi né meno inquinati di quelli non biologici

Le principali cause di morte in occidente sono il tumore al polmone e le malattie cardiovascolari. Abolire le sigarette, la riduzione dell'attività fisica, una alimentazione troppo ricca di calorie totali, di grassi animali e carboidrati raffinati farà molto di più per la vostra salute della conversione al "biologico".

Ecco una serie di ragioni per lasciar perdere il biologico:

I controlli non sono sempre seri. In Italia, poi, paese della corruzione per eccellenza, si può presumere che siano quasi sempre poco seri. Molti prodotti biologici vengono da regioni italiane che sono in testa alle classifiche delle truffe all'Unione Europea.

I cibi biologici non sono più "ricchi" di quelli non biologici. Perché un vegetale produca frutti, è necessario apportargli con un concime tutto ciò di cui necessita. Il concime biologico (letame) non è in grado di apportare ai vegetali tutti i principi necessari per produrre cibi pieni di sostanze utili.

Non è strettamente necessario mangiare biologico se si vogliono evitare i "veleni nel piatto". E' sufficiente (e molto meno costoso) stare alla larga da una semplice lista di cibi, che contengono più additivi o sostanze chimiche di altri (vedi)

I controlli di qualità di supermercati come Carrefour, Auchan o Esselunga sono molto rigorosi, e impediscono quasi sempre che cibi con una quantità di residui chimici superiore alla soglia fissata dalla legge finiscano nella nostra tavola. Con la frutta e la verdura acquistate al mercato è un altro discorso…

La normativa sugli alimenti biologici è a dir poco ambigua:

Non sono permessi molti dei pesticidi (erbicidi, insetticidi, fungicidi, ecc.) dell'agricoltura normale, ma alcuni sì: piretro (veleno di origine vegetale utilizzato anche nelle bombolette di insetticidi in commercio), rotenone (prodotto tossico in via di eliminazione dal biologico), solfato di rame (prodotto tossico, che non si lava via bene con l'acqua), idrossido di rame (idem), zolfo, paraffina, alcuni oli minerali e così via. Alcuni di questi prodotti non sono meno tossici dei pesticidi dell'agricoltura normale (il rotenone è più tossico)

La legislazione italiana ed europea stabiliscono controlli – e quindi limiti ai pesticidi e conservanti – riguardo il metodo di produzione, cioè riguardo le coltivazioni. Non proibisce di aggiungere conservanti o sostanze chimiche in fase di trasporto o stoccaggio. Non prevede controlli del limite di pesticidi, che potrebbero essere già presenti nel terreno e passare alla frutta e verdura anche se l'agricoltore è in regola perché non glie li somministra direttamente.

L'agricoltore biologico è autorizzato ad utilizzare pesticidi chimici nel caso che le colture siano a rischio.

Il ministero della sanità in Italia come in tutti i paesi europei, compie una costante azione di monitoraggio dei prodotti alimentari non biologici. Negli ultimi anni questa azione ha fatto sì che i cibi trovati con quantità di pesticidi fuori norma siano stati solo una piccola percentuale (3,44%). Quindi non è necessario mangiare biologico per sentirsi tranquilli.

Il fatto che un alimento abbia residui di pesticidi superiori a quelli di legge non implica assolutamente che sia tossico, perché i limiti di legge sono fissati molto, molto al disotto del livello tossico.

I vegetali sono pieni di sostanze tossiche naturali, evolute allo scopo di scoraggiare animali e insetti dal divorarli. Il nostro organismo è quindi notevolmente resistente a tossine e velini provenienti da ciò che mangiamo. La nostra specie si è adattata con successo a migliaia di sostanze nocive presenti nel mondo vegetale e perciò in molti alimenti. Prendiamo una patata, un cavolfiore o un cespo di lattuga biologici. Cosa c'è di più sano? direte voi. Eppure sono impregnati di sostanze naturali pericolose - almeno potenzialmente - per la nostra salute. La patata contiene due alcaloidi, la solanina e la chaconina, che sono dotati di potere inibitorio sulle colinesterasi, un gruppo di enzimi importanti per molte funzioni dell'organismo: è la stessa proprietà del malathion, un pesticida sintetico. In due etti di patate sono presenti 15 mg di alcaloidi e solo tracce infinitesimali di malathion, di cui arriviamo a ingerire non più di 0,015 mg al giorno. Né la solanina né la chaconina sono state studiate per accertarne il potere cancerogeno, mentre il malathion è stato oggetto di approfondite sperimentazioni. Eppure ingurgitiamo mille volte più alcaloidi della patat che malathion. I cavolfiori, i broccoli e il cavolo contengono notevoli quantità di indol-3-carbinolo, un composto che - come la famigerata diossina - può proteggere o aggravare la cancerogenicità di un altro cancerogeno naturale, l'aflatossina, a seconda della sequenza di somministrazione. Secondo alcuni calcoli il rischio di cancro insito in una porzione di cavolfiori sarebbe parecchie volte superiore a quello della dose massima giornaliera consentita di diossina. Le piante si sono evolute per almeno 500 milioni di anni affinando le loro armi chimiche contro i predatori. Gli animali si sono a loro volta adattati a questi pericoli, elaborando delle difese, come per esempio il continuo ricambio delle cellule più vulnerabili (pelle, bocca, esofago, stomaco, intestino e polmoni). L'Homo Sapiens, essendo l'ultimo arrivato, non ha fatto in tempo a provvedersi di un analogo apparato difensivo. Per giunta la sua dieta è cambiata drasticamente nel corso dell'ultimo millennio, allargandosi via via a comprendere piante e frutti - caffè, tè, patate, pomodori,manghi, avocado, kiwi - sconosciuti ai suoi progenitori, o prima impiegati essenzialmente a scopi medicinali (cavoli,broccoli, cavolfiori). I nostri piatti sono dunque infarciti di incognite, e noi siamo impreparati a farvi fronte. Naturalmente abbiamo imparato a scartare quei vegetali che avevano effetti tossici immediati. Ma nessuno è in grado di garantirci che certi tipi di piante che noi mangiamo abitualmente non siano responsabili di fenomeni a lungo termine, quali il cancro, che insorge a di­stanza di anni o di decenni rispetto alla causa che lo ha scatenato.

Come ha messo in luce. il biologo di Berkeley, Bruce Ames, moltissimi alimenti contengono sostanze naturali che si sono dimostrate cancerogene nel ratto o .nel topo. Tanto per fare qualche esempio: anice, mele, banane, basilico, melone, carote, sedano, succo di pompelmo, funghi, succo d'arancia, prezzemolo, pesche, pepe nero, ananas ... E la lista potrebbe conti­nuare. Sono i cosiddetti «pesticidi biologici», i veleni che le piante secernono per difendersi dagli aggres­sori. Ne sono stati scoperti decine di migliaia, ma sol­tanto su una cinquantina sono stati condotti dei test appropriati. E ben la metà di essi sono risultati cance­rogeni: una percentuale piuttosto elevata per farci concludere che la natura sia solo benigna.

È probabile, dunque, che quasi tutta la frutta e la verdura che compriamo al supermercato contenga qualcuna di queste sostanze. Non c'è da allarmarsi: l'effetto cancerogeno ad alte dosi osservato negli ani­mali non può essere automaticamente trasferito al­l'uomo che assume questi cibi in dosi molto più basse in rapporto alla sua massa corporea. Ames ha calcolato che. un americano medio (e perciò, probabil­mente, un cittadinò medio di qualunque paese svi­luppato), ingerisce giomalmente.1,5 grammi di pesti­cidi biologici, 10 mila volte di più dei residui di na­tura sintetica, comunque pochissimo rispetto alla dose che induce effetti tossici negli animali di labora­torio.

E poi, assieme ai veleni, le piante contengono an­che degli antidoti naturali, vitamine e antiossidanti. Non per nulla una dieta ricca in vegetali, lungi dall'essere sconsigliata, è ritenuta una buona preven­zione contro il cancro. E non c'è ragione di pensare che tali sostanze protettive non agiscano anche nei confronti degli inquinanti industriali.

L'80% delle ricerche sui composti chimici conte­nuti negli alimenti ha finora riguardato quelli sinte­tici: additivi, coloranti, pesticidi, farmaci. Quasi il 50% di essi ha rivelato proprietà cancerogene nei topi o nei ratti alla «dose massima tollerata». Molto ancora resta da fare in questo campo: secondo un rapporto dell'Ocse del 1990, circa metà dei prodotti chimici più diffusi attende ancora una adeguata valu­tazione tossicologica. Ma considerato che il 99,99% della nostra razione quotidiana di molecole tossiche è fornito da madre natura, sarebbe opportuno che lo sforzo di ricerca non si concentrasse solo sul restante 0.01%.

Non si tratta di minimizzare i problemi ambien­tali del pianeta in cui viviamo, ma di pensare e di agire in maniera più razionale anche in campo scien­tifico, per evitare ingiustificate ondate emotive a senso unico che non aiutano a migliorare le condizioni di salute della gente.

Qualcuno propone di sostituire ai pesticidi chimici delle piante «geneticamente manipolate», più resistenti agli insetti - e perciò anche più velenose. Ma forse sarebbe meglio che gli scienziati si dessero da fare per la identificazione e la purificazione di so­stanze naturali ottenibili dai vegetali, con l'obiettivo di valutarne il potenziale tossico e - perché no? - ma­gari anche terapeutico. E sarebbe importante che i chimici chiarissero all'opinione pubblica la natura e gli scopi della loro attività, per scrollarsi di dosso l'in­giusta etichetta di inquinatori. Del resto, questi mo­derni alchimisti non hanno nemmeno bisogno di di­fendersi, perché se spesso imitano la natura, qualche volta sono riusciti perfino a fare meglio di lei.

Il nostro organismo è abituato a smaltire una dose quotidiana di veleni. Oltre ai veleni naturali contenuti da millenni nei vegetali (vedi), smaltisce le tossine animali e della digestione, i prodotti tossici dei medicinali e altri veleni ancora. Una minima quantità di fitofarmaci e pesticidi non rappresenta un pericolo immediato

Quello che è rilevante per la salute è la quantità totale di pesticidi ingeriti. Chi mangia in modo non eccessivo, o coloro che praticano la restrizione calorica (vedi paragrafo) possono mangiare una porzione di alimento con un livello di pesticidi superiore a quello consentito e tuttavia assumerne di meno di chi mangia enormi quantità di cibo.

Inoltre, coloro che stanno attenti agli altri veleni che arrivano nel piatto sotto forma di additivi (conservanti, coloranti ecc.) nel cibo, pur mangiando frutta e verdura e cereali non biologici assumono meno veleni di coloro che non stanno attenti agli additivi.

Prodotti non trattati con conservanti o fitofarmaci, sviluppano muffe e batteri ben più dannosi per l'uomo. L'aflatossina è ad esempio un fungo che si sviluppa in vegetali non ben conservati e si accumula nell'organismo, che non riesce ad espellerla, provocando, grazie a tale accumulo, anche a distanza di anni, effetti tossici, danni al fegato e cancro.

In tutto il mondo si stanno facendo sforzi per limitare e controllare l'impiego di fitofarmaci, insetticidi e diserbanti, che spesso vengono somministrati in quantità eccessive e senza alcuna razionalità, inquinando il terreno e le falde acquifere. Tuttavia, l'uso della chimica in agricoltura non può per ora essere bandito se non a prezzo di un crollo della produzione, che innalzerebbe i prezzi in modo impossibile, e andrebbe anche a scapito del Terzo Mondo.

 

 

Gli alimenti biologici nutrono di più?

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Gli alimenti biologici sono più nutrienti? Per rispon­dere a questa domanda sono state effettuate centinaia di ricer­che. Abbiamo già detto come spesso studi diversi abbiano portato a conclusioni diverse, generando confusione fra i consumatori. Alcune rassegne non sistematiche sono state pubblicate di recente allo scopo di indagare meglio la fac­cenda. Purtroppo questo è uno dei casi in cui la selezione degli articoli può dare risultati differenti. Alcune rassegne concludevano che gli alimenti biologici hanno un contenuto superiore di alcuni nutrienti, altre invece non riscontravano differenze significative.

Per cercare di dirimere la questione, la Food Standard Agency (FSA), l'agenzia britannica per la sicurezza alimen­tare, ha commissionato una rassegna sistematica sull' ar­gomento a un istituto scientifico, la Nutrition and Public Health Intervention Research Unit della prestigiosa Lon­don School of Hygiene & Tropical Medicine. Lo scopo della ricerca era vagliare la letteratura sull' argomento e confrontare la composizione di alimenti prodotti in modo convenzionale o biologico, fornendo un rapporto aggior­nato, oggettivo e indipendente.

La rassegna è stata completata nel luglio 2009 e ha gene­rato un terremoto nel mondo dell' agricoltura biologica. È stata pubblicata sulla rivista «American Journal of Clinical Nutrition» ma è disponibile gratuitamente sul web. l La FSA ha anche commissionato una seconda ricerca sui presunti effetti benefici sulla salute derivanti dal consumo di cibi biologici. Ne parleremo più avanti.

Nessuno aveva mai effettuato prima una rassegna siste­matica sull' argomento. A questo proposito, gli autori osser­vano che «un approccio sistematico offre chiari vantaggi in termini di riduzione degli errori, perché ad esempio l'inclusione o l'esclusione degli studi può essere influenzata dalle idee preconcette dei ricercatori».

Lo studio era dedicato agli aspetti nutrizionali, quindi ha esplicitamente escluso tutte quelle ricerche volte a in­dagare l'effetto sull' ambiente dell' agricoltura biologica, o a rilevare tracce di pesticidi e fungicidi su frutta e ver­dura. Qualcuno, sulla stampa e sul web, ha criticato il fatto che questi articoli fossero stati esclusi a priori. Si tratta di un' osservazione priva di senso: le rassegne siste­matiche, come ho spiegato, si focalizzano su un aspetto e cercano di trarre delle conclusioni, e non è certo possi­bile mescolare fattori diversi come gli aspetti nutrizionali, quelli ambientali e quelli sui residui di pesticidi, di cui abbiamo già parlato.

Gli scienziati incaricati dalla FSA hanno cercato su tre grandi database di pubblicazioni scientifiche tutti gli articoli pub­blicati dal 1958 al febbraio 2008 che confrontavano le sostanze nutrienti nei cibi biologici e convenzionali. I testi

potevano essere scritti in qualsiasi lingua, ma il riassunto (abstract) doveva essere in inglese,"

Utilizzando parole chiave come organic agriculture, com­parison, nutrients e cosi via, la ricerca nei database ha indi~i­duato 52.417 citazioni di possibile interesse. Come sa benis­simo chiunque abbia provato a fare una ricerca su Google, i possibili documenti candidati devono poi essere esaminati uno a uno per verificare che siano realmente pertinenti. Questo controllo ha selezionato 292 possibili pubblicazioni rilevanti per lo studio. Può sembrare una riduzione notevole, ma poiché lo scopo di una rassegna sistematica è quello di dare la miglior opinione possibile su un certo argomento, è necessario escludere a priori le pubblicazioni che non soddi­sfino i requisiti minimi di qualità. In questo caso si è deciso di scartare qualsiasi pubblicazione non sottoposta a peer review, ossia comunicazioni a congressi, rapporti, tesi di lau­rea e altre fonti con un grado di affidabilità basso. I ricerca­tori poi hanno escluso i lavori non direttamente rilevanti (ad esempio quelli che si focalizzavano sul contenuto di elementi contaminanti come piombo e mercurio).

Gli articoli meritevoli di essere inclusi nella rassegna sono risultati 162, di cui 30 scritti in una lingua diversa dall'inglese; 120 articoli selezionati sono stati pubblicati dopo il 2000. Il numero di articoli presi in considerazione non è molto elevato, e questo probabilmente la dice lunga sulla qualità globale dei lavori pubblicati in qu~sto c~po: 44 di essi sono stati esclusi perché erano stati pubblicati senza il processo di revisione dei pari (insomma, non val­gono nulla, e mi chiedo quante volte magari siano stati citati sui giornali). Ogni articolo è stato passato al setac­cio da due ricercatori per estrarne i risultati e costruire un database globale. Su un totale di cento alimenti e 455 tra nutrienti e altre sostanze analizzate, solamente per 23

potevano essere scritti in qualsiasi lingua, ma il riassunto (abstract) doveva essere in inglese,"

Utilizzando parole chiave come organic agriculture, com­parison, nutrients e cosi via, la ricerca nei database ha indi~i­duato 52.417 citazioni di possibile interesse. Come sa benis­simo chiunque abbia provato a fare una ricerca su Google, i possibili documenti candidati devono poi essere esaminati uno a uno per verificare che siano realmente pertinenti. Questo controllo ha selezionato 292 possibili pubblicazioni rilevanti per lo studio. Può sembrare una riduzione notevole, ma poiché lo scopo di una rassegna sistematica è quello di dare la miglior opinione possibile su un certo argomento, è necessario escludere a priori le pubblicazioni che non soddi­sfino i requisiti minimi di qualità. In questo caso si è deciso di scartare qualsiasi pubblicazione non sottoposta a peer review, ossia comunicazioni a congressi, rapporti, tesi di lau­rea e altre fonti con un grado di affidabilità basso. I ricerca­tori poi hanno escluso i lavori non direttamente rilevanti (ad esempio quelli che si focalizzavano sul contenuto di elementi contaminanti come piombo e mercurio).

Gli articoli meritevoli di essere inclusi nella rassegna sono risultati 162, di cui 30 scritti in una lingua diversa dall'inglese; 120 articoli selezionati sono stati pubblicati dopo il 2000. Il numero di articoli presi in considerazione non è molto elevato, e questo probabilmente la dice lunga sulla qualità globale dei lavori pubblicati in qu~sto c~po: 44 di essi sono stati esclusi perché erano stati pubblicati senza il processo di revisione dei pari (insomma, non val­gono nulla, e mi chiedo quante volte magari siano stati citati sui giornali). Ogni articolo è stato passato al setac­cio da due ricercatori per estrarne i risultati e costruire un database globale. Su un totale di cento alimenti e 455 tra nutrienti e altre sostanze analizzate, solamente per 23 è stato necessario per poter confrontare studi diversi. In altre parole, indagando per esempio il contenuto di vitamina C nei vari alimenti (latte, mele, pomodori ecc.) si è verificato quale fosse la deviazione percentuale tra la quantità di vita­mina presente negli alimenti bio e in quelli convenzionali.

Confrontando tutti i dati disponibili, la rassegna conclu­deva che «per 16 delle 23 categorie di sostanze analizzate non ci sono prove che esista una differenza tra i vegetali prodotti in modo biologico e quelli ottenuti in modo con­venzionale»." Questi ultimi «hanno mostrato livelli signifi­cativamente più alti di azoto rispetto ai prodotti biologici . Nei prodotti biologici invece sono stati riscontrati livelli significativamente più alti di zuccheri, magnesio, zinco, materia secca, composti fenolici e flavonoidi rispetto ai prodotti convenzionali».'

Quindi moltissimi nutrienti, tra cui la vitamina C, il cal­cio e il potassio, sono statisticamente presenti in misura simile nelle due tipologie di prodotti, e non pare proprio che si possa parlare di «superiorità». Questi risultati sono stati ottenuti analizzando tutti i 162 articoli. Se però si uti­lizzano solo quelli di alta qualità, le categorie di nutrienti sui quali non si rilevano differenze sono ancora di più: 20 su 23. Pur confermando i dati sui diversi livelli di azoto, più alti nei vegetali prodotti in modo convenzionale, nei prodotti biologici si registravano soltanto «livelli più alti di fosforo e di acidità».

Che i contenuti di azoto siano diversi non stupisce troppo, visto che si tratta di un elemento presente nei fer­tilizzanti. Non potendo utilizzare prodotti di sintesi, l'agri-

 

 

Abbronzarsi è consigliabile? Cosa devo fare per mantenere la pelle del volto e delle mani senza le macchie dell'età?

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Quella dell'abbronzatura "noir" è una fissazione decisamente italiana. I maschi italiani vanno pazzi per le donne "annerite" come altrettanti tizzoni. Da cui una furiosa corsa del gentil sesso, per il tipico spirito di competizione femminile, ad annerirsi più della vicina di ombrellone con interminabili sedute di asciugamano e lozione solare.

E’ vero che l’esposizione della cute ai raggi solari è necessaria per fornire preziosa vitamina D al nostro organismo, ma la quantità di sole necessaria è ben al disotto dello standard dei patiti della tintarella: vedi in questo documento l’articolo “La vitamina D e il metabolismo del calcio: quanto sole dobbiamo prendere?”.

Nel passato i poeti occidentali e orientali cantavano il candore della pelle come un miracolo di bellezza e perfezione. Le gentildonne fin de siécle sfoggiavano un seducente pallore, mentre la pelle scura era segno di volgarità: era quella delle contadine, costrette a lavorare per ore sotto il sole. In oriente, le contadine giapponesi lavoravano sotto il sole afoso con guanti che coprivano tutte le braccia, per evitare che la pelle si annerisse.

Poi, negli anni del dopoguerra, il significato dell'abbronzatura cambiò: ora potevano abbronzarsi non i contadini, ma i ricchi, che potevano oziare sul ponte del proprio yacht senza avere niente da fare, o giocare a tennis in una bella giornata di sole mentre la pallida umanità ordinaria sgobbava nel chiuso degli uffici e delle fabbriche. Il nero da quel momento diventa uno status symbol: rivela che si è passato un periodo senza fare niente, come i ricchi. Oggi solo pochi italiani considerano wonderful quella che una volta era definita "pelle di pesca", la pelle naturalmente dorata e senza imperfezioni delle donne più belle, da Kim Novak ad Ava Gardner a Hilary Blasi. La maggioranza degli italiani non vuole sentire ragione: pretende la tostatura integrale e il look africano.

Non è così in altri paesi: qualche anno fa uno scrittore francese ha fatto una battuta: "in Francia, se hai la pelle dalla tonalità scura o fai ridere o sei un extracomunitario". A New York un opuscolo distribuito da Kielh's, il più famoso farmacista di New York suggerisce di utilizzare filtri solari per tutto l'anno, perché il buco dell'ozono ha aumentato l'intensità della radiazione ultravioletta, col rischio di sviluppare un cancro alla pelle.

Che sia vera o no la faccenda del buco dell'ozono (molti notano che gli effetti si vedranno solo tra dieci-vent'anni e che la riduzione delle emissioni di carbonio è proprio un tentativo di evitarli, per cui forse non li vedremo mai), certo è che la vera e propria epidemia di melanomi (cancro della pelle) che ha colpito i paesi più ricchi negli ultimi due decenni è stata messa in relazoine con la diffusione del benessere e del conseguente rito collettivo dell'esodo annuale sulle spiagge, con la moda del bikini e dell'abbronzatura integrale. Benché l'insorgenza del melanoma sia associata anche ad altri fattori (lesioni cutanee, età, razza, latitudine di residenza, precedenti familiari), la radiazione solare è l'unica variabile che si possa controllare e prevenire. Pertanto è giusto raccomandare prudenza ai soggetti bianchi di carnagione, che avendo una produzione scarsa di melanina (il pigmento naturale della pelle) sono meno protetti dai raggi ultravioletti del sole, e in particolare ai bambini e ai giovani sotto i vent'anni. "Non ci si può abbronzare senza danneggiare la propria pelle" ammoniscono i dermatologi. "Una salutare tintarella è una contraddizione in termini" rincara la dose la Fondazione americana per il Cancro.

I raggi solari sono radiazioni di energia che penetgrano nelle cellule e nei tessuti del nostro corpo, modificandone la struttura. Alcuni effetti sono desiderabili, altri meno. La "cura del sole" o "elioterapia" è indicata solo in alcuni casi: per la psoriasi, la dermatite seborroica, l'eczema topico dei bambini, la vitiligine; ha effetti benefici sul metabolismo, sull'apparato circolatorio, perfino sulla psiche. Per contro, può essere dannosa per gli albini e in generale per chi ha la pelle chiara. Una scottatura profonda, un'esposizione troppo intensa e prolungata, possono avere conseguenze anche permanenti sulla pigmentazione e possono distruggere il collagene e l'elastina, compromettendo la tenuta dell'epidermide. Il patito della tintarella "noir" ne paga prima o poi le conseguenze. Magari non subito, ma dopo dieci o quindici anni l'epidermide si ricopre di chiazze scure, di grinze e di rughe. Invecchia precocemente. Come ha detto un famoso dermatologo italiano, senza mezzi termini: "le patite dell'abbronzatura sono quelle che nella mezza età avranno la pelle da prugne secche"

Se anche non si vuol rinunciare ad una giudiziosa abbronzatura c'è da dire che l'abbronzatura del volto è quella meno necessaria e più dannosa. Una abbronzatura del torso produce molta vitamina D e rafforza lo scheletro, mentre il volto non avrebbe proprio bisogno di una dose massiccia di raggi UVA. Le persone che hanno evitato di "scottare" eccessivamente il volto conservano a lungo una pelle elastica e senza rughe.

Tutto ciò premesso, ci limiteremo a indicare gli svantaggi e i vantaggi dell'abbronzatura:

svantaggio: I raggi ultravioletti distruggono il collagene, che dona elasticità alla pelle, accelerandone l'invecchiamanto. Un esperimento condotto negli USA è consistito nell'irrorare la pelle del fondo della schiena dei volontari con raggi UVA. Dopo poche esposizioni si è scoperto che tali raggi attivavano un gene che distruggeva il collagene. Per riassumere, un celebre dermatologo ha detto che "le donne che oggi si abbronzano sono le prugne secche di domani". L'esposizione solare prolungata del volto provoca, oltre alle rughe, macchie, che a loro volta innescano un circolo vizioso: per nascondere gli inestetismi provocati dall'abbronzatura si ricorre… all'abbronzatura.

vantaggio: le ragazze che hanno imperfezioni della pelle, nei ecc, le mascherano a meraviglia con l'abbronzatura

vantaggio: i raggi solari, attraversando la pelle, favoriscono la formazione di vitamina D, che serve a fissare il calcio alle ossa (ma la vitamina D si può prendere anche per compresse!)

svantaggio: i raggi ultravioletti, attraversando le palpebre, possono danneggiare il fondo dell'occhio, specie delle persone con occhi chiari, che sono più sensibili ai danni di tali radiazioni

svantaggio: i raggi UVA possono provocare cancro alla pelle

Molte persone che rifiutano la corsa all'abbronzatura, fanno una passeggiata di un'ora sulla spiaggia, (alcuni, ancora più prudenti, scelgono la mattina prima di mezzogiorno, quando i raggi del sole non hanno una intensità eccessiva), in costume o con un vestito leggero e trasparente e un cappello a tesa larga per proteggere il volto. Oppure nuotano

per mezz'ora-un'ora: questo è sufficiente a prendere tutto il sole che serve a fissare il calcio alle nostre ossa. L'acqua funge da ottimo filtro per i raggi ultravioletti e per prevenire scottature della pelle.

Si sta poi diffondendo l'uso di lozioni autoabbronzanti, anche perché non è possibile abbronzarsi tutto l'anno con la lampada senza farsi veramente danno. Oggi esistono lozioni molto migliorate, della Lancome, Shisheido, L'Oreal, ecc. che donano un bel colore dorato alla pelle del volto senza doverlo esporre alle radiazioni ultraviolette dannose per gli occhi e responsabili delle rughe.

Tuttavia occorre assolutamente utilizzare i cosmetici di case note e affidabili, perché nei prodotti a basso costo vengono utilizzate sostanze coloranti della pelle gravemente tossiche: cantaxantina, psoraleni, furocumarina e betacarotene sono assolutamente da evitare (leggere le componenti!). Sarebbe bene farsi consigliare il prodotto da un dermatologo.

Vanno assolutamente evitate le sedute di solarium abbronzante presso i centri estetici, perché all'interno dei "sarcofaghi" i raggi sono potenziati al massimo per esaltarne il rendimento, sicché sui tessuti hanno più o meno l'effetto di un bombardamento al napalm, con le conseguenze (macchie, rughe, ecc.) che abbiamo già descritto.

Le macchie della pelle dovute all'età cominciano a manifestarsi sulle mani e gli avambracci. In parte sono dovute alla degenerazione della pelle, in parte sono grassi assunti dall'organismo e che hanno subito un processo di degradazione per la cottura ad alta temperatura, e che finiscono per accumularsi sulla pelle. Evitate quindi tutti i piatti fritti o con grassi portati ad alta temperatura, come gli arrosti anneriti o con la crosta.

E' stato dimostrato che un minore apporto di grassi nella dieta evita degenerazioni della pelle.

Poiché la carenza di vitamina A è associata a fenomeni degenerativi della pelle, sono stati messi in commercio preparati a base di "Retinolo-A", un derivato della vitamina A che in laboratorio si è dimostrato efficace nel riparare le epidermidi danneggiate da esposizionio prolungate al sole. L'uso regolare di una crema a base di Retinolo per le mani e gli avambracci a partire dai 30 anni dovrebbe mantenerli senza macchie per lungo tempo. Per le macchie del volto, se esiste una predisposizione familiare (genitori con pelle precocemente macchiata) si può usare per tempo sempre il Retinolo o i preparati "anti-macchie" che le principali case cosmetiche hanno immesso sul mercato.

il parere del famoso medico statunitense isadore rosenfeld sul sole e la salute della pelle

Se dovessi limitarmi a dire solo tre parole sull'argomento dell'in­vecchiamento della pelle, riassumerei tutto il discorso dicendo « evi­tate il sole ». L'eccessiva esposizione al sole, infatti, accelera il pro­cesso di invecchiamento della pelle, specialmente negli individui di carnagione chiara o con capelli biondi o rossi. Chi invece ha una éarnagione più scura è meno vulnerabile ai danni prodotti dal sole perché le cellule della sua pelle contengono una maggiore quantità di un pigmento protettivo chiamato melanina che protegge appunto da tali danni. Purtroppo, però, per ogni decennio che passa, queste cellule contenenti il pigmento diminuiscono in numero di circa il dieci per cento. Così, man mano che invecchiamo, rimanere esposti al sole diventa sempre più dannoso. Eppure ogni anno c'è una mi­grazione in massa al sud dalle zone a clima freddo da parte di mi­lioni di persone, per lo più anziane. Queste persone non solo cerca­no il tepore del sole, ma si crogiolano sotto i suoi raggi. Sulle spiagg!e, lui campi di golf, nelle piscine, la loro pelle, esposta ai raggi so­lari, assume un'ingannevole abbronzatura che viene scambiata per « salute », mentre in realtà perde di elasticità e di tono. Alla fine questa pelle è destinata a raggrinzirsi come un'asse per lavare, per non parlare poi dei rischi di formazioni maligne. Mi viene in men­te a questo punto la storia di un uomo, morto mentre era in vacan­za in Florida. I suoi amici erano venuti a rendergli omaggio all'obi­torio e mentre era lì steso sul tavolo, una signora che ne ammirava il viso abbronzato, si era rivolta al proprio compagno e aveva escla­mato in tono ammirato: "Sì, questo sì che è vivere I ».

E tra coloro che non possono permettersi di andare al sud o di rì­manerci abbastanza da riceverne una profonda abbronzatura dure­vole, sono venute molto di moda le lampade abbronzanti dei saloni specializzati. Ricordate però che anche questi surrogati istantanei di abbronzatura portano con sé gli stessi rischi della sovraesposizione cronica al sole.

A volte, quando ricordo a una paziente che una pelle scottata è una pelle lesionata, questa cerca di rassicurarmi dicendomi di fare ampio uso di creme idratanti e altri unguenti. Purtroppo, pur con tutto il debito rispetto alle centinaia di milioni di dollari spesi in pubblicità dall'industria cosmetica per convincerci che i loro pro­dotti sono così efficaci, la realtà è che mentre tali creme possono conferire temporaneamente alla pelle una certa morbidità, in effetti non servono affatto a ritardare, prevenire e neppure minimizzare i danni prodotti dal sole.

Per prevenire il prematuro invecchiamento della pelle, tenetevi quindi al riparo dal sole intenso. Se per qualche ragione non siete in grado di evitare i suoi raggi, utilizzate almeno un filtro solare. Questi unguenti e creme bloccano la luce ultravioletta del sole che è appunto la parte dannosa della luce. I prodotti di più vasto im­piego sono quelli che contengono acido para-aminobenzoico (Paba). Mettetene un po' sulla pelle venti-trenta minuti prima di esporvi al sole e se andate a nuotare applicatene con frequenza un nuovo stra­to. Controllate sempre sull'etichetta del filtro solare il numero del fattore protettivo e scegliete quei prodotti il cui fattore non sia in­feriore a 8.

Ricordate che usare un filtro solare non significa tornare a casa da una splendida vacanza alle Hawaii o nei Caraibi con la pelle pallida pallida. Una parte dei raggi solari raggiungerà comunque la vostra pelle, ma non in quantità sufficiente a danneggiarla. Del tutto spassionatamente poi, vi dirò che una leggera abbronzatura, oltre a presentare molti pericoli in meno, ha, secondo me, un aspetto più sofisticato di un'ab­bronzatura intensa.

Riguardo al colore della pelle ho trovato una splendida soluzione. Anni fa stavo chiacchierando con quella decana della bellezza che è Estee Lauder. « Lei ha un aspetto così pallido e stanco », mi ave­va detto. (Pallido, per forza, perché evitavo il più possibile il sole; stanco ... be', questa è un'altra storia.) « Perché non usa un po' della mia lozione abbronzante? Le darà un aspetto più sano e sentirà che differenza. » Be', io non mi sono mai fatto incantare dai cosmetici per uomini e non ero rimasto colpito dalla sua raccomandazione. Ma lei si era ricordata della nostra conversazione e qualche giorno dopo era arrivata con un paio di tubetti del suo « abbronzante per uo­mo ». Non mi sembrava giusto che il loro posto fosse nel mio ar­madietto dei medicinali, così li avevo messi in quello dei cosmetici di mia moglie. La settimana seguente, uno dei miei più solleciti pa­zienti aveva espresso la sua preoccupazione per il mio aspetto. Così, il mattino dopo, quando ero. rimasto solo, mi ero applicato un po' dell'abbronzante della signora Lauder sul viso. Mi ero guardato nel­lo specchio e quello che avevo visto mi era piaciuto, eccome! Quan­do ero sceso a colazione mi ero sentito in effetti più giovane. Mia moglie, di solito molto percettiva e osservatrice, non era sembrata però accorgersi della nuova persona che le stava davanti. « Ottimo» avevo pensato. « Si tratta di un prodotto leggero e sfumato. ~) Ero andato poi in studio dove, con mia grande sorpresa, un paziente die­tro l'altro aveva espresso commenti sul mio « aspetto fresco e ripo­sato ». Era evidente che nessuno sospettava che il mio colorito "sano"  avesse un'origine cosmetica. Quella sera a cena, durante una breve pausa nella conversazione, mia moglie aveva alzato gli occhi e aveva detto: "Be', qualcuno l'ha notato?". Francamente devo ammettere di essere stato ormai conquistato dagli abbronzanti  maschili, perfino quando vado al sud. In ogni caso cerco di evitare l'eccessiva esposizione al sole. Se non mi è possibile, porto un cappello, tengo la pelle coperta e uso un filtro di fattore 10. Basta con le lente rosolature di ore e ore al sole. Datemi retta, starsene seduti all'ombra a leggere, mentre sorseggiate un long drink fresco senza pià imprecare contro le nubi non è poi tanto brutto.

 

 

Dove trovo i grassi omega-3 che fanno bene per la salute?

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I grassi omega-tre proteggono il cervello da epilessie e ischemie e prevengono le malattie cardiovascolari. Sui meccanismi, però, fino a poco tempo fa, era buio completo. E’ recente una incredibile scoperta: una differenza di potenziale elettrico nella membrana dei neuroni determina tutto. A controllare la differenza sono le proteine Trek-1, che aprono e chiudono i canali della membrana. L’epilessia e gli stati comatosi sono causati dal blocco di questi canali. L’esperimento è stato fatto su tre gruppi di cavie. Al primo è stato tolto il gene della proteina Trek-1: nutrito con e senza grassi ricchi di omega-tre, si è mostrato molto vulnerabile a epilessie e ischemie. Il gruppo di cavie con Trek-1 è stato suddiviso in due: uno alimentato senza rassi omega-tre, l’altro con. Questo terzo gruppo ha mostrato una formidabile resistenza a ischemie e epilessie. Ecco cosa accade: i grassi non saturi si legano alla proteina Trek-1 per aprire i canali della membrana dei neuroni, permettendo così l’uscita degli atomi di potassio carichi di elettricità positiva. Il blocco dei canali impedisce ilriequilibrio delle differenze del potenziale elettrico tra parte interna ed esterna della membrana dei neuroni. Il blocco può essere prodotto dalle tossine. L’interazione tra omega-tre e Trek-1 apre i canali e salva le strutture neuronali dal blocco. I crostacei sono ricchi di omega-tre.

I grassi omega-3 sono straordinari per la salute delle coronarie e la prevenzione dell'infarto. Le popolazioni eschimesi che consumano grandi quantità di omega-3 non conoscono le malattie cardiovascolari.

Gli omega-3 non sono da confondere con gli omega-6, contenuti nelle noci e nei semi oleosi (anche loro necessari per la salute del cervello)

  I pesci più ricchi di omega-3, contrariamente a quanto si pensa, non sono i salmoni, ma gli sgombri, che costano molto poco, sono di piccola taglia e quindi non inquinati da piombo mercurio o altri metalli pesanti come i pesci di grossa taglia (pescespada, tonno), sono ancora abbondanti nel mediterraneo e nell'atlantico, e quindi non sono di allevamento.

I salmoni di allevamento, nutriti con mangimi, hanno pochi omega-3, perché questi grassi sono contenuti nel plancton che mangiano gli animali in libertà.

purtroppo sgombri e aringhe sono stati in questi ultimi anni aggrediti da un parassita che deposita nelle loro carni uova microscopiche che penetrano nel corpo dell'uomo e sviluppano vermi nematodi. ma niente paura: per distruggere le uova è sufficiente cuocere bene o surgelare il pesce per 2-3 giorni.

  Crostacei (aragoste ecc.) e cacciagione selvatica contengono anch'essi buone dosi di omega-3.

  Gli integratori (pillole di omega-3) non sono fonti da disprezzare, ma occorre scegliere solo prodotti sottoposti a ultrafiltrazione, perché i grassi dei pesci sono contaminati da metalli pesanti. Un ottimo prodotto, microfiltrato, è Omega3-rx della enervit, prodotto su licenza di Barry Sears (l'autore dellla dieta della "zona")

  Altra fonte di precursori di omega-3 è l’olio di semi di lino

È estratto dai semi della pianta Linum usitatissimum, molto utilizzata fino a qualche decennio fa per produrre capi di abbigliamento. A differenza degli altri oli vegetali, ricchi di grassi omega 6, l'olio di lino è molto ricco di acido linolenico, il capostipite dei grassi omega 3. Ne contiene fino al 58%: per soddisfare il fabbisogno giornaliero di grassi omega 3 ne bastano solamente 6 grammi al giorno!

L'acido linolenico è il più delicato tra gli acidi grassi: si ossida molto facilmente e di conseguenza il processo di estrazione dell'olio di lino deve essere fatto accuratamente, possibilmente in assenza di aria e a temperatura controllata.

Fino a qualche anno fa l'olio di lino spremuto a freddo veniva prodotto esclusivamente con ilmetodo Baglioni, a temperatura controllata, per lo più da piccole aziende biologiche.

Ora che il consumo è aumentato le aziende più grandi hanno adottato metodi molto meno delicati nei confronti del prodotto, che viene portato a temperature molto più alte che possono ossidare l'acido linolenico.

Inoltre nessun produttore propone confezioni totalmente opache che proteggano l'olio dalla luce; nessun negoziante lo conserva in frigorifero per proteggerlo dalla temperatura.

La probabilità di trovare un prodotto veramente fresco, quindi, è molto bassa.

Consigliamo quindi di evitare il consumo di olio di lino, a meno di non approvvigionarsi direttamente dal produttore, assicurandosi che utilizzi il metodo Baglioni e che conservi in frigorifero l'olio così prodotto.

Il prodotto va conservato in frigorifero in bottiglie scure, e va consumato nel giro di qualche settimana.

Ha un sapore caratteristico di noce, leggermente amarognolo. Quando irrancidisce prende un sapore sgradevole di pesce.

  Semi di Chia

La Chia è una pianta che cresce in Messico e Bolivia, della quale si utilizzano in prevalenza i semi. Pare siano una fonte ricchissima di omega-3 e che ne contengano più del salmone

 

 

Come devo fare la spesa per risparmiare?

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Acquista secondo i reali bisogni nutrizionali, soprattutto quelli delle proteine, le cui fonti sono le più costose (carne, pesce, insaccati). Consulta le tabelle nutrizionali, e l'articolo in questo documento sulla quantità raccomandata di proteine. Un adulto non ha bisogno di 150 gr. di carne al giorno. Perciò, se ad es. fai la spesa per te, scegli il vassoio con la pesata di 100 gr. anziché quello con la pesata di 180 gr. Non sono consigliate più di cinque noci al giorno per le coronarie, perciò tu comprane solo quattro, o tre.

Un adulto maschio che non svolge lavori pesanti ha bisogno di non più di 2500 calorie al giorno. Una donna di non più di 1800 calorie. Il nostro organismo ha un meccanismo di omeostasi per cui riesce, almeno finché è giovane, a "gettar via" le calorie in eccesso e mantenere un peso costante. Questo vuol dire che tutte le calorie in eccesso sono soldi gettati al vento. E non si tratta di pochi soldi: un giovane adulto che consuma 3000 calorie invece delle 2500 necessarie ha elevato la sua spesa alimentare di ben il 20%

Controlla sempre le offerte speciali. Oggi molti supermercati le segnalano con appositi cartelli

Alcuni supermercati scontano del 20% prodotti vicini alla scadenza, come insalata e verdura

Controlla sempre, nell'etichetta del prezzo, il prezzo al kg e confronta i vari prodotti

Preferisci cibi poco trasformati a quelli ad alto grado di lavorazione. Ad esempio:

il pesce impanato costa il 40% in più di quello non impanato, il nasello surgelato costa il 40% in meno dei tranci di nasello

il minestrone knorr precucinato in scatola costa il 30% in più di quello surgelato e quest'ultimo costa il 40% in più di un minestrone fatto con verdure fresche (eh, sì, il minestrone surgelato, anche quello Carrefour, non è proprio a buon mercato…)

l'arrosto affettato di pollo o tacchino costa il 100% in più del tacchino da cuocere

I pasti precucinati (melanzane precucinate, lasagne precucinate ecc.) costano il doppio di quelli cucinati in casa

I prodotti di rosticceria costano il doppio di ciò che prepari a casa con ingredienti acquistati separatamente

Una confezione di tortellini, per la lavorazione, eleva il prezzo rispetto alla pasta e alla carne presi separatamente anche del 50% (a meno che non siano tortellini-schifezza): al loro posto proponi della pasta con un sugo di carne fatto da te.

Lo yoghurt o la ricotta costano meno dei fiocchi di latte, perché questi sono molto lavorati

Utilizza qualche prodotto discount. Nei supermercati Carrefour, Coop, Esselunga esiste la linea "discount", che ha prodotti controllati che costano la metà: yoghurt, latte, fagioli discount possono essere tranquillamente utilizzati al posto dei prodotti di marca senza nessun danno per la salute.

Su prodotti come carta igienica, fazzolettini orientati decisamente sul discount

Utilizza i prodotti a marchio del supermercato (Carrefour, Auchan ecc.) anziché quelli con marchi non del supermercato: sapone liquido, fagioli, spazzolini, dentifrici marchiati Carrefour sono perfettamente utilizzabili al posto di quelli più costosi.

Controlla sempre, sull'etichetta, qual è la ditta che produce i prodotti per Carrefour o Auchan: molto spesso sono ditte molto buone, come Polenghi Lombardo per il latte Carrefour, Icam per la cioccolata Coop ecc. In questo caso acquista senza esitare.

Patti estremamente chiari con i familiari (soprattutto i figli): nessun capriccio alimentare. Non sono ammessi "sofficini che mi piacciono" e "sofficini che non mi piacciono", "yoghurt che mi piacciono" e "yoghurt che non mi piacciono"; "pasta che mi piace" e "pasta che non mi piace", "fazzolettini di carta che preferisco" e "fazzolettini di carta che non mi piacciono". L'unico criterio è il rapporto prezzo-qualità.

Utilizza i naselli surgelati: risparmi l'80% sui surgelati in trancio o impanati

Preferisci il pesce azzurro: filetti freschi di sgombro, aringhe, sarde, costano poco più di 5 euro al kg e sono ricchissimi di omega-3 e poco inquinati, perché di piccola taglia. Lascia stare tonno e pescespada.

Bandisci da casa tua i rotoli di carta-cucina tipo scottex: sono costosissimi, e finiscono quasi immediatamente. Acquista invece i grandi rotoli larghi 50 cm. e ricorda: meno la carta è soffice, minore è la fregatura e maggiore la durata. Prova diverse marche di rotoli del genere, che sono venduti anche dai fai-da-te: alcuni durano veramente una eternità.

Evita cibi come sofficini, olive ripiene surgelate, pasti precucinati, perché il costo per kg è altissimo

Evita come la peste gli insaccati: il banco formaggi e insaccati è il banco del massacro economico con prezzi che vanno da 25 € a 70 € al kg. È vero che esistono insaccati a marchio del supermercato o discount che costano veramente poco, ma non consiglierei di acquistarli. Se proprio dovete comperare un insaccato, acquistate una o due porzioni di bresaola a settimana perché apporta notevoli quantità di ferro.

Non trascurare i prodotti animali a basso costo come il fegato e le frattaglie: una volta a settimana, una piccola porzione di fegato o di fegatini per voi e i vostri bambini apporta notevolissime quantità di ferro, vitamine A, D, E e K.

Evita i prodotti di rosticceria: stesso discorso che per gli insaccati

Evita le buste di vegetali surgelati diversi da piselli, fave e fagioli e funghi: puoi fare un ottimo minestrone con alcune foglie di bieta, una patata, tre carote e poco altro che non costa più di 0,3 euro, contro i due euro e più di un minestrone findus. Il minestrone surgelato costa il 300% in più di quello fatto in casa. Quando passiamo poi alle creme di verdure surgelate o ai piselli "quattro salti in padella", arriviamo al 500-600%.

Evita il latte "arricchito", "a digestione facilitata"; evita gli gnocchi con il "ripieno di formaggio" e simili: acquista il prodotto base, e non quello "arricchito", che sovente costa anche il 30% in più.

I latticini grassi fanno male, e sono pure molti più costosi di latticini relativamente magri come lo yoghurt intero (se proprio non vuoi rinunciare al gusto dei grassi) o la ricotta, che sono in assoluto i meno costosi.

Evita i cibi biologici (vedi).

Evita la frutta e la verdura fuori stagione. I pomodori fuori stagione, le fragole fuori stagione e il radicchio fuori stagione sono una vera follia.

Frutta e verdura non andrebbero mai acquistate al supermercato, dove costano mediamente il 30% in più, ma al mercato locale.

Ci sono delle ditte che praticano prezzi alti non giustificati dalla qualità, che per gli altri prodotti è appena un po' inferiore (es. Yomo o Abit): individua questi marchi ed evitali. Per latticini, pasta, detersivi, saponi, olio, aceto, biscotti, cioccolate, esistono marchi che si fanno pagare un prezzo esageratemente alto. Evita i produttori che praticano prezzi assurdamente alti con l'etichetta degli ingredienti esattamente identica a quella degli altri.

Fai la spesa con la calcolatrice e datti un budget. In questo modo tieni sotto controllo quanto spendi. Se vedi che hai sforato il budget, qualche semplice sostituzione o eliminazione dal carrello ti faranno risparmiare tantissimo.

Consulta, sul sito www.learningsources.altervista.org la tabella delle proteine meno care. Avrai delle sorprese.

Oggi ci sono molti siti che pubblicano i prezzi comparativi dei prodotti presso i vari supermercati, e addirittura delle app per telefonino. Usale.

Evita cibi come creme, tiramisù, tranci di torta, gelati, perché il prezzo al kg. di queste preparazioni è altissimo (a parte il danno per la salute).

Patatine, caramelle, cioccolatini hanno pure un prezzo per kg altissimo (le Pringles costano 70 € al kg, quasi come il caviale)

Evita i prodotti sfiziosi come le aragoste, i pesci costosi, le uova di quaglia, le cioccolate con ripieno di caramello, i biscotti Mulino Bianco ripieni di crema; i pomodorini sardi; l'aceto balsamico o di mele invece di quello di vino; le margarine arricchite con omega-3 e simili

Acquista il pane tipo 00 con farina, acqua, lievito sale. Evita il pane di semola, le biovette con aggiunta di grassi ecc. perché la lavorazione raddoppia il prezzo.

Per certe categorie di alimenti, esistono differenze di prezzo non giustificate dalla reale qualità: i pinoli costano quattro volte le nocciole e queste costano due volte le mandorle o i semi di girasole, che hanno la stessa quantità di omega-6; la carne di tacchino o pollo ha le stesse qualità nutrizionali (o poco meno) della fesa di vitello; l'aceto di mele o balsamico non hanno alcun pregio rispetto a quello di vino; la margarina non vale più del burro di qualità ordinaria; i fogli per fotocopia da 80 g/m2 non valgono più di quelli da 70 g/m2, eccetera

 

 

Perché mi converrebbe acquistare farmaci via internet in Inghilterra?

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Per il semplice fatto che i prezzi dei farmaci in italia sono scandalosi. Quelli degli integratori e dei prodotti da banco sono quasi criminali, assai superiori a quelli praticati nei paesi civili. Facciamo qui solo due esempi: 20 compresse da 500 mg di vitamina C in Italia costano circa 5 euro. Via internet, una confezione da 100 compresse si acquista a 7 euro, più due euro di costi di spedizione (rimborsati se l'ordine supera un modesto ammontare), e contiene anche estratti di acerola e rosa canina per aumentare la digeribilità del preparato.. Propecia (l'unico prodotto funzionante contro la caduta dei capelli) in confezione da 30 compresse costa online in Inghilterra 30 euro, contro i 60 a cui viene venduto da noi. E si potrebbe continuare all'infinito.

Farmacie online come http://www.chemistdirect.co.uk nel Regno Unito, di cui si serve regolarmente chi scrive, sono strettamente controllate dalle autorità e vendono prodotti assolutamente comparabili a quelli italiani.

Unico neo: per diverse categorie di prodotti non si trova quello di marca. Così, si può acquistare un multivitaminico a un quarto del prezzo praticato in Italia, ma non Multicentrum (Wyeth Laboratories) né Supradyn (Bayer). Ci sono tuttavia eccellenti prodotti di marca: ChemistDirect vende tutti i prodotti della gamma Garnier a prezzi stracciati rispetto all'Italia, e i prodotti del marchio Seven Seas, fondato nel 1934 e acquistato nel 1996 dalla multinazionale farmaceutica Merck.

Vitamine, integratori e altri prodotti del genere possono anche essere comodamente acquistati dai venditori internazionali selezionati da http://www.amazon.com, nella sua divisione Health & Personal Care. Anche qui i prezzi sono estremamente competitivi: 250 capsule da 1000 mg di vitamina C con aggiunta di estratto di rosa canina costano 13,57 dollari.

Ecco un elenco di prodotti che potrebbero interessarci: integratori di Omega-3; prodotti anti-age e anti-macchia per la pelle (che in Italia sono costosissimi); aspirina cardio da 80 mg; multivitaminici; vitamina C in compresse; integratori di calcio e vitamina D; Integratori di vitamine del complesso B, in particolare B12, molto costosa; Melatonina; detergenti per la pelle, shampoo e saponi neutri (Garnier); prodotti contro la degenerazione articolare a base di Glucosammina e Condroitina; integratori proteici; Propecia; Alli (compresse per ridurre l'assunzione di grassi).

 

 

Come procurarsi vitamina C di qualità ad un costo cinque volte inferiore a quello della farmacia

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Suggeriamo qui due modi. Il primo lo abbiamo illustrato nell’articolo “Perché mi converrebbe acquistare farmaci via internet in Inghilterra”, che consigliamo di leggere. Per chi non vuole ricorrere agli acquisti online c’è la semplice ricetta che Linus Pauling, premio Nobel per la chimica, dà per la preparazione galenica in farmacia, nel libro Cancer and Vitamin C: 100 grammi di acido ascorbico, 48 grammi di sodio bicarbonato, 200 millilitri di sciroppo di sorbitolo, 600 millilitri di acqua distillata. Portate la ricetta al vostro farmacista e fatevi mettere il tutto in una bottiglia scura (la luce brucia la vitamina C) che metterete in frigorifero e conserverete per non più di 4 settimane. Il suggerimento di Pauling per la dose giornaliera è di 4 cucchiai al giorno, pari a 10 g. di sodio ascorbato. Chi non volesse assumerne una tale quantità, può diminuire le dosi a mezzo cucchiaio (1750 mg) o meno.

Come ultima possibilità, una amica di chi scrive acquistava acido ascorbico in cristalli dalla farmacia (è possibile ottenerlo) e lo teneva in frigorifero, assumendone la punta di un cucchiaino quando necessario.

 

 

Un'aspirina al giorno toglie il cardiologo di torno… e riduce della metà il rischio di tumori ereditari.

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Una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista medica «The Lancet» sostiene che assumere regolarmente una dose di aspirina non solo eviterebbe le patologie cardiache, ma ridurrebbe anche della metà il rischio di sviluppare un tumore del tipo familiare.

Lo studio, che ha monitorato 1000 pazienti in 16 Paesi per più di quattro anni, è stato condotto da ricercatori di due università britanniche, la Queen's e la Newcastle University, e si è concentrato principalmente su persone affette da sindrome di Lynch, un'alterazione genetica ereditaria che provoca l'insorgere del cancro agendo sui geni che sono responsabili dell'individuazione e della riparazione del DNA danneggiato.

Il 50% circa degli individui affetti da sindrome di Lynch sviluppa il cancro, e si stima che su 100 casi di tumore al colon tre siano causati da questa sindrome. Ogni anno nel mondo più di 600.000 persone muoiono di cancro del colon-retto, che negli Stati Uniti è la seconda causa di morte sia per gli uomini sia per le donne.

La ricerca ha preso in esame tutti i tipi di tumore correlati alla sindrome (fra cui quello al colon, al retto, allo stomaco e dell'endometrio), evidenziando che quasi il 30% dei pazienti che non assumeva aspirina (bensì un placebo a base d'amido) aveva sviluppato il cancro, a fronte del 15% di quelli che assumevano l'aspirina ogni giorno. Nel caso del tumore del colon-retto, la riduzione dell' incidenza era del 63%.

Fatto interessante è che chi aveva assunto aspirina sviluppava polipi in percentuale analoga rispetto a chi aveva assunto il placebo. I polipi sono delle crescite anormali di tessuto che si originano dalle mucose dell'intestino e che sovente vengono identificate come strutture capaci di evolvere in formazioni tumorali. La differenza rilevata nei pazienti che assumevano aspirina è che i loro polipi non evolvevano verso la forma tumorale, dal che si è ipotizzato che l'aspirina potrebbe essere in grado di indurre le cellule precancerose all'autodistruzione prima che degenerino verso il cancro.

Vale la pena notare un paio di cose riguardo a questa ricerca.

La prima è che, diversamente dalla dose giornaliera di 80 mg di aspirina raccomandata ai pazienti a rischio di patologia cardiaca, in questo caso i pazienti ne assumevano 600 mg al giorno (in due compresse da 300 mg): si tratta di una dose molto elevata, che aumenta il rischio che insorgano altre problematiche collegate al deterioramento dei tessuti gastrici, come le ulcere, e complicanze emorragiche. L'aspirina ha la capacità di fluidificare il sangue, il che fa di questa sostanza un efficace antiaggregante. Il lato negativo di questa sua caratteristica benefica è che un quantitativo eccessivo di aspirina può impedire la coagulazione del sangue quando questa sarebbe provvidenziale, aumentando il rischio di emorragie interne in seguito a un incidente o nel corso di un intervento chirurgico.

Seconda cosa: bisognerebbe ricordare che fra gli sponsor di questa ricerca c'era là Bayer. Il che non è una novità, perché la Bayer finanzia la ricerca sul cancro da molti anni come parte dell'esplicita missione aziendale mirata a scoprire farmaci antitumorali.

Già altri studi osservazionali condotti in passato avevano suggerito che l'aspirina potrebbe essere un valido strumento contro il cancro, ma quello citato è il primo studio randomizzato che ha verificato direttamente - con esiti positivi - tale ipotesi.

 

 

Dopo i 50 anni è opportuno assumere una aspirina al giorno per migliorare la circolazione e prevenire infarto e ictus?

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Il famoso medico statunitense Isadore Rosenfeld scrive che l'aspirina pediatrica da 80 mg in dose di una al giorno o una a giorni alterni porta a una riduzione del cinquanta per cento nell'incidenza degli infarti acuti nei pazienti con gravi forme di angina instabile, quella che di solito progredisce fino a giungere all'attacco cardiaco.

 

[Quello che segue è l’articolo completo di Isadore Rosenfeld]

Il fatto di fluidificare il vostro sangue dopo un colpo apoplettico può aiutarvi a prevenirne un secondo? La maggior parte dei neurologi ritiene di no. Una volta che un par­ticolare vaso sanguigno si è occluso, per esso non c'è più niente da fare. I sintomi hanno fatto il loro corso, e anche se possono passare mesi prima che sappiate con precisione qual è la portata della vostra invalidità permanente, sempre che tale invalidità ci sia, il colpo apoplettico in sé si è esaurito, è finito.

L'Ait (attacco ischemico transitorio), invece, in cui i sintomi durano solo per qualche istante o poche ore e poi scompaiono com­pletamente, è un avvertimento che vi dice che il peggio può ancora venire. Il vaso sanguigno è solo in parte occluso. E la gran parte dei medici ritiene che in queste circostanze sia giustificato il ri­corso a qualche tipo di anticoagulante.

Purtroppo gli anticoagulanti stessi non sono privi di rischi. n più grave dei quali è il pericolo di emorragia interna, specialmente se sono stati presi abbinati ad altri farmaci che intensificano il loro potere diluente del sangue o se avete. precedenti di emorragie in qualsiasi punto del corpo o un'ulcera o soffrite di ipertensione.

Così io personalmente consiglio ai miei pazienti che hanno avuto un Ait di prendere come anticoagulante il warfarin per tre o quat­tro mesi, per poi passare all'Aspirina in piccole dosi, 80 mg al giorno (dose pediatrica). Il trattamento a base di Aspirina lo faccio continuare indefinitamente. Attenzione, però, chiunque abbia sofferto di Ait farà bene a sottoporsi a esami per accertare se c'è la possibilità che nell'arteria carotide ci siano plac­che correggibili per via chirurgica che diano origine a emboli. Prescrivo però lo stesso Aspirina, mezza compressa al giorno, an­che nel caso che il colpo apoplettico sia stato completo e non un semplice Ait, nell'eventualità che ci sia una o più arterie malate che potrebbero provocare disturbi in futuro.

Alcuni medici mettono in guardia dall'usare aspirina con i bambini, perché è sospettata di provocare la sindrome di Reye, un grave disturbo neurologico, quando viene somministrata a bambini colpiti da affezioni virali.

Gli anticoagulanti sono assunti regolarmente ad es. da coloro che soffrono di fibrillazione atriale, una aritimia del cuore che può far staccare coaguli che danneggiano cervello, reni e altri organi.

Il farmaco anticoagulante più impiegato è il Warfarin (Coumadin). Vanno fatte analisi mensili  per assicurarsi che il dosaggio non sia troppo elevato o troppo scarso: il Warfarin è impiegato anche come veleno per topi.

In alternativa al Coumadin si può prescrivere degli agenti che, pur non essendo anticoagulanti in senso stretto, servono a ridurre per altra via la tendenza alla coagulazoine. Questi agenti sono gli antiaggreganti piastrinici e interferiscono sulla funzione piastrinica. Le piastrine sono particelle microscopiche contenute nel sangue le quali hanno il compito di facilitare la coagulazione di quest'ultimo. Uno di tali farmaci è l'Aspirina; un altro è il Persantin (dipiridamolo). Alcuni medici li prescrivono abbinati: il Persantin in dosaggi da 50-100 mg tre o quattro volte al giorno, l'aspirina in dosaggio mini, da 80 mg. una volta al giorno. Questo rappresenta il modo più efficace di prevenire embolie da coaguli.

Ho conosciuto pazienti che hanno perso l'udito, di solito in via temporanea, ma qualche volta in via permanente, dopo aver preso l'Aspirina; un fenomeno che si verifica undici volte su mille. Ci sono anche vari

L'aspirina ha due effetti: antinfiammatorio e fluidificante del sangue (trombolitico: impedisce l'aggregazione delle piastrine nel sangue). L'aspirina (acido acetilsalicilico) non eserciti il suo effeto antinfiammatorio solo direttamente, ma anche attraverso il suo principale metabolita (l'acido salicilico). Questo agisce in modo differente, cosicché l'azione antinfiammatoria deriva da due meccanismi diversi. Invece il metabolita salicilato, ad alte concentrazioni, antagonizza l'effetto trombolitico. Quindi il dosaggio per fludificare il sangue e impedire infarti è inferiore (da 70 a 150 mg contro i 500 mg della dose antinfiammatoria)

Non è detto che un medicinale antitrombotico, capace di prevenire o dissolvere trombi venosi, sia necessariamente attivo anche sui trombi arteriosi.

L'attività terapeutica non sempre discende, come un corollario automaico, dall'attività funzionale o biochimica. Tipico il caso, che ha avuto larga econ nella stampa specializzata, dei farmaci che impediscono l'aggregazione delle piastrine del sangue. Dal momento che le piastrine giocano un ruolo rilevante nei processi di coagulazione, qualcuno ne ha dedotto il banale sillogismo: rallentamento dell'aggregazione piastrinica, ergo diminuzione della coagulabilità, ergo prevenzione della trombosi. Il guaio è che mentre la riduzione dell'aggregazione piastrinica è facile da dimostrare con prove di laboratorio relativamente semplici, la prevenzione della formazione di trombi (coaguli intravasali) è molto più difficile da provare, perché richiede studi di lunga durata e gruppi di potenziali pazienti molto numerosi. Così, se nessuno può mettere in dubbio l'efficacia di questi farmaci nell'ostacolare l'aggregazione delle piastrine,nonè stato finora possibile raccogliere per tutti i medicinali antiaggreganti in commercio prove convincenti dell'utilità terapeutica di questo effetto (per esempio, una diminuzione dei trombi coronarici e un'eventuale riduzione della mortalità nei pazienti portatori di questa patologia). Perfino nel caso dell'aspirina, di cui è stat dimostrata senza possibilità di dubbi l'attività nella prevenzione delle trombosi, non è ancora stato chiarito fino in fondo se tale effetto sia dovuto alle sue proprietà antiaggreganti o ad altri fattori.

Certi medici, di fronte a questo tipo di obiezioni, alzano le spalle e dicono: "Non stiamo a sottilizzare troppo. Val la pena di tentare in ogni caso, perché comunque male non può fare". In realtà, se non siamo sicuri che non faccia bene, non possiamo neanche scartare la possibilità che faccia male. Nessun medicinale è innocuo per definizione. Eè presoché infinita la gamma degli effetti tossici chepossono essere generati da un composto chimico su una delle innumerevoli funzioni del nostro corpo. Magari è un danno che sul momento non si percepisce, che viene a galla solo a distanza di mesi, a volte di anni; e può anche succedere che la tossicità derivi non dal farmaco preso isolatamente ma dall'effetto combinato di più farmaci. Quel che è certo è che ogni farmaco ha degli effetti collaterali, per quanto blandi: la razionalità del suo uso dipende solo dalla dimostrata presenza di benefici.

precauzioni da prendere con gli anticoagulanti

Ulcera sanguinante, disfunzioni nella coagulazione del sangue, malattia di fegato, ipertensione elevata). Vanno fatte analisi mensili  per assicurarsi che il dosaggio non sia troppo elevato o troppo scarso.

Per quanto riguarda l'Aspirina, prima di affidarvi a una terapia a lungo termine, accertatevi che la cosa non presenti pericolo per voi. Questo farmaco sarà per esempio da evitare se soffrite di asma bronchiale, se avete precedenti di ulcere emorragiche o in presenza di gravidanza. Ma anche nel caso abbiate ricevuto il benestare dal vostro medico, non prendetene troppa. Per quanto riguarda il vostro stato vascolare, più ridotta è la dose, migliori saranno i risultati ot­tenuti. Il fatto che noi non sempre teniamo conto di questa realtà spiega perché i primi studi condotti sull'efficacia dell'Aspirina nella prevenzione delle malattie cardiache avessero dato risultato negativo. Il problema era che le dosi impiegate erano troppo alte. L'Aspirina presenta due effetti opposti rispetto alla coagulazione del sangue: uno ne previene l'agglutinamento, l'altro lo favorisce. E più Aspi­rina si prende, maggiore è l'effetto negativo. lo personalmente rac­comando l'Aspirina pediatrica da 80 mg in dose di una al giorno o una a giorni alterni.' s stato dimostrato che questo dosaggio porta a una riduzione del cinquanta per cento nell'incidenza degli infarti acuti nei pazienti con gravi forme di angina instabile, quella che di solito progredisce fino a giungere all'attacco cardiaco.

 

 

Quali sono i rischi e le controindicazioni della assunzione regolare di una aspirina cardio da 75 mg al giorno?

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Ecco un elenco di controindicazioni all’assunzione giornaliera di una dose pediatrica di aspirina al fine di fluidificare il sangue:

 

-   Studi recenti hanno indicato una correlazione tra assunzione regolare di aspirina e degenerazione maculare retinica (AMD), ma la questione è tutta ancora da approfondire

-   L’aspirina “brucia” vitamina A più velocemente

-   L’aspirina provoca danni gastrici

-   L’aspirina può interferire con l’assorbimento di molte vitamine del gruppo B

-   L’aspirina può interferire con l’assimilazione del calcio e del potassio

-   L’aspirina sarà da evitare se soffrite di asma bronchiale, se avete precedenti di ulcere emorragiche o in presenza di gravidanza.

 

Circa il rapporto tra aspirina e degenerazione maculare retinica, ecco il testo della notizia, apparsa sui quotidiani il 4 ottobre 2011:

 

Il nesso non è ancora stato dimostrato definitivamente, ma la notizia ha suscitato qualche preoccupazione. Anziani malati della forma più grave di una malattia retinica chiamata degenerazione maculare legata all’età (AMD umida o essudativa), che può provocare la perdita della vista centrale, avrebbero subito una più rapida riduzione delle capacità visive se assumevano quotidianamente l’aspirina (acido acetilsalicilico). Il farmaco viene di solito usato con frequenza al fine di fluidificare il sangue e prevenire problemi cardiocircolatori.

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Ophthalmology, è stato condotto quasi su 4.700 persone con più di 65 anni in sette centri di ricerca sparsi per l’Europa (The European Eye Study). Solo per chi assumeva quotidianamente aspirina la riduzione visiva sarebbe stata tanto più veloce quanto più era grave l’AMD (nella sua forma a più rapida evoluzione). Tale risultato andrà però verificato effettuando ulteriori studi.

 

Ecco un brano del libro di Antonella Fantò, Vitamine e prevenzione, che è decisamente critico sull’uso continuato dell’aspirina:

 

Se usate l’aspirina, non dimenticate che si tratta di una medicina e, come tale, va presa solo in casi di stretta necessità. Il motivo è semplice: tutte le medicine mettono in moto nell’organismo un processo non naturale che avrà comunque un duplice effetto. Da una parte, se ve le ha prescritte il medico, certamente un effetto terapeutico. Dall’altra, però, distruggeranno alcune sostanze e metteranno in subbuglio tutto il sistema metabolico del nostro organismo: tutte le medicine, compresa l’aspirina. I consumatori di aspirina devono sapere che l’acido acetilsalicilico  farà espellere la vitamina C tre volte più di quanto non accada abitualmente; che distrugge le riserve di acido folico, la vitamina che tutela da alcune malattie genetiche durante la gravidanza; che “disturba” l’assorbimento di molte vitamine del gruppo B, indispensabile al nostro sistema immunitario, che altera la sintesi della vitamina A, utile alla protezione delle mucose, compresi i polmoni. Infine che può interferire con l’assimilazione del calcio e del potassio, due minerali fondamentali per prevenire i danni della vecchiaia.

 

 

L'aspirina cardio è acquistabile solo su ricetta medica. Dove posso trovare una aspirina in compresse gastroresistenti, acquistabile liberamente?

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L'aspirina cardio ha un dosaggio troppo alto (150 mg), adatto per l'assunzione giornaliera da parte di persone che hanno avuto infarto o ictus, ma non di persone sane. Il dosaggio ottimale a scopo preventivo per queste ultime è di 75-80 mg al giorno. In Italia questa formulazione non è venduta, ma è acquistabile all'estero, per esempio in Inghilterra (vedi quanto detto sopra sugli acquisti di farmaci online), dove non è richiesta ricetta medica. La legge italiana richiede la ricetta solo per l'aspirina da 150 mg, ma tace sui dosaggi più bassi, cosicché l'acquisto online è perfettamente legittimo.

 

 

Di quanto andrebbe limitato il consumo di sale? Il sale fa male solo agli ipertesi o ha altre controindicazioni?

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Molti di noi sono perplessi riguardo la giusta quantità di sale da consumare. Il fatto è che l'informazione al riguardo è lacunosa e contraddittoria a dire il meno. Ecco alcune idee errate che facilmente si ricavano dalla letteratura divulgativa al riguardo: a) Il consumo di sale da cucina andrebbe moderato ma non abolito. Il grosso dei vantaggi si ha con la moderazione, mentre l'abolizione servirebbe solo per i casi gravi; b) Una quantità eccessiva di sale fa aumentare la pressione, e quindi rappresenta una minaccia solo per gli ipertesi; c) Alcuni studi mostrerebbero che l'abolizione completa del sale può portare ad una lieve compromissione delle funzioni cognitive degli anziani; d) Il sale è una sostanza fondamentale per l'organismo, il cui consumo non può essere abolito totalmente.

In realtà ognuna di queste affermazioni è errata. Come rileva Jared Diamond nel suo recente best-seller Il mondo fino a ieri, gli studi sulle società primitive che solo in tempi recentissimi sono venute in contatto con la civiltà e l'alimentazione occidentale, come i Papua della Nuova Guinea, mostrano che queste popolazioni sanissime, che non conoscono ictus, ipertensione, malattie cardiovascolari e diabete, assumono pochissimo sale. Il record del più basso consumo di sale al mondo si ha tra gli Yanomani dell'Amazzonia. Le conclusioni di Diamond, che cita studi epidemiologici sul drammatico incremento di malattie "da civilizzazione" tra le popolazioni convertite alla dieta occidentale sono nette: il consumo di sale da cucina va abolito totalmente. E anche l'abolizione totale non ci mette al riparo dal consumo di sale presente in pressoché tutti gli alimenti conservati che assumiamo giornalmente.

La seconda preziosa informazione che ci fornisce lo studio di Diamond (che è un biologo evoluzionista) è che il sale è un vero killer nascosto: non è solo responsabile dell'ipertensione, ma il suo consumo è incontrovertibilmente legato all'ictus e ad altre patologie degenerative, come l'arteriosclerosi e i disturbi cardiaci. Il sale è persino responsabile della decalcificazione e della osteoporosi, perché facilita l'eliminazione di calcio con le urine.

Particolarmente impressionante è la correlazone tra sale e ictus. Nei villaggi giapponesi in cui il consumo di sale è più alto, pressoché il 60% della popolazione muore di ictus in età relativamente giovane.

La conclusione di Jared Diamond è lapidaria: Salt: never, ever.

Comunque, immagino che non tutti – anzi pochissimi – abbiano la forza di volontà di privarsi del tutto di sale, anche se sarebbe una vera assicurazione sulla vita! Ecco perciò i livelli raccomandati di assunzione di sale pubblicati dall’United Kingdom Department of Health, che comunque sono bassissimi per gli adulti è raccomandata una dose massima di 6 grammi di sale (circa un cucchiaino da the):

 

eta’

quantita’ di sale

raccomandata

0-6 mesi

meno di 1 g

7-12 mesi

1 g

1-3 anni

2 g

4-6 anni

3 g

7-10 anni

5 g

sopra 11 anni

6 g

 

 

Di quante proteine giornaliere abbiamo bisogno?

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Ecco l’assunzione raccomandata di proteine pubblicata dall’United Kingdom Department of Health:

 

eta’

quantita’ di proteine

giornaliera

raccomandata

1-3 anni

15 g

4-6 anni

20 g

7-10 anni

28 g

11-14 anni

42 g

15-18 anni

55 g

19-50 anni

55 g

sopra 50 anni

53 g

 

Come si può capire, si tratta di una stima approssimativa, che può variare in relazione al peso e all’attività svolta, ma serve comunque come primo orientamento. Ecco un’altra tabella:

 

eta’

e attività

quantita’ di proteine

giornaliera

raccomandata

1-3 anni

1,8 g/kg

4-6 anni

1,2 g/kg

7-10 anni

1 g/kg

adulti sedentari

0,8 g/kg

adulti con attività

leggera

1,2-1,4 g/kg

adulti con attività

intensa

1,6-1,7 g/kg

 

Secondo questa tabella, un adulto sedentario del peso di 70 kg dovrebbe assumere circa 55 g di proteine, vale a dire, tenendo conto di un introito calorico di 2200 calorie, che le proteine devono apportare il 10% dell’energia della dieta, ciò che è anche in accordo con le indicazioni massime del China Study (vedi in questo documento).

 

 

E' meglio il Parmigiano o il Grana Padano?

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Certo, il Grana Padano sembra buono quanto il Parmigiano, e avete notato che ci sono sempre quelle offerte speciali di Grana, mentre non è facile trovarne di altrettanto vantaggiose per il Parmigiano? Vi siete mai chiesti il perché? La risposta ce la dà la legge (sì, proprio le norme giuridiche), che disciplina il tipo di lavorazione che deve avere un formaggio per poter utilizzare una denominazione tipica.

Leggiamo dunque che il Parmigiano può essere prodotto solo da latte di mucche che hanno mangiato foraggi freschi, non insilati. Il Grana padano invece può essere prodotto anche con latte di mucche nutrite con foraggi stoccati nei silos, che sviluppano una notevole quantità di batteri. Questi batteri passano nello stomaco del bovino e di lì nella forma di formaggio, provocandone la fermentazione e la spaccatura. E' per questo che fino a qualche anno fa i produttori di Grana Padano erano autorizzati ad utilizzare un potentissimo conservante, l'aldeide formica. Si pensi che viene impiegato nelle facoltà di medicina per conservare sotto vetro tessuti ed organi umani ed animali. Come se ciò non bastasse, la norma non fissa limiti all'utilizzo del conservante: infatti il testo della norma dice "aldeide formica q.b.", e "q.b." vuol dire "quanto basta", cioè "fai un po' tu".

Ecco il perché delle offerte speciali del Grana: poiché viene usato un conservante, praticamente nessuna forma si spacca, e quindi la produzione è molto alta, e per venderla si ricorre a periodici ribassi, mentre i controlli rigorosissimi e il divieto assoluto di utilizzare conservanti per il Reggiano ne rendono la produzione sensibilmente più ridotta.

La formaldeide è usata come conservante del tofu in Indonesia e i ricercatori che hanno fatto uno studio sui benefici del tofu hanno riscontrato una maggiore incidenza di demenza senile nei consumatori di tale alimento. E’ possibile che la colpa sia della formaldeide.

Si vede che qualcuno ha lanciato un allarme, perché recentemente i produttori di Grana Padano sono passati al conservante lisozima, che viene dichiarato "totalmente naturale e senza effetti dannosi per la salute". Sarà vero? Fossi in voi, se avessi la possibilità di sborsare qualche euro in più, opterei per un formaggio completamente privo di conservanti e prodotto da persone che hanno sempre pensato che la formaldeide deve stare negli obitori e nelle sale anatomiche e assolutamente non sulla tavola degli italiani.

 

 

Cosa dice in sintesi il famoso China Study di cui ho sentito tanto parlare e discutere? Dove posso trovare online il testo italiano?

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Il China Study in traduzione italiana si può trovare online in questo sito www.learningsources.altervista.org

Il China Study è un libro del medico ed epidemiologo Colin Campbell, basato sull'omonimo studio clinico che ha indagato per diversi anni sulle abitudini alimentari di milioni di cinesi delle più varie aree del paese, fornendo una impressionante quantità di dati statistici sulla correlazione tra dieta e malattie metaboliche e cardiovascolari.

A dispetto della mole (387 pagine nell'edizione italiana) le conclusioni sono estremamente semplici:

  Un eccesso di proteine favorisce invariabilmente il cancro, aumentandone la probabilità fino al 30%. Una dieta a basso tenore di proteine (5%) mette al riparo persino dal cancro provocato dall'aflatossina, la più potente sostanza carcinogena esistente. Le diete ipoproteiche rallentano anche sensibilmente il progredire del tumore

  La quantità di proteine in grado di favorire l'insorgere del cancro è quella presente in una normale dieta occidentale (20% delle calorie della dieta).

  La quantità di proteine consigliata non deve superare il 10% delle calorie totali

  Le proteine vegetali, anche se somministrate al livello del 20% non favoriscono il cancro

  Le proteine che maggiormente favoriscono il cancro sono quelle di origine animale. Tra esse la caseina presente nei latticini ha una incontestabile azione che favorisce il cancro. Le proteine sane sono quelle vegetali, comprese quelle del frumento e della soia.

  I soggetti che si nutrono prevalentemente di cibi animali sono quelli che si ammalano delle patologie più croniche. Persino le assunzioni relativamente ridotte di alimenti animali sono associate a effetti sfavorevoli.

  Cardiopatie, diabete, obesità possono essere fatte regredire con una dieta vegana, del tutto priva di prodotti animali

  Una notevole quantità di disturbi apparentemente non collegati all'alimentazione possono invece essere evitati con una dieta vegetariana: disturbi visivi e cerebrali in età avanzata (tra cui Alzheimer), malattie autoimmuni, malattie delle ossa e dei denti, tra cui osteoporosi, diabete, ictus, ipertensione, artrite, cataratta, obesità, malattie renali.

  Va in particolare abolito ogni consumo di carne, latticini e uova

  Le proteine potenziano l'azione delle principali sostanze cancerogene: aflatossine, nitriti, DDT, dolcificanti sintetici (ciclamati e saccarina), virus dell'epatite (che provoca cancro al fegato)

  Le cosiddette "malattie del benessere" (cancro, diabete, ictus, cardiopatie coronariche) sono legate tra loro e all'alimentazione.

  Una dieta vegetariana mantiene estremamente bassi i livelli di colesterolo. Le proteine di origine animale sono collegate alla produzione di colesterolo da parte dell'organismo (colesterolo endogeno), che si va ad aggiungere a quello proveniente da fonti animali (colesterolo esogeno). Il consumo di caseina (latticini) e di altre proteine animali mantiene alti i livelli di colesterolo.

  Esistono comprovate relazioni tra diversi tipi di cancro (es. al seno) e consumo elevato di grassi (oltre il 30% della dieta), che sconsiglia ulteriormente l'assunzione di alimenti animali, i più ricchi di grassi. La soglia massima di grassi nella dieta andrebbe rivisto al ribasso: 10-15%

  Solo il 2-3% dei cancri sono di origine ereditaria; tutti gli altri possono essere controllati o influenzati dall'alimentazione e dallo stile di vita

  Una dieta ricca di fibre, come quella vegetariana, ha importanti benefici preventivi. Occorrerebbe assumere almeno 30-35 grammi giornalieri di fibre.

  I vegetali sono ricchi di sostanze antiossidanti, ben più che gli alimenti di origine animale

  Contrariamente a quanto pensano oggi i nutrizionisti, la dieta più sana e che favorisce la perdita del sovrappeso e il mantenimento del peso forma è ad alto contenuto di carboidrati, e non di proteine, come la famosissima dieta Dukan. Ma si deve trattare di carboidrati non raffinati, provenienti da frutta e verdura integrali.

  La dieta migliore è una dita a basso contenuto di grassi e proteine e ad alto contenuto di carboidrati.

  Le culture che hanno tassi (notevolmente) inferiori di coronaropatie sono quelle che consumano meno grassi saturi e proteine animali e più cereali integrali, frutta e verdura, sostentandosi principalmente con cibi di origine vegetale con prevalenza di carboidrati complessi.

  Una dieta vegetariana fa dimagrire e tiene sotto controllo il peso senza bisogno di privazioni caloriche e senza provare alcun senso di fame.

  Il diabete di tipo II (quello non autoimmune) è correlato non solo col consumo di zuccheri, ma anche con quello di grassi, di proteine e di alimenti animali.

  I benefici della dieta vengono potenziati dall'esercizio fisico

  Gli integratori vitaminici non sono una panacea per la salute. Gli studi al riguardo hanno dato risultati incerti.

  La stessa alimentazione che previene la malattia negli stati iniziali può anche arrestare e far regredire la malattia negli stadi successivi.

  Una alimentazione che sia benefica per una particolare malattia cronica sarà di vantaggio alla salute su tutta la linea.

  Il pesce, grazie agli acidi grassi Omega-3, può prevenire alcuni aspetti della cardipatia, ma in definitiva non ha nessun effetto sulla mortalità causata da questa patologia e neppure sul rischio di attacco cardiaco. In compenso, i grassi contenuti nei pesci, come tutti i grassi, possono in qualche caso favorire l'insorgere di alcuni tipi di cancro, come il cancro al seno nelle donne, che è molto sensibile alla quantità di grassi nella dieta.

  La dieta occidentale è sbilanciata dal lato delle proteine;

  Una alimentazione vegana, con proteine di origine vegetale, mette al riparo pressoché da tutti i disturbi cardiovascolari e metabolici che affliggono le popolazioni delle nazioni ricche

  Gli alimenti a base di proteine animali producono un calo significativo nella produzione del complesso denominato “1,25 D”, che è il metabolita della vitamina D in cui essa viene convertita per poter agire sulle ossa. La deficienza di questo metabolita provoca numerose malattie, dall’osteoporosi alla sclerosi multipla. Le proteine animali creano nel sangue un ambiente acido che impedisce alla vitamina D di sintetizzare efficacemente questa sostanza. La quantità di 1,25 D in circolazione viene diminuita anche dalla eccessiva presenza di calcio nel sangue che è provocata dal consumo regolare di latte e latticini.

 

 

Qual è la marca di the verde deteinato col metodo più naturale e meno nocivo per la salute?

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Nel seguito sono riassunti brevemente i principali sistemi utilizzati per la riduzione del contenuto di caffeina nel tè. La caffeina è infatti la stessa sostanza che nel caso del tè viene più spesso indicata con il nome di teina. Si tratta di un alcaloide naturale presente oltre che nelle piante del caffè e del tè, anche nel cacao e nel guaranà ed ha un leggero effetto stimolant.

La principale differenza tra i vari metodi risiede nella natura del solvente utilizzato: Etile Acetato, Anidride Carbonica o Metilene Cloride. L’Etile Acetato è un composto organico presente naturalmente nel tè, così come in alcuni tipi di frutta e verdura; l’anidride carbonica è un gas presente anch’esso in natura, ma utilizzato in questo caso a temperature e pressioni particolari per rendere la CO2 liquida (allo stato naturale è, come detto, generalmente gassosa), mentre il Metilene Cloride è un solvente che non è presente in natura e deve essere sintetizzato chimicamente.

   Metodo 1: Metilene Cloride
In questo caso il solvente utilizzato è il Metilene Cloride. Il principale vantaggio di questo metodo è che permette di utilizzare la caffeina estratta dal processo. Ci sono infatti alcune bevande energetiche e bevande a base di cola che contengono caffeina addizionata. Il solvente utilizzato in questo caso è tossico se assunto in quantità elevate, ma i moderni processi di estrazione rendono questo metodo comunque altamente sicuro, dal momento che i residui di solvente nel tè deteinato con Metilene Cloride sono inferiori a 1 PPM (contro il limite di 5 PPM, imposto per legge).

   Metodo 2: Etile Acetato
L’etile acetato è presente in natura nel tè e in alcuni frutti, come le mele, le pere, i ribes o i frutti di bosco, per questo molti attribuiscono a questo metodo l’appellativo di “naturale”. Tuttavia l’estrazione dell’Etile Acetato dalla frutta o dalla verdura è impraticabile, per cui il composto viene generalmente riprodotto in laboratorio. Il processo, simile a quello utilizzato anche per il caffè, consiste nell’immergere in acqua le foglie di tè per estrarne la caffeina. L’utilizzo dell’acetato di etile permette quindi di separare dalle foglie “fisicamente” la caffeina ed eliminarne oltre il 99,9%. Purtroppo, l’acetato di etile rimuove anche ingredienti salutari della foglia di the e ne influenza il sapore.

   Metodo 3: Anidride carbonica
L’anidride carbonica (CO2) è il solvente utilizzato in questo metodo per eliminare la caffeina. Le foglie di tè vengono inumidite con vapore acqueo e successivamente convogliano nell’estrattore insieme all’anidride carbonica. Questa, grazie ad una pressione esercitata da una pompa al disopra della sua pressione critica e all’aumento di temperatura al suo interno fino a 50-70 gradi centigradi, si trasforma in uno stato liquido. L’anidride carbonica compressa dà così origine alla CO2 supercritica, che diviene liquida e si unisce alle particelle di teina, estraendola dalle foglie. La CO2 viene quindi fatta tornare allo stato gassoso ed espulsa, e con essa la quasi totalità della teina, non intaccando le sostanze che concorrono alla qualità del the e che lo rendono così apprezzato per le sue virtù. L’anidride carbonica, tornata gassosa, evapora completamente senza lasciare alcun residuo. Le foglie, ancora umide, vengono poi lasciate asciugare per essere successivamente lavorate e confezionate.

 

Il metodo senz’altro più naturale e assolutamente non dannoso per la salute è quello a base di anidride carbonica, che è un composto assolutamente naturale (è presente normalmente nel nostro sangue) e sparisce senza lasciare alcun residuo.

Questo metodo, non prevede l’utilizzo di altre sostanze e preserva maggiormente gli elementi fondamentali contenuti nel the, quali polifenoli (antiossidanti), aroma e gusto e altre sostanze benefiche. Questo metodo di estrazione di teina/caffeina è riconosciuto anche dall’ente di certificazione biologica CCPB (http://www.ccpb.it/) quale metodo completamente privo di residui.

Uno dei pochi the che utilizzano questo metodo, che è più costoso degli altri (perciò normalmente non utilizzato) è il The Winston.

Questa particolarità del The Winston non è nota a tutti, poiché gli altri produttori di the italiani hanno fatto causa alla casa produttrice del The Winston per impedirle di scrivere sulla confezione che il suo the è deteinato “senza sostanze chimiche”.

Oggi il processo di estrazione con la CO2 supercritica sostituisce industrialmente il comune solvente organico impiegato per estrarre l’elemento attivo dei prodotti naturali. Questa tecnica trova una delle sue applicazioni principali nell’estrazione della caffeina dal caffè, così come per la produzione di oli essenziali, di principi attivi e nell’estrazione del luppolo per la produzione di birra.

 

 

Le abitudini alimentari raccomandate dal New York Times per arrivare a 100 anni

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Ci sono alcune pratiche salutari che riguardano il cibo che sembrano essere veri e propri «elisir» di lunga vita: sono infatti abitudini condivise dalle cosiddette popolazioni che vivono nelle Blue Zones : le cinque aree del Pianeta dove si concentrano le popolazioni più longeve studiate dal giornalista del New York Times, Dan Buettner, in un progetto sviluppato con il National Geographic. I «rituali» descritti qui sotto vengono direttamente dagli usi degli ultracentenari di: Okinawa in Giappone, Loma Linda in California, Ikaria in Grecia, la Penisola di Nycoia in Costarica e l’Ogliastra, in Sardegna e - incredibile - nessuno di loro conta le calorie, prende vitamine o pesa le proteine

Il 95% di quello che mangi deve provenire da piante

Vegetali, cereali integrali e legumi dominano i pasti di tutto l’anno in ciascuna delle “zone blu”. La gente mangia una varietà impressionante di verdure e frutta di stagione e conserva in salamoia o con essicazione quel che eccede. Il “meglio del meglio” tra i cibi di lunga vita sono le verdure a foglia verde. In Ikaria, più di 75 varietà di ortaggi di questo tipo crescono “come erbacce”. Gli studi hanno verificato che le persone di mezza età che avevano consumato l’equivalente di una tazza al giorno di verdure cotte avevano la metà delle probabilità di morire nei successivi quattro anni rispetto a chi non aveva mangiato verdure a foglia verde.

Carne: non più di due volte a settimana

Le famiglie nella maggior parte delle “zone blu” mangiano carne con parsimonia, come contorno o per insaporire altri piatti. Lo scopo è limitare l’assunzione di carne cotta a poco più di 50 grammi (meno di un mazzo di carte) per cinque volte al mese. E per quanto riguarda pollo, agnello o maiale (carni bianche in genere) preferire i prodotti che vengano da aziende a conduzione familiare. La carne delle “zone blu” proviene da animali chepascolano liberamente, il che probabilmente porta a più alti livelli di acidi grassi omega-3.

Consuma fino a 85 grammi di pesce al giorno

Gli studi che Dan Buettner ha eseguito su 96.000 americani dal 2002 hanno scoperto che le persone che avevano seguito una dieta a base vegetale che comprendeva una piccola porzione di pesce ogni giorno erano quelle che vivevano poi più a lungo. Nelle “zone blu” sul mare il pesce è ovviamente una parte dei pasti quotidiani. La scelta migliore riguardo al pesce sono sardine, acciughe e merluzzo, che non sono esposti ad alti livelli di mercurio o altre sostanze chimiche.

Riduci il consumo di latticini e formaggi

«Il sistema digestivo umano - scrive Dan Buettner - non è ottimizzato per il latte vaccino, che risulta essere ad alto contenuto di grassi e zuccheri. La gente delle “zone blu” ricava lafonte di calcio dalle piante (una tazza di cavolo cotto, ad esempio, dà tanto calcio quanto una tazza di latte)». «Tuttavia, prodotti lattiero-caseari derivati da capre e pecore come lo yogurt e il formaggio sono comuni nelle diete tradizionali delle “zone blu” di Ikaria e Sardegna. Non sappiamo - ammette Dan Buettner - se è il latte che rende queste persone più sane o il fatto che si arrampicano sulle colline per far pascolare i loro animali».

Goditi fino a tre uova a settimana

Nelle “zone blu”, le persone tendono a mangiare solo un uovo alla volta: per esempio, in Costa Rica friggere un uovo per metterlo nelle tortillas di mais e a Okinawa mettono nella zuppa un uovo sodo. Provate a consumare a colazione un solo uovo - consiglia Dan Buettner ai connazionali americani - insieme a frutta o altri alimenti di origine vegetale: come pane integrale o porridge.

Legumi cotti ogni giorno (almeno mezza tazza)

Fagioli neri a Nicoya, soia a Okinawa, lenticchie, ceci e fagioli bianchi del Mediterraneo: i legumi sono la chiave delle diete nelle “zone blu”. In media, sono costituiti dal 21 per cento di proteine, dal 77 per cento di carboidrati complessi e da pochissimi grassi. Sono anche un’ottima fonte di fibre e contengono più nutrienti per grammo rispetto a qualsiasi altro cibo sulla terra. La media dietetica delle “zone blu” - almeno una mezza tazza al giorno - fornisce la maggior parte delle vitamine e minerali di cui si ha bisogno.

Passa alla «pasta madre» o alla farina di grano integrale

In tre delle cinque “zone blu”, il pane è un alimento base. Ma è un alimento del tutto diverso dalla maggior parte del pane che compriamo. A Ikaria e in Sardegna, ad esempio, è costituito da una varietà di cereali integrali al 100 per cento, tra cui frumento, segale e orzo - ognuno dei quali offre un ampio spettro di elevati livelli di nutrienti e fibre. In altre “zone blu” il pane tradizionale è realizzato con batteri che “digeriscono” il glutine e l’amidomentre lo fanno lievitare. Questo processo crea un acido che conferisce alla “pasta madre”un sapore aspro. Il risultato è un pane che abbassa il carico glicemico dei pasti (e ha anche meno glutine del pane “senza glutine”).

Taglia il consumo di zucchero

Gli abitanti delle “zone blu” consumano circa un quinto dello zucchero “aggiunto” rispetto a noi. I centenari mettono miele nel tè e gustano dolci solo nelle occasioni di festa. «Cosa possiamo fare noi - suggerisce Dan Buettner - ? Non aggiungere più di 4 cucchiaini di zucchero al giorno nelle nostre bevande e sui cibi. Mangiare biscotti, caramelle e dolci da forno solo un paio di volte la settimana. Evitare anche gli alimenti confezionati con edulcoranti, specialmente quando lo zucchero è elencato tra i primi cinque ingredienti».

Come snack mangia due manciate di noci

Questo sembra essere l’apporto medio di noci che si consumano nelle “zone blu”: due manciate al giorno. Un recente studio di Harvard durato 30 anni ha rilevato che chi mangia noci ha un tasso di mortalità del 20 per cento più basso rispetto a chi non le consuma. Altri studi mostrano che le diete con frutta secca riducono i livelli di colesterolo “cattivo” fino al 20 per cento.

Attieniti a cibi riconoscibili per ciò che sono

Nelle “zone blu” di tutto il mondo la gente mangia alimenti nella loro interezza: non butta via il rosso d’uovo o la polpa della frutta. Inoltre non assume integratori. Ricava tutto ciò di cui ha bisogno dagli alimenti “interi”, che spesso sono coltivati localmente. E noi? Evitiamo i prodotti con lunghi elenchi di ingredienti e facciamo acquisti a km zero quando si può. Gli scienziati stanno solo iniziando a capire come i vari elementi presenti nelle piante lavorino insieme per diventare salutari.

Aumenta l’introito di acqua

Gli esperti raccomandano sette bicchieri di acqua al giorno, anche perché gli studi mostrano che l’essere idratati riduce anche la possibilità di coaguli nel sangue. Inoltre, se stai bevendo acqua, non stai bevendo una bevanda carica di zucchero o dolcificata artificialmente.

Se proprio vuoi bere alcol, almeno bevi vino rosso

La maggior parte delle persone nelle “zone blu” bevono da uno a tre bicchieri di vino rosso al giorno. Il vino rosso aiuta il nostro corpo ad assorbire gli antiossidanti a base vegetale. Una quantità moderata di vino a fine giornata riduce anche lo stress. Attenzione a non eccedere: le quantità massime per una donna sono di un bicchiere al giorno e per un uomo massimo due.

Bevi tè verde

Le infermiere di Okinawa bevono tè verde tutto il giorno: è stato dimostrato che riduce il rischio di malattie cardiache e diversi tipi di cancro. I greci di Ikaria bevono birre di rosmarino, salvia selvatica e tarassaco: tutte le erbe con proprietà anti-infiammatorie.

Caffeina? Solo dal caffè

Le persone che vivono sulla penisola di Nicoya e in Sardegna e in Grecia bevono caffè abbondantemente. I risultati dello studio - sostiene Dan Buettner - dicono che bere caffè porta a una minore incidenza di demenza e morbo di Parkinson.

Un perfetto equilibrio tra le proteine

Se siete preoccupati di non assumere abbastanza proteine da una dieta a base vegetale seguite questo trucco. Unite insieme legumi, cereali, noci e verdure che forniscono tutti e nove gli aminoacidi essenziali che il nostro corpo non può produrre da solo. 

 

 

Se l’indice di massa corporea (IMC) della vostra obesità supera il valore di 30 potreste non riuscire più a perdere peso.

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Il grasso corporeo viene immagazzinato in tante piccole cellule adipose, chiamate adipociti. Il numero e la dimensione di queste cellule varia da individuo ad individuo.

Il grasso corporeo può aumentare come conseguenza di uno dei seguenti processi: a) aumento delle dimensioni delle cellule adipose (ipertrofia); b) aumento del numero di cellule adipose (iperplasia).

Al contrario di quanto succede per le fibre muscolari, il tessuto adiposo ha la possibilità di aumentare il numero di cellule che lo compongono. Esiste infatti un limite oltre il quale gli adipociti non possono ulteriormente aumentare di volume (Volume massimo=1µg). Un ulteriore incremento delle riserve adipose è realizzabile, in tale situazione, soltanto attraverso l'aumento del numero di adipociti.

Da sei mesi di età fino ai 18 anni i preadipociti possono dar luogo ad un incremento del numero di adipociti (le cellule che contengono il grasso del nostro corpo). Per questo è importante evitare un eccessivo sovrappeso nei bambini e negli adolescenti, perché questo potrebbe portare a moltiplicare il numero degli adipociti e a rendere la condizione di sovrappeso permanente.

Successivamente il numero degli adipociti si stabilizza, ma negli adulti essi possono sdoppiarsi (iperplasia) quando da una obesità moderata (IMC > 30) si passa ad una obesità grave (IMC > 35). Infatti le cellule adipose non possono avere una massa superiore ad 1 mcg. Oltre questo volume avviene lo sdoppiamento della cellula.

Quando una persona obesa dimagrisce le cellule adipose perdono una certa quantità di grasso, riducendo il loro volume, ma purtroppo il numero di adipociti non può essere facilmente ridotto. Sebbene non sia proprio vero che gli adipociti così “guadagnati” non vadano più persi, risulta comunque estremamente difficile provocarne la necrosi, anche ricorrendo a dimagrimenti forti e intensa attività fisica. Questo fenomeno spiega perché un obeso che sospende  la cura dimagrante, riacquista nel breve periodo gran parte del grasso corporeo perso.

Alcuni studi sembrano dimostrare l'esistenza di una relazione tra numero di adipociti e regolazione dell'appetito. Secondo queste ricerche un elevato numero di cellule adipose "vuote" sarebbe responsabile dell'aumentato stimolo della fame. Questo fenomeno spiega perché, per un individuo obeso, è così difficile seguire una dieta ipocalorica.

Fortunatamente il fenomeno dell'iperplasia degli adipociti si verifica solo in particolari circostanze.

Esistono tre periodi della vita in cui il numero delle cellule adipose aumenta significativamente: a) l'ultimo semestre di gestazione; b) il primo anno di vita; c) l'inizio del periodo adolescenziale; d) negli adulti questo fenomeno si può verificare solo durante il passaggio da un'obesità moderata (BMI >30)  ad una obesità  grave (BMI >35).

Ad eccezione di tali casi, i cambiamenti della composizione corporea si verificano per la sola variazione del volume di grasso contenuto nelle singole cellule adipose.

Al di fuori dei casi citati, l’aumento di volume degli adipociti provoca un processo diverso dallo “sdoppiamento" (iperplasia): una morte cellulare per sbilancio metabolico (organelli inadeguati e compressi alla periferia), a cui segue un attacco immunitario. In particolare, l'azione dei macrofagi sulla cellula adiposa porta alla liberazione di sostanze infiammatorie chiamate in causa nella fisiopatologia delle più comuni malattie associate all'obesità (come i diabete). Secondo questa ed altre visioni, è molto meglio avere molti adipociti piccoli, piuttosto che poche cellule adipose di grande volume (soprattutto a livello viscerale).

 

 

Abbandonate la dieta a base di carne e sostituitela con una a base di pesce

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Sui possibili effetti benefici dell'olio di pesci di mare (salmone, sar­dine, merluzzo e sgombro) ha cominciato a concentrarsi l'attenzione quando si è notato che alcune popolazioni, la cui dieta è ricca di questi alimenti, risultavano praticamente immuni da malattie delle arterie coronarie. Tra gli esquimesi della Groenlandia, per esempio, il tasso di morte per infarto è solo del 3,5 per cento, in confronto al cinquanta per cento dei loro vicini danesi. L'analisi delle diete di queste due popolazioni ha messo in luce che mentre gli esquimesi consumano da cinque a otto grammi al giorno di grassi polinsaturi presenti nei pesci di mare più ricchi d'olio, i danesi (e noi ameri­cani) ne consumano meno di un grammo al giorno. Anche il quadro lipidico del sangue degli esquimesi è molto più favorevole: i tassi del colesterolo e dei trigliceridi sono più bassi e l'Hdl è più alto; il loro sangue si coagula meno facilmente e anche la pressione san­guigna è mediamente un po' più bassa. Il merito di tutto questo è attribuito ai grassi polinsaturi di cui essi, a differenza di noi, fan­no grande uso.

Di grassi polinsaturi ne esistono di vari tipi, a seconda della loro struttura molecolare. La maggior parte di quelli presenti nella no­stra dieta americana appartengono al gruppo Omega-6, derivati so­prattutto dagli oli vegetali. Gli acidi grassi polinsaturi provenienti dal pesce, invece, appartengono alla varietà Omega-3 e la loro strut­tura biochimica è diversa. Di questi grassi ne esistono due tipi, l'acido eicosapentanoico (Epa) e, in minor misura, l'acido doco­saesanoico (Oha).

In base a queste osservazioni, gli scienziati si sono allora chiesti quali effetti potrebbe avere sugli occidentali una dieta ricca di acidi grassi del tipo Omega-3, Hanno così scoperto che ai volontari ai quali erano state somministrate integrazioni di Epa e Dha i tassi di colesterolo e trigliceridi erano diminuiti mentre l'Hdl era aumentato. E questo non è tutto. Così come avveniva per gli esquimesi, i grassi del tipo Omega-3 rendevano il sangue dei soggetti occidentali analiz­zati meno incline alla coagulazione a causa dell'azione sulle pia­strine. Secondo alcuni scienziati questo « effetto antipiastrinico » co­stituirebbe appunto l'azione più importante esercitata dagli acidi grassi del gruppo Omega-3. Ora la normale coagulazione del sangue è un meccanismo molto importante che impedisce di morire dissan­guati dopo una ferita, ma questa maggiore coagulabilità risulta dan­nosa quando le arterie sono ostruite. L'effetto dell'Epa e del Dha sulle piastrine è assai simile a quello dell'Aspirina; questi due acidi ritardano la formazione di coaguli e contribuiscono così a prevenire l'infarto e il colpo apoplettico nei soggetti a rischio. Un'altra con­seguenza positiva degli acidi grassi del gruppo Omega-3 è che ridu­cono la pressione sanguigna.

Guardate un po' che pacchetto di benefici si ottiene da questi semplici oli di pesce: miglioramento dei tassi di colesterolo, trìglì­ceridi e Hdl, ridotta tendenza al coagulamento del sangue e minore pressione arteriosa! E i pazienti affetti da angina pectoris a cui sono stati somministrati Epa e Dha, non solo hanno goduto di queste alterazioni chimiche positive, ma hanno anche segnalato minori do­lori toracici e minor bisogno di compresse di nitroglicerina.

I più recenti dati riguardanti il pesce nella dieta sono apparsi verso la metà del 1985. Uno studio della durata di vent'anni, iniziato nel 1960, coinvolgente circa ottocentocinquanta uomini di mezza età abitanti in Olanda ha rivelato che la morte per malattie cardiache era del cinquanta per cento inferiore tra coloro che mangiavano al­meno trenta grammi di pesce al giorno (il che fa poco più di due­cento grammi alla settimana) rispetto a coloro che non consuma­vano questo alimento.

Allora, è il caso o no di aggiungere questi acidi grassi del gruppo Omega-3 alla dieta? La scelta la lascio a quei miei pazienti che go­dono di buona salute. con tassi di colesterolo al di sotto di 200, l'Hdl a 50,0 più, e che non hanno problemi di pressione. Ma a co­loro che hanno già subìto eventi cardiaci, si tratti di angina o di infarto, o che presentano fattori di rischio elevati, la raccomando caldamente.

Il modo migliore per procurarsi questi acidi, l'Epa e il Dha, con­siste nel mangiare pesce. Ma si possono anche comperare capsule contenenti questi oli nella maggior parte dei negozi di prodotti die­tetici. Queste capsule sono commercializzate sotto vari nomi. Cer­cate quelle marche che contengono soprattutto Epa, e una quantità minore di Dha, e in cui ogni capsula contiene un grammo di grassi. Poiché i dati finora ottenuti sono soprattutto sperimentali, sulle eti­chette non compare nessuna dose «raccomandata ». La maggior parte delle avvertenze dice: « Una o più capsule al giorno », lo rac­comando due o tre capsule al dì. Perché non di più? Soprattutto per via dei rischi che comportano i grassi presi in grandi quantità. C'è sempre il sospetto che quantità eccessive di grassi - siano essi mono-insaturi, polinsaturi, totalmente saturi, Omega-3 o Omega-6, di origine animale, ittica o vegetale - se presi per periodi di tempo troppo lunghi possano aumentare il rischio cancro specialmente della mammella e del colon. Inoltre, nonostante il minor tasso di coronaropatie, gli esquimesi e i giapponesi (i quali fanno anche loro gran consumo di pesce e presentano analoghe statistiche positive nei confronti dei disturbi cardiaci) presentano in compenso un'alta inci­denza di malattie cerebrovascolari. L'incidenza del colpo apoplet­tico per emorragia in entrambi i gruppi è più alta di quanto sia dalle nostre parti. E non prendete queste ìntegrazìoni in capsule se avete disturbi emorragici.

 

 

Quale pesce comprano per la propria famiglia i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione? Lasciate stare il pescespada e passate al pesce azzurro: un vero tesoro nutritivo ad un prezzo incredibilmente basso.

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Qualche tempo fa, un ricercatore dell’Istituto per la Nutrizione, intervistato circa il tipo di pesce che acquistava per la propria famiglia, ha dichiarato di non aver avuto esitazioni nella scelta: il pesce azzurro è saporito, costa poco e presenta concentrazioni invidiabili di acidi grassi omega-3, fosforo, iodio e ferro. Appartengono a questa categoria le alici o sardine, le sarde o palamiti, le aringhe e gli sgombri

I filetti freschi di aringhe o di acciughe – inspiegabilmente snobbati dagli italiani - costano incredibilmente poco (5 euro e mezzo o poco più al chilo), apportano solo 87 calorie per etto e sono preziose fonti di elementi nutritivi.

L'aringa (clupea harengus) è un pesce diffuso prevalentemente nell'oceano Atlantico settentrionale. Vive nei mari freddi dell'Europa settentrionale, della Groenlandia, del Canada e del Nord America. È un pesce relativamente piccolo, arriva fino a 50 cm di lunghezza, panciuto, dalla pelle argentata. La pesca dell’aringa oggi viene effettuata dai pescherecci con reti a strascico ed è abbastanza abbondante sia per la facilità di riproduzione delle aringhe (ogni esemplare femmina depone fino a 40 mila nuove larve) sia per il fatto che le stesse si muovono in branchi molto densi.

L’acciuga o alice (engraulis encrasicolus) è diffusa nell’Oceano Atlantico orientale, tra la Norvegia e il Sudafrica. È presente e comune anche nei mari Mediterrando, Nero e d’Azov. Si tratta di un tipico pesce pelagico che si può trovare anche a grande distanza dalle coste, a cui si avvicina in maggio-giugno per la riproduzione. Di solito nella stagione calda non si incontra a profondità superiori a 50 metri. In inverno frequenta acque più profonde, attorno ai 100-180 metri nel Mediterraneo. Anch’essa, come l’aringa, è un pesce abbondante e perciò poco costoso oltre che non inquinato da sostanze tossiche, perché di piccola taglia.

Anche gli sgombri freschi (scomber scombrus) e le sarde o palamite (sarda sarda) sono un ottimo pesce azzurro, sebbene i primi siano meno a buon mercato di quelli precedentemente citati.

Il pescespada sarebbe di per sé un pesce ottimo, uno dei più magri e ricchi di proteine, ma purtroppo, come il tonno, la verdesca e altri pesci di grossa taglia, tende ad accumulare nelle sue carni quantità rilevanti di sostanze tossiche (metalli pesanti come il mercurio, ma anche diossina e policlorobifenili)

 

 

Quali caratteristiche dovete cercare sull’etichetta di un olio di oliva allo scopo di effettuare il migliore acquisto?

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la bottiglia deve essere di vetro e deve essere scura, per evitare il danno prodotto dagli ultravioletti al prodotto

Un olio venduto con bottiglia chiara o addirittura di plastica si ossida più facilmente.

Ancora accettabili sono gli olii venduti con incarto o stagnola, purché non li si rimuovano durante l’uso.

 

non acquistate un olio di oliva non extravergine

Perché è sconsigliabile acquistare olio con denominazione “olio di oliva” invece che olio con denominazione “olio extravergine di oliva”? Perché la legge, nel caso dell’”olio di oliva”, come pure degli oli di semi, ammette il procedimento di “raffinazione”, che impiega solventi chimici. Il processo di raffinazione è utilizzato per ottenere tutti gli oli di semi non spremuti a freddo (e quindi la stragrande maggioranza degli oli di semi) e l’olio di oliva non vergine. L’olio viene estratto con l’utilizzo di calore e di solventi chimici, che vengono poi eliminati per distillazioine. Esso viene successivamente reso commestibile con l’utilizzo di sostanze alcaline che ne abbassano l’acidità, riportandola a valori accettabili.

Questo processo produce una piccola quantità di acidi grassi insaturi di tipo trans, nella misura del 5% rispetto al quantitativo totale di grassi (quindi in una bottiglia di olio di semi da un litro ci sono circa 5 grammi di grassi trans).

Questi acidi grassi trans si formano per rotazione della molecola intorno a un "doppio legame" fa diventare la naturale configurazione cis-cis una configurazione trans-cis. Questo piccolo cambiamento ha considerevoli effetti negativi sulla salute: gli acidi grassi trans rendono le cellule più permeabili, ossia qualche molecola tossica, che normalmente starebbe al di fuori, entra nelle cellule. Le funzioni immunitarie possono essere indebolite. Gli acidi grassi trans aggravano le carenze di acidi grassi essenziali, ostacolando la produzione di prostaglandine, che regola il tono muscolare delle pareti arteriose, la pressione del sangue, le funzioni renali e reagisce alle infiammazioni. Gli acidi grassi trans accrescono i livelli di colesterolo cattivo (LDL).

 

le caratteristiche qualitative che per legge deve avere l’olio extravergine sono nettamente superiori a quelle dell’olio non extravergine

Se l’etichetta reca la dicitura “ottenuto con soli mezzi meccanici” allora non c’è stato processo di raffinazione con uso di agenti chimici, ma le caratteristiche chimiche dell’olio non extravergine rimangono inferiori a quello extravergine. Date le più basse caratteristiche qualitative dell’olio non extravergine, è più probabile che siano impiegati olii o olive extracomunitarie di bassa qualità

 

acquistate un olio di oliva con dicitura “estratto a freddo” o, meglio ancora, “spremuto a freddo”

Leggete più avanti l’illustrazione delle fasi della lavorazione dell’olio, con la spiegazione di queste due diciture

Tenete però presente una cosa: la dicitura “spremuto a freddo” non è particolarmente distintiva di un olio extravergine dall'altro, visto che quasi tutti i sistemi di spremitura meccanica, per migliorare la resa dell'estrazione, portano il mosto di olio a 27 gradi centigradi, e che la lavorazione a questa temperatura viene ancora considerata un sistema "a freddo".

 

la dicitura “ottenuto unicamente con mezzi meccanici “ non ha alcun valore per l’olio extravergine, ma solo per l’olio di oliva non extravergine

La dicitura “spremuto unicamente con mezzi meccanici” è assolutamente ingannevole e senza significato, perché qualsiasi olio extravergine deve essere ottenuto con metodi meccanici e non chimici.

 

acquistate un olio di oliva con dicitura “ottenuto da olive italiane”

Un olio ottenuto con olive italiane presenta alcune garanzie. Anzitutto la coltivazione, il trasporto, lo stoccaggio, avvengono nel nostro Paese, dove la disciplina legislativa e i controlli agroalimentari sono molto rigorosi. In secondo luogo, per ottenere un olio di qualità le olive devono essere lavorate subito dopo la raccolta, cosa che certo non avviene nel caso di olive di provenienza extracomunitaria, o di oli extracomunitari, ottenuti secondo procedure e tempi tutti da controllare e verificare.

Grazie al Regolamento (CE) 182 del 6 marzo 2009, che modifica il Regolamento (CE) 1019/2002, è entrato in vigore, in tutti i paesi della Comunità Europea, l’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle olive impiegate per la produzione dell’olio vergine ed extravergine di oliva. In parole povere significa che sull’etichetta del vero olio extravergine Italiano, dovranno essere riportate (obbligatoriamente) le scritte come per esempio “ottenuto da olive italiane”, “ottenuto da olive coltivate in Italia” o semplicemente “Prodotto Italiano”, mentre per i miscugli di provenienza diversa sarà specificato se si tratta di:

  “miscele di oli di oliva comunitari” (olii di paesi terzi all’interno della Comunità Europea, es. Italia e Grecia)

  “miscele di oli di oliva non comunitari” (olii di paesi terzi fuori della Comunità Europea)

  “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” (olii di paesi terzi all’interno e fuori della Comunità Europea).

 

le fasi della lavorazione delle olive

Le fasi della lavorazione delle olive sono:

  pulitura e lavaggio

  frangitura o molitura

Le olive vengono frantumate con grosse macine di granito (metodo tradizionale, detto molitura) o con “martelli” (metodo detto frangitura).

  gramolatura

La gramolatura è il rimescolamento della pasta ottenuta con la frangitura, per far in modo che le microscopiche vescicole d’olio contenute nella polpa delle olive si rompano completamente rilasciando il loro contenuto.

  Estrazione

L’estrazione a partire dalla pasta prodotta dalla gramolatura del mosto di oliva dalla parte solida, chiamata “sansa”

  Separazione dell’olio dall’acqua

  Eliminazione delle impurità per decantazione o filtrazione

 

i procedimenti “meccanici” utilizzati per la lavorazione delle olive

I procedimenti utilizzati sono di tre tipi:

  Metodo tradizionale

Questo sistema sta sempre più scomparendo per gli alti costi della manodopera e per il maggior tempo impiegato.

Le olive vengono frantumate da macine di granito che girano lentamente a temperatura ambiente.

La pasta così ottenuta viene rimescolata nella “gramola”, una vasca lunga e stretta con un’asse centrale munito di lame impastatrici in rotazione continua. La pasta, durante il rimescolamento viene portata ad una temperatura non superiore a 27° centigradi per facilitare l’estrazione dell’olio.

Il mosto d’olio viene separato dalle sanse attraverso una filtrazione per effetto di pressione. La pasta d'olio viene disposta su strati sottili alternati a diaframmi filtranti in una torre con un asse centrale cilindrico cavo chiamato “foratina”. Un diaframma filtrante costituito da un disco in fibra sintetica forato al centro viene infilato lungo la foratina. Sul primo diaframma, adagiato sul fondo del piatto, si dispone uno strato di pasta d'oliva spesso 3 cm, si sovrappone un secondo diaframma e un secondo strato di pasta e così via. Ogni tre strati di pasta si sovrappone un diaframma senza pasta e un disco d'acciaio allo scopo di distribuire uniformemente la pressione. A questo punto la torre viene inserita nella pressa e sottoposta a una pressione dell'ordine di 400atm, per effetto della quale il mosto d'olio si separa dalla frazione solida, chiamata “sansa”.

L’olio viene poi separato dall’acqua poi privato delle impurità tramite filtrazione o decantazione

Quest’olio viene denominato come “spremuto a freddo”. La normativa definisce la spremitura a freddo: “Procedimento meccanico che consiste nella compressione della pasta di olive, senza l'aggiunta di acqua calda o il riscaldamento della pasta stessa” (da ricordare che la pasta viene riscaldata in fase di gramolatura).

  Metodo continuo

E’ il metodo più largamente impiegato. Viene chiamato “continuo” perché il sistema è costituito da un insieme di macchinari colleti tra loro in modo che si passa immediatamente da una fase all’altra, senza interruzioni.

Le macchine collegate sono quattro: il frangitore, la gramola, il decanter, il separatore. 

Il frangitore è dotato di “martelli” (in realtà dei dischi rotanti con spigoli vivi detti martelli, che ruotano a 3000 giri al minuto) che riducono le olive in pasta d’olio.

La pasta d’olio passa poi nella gramola dove viene mantenuta ad una temperatura non superiore a 27° centigradi.

Dalla gramola la pasta diluita con acqua passa in una centrifuga estrattiva a tamburo orizzontale, chiamata normalmente “decanter”, che separa la sansa dal mosto d’olio.

Infine, un dispositivo detto “separatore”, infine, convoglia verso direzioni diverse l'acqua immessa nel decanter, l'acqua di vegetazione (quella contenuta dalle olive all'origine) e l'olio.

L’olio viene poi privato delle impurità tramite filtrazione o decantazione

Quest’olio viene denominato come “estratto a freddo”. La normativa definisce la estrazione a freddo: “Procedimento meccanico durante il quale la pasta viene mandata al decanter che estrae le diversi fasi e quindi l'olio in base al principio fisico della centrifugazione in base alla differenza di densità”. Anche qui ricordiamo che la pasta viene riscaldata in fase di gramolatura.

E’ opinione unanime degli esperti che una temperatura di 27° centigradi non danneggia il prodotto e permette di estrarre dalla pasta la maggior quantità di sostanze aromatiche senza comprometterne la qualità. Senza l’ausilio della temperatura gli oli sarebbero molto meno aromatici, cioè quasi piatti al gusto e all’olfatto.

  Vi è inoltre il sistema di estrazione a percolamento che sfrutta la differente tensione superficiale dell'olio e dell'acqua di vegetazione presenti nella pasta gramolata. Si lasciano affondare nell'impasto dei pettini in lamine d'acciaio che bagnandosi d'olio lo raccolgono fino a farlo sgocciolare in un apposito contenitore evitando così il ricorso a operazioni di pressatura.

Questi tre sistemi sono quelli che a norma di legge sono definiti “sistemi meccanici” di lavorazione delle olive.

 

quanto costa un olio di qualità

Secondo le affermazioni di produttori di olio di qualità, un olio extravergine di oliva spremuto o estratto a freddo nel rispetto dei punti sopra descritti, non può costare meno di 12 Euro la bottiglia da un litro. 

 

la classificazione degli olii stabilita dalla normativa europea

 

denominazione

acidità

perossidi

mcq/02/kg

note

Olio extravergine di oliva

≤ 0,8

≤ 20

Ottenuto con estrazione con soli metodi meccanici

Olio vergine di oliva

≤ 2,0

≤ 20

Ottenuto con estrazione con soli metodi meccanici

Olio di oliva lampante

> 2,0

--

Ottenuto con estrazione con soli metodi meccanici ma non è utilizzabile per il consumo alimentare

Olio di oliva raffinato

≤ 0,3

≤ 5

Ottenuto tramite rettificazione di olii vegetali lampanti con metodi fisici e chimici e successiva raffinazione

Olio di oliva composto di oli di

oliva raffinati e di oli di oliva

vergini

≤ 1,0

M 15

 

Olio di sansa di oliva greggio

--

--

Ottenuto con estrazione con solvente dalle sanse

Olio di sansa di oliva raffinato

≤ 5

M 5

Ottenuto tramite raffinazione

Olio di sansa di oliva

≤ 15

M 15

 

 

Per il produttore è facoltativo indicare sull'etichetta della confezione il grado di acidità del prodotto.

La misura dei perossidi è importante, perché rivela il grado di ossidazione (irrancidimento) che ha subito l’olio, e che è minimo se le olive sono state subito lavorate e l’olio correttamente stoccato.

La classificazione merceologica ufficiale stabilita dal regolamento comunitario n. 356/ 92 prevede quattro distinte categorie di oli di oliva per la commercializzazione al minuto:

  L'olio extravergine di oliva, ottenuto da una lavorazione effettuata con l'esclusivo impiego dì mezzi meccanici (frangitura, spremitura, separazione), dal gusto assolutamente perfetto, punteggio organolettico uguale o superiore a 6,5 e un'acidità libera espressa in acido oleico inferiore allo 0,8 %.

  L'olio vergine di oliva, ottenuto mediante procedimenti meccanici, dal punteggio organolettico uguale o superiore a 5.5 e corrispondente a un gusto perfetto con un'acidità libera espressa in acido oleico inferiore al 2%; (nella fase della produzione e del commercio all'ingrosso, può essere usato il termine "vergine fino").

  L'olio di oliva, ottenuto da un taglio di olio di oliva raffinato e di oli di oliva vergini diversi dall'olio lampante, ha un'acidità libera che non può superare l'1 %.

  L'olio di sansa di oliva, ottenuto da un taglio di olio di sansa di oliva raffinato e di oli di oliva vergini diversi dall'olio lampante, ha un'acidità libera inferiore all'1 %.

 

acidità di un olio

L’olio di oliva è costituito per la quasi totalità (98-99%) da trigliceridi, cioè esteri formati da glicerina e acidi grassi a lunga catena (prevalentemente 16 e 18 atomi di carbonio).

Una parte degli acidi grassi, tuttavia, si trova allo stato libero (cioè non legato alla glicerina) ed è proprio questa frazione, di solito molto piccola, che determina l'acidità libera di un olio.

La misura dell'acidità di un olio è probabilmente la più antica e più diffusa determinazione cui si fa riferimento per la classificazione merceologica. Sebbene da sola non sia sufficiente a definire compiutamente la qualità di un olio, fornisce tuttavia elementi utili a valutare lo stato delle olive al momento della loro trasformazione. L’aumento dell'acidità libera infatti è dovuto essenzialmente ad un enzima specifico, la lipasi, che si trova nell'oliva ed esercita la sua attività nel momento in cui entra in contatto con l'olio.

In condizioni normali l'olio presente nell'oliva è contenuto in vacuoli, sorta di sacchi intracellulari, che proteggono con una membrana ogni singola gocciolina microscopica. Quando, per cause accidentali o per la frangitura, i vacuoli si rompono, l'olio entra in contatto con l'enzima che esercita la sua attività secondo lo schema:

trigliceride + lipasi + acqua    =   digliceride + acido grasso libero

L’azione della lipasi può continuare anche a carico dei digliceride, liberando ancora più acidi grassi. L’attività dell'enzima è favorita da temperature relativamente alte e raggiunge il culmine intorno ai 35-40°C, mentre si riduce coi discendere della temperatura fino ad arrestarsi intorno a O°C. Comunque l'aumento dell'acidità libera di un olio può avere luogo fin quando nel mezzo sono presenti l'enzima e l'acqua. Dunque è importante assicurare la massima integrità delle olive sia nella fase di raccolta sia durante il trasporto e la conservazione prima della frangitura; è poi fondamentale la tempestività e il controllo delle condizioni termiche nelle fasi di lavorazione della pasta e nel corso dell'estrazione, è essenziale infine la perfetta separazione finale olio-acqua di vegetazione. Per la legislazione un olio extra vergine deve avere una acidità libera massima dell’1% (0,8% da novembre2003). Oli extra vergini DOP < di 0,6 %. Oli extra vergini di alta qualità DOP o no,  non superano lo 0,3-0,4%.

 

perossidi in un olio

I perossidi sono espressi in milliequivalenti di ossigeno attivo per chilogrammo (mcq/02/kg).

Questo parametro misura lo stato di ossidazione dell'olio. Tutte le sostanze grasse sono sottoposte al fenomeno dell'ossidazione che, se non controllato e limitato, progressivamente altera profondamente la struttura chimica dei trigliceridi, con formazione di composti volatili dall'odore e sapore sgradevole, il rancido (un difetto grave nella valutazione di un olio).

L'ossidazione di un olio dipende da una serie di fenomeni che possono avvenire in due momenti diversi, vale a dire o nel corso delle pratiche colturali, di raccolta, stoccaggio e lavorazione delle olive; o nel corso della conservazione dell'olio.

Lo stesso fenomeno ha, nei due casi, origini diverse. Il numero di perossidi in un olio fresco, appena prodotto, è dovuto all’azione catalitica di un enzima la lipossidasi che è in grado di legare chimicamente l'ossigeno dell'aria agli acidi grassi insaturi dei trigliceridi (ossidazione enzimatica). Come nel caso dell'acidità libera, anche questo fenomeno è favorito dal degrado dello stato sanitario delle olive e, in particolare, da lesioni cellulari dei frutto che permettono il collegamento fra l'olio e l'enzima (presente nella fase acquosa) che esercita la propria azione finché c'è contatto dell'olio con le acque di vegetazione e ciò avviene, appunto, nelle fasi di raccolta, stoccaggio e lavorazione delle olive. La temperatura continua a giocare un ruolo importante nell'accelerare o rallentare l'azione dell'enzima, seppure la lipossidasi risulta attiva anche a temperature molto basse (-40°C). Ecco dunque la causa della scadente qualità e dell'elevato numero di perossidi di oli ottenuti da olive, raccolte tardivamente, che hanno subito danni da gelo.

L’olio vergine di oliva, al pari di tutte le altre sostanze grasse, è sottoposto comunque a fenomeni di ossidazione chimica, che non necessita dell'azione di enzimi. La semplice presenza dell'ossigeno dell'aria può dar luogo, durante la conservazione dell'olio, a formazione di idroperossidi, secondo un meccanismo che prevede la formazione di radicali liberi.

La reazione, una volta iniziata, procede a catena con formazione di nuovi radicali favorita dalla luce, dal calore e dal contatto dell'olio sia con l'ossigeno atmosferico sia con alcuni metalli (ferro, rame, nickel) che agiscono da catalizzatori.

Gli idroperossidi sono molecole molto instabili la cui facile decomposizione dà luogo alla formazione di composti volatili (aldeidi e chetoni) responsabili dei irrancidimento.

Un olio che ha un elevato contenuto di idroperossidi tenderà quindi, a parità di condizioni, ad irrancidire più rapidamente di un altro che ne contiene una quantità minore. Pertanto risulta ancora una volta l'importanza dei rispetto delle corrette procedure di produzione, dalla coltivazione, alla raccolta, alla frangitura, e di conservazione dell'olio, evitando che esso sia esposto alla luce, all'aria e a temperature superiori a 16-18°C.

Fra le sostanze grasse, tuttavia, l'olio vergine di oliva presenta una buona resistenza all'ossidazione in ragione: della sua composizione acidica e dei suo contenuto di antiossidanti naturali.

Come accennato, l'ossidazione enzimatica si esplica a carico degli acidi grassi insaturi (caratterizzati dalla presenza di doppi legami fra gli atomi di carbonio della catena). L’olio di oliva contiene un'alta percentuale di acidi monoinsaturi (principalmente acido oleico) e solo pochi poliinsaturi (linoleico e linolenico). Questi ultimi assorbono l'ossigeno più velocemente dei primi e questo spiega perché gli oli di semi, che contengono una percentuale molto più alta di acidi poliinsaturi, si conservano meno. Inoltre l'olio vergine di oliva possiede una buona quantità di sostanze fenoliche, caratterizzate da un forte potere antiossidante e perciò in grado di bloccare la formazione dei radicali liberi e perossidici secondo lo schema seguente:

 

i polifenoli dell’olio di oliva

Il patrimonio polifenolico è la caratteristica più preziosa dell'olio vergine di oliva, unico fra i grassi vegetali a esserne ricco. Tali sostanze, che contribuiscono a conferirgli il caratteristico aroma fruttato e il gusto piccante e amaro, sono dotate di un elevato potere antiossidante. l'extravergine, grazie a questi componenti, è il grasso più conservabile e dotato di più alto valore biologico. Per questi motivi, la determinazione quanta qualitativa dei contenuto polifenolico degli oli vergini di oliva rappresenta una delle analisi più significative ai fini della determinazione di parametri di qualità. Oli extra vergini devono contenere una quantità di polifenoli >   di 150 mg/kg. Oli extra vergini di alta qualità DOP o no, dovrebbero superare questo valore. In annate medie in Umbria è possibile trovare oli di qualità con polifenoli > di 200 mg/kg. 

 

indicazioni per la conservazione dell’olio

L’olio extra-vergine di oliva, come tutti i prodotti di qualità, ha una durata ben definita. La vita dell'olio è contraddistinta nel seguente modo:

Olio fresco (dalla spremitura al quarto mese), olio giovane (dall'ottavo al dodicesimo mese), olio di secondo anno (fino a 24 mesi), olio vecchio (fino al terzo anno), olio "decrepito" (oltre il terzo anno).

Con l’invecchiamento l’olio peggiora ed è buona regola consumarlo nello stesso anno solare di produzione. Il gusto dell'olio ad inizio stagione, appena spremuto, appare troppo forte in quanto si mantiene ancora il sapore del frutto e si avverte in gola una sensazione di asprezza, ma trascorsi alcuni mesi (dal terzo in poi), l'olio comincia ad esprimere il meglio della sua personalità e le qualità organolettiche raggiungono l'optimum. Dopo questa fase che si protrae fino ai dodici mesi, l'olio inizia lentamente la sua parabola discendente.

Normalmente l’olio conservato correttamente nei contenitori (preferibilmente di vetro) ancora sigillati, arriva senza problemi al secondo anno di invecchiamento; esso contiene per natura antiossidanti che lo proteggono dall’irrancidimento, anche se la loro azione si affievolisce con il passare del tempo. La presenza di queste sostanze antiossidanti (tra le quali i composti fenolici ed i tocoferoli) può essere vanificata se non vengono rispettate alcune regole nella sua conservazione.

In primo luogo, l’olio va protetto dalla luce e dal calore, e la bottiglia, una volta cominciata, va conservata ben chiusa: questo è indispensabile per proteggere le estremamente labili sostanze antiossidanti contenute nell’olio. Una volta esposto al contatto con l’aria esso va consumato in un tempo ragionevolmente breve, sempre richiudendo il contenitore dopo l’uso col tappo. Il freddo non provoca alterazioni nella struttura e conservabilità dell’olio.

 

 

Uova arricchite con omega-3: fanno bene?

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Le uova arricchite con omega-3 provengono da allevamenti dove alle galline sono somministrati anche semi di lino, ricchi di omega-3. A priori (a parte un possibile alto costo) non si vede la ragione di non inserire questo tipo di alimento nella nostra dieta. La “inserzione” degli omega-3 nel tuorlo d’uovo è senz’altro più naturale della aggiunta di olio di pesce distillato che viene fatta a molti alimenti in commercio arricchiti di omega-3. Tra l’altro, come detto in un altro articolo di questo documento, gli oli di pesce a basso costo non sono microfiltrati né sottoposti a controlli di qualità, e quindi possono contenere percentuali molto alte di metalli pesanti, che purtroppo si accumulano nel grasso corporeo di esseri umani e animali. Nessun pericolo del genere si corre consumando gli omega-3 assunti da una gallina che mangia semi di lino.

Le raccomanda addirittura la professoressa Artemis Simopoulos, scienziata di fama mondiale, specialista, tra l’altro, degli studi sugli omega 3 ed esperta mondiale della dieta mediterranea. Dal 1978 al 1986 ha presieduto la commissione di coordinamento per l’alimentazione dell’autorevole National Institute of Health negli USA. Ha partecipato a innumerevoli delegazioni su incarico della Casa Bianca. Ha all’attivo oltre 250 pubblicazioni scientifiche. E’ inoltre fondatrice e presidente del Center for Genetics, Nutrition and Health, con sede a Washington. Il fatto che il suo nome figuri in ben 11 guide Who’s Who può dare un’idea della sua instancabile attività al servizio della ricerca scientifica. Ha scritto un libro di divulgazione destinato al grande pubblico intitolato The Omega Diet.

Gli omega-3 nelle uova di gallina non sono una aggiunta artificiale: le uova della galline di una volta, lasciate libere di razzolare e di nutrirsi con vermi, insetti e piante selvatiche, erano ricche di omega-3. Nella carne dei volatili selvatici (cacciagione) si ritrovano elevati livelli di omega-3.

Un apporto di omega-3 può servire a riequilibrare il rapporto sbilanciato tra omega-3 e omega-6 della dieta occidentale contemporanea.

Nel corso dell’evoluzione, col passare dei secoli, sono mutate radicalmente sia il contenuto totale di grassi che la percentuale dei vari acidi grassi nell’alimentazione. Le trasformazioni più drastiche e repentine si sono verificate negli ultimi cento anni.

Originariamente l’apporto di grassi derivava quasi interamente dall’alimentazione, e quest’ultima consisteva principalmente negli animali selvatici che venivano cacciati e nei pesci pescati nei fiumi. Sia la carne degli animali che quella dei pesci, a quel tempo, conteneva una percentuale di grassi saturi molto inferiore a quella odierna.

Inoltre il rapporto fra acidi grassi omega 6 e omega 3 era perfettamente bilanciato, in quanto gli animali vivevano allo stato brado e si nutrivano di piante selvatiche. Al giorno d’oggi, invece, la carne degli animali d’allevamento contiene una dose di grassi omega 6 molto maggiore rispetto a quella dei grassi omega 3 perché vengono nutriti con cereali. I cereali sono ricchi di omega 6 mentre nelle piante selvatiche la proporzione tra i due tipi di acidi grassi è equilibrata.

Anche la composizione lipidica del pesce è mutata al giorno d’oggi: le carni dei pesci allevati negli impianti di piscicoltura, rispetto a quelli selvatici, contengono più grassi saturi, più grassi omega 6 e meno grassi omega 3. Anche in questo caso tutto dipende dai mangimi utilizzati. Il problema è che, comunque, le risorse ittiche dei mari cominciano a scarseggiare e si rischia di depauperarle ulteriormente con una pesca eccessiva. I pesci di allevamento restano quindi pur sempre una delle migliori fonti di grassi omega 3. Anche nel pollame si riscontra un’analoga tendenza. In passato, quando i polli e le galline razzolavano liberi nell’orto e sull’aia, si nutrivano di lombrichi, erbe e chicchi di piante selvatiche, tutti alimenti ricchi di omega 3. Anche nelle uova di queste galline che si procuravano da sole il cibo il contenuto di omega 6 e di omega 3 era equilibrato, pari a 1:1. Attualmente, nelle uova di animali nutriti con i mangimi a base di cereali la dose di omega 6 è 20 volte superiore a quella di omega 3.

Perché è importante che il rapporto tra omega 3 e omega 6 sia bilanciato? Originariamente, nel corso dell’evoluzione, il rapporto tra queste due categorie di acidi grassi è rimasto a lungo di 1:1. Gli acidi grassi omega 6 e omega 3 sono entrambi precursori e costituenti degli eicosanoidi, sostanze simili a ormoni prodotte dall’organismo che regolano numerose funzioni vitali. Gli eicosanoidi derivati dagli omega 6 favoriscono l’emocoagulazione, l’aggregazione piastrinica e i processi infiammatori. Provocano inoltre costrizione a livello dei vasi sanguigni, ossia la diminuzione del calibro e di conseguenza l’innalzamento della pressione arteriosa. Gli eicosanoidi derivati dagli omega 3, invece, esplicano azioni di segno opposto: anticoagulante, antiaggregante, antinfiammatoria e vasodilatatoria. Entrambe le funzioni sono importanti e necessarie, ma il nosro organismo deve poter disporre dei due tipi di lipidi in dosi molto bilanciate. Chi segue una alimentazione tipicamente occidentale tende già a produrre quantità eccessive di messaggeri biochimici che favoriscono i processi di aggregazione piastrinica, protrombotici e proinfiammatori. In molte malattie croniche l’eccesso di eicosanoidi derivati dagli omega 6 assume un ruolo decisivo. La cosa peggiore che si può fare, in questi casi, è nutrirsi in modo tale da squilibrare ulteriormente la produzione delle suddette sostanze.

L’eccesso di omega 6 può bloccare la sintesi di omega 3 da parte dell’organismo. Ecco cosa accade: se si mangiano troppi grassi omega 6, per esempio facendo uso di condimenti come olio di germi di mais o margarina, la trasformazione dell’acido alfa-linolenico in EPA e DHA viene rallentata. Questo avviene perché l’organismo impiega gli stessi enzimi, disponibili in quantità molto limitata, per metabolizzare sia gli omega 6 che gli omega 3. In tal modo l’eccesso di omega 6 impedisce il metabolismo degli utili omega 3.

Ciò significa che è decisamente consigliabile ridurre l’apporto di grassi omega 3 nell’alimentazione. E’ raccomandabile limitare l’assunzione di grassi omega 6 e aumentare invece il più possibile la dose di omega 3.

L’olio extravergine di oliva ha un contenuto elevato di grassi monoinsaturi e un bassissimo contenuto di omega 6. Per questa ragione, consumando dosi abbondanti di olio extravergine di oliva, si favorisce l’accumulo di omega 3 a livello cellulare. Gli enzimi necessari per il metabolismo degli omega 3 risultano così disponibili.

L’alimentazione mediterranea, sostituendo nella dieta i grassi saturi con l’olio di oliva, ottiene comunque una diminuzione del colesterolo dannoso LDL, lasciando invariati i livelli di HDL. L’olio extravergine di oliva è effettivamente l’unico olio che, assunto in dosi abbondanti, non abbassa i valori di HDL. Inoltre contribuisce a stabilizzare la componente lipidica delle LDL limitandone l’ossidazione, ossia l’irrancidimento. L’olio di semi di girasole, al contrario, aumenta l’ossidazione dei lipidi ematici. I grassi ossidati, in particolare, favoriscono la formazione dei depositi ateromatosi lungo le tuniche arteriose.

L’infiammazione cronica dei vasi sanguigni sembra essere uno dei principali fattori di incidenza delle malattie cardiovascolari. Per molti anni abbiamo concentrato l’attenzione esclusivamente su colesterolo e trigliceridi, considerati come unici fattori di insorgenza delle malattie cardiovascolari.

Gli studi scientifici condotti negli ultimi vent’anni, tuttavia, hanno dimostrato che non è vero, che si tratta solo di uno tra i molti fattori che concorrono a determinare queste patologie. Il meccanismo, in sintesi, è il seguente:

   Il fattore scatenante di una coronaropatia può essere una lesione in un punto della parete arteriosa, che a sua volta ne determina l’infiammazione. Se, tuttavia, l’apporto di omega 3 è adeguato, le pareti dei vasi sanguigni risultano molto più duttili ed elastiche e, pertanto, complessivamente meno soggette a lesioni.

   Gli acidi grassi omega 3 hanno un effetto antinfiammatorio e riducono quindi l’infiammazione a carico dei vasi sanguigni. Ciò limita, a sua volta, l’aggregazione di piastrine, globuli bianchi e fattori di crescita che, insieme, concorrono alla formazione di depositi e al conseguente restringimento del lume dei vasi.

Gli esseri umani e le specie animali, nel corso dell’evoluzione, hanno sempre tratto gli acidi grassi essenziali di cui hanno bisogno dalle piante selvatiche. E’ quindi sensato chiedersi quale azione svolga l’acido alfa-linolenico, uno dei principali grassi della categoria omega 3 nel nostro metabolismo. Anzitutto ha una funzione antiaggregante e antitrombotica, preservando così l’integrità delle pareti dei vasi sanguigni da eventuali danni e lesioni.

Inoltre, l’acido alfa-linolenico rende le piastrine meno viscose, ossia meno soggette ad aderire alle pareti dei vasi sanguigni, formando placche ateromatose che possono determinare l’occlusione parziale o totale delle arterie. L’acido alfa-linolenico assolve quindi, già di per sé, dunque, ad alcune utili funzioni. Ma non basta. Esso viene metabolizzato dall’organismo e trasformato in EPA e in eicosanoidi, che esercitano un’azione antinfiammatoria.

L’apporto di omega 3 nell’alimentazione si può aumentare mangiando pesce due o tre volte la settimana. Le varietà di pesce di mare che vivono in acque fredde sono le più ricche di omega 3. Ovviamente sarebbe anche auspicabile che nel settore zootecnico si utilizzassero mangimi con una composizione più bilanciata, affinché nella carne e nelle uova il rapporto tra omega 6 e omega 3 fosse più equilibrato. In commercio vi sono già uova arricchite con omega 3. Ulteriori importanti fonti di omega 3 sono l’olio di lino, l’olio di colza e l’olio di noce. Un’ulteriore possibilità di integrazione è aggiungere semi di lino al pane e ad altri prodotti da forno.

 

 

Le virtù delle uova

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Secondo voi, qual è l’”alimento completo” per eccellenza? Il latte? Sbagliato: l’uovo. Esso contiene tutti i nutrienti necessari per formare un nuovo organismo, quello del pulcino.

L’uovo è un alimento a cui il nostro organismo è assuefatto da più di 400.000 anni. I cacciatori-raccoglitori si cibavano, oltre che di cacciagione, di radici, bacche, tuberi e uova.

Per la preparazione delle uova va usato il metodo alla coque, perché il tuorlo non va cotto mentre l’albume contiene avenina una sostanza che ostacola l’assimilazione degli altri nutrienti e che deve essere inattivata con la cottura. Preparando un uovo alla coque in una pentola antiaderente, senza aggiungere né sale né olio si avrà a disposizione un super-alimento ricostituente, utile per contrastare l’invecchiamento generale dell’organismo.

Ecco 11 importanti benefici delle uova:

  Ottimi integratori naturali per gli occhi

Secondo numerosi studi, un uovo al giorno può prevenire la degenerazione maculare a causa dell’alto contenuto di carotenoidi, in particolare luteina e zeaxantina. Questi due nutrienti risultano essere particolarmente assimilabili dal nostro organismo soprattutto dalle uova. Altri studi hanno rivelato che le persone che mangiano uova ogni giorno riducono il loro rischio di sviluppare cataratta, soprattutto a causa di luteina e zeaxantina.

  Proteine e aminoacidi di altissima qualità

Un uovo contiene 6 grammi di proteine di altissima qualità e tutti e nove gli aminoacidi necessari per il nostro organismo

  Nessun legame tra assunzione di uova e rischio cardiovascolare

Secondo uno studio della Harvard School of Public Health, non vi è alcun legame significativo tra il consumo di uova e le malattie di cuore. Il consumo regolare di uova può aiutare a prevenire la formazione di coaguli nel sangue, ictus e attacchi di cuore.

  Ottima fonte di colina

Un tuorlo d’uovo contiene all’incirca 300 microgrammi di colina. La colina è un nutriente importante per il nostro cervello. Regola il sistema nervoso e il sistema cardiovascolare.

  Grassi nella norma

Un uovo contiene solo 5 grammi di grasso e solo 1,5 grammi di grassi saturi

Uovo=colesterolo nel sangue? Questo è un mito da sfatare. Differenti ricerche scientifiche dimostrano che, contrariamente alla credenza scientifica precedente dell’anno 2000, il consumo moderato di uova non ha nessun impatto negativo sul colesterolo. In realtà, studi recenti hanno dimostrato che il consumo regolare di due uova al giorno non influisce affatto sul profilo lipidico di una persona e può, di fatto, migliorarla.

  Buona fonte di vitamina D

Le uova sono uno dei pochi alimenti esistenti che contengono naturalmente la potentissima vitamina D

  Le uova possono prevenire il cancro al seno

In uno studio scientifico controllato, le donne che hanno consumato almeno 6 uova a settimana hanno abbassato il loro rischio di cancro al seno del 44%

  Capelli, pelle e unghie sane

Le uova promuovono la salute dei capelli e delle unghie, ma anche della pelle, grazie al loro alto contenuto di zolfo e alla vasta gamma di vitamine e minerali. Molte persone notano quasi magicamente che i loro capelli crescono molto più velocemente dopo l’aggiunta di uova nella loro alimentazione, soprattutto se in precedenza erano carenti di alimenti contenenti zolfo o vitamina B12

  L’uovo può correggere carenze nutritive da una dieta povera e sbilanciata

  E non dimentichiamo i benefici economici! Le uova sono un alimento di altissima qualità disponibile ad un prezzo straordinariamente basso.

Le uova sono, insomma un super-alimento. Eccone la composizione nutrizionale (tenete presente che un uovo medio pesa 80 gr):

 

elemento

contenuto

per 100 gr

dose

giornaliera

raccomandata

Calcio

56 mg

800-1200 mg

Ferro

1,75 mg

10-18 mg

Magnesio

12 mg

300-450 mg

Fosforo

150 mg

800-1200 mg

Potassio

138 mg

1,9-5,6 g

Sodio

142 mg

5 g

Zinco

1,29 mg

15 mg

Vitamina B1

0,040 mg

1,5 mg

Vitamina B2

0,457 mg

1,2-1,7 mg

Vitamina PP

0,075 mg

15-20 mg

Vitamina B6

0,170 mg

2 mg

Vitamina B9

47 mcg

400 mcg

Vitamina B12

0,89 mcg

3-5 mcg

Vitamina A

540 UI

3000-5000 UI

Vitamina E

1,05 mg

8-30 mg

Vitamina D

82 UI

400-500 UI

Vitamina K

0,3 mcg

300 mcg

 

 

Quante uova posso mangiare a settimana? Troppe uova fanno male? E' vero che contengono colesterolo? C'è pericolo di salmonelle nelle uova?

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Il tuorlo d'uovo è colesterolo quasi puro: ne conteine il 62% e un uovo medio ne ha 186 mg. L’albume invece è pura proteina, senza alcuna traccia di grassi.

Prima di proseguire il discorso va però sfatato un falso mito: assumere colesterolo non fa automaticamente né tanto meno corrispondentemente aumentare il livello di colesterolo nel sangue. Il colesterolo è una componente importante del nostro corpo, una molecola essenziale per la membrana di ogni singola cellula. E’ anche utilizzato per produrre l’ormone testosterone, gli estrogeni e il cortisolo. Senza colesterolo non potremmo vivere. Poiché è così importante, il nostro organismo ha sviluppato dei meccanismi per produrlo autonomamente. Il nostro fegato è in grado di produrre (e produce) colesterolo. Quando mangiamo cibi ricchi di colesterolo, diminuisce la produzione di colesterolo del fegato, in modo che l’ammontare totale in realtà cambia molto poco nel corso del tempo.

La raccomandazione comune è di non consumare più di 2-6 tuorli d’uovo alla settimana, ma non esiste una grande base scientifica per queste limitazioni. Studi che hanno monitorato per diversi mesi due gruppi, uno che mangiava 1-3 uova intere al giorno e uno che mangiava qualcos’altro (sostituti delle uova) hanno mostrato che:

   In tutti i casi aumenta il colesterolo HDL “buono”.

   Il livello di colesterolo totale e LDL non cambiano; solo talvolta aumentano leggermente (30% dei casi). Ma il colesterolo dell’uovo cambia la densità delle particelle di LDL trasformandole da piccole e dense a grandi e meno dense. Le persone con LDL con particelle più grandi hanno un minor rischio di disturbi cardiaci.

   Mangiare uova arricchite con omega-3 può abbassare il livello dei trigliceridi

   Il livello ematico di antiossidanti carotenoidi, come zeaxantina e luteina aumentano significativamente

Secondo l’American Heart Association è l’ammontare di grassi saturi che assumiamo con la dieta che ha il maggiore impatto sul livello ematico di colesterolo che non l’assunzione di colesterolo. E un uovo – fatto poco noto – ha pochissimi grassi saturi: un uovo grande ha appena 1,6 grammi di grassi saturi, una quantità paragonabile a poco più di 100 grammi di latte parzialmente scremato. Tanto per fare il paragone, un cucchiaio di burro ha 7 grammi di grassi saturi.

Da questi studi possiamo concludere che assumere da uno a tre uova intere al giorno, a meno di patologie lipidiche gravi, è perfettamente sicuro.

Mangiare un uovo al giorno, se non assumono altre fonti rilevanti di colesterolo, è più che sicuro, per il semplice fatto che un rosso d’uovo contiene poco più della metà dell’ammontare massimo raccomandato dall’American Heart Association, e quindi siamo addirittura al disotto delle raccomandazioni dei cardiologi circa i limiti del colesterolo.

Gli studi sopra citati sono detti “osservazionali”, perché misurano direttamente gli effetti del nutriente su un gruppo di persone. Esiste un altro tipo di studi, gli studi “statistici”, che mettono in correlazione i consumi di uova con le malattie cardiache in un campione molto più largo (migliaia o centinaia di migliaia di persone). Anche gli studi statistici, alcuni dei quali hanno preso in considerazione un campione di centinaia di migliaia di persone, confermano che le persone che mangiano le quantità sopra indicate non aumentano il proprio rischio di infarto.

C’è tuttavia da dire che questo avviene se i consumatori di uova sono diabetici. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che l’uovo, introdotto in una dieta povera di carboidrati (tipica dei diabetici), aumenta i fattori di rischio. L’Harvard School of Public Health suggerisce di limitare il consumo di uova a persone diabetiche o con problemi di cuore a non più di tre tuorli d’uovo a settimana.

Le uova sono sconsigliate a chi ha allergia al tuorlo o all'albume.

Le salmonelle sono batteri che possono essere contenuti nelle uova e provocare nell'uomo una infezione intestinale chiamata salmonellosi. La salmonellosi in sé, a parte gli effetti sgradevoli (dura 15 giorni) non è una malattia grave. Non si dovrebbero demonizzare le uova per paura delle salmonelle. Le salmonelle spesso non entrano nelle uova nell'ambiente dell'allevamento, ma nelle uova tenute troppo nel frigorifero, e soprattutto nei preparati a base di uova (creme, maionese), perché le salmonelle sono ghiotte del tuorlo e infettano gli alimenti non freschi. E' sempre comunque buona norma, dopo aver maneggiato uova, lavarsi bene le mani.

Alcuni medici le sconsigliano perché i grassi del tuorlo stimolano la cistifellea e provocano contrazioni della colecisti, il condotto che porta la bile dalla cistifellea nell'intestino. Ma questa è una cosa assolutamente innocua, anche se è per qualcuno potrebbe essere sgradevole sperimentare un lieve dolore in corrispondenza del fegato.

L'albume dell'uovo andrebbe ben cotto, perché contiene avenina, una sostanza che impedisce l'assimilazione degli altri alimenti, e che viene inattivata dal calore. Invece il tuorlo andrebbe mangiato crudo. La preparazione migliore sarebbe dunque una frittata ad "occhio di bue" con pochissimo olio in una pentola antiaderente, col bianco ben cotto e il rosso poco cotto. Anche l'uovo lesso, sebbene il tuorlo venga cotto insieme all'albume (ma meno dell'albume, perché è all'interno) va bene, ma non deve essere stracotto: allora il tuorlo prende una colorazione verdina, che indica che si sono creati dei solfati.

 

 

Cos'è la "frittata proteica" di uova, di cui parlano alcuni libri di dietologia? E' più sana?

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L'albume dell'uovo è assolutamente privo di colesterolo, e contiene tutte le proteine in proporzione ottimale. Alcuni quindi, versano nella padella tre bianchi d'uovo e un solo tuorlo, o addirittura niente tuorlo, e fanno così una frittata con pochi grassi e ricchissima di proteine.

 

 

Quali sono le malattie a trasmissione sessuale meno note e più sottovalutate?

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Accanto alle analisi sull'HIV, l'herpes genitale, la mononucleosi, la gonorrea e la sifilide, ci sono altre analisi e precauzioni da prendere.

In realtà, oltre ad usare sempre il preservativo, la prima cosa che dovrebbe fare una persona che pratica il sesso con partner diversi nel corso del tempo è vaccinarsi contro l'epatite B, che si trasmette con estrema facilità tramite rapporti sessuali e il contatto con il sangue. Come è noto, durante i rapporti sessuali, specie quelli protratti che vanno tanto di moda oggi (sesso tantrico e cose del genere) gli organi maschili ma soprattutto femminili subiscono delle dilatazioni che provocano delle micro-ferite invisibili, che non danno fastidio o dolore, ma che sono altrettante porte aperte per il contagio. E questo è tanto più probabile nel caso di soggetti che fanno sesso con discontinuità, in modo che l'organo sia costretto all'improvviso a dilatazioni non graduali. E' noto a tutti i medici legali che il modo più veloce per stabilire se un cadavere appartiene ad una persona omosessuale è analizzare con una lente la corolla anale per individuare le micro-ferite che sono immancabilmente presenti in questi casi.

La seconda vaccinazione riguarda il papilloma virus, che nel maschio è asintomatico, mentre nella donna può portare allo sviluppo di tumore al collo dell'utero, ciò che la costringerà a ripetere ogni anno fino alla fine della vita costose analisi, e di condilomi cornei all'interno della vagina, che rendono il rapporto molto doloroso e, anche se abrasi col laser, si riformano regolarmente.

La terza analisi che potrebbe riservare amare sorprese è quella della clamidia, un batterio responsabile di un altissimo numero di casi di sterilità femminile totale.

 

 

Tè verde o tè nero?

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Per quanto si moltiplichino gli studi finanziati dai produttori di the nero, pare che non vi sia niente da fare: le proprietà antiossidanti, anticancro e anti-infarto appartengono in modo predominante al the verde. Uno studio recente mostrerebbe che il consumo di the nero è preventivo del diabete, ma l'efficacia su questo come su tutti i fronti è inferiore a quella del the verde.

Il tè verde si produce tuttora in modo artigianale, subendo quindi pochissime trasformazioni. È una bevanda completa e contiene tante catechine, che fanno parte della famiglia dei polifenoli (un terzo del peso delle foglie è costituito dai polifenoli). Le catechine proteggono la salute: hanno proprietà antitumorali e sono utili nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Nello specifico, le catechine del tè verde rallentano la crescita delle cellule tumorali, e dunque capite che non si tratta solo di prevenzione, ma di un’attività diretta di supporto alla cura.

Il contenuto in catechine del tè verde dipende dal luogo di coltivazione, dal tipo di pianta, dal momento del raccolto e dal processo di fabbricazione: alcune particolari catechine, per esempio, sono maggiormente presenti nel tè verde giapponese. Il tempo di infusione delle foglie, in ogni caso, deve essere superiore ai cinque minuti. Ogni tè verde in commercio ha potenzialità differenti nella protezione e nell’azione contro il cancro: tè verde di buona qualità, lasciato in infusione per almeno dieci minuti, è in grado di offrire il massimo delle proprie catechine «buone».

I tè sono suddivisi in quattro categorie: neri o rossi, verdi, Oolong e, infine, bianchi o gialli. Queste differenze non dipendono dalla diversità della pianta di provenienza, dato che la pianta del tè è una sola, una pianta sempreverde della famiglia delle camelie, la Camellia sinensis, quanto dai diversi metodi di lavorazione. Da questi quattro « colori», o categorie, si possono ottenere molte varianti se combinati con fiori, frutta o mescolati fra loro.

Il tè nero, chiamato rosso dai cinesi, è un tè fermentato. Dopo la raccolta le foglie vengono fatte appassire, distese su griglie ventilate ad aria calda. Successivamente vengono arrotolate su se stesse in modo tale che le foglie si « spezzino» e possa, così, cominciare il processo di fermentazione. Quest'operazione è la più delicata e la più importante nella preparazione del tè nero. Da una buona fermentazione dipendono, infatti, l'acidità, gli aromi e il colore. Le foglie vengono, poi, fatte essiccare, in modo da bloccare la fermentazione e permettere che conservino tutte le loro proprietà organolettiche (gusto, colore, profumo, consistenza ... ). Si arriva, quindi, all'operazione conclusiva, quella della selezione che consente di classificare le foglie. Di tutte le varietà dei tè neri, il Pu-Erh è quello che grazie alle sue proprietà medicinali, si avvicina maggiormente al tè verde.

Il tè verde è un tè non fermentato: ciò significa che il processo di fermentazione è stato bloccato sul nascere. Subito dopo la raccolta, le foghe sono passate al vapore o tostate; poi essiccate e. arrotolate. Questo procedimento molto semphce impedìsce la fermentazione, fondamentale, invece, per i tè neri. Il metodo a vapore è un metodo tradizionale molto praticato dai giapponesi e in uso soltanto in qualche rara provincia cinese. Per semphficare: si può, dunque, distinguere tra tè verde cinese, tostato, e tè giapponese a vapore.

Da sempre, in Oriente, il tè, di qualsiasi tipo si tratti, è considerato una vera e propria panacea: stimola la concentrazione mentale, diminuisce la fatica, procura longevità. A partire dal XIX secolo, con l'affermarsi della medicina scientifica, furono pubblicati i primi studi sulle virtù terapeutiche del tè. Esso è indicato tanto per i problemi cardiovascolari quanto per i disturbi digestivi ed epatici. Altri studi mostrano, inoltre, che il tè è ricco di antiossidanti, sostanze che proteggono l'organismo dall'assalto dei radicali liberi, fra i maggiori responsabili dell'invecchiamento.

Ma il tè verde, che non è fermentato e che subisce un minor numero di trasformazioni rispetto agli altri tipi di tè, possiede proprietà terapeutiche ancor più sorprendenti. 

È sufficiente berne con regolarità una tazza al giorno. Sarete voi stessi a stabilire la quantità che fa al caso vostro: in base al tempo che avete a disposizione e in base alla vostra soglia di tolleranza alla teina. Perché è proprio questo derivato della caffeina, l'unica controindicazione del tè: se eccedete, è possibile che vi renda nervosi, vi procuri palpitazioni e vi causi insonnia. Se amate un tè piuttosto forte, limitatevi a tre tazze al giorno, evitando di berlo nel tardo pomeriggio. Se il vostro obiettivo è, invece, quello di dimagrire o di curarvi, è evidente che sarà necessario aumentarne la quantità. In tal caso, dovrete scegliere un tè a basso contenuto di teina, da bere sei o sette volte al giorno.

Da molto tempo, il tè è stato oggetto di ricerca da parte di studiosi nel tentativo di comprenderne i «misteri chimici ». La teina fu scoperta, per la prima volta, nel 1827 dal francese Jean-Baptìste Oudry, sette anni dopo la caffeina. Sono, dunque, quasi due secoli che gli scienziati cercano d'individuare tutte le straordinarie sostanze che compongono questa «enigmatica» bevanda. E ogni anno una nuova sostanza viene scoperta, e soprattutto quasi sempre compatibile con quelle prodotte dal corpo umano - il che spiega il rapido assorbimento del tè. È stata dimostrata, sino adesso, la presenza di tannini, metilxantine, polifenoli (catechina, flavonoidi), caffeina, vitamine (A, B ed E), oligoelementi (fosforo, manganese, potassio, fluoro, rame, sodio...), carboidrati e amminoacidi e naturalmente la teina. La presenza nei germogli di acidi organici, quali l'acido citrico, tartarico e malico, è responsabile di quell'aroma particolare che molto spesso si sprigiona dal tè verde. Sono tutte queste sostanze, ma soprattutto la loro combinazione che fanno sì che il tè verde, molto più ancora del tè nero agisca direttamente sul sistema immunitario, sanguigno, nervoso e digestivo.

Ecco i tempi di infusione dei vari the:

Il tè bianco richiede una temperatura di infusione di 79-85 °C e un tempo di 1-3 minuti.

Il tè verde richiede una temperatura di infusione di 82 °C e un tempo di 2-3 minuti.

Il tè nero richiede una temperatura di infusione di 97 °C e un tempo di 3-5 minuti.

Il tè Darjeeling richiede una temperatura di infusione di 85 °C e un tempo di 3 minuti.

Il tè Oolong richiede una temperatura di infusione di 85-97 °C e un tempo di 3-5 minuti.

Ecco un elenco delle proprietà del the verde:

  Stimolante della concentrazione e dell'umore

I grandi tè verdi sono ricchi di teina. Questa sostanza, che non è altro che una variante della caffeina, è solubile nell'acqua e, se il tè è di buona qualità, al momento dell'infusione, forma un sottilissimo velo in superficie. Proprio come la caffeina, la teina stimola il sistema nervoso, cerebrale e sanguigno, ma ha il grande vantaggio di essere biodisponibile - cioè facilmente assorbibile e utilizzabile - per un tempo più prolungato. La caffeina, infatti, ha un potere eccitante immediato, ma di breve durata. li tè, invece, e in particolare il tè verde, ha effetti stimolanti più blandi, ma che si protraggono nel tempo. In ogni caso le proprietà terapeutiche del tè verde non sono legate esclusivamente alla teina, ma alla totalità dei componenti che lo costituiscono.

  Abbronzatura

Se siete amanti della tintarella, ma soprattutto se desiderate prolungare la vostra abbronzatura, sostituite il vostro tonico abituale con un'infusione ben filtrata di tè, alla quale aggiungerete alcune gocce di limone. Mi raccomando, applicate questa miscela soltanto nelle stagioni in cui c'è poca luce o quando siete perfettamente abbronzate, ma mai prima dell'esposizione al sole, in quanto il limone è fotosensibilizzante e rischia di macchiare la pelle.

  Acutezza visiva

Nell'antica Cina si credeva che il tè migliorasse la . vista. La spiegazione che oggi gli scienziati danno di questa teoria è che nel tè è contenuta la provitamina A. Ma non solo ... È presente la vitamina B1 che, oltre a giovare al sistema nervoso, agisce direttamente sui nervi ottici, tanto che viene prescritta nei trattamenti, anche a scopo preventivo, delle nevriti ottiche. E vi è contenuta anche la vitamina B2 che svolge un'azione preventiva contro la diminuzione dell'acutezza visiva, in quanto contrasta il processo di opacizzazione della cornea e la xeroftalmia (secchezza della cornea e della congiuntiva con conseguente perdita di luminosità dell'occhio) .

  Allergie

Numerosi gruppi di ricercatori, studiando otto differenti varietà di tè, hanno dimostrato che il tè non solo rallentava, ma addirittura bloccava la produzione d'istamina, un composto organico derivato dall'istidina e responsabile di molte reazioni allergiche: vasodilatazione, secrezione lacrimale, asma ... Tale scoperta risulta essere ancor più interessante se si considera che, a tutt'oggi, non è stato completamente spiegato il processo di liberazione dell'istamina. Il tè verde (così come altri tè) può essere, dunque, un trattamento complementare per prevenire e curare la maggior parte dei fenomeni allergici. Una dieta mirata è quanto di più indIcato per le forme più gravi di allergie: un valido esempio di programma alimentare è quello illustrato alla voce «dimagrire ». Un'alimentazione sbagliata, infatti, può trasmettere informazioni erronee che bloccano le difese immunitarie dell'organismo, provocando reazioni alquanto spiacevoli: alcune persone ingrassano, altre sviluppano disturbi cronici, da cui le allergie.

  Antibatterico e "superdisinfettante"

 L'équipe del professor Tadakatsu Shimamura del dipartimento di microbiologia e immunologia dell'università di medicina di Tokyo, ha dimostrato che il tè risultava essere uno dei rimedi più efficaci contro il colera: « È stato per caso che abbiamo scoperto che il tè verde distruggeva in pochi secondi i vibrioni, i batteri responsabili del colera ». Tale scoperta è di fondamentale importanza in quanto il colera ha effetti devastanti sull'organismo e non è stato ancora trovato un vaccino veramente efficace contro la malattia. Ma la sua importanza sta anche nel fatto che essa prova l'azione antibatterica del tè verde. Lo stesso staff di ricercatori, infatti, ha dimostrato, in vitro, che «la maggior parte dei batteri, se a contatto del tè verde, venivano uccisi in meno di ventiquattr'ore». Da allora, le ricerche sono state orientate non soltanto verso la prevenzione e la cura del colera, ma anche verso il trattamento di altre malattie infettive d'origine batterica o virale.

  Asma

Sono ancora in atto studi che dimostrino - come sostiene la tradizione - l'efficacia del tè verde contro l'asma. Proprio per la sua azione antibatterica, è indicato nella cura delle infezioni polmonari.

  Aterosclerosi e malattie cardiovascolari

L'aterosclerosi è la conseguenza del depositarsi patologico di sostanze grasse, gli ateromi, sulle pareti delle arterie. È responsabile di numerose malattie vascolari, come l'ìnsufficienza coronarica, l'infarto e altri disturbi di origine cardiaca. Le malattie cardiovascolari sono fra le principali cause di mortalità nei Paesi occidentali e i rischi aumentano notevolmente in caso di sovrappeso, ìpercolesterolemia e ipertensione. Bisogna, quindi, contrastare tutti quei fattori che possono provocare lesioni delle arterie coronarie: fumo, consumo eccessivo di sale, sedentarietà, alcol, cattiva alimentazione. Si pensi soltanto che il nostro consumo giornaliero di sale è venti volte superiore rispetto a quello richiesto dal nostro organismo. Tale eccesso non è dato tanto dalla quantità che utìlizziamo per insaporire gli alimenti, quanto al sale contenuto nei cibi già pronti, negli affettati e nelle conserve. Tuttavia, per limitare davvero rischi cardiovascolari è, comunque, necessario eliminare gli altri fattori aggravanti: fumo, colesterolo cattivo, ipertensione (il sale, dunque). E soprattutto ricordatevi di fare un po' di esercizio fisico, almeno venti minuti per tre volte la settimana, Scegliete uno sport dolce e che sia praticabile regolarmente, come la bicicletta, il nuoto, il jogging ... E naturalmente ricordatevi di bere il tè verde!

Nel 1993, uno studio aveva permesso di dimostrare che bere tre tazze di tè nero al giorno riduceva del quarantacinque percento i decessi dovuti a malattie cardiovascolari, e tale scoperta fu confermata sei anni dopo, nel 1999, da un altro studio: ancor più del caffè e del caffè decaffeinato, il consumo abituale di tè diminuiva del quaranta percento il rischio di malattie cardiovascolari.

  Cancro

Il tè contiene tante catechine, che fanno parte della famiglia dei polifenoli (un terzo del peso delle foglie è costituito dai polifenoli). Le catechine proteggono la salute: hanno proprietà antitumorali e sono utili nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Nello specifico, le catechine del tè verde rallentano la crescita delle cellule tumorali, e dunque capite che non si tratta solo di prevenzione, ma di un’attività diretta di supporto alla cura.

Il tè verde, se assunto con regolarità, può svolgere tale funzione preventiva. Il professor Waun Ki Hong, oncologo dell'Anderson Cancer Center di Houston, le cui ricerche in ambito medico sono note in tutto il mondo, è uno dei primi scienziati ad aver studiato gli effetti protettivi del tè verde contro diverse forme tumorali. Wuan Ki Hong ha, inoltre, stabilito le soglie di tolleranza dei pazienti al tè verde: dosi troppo forti determinano insonnia, irritabilità e nervosismo. Su persone neoplasiche, il tè verde, somministrato regolarmente a dosi controllate per sei mesi, è in grado di ridurre nettamente la percentuale dei rischi di cancro al colon, al pancreas e al retto. Altri gruppi di ricerca, come quello del dipartimento di patologia dell'università di Nagoya in Giappone, mostrano come il tè verde svolga un'azione preventiva sul tumore della mammella. Dagli studi condotti da un team di ricercatori dell'università di Toronto su un campione di milleduecento uomini, risulta che il consumo abituale di tè può abbassare del trenta percento il rischio di tumore alla prostata. Ma il tè verde avrebbe un ruolo importante anche nella prevenzione di altre gravi forme tumorali: della pelle, del polmone, dello stomaco, del pancreas, del retto, del colon ...

È giusto, comunque, ricordare che è stato dimostrato che anche l'uso regolare di olio d'oliva di prima spremitura a freddo e di lapacho (sotto forma di tisana) svolge un'importante azione antitumorale.

Per la regione di Shìzuoka, la principale area geografica in cui viene coltivato e lavorato il tè verde, le statistiche parlano chiaro: il tasso di mortalità per tumore è il più basso registrato in tutto il Giappone. Nella città di Nabakakawane, il tasso di mortalità maschile per cancro è cinque volte inferiore rispetto alla media nazionale.

  Carie dentaria

Una delle scoperte scientifiche più sorprendenti è senz'altro quella a cui è pervenuto un gruppo di ricercatori del dipartimento di biotecnologia dell'università di Hiroshima. Conoscendo le proprietà antibatteriche del tè verde, hanno collocato una certa quantità di streptococchi (Streptococcus mutans e Streptococcus sobrinus) in un estratto di te verde. Ciò che hanno potuto verificare è che il processo di riproduzione degli streptococchi, di solito molto veloce, si è bloccato. Tali effetti sono stati sperimentati con esiti positivi prima sui ratti, poi sull'uomo. Dimostrata, così, l'azione antimicrobica del tè verde, i ricercatori hanno potuto affermare, a ragione, che « bere tè dopo i pasti può essere di grande efficacia nella prevenzione della carie dentaria.» Il tè verde, inoltre, è ricco di fluoro, un oligoelemento che protegge lo smalto dei denti.

Far bere una tazza al giorno di tè verde ai bambini sarebbe sufficiente per ridurre del cinquanta percento l'insorgenza della carie. L'idele sarebbe far risciacquare loro la bocca con un po dì te verde, dopo essersi lavati i denti con lo spazzolino. Vi è, poi, un'altra nota positiva a favore di questa portentosa bevanda: è stato provato che Il te verde non soltanto uccide i batteri della bocca, ma ha il potere di eliminare anche il «metilmercaptano», una sostanza prodotta dai batteri stessi, responsabile dell'alito cattivo, ancor più della clorofilla. Eliminerebbe anche l'odore di tabacco.

  Colesterolo

Esistono due tipi di colesterolo: uno buono e uno cattivo. Di solito, però, quando si dice che si « ha », o si «produce» il colesterolo, si tratta, è evidente, di quello cattivo, denominato LDL. Un eccesso di colesterolo cattivo (che in una situazione di normalità dovrebbe essere « controbilanciato» da quello buono, ossia l'HDL) facilita il deposito di placche di ateroma (deposito di grasso) sulle pareti delle arterie ed è responsabile della formazione di aterosclerosi (vedi sopra). Il professore Muramatsu ha dimostrato che la catechina contenuta nel tè verde è in grado di ridurre l'eccesso di colesterolo nel sangue. Gli studi rivelano che a cavie di laboratorio, cui è stato somministrato colesterolo cattivo, è sufficiente dare nel contempo un certo quantitativo di tè verde, perché i valori rientrino nella norma! Fra i vari prodotti di comprovata efficacia contro il colesterolo, è da annoverarsi la lecitina di soia, reperibile sia in negozi specializzati sia nei reparti dietetici dei grandi magazzini (inutile dire che è molto importante verificare che la lecitina non provenga da soia geneticamente modificata). Si tratta di perline, assolutamente insapori, da spargere sugli alimenti.

  Congiuntivite

Un trucco molto semplice per eliminare questa fastidiosa infiammazione: su ogni occhio appoggiate una compressa di garza imbevuta di tè verde. Lasciate per dieci minuti.

  Depressione

La depressione può manifestarsi in numerose forme, più o meno gravi, ma qualunque sia la sua entità non deve mai essere sottovalutata. Uno choc emotivo, un problema di carattere psicologico, una situazione familiare o economica particolarmente difficile, un cambiamento sul lavoro, la menopausa, problemi di sonno e, persino, la cattiva stagione possono essere tutti fattori scatenanti o aggravanti. In ogni caso, occorre evitare l'uso regolare di ansiolitici, di tranquìllanti e di sonniferi che non solo mascherano momentaneamente il problema, ma provocano soprattutto effetti secondari disastrosi (in particolare disturbi della memoria e dell'attenzione), nonché dipendenza. La fitoterapia (con l'uso dell'iperico, il kawa-kawa, la genziana), può essere  di grande efficacia per riprendersi psicologicamente. Fra le piante che hanno effetti sicuri sulla depressione, ancora una volta, è da annoverare il tè verde.

  Diabete

Già sessant'anni fa, i medici avevano notato che il tasso di zucchero nelle urine dei pazienti ospedalizzati precipitavano letteralmente quando partecipavano al Cha No Yu, la cerimonia del tè. Il tasso di zucchero nel sangue è regolato dall'insulina, un ormone secreto dal pancreas. L'insufficienza di quest' ormone determina il diabete e può provocare seri disturbi a livello vascolare e renale. Fra le numerose proprietà del tè verde, vi è anche quella di ridurre il tasso di zucchero nel sangue (e nelle urine).

  Digestione

Il tè verde giova molto all'intestino. La costipazione è un disturbo particolarmente diffuso tra le donne e ancor più tra le persone di una certa età. Le cause principali possono essere: l'assenza di attività fisica, l'alimentazione scorretta, la poca masticazione e la scarsa idratazione. Occorre evitare l'uso prolungato di lassativi per non correre il rischio di aggravare il problema o più semplicemente di scatenare quella che viene chiamata « malattia da lassativi», che provoca ora costipazione ora diarrea, dolori addominali e meteorismo. Vegetali come fichi, rabarbaro, cavolo, radicchio e prugne secche sono considerati un toccasana per ristabilire il transito intestinale. In alternativa, potreste ricorrere anche al polline e all'ispaghul (quest'ultimo svolge anche un'azione dimagrante). Molto spesso, tuttavia, anche semplici tisane di erbe riescono a risolvere il problema con effetti sull' organismo dolci, progressivi e prolungati nel tempo. Si pensi alle tisane a base di verbasco, di malva, di violetta del pensiero selvatica, di cappuccina, di soffione... senza contare, naturalmente, il tè verde!

Il tè verde, infatti, stimola i movimenti peristaltici dell'intestino tenue e crasso, i quali hanno la funzione di spingere gli alimenti verso il retto. Il tè verde proprio perché scioglie la tensione mentale, elimina l'ossessione di dover « evacuare». Ossessione che scatena inevitabilmente il problema della costipazione. Inoltre, i polifenoli in esso contenuti svolgono un'azione importante sulla flora batterica: contrastano batteri nocivi, come il dostridium botulinum, mentre favoriscono lo sviluppo di altri, come il bifidus, indispensabili alla trasformazione dei materiali di rifiuto. Grazie a questa triplice azione che svolge - meccanica, psichica e chimica - il tè verde è senza ombra di dubbio uno dei rimedi più efficaci per ripristinare il transito intestinale.

  Gli amminoacidi

Il tè. verde contiene numerosi amminoacidi. Questi composti organici sono di fondamentale importanza per ìl nostro organismo. Se il corpo non è in grado di sintetizzare un numero cospicuo di amminoacidi, è pur vero che ne esistono alcuni, chiamati «amminoacidi essenziali », che non è in grado di elaborare e che perciò devono essere. introdotti. dagli alimenti. L'organismo,ogni giorno, deve ricevere tutti glì amminoacidi di cui ha bisogno; se soltanto ne manca uno, gli altri non possono, essere assimilatì. La conseguenza può essere una serie di disturbi quali affaticamento, nervosismo, problemi della pelle, rallentamento della crescita. Chi pratica body-building, infatti, tende ad assumere grandi quantità dì amminoacidi, dato che accelerano lo sviluppo della muscolatura. È per questo. motivo che per molti anni, nutrizionisti hanno consigliato il consumo, almeno una volta al giorno di proteine sotto forma di carne, pesce o uova.

Gli amminoacidi sono comunque presenti nche nei vegetali. Se si associano, in un pasto, legumi, quali soia. fagioli, fave, piselli, lenticchie, a cereali. come riso, pasta o pane, mais, avena, il nostro organismo riceve, nel giusto quantìtatìvo, . tutti gli amminoacidi di cui ha bisogno. Non sempre la carne riesce a soddisfare il fabbisogno giornaliero e in più può incidere negativamente sui livelli di colesterolo cattivo nel sangue.

Vero è che non sempre si è disposti a mangiare ogni giorno cereali e legumi! La cosa miglìore, per concludere, è variare i pasti, mangiare di tutto... e bere tè verde che fornisce alcuni rari amminoacidi.

  Dimagrimento

L'uso di tisane è consigliabile per eliminare il senso di fame ed accelerare il processo di dimagrimento. Bevete molto, bevete molta acqua (di sorgente o di rubinetto se è filtrata) e, naturalmente, bevete tisane che vi permetteranno di lottare contro i problemi specifici del sovrappeso (ritenzione idrica, cellulite, eccesso di massa adiposa, costipazione), delle sue cause (cattiva digestione, cattiva funzionalità epatica...) e delle sue conseguenze (ipertensione, colesterolo cattivo, problemi circolatori, calo della libido, disturbi cardiovascolari, depressione... ).

  Non dimenticatevi della regina delle tisane: il tè verde!

In attesa di avere conferma dalle ricerche attualmente in corso sulla capacità del tè verde di aumentare il dispendio energetico del corpo umano, accontentiamoci delle sue già note proprietà dimagranti. Come il Pu Erh e l'Oolong, il tè verde svolge un'azione fortemente dimagrante in quanto disintossica l'organismo, lotta contro la ritenzione idrica, riduce la formazione del colesterolo cattivo, stimola il fegato e tutto il sistema digestivo, regola il transito intestinale, attiva il funzionamento dei reni. E ciliegina sulla torta, il tè verde svolge una straordinaria azione antistress. Tutti sanno che lo stress non solo è responsabile dei disturbi del comportamento alimentare, ma inibisce anche i meccanismi di dimagrimento.

  Disintossicazione

In caso d'intossicazione, il tè verde, per l'organismo, è una vera e propria panacea. Apporta vitamine e olìgoelementi, svolge una straordinaria azione drenante e disintossicante del sistema epatobiliare e favorisce l'eliminazione delle tossine. Occorre sapere che l'uso regolare di tabacco, alcol, farmaci come ansiolitici e antibiotici distrugge sia la vitamina C sia quella B. Ciò determina un senso di affaticamento, un certo nervosismo interiore, la sensazione di un bisogno ... che viene colmato con un bicchiere di superalcolico, di una sigaretta o di qualche capsula colorata! Ebbene, nel tè verde queste due vitamine sono presenti. Forse non sono in un quantitativo sufficiente, tanto che può essere necessario assumerne attraverso altri alimenti. La vostra « macchina", comunque, ha bisogno di essere depurata e il tè, grazie alla sua azione diuretica, epatica e cardiovascolare, pulisce reni e fegato e purifica il sangue. Infine, per l'apporto bilanciato di oligoelementi, permette all'organismo di rimettersi perfettamente in pista.

  Febbre (influenza)

Il professore Tadakatsu Shimamura, nelle sue ricerche sulle proprietà antibatteriche e antivirali del tè verde, ha dimostrato la sua efficacia persino contro i virus influenzali: in presenza di tè verde, il virus veniva distrutto in meno di 5 minuti. Tale effetto - come spiegano gli studiosi - è da attribuirsi alla catechina, sostanza in grado di bloccare il passaggio del virus nelle cellule. Al « Congresso internazionale sul tè e la scienza», tenutosi a Shizuoka, in Giappone, nel 1991, il professore Tadakatsu Shimamura ha concluso il suo intervento con questa dichiarazione: «Le catechine presenti nel tè possono essere impiegate per combattere forme di infezioni come !'influenza e il colera. Ne suggerisco l'impiego nelle aree geografiche maggiormente a rischio di epidemie di colera e come profilassi antinfluenzale.»

  Gravidanza

Il tè verde è particolarmente indicato per donne in stato interessante, in quanto in gravidanza è abbastanza frequente che si verifichi un deficit di zinco. Quest'oligoelemento, come il potassio e altre vitamine, si trova in grande quantità nel tè verde. TI consumo regolare di questa bevanda è ancor più consigliato se si considera la sua capacità di limitare le infezioni di origine microbica, di regolare la pressione sanguigna, di contrastare la costipazione e la fatica: disturbi che si verificano assai spesso in gravidanza. Il tè verde si sarebbe rivelato efficace anche nel ridurre il rischio di ragadi anali e di emorroidi, abbastanza frequenti sia prima sia dopo il parto. È auspicabile, comunque, un uso moderato di tè verde per non turbare il ritmo cardiaco del feto.

  Herpes Zoster

Cicatrizzante e disinfettante, antiossidante e nutriente, antinfiammatorio e antimicrobico, il tè verde utilizzato sia in forma di compresse sia di cataplasmi può dare buoni risultati per i problemi di pelle, come micosi, dermatiti, ulcere, psoriasi e persino herpes. Non è matematico che funzioni, ma quando si è provato già tutto, perché non tentare? Dopo aver inumidito una piccola manciata di foglie di tè verde in un po' d'acqua calda, applicatele sulla lesione in uno strato uniforme. Fissatele con una compressa e una fasciatura: la prima volta tenete la medicazione per dieci minuti. Se non si manifestano reazioni spiacevoli (un pizzicore), ripetete l'operazione dopo qualche ora, lasciando il tutto per un periodo più prolungato. Dopodiché, due volte al giorno, applicate una compressa sulla lesione per una mezz'ora. Sospendete il trattamento se il sintomo persiste. Non insistete se non notate un miglioramento nel giro di quattro o cinque giorni. Nel caso contrario, proseguite sino a completa guarigione.

  Ictus

La gravità di questa malattia dipende dal fatto che si manifesta senza sintomi premonitori. Il cervello riceve ossigeno e nutrimento da due paia di arterie. In caso di ictus si verifica o l'ostruzione (ictus ischemico) o la rottura (ictus emorragico) di una delle due arterie. In entrambi i casi è indispensabile il ricovero d'urgenza, e il rischio di mortalità o di postumi invalidanti (paralisi, emiplegia, ecc.) è molto elevato. Se l'età, il sesso -l'uomo è maggiormente colpito rispetto alla donna - e l'ereditarietà sono fattori contro cui non si può fare nulla, ve ne sono altri, invece, su cui si può intervenire efficacemente, e cioè il fumo, l'ipertensione, l'ipercolesterolemia, l'obesità e la sedentarietà. Il tè verde avrebbe il potere di ridurre il rischio di ictus cerebrale. Uno studio condotto in Olanda nel 1996 dimostra che persone di sesso maschile con una dieta ricca di flavonoidi (presenti nel tè, in alcune piante medicinali, nella frutta e nella verdura) avrebbero il settantatré percento in meno di probabilità di essere colpite da ictus.

  Infezioni delle vie urinrie e calcoli renali

Secondo alcuni studi in vivo e in vitro realizzati da una trentina di ricercatori di tutto il mondo e soprattutto dal professor Y okozawa, i polifenoli del tè verde esercitano un'azione molto positiva su un apparato urinario indebolito, in quanto tendono a riportare il tasso di uremia nel sangue a livelli normali. Il team del professore Yokozawa ha dimostrato che una dose di 200 mg di polifenoli di tè verde somministrata quotidianamente a cinquanta pazienti in emodialisi ha ridotto del 70 percento in sei mesi il tasso di metilguanidina (tossina prodotta in caso di cattivo funzionamento dei reni, responsabile di affezioni di una certa entità).

  Insufficienza epatica

Il tè agisce direttamente sul buon funzionamento del fegato: ciò spiega in parte anche la sua azione contro il colesterolo cattivo. È sempre la catechina, la sostanza cui si deve questa capacità di preservare il fegato, anche contro affezioni gravi come l'epatite B. Del resto sia in Russia sia in Giappone la cura contro l'epatite prevede un trattamento che associa dosi di catechina alla terapia classica a base d'interferone.

  Invecchiamento

Nel 2040 le persone che avranno superato i 65 anni di età rappresenteranno oltre il 20 percento della popolazione. Restare giovani è senz' ombra di dubbio il sogno di ogni essere umano. Naturalmente, invecchiare bene significa avere un'alimentazione sana... e bere tè, possibilmente verde. Un gruppo di ricercatori del dipartimento d'alimentazione e nutrizione dell'Università di Nagoya, in Giappone, ha dimostrato come, su cavie da laboratorio, il processo d'invecchiamento venisse rallentato nel momento in cui si somministrava loro una miscela di tè verde e di vitamina E. La spiegazione di questo fenomeno è da ricercarsi nell'azione della catechina, presente nel tè verde, sui radicali liberi, responsabili dell'invecchiamento delle cellule. I topi, cui era stata somministrata una dose di tè verde, vivevano più a lungo. Lo stesso gruppo di ricercatori giapponesi ha avanzato l'ipotesi che il tè potrebbe avere « benefici effetti sulla fertilità ».

Il professor Takuo Okada dell'Università di Okyama, ha dimostrato che il tè verde era venti volte più potente della vitamina E nell'inibire la formazione di perossidi nell'organismo.

Numerose altre ricerche hanno provato gli effetti positivi del tè - e soprattutto del tè verde - nel contrastare il processo d'invecchiamento. Nel 1996, una squadra di studiosi della Boston Tufts University ha confrontato le capacità antiossidanti del tè verde con quelle di 22 vegetali, in grado di svolgere questa funzione, come l'aglio, i broccoli, la cipolla, il mais, la carota: il tè verde ha superato di gran lunga il confronto.

Un altro studio ha dimostrato che nel tè verde è . contenuta la proantocianidìna, un antiossidante presente anche nel vino rosso, di cui è nota l'azione positiva contro le malattie cardiovascolari. Se esiste un «paradosso francese», esiste anche un «paradosso cinese »: questi due popoli, infatti, rispetto ad altre popolazioni (soprattutto quella americana) sono meno soggetti ad ammalarsi di malattie cardiovascolari.

  Ipertensione

Per ipertensione arteriosa s'intende un innalzamento anormale della pressione sanguigna. Questo disturbo si verifica in seguito a un restringimento dei vasi sanguigni o a una cattiva irrigazione dei reni. Le cause dell'ipertensione possono essere molteplici: gravidanza, consumo eccessivo di sale, contraccezione orale, fumo... E altrettanto molteplici sono le conseguenze: problemi cardiocircolatori, emorragie cerebrali, retinopatìe, riduzione della funzionalità renale, alterazioni delle funzioni cerebrali, quali perdita della memoria, dell'attenzione e della concentrazione... Per prevenire o ridurre tale disturbo vi sono principalmente due strade da seguire: la prima è quella d'intervenire sulle cause scatenanti, vale a dire evitare il fumo e ridurre il consumo di alcol, grassi e sale; la seconda consiste nel praticare con regolarità un'attività sportiva dolce, come camminare, andare in bicicletta, nuotare. Vi sono, inoltre, due piante che possono esservi di grande aiuto: l'ulivo, le cui foglie, assunte in infusione, hanno dato prova di grande efficacia; e, come potete immaginare, il tè verde, naturalmente.

In caso di ipertensione arteriosa, per l'effetto di un enzima secreto dal fegato, le sostanze ipotensive prodotte dall'organismo si trasformano in potenti sostanze vasocostrittrici e ipertensive. La catechina presente nel tè verde, inibendo tale enzima, permette non solo di bloccare tale processo di trasformazione, ma anche di ripristinare un equilibrio compromesso. Ciò significa che l'uso regolare di tè verde è fortemente consigliato a tutti gli ipertesi e che una tazza di tè in un momento in cui i valori sono piuttosto elevati può riportare la pressione arteriosa a valori più vicini alla norma.

  Micosi e piede d'atleta

Fate prolungati pediluvi in un infuso concentrato di tè verde. Di questa ricetta, molto utilizzata in Cina, è stata scientificamente provata l'efficacia. Un altro rimedio al problema adottato dai cinesi è quello di far scivolare alcune foglie di tè verde nelle scarpe o nelle calze. Utilizzate, però, un tè di media qualità: i vostri piedi meritano certamente tutta la vostra attenzione, ma non un tè raro e raffinato come uno Huo Qiang o un Gyokuro.

  Nervosismo

In Oriente si ritiene che il tè abbia effetti calmanti sui bambini, mentre in Occidente è opinione diffusa che la teina li innervosisca. Occorre, invece, ricordare che il tè verde presenta una quantità minima di teina e che in esso sono contenuti altri componenti che agiscono positivamente sull'umore e sul sistema nervoso.

Una o due tazze di tè verde la mattina non possono fare altro che bene.

Nei libri di ricette della tradizione popolare cinese si. consiglia di somministrare a bambini troppo vivaci o soggetti a crisi convulsive infusi a base di «barba di cipolla e di tè verde».

  Occhi

Occhi gonfi, borse, tratti tirati; consiglio lo stesso rimedio utilizzato per curare la congiuntivite: compresse imbevute di tè verde! L'unica differenza consiste nel collocarle in un piattino e lasciarle nel frigo per una mezzora in modo da applicarle sugli occhi belle fresche.

  Pelle

La pelle è il principale organo del corpo umano. È un organo «emuntorio», vale a dire destinato all' eliminazione dei materiali di rifiuto, così come lo sono l'intestino. e l'apparato urinario. Se la pelle ha del problemi, le tossine non vengono eliminate nella maniera dovuta; ciò determina non soltanto problemi di carattere dermatologico, ma anche disturbi che vanno a ripercuotersi su altri organi. Viceversa, se un organo, come il fegato ad esempio, SI ammala, la pelle ne risentirà moltissimo... La credenza popolare secondo la quale una buona cera è sinonimo di salute non è poi così sbagliata. Il tè verde, grazie ai suoi benefici effetti su fegato e apparato digestivo, contribuirà a rendere la vostra pelle bellissima. E, inoltre, nulla v'impedisce di rìutilizzare le foglie della vostra infusione per farvi un bel cataplasma.

  Radiazioni

L'Istituto fisiologico di Kiev ha potuto constatare come il tè verde risultasse utile nella terapia contro i postumi delle radiazioni. Un altro studio condotto dal dottor Hayashi ha dimostrato come i tannini presenti nel tè verde siano in grado di bloccare e di eliminare sino al trenta percento l'assorbimento dello stramonio 90, sostanza radioattiva sprigionata dall'atmosfera in seguito a incidenti nucleari. Tutti coloro che in qualche modo sono venuti a contatto con la nube di Chernobyl dovrebbero, pertanto, bere tè verde in quantità.

  Retinopatia

Dovuta spesso a fenomeni d'ipertensione o di diabete, tale affezione è caratterizzata da una degenerazione dei capillari che portano sangue e nutrimento alla retina; le conseguenze possono essere più o meno gravi: abbassamento della vista, emorragia, sanguinamento del corpo vitreo... Il tè verde riducendo il diabete e l'ipertensione agisce direttamente sui capillari dell'occhio proteggendoli.

  Stanchezza

Sono la caffeina (o la teina) e alcuni alcaloidi a fornire al tè effetti tonificanti; gli permettono, infatti, di stimolare il sistema cardiaco, epatico e nervoso e, nello stesso tempo, di ridurre la sensazione di dolore e di fatica. Tali effetti sono ancora più evidenti quando ci si sente affaticati o si ha sonno. Una tazza di tè verde vi aiuterà a stare svegli e lucidi anche dopo un periodo prolungato senza riposo. Scienziati sostengono che il tè verde svolga un'azione benefica sui muscoli, contrastando la formazione di crampi. Tali effetti di stimolazione dolce e prolungata dipendono non solo dalla biodisponibilità della caffeina contenuta nel tè, decisamente meno aggressiva rispetto a quella presente nel caffè, ma anche da altri componenti contenuti nel tè, quali la catechina che svolge un'azione regolatrice.

  Stress

Contrariamente a un'opinione alquanto diffusa, è bene sapere che lo stress non è produttivo. Alcuni uomini d'affari ritengono di essere più efficienti quando sono stressati. Alcuni principali stressano i loro sottoposti pensando di farli « avanzare» nella loro carriera più velocemente. Non solo tutto questo non corrisponde a verità, ma lo stress provoca malattie l'una dietro l'altra. Perché lo stress, nel vero senso della parola, « avvelena la vita»!

Attualmente, squadre di ricercatori stanno seguendo una pista molto interessante secondo la quale lo stress sarebbe il responsabile della formazione di sostanze tossiche che, a loro volta, produrrebbero stress. Tali sostanze possono essere prodotte dal cattivo funzionamento di altri organi, quali ad esempio, i reni. Il tè verde avrebbe il potere di neutralizzarle e di ridurre conseguentemente lo stress. In attesa che questa teoria sia definitivamente dimostrata, il semplice fatto che il tè verde regoli e stimoli il sistema nervoso e cerebrale è sufficiente a spingerei ad assumere tè verde quando ci sentiamo sotto stress. Non bisogna assolutamente esitare a sostituire il caffè con il tè verde.

  Ulcere varicose

Per piaghe, varici, lesioni cutanee, la ricetta è molto semplice: applicare un cataplasma sulla parte interessata a base di foglie di tè verde lasciate in infusione per qualche minuto in acqua calda.

  Cosmesi

Antinfiammtorio, ricco di antiossidanti, cicatrizzante, antibatterico, tonificante e rinfrescante. Con proprietà terapeutiche così straordinarie e apprezzato da un pubblico sempre più numeroso e entusiasta, sarebbe stato davvero sorprendente se le case cosmetiche e parafarmaceutiche non ci avessero preparato cremine rigeneranti, maschere esfolianti o prodotti per i capelli a base di tè. Niente paura: ci hanno accontentato! Molti laboratori propongono creme antirughe. Numerose case cosmetiche hanno lanciato intere linee di prodotti di bellezza a base di tè verde. Esistono, addirittura, paste dentifricie al tè verde. Senza mettere in dubbio l'efficacia di questi prodotti, occorre, tuttavia, riflettere che giungono sul mercato al momento giusto, proprio quando è esplosa una vera e propria moda del tè verde. Se volete beneficiare al cento percento degli effetti straordinari del tè verde, vi sarà più semplice e sicuramente meno dispendioso prepararvi voi stessi i vostri cosmetici utilizzando per di più un grande tè verde.

La maschera perfetta

Una volta la settimana, dopo esservi gustati la vostra tazza di tè, conservatene il fondo con tanto di foglie. Imbevetene alcune compresse che applicherete, lasciandovele una decina di minuti, su guance, fronte, naso come se fossero fettine di cetriolo o dischi di melone. Sciacquate con succo di limone (per eliminare l'odore erbaceo, o di melma come direbbero alcuni), e applicate una crema idratante o, meglio ancora, qualche goccia di olio d'oliva di prima spremitura a freddo oppure d'olio di nocciola. Rimuovetene l'eccesso con un batuffolo di cotone. Qualunque sia il vostro tipo di pelle, grassa, mista, normale o secca, sicuramente apprezzerete!

La lozione ideale

Per struccarvi o lavarvi il viso, potete utilizzare tranquillamente un infuso di tè verde. Tra l'altro è il segreto di bellezza delle donne giapponesi più eleganti e raffinate. Non dimenticatevi, però, di ripristinare il film idrolipidico della vostra pelle, terminando la vostra pulizia quotidiana con una goccia di olio di nocciola o con la vostra abituale crema idratante.

 

 

Partite per una vacanza in un paese tropicale? Ecco alcuni avvertimenti e regole elementari di igiene.

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Fate tutte le vaccinazioni consigliate, inclusa quella contro la malaria.

Tenete presente che è molto facile contrarre l'epatita C. Poiché le falde acquifere degli acquedotti di molte zone del Terzo Mondo sono inquinate da batteri fecali che provengono dalle fogne, è facilissimo contrarre queste malattie. Una conoscente di chi scrive, che soggiornava al Cairo nell'appartamento di una amica straniera, ha contratto l'epatite semplicemente facendo la doccia senza protezione per gli occhi. Tenete presente che la maggior parte della popolazione locale ha già avuto l'epatite.

Massima allerta sui mezzi di trasporto come aerei, treni locali, autobus locali. Leggete più sotto le generiche regole di igiene per i mezzi pubblici.

Portatevi delle pastiglie per disinfettare l'acqua o bollitela per almeno quindici minuti. Come regola base c'è quella di non consumare cibi o bevande, ma soprattutto acqua non sterilizzata con apposite pastiglie al di fuori dell'albergo internazionale in cui alloggiate. Andare in un bar di una città nordafricana e chiedere un bicchier d'acqua o un piatto di fagioli vuol dire correre dei rischi: una conoscente di chi scrive, che lavorava come volontaria internazionale in una fabbrica che inscatolava fagioli in Marocco ha contratto una infezione epatica da protozoo che l'ha resa permanentemente invalida, e non è trattabile con nessun farmaco conosciuto.

Alimentatevi solo con cibi ben cotti e bevete solo acqua imbottigliata.

Non toccatevi mai occhi, bocca, naso con le dita. Portatevi una bottiglietta di amuchina anziché i fazzolettini umidificati, per pulirvi le mani.

Fare turismo sessuale vuol dire cercarsi AIDS, sifilide, mononucleosi, donovanosi, pediculosi, scabbia, funghi della pelle e altre malattie sessuali sconosciute nei paesi occidentali ma diffuse nei paesi in via di sviluppo. Vuol dire anche cercarsi conseguenze penali e lunghi periodi di reclusione. Contrariamente a quanto si crede, paesi come Albania, Romania, Repubblica Ceca, Messico, India ecc. sono altrettanto severi verso i reati sessuali del nostro paese, se non di più.

Non fate in bagno in fiumi o specchi d'acqua dolce, anche se vedete delle persone del luogo bagnarsi tranquillamente. Non è infrequente la presenza di parassiti che provocano la cecità fluviale, o le cui larve si infilano sotto la pelle (è stato riferito a chi scrive di un caso in cui dalla schiena del malcapitato sono state estratte cinquanta larve di parassita in pieno sviluppo…) o danneggiano irrimediabilmente il sistema linfatico o circolatorio delle gambe.

Non passeggiate a piedi scalzi, neanche sulla spiaggia, a meno che non vi garantiscano che potete farlo. Ha riferito a chi scrive un missionario in Amazzonia che camminare a piedi scalzi in una spiaggia immacolata è la peggior follia che in quei posti si possa fare: dopo qualche giorno la pianta dei vostri piedi pullulerà di larve.

Se progettate trekking o escursioni in boschi o foreste, anche dell’emisfero settentrionale, attenzione al temibilissimo morbo di Lyme: viene trasmesso dalle zecche, che, annidate sotto le foglie, si lasciano cadere sulla pelle dei mammiferi (bovini, animali selvatici ecc.) e trasmettono questa malattia batterica difficile da estirpare.

Fino al 20 per cento dei pazienti che non ricevono cure sviluppano l'artrite cronica che provoca difficoltà a camminare. Più raramente, la malattia può influire sul sistema nervoso causando meningite asettica, radicoloneuriti, infiammazione delle radici nervose cervicali, acufeni e paralisi di Bell. Nel terzo stadio della malattia un ristretto numero di pazienti soffre di perdita di memoria, instabilità comportamentale. Per le donne in stato di gravidanza, la malattia è ancora più pericolosa perché l'infezione può essere trasmessa al nascituro e può aumentare il rischio di aborto spontaneo. Il New York Times l’ha definita “la malattia infettiva che si diffonde più rapidamente negli Stati Uniti dopo l’AIDS”. Rapporti da altri paesi indicano che si sta diffondendo anche in Asia, Europa e Sud America. In Europa la malattia è comune in Austria, Slovenia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Le zecche portatrici del morbo di Lyme sono già arrivate nei boschi nell’Italia settentrionale, dove è presente soprattutto nel Carso, nel Trentino, nella Liguria e in minor quantità anche in altre regioni.

In generale, indossare dei vestiti, anche leggeri, che coprono tutto il corpo quando si viaggia su mezzi pubblici dalla dubbia igiene, o ci si trova in zone con insetti o altre fonti di contaminazione attraverso la pelle, è consigliabile, piuttosto che l’abitudine delle donne e degli uomini italiani di esporre ogni centimetro di pelle disponibile, non solo sulla spiaggia, ma anche durante il viaggio, con short e top ridottissimi, quando non addirittura i reggiseni del costume da bagno.

Tenere presente che gli olii dei ristoranti a buon mercato sono riutilizzati decine di volte (un cuoco indiano ha detto ad un mio conoscente: "così il cibo risulta più saporito!") e quindi sono ricchi di acido acroleico tossico.

Inutile avvisare che i molluschi sono assolutamente da evitare: un mollusco normalmente filtra qualche tonnellata di acqua al giorno, diventando il ricettacolo di tutti i batteri e le impurità dell'ambiente. Se mangiati crudi, i molluschi possono nascondere il pericolo di infezioni come tifo, paratifo ed epatite virale.

Non nuotate in zone di mare che non siano garantite come assolutamente protette da fauna marina pericolosa. Un amico mi ha riferito di un gruppo di operai divorati alcuni anni fa dai barracuda mentre facevano il bagno di fronte al villaggio-vacanza del Messico in cui erano venuti a fare delle installazioni. Non sono rarissime le notizie di turisti aggrediti da squali persino in Italia (chi scrive ha avuto notizia di un turista azzannato da uno squalo ad alcune centinaia di metri dalla costa ligure…), figuriamoci nei paesi tropicali…

Attenzione alle infezioni delle vie aeree: al primo segno di polmonite, fatevi rimpatriare. Le griglie dei condizionatori d'aria degli alberghi, che non subiscono una regolare manutenzione, sono ricettacolo di colonie di legionella, un batterio che provoca polmonite. Pochi sanno che in zone confinanti con foreste tropicali è facile contrarre polmoniti e tubercolosi di natura fungina, molto più difficili da estirpare di quelle batteriche. Questo avviene perché le ruspe che costruiscono strade o l'abbattimento di alberi provocano una nube di spore di funghi parassiti, che stazionano nell'aria per lungo tempo e si spostano con i venti nelle zone vicine. Moltissimi lavoratori di cantieri tropicali hanno contratto queste temibili malattie.

Facciamo poi qualche considerazione sulla sicurezza dei luoghi di vacanza nei paesi tropicali. Vi ricordate il tragico tsunami del 26 Dicembre 2004? Il sisma raggiunse magnitudo 9.3 e scatenò un maremoto che dall'Indonesia raggiunse in poche ore Thailandia, India, Sri Lanka, fino a lambire le coste dell'Africa orientale. L'onda uccise oltre 230mila persone e interi tratti di costa furono devastati. Oltre alle popolazioni locali, coinvolse molti turisti occidentali che stavano trascorrendo le vacanze di Natale. Oltre seicento turisti italiani persero la vita.

Questo impone alcune riflessioni. Dalle cronache e dalle immagini che inondarono i media si poté vedere che molti villaggi-vacanza ed hotel erano situati in vicinanza della spiaggia, con una elevazione assolutamente insufficiente, in zone che potevano venire facilmente investite da onde anomale o da inondazioni monsoniche o da straripamento di fiumi. Sia alberghi che bungalow erano costruiti senza alcun criterio antisismico: durante lo tsunami, prima di poter mettersi in salvo, molti turisti sono rimasti gravemente feriti, ai piedi o al corpo, da travi di legno, schegge di legno e di vetro di pannelli e finestre che erano letteralmente esplosi per la pressione atmosferica che precedeva l'onda. Le strade e il sistema di viabilità sono assolutamente carenti: normalmente le strade non sono asfaltate, e alla prima pioggia si trasformano in un mare di fango impraticabile con mezzi di trasporto normali, perdipiù affollato dalla gente in fuga. Sempre dalla cronaca dello tsunami, si è potuto vedere che in molti paesi tropicali manca un sistema ragionevolmente efficiente di allerta contro inondazioni, maremoti, straripamenti di fiumi, incendi ecc. Tanto per fare il paragone: molte zone degli USA sono disseminate di watch towers: torri di avvistamento dove molti giovani trascorrono l'estate pagati da Governo per monitorare incendi, inondazioni, avvicinarsi di tornado. Nel Terzo Mondo non c'è nulla di simile. Non solo: durante lo tsunami non ci fu nessun allarme via radio da parte delle autorità thailandesi. I meteorologi responsabili di queste negligenza sono stati licenziati e processati, ma chi scrive non scommetterebbe che queste misure siano state sufficienti a migliorare l'efficienza del sistema. E' probabile che in molte zone manchino anche piani di evacuazione del territorio paragonabili a quelli della sicurezza civile dei paesi occidentali. Assicuratevi anche che le strutture ricettive dispongano di adeguati piani di evacuazione, ma ricordate anche: in momenti di estremo panico, è probabile che né il personale né gli ospiti seguano alcuna regola di evacuazione.

Ma non è necessario citare questo terribile evento per farsi suonare campanelli di allarme. Ogni anno i giornali riportano la morte di decine e decine di migliaia di persone nel Terzo Mondo a causa di eventi naturali che in quelle zone si verificano con regolarità stagionale. Quando andate in una località del Terzo Mondo dovete sapere che il rischio di inondazioni, tsunami, frane, terremoti, incendi è molte volte superiore rispetto ai paesi occidentali. Se ci fate caso, ogni tanto compare sui giornali la notizia di un nostro compatriota in vacanza in paesi esotici tragicamente morto "durante una escursione in canoa" o "durante una escursione in una zona isolata", e simili. Queste notizie compaiono con regolarità sospetta. Chi scrive è indotto a pensare che non si tratti di un fenomeno casuale, né dovuto unicamente al fatto che il turista si sia avventurato in zone "sconsigliate", bensì al fatto che molti bungalow e zone di residenza turistica del Terzo mondo sono situati in aree pericolose e non sono costruiti secondo criteri di sicurezza. Ovviamente, l'industria turistica ha tutto l'interesse a minimizzare la faccenda e a non divulgare le statistiche di mortalità nei luoghi di vacanza…

Morale: se volete andare in qualche sperduto paradiso tropicale ancora incontaminato dai turisti, assicuratevi che possiate tornare indietro sani e salvi, se qualcosa dovesse andare storto.

Considerate poi che il sistema di trasporti e il sistema sanitario dei paesi del Terzo Mondo, al di fuori delle zone urbanizzate, sono assolutamente carenti. Se per qualsiasi ragione (febbri, diabete ecc.) entrate in coma, non è facile attivare immediatamente i soccorsi. Pochi sanno che la cosa più importante in un ospedale è una sala di rianimazione: qualsiasi banale intervento, o allergia all'anestetico può mandare in coma una persona. E pochissimi piccoli ospedali del Terzo Mondo dispongono di una sala di rianimazione. Un sistema di assistenza sanitaria efficiente richiederebbe un adeguato training di pronto soccorso del personale delle strutture ricettive, e questo è tutto da verificare per località di villeggiatura che nascono come funghi, gestite da imprenditori locali che guardano più al profitto che alla sicurezza.

Un check-up sanitario dovrebbe essere l'obbligo oltre alle vaccinazioni previste. Consigliabile anche avere il numero di una compagnia locale di elisoccorso. Contro l'infarto portate compresse di trinitrina, che allungano il tempo di sopravvivenza prima dell'arrivo dei soccorsi.

Poiché si tratta di paesi di estrema povertà, andare in giro senza adeguata protezione in città del Kenya, dell'Uganda e simili è realmente pericoloso. Un racconto vero: durante una coda di fronte ad un negozio di generi alimentari della periferia di Nairobi, un uomo ha estratto fulmineamente un coltello e tranciato il dito della donna davanti a lui per sottrarle l'anello. In grandi città del Sudamerica non sono rari i casi di aggressioni con mutilazioni alla bocca sui mezzi pubblici per rubare i denti d'oro. E' recente la notizia di un pensionato itraliano che soggiornava in Kenya ucciso nella propria casa, probabilmente a scopo di rapina. Informatevi della sicurezza all'esterno dell'albergo in cui soggiornate. Persino a Miami le ditte di autonoleggio hanno rinunciato a mettere il loro logo sull'auto o sul portachiavi, perché altrimenti il turista diviene l'immancabile bersaglio delle gang locali. Non portate orologi o altri oggetti preziosi con voi. Quando andate in giro cercate di non mettere su di voi o sulla vostra auto una insegna al neon con su scritto "straniero danaroso in vacanza". Andare in giro con un rolex per le strade di Napoli è estremamente sconsigliabile. Figuriamoci per quelle di Nairobi.

Ci sono città pericolosissime, come Bogotà e Città del Messico, nei cui aeroporti vengono addirittura distribuiti volantini che raccomandano assolutamente di non prendere un taxi diverso da quello inviato dall'albergo, di non circolare per le strade dopo le cinque di pomeriggio ecc. ecc. a meno di non voler sparire senza lasciare traccia. Individuate queste città mediante una ricerca su internet e seguite le opportune precauzioni. Nelle regioni settentrionali del Messico, confinanti con gli USA, spariscono centinaia di giovani ragazze ogni anno, senza che a tutt'oggi si siano chiariti i motivi di questi rapimenti. Anche se si tratta perlopiù di giovani messicane, consiglierei delle ragazze occidentali di evitare i viaggi-avventura in certe zone del Messico…

C'è poi il discorso assicurazione. Prendiamo lo spunto da alcuni fatti di cronaca. Alcuni anni fa non era raro che a Miami i turisti fossero rapinati o che si trovassero coinvolti in rapine a negozi, e rimanessero feriti, anche gravemente. E qui cominciano le dolenti note. Perché molti di loro non si erano preoccupati di fare una assicurazione sanitaria, e negli USA non esiste un sistema sanitario nazionale che vi curi semigratuitamente e si faccia poi rimborsare il ticket dal sistema sanitario italiano. Supponiamo che scivoliate e riportiate una contusione alla spalla: il costo del ricovero e dei controlli per stabilire se si tratti di una frattura o di una semplice lussazione si aggira sui 7.000 dollari, e lo dovete pagare voi. La fattura per l'ingessatura di una frattura è di circa 15.000 dollari, da tirare fuori sempre dalle vostre tasche. Qualche anno fa i giornali riportarono la notizia di un turista italiano a Miami rimasto ferito con un colpo di arma da fuoco al fegato che è fuggito nottetempo dall'ospedale a cui doveva ormai 400.000 dollari di cure mediche. Lo stesso discorso vale per un semplice tamponamento o incidente automobilistico: potreste tornare dal vostro viaggio con un danno di 10.000 dollari da risarcire. Ai giovani studenti italiani che vanno a studiare in una università USA, la prima domanda che viene rivolta non è: "Quale corso di studi intende scegliere?", ma: "Ha già una assicurazione che copre l'assistenza sanitaria e la responsabilità civile?" e la prima cosa che fanno è farvela sottoscrivere.

Un avvertimento poco conosciuto: attenzione alla circolazione dei veicoli nelle città del Terzo Mondo, che non è come quella dei paesi occidentali. Un abitante di Rio de Janeiro ha riferito ad un mio conoscente che in quella città muoiono più persone a causa di conducenti di autobus disattenti che a causa di conflitti tra bande di narcotrafficanti.

E infine, seguite anche in viaggio le raccomandazioni per l'igiene di tutti i giorni, che trovate in questo documento, nell'articolo "Raccomandazioni per l'igiene di tutti i giorni".

 

 

Raccomandazioni per l'igiene di tutti i giorni allo scopo di evitare il contagio da germi.

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Non dividete cibi o bevande con altre persone. Non bevete da bottiglie, bicchieri o lattine da cui abbiano bevuto altre persone. Chi scrive, capitato una mattina molto presto in un bar evidentemente frequentato da prostitute a fine turno,  ha preteso la cannuccia per sorbire il caffè. In un ristorante all'interno di un noto luogo di vendita di prodotti alimentari italiani ha visto sterilizzare i bicchieri della birra ponendoli rovesciati su un sifone che emette un getto ad alta pressione che ne pulisce solo l'interno. Figuriamoci cosa succede in altri posti. Mononucleosi o herpes sono possibili conseguenze di questi comportamenti.

Fuori casa, cercate di non condividere con altri l'uso di oggetti come penne, oggetti di cancelleria e simili.

Non portate mai alla bocca oggetti (penne, matite, steli d'erba, ecc.)

Quando si dà un bacio di cortesia o di semplice affetto, evitare di toccare la zona in prossimità della bocca, perché si potrebbe facilmente contrarre l'herpes. Meglio fare come l'etichetta prescrive: avvicinare la guancia senza effettivamente baciare.

Le superfici bagnate ospitano virus e batteri e offrono loro un ambiente per moltiplicarsi rapidamente. Asciugate bene utensili da cucina, piano della cucina, vassoi. Nelle mense o fast food non prendete vassoi umidi. Non toccate superfici umide. L'umidità che si forma sulle lattine di coca-cola ghiacciate è in grado di conservare virus e batteri per un tempo molto lungo. Se vi chiedete perché si trovano in vendita lattine con un linguetta di stagno da togliere da sopra la confezione, il motivo è questo.

Per la stessa ragione, gettate fazzolettini bagnati, mettete subito ad asciugare asciugamani bagnati ecc. Andare in giro per ore con abiti impregnati di sudore aumenta il rischio che essi acquisiscano batteri e virus dall'ambiente.

Non portate le mani agli occhi se avete maneggiato sostanze irritanti (pepe, peperoncino, disinfettanti, detersivi, ecc.)

Non utilizzate, per la vostra pulizia personale, fazzolettini, salviettine umidificate ecc. più di una volta. Utilizzate solo poche volte asciugamani e altri tessuti per la vostra pulizia.

Spugne, spazzolini da denti e altri oggetti che rimangono umidi dopo l'uso andrebbero cambiati con frequenza.

Strumenti di pulizia come spazzole e piumini o stracci da spolvero andrebbero puliti o rimpiazzati con regolarità. Le spazzole andrebbero pulite in acqua e detersivo e asciugate completamente.

Non toccate o carezzate animali. Lavatevi le mani immediatamente dopo averlo fatto.

Dopo aver maneggiato del denaro (banconote o monete) dovreste pulirvi prima di prendere alimenti o toccarvi il viso.

Cambiare abiti, indossando ogni giorno abiti puliti può evitare di portare colonie batteriche su di sé.

Le mani sono potenti veicoli di infezione. Batteri e virus si depositano in quantità sulle nostre mani quando lavoriamo in cucina (ad es. salmonelle o batteri fecali se tocchiamo delle uova) o quando siamo fuori casa, ed occorre una adeguata igiene. Ecco illustrata la corretta procedura per lavarsi le mani (durata della procedura: 40-60 secondi):

 

 

La frequenza con cui ci si lava le mani andrebbe aumentata in periodi di influenza. In particolare le mani andrebbero sempre lavate dopo: a) minzione o evacuazione; b) preparazione cibo; c) trasporto immondizia; d) aver toccato pavimento o altre zone a rischio; e) aver toccato le mani o la pelle di altre persone; f) essersi riparato la bocca dopo aver tossito e sternutito (in periodo di influenza); g) prima di mangiare qualsiasi cibo; h) dopo aver toccato o carezzato un animale; h) dopo esserci toccati le parti intime; i) dopo aver maneggiato del denaro.

Il disinfettante migliore per le mani è acqua e sapone. Riguardo gli altri disinfettanti ci sono alcuni prodotti da evitare: leggete, in questo documento, l'articolo "Disinfettanti per le mani da usare e disinfettanti per le mani da evitare".

Lavatevi una-due volte al giorno il viso con semplice acqua fresca.

Se volete migliorare ancora l’igiene delle vostre mani e pulirvi più frequentemente, acquistate al supermercato un piccolo spruzzino di quelli usati per stirare e una bottiglia di alcool da pasticceria a 95° e avrete un sistema eccellente e ultrarapido per disinfettare le mani. L’alcol da pasticceria evapora completamente senza lasciare residui, non ha il puzzo terribile dell’alcol denaturato ma un gradevole aroma: dopo esservi spruzzati le mani sarà sufficiente sfregarle un attimo e asciugarle con un fazzolettino di carta (ma anche l’asciugamano pulito va bene) senza risciacquarle sotto il rubinetto (sarebbe una pura perdita di tempo).

Gettate via i fazzolettini di carta immediatamente dopo averli utilizzati. Il noto medico statunitense Isadore Rosenfeld ha affermato che la via più veloce perché tutti i membri di una famiglia si ammalino in periodo di influenza o raffreddori, specie con un infermo in casa, è riutilizzare i fazzolettini di carta.

Non toccate con le mani bagnate maniglie o altri oggetti che potrebbero ospitare virus e batteri.

Pulitevi le mani (e non toccatevi mai gli occhi) dopo aver toccato i sostegni di mezzi pubblici (qualche anno fa, un articolo di giornale riportava che sui bus milanesi erano state trovate tracce persino di virus dell'AIDS) oppure tavolini o banconi di bar oppure le maniglie delle porte e gli oggetti nelle toilet pubbliche o dei treni.

State in guardia quando vi trovate in spazi chiusi e affollati. Se possibile evitate i mezzi pubblici dell'ora di punta, affollati e pieni di colpi di tosse. Sternuti e colpi di tosse producono una nuvola di goccioline microscopiche piene di virus e batteri e questo aerosol staziona a lungo nell'aria. Cambiate posto se il vostro vicino tossisce o appare malato. Cercate un posto vicino ad un finestrino aperto o vicino alle porte che, aprendosi, assicurano ventilazione.

Non mettete l'occhio su obiettivi di binocoli, videocamere, macchine fotografiche o cannocchiali usati da altri (es. i cannocchiali a pagamento di località turistiche), perché potrebbero venirne infezioni. Pochi sanno che è questa la ragione per cui i sistemi di identificazione a scansione della retina sono molto meno diffusi di quelli mediante impronta del pollice.

Non utilizzate assolutamente mai fazzolettini e asciugamani utilizzati da altri.

Dormire nello stesso letto con un malato di una malattia infettiva è evidentemente sconsigliabile. Quando un membro della vostra famiglia è malato dovrebbe dormire da solo.

Una doccia una volta al giorno è consigliabile. L'acqua è sufficiente a togliere batteri e funghi dalla maggior parte delle zone della nostra pelle. Il sapone andrebbe utilizzato solo sulle zone ricche di peli, dove le ghiandole pilifere producono sudore.

E quanto allo stringere le mani altrui? Stringere la mano ad una persona pulita è un conto, stringerla ad una persona abituata a detergersi da una evacuazione con un pezzetto di carta senza successivamente lavarsi è un altro…

Evitate qualsiasi contatto con escrementi di volatili. Rimuoveteli immediatamente dalla vostra casa, soprattutto da davanzali o da altre zone a cui potrebbero aver accesso i vostri bambini. I volatili sono i vettori principali di influenze ed epidemie. Come credete che arrivino dall'Asia le prime influenze di stagione? Con i volatili migratori. Le loro deiezioni hanno una altissima carica virale e batterica.

Se possibile, utilizzate stoviglie e posate personali, spazzolini personali, e non spartiteli con altri.

La suola delle nostre scarpe raccoglie, quando siamo fuori di casa, una quantità incredibile di virus e batteri e tracce di escrementi, non visibili ma presenti sul terreno. Non toccatele con le mani e trovate un luogo dove riporre le calzature in modo che virus e batteri possano inattivarsi senza diffondersi per la casa.

In cucina, preparate alimenti provenienti dal mare, carne, pollame, uova crude tenendoli separati dagli altri alimenti.

Lavate bene gli utensili da cucina dopo averli utilizzati. Lavate bene le mani prima, dopo e durante la preparazione di cibi come uova, pesce o carne cruda. Cercate di non utilizzare troppo le mani nude, perché virus e batteri potrebbero insinuarsi facilmente nelle pieghe delle mani o sotto le unghie. Utilizzate guanti da cucina o utensili.

Lavate i vegetali da consumare crudi, possibilmente con bicarbonato e se possibile sterilizzateli con un preparato come amuchina. Potrebbero essere irrorati con concime organico, pieno di batteri fecali o ricevere deiezioni animali o uova di parassiti.

Il lavello della cucina andrebbe sommariamente pulito dopo essere stato per preparazioni come carne cruda, pesce etc. perché diversamente diventa un centro di diffusione dei germi.

Il lavello della cucina andrebbe sterilizzato periodicamente. E' sufficiente riempirlo completamente d'acqua, versarvi un bicchiere di candeggina e attendere almeno un'ora per eliminare completamente i germi.

Aereate i locali della casa più volte al giorno.

Pulite i locali e i mobili della casa dalla polvere con un aspirapolvere (non solo con scopa o panno o piumini, che non funzionano bene per rimuoverla), possibilmente con filtro anti-acari.

Quando siete seduti ad un tavolo di hotel, biblioteca, bar ecc. sappiate che ogni impronta di avventore lascia una invisibile chiazza di grasso umano, che può mantenere vivi i batteri e i virus per ore.

Mantenete le unghie ragionevolmente corte o pulitele regolarmente, perché sotto di esse possono depositarsi legioni di virus e batteri. Il momento migliore per tagliare le unghie delle mani e soprattutto dei piedi è dopo essersi fatti la doccia, quando sono rese meno dure dall'acqua.

Alcune persone pensano che rimuovere i peli di ascelle e pube migliori il grado di igiene, ma questo è assolutamente non vero.

Pulite le vostre orecchie con gli indici mentre fate il bagno. Pulite regolarmente il condotto uditivo, ma state attenti che utilizzando bastoncini questo non spinga il cerume entro il condotto uditivo invece che estrarlo.

Non camminare a piedi scalzi né in casa né all'esterno, anche se si tratta di parquet.

Quando si frequenta palestre, o piscine, non camminare a piedi scalzi, perché si potrebbero prendere funghi. Mettere un proprio asciugamano sulle panche o altre zone con cui la nostra pelle viene in contatto. Usate guanti da culturista che sterilizzerete regolarmente per afferrare o toccare maniglie, barre dei pesi ecc. Se possibile utilizzare il vostro bagno e non quello della palestra, oppure fate il bagno nuovamente a casa vostra.

Nessun animale dovrebbe essere ammesso in casa, inclusi cani, gatti ecc. Malgrado molti non saranno d'accordo, secondo lo scrivente questa regola è importante ed evita di introdurre a casa virus e batteri di provenienza esterna annidati sotto le zampe o sul corpo dell'animale o di contrarli dall'organismo dell'animale (leggete in questo documento l'articolo sulla toxoplasmosi trasmessa dai gatti).

Pulite bene l'interno di una bottiglia di vetro o plastica prima di utilizzarla, perché potrebbe essere rimasta dell'umidità che ha formato delle muffe.

Gettate immediatamente piatti che presentano delle crepe o spaccature che ospitano immancabilmente colonie batteriche. Se non ci credete, fate la prova: spaccate il piatto lungo la crepa, e nel 90% dei casi potrete vedere il color verde tipico delle muffe. Non c'è disinfettante che possa penetrare in questi interstizi, quindi la cosa migliore da fare è disfarsi della stoviglia. Graffi profondi nelle stoviglie, pyrex ecc. producono gli stessi risultati. Il fondo dei contenitori in cui mangiate dovrebbe essere liscio e non usurato.

Non mangiate assolutamente cibo caduto in terra.

Mettetevi in testa che il pavimento di casa vostra non è igienico, per quanto possiate fare pulizia giornaliera. Abbiamo già scritto sopra che le suole delle scarpe ospitano milioni di germi, inclusi quelli provenienti da feci di uccelli, cani, gatti, e non c'è niente che possiate fare per impedire che ad ogni ingresso in casa essi entrino con voi. Pulite il pavimento, almeno ogni tanto, con candeggina, o altro disinfettante, non con un semplice prodotto detergente.

Non utilizzate a lungo lo stesso panno da cucina o lo stesso grembiule da cucina.

Utilizzate guanti di lattice o di gomma per effettuare i lavori più sporchi, come pulire il bagno, trasportare immondizia o concime, ecc.

Se la pelle delle vostre mani o di altre zone ha dei tagli, anche piccoli, dovete adeguatamente disinfettarli e coprirli con cerotti resistenti all'acqua, perché sono i veicoli di infezioni: non mettetevi a preparare pesce crudo o a distribuire concime organico alle vostre piante quando avete anche un piccolissimo taglio alle mani!

Anelli, piercing, orecchini possono ospitare focolai batterici. Non è un caso se diverse industrie alimentari non prendono in considerazione domande di assunzione di persone che utilizzano piercing.

Pulite a fondo i contenitori di immondizia e svuotateli con frequenza.

Non toccate con le mani le vostre parti intime senza poi esservi lavati.

Non toccate con le mani naso, bocca, occhi. Cercate di togliervi questa abitudine. In particolare, imparate a sopportare stoicamente i pruriti che sono la causa più frequente per cui ci portiamo le mani al viso. Se si ha la pazienza di aspettare dopo pochi secondi, passano. Con l'età, il vizio di toccarsi il volto peggiora (come anche i pruriti) ed occorre insistere nell'abitudine di non farlo.

Non grattate zone con eruzioni cutanee.

Non usate vassoi di tavole calde, ripiani ritraibili di treni o di aerei senza avervi messo sopra un foglio di carta pulita.

I giocattoli dei bambini non regolarmente puliti possono essere veicoli di infezioni

Lavate in lavatrice i tessuti che devono servire per la vostra igiene almeno a 60° oppure con la candeggina.

 

 

Esiste un farmaco che mi consente di "smaltire" le calorie dovute ad una occasionale eccessiva ingestione di grassi?

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Esiste. E' prodotto dalla multinazionale Roche e si chiama Alli. Il suo principio attivo è l'Orlistat, una sostanza che impedisce la digestione dei grassi, che vengono escreti con le feci. In passato era acquistabile solo con la ricetta medica, mentre ora è in libera vendita, essendone stata riconosciuta la completa innocuità. Due o tre compresse di Alli ingerite poco prima o poco dopo il pasto riducono del 50% l'assorbimento intestinale dei grassi, evitando che essi entrino nel sangue.

 

 

Qual è il miglior preparato per prevenire la caduta dei capelli?

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La caduta dei capelli negli uomini ha un solo agente principale: l'ormone maschile (testosterone) che, prodotto in parte dalle gonadi, in parte dalle ghiandole surrenali, circola nel sangue in forma inattiva per attivarsi poi sugli organi-bersaglio: prostata, organi sessuali maschili, sistema pilifero. Purtroppo, uno dei tessuti bersaglio è la cute ricca di sistema pilifero. Nei capelli, il testosterone in forma attiva provoca lo strozzamento e atrofizzazione del bulbo, con conseguente caduta.

Propecia, della multinazionale Merck, è uno dei pochi rimedi realmente validi. Contiene finasteride, che inibisce una delle forme attive del testosterone, il diidrotestosterone. Nata originariamente come prodotto antiandrogeno per bloccare il progresso del cancro alla prostata, per il quale il testosterone è un potente fattore di sviluppo, a dosaggi più bassi è stato proposto per la cura dell'alopecia androgenica. Va assunto giornalmente per lunghi periodi per prevenire o arrestare la caduta.

 

 

Cosa fa realmente la caffeina al nostro cervello?

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Non è vero che la caffeina "amplifica" l'attività cerebrale nel modo in cui tanti di noi pensano. La spiegazione del funzionamento della nostra droga preferita non è elementare quanto si crede comunemente.

Primo punto: cosa non fa la caffeina.

La caffeina, da sola, non ci trasforma in automi superproduttivi, superveloci, superchiacchieroni. Se riusciamo a concentrare 6 ore di lavoro in 45 minuti o se dalle 8 alle 11 di mattina siamo le persone più affascinanti del mondo non è merito esclusivo di quel caffè americano che ci siamo scolati.

Ciò che la caffeina invece fa è spacciarsi per qualcos'altro. Nel cervello la caffeina è il sosia per autonomasia di una sostanza neurochimica chiamata adenosina. L'adenosina è prodotta in continuazione dall'attivazione dei neuroni, e più ne viene prodotta, più il sistema nervoso comincia ad arrancare. Il sistema nervoso monitora i livelli di adenosina attraverso i recettori, in particolare il recettore A1 che si trova nel cervello e nel resto del corpo. A mano a mano che i recettori intercettano l'adenosina, il conto dell'adenosina sale, finché il sistema nervoso induce il sonno per riportarlo a zero.

La straordinaria proprietà della caffeina è quella di essere simile per forma e dimensioni all'adenosina e di legarsi ai recettori senza però attivarli. A questo punto i recettori sono di fatto bloccati dalla caffeina (in termini clinici, la caffeina è un'antagonista del recettore A1 dell'adenosina).

L'importanza di questo fenomeno non sta solo nel fatto che bloccando i recettori la caffeina sabota il sistema di monitoraggio dei livelli di adenosina da parte del sistema nervoso, ma anche nelle altre sostanze che entrano in gioco nel frattempo. Ora che il livello di adenosina registrato è sotto controllo, la dopamina e il glutammato, due neurotrasmettitori a effetto stimolante autoprodotti dal cervello, possono più liberamente svolgere la loro azione eccitatoria, ed è a loro che si deve l'effetto di un triplo mocaccino con latte scremato.

In altre parole, non è la caffeina a stimolare, ma piuttosto la caffeina tiene le porte bloccate mentre i veri festaioli del cervello si dedicano alla loro attività preferita.

Come sa ogni buon bevitore di caffè, col tempo l'effetto stimolante della caffeina diminuisce. Per ottenere lo stesso livello di stimolazione da parte dei propri neurotrasmettitori eccitatori ne occorre un quantitativo sempre maggiore: si tratta di quell'odioso fenomeno noto come «assuefazione».

A quanto pare la ragione per cui bere caffè o tè al mattino è diventato un rito è che la caffeina contribuisce a combattere la sonnolenza che ci resta addosso dopo una notte trascorsa a riportare a zero i livelli di adenosina. E questa è una cosa che la nostra droga legale preferita sembra saper fare molto bene.

Ciò che non è brava a fare, anche se ci farebbe molto comodo che lo fosse, è mantenerci attivi e scoppiettanti nonostante il sonno arretrato. Per un po' si ha l'impressione che la caffeina possa combattere gli effetti della privazione del sonno, ma l'effetto dura poco: alla fine è il sistema nervoso ad avere la meglio.

Ovviamente gli effetti della caffeina dipendono da molte variabili, fra cui costituzione fisica, peso, età. A qualcuno basterà una tazza per restare sveglio e pimpante, a qualcun altro ne occorreranno tre. E, come accennato prima, l'assuefazione alla caffeina è una variabile fondamentale, qualunque sia il modo in cui ci piace assumere la nostra droga più usata.

Dunque, nel caso voleste perdere il vizio di bere caffè, quanto ci vorrà per superare la fase di astinenza? Dipende da quanta caffeina assumete di solito, anche se per il bevitore medio di due-tre tazze di caffè quotidiani c'è da aspettarsi una decina di giorni di sintomi come mal di testa, stanchezza, e una generica voglia di sbraitare in faccia a chiunque.

 

 

Perché è sconsigliabilissimo acquistare occhiali da sole di bassa qualità o, peggio ancora, da un venditore abusivo?

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Quando si indossano occhiali la pupilla si dilata per far entrare più luce, col rischio, soprattutto d'estate, di assorbire una dose nociva di ultravioletti. Se la lente è di buona marca è in grado di filtrare gli ultravioletti, mentre se è di marca scadente, l'occhio potrebbe risultare danneggiato da questa sovraesposizione.

 

 

Zucchero  e cervello.

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Sovralimentazione, difficoltà di memorizzazione, disturbi dell'apprendimento, depressione: sono tutti fenomeni correlati, secondo studi recenti, al consumo eccessivo di zuccheri. I legami scoperti indicano tutti un problema che solo ora cominciamo a comprendere: quali conseguenze comporti la cronica assunzione di zuccheri aggiunti per il nostro cervello.

Secondo il Dipartimento Statunitense dell' Agricoltura (USDA), annualmente un americano consuma in media oltre 70 kg di zuccheri aggiunti, il che equivale a tre scaffali di supermercato con sopra 20-25 confezioni di zucchero da un chilo. Se vi sembra incredibile, probabilmente è perché lo zucchero è talmente onnipresente nella nostra alimentazione che la maggior parte di noi nemmeno si accorge di consumarne cosi tanto. I CDC (Centers for Disease and Control, il principale organismo di controllo della sanità pubblica degli Stati Uniti) calcolano il consumo in 27,5 cucchiaini da tè pro capite al giorno, equivalenti a 440 calorie: quasi un quarto di una tipica dieta giornaliera da 2000 calorie.

La parole chiave in tutte queste statistiche è «aggiunti». Con un'alimentazione sana si avrebbe un significativo apporto di zuccheri di provenienza naturale (come quelli contenuti nella frutta e nei cereali, per esempio), ma il vero problema è il consumo cronico di un quantitativo assai maggiore di zuccheri aggiunti che provengono dai cibi trasformati dall'industria alimentare.

È bene mettere in chiaro questo fatto, perché il nostro cervello per funzionare ha bisogno ogni giorno di un certo quantitativo di zuccheri. I neuroni richiedono un' energia doppia rispetto a tutte le altre cellule dell'organismo, che significa più o meno il 10 del nostro fabbisogno energetico quotidiano. Tale energia è ricavata dal glucosio ematico, lo zucchero circolante nel sangue, il combustibile del nostro cervello. Se lo zucchero non è nemico del cervello, lo zucchero aggiunto, invece, lo è eccome.

Gli studi scientifici indicano che una dieta ricca di zuccheri aggiunti riduce la produzione di una proteina del cervello nota come fattore neurotrofico cerebrale (BDNF). Senza il BDNF il cervello non può formare nuovi ricordi e abbiamo forti difficoltà ad apprendere (e a ricordare). Chi ha un metabolismo glucidico compromesso, come i diabetici e chi è in fase di pre-diabete, presenta livelli particolarmente bassi di BDNF e, al diminuire del BDNF, il sistema metabolico di controllo dell'utilizzo degli zuccheri rallenta ulteriormente. Detto in altre parole, l'assunzione cronica di zuccheri aggiunti induce una riduzione del BDNF, e l'abbassamento dei livelli di questa sostanza neurochimica con tribuisce all' insulinoresistenza, che è il preludio del diabete di tipo 2 e della sindrome metabolica, i quali alla fine sfociano in tutta un'altra serie di patologie. Una volta accaduto questo, il nostro cervello e il nostro organismo sono entrati in un circolo vizioso distruttivo dal quale è difficile, se non impossibile, tornare indietro.

Gli scienziati hanno inoltre trovato una correlazione fra bassi livelli di BDNF e depressione e demenza. È possibile che i bassi livelli di BDNF alla fine si rivelino essere la pistola fumante in queste e in altre patologie, come l'Alzheimer, che negli studi epidemiologici tendono a comparire in cluster. Sulla questione sono in corso altri studi, ma ciò che sembra comunque evidente è che un ridotto livello di BDNF rappresenta un fattore negativo per il nostro cervello, e che uno dei maggiori responsabili dell'inibizione di questa sostanza è il consumo abituale di zuccheri.

Altre ricerche si sono focalizzate sul ruolo degli zuccheri nella sovralimentazione. A livello intuitivo si sa che esiste un legame tra zuccheri e obesità, ma la ragione precisa di questo legame è stata compresa esaustivamente solo di recente. Gli studi hanno evidenziato che il consumo cronico di zuccheri aggiunti inibisce il meccanismo cerebrale che regola la sazietà, il quale consiste nel ridurre l'attività anoressizzante del sistema ossitocinergico, che è quel sistema che ci dà il segnale di stop per impedirci di abbuffarci troppo. Quando le cellule del cervello che producono ossitocina sono indebolite da un consumo eccessivo di zuccheri, il «semaforo» non funziona più correttamente ed ecco che si comincia a chiedere un secondo e un terzo piatto e a spiluccare dal frigo a mezzanotte.

Ciò che emerge con forza da questi e da altri studi è che la maggior parte di noi si sta facendo del male con alimenti industriali arricchiti di zuccheri aggiunti, e i primi danni riguardano il cervello. Vista sotto questa luce, l'assunzione abituale di zuccheri aggiunti non è un problema meno grave del fumo o dell'alcolismo. E la verità più scomoda è che forse questi sono solo i primi effetti evidenti di cosa ci sta facendo questa continua valanga di zuccheri.

 

 

E se il nostro micio ospitasse un parassita che ci induce al suicidio?

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Uno studio condotto su oltre 45.000 donne, il più ampio nel suo genere, suggerisce un possibile legame tra la toxoplasmosi e casi di suicidi nella popolazione femminile. La toxoplasmosi, causata da un organismo parassita noto come Toxoplasma gondii, è spesso associata alla pulizia della lettiera dei miei, poiché spesso si trasmette per contatto con le feci del gatto (vale la pena notare, tuttavia, che l'infezione da Toxoplasma gondii si trasmette anche per contatto con carne o verdure crude contaminate; il contatto con le feci di gatto non è il solo mezzo di trasmissione).

Circa un terzo della popolazione mondiale ha contratto un'infezione da Toxoplasma gondii, che rimane silente nel cervello e nelle cellule dei muscoli senza mettere in allarme il sistema immunitario. Nella maggior parte dei casi l'organismo ospite non sviluppa i sintomi dell'infezione vera e propria, ma molti studi dimostrano che la presenza del Toxoplasma gondii può provocare patologie mentali, tra cui la schizofrenia e il disturbo bipolare, e persino un aumento del rischio di incidenti stradali.

Le ultime ricerche evidenziano per la prima volta un legame fra il Toxoplasma gondii e casi di suicidio in una grossa fetta di popolazione. Come afferma Teodor T. Postolache, il medico prima firma dell' articolo scientifico a cui mi riferisco e fra i più grandi esperti di quel ramo della neuroimmunologia che studia il comportamento suicidiario, «non possiamo affermare con certezza che sia stato il parassita della toxoplasmosi a provocare i tentativi di suicidio in queste donne, ma abbiamo riscontrato un legame di tipo predittivo tra l'infezione ed episodi successivi di tentato suicidio che merita di essere approfondito con altri studi. È nostra intenzione proseguire le ricerche per indagare su questa potenziale correlazione».

Postolache e i suoi colleghi hanno esaminato i dati provenienti da un campione di 45.788 donne danesi che avevano partorito fra il 15 maggio 1992 e il 15 gennaio 1995 e i cui bambini erano stati sottoposti a screening per rilevare la presenza di anticorpi contro l'infezione da Toxoplasma gondii. Poiché i neonati non producono anticorpi al Toxoplasma gondii nei primi tre mesi di vita, la positività al test significava che la mamma era infetta.

Esaminando i registri sanitari della Danimarca, l'équipe di ricercatori ha controllato se qualcuna di quelle donne avesse successivamente tentato il suicidio, comprendendo casi di tentato suicidio con metodi violenti, con uso di armi da fuoco, strumenti taglienti o gettandosi da grandi altezze. Gli studiosi hanno poi incrociato questi dati con quelli provenienti dal Danish Psychiatric Central Research Register per vedere se a queste donne fosse mai stata fatta una diagnosi di malattia mentale.

Lo studio ha evidenziato che le donne positive all'infezione da Toxoplasma gondii avevano probabilità 1,5 volte maggiori di tentare il suicidio rispetto a quelle che non erano mai entrate in contatto con l'organismo parassita, e il rischio aumentava all'aumentare della concentrazione di anticorpi presenti nel sangue. I casi di suicidio correlati a un forte tasso di immunoglobuline nel sangue erano anche quelli commessi con metodi più violenti. Prove di episodi precedenti di patologia mentale non influenzavano significativamente i dati emersi dallo studio. Il Toxoplasma gondii è stato anche messo in correlazione con comportamenti, per cosi dire, suicidiari fra i roditori: da studi precedenti è emerso che nei ratti infettati dal Toxoplasma gondii si assiste a un calo della risposta di allarme quando vengono esposti all'odore dei gatti, il che fa si che siano più propensi ad avventurarsi nel territorio che un gatto ha segnato con le sue urine. Quando poi mangia il topo, il gatto ingerisce anche il parassita, che nell'intestino del felino trova un posto ideale dove insediarsi.

Lo studio condotto da Postolache e dalla sua équipe presenta alcuni limiti, fra i quali uno di non poco conto, cioè il fatto di non riuscire a determinare una causa specifica per il comportamento suicidiario. «Forse l'infezione da Toxoplasma gondii non è un evento casuale, e si può anche immaginare che i risultati emersi dal nostro studio possano avere una spiegazione alternativa, ossia che gli individui con problemi psichiatrici siano più a rischio di contrarre l'infezione da Toxoplasma gondii prima ancora di entrare in contatto con le strutture sanitarie», specifica il dottor Postolache.

Se non altro, i risultati emersi da questo studio dovrebbero stimolare in futuro nuove ricerche per capire una volta per tutte se è vero che i parassiti di cui i nostri gatti sono gli organismi ospite preferiti si divertono a mandare in tilt il nostro cervello.

 

 

Alla larga dagli antiacidi pericolosi: usiamo il rimedio della nonna.

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Nella cura del bruciore di stomaco in genere si ricorre a farmaci antiacidi, come bicarbonato di sodio o prodotti a base di sali di magnesio e alluminio. In alternativa si usano i cosiddetti alginati o i farmaci che combinano acido ialuronico e condroitin solfato, che proteggono in modo meccanico lo stomaco dall’acido e ne impediscono il reflusso in esofago. Se i disturbi sono ricorrenti o cronici si ricorre a farmaci che inibiscono la secrezione acida (i cosiddetti PPI o inibitori della pompa protonica).

Alcuni di questi prodotti, però, sono veramente pericolosi per la salute.

L'alluminio è una neurotossina capace di danneggiare il cervello. Produce nel cervello dei ratti danni identici a quelli dell'Alzheimer. Il contenuto di alluminio nei cervelli di malati di Alzheimer è da dieci a trenta volte superiore che negli adulti non affetti da demenza. Il medico americano Isadore Rosenfeld conosce ricercatori che sono stati così impressionati da questi risultati delle loro ricerche che hanno bandito qualsiasi contatto con l'alluminio, non usano antiacidi né deodoranti contenenti alluminio e hanno tolto tutti gli utensili da cucina in alluminio.

Purtroppo l'alluminio è utilizzato in molti antiacidi in commercio, come ad esempio il Riopan.

Emanuele Djalma Vitali, professore di nutrizione umana dell'Università di Roma consigliava, qualche anno or sono, di tenere in casa del bicarbonato alimentare e di prenderne all'occorrenza qualche cucchiaino eventualmente con un po' di succo di limone. Non esiste un antiacido che abbia effetti superiori a questo rimedio tradizionale. Non spendete i vostri soldi per Riopan o Maalox, e buona digestione.

E considerate la possibilità di fare il test sulla celiachia per vedere se i vostri disturbi digestivi derivano da una allergia al glutine non diagnosticata.

Altri consigli utili per prevenire e attenuare il dolore sono: non fumare, limitare il consumo di bevande contenenti caffeina (caffè, tè, cola); ridurre l’assunzione di cibi ad alto contenuto acido (agrumi, aceto, pomodori, menta, liquirizia, cioccolato); evitare di usare troppe spezie (soprattutto pepe e peperoncino).

Ecco, di seguito, un elenco di possibili cause del bruciore di stomaco.

Reflusso gastroesofageo

È causato dalla risalita di materiale acido proveniente dallo stomaco nell’esofago, dove esercita un’azione irritante. Il bruciore di solito appare subito dopo il pasto. Altri possibili sintomi sono il rigurgito acido e un senso di digestione lenta e faticosa.

Dispepsia

È un disturbo funzionale legato a cattiva alimentazione, ansia, stress e tensioni. Il bruciore di stomaco di solito compare poco dopo il pasto. Altri sintomi possibili sono la digestione lenta e la pancia gonfia.

Gastrite da farmaci

È legata all’uso eccessivo di antidolorifici e antinfiammatori non steroidei, compresa la cardioaspirina, utilizzata nella prevenzione cardiovascolare. Il brucione compare 1-2 ore dopo il pasto. Se con il passare del tempo si avverte un dolore trafittivo, potrebbe essere spia di un’ulcera.

Infezione con Helicobacter Pylori

L’infezione con questo batterio favorisce lo sviluppo di gastrite (l’infiammazione della mucosa dello stomaco), ulcera gastrica e ulcera duodenale. In caso di gastrite in genere il bruciore compare 1-2 ore dopo il pasto, mentre in caso di ulcera4-5 ore dopo il pasto. Può essere presente un dolore di tipo trafittivo, come una pugnalata, appena sotto lo sterno.

La diagnosi

Se il bruciore è occasionale non occorrono particolari accertamenti, ma se persiste e non migliora con i farmaci può essere utile eseguire la ricerca dell’Helicobacter pylori, con il test del respiro o un esame sulle feci, e la gastroscopia.

 

 

Iperico contro la depressione? Ma stiamo attenti agli occhi.

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L'iperico è una pianta che ha una cattiva fama tra gli allevatori di bestiame in libertà, perché può provocare danni anche gravi agli occhi delle bestie che lo ingeriscono.

 

 

Un medicinale da portare sempre con sé, che vi salva la vita nel 60% dei casi di attacco cardiaco.

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E' molto strano, ma non di rado il cardiologo si scorda di consigliare al paziente cardiopatico una delle misure più efficaci per salvargli la vita in caso di attacco improvviso: tenere presso di sé dell'acido nitrico, che è un potentissimo vasodilatatore delle coronarie, e perdipiù agisce in pochi secondi, consentendo l'arrivo dei soccorsi. Nella formulazione commerciale (col nome di Trinitrina) si tratta di nitroglicerina in compresse.

 

 

Sgranocchiate le arachidi intere ma state alla larga dal burro di arachidi di qualità scadente: l’aflatossina è in agguato, e può contaminare anche mais, granaglie, soia, caffè, latte, e altri semi oleosi il cui processo di coltura, raccolta, stoccaggio e conservazione non sono stati effettuati correttamente.

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L'aflatossina è una tossina prodotta da un fungo che infesta tra gli altri alimenti le arachidi. Vi siete mai chiesti perché pressoché tutte le arachidi sono tostate? Perché queste piante sono infestate da muffe e funghi e la tostatura è necessaria per inattivarli. Ma la parte più deteriorata del raccolto contiene una quantità tale di muffe, tossine e batteri che questa passa nei prodotti alimentari. E per produrre il burro di arachidi si usano proprio quelle di qualità più bassa, le più ammuffite, mentre quelle di qualità migliore vanno a riempire i barattoli di noccioline.

L'aflatossina è considerata la sostanza carcinogena più potente sinora scoperta. Provoca in particolare il cancro al fegato. E' talmente potente che nei laboratori la si somministra ai ratti che si vuol far ammalare di cancro al fegato. In brevissimo tempo tutti gli animali sviluppano il tumore.

Nelle Filippine si è cercata per decenni la causa di una epidemia di tumore al fegato che colpiva in particolare i bambini. La causa era proprio l'aflatossina annidata nel burro di arachidi, che ne conteneva una quantità trecento volte superiore a quella ritenuta pericolosa. I barattoli di arachidi intere, invece, avevano livelli di aflatossina trascurabili, comparabili con i prodotti occidentali.

Prodotta da una specie di funghi (Aspergillus) e da alcune muffe, l’aflatossina viene per questo chiamata anche «micotossina». Il mais, le granaglie, la soia, il caffè, il latte, alcuni semi oleosi e altri alimenti possono essere contaminati da questa tossina che purtroppo è in grado di provocare gravissime mutazioni cellulari con conseguente sviluppo di tumore. Il fegato è l’organo maggiormente danneggiato, con un’intossicazione cronica irreversibile, cirrosi, perdita della funzionalità e, in caso di tumore, con un alto rischio di morte per la persona. Il danno da aflatossina non riguarda però solo il fegato: alcuni studi mettono in luce il rischio anche per seno e prostata (insorgenza di tumori), morbo di Crohn, sclerosi multipla, aterosclerosi, infertilità.

In poche parole, l’aflatossina può essere dannosa o addirittura mortale non solo per alcuni animali (come sanno bene agricoltori e allevatori) ma anche per l’uomo. Cosa fare, allora? Innanzitutto valutare bene quando si acquista il cibo, perché la contaminazione è tanto più probabile quanto peggiore è il processo di coltura, raccolta, stoccaggio e mantenimento dei prodotti. So che un discorso simile non piacerà ai fautori più integralisti del cibo biologico, a chi sceglie alimenti non controllati «perché niente è più genuino del cibo comprato nella fattoria che pochi conoscono», eppure solo verifiche rigorose e metodi di coltura e conservazione comprovati, con procedure di alto livello, offrono garanzie sulla qualità e sul basso rischio di intossicazione. Anche il prezzo può aiutare a orientarci verso la sicurezza: è triste da dire in tempo di crisi, ma un prezzo troppo basso deve fare sospettare trattamenti nella coltura e nella conservazione eccessivamente economici e quindi poco sicuri.

L’aumento del numero di tumori al fegato, malattia di per sé gravissima, in alcuni periodi e in determinate zone geografiche è stato spiegato con la contaminazione da aflatossina, per esempio, nel mais.

 

 

Il caffè fa male al cuore? Quali sono i danni del caffè?

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La caffeina provoca una vasocostrizione, che interessa anche le coronarie, quindi il cuore potrebbe essere meno irrorato. Ma fino a cinque caffè al giorno non dovrebbero esistere effetti negativi.

Comunque, di solito il corpo ci manda segnali di avvertimento per tempo: se si sente anche un minimo dolorino al petto, soprattutto dopo aver bevuto caffè, è bene abolire subito il suo consumo.

Si dice che un altro danno del caffè è la decalcificazione, ma questa è una (quasi) bufala: la decalcificazione interessa chi consuma più di dieci caffè al giorno.

 

 

Devo mangiare uova da allevamenti a terra?

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In un recente libro (2014) il ricercatore Dario Bressanini cita studi di varie università che hanno prelevato dai supermercati cartoni di vari tipi di uova e li hanno confrontati. In realtà non c'è alcuna differenza tra le uova di galline allevate a terra e di quelle allevate in batteria. Anzi, pare addirittura che le prime siano meno fresche, perché, dato il maggiore costo, sono acquistate meno e quindi permangono per più tempo sugli scaffali.

Questo era prevedibile, perché “a terra” non vuol dire che le galline si nutrano di lombrichi, erbe e chicchi di piante selvatiche, tutti alimenti ricchi di omega 3, che potevano veramente fare la differenza tra un uovo di fattoria e un uovo di allevamento industriale. Perché questo avvenga in un allevamento a terra occorrerebbe disporre di uno spazio immenso dove far razzolare le centinaia o migliaia di galline ovaiole, cosa di cui non dispone alcuna azienda che rifornisce la grande distribuzione. In larga parte, quindi, l’alimentazione è costituita dagli stessi mangimi. Non fa nessuna differenza poi, per la composizione chimica dell’uovo, che certi produttori dichiarino i mangimi “biologici”, perché i controlli delle autorità sulle uova e i mangimi impediscono che vi si possano trovare residui tossici di qualche rilevanza.

Se volete, potete invece provare le uova arricchite con omega 3, prodotte da galline che hanno mangiato semi ricchi di questo prezioso grasso polinsaturo, come semi di lino o di colza. Le raccomanda una studiosa del calibro di Artemis Simopoulos, scienziata di fama mondiale, uno dei massimi esperti della dieta mediterranea, autrice del libro divulgativo The Omega Diet. Vedi in proposito, in questo documento l’articolo “Uova arricchite con omega-3: fanno bene?”.

 

 

Esiste un semplice elenco di consigli per dimagrire e rimanere magri?

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La prima cosa che una persona con un problema di sovrappeso fa è intraprendere una dieta dimagrante, e la seconda cosa è instaurare un regime di mantenimento per rimanere col peso giusto.

questo e’ assolutamente sbagliato. occorre invertire l’ordine: prima si deve apprendere un regime di mantenimento, e solo dopo si deve intraprendere il dimagrimento.

Dimagrire utilizzando mezzi eccezionali per un tempo limitato è sin troppo facile: tutti, più o meno, sono in grado di rinunciare all’amato piatto di pasta e al dolce a colazione o a fine pasto per un mese, o due, o tre, magari sotto la minaccia della moglie o del medico. E quale che sia il sistema adottato, anche se drastico e squilibrato nutrizionalmente, la salute con tutta probabilità non ne risentirà, perché il nostro organismo è perfettamente adattato a temporanee deficienze nel regime alimentare.

I guai arrivano quando si tratta di mantenere il peso così conquistato. Tutti i dietologi concordano sul fatto che il 90% dei tentativi naufragano proprio qui, e la ragione è semplice: è facile mutare le proprie abitudini alimentari per qualche mese, mentre è molto più difficile e complicato mutarle stabilmente. Non si tratta solo di cambiare abitudini, ma anche di individuare quelle giuste, il che richiede una attività di informazione e di studio, un lavoro per tentativi insieme al proprio nutrizionista che il soggetto medio non ha normalmente tempo o voglia di fare. Tutti sono capaci di entrare in una farmacia ed acquistare una confezione di barrette dietetiche. Ben altra musica è stabilire un menu giornaliero caloricamente ridotto per il resto della propria vita.

la prima cosa che dovete fare e’ fissare e rispettare un limite di peso, magari qualche chilo al disotto di quello attuale, e stabilizzare l’introito calorico giornaliero ad un livello inferiore del 20-30% rispetto a quello a cui siete abituati.

dovete imparare a mangiare in modo diverso, sostituendo agli alimenti piu calorici e meno nutrienti quelli meno calorici e piu’ nutrienti, ed inserendo nella giornata una adeguata quantita’ di attivita’ fisica.

solo quando avrete cambiato definitivamente le vostre abitudini e sarete in grado di rispettare un limite di peso, potrete intraprendere un percorso di dimagrimento con ragionevoli speranze di successo.

Tra l’altro questa strategia ha il vantaggio di non generare ansia: per il momento limitatevi a ritoccare la vostra dieta senza sforzi eroici e a cercare semplicemente di mantenere il peso attuale. Per i sacrifici che vi spaventano tanto ci sarà tempo in seguito. Nessuno corre la maratona dall’oggi al domani, e voi dovete prepararvi ed informarvi.

Dovete inizialmente leggere questo articolo selezionando i consigli sulle corrette abitudini alimentari piuttosto che quelli per dimagrire effettivamente, che metterete in pratica solo in seguito.

Dunque, il primo passo è stabilire un limite. Non c'è alcuna fretta di dimagrire, perché il nostro corpo ha un meccanismo di omeostasi per cui mantiene un peso costante anche se mangiamo di più di quanto ci necessita. Questo meccanismo si guasta con l'età, e il nostro peso aumenta, di qualche etto l'anno a partire dagli "anta", ma è assolutamente graduale. Quindi il primo sforzo è quello di bloccare l'aumento di peso, per poi avere tutto il tempo di dimagrire. Qui dovete essere molto rigidi: quando avete superato di un chilo il limite, dovete saltare dei pasti o assumere pasti sostitutivi fino a che non siete rientrati nel limite.

Il modo più veloce di dimagrire non è facendo (molta) attività fisica, ma è non mangiare.

Il fabbisogno calorico di una donna che non svolge un lavoro pesante è 1800-2000 calorie; quello di un uomo 2200-2500 calorie. In una dieta si può arrivare per diversi giorni a 800-1300 calorie, sia per la donna che per l'uomo.

Questo è il modo più veloce di dimagrire.

La matematica del dimagrimento è semplice: quando non mangi o fai attività fisica il corpo elimina prima le riserve di grasso. Un grammo di grasso contiene 9 calorie. Per eliminare quindi un chilo di peso (1000 grammi di grasso) bisogna "tagliare" (mangiando meno o digiunando) o "bruciare" (con l'attività fisica) 9000 calorie.

Il metabolismo basale di una persona, cioè le calorie che consuma il corpo di una persona immobile e seduta in 24 ore sono 1000-1200 calorie.

Un'ora di attività fisica intensa sottrae al massimo 700 calorie (nuoto).

Pertanto, in teoria, per smaltire un chilo occorrono 9 giorni di digiuno o 20 ore di bicicletta.

In realtà l'esperienza mostra che il calo è più rapido, sia con lo sport che con il digiuno: ad esempio, occorrono 4 giorni di digiuno al massimo per smaltire il primo chilo, e nel prosieguo ne occorreranno solo tre. Non è molto "matematico" ma è così. Lo stesso vale per l'attività fisica.

L'individuo "normale" assume giornalmente troppo cibo. Il risultato è che il nostro apparato digerente è in perenne fase digestiva, e noi iniziamo il nuovo pasto in stato di semi-sazietà. Questo ha la conseguenza che privilegiamo i cibi che sono più gustosi (e calorici, perché gusto per gli esseri umani è legato a grasso o zucchero), perché gli altri non ci attirano, e quindi assumiamo molte più calorie, snobbando il cibo meno calorico ma meno gustoso, come verdure crude, frutta ecc.

Occorre indurre uno stato di fame moderata fino a quando non si trova che il cibo che prima ci lasciava indifferenti ci appare appetitoso. A questo punto saremo in grado di saziarci con una patata bollita o con un pezzetto di mela.

I pasti ipocalorici, da assumere in sostituzione dei pasti normali aiutano a tenere sotto controllo la quantità di calorie, perché il loro apporto è quantificato.

Si tratta di soluzioni liofilizzate di proteine, carboidrati, vitamine e minerali, con un basso contenuto di grassi e talvolta con l'aggiunta di fibre, in grado di fornire all'organismo una dose appropriata e controllata di calorie.

L'unico inconveniente è che l'intestino rimane privo di fibra e di massa, e si può arrivare alla stitichezza. Occorre quindi assumere anche fibre o scegliere i pasti sostitutivi che dichiarano nella etichetta una adeguata quantità di fibra come ingredienti.

Questo è il trattamento che per la sua efficacia è adottato dalle cliniche che si occupano dei casi di obesità più gravi. Il programma Optifast prevede una prima fase di tre mesi, nel corso dei quali il paziente non può assumere altro che la porzione da 80 calorie  cinque volte al giorno, perdendo fino a cinque chili la settimana. Segue una fase intermedia, in cui pasti leggeri (insalate, carne magra) prendono gradualmente il posto delleproteine liquide, e infine il ritorno alla normalità. Nelle cliniche questi trattamenti vengono eseguiti sotto il diretto controllo dei sanitari, che verificano giorno per giorno la pressione sanguigna, la funzionalità cardiaca, il contenuto delle urine, i livelli di potassio e di elettroliti.

Nulla vieta, anche durante una restrizione calorica particolarmente intensa (solo 300-500 calorie al giorno), di assumere, insieme alle barrette dietetiche anche alimenti come tuorlo d’uovo (crudo), che apporta molte vitamine e micronutrienti, albume d’uovo (ben cotto) che costisce una fonte perfetta di proteine, cacao magro in polvere, che è ricco di proteine (10,7 g ogni etto), e di minerali come magnesio, potassio, calcio, fosforo.

Gli studi più recenti mostrano che assumere fino a tre uova intere al giorno non produce alcun danno al vostro cuore.

Assumete molta acqua. La mancanza di acqua può provocare un senso di fame, perché il corpo vi spinge a mangiare alimenti per sfruttare la loro acqua. Inoltre, l’acqua gonfia tutti gli alimenti che ingerite, provocando più velocemente un senso di sazietà.

Aggiungete un bicchiere d’acqua o di the a qualsiasi cosa mangiate: uno snack, dei cracker, persino a una mela.

Assumete per tutto il tempo della dieta o del digiuno integratori vitaminici, perché anche la mancanza di vitamine provoca fame

Utilizzate liberamente bibite acaloriche come Diet Coke per attenuare il senso di fame.

Utilizzate la polvere proteica. L'utilizzo di polvere proteica in sostituzione di almeno un pasto giornaliero è un programma un po' drastico, che andrebbe monitorato da un medico, ma che può far perdere fino a cinque chili la settimana. In farmacia e nei negozi di integratori sono in vendita confezioni di proteine in polvere aromatizzate, che si possono shackerare nel latte magro per ottenere un ottimo pasto mattutino o pomeridiano o anche sostituire il pranzo. Le migliori sono le proteine estratte dal siero del latte. Evitate le proteine della soja perché sono incomplete e possono dare allergia e mal di testa.

Sia che utilizziate proteine in polvere che pasti sostitutivi che una dieta iperproteica ricordate che dovete bere moltissimo, perché la digestione delle proteine altrimenti può danneggiare i reni.

Mangiate gli alimenti più ricchi di fibre, per aumentate la quantità di fibre nella dieta. Dovreste assumere almeno 30 grammi al giorno, di fibre, che potreste portare a 70. Le fibre ritardano il transito intestinale, generando un maggiore senso di sazietà e in una certa misura inibiscono l’assorbimento di nutrienti calorici come i grassi.

I falsi-magri: ecco una lista di alimenti che non sono magri:

Mozzarella (ha il 18% di grasso, contro il 5% o meno dei fiocchi di latte, il 4% dello yoghurt intero e l'1% dello yoghurt magro

Prosciutto, cotto o crudo: ha troppi grassi visibili e invisibili (nelle fibre della carne rossa)

Scaricate da internet una tabella col valore calorico degli alimenti e imparate le calorie di quelli che mangate più frequentemente.

Molti avvisi pubblicitari ed "esperti" consigliano di assumere sostanze che aumentino il metabolismo, perché così si bruciano più velocemente i grassi. Così, bisognerebbe fare consistente attività fisica durante il dimagrimento, in modo che il metabolismo rimanga alto e il peso diminuisca più velocemente. In realtà il metabolismo varia di ben poco, e non è consigliabile intraprendere un'attività fisica importante durante una seria cura dimagrante, perché si aggiunge stress (quello dell'attività fisica) a stress (quello del dimagrimento).

 Imparate a fare il calcolo delle calorie totali giornaliere

Procuratevi una app per telefonino o pc che calcoli le calorie immettendo tipo e grammi di alimento. In questo sito learningsources esiste un foglio elettronico che può fare questi calcoli (clicca qui).

Sostituite gli alimenti meno calorici a quelli più calorici. Ecco alcuni esempi:

pasta (250 cal.) fagioli (95 cal.)

pasta (250) gnocchi (150 cal.)

pasta (250) patate (80)

latte intero (70 cal) latte scremato (35)

tonno all'olio di oliva (213 cal) tonno al naturale (95 cal)

yoghurt intero (64 cal) yoghurt magro (40 cal)

pane bianco (280 cal) pane di segale (194 cal)

mozzarella (224 cal) fiocchi di latte (128 cal)

mozzarella (224 cal) yoghurt magro (40 cal)

prosciutto (434 cal) bresaola (164 cal)

Dosate tutti i grassi e gli oli con un dosatore, non versarli liberamente. Un cucchiaino da cucina sarà sufficiente come misurino, sia per il burro che per l'olio. Cercate di non utilizzare non più di un certo numero di cucchiaini alla volta.

Se potete (ad esempio vivete solo) è assolutamente necessario svuotate completamente il vostro frigorifero e la vostra dispensa di qualsiasi alimento non previsto dalla vostra dieta, la cui quantità non dovrà superare le necessità di uno-due giorni (salvo che le confezioni siano più grandi). Ripetiamo che questa è una delle condizioni più imortanti del successo della vostra dieta.

La pasta e il pane sono da evitare il più possibile, almeno nel periodo di dimagrimento, forse più dei grassi.

questo e’ un consiglio importante. non date ascolto a chi vi dice che “pasta e pane sono importanti per l’organismo, che ha bisogno di carboidrati per funzionare correttamente”.

i medici dei nostri nonni, fino agli anni ’60 sapevano invece benissimo che pasta e pane sono responsabili all’80% dell’obesità (anche di quella dei neonati nutriti con troppi farinacei), e questi erano la prima cosa che raccomandavano di evitare durante una dieta dimagrante.

quanto ai carboidrati, ci sono altre fonti: tutti i vegetali ne contengono in quantità più o meno grande: una semplice passata di verdure contiene tutti i carboidrati di cui avete bisogno ad un pasto, durante la vostra dieta. anche lo yoghurt magro contiene lattosio, che è uno zucchero (carboidrato).

La dimenticanza di questo semplice precetto da parte della classe medica e l’esclusiva focalizzazione sui grassi, anche per ragioni di salute cardiovascolare, e’ stata probabilmente una delle cause dell’epidemia di obesità che ha colpito i paesi occidentali nel secondo dopoguerra

Se proprio non volete abolirli, il pane e la pasta andrebbero sostituiti con dosi controllate e ridotte: assumete il pane sempre nella forma di crackers magri (ottimi i “Magretti” della Galbusera) e in nessun’altra forma e in modo moderato. Questo vi consente di controllare perfettamente l’assunzione di pane giornaliera limitandola a qualche centinaio di calorie al massimo, contro le 500-600 calorie che rappresentano pane e pasta in una dieta normale.

Il pane di frumento può essere vantaggiosamente sostituito dal pane di segale (non quello della panetteria, ma quello venduto in confezioni di fette quadrate già tagliate nei supermercati: ottimo quello prodotto dalla Loacker), che è ricchissimo di fibra, molto più saziante, ed apporta molte meno calorie (194 contro 280).

la pasta andrebbe abolita del tutto. Se proprio volete mangiarla, dovete rinunciare ai sughi e cucinare poca pasta (massimo 40 grammi) con tantissime verdure: ottima la pasta con le melanzane stufate con semplice olio di oliva nel forno a microonde.

sostituire invece il pane di farina bianca di frumento con il pane di farina integrale di frumento non apporta alcun beneficio per il dimagrimento: le calorie addirittura aumentano, perché nella crusca di frumento è contenuta la parte oleosa del seme (il germe), che ne aumenta il valore calorico.

I sughi vanno assolutamente aboliti a favore del semplice olio di oliva.

Sostituite gli zuccheri semplici con gli zuccheri complessi: meglio una patata (che contiene amidi, che sono zuccheri complessi) che una banana (che contiene lo zucchero semplice fruttosio).

Evitate come la peste bevande zuccherate, lo zucchero della zuccheriera, le cioccolate non fondenti e tutto ciò che contiene glucosio o saccarosio. Evitate la frutta eccessivamente dolce, come le banane molto mature.

L'attività sportiva aiuta a mantenere sotto controllo il peso, una volta che siete calati, ma non è la via migliore per perdere peso. Pensate che una maratona di 40 chilometri vi fa perdere solo 1500-200 calorie, cioè all'incirca 222 grammi di massa grassa. Avreste ottenuto praticamente lo stesso effetto stando tranquillamente seduto a casa a guardare la televisione e a digiunare bevendo tisane.

La dieta dimagrante è iperproteica: meno pasta, pane, fagioli e farinacei e più carne, pesce, latticini magri, affettati magri.

Una proteina ha lo stesso numero di calorie di un carboidrato (4 calorie) ma viene assimilata più lentamente. I carboidrati invece, nel sangue, provocano un picco di insulina che li trasforma quasi subito in grasso di riserva. Questo è il segreto dei dietologi e della dieta Dukan.

Inoltre, recenti studi scientifici hanno provato che una dieta iperproteica induce gli adipociti (le cellule che contengono il grasso corporeo) a rilasciare la loro provvista di trigliceridi, e quindi diminuendo il nostro adipe.

Se volete avere un elenco completo delle proteine da sostituire ai carboidrati, acquistate un libro che illustri la dieta Dukan: contiene l'elenco completo delle carni, del pesce ecc. permessi.

Utilizzate molta verdura, cotta e cruda. La verdura è quasi a "calorie zero". 100 grammi di verdure hanno sempre un valore calorico intorno alle 25 calorie

Un minestrone o un passato di verdura Knorr hanno pochissime calorie (25 calorie) e sono molto sazianti.

uno dei trucchi più importanti per dimagrire è quello di assumere un po’ di dolce (pezzetti di cioccolata, barrette dietetiche, una caramella dura alla frutta) insieme a tantissimo the. anche grazie alla caffeina (teina) del the, rimarrete saziati per ore.

Le tisane, il the, con un pezzetto di cioccolato o un pezzo di biscotto sono un ottimo ausilio per combattere il senso di fame. Una tazza di the con un dito di latte scremato (al limite anche intero) sazia per un'ora.

Consultate, sul sito www.learningsources.altervista.org la tabella delle proteine più magre. Avrete delle sorprese.

Tanto per fare un esempio: 33 grammi di proteine provenienti dalla bresaola “pesano” caloricamente 164 calorie, mentre 33 grammi di proteine provenienti dal prosciutto “pesano” ben 629 calorie!

Mangiate dosi controllate di alimenti

Barrette dietetiche, confezioni di crackers, cucchiaini per dosare l’olio, vasetti di omogeneizzati di carne anziché bistecche, sono tutti mezzi per sostituire ad un consumo incontrollato un consumo controllato e moderato.

Evitate il picco glicemico

Se il vostro pasto eccede le 500 calorie la glicemia nel sangue aumenta al punto da far intervenire il pancreas con la secrezione di insulina, che “spazza via” tutti gli zuccheri. Purtroppo, il pancreas in questi casi diventa iperreattivo e secerne un surplus di insulina, che spazza via tutti gli zuccheri, lasciandovi dopo poco tempo (un’ora al massimo) con un rinnovato senso di fame dovuto ad ipoglicemia.

Evitate di fare un pasto sostanzioso prima di andare a dormire. Se proprio volete mangiare, evitate la pasta e privilegiate le proteine magre

L’inattività del sonno fa sì che per diverse ore il glucosio circoli nel sangue e non venga consumato e alla fine l’organismo lo trasformerà tutto in grasso

State attenti all'indice glicemico

L’indice glicemico (IG), in inglese glicemic index (GI), di un alimento è espresso in percentuale e indica la velocità con cui aumenta la glicemia in seguito all’assunzione di un quantitativo dell’alimento stesso contenente 50 grammi di carboidrati. Si misura l’andamento della glicemia dal momento dell’ingestione fino a due ore dopo. Il parametro di riferimento è la reazione della glicemia all’assunzione di pane bianco o glucosio (valore 100). Alimenti con indice glicemico superiore a 50 sono ritenuti «pericolosi» per la glicemia e l’aumento di peso.

Quando si cerca di perdere peso diventa essenziale evitare i cibi che hanno un alto indice glicemico e consumare invece cibi a basso indice glicemico

Alcuni anni fa i medici bandivano severamente i carboidrati dalla dieta dei diabetici, col risultato che dovevano far fronte al ridotto apporto di calorie con una dieta ad alto contenuto di grassi.

 

Albicocca

32

Kiwi

55

Patate bollite

51

Uva passa

64

Ananas

68

Latte scremato

33

Patate stufate

84

Yoghurt magro

33

Arancia

44

Mela

38

Pere

37

Yoghurt magro

con aspartame

15

Banana

60

Miele

80

Pesche

43

Yoghurt magro

con fruttosio

34

Carote

80

Pane bianco

65

Pomodori

38

 

Fagioli

31

Pane integrale

75

Pop-corn con pochi grassi

55

Farina d'avena

42

Pasta fresca

32

Riso basmati

58

Fibre integrali

43

Pasta secca

41

Uva

50

 

Ricordate che più un cereale è ricco di fibre e non raffinato, minore è l’indice glicemico. L’avena è il cereale con l’indice glicemico minore, data la sua alta quantità di fibre: 11% (ma sfortunatamente è il cereale più grasso: la farina di avena ha 385 calorie per etto, contro le 341 della farina raffinata di frumento!).

La concomitante assunzione di grassi, proteine, fibre, abbassa l'indice glicemico: il latte intero ha un IG minore del latte scremato. Un panino farcito con verdura ha un IG inferiore di un panino di solo pane e affettato.

Il grasso, come la fibra, agisce in modo simile a una sorta di freno durante il processo digestivo: quando si combina con altri cibi diventa un abarriera per i succhi gastrici. Inoltre dà un senso di sazietà, togliendo il desiderio di altri cibi.

Mantenendo basso il livello di insulina si contrasta la trasformazione degli zuccheri in grassi e si promuove contemporaneamente la trasformazione dei grassi in energia.

Per abbassare l'IG cerchiamo di consumare alimenti proteici in ogni pasto o spuntino

Consultate le tabelle delle calorie bruciate con i vari tipi di attività fisica e scegliete quella migliore per voi

 

GINNASTICA E ATTIVITA’ SVOLTE IN CASA (30 MINUTI)

 

Adulto del

peso

di 60 kg

Adulto del

peso

di 60 kg

Adulto del

peso

di 60 kg

Fare giardinaggio

140

173

216

Fare le pulizie domestiche

109

134

168

Giocare con i bambini

156

192

240

Praticare una moderata attività sessuale

47

58

72

Rastrellare il prato

125

154

192

Spaccare la legna

187

230

288

Spalare la neve

187

230

288

 

ATTIVITA' ALL'APERTO O IN PALESTRA (30 MINUTI)

 

adulto del peso

di 60 kg

adulto del peso

di 70 kg

adulto del peso

di 90 kg

Arrampicata su roccia (discesa)

250

307

384

Arrampicata su roccia (salita)

343

422

528

Arti marziali

312

384

480

Beach-volley

250

307

384

Bicicletta (circa 20 km/h)

250

307

384

Bicicletta (circa 25 km/h)

312

384

480

Bicicletta (mountain bike)

265

326

408

Boxe (allenamento)

281

346

432

Calcio (una partita)

281

346

432

Calcio (palleggi)

250

307

384

Camminata (circa 6 km/h)

125

154

192

Camminata (circa 7 km/h)

156

192

240

Camminata con jogging per più di 10 minuti

187

230

288

Canottaggio

156

192

240

Corsa campestre

281

346

432

Corsa (circa 8 km/h)

250

307

384

Corsa (circa 12 km/h)

390

480

600

Corsa (circa 16 km/h)

515

634

792

Equitazione

125

154

192

Frisbee

94

115

144

Ginnastica (in generale)

125

154

192

Golf

172

211

264

Nuoto

187

230

288

Palla a mano (in generale)

374

461

576

Pallacanestro (una partita)

250

307

384

Pallanuoto

312

384

480

Pallavolo (agonistica

125

154

192

Pallavolo (non agonistica)

94

115

144

Passeggiata in montagna

187

230

288

Passeggiare con le racchette da neve

250

307

384

Pattinaggio a rotelle

218

269

336

Pattinaggio su ghiaccio

218

269

336

Salto della corda

312

384

480

Sci alpino

187

230

288

Sci di fondo

250

307

384

Sci nautico

187

230

288

Squash

312

384

480

Squash per dilettanti

218

269

336

Tennis

218

269

336

 

 

Esiste un buon blog di dietologia su internet che potrei guardare ?

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Esiste l'ottimo blog di Dario Bressanini: Scienza in cucina

 

 

Cos'è che può danneggiare seriamente i denti, oltre gli zuccheri?

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Anche pasta e pane non rimossi dopo il pasto, essendo appiccicosi, si attaccano al colletto del dente ed essendo ricchi di glucidi (zuccheri) possono provocare carie

Il succo di limone scioglie lo smalto dei denti: dopo cinque minuti che mangiamo fettine di limone con zucchero (ghiottoneria che alcuni bambini prediligono) iniziano a formarsi delle micro-carie. In pratica il succo di limone scioglie i denti. Le nostre nonne, per preparare uno zabajone più ricostituente lasciavano sciogliere il guscio dell'uovo nel succo di limone, prima di togliere l'albume, lasciare il tuorlo e battere il tutto con l'aggiunta di zucchero.

L'acido ascorbico scioglie lo smalto dei denti. L'acido ascorbico è contenuto come conservante in molti cibi (es. carciofini sott'olio ecc.) ma in quegli alimenti non fa molto danno. Bisognerebbe però evitare di masticare a lungo le compresse di vitamine (es. di vitamina C) perché contengono acido ascorbico che può danneggiare a lungo andare i denti.

Il bruxismo non diagnosticato è la peggiore cosa che possa capitare ai vostri denti. E' il digrignamento dei denti, che inizia in tenera età e, se non diagnosticato e curato con l'applicazione di una placca la notte, può distruggere i denti nell'arco di una diecina d'anni. I genitori devono stare molto attenti. Non tutti i dentisti, per fretta e per non perdere tempo fanno finta di non vedere le "abrasioni masticatorie", cioè delle rigature dei denti che rivelano che il bambino, senza accorgersene, e soprattutto di notte, digrigna.

 

 

Devo stare attento a non acquistare cibi provenienti da organismi geneticamente modificati?

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E' molto raro che un OGM produca danno all'uomo. A parte pochi casi, nella stragrande maggioranza dei casi, non c'è nessuna dimostrazione che gli OGM abbiano prodotto un simile danno.

Il nostro organismo è molto più resistente di quel che sembra. Si tenga presente che tutta la frutta e la verdura ordinaria contengono delle tossine naturali destinate ad uccidere gli animali e gli insetti che mangiano una quantità eccessiva di quella pianta impedendone la riproduzione. La quantità di veleni naturali che con la nostra dieta ipercalorica introduciamo nell'organismo non è piccola. Si tenga presente che tutta la pasta che mangiamo, i pomodori, le melanzane, le patate, sono state geneticamente modificate tramite irradiazione con i raggi gamma già fin dagli anni '50 per produrre varietà più produttive e resistenti. Ma questo non ha arrecato alcun danno evidente al nostro organismo.

Per esempio, il grano duro utilizzato dalla Barilla (come da tutti gli altri produttori di pasta di migliore qualità) è il grano CresoTM, ottenuto irradiando con radiazioni nucleari (raggi gamma) il grano Senatore Cappelli, prodotto negli anni '30 da uno straordinario agronomo italiano, Nazareno Strampelli, incrociando ben 100 varietà di grano provenienti da tutto il mondo…

In Francia i consumatori mangiano tranquillamente patate e cipolle irradiate con i raggi gamma perché durino a lungo e non facciano germogli, senza alcun problema, perché, cessata la brevissima irradiazione, sparisce ogni traccia di radioattività.

 

 

Esiste un elenco di cibi per i quali c'è un rischio maggiore di inquinamento?

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Ecco alcune indicazioni solo esemplificative; un elenco completo non è qui fornito:

Fragole: crescendo a terra, dove sono attaccate continuamente da parassiti, richiedono una quantità enorme di antiparassitari per maturare senza danno

Peperoni: anche loro sono tra la verdura più inquinata dagli antiparassitari, anche se molto meno che le fragole

Tonno (vedi)

Cibi che provengono dal Terzo Mondo, dove spesso vengono utilizzati pesticidi banditi in Occidente, come ad esempio il DDT.

Mele, pesche, frutta e verdura nostrana o europea sono forse meglio di mele cilene o cinesi.

Prodotti in scatola: i metalli pesanti della banda stagnata possono finire nell'alimento

Le cioccolate di scarsa qualità o discount sono piene di additivi tossici

The sfuso o caffè di marchi poco noti provenienti dal terzo mondo potrebbe essere inquinato da DDT, che in quei paesi viene utilizzato estensivamente

Trote di allevamento: sono animali dalla salute molto delicata, gli allevatori somministrano alte quantità di antibiotico, che si trovano nel prodotto finale

Pomodori fuori stagione: pieni di antibiotici

Frutta fuori stagione: non di rado è prodotta utilizzando più sostanze e ormoni chimici della frutta di stagione

Mele: le mele sono un cibo ottimo: tenere solo presente che certi contadini mettono delle sostanze antimuffa sulla buccia. Se non sono bio è bene lavare accuratamente la buccia o sbucciare.

Biscotti o dolci che tra gli ingredienti indicano "grassi vegetali". I "grassi vegetali" sono da evitare, che siano idrogenati o non idrogenati (vedi)

Affettati: non c'è un affettato "naturale": sono tutti pieni di conservanti tossici e cancerogeni. Quelli privi di nitriti e nitrati hanno comunque altri conservanti tossici.

Cibi che indicano "aromi" invece che "aromi naturali": nel primo caso sono permessi additivi chimici, nel secondo caso no

La frutta secca ha normalmente aggiunti degli antimicrobici come conservanti. Il meno dannoso è il sorbato di potassio. Ma molta frutta secca proviene dal Medio Oriente o dal Sudamerica, ed è quasi impossibile sapere cosa vi abbiano aggiunto i produttori all'origine.

 

 

Oggi va di moda fare il "runner", persone che corrono da dieci a venti chilometri al giorno e dicono di stare benissimo. Fare molta attività fisica è consigliabile?

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Senza voler prendere posizione contro una attività sportiva intensa come quella del runner che corre dieci chilometri al giorno, riportiamo qui una serie di aspetti negativi di uno sport troppo intenso.

Non esiste nessuno studio conclusivo che una attività sportiva molto intensa favorisca la longevità. Al contrario, diversi medici attirano l'attenzione che un'attività fisica di tal genere aumenti l'ossidazione dei tessuti e indebolisca il sistema immunitario.

L’esercizio fisico è stato dimostrato efficace nell’incrementare la salute e la durata della vita e diminuire l’incidenza di parecchie patologie, ma solo in confronto a gruppi di controllo costituiti da persone sedentarie e obese. In particolare, non sono stati mostrati particolari vantaggi rispetto ad un regime di restrizionei calorica con attività fisica moderata. Anzi, in esperimenti su animali che confrontavano i benefici della restrizione calorica con quelli dell’esercizio fisico, gli animali sottoposti a restrizione calorica vivevano molto più a lungo di quelli sottoposti ad esercizio fisico.

Una eccessiva attività fisica, a livello agonistico professionale o amatoriale può provocare una accelerata ossidazione dei tessuti, perché produce un maggiore consumo di ossigeno, e l'ossigeno è in qualche modo tossico per i tessuti, nella misura in cui favorisce la produzione di radicali liberi.

Dati clinici mostrano che il grande sportivo ha un sistema immunitario stressato e più soggetto a malattie infettive, perlomeno immediatamente dopo grandi sforzi fisici.

Il grande sportivo mangia dal 50% al 300% in più della persona normale. Studi scientifici mostrano che invece la strada per evitare l'invecchiamento è esattamente l'opposto: la restrizione calorica (vedi). La digestione di grandi quantità di cibo aggiunge lo stress digestivo allo stress sportivo, affaticando ancora di più l'organismo

Il grande sportivo spende molte energie, che non avrà quindi a disposizione per altre attività faticose: studio, lavoro, sesso, ecc.

E' vero che il grande sportivo è magro, ma esistono vie alternative per rimanere magri (vedi), e forse una attività sportiva importante in un periodo di dieta affatica troppo un organismo già provato dalla restrizione calorica

I medici considerano sufficiente, ai fini di un buon invecchiamento, mezz'ora di attività fisica aerobica al giorno, integrata con qualche seduta di palestra settimanale per esercitare i muscoli (es. quelli del torso) che non sono tenuti in esercizio dall'attività svolta (es. corsa).

Il ballo, la danza, lo yoga, le passeggiate di buon passo o meglio in montagna sono forme di attività fisica ottime e sufficienti. Il nuoto due-tre volte a settimana può sostituire benissimo e con più profitto la palestra per tenere allenata la muscolatura del torso.

Esercizi per il torso con piccoli pesi e flessioni possono completare egregiamente la vostra attività fisica.

Se siete sportivi che giocate a tennis o correte, continuate pure, a patto che pratichiate a livello non agonistico, ma sappiate che i benefici per la longevità sono ottenibili anche con forme più moderate di attività fisica.

Nel libro Scoppiare di salute, il famoso farmacologo Silvio Garattini si occupa del mito dell'attività fisica. Riportiamo qui il brano.

 

il parere di isadore rosenfeld sull'attività fisica

Oltre la dieta, ci sono altri sistemi in grado di ritardare le conse­guenze dell'invecchiamento? L'attività e la forma fisica, per esem­pio? lo non finisco mai di sorprendermi per la continua « contro­versia » esistente riguardo l'argomento attività fisica. Quando i cer­velloni di Harvard, o di qualsiasi altro prestigioso gruppo di ricer­ca, sbandierano qualche statistica favorevole all'attività fisica ecco che tutti noi ci buttiamo sulla diligenza e concludiamo che l'attività fisica ci fa bene per poi smorzare di botto l'entusiasmo quando sen­tiamo che Jim Fixx, il più grande sostenitore del jogging, o il fra­tello della principessa Grace sono morti mentre praticavano tale sport.

Il fatto è che nessuna di queste osservazioni dice tutta quanta la verità. Correre la maratona non vuoI dire fare attività fisica come la intendiamo noi medici. A mio parere è una follia, anzi, un'osses­sione, un'attività estrema. Quando in queste pagine io parlo di atti­vità fisica mi riferisco a un tipo di attività che ci permetta di man­tenere un certo grado di forma fisica per tutto l'arco della nostra vita. Personalmente sono convinto che questo stato serva effettiva­mente a migliorare la qualità della vita e abbia un impatto positivo sull'individuo in fase di invecchiamento. Quel che è indubbio è che tra i miei pazienti quelli che rimangono fisicamente « in forma» si sentono «giovani» più a lungo degli altri, hanno un aspetto più giovanile e come tali si comportano.

Anche se il momento migliore per dare inizio a un programma di « fitness » sia prima che le funzioni corporee comincino a declinare (fatto che di solito si verifica dopo i trent'anni) in realtà non è mai troppo tardi per cominciare. Ip sono convinto che un piano di for­ma fisica continuato per tutta la vita e che sottoponga a sforzi le ossa in modo che mantengano il loro calcio, e aumenti la forza mu­scolare per aumentare la resistenza, la coordinazione e la flessibilità, possa rallentare molti dei sintomi associati all'invecchiamento. Uno dei casi in oggetto è il meccanismo respiratorio. La buona forma fisica ha un profondo e misurabile effetto positivo sull'efficienza della funzione polmonare. Qui si tratta di un fatto reale, non di teoria. A partire dai trent'anni, la capacità che ha il corpo di estrarre ossi­geno dall'aria che respiriamo comincia a rallentare a un ritmo di circa l'un per cento annuo. Ma un individuo scattante, di qualsiasi età, può estrarre l'ossigeno con maggiore efficienza di chi non è in forma. Così, nonostante quell'uno per cento di declino annuale, l'in­dividuo in forma di settant'anni può essere in grado di ossigenare i polmoni con la stessa efficienza di un trentenne non allenato.

L'attività fisica regolare migliora anche l'efficienza del cuore e aiuta a prevenire la formazione di pericolosi coaguli sanguigni; ab­bassa il colesterolo e alza i livelli di Hdl; è stato anche messo in luce che fa diminuire il livello degli ormoni dello stress e abbassa la pressione del sangue. Anche la rigidità delle articolazioni, un fe­nomeno che si va accentuando con l'età, può essere controbattuta con un'appropriata e regolare attività fisica. L'esercizio regolare ha poi un effetto positivo pure sul sistema nervoso. Gli individui fisica­mente attivi hanno maggiori probabilità di avere riflessi più rapidi degli individui inattivi. E la capacità di reagire rapidamente in un momento di crisi permette a volte di salvare la vita. Non c'è dub­bio che i miei pazienti anziani che sono fisicamente attivi hanno in media un minor livello d'ansietà, soffrono meno di depressione e di nervosismo, di disturbi del sonno, di stanchezza e godono di una maggiore stabilità emotiva e di una maggiore sicurezza di sé rispet­to a coloro che attivi non sono. In breve, godono di una migliore qualità di vita.

Poi c'è l'effetto protettivo dell'attività fisica sulla ghiandola pìtuì­taria e sulle ghiandole surrenali. Queste ghiandole producono or­moni che ci aiutano a gestire lo stresso sia fisico sia emotivo. Se per esempio doveste essere sottoposti a una dura prova, insolita e ina­spettata (come per esempio un attacco cardiaco, un intervento chi­rurgico di rilevanti proporzioni, una grave infezione, un profondo choc emotivo), lo affronterete meglio se sarete.« in forma ». Ma se il vostro sistema ghiandolare o endocrino è letargico perché avete sempre condotto una vita sedentaria, potrà darsi che esso non riu­scirà a secernere una quantità di ormoni sufficienti ad affrontare quella situazione traumatica.

L'inattività fisica, inoltre, può di per se stessa provocare diversi sintomi importanti. Per esempio gli anziani che hanno condotto per anni una vita sedentaria e non sono in forma, spesso vanno incontro a un brusco calo di pressione accompagnato da vertigine e visio­ne offuscata quando si alzano di colpo in piedi, un fenomeno mol­to spesso lamentato dalle persone di una certa età. Così pure lo zuc­chero non viene metabolizzato così efficacemente dagli organismi non in forma che hanno la tendenza a presentare alti tassi di gluco­sio nel sangue. In questi individui è anche maggiore del normale la secrezione del calcio nelle urine e i muscoli perdono di tono. Tutti fattori che contribuiscono a molti dei sintomi dell'invecchiamento.

Questo per quanto riguarda l'attività del corpo. E per la mente?

La chiave di tutto sta nel mettere a punto fin dalle prime fasi della propria vita quelle abitudini intellettuali che vi manterranno svegli e psicologicamente scattanti anche man mano che invecchierete. La lettura, per esempio, è un'attività mentale importante non solo per via delle informazioni che fornisce, ma perché più vengono utiliz­zate le facoltà mentali, più queste si rafforzano. Una buona idea è quella di continuare a seguire, mentre si invecchia, dei corsi su ar­gomenti che affascinano e che per la loro novità risultino anche una sfida alle proprie capacità. Se rimarrete elastici e aperti a nuove esperienze per tutta la vita, avrete buone probabilità di godere un maggior benessere mentale da anziani. Il sentire di avere sotto con­trollo quelle cose che vi succedono e di potere essere in grado di fare la maggioranza delle cose se solo vi sforzate di farle è un atteg­giamento che vi tornerà molto utile nella fase più tarda della vita. Le prestazioni non proprio brillanti di molti anziani non sono do­vute a un.cervello che si « esaurisce », ma piuttosto a mancanza di motivazioni. Il guaio è che i vecchi cessano di interessarsi alle cose. Non gli interessa più « un accidente di niente ». Ma la realtà è che molte facoltà sbocciano proprio negli anni più tardi negli individui sani. Ed è proprio l'atteggiamento nei confronti della vostra mac­china mentale negli anni giovanili che determina la maggiore o mi­nore efficienza operativa più avanti.

lo sono un sostenitore del « peso forma» e dell'« esercizio fìsìco » perché sono due elementi che vi fanno sentire bene e vi fanno ap­parire più sani, ma in tutta franchezza non me la sento di soste­nere che servono effettivamente a ritardare il processo di arterio­sclerosi e non sono a conoscenza di dati che confermino come uno stile di vita definibile « sano» in base ai due suddetti elementi in­fluisca minimamente sull'incidenza del colpo apoplettico.

 

il parere di silvio garattini sull'attività fisica

In un pomeriggio assolato del luglio 1984, un motoci­clista di passaggio sulla strada che costeggia il lago Caspian, nel Vermont, scorge un uomo riverso sull'a­sfalto, in tuta e scarpette da corsa. Non c'è più niente da fare per lui, se non chiamare la polizia - e pregare per la sua anima. La notizia, che in altre circostanze sarebbe stata relegata in un trafiletto sui giornali lo­cali, fa subito il giro del mondo. Perché quel ca­davere risponde nientemeno che al nome di James Fuller Fixx: l'inventore del jogging, l'autore del best­seller The Complete Book of Running (Il libro completo della corsa) - tre milioni di copie, un milione di dollari di diritti d'autore, la vera bibbia dei maratoneti ame­ncani.

Ma il dato più sconvolgente emerge qualche giorno dopo dai risultati dell' autopsia è che il maestro è stato stroncato da infarto, a soli cinquantadue anni, e proprio mentre praticava il suo sport preferìito. Una fine tragicamente ironica, quasi una ven­detta postuma della natura, che getta una luce sini­stra sulle decantate virtù terapeutiche della corsa e scatena i facili sarcasmi degli accidiosi e dei pantofolari di. ogni continente.

Fixx, in apparenza stava benissimo, e si era appena sottoposto a una delle sue periodiche visite me­diche. Da quando, dodici anni prima, aveva lasciato la professione dell'ingegnere per dedicarsi intera­mente alla predicazione del verbo salutista, i suoi calcagni affilati da gazzella martellavano centocin­quanta chilometri la settimana. Sulla sua scia, trentacinque milioni di trentenni e quarantenni in ma­glietta e calzoncini si erano riversati sulle strade de­gli Stati Uniti, inseguendo il miraggio di una forma olimpica, nell'illusione di esorcizzare lo stress, le ma­lattie cardiache, la depressione e l'anoressia. Il presidente Jimmy Carter e il Dustin Hoffman, nel film "Il marato­neta" avevano dato un notevole contributo alla diffu­sione della moda.

Ma il guru indiscusso, il punto di riferimento dei vari «Runners Club» che riuniscono i patiti della corsa, restava lui, James Fixx. «So che non ci sono prove conclusive - continuava a ripetere nelle conferenze e nelle interviste - ma molti elementi dimo­strano che il jogging, se praticato con intelligenza, al­lunga la vita e rafforza l'attività cardiaca, la rende più efficiente.»

Il guru non sapeva di avere le arterie coronariche seriamente danneggiate, probabilmente grazie ai due pacchetti di sigarette al giorno che aveva fumato per anni, prima di convertirsi all'atletica. E qualche' amico ricorda che anche suo padre era morto d'in­farto poco più che quarantenne. Il jogging, dunque, potrebbe aver soltanto accelerato - o chissà, all' opposto ritardato - un evento comunque ineluttabile. Del resto, in questo mondo di cardiopatici, quanti se­dentari schiattano sulle gradinate degli stadi, o guardando la partita in televisione?

Tra fanatici e detrattori della «corsa per la sa­Iute», noi però preferiamo la saggezza di un veterano come Jeff Darman, già presidente del «Road Run­ners Club of America»: «lo jogging non allunga la vita, semplicemente aiuta a vivere meglio giorno per giorno. Bisogna guardarsi dal diventarne dipendenti fisicamente ed intellettualmente» .

Che la quotidiana uscita in calzoncini possa tra­sformarsi in una vera e propria droga è provato dalla cosiddetta «sindrome del maratoneta», quella sensazione di euforia, di «movimento senza sforzo», che prende i fanatici del jogging dopo qualche mi­glio di corsa. E così pure i sintomi di «astinenza» (ansia e nervosismo) che alcuni di .essi lamentano quando le circostanze li tengono lontani dal loro esercizio prediletto.

Certi studiosi ricollegano questi fenomeni alle «endorfine», sostanze chimiche simili alla morfina prodotte dal cervello, che regolano i meccanismi del piacere e del dolore. Una ricerca compiuta nel 1980 a Milwakee su un gruppo. di persone che' avevano corso per venti minuti su un nastro continuo ha rive­lato un enorme aumento, talvolta oltre il 400%, dei livelli di «beta-endorfina» nel sangue. E anche altri studi hanno confermato che la corsa e l'esercizio fisico in genere fanno salire le endorfine. Tuttavia non è stato ancora provato un rapporto di causa-effetto tra questo fenomeno e l'euforia dei maratoneti.

In ogni caso, ammesso che questo rapporto esi­sta, non sarebbe un buon motivo per drogarsi. An­che nello sport, come in tutte le cose, dobbiamo farci guidare dalla razionalità, calcolando attentamente costi e benefici. I costi del jogging «selvaggio», quando non sono irreparabili come per il povero Fixx, possono essere comunque spiacevoli, e tradursi, ad esempio in danni alle articolazioni: gli ortopedici dicono che la corsa triplica la normale pressione sulle ginocchia, ed è all' origine di un preoccupante au­mento delle lesioni alle rotule, soprattutto nelle donne.

E quanto ai benefici, non sono affatto garantiti. Uno studio pubblicato recentemente dalla rivista del­l'Associazione medica americana ha messo seria­mente in dubbio la diffusa credenza che l'esercizio fi­sico sia di per sé sufficiente a far calare la pressione arteriosa. Il dottor Blumenthal della Duke University ha reclutato un centinaio di volontari, uomini e donne con abitudini sedentarie e con livelli di pres­sione mediamente più alti del normale, e li ha divisi a caso in tre gruppi. Il primo gruppo doveva fare ae­robica tre volte la settimana, il secondo un altro tipo di ginnastica, il terzo nessuna attività fisica. I parteci­panti erano tenuti a non cambiare alimentazione, né a ridurre il loro peso corporeo. Al termine dell' espe­rimento, durato quattro mesi, si è visto che la pres­sione era calata in ugual misura in tutti e tre i gruppi.

Il che non significa, ovviamente, che il moto non sia importante, ma che se manca una dieta adeguata che aiuti a recuperare il «peso-forma», l'ipertensione può restare, e continuare a rninacciarci, anche se fac­ciamo dieci chilometri al giorno con le Reebok ai piedi.

In nome della forma fisica si fa di tutto, e non solo in' Ame­nca.

Una recente indagine ha rivelato che sulla mensa di un contadino cinese ci sono in media più calorie che in quella di un cittadino americano, ma vengono abbondantemente compensate da un elevato dispen­dio di energie: il lavoro nei campi, gli spostamenti a piedi o in bicicletta. Ciò contribuisce almeno in parte a spiegare la ridotta incidenza tra quelle popolazioni, delle patologie cardiovascolari tanto diffuse in Occi­dente. Nessuno di noi, naturalmente, farebbe cam­bio con un contadino cinese. Però il privilegio di vi­vere in un universo urbano dominato dalle attività terziarie e intellettuali, dai computer e dai robot, dalle auto e dai jet, non è privo di costi. Lo sforzo fi­sico tende a scomparire, sostituito dalle macchine, il corpo si atrofizza. Allora ecco l'obesità, l'iperten­sione, l'aumento dei grassi nel sangue, l'arterioscle­rosi in agguato. E a sentire certi scienziati, perfmo il cancro del colon, che colpirebbe di preferenza i se­dentari: la ridotta attività fisica è spesso sinonimo di intestino pigro, e questo implica un prolungato rista­gno di sostanze cancerogene nell' organismo. Insomma, dopo esserci affrancati dalle fatiche del mondo arcaico e rurale, siamo costretti a rimpiazzar1e con dosi artificiali di lavoro. muscolare. Ci facciamo prescrivere «un po' di moto» dal nostro medico curante.

Le persone preoccupate dalla mancanza di moto fisico tengono la Cyclette in bagno, il vogatore nella stanza da letto e la spalliera in ufficio, e pagano parcelle milionarie a fìsiatri, fisioterapisti, ·massaggiatori e Health Center. Il.egioni di «coach po­ratoes», di letargici teledipendenti, di Oblomov tutti .quattroruote e scrivania, sudano e pedalano a ore fisse, come in un rituale propiziatorio contro l'artrosi e il colesterolo. Leggono avidamente i consigli dei settimanali su come mantenersi in forma, come pre­venire mal di schiena e dolori cervicali, quali sport praticare d'estate e d'inverno. E pendono dalle lab­bra dei vari «esperti», sempre pronti a scodel­lare una nuova infallibile ricetta per conservarsi agili e scattanti, mettendo al contempo in guardia contro le insidie e gli inganni delle ricette altrui.

Come tutto il resto, anche l'esercizio fisico è soggetto all'avvicendarsi delle mode, a improvvise feb­bri collettive seguite da altrettanto brusche defezioni. Per quasi un decennio siamo stati afflitti dalle esibi­zioni di Jane Fonda e di altre Erinni in tuta ginnica, che ci magnificavano le virtù dell'aerobica: finché un bel giorno si è scoperto che i ritmi frenetici di questa danza atletica, oltre a mettere a repentaglio il cuore, strappano i tendini e irideboliscono la muscolatura, tanto che certe veterane della specialità, giunte alla soglia dei cinquant'anni, non riescono più a sollevare nemmeno i sacchetti della spesa al supermercato.

Sono più salutari la danza classica o lo yoga, con i loro movimenti lenti e armonici, che le rapide estensioni e contrazioni dell'aerobica ("Fate bruciare i mu­scoli!", incitava la Fonda).

Poi è venuto il turno del «body building», e le pa­lestre si sono trasformate in sale di tortura dove i pe­nitenti soggiacciono a complicati macchinari irti di pesi e di carrucole: ma ben presto nelle sale d'a­spetto dei fisiatri hanno cominciato ad accalcarsi i re­duci da questi supplizi, lamentando parestesie agli arti e disturbi circolatori dovuti all'ipertrofia dello scaleno o di altri muscoli.

Tramontano i miti e le sette, ma la religione del corpo rimane, e conserva intatta la sua capacità di mobilitazione. In ogni momento, in ogni parte del mondo, masse di fondamentalisti del bicipite sono sempre pronte a immolarsi per la causa.

E davvero una causa giusta? Che l'attività fisica ­- in dosi appropriate - faccia bene, che costituisca anzi un passaporto indispensabile per la buona salute, è un fatto talmente assodato da essere ormai entrato nel dizionario delle «idee ricevute».

«Stando fermi - diceva il filosofo Kierkegaard, che era un grande camminatore - si arriva sempre più vicini a sentirsi malati. Perciò basta continuare a camminare e andrà tutto bene».

Studi recenti hanno confermato che una musco­latura ben allenata può aiutare a prevenire l' osteopo­rosi e altre malattie della terza età. Ma per raggiun­gere questi risultati non c'è nessun bisogno di diven­tare tutti culturisti o maratoneti.

 

 

Quanta attività fisica devo fare giornalmente per rimanere in buona salute?

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Un po' di moto e di ginnastica può ritardare il calo della massa muscolare e ossea che comincia tra i quaranta e i cinquant'anni e si accelera intorno ai settanta. Anche solo 40 minuti di "stretching" e di "riscaldamento" due volte la settimana alleviano sensibilmente pressione sanguigna e dolori articolari. Persino in età molto avanzata si possono rinvigorire i muscoli e le ossa e migliorare la deambulazione con moderati esercizi di sollevamenti pesi. Inoltre l'attività fisica serve a scongiurare il pericolo dell'osteoporosi, insieme ad una dieta ricca di calcio.

I medici considerano sufficiente, ai fini di un buon invecchiamento, mezz'ora-quaranta minuti di attività fisica aerobica al giorno, che può anche consistere in una camminata a passo veloce, integrata con qualche seduta di palestra settimanale per esercitare i muscoli (es. quelli del torso) che non sono tenuti in esercizio dall'attività svolta (es. corsa).

Il nuoto due o tre volte la settimana sarebbe ottimo e sufficiente.

Per "attività aerobica" si intende uno sforzo fisico che mantenga le pulsazioni cardiache sopra una certa soglia.

Ripetiamo qui quanto detto in un altro articolo di questo documento: non ci sono studi che mostrino in modo convincente che una attività fisica importante oltre quanto indicato sopra, e in particolare agonistica possa allungare la vita. Al contrario, diversi medici attirano l'attenzione che un'attività fisica di tal genere aumenti l'ossidazione dei tessuti e indebolisca il sistema immunitario.

L’esercizio fisico è stato dimostrato efficace nell’incrementare la salute e la durata della vita e diminuire l’incidenza di parecchie patologie, ma solo in confronto a gruppi di controllo costituiti da persone sedentarie e obese, non nei confronti di gruppi di persone, anche sedentarie, che praticavano la restrizione calorica. In esperimenti su animali che confrontavano i benefici della restrizione calorica con quelli dell’esercizio fisico, gli animali sottoposti a CR vivevano molto più a lungo di quelli sottoposti ad esercizio fisico.

 

 

Qual è il miglior insaccato?

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Premesso che la presenza di nitriti e nitrati (cancerogeni) rende gli insaccati sconsigliabili, il migliore e il più magro, utilissimo per l'apporto di ferro biodisponibile è la bresaola. Questo salume, a differenza degli altri, proviene solo da manzo, cavallo o cervo. Questo è importante, perché gli altri salumi sono di suino – e sono preferiti a torto dalla grande maggioranza degli italiani: non esiste un salume di suino (e nemmeno un taglio di carne suina) magro: leggi in questo documento l’articolo “Cosa devo pensare delle affermazioni che la carne di maiali magri (i cosiddetti "magroni") è perfettamente comparabile con quella bovina?”.

 

 

Quali sono le migliori fonti di fibre?

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Per quanto riguarda la fibra alimentare, le informazioni disponibili sono tante ma non sempre precise. Anche se la fibra non è un nutriente, è comunque un importante componente dell’alimentazione ed è presente in una grande varietà di alimenti di origine vegetale, in particolare nelle parti commestibili resistenti alla digestione e all’assorbimento. I suoi effetti benefici più significativi sono l’aumento del transito intestinale, la diminuzione e il rallentamento dell’assimilazione dei nutrienti, il prolungamento del senso di sazietà, la riduzione del picco di glicemia dopo il pasto e della risposta dell’ormone insulina. La fibra alimentare ha anche un effetto prebiotico, cioè fa sì che i microrganismi intestinali fermentino, con la conseguente formazione di composti che hanno effetto benefico per l’organismo.

In generale è consigliato un consumo di 30 grammi al giorno di fibra alimentare, che corrispondono alle raccomandate cinque porzioni quotidiane di frutta e verdura, a cui vanno aggiunte almeno due porzioni di pasta (o pane) oppure di riso integrali (o di altri derivati da cereali integrali).

Frutta, verdura, legumi e cereali integrali sono ricchi di fibra ed è importante che il loro consumo sia quotidiano e regolare. Vedete quindi che basare l’alimentazione solo su alimenti vegetali non solo non è rischioso, ma è di assoluto beneficio. Anche perché la dimostrazione che alcuni tumori sono legati al consumo di carne rende del tutto dannoso e sconsigliato nutrirsene anche in quantità minima.

Andiamo ancora oltre, allora. Proviamo a specificare quali carboidrati e cereali sono migliori degli altri. Per soddisfare il fabbisogno di fibra è fondamentale consumare cereali integrali e prodotti derivati da farine integrali. Sostituire tutti i prodotti derivati da farina bianca con prodotti integrali aumenta infatti la probabilità di prevenzione e salute.

Una fonte di fibra da non trascurare è rappresentata infine dai legumi, che dovrebbero essere consumati come minimo quattro volte alla settimana: fagioli (tutti i tipi di fagiolo), soia, lenticchie, ceci, piselli. Anche nelle persone diabetiche una dieta ricca di fibre può ridurre il rischio di complicanze correlate con la malattia.

 

Le fonti di fibre migliori sono le pectine, fibre della frutta, seguite da quelle dei legumi (fagioli, ceci, lenticchie).

Ultime vengono le fibre della crusca: del pane integrale, del pane di segale ecc.

Le fibre della crusca sono da sostituire quando possibile con le fibre della frutta, perché il nostro organismo non le digerisce: formate da cellulosa, che è uno zucchero indigeribile per l'uomo (mentre viene digerito dagli insetti che mangiano il legno, come i tarli), e provoca per questo una enorme formazione di gas intestinale che gonfia l'apparato digerente e crea flatulenza.

Le fibre dei fiocchi Kellogg's sono quindi proprio le meno indicate per la digestione e il transito intestinale! Provate a mangiare invece la parte bianca sotto la buccia delle arance, che è preziosissima fibra idrosolubile

Le fibre sono benefiche ma non vi sono tuttavia grandi evidenze che proteggano dal cancro

Le fibre ritardano o prevengono emorroidi, stitichezza, cancro colonrettale, arteriosclerosi, colon irritabile, diverticolosi, diabete, calcoli biliari, colesterolo e trigliceridi alti, appenditite, ernia iatale, vene varicose, obesità, carie dentaria, gotta, ipertensione, osteoartrite.

La diverticolosi è una malattia dell'intestino crasso che consiste nella formazione sulle pareti intestinali di estroflessioni allungate, diverticoli, che più tardi si infiammano e possono provocare disturbi di ogni genere.

Le fibre sono formate da quei componenti degli alimenti di origine vegetale che resistono agli enzimi digetivi dell'intestino. Essenzialmente ci sono due tipi di fibre: cellulose ed emicellulose da un lato e gomme e pectina dall'altro.

Le cellulose assorbono acqua  nella parte inferiore dell'intestino o colon. Le feci diventano più morbide e pesanti.

La pectina e le varie gomme come il guar, fanno sì che lo stomaco e l'intestino trattengano gli alimenti per un tempo maggiore. Ne consegue un cerico di zucchero digerito in modo più lento e uniforme

Aumentando la velocità del transito nel colon, le fibre fanno sì che le sostanze cancerogene vi rimangano meno tempo

L'ernia iatale è una condizione in cui una porzione della parte superiore dello stomaco invade il corace a causa di un indebolimento del diaframma. Più si è stitici, più ci si deve sforzare durante l'evacuazione e maggiore diventa la pressione nella cavità addominale. Questa pressione dollevba il diaframma e lo indebolisce, rendendo così l'individuo più vulnerabile all'ernia iatale.

Probabilmente è questa pressione che provoca anche vene varicose

La pectina e le gomme imprigionano il colesterolo. Possono combinarsi con gli acidi biliari che sono ricchi di colesterolo, facendo abbassare ancora il livello di quest'ultimo, e scongiurando i calcoli biliari, che sono co,posti di colesterolo. Il tasso di colesterolo nel sangue è più basso e rende più improbabile la formazione di calcoli biliari. Gli stessi acidi biliari sono stati ritenuti concause del cancro al colon

La pectina e le gomme riducono la quantità di zucchero nel sangue. La minore quantità di zucchero abbassa la pressione, perché minore sarà l'insulina, e minore la pressione arteriosa.

Cercate di consumare 30-40 g di fibre al giorno.

Bastano quattro fette di pane integrale (5g per fetta) per fornire il doppio della dose media USA.

Se vi limitate alla crusca ne trarrà beneficio solo la parte inferiore dell'intestino. Ma se vi aggiungete pectina e gomme presenti nalle mele, arance, banane, piselli, carote, baccche varie e patate, sarà possibile anche abbasare il tasso dello zucchero e del colesterolo nel sangue.

I batteri presenti nella parte inferiore dell'intestino provocano la feermentaizone delle fibre e producono gas metano. Gli individui che seguono diete ricche di fibre in genere sono più fongi di gas degli altri, e soprattutto se esagerano hanno crampi, diarrea e gas. Ma col tempo il loro organismo si abitua e i sintomi sono ridotti al minimo.

Quando le feci sono morbide e passano agevolmente e con regolarità non sarà più necessario aumentare la dose

 

 

Cos'è la terapia delle "megativamine", proposta dal premio Nobel Linus Pauling?

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Secondo una scuola di pensiero capeggiata dal premio Nobel Linus Pauling, che trova largo seguito tra i medici negli Stati Uniti, è possibile che assumendo dosi di vitamine superiori a quelle necessarie per evitare malattie da avitaminosi si abbiano notevoli vantaggi per la salute. Nessuno sa infatti quali siano le dosi ottimali di vitamine, che probabilmente sono molto maggiori di quelle raccomandate.

Come rileva infatti Pauling, le dosi giornaliere raccomandate sono quelle strettamente indispensabili per non sviluppare patologie. Così, la dose raccomandata di vitamina C è quella strettamente necessaria per evitare lo scorbuto.

Negli anni Settanta e Ottanta, Pauling e altri promossero la teoria delle megativamine  che propone l'assunzione di dosi doppie o quadruple di quelle normalmente raccomandate. Di questa teoria si tratta in un apposito paragrafo.

Questa teoria ha incontrato lo scetticismo di una parte del mondo medico, e, prima di illustrare le raccomandazioni di Pauling, sentiamo il dovere di riportare l'opinione negativa del farmacologo Silvio Garattini:

Gradualmente, nel no­stro immaginario le vitamine, da fattori che ristabili­scono un equilibrio in organismi debilitati o compro­messi, sono assurte a corroboranti di organismi sani, a panacee universali, a cardini indiscutibili della religione salutista. Mass-media e clinici alla moda le idealizzano come concentrati di sostanze naturali, «pacchetti quantici» di energia verde, precipitati di benessere cosmico cui si attribuisce il potere di cica­trizzare le ferite inferte al nostro corpo e ai nostri nervi dalla civiltà industriale.

Ogni fibra, ogni organo, ogni funzione dell'orga­nismo ha la sua vitamina. La vitamina B tonifica il si­stema nervoso, la D irrobustisce le ossa, la A fa bene agli occhi, la E mantiene giovane ed elastica la pelle. E infme la E, la regina di tutte le vitamine, vero toc­casana buono per tutti gli usi, dal raffreddore al cancro. Effervescente, aromatizzata al limone, all'aran­cio, ai frutti di bosco, la vitamina C va a ruba nelle farmacie durante ogni epidemia di influenza, e c'è gente che ne consuma due o tre grammi al giorno nell'illusione di preservarsi dal contagio. Senza ren­dersi conto che ogni dose supplementare rispetto al fabbisogno normale che il corpo è in grado di assimi­lare va solo a ingorgare inutilmente i reni e le vie urinarie.

li profeta indiscusso della vitamina C è stato il premio Nobel per la chimica e per la pace Linus Pau­ling, al quale si devono tra l'altro importanti studi in materia. Sulla sua scia, in anni recenti, molti medici e biologi hanno esplorato le potenzialità dei cosiddetti «micronutrienti», vitamine, antiossidanti e carote­.noidi, nella prevenzione del cancro. Numerose ricer­che epidemiologiche hanno fornito elementi per rite­nere che una dieta povera di frutta e di verdura sia associata a un rischio più elevato di tumore (soprattutto del polmone e del colon, ma anche della pro­stata, del seno e della cervice). Di qui l'ipotesi «a con­trario», che un menù ricco di questi cibi allontani il pericolo della malattia.

Ma questi risultati non autorizzano alcuna conclu­sione definitiva. Non ci sono elementi per dire che l'effetto preventivo sia dovuto alle vitamine e non a un'altra delle numerose sostanze contenute nei vege­tali e nella frutta e - quel che più conta - non è afe fatto provato che un' «overdose» di vitamine in com­presse possa accrescere queste difese. Anzi, esistono evidenze che dosi elevate possano in qualche caso provocare danni di vario tipo all'organismo.

Le vitamine influiscono anche sul rendimento del cervello? Tre anni fa, un' articolo pubblicato sulla ri­vista medica britannica «The Lancet» dava notizia di un esperimento condotto su sessanta scolari inglesi tra i 12 e i 13 anni ai quali era stato somministrato per otto mesi un complesso multivitaminico e mine­rale. Rispetto ai loro compagni ai quali, contempora­neamente, era stato fatto trangugiare un semplice «placebo», questi ragazzi rivelarono un sensibile in­cremento del Quoziente di Intelligenza (QI.) «non verbale».

L'indagine fu però molto criticata negli ambienti scientifici per l'incompletezza dei dati raccolti. Un analogo esperimento è stato ripetuto in seguito da un gruppo di ricercatori californiani guidati dal cri­minologo Stephen Schoenthaler. Dopo tredici setti­mane di trattamento vitaminico, il QI. non verbale dei ragazzi trattati ha registrato un incremento di 3,7 punti, mentre il QI. verbale restava praticamente in­variato. Prima ancora di venire pubblicato e discusso sulle riviste accademiche, lo studio del professor Schoenthaler è finito sotto i riflettori della Bbc, che ne ha ricavato un programma ad alto gradimento. Questo modo di procedere alquanto disinvolto per uno scienziato ha suscitato un coro di proteste, anche perché la ricerca californiana è servita da rampa di lancio per un nuovo preparato, «Vitachieve», molto reclamizzato sulla stampa britannica.

Ancora una volta i mercanti della salute sono stati pronti a cogliere la palla al balzo e a speculare sull' ossessione di tanti genitori per il rendimento sco­lastico dei propri figli. Un bombardamento ipervitaminico è scattato fulmineo come un blitz nei cieli del Regno Unito, senza aspettare che un'indagine più ap­profondita consentisse di valutare con maggiore ponderazione, e sulla base di riscontri oggettivi, l'effica­cia e la non pericolosità di questi trattamenti. E senza tenere conto del fatto che i bambini californiani hanno diete e abitudini di vita completamente diffe­renti dai bambini inglesi. Ma la macchina pubblicita­ria non fa caso a queste sfumature.

 

Ed ecco, dopo aver sentito la campana contraria di Garattini, le semplici raccomandazioni di Pauling:

 

Assumere vitamina C ogni giorno (6-18 g o più). Non saltare un solo giorno.

Assumere vitamina E ogni giorno (400 UI o più)

Assumere vitamine del complesso B ad alto dosaggio ogni giorno:

B1 50-100 mg

B2 50-100 mg

B3 300-600 mg

B6 (piridossina) 50-100 mg

B12 (cobalamina) 0,1-0,2 mg

Acido folico 0,4-0,8 mg

Acido pantotenico 100-200 mg

Assumere vitamina A ogni giorno (25.000 UI)

Assumere un multiminerale che garantisca almeno 100 mg di calcio, 18 mg di ferro, 0,15 mg di iodio, 1 mg di rame, 25 mg di magnesio, 3 mg di manganese, 15 mg di zinco, 0,015 mg di molibdeno, 0,015 mg di cromo, 0,015 mg di selenio

Mantenere basso l'apporto di saccarosio. Non dolcificate the o caffè, non mangiate cibi molto dolci. Evitate i desserts. Non bevete bibite.

Bere abbondantemente acqua

Mantenersi attivi, fare qualche esercizio. Non esaurirsi fisicamente oltre le proprie possibilità normali.

Bere alcolici con moderazione

NON FUMARE

Evitare lo stress. Fare un lavoro che piaccia. Essere felici nella propria famiglia.

 

 

 

Cosa fare in caso di influenza? Come posso evitare di ammalarmi troppo spesso di malattie da raffreddamento? La vitamina C è efficace contro il raffreddore e l'influenza?

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Importante è avere un abito caldo.

Poche persone saprebbero dire, tra abiti con imbottitura di lana, abiti di pail e piumino cosa sia più caldo: l'abito che tiene più caldo è il piumino, e per una ragione che riguarda la fisica: il calore viene disperso, dall'interno all'esterno, dai moti convettivi dell'aria tra le fibre dell'abito. Le piume delle oche impediscono, con le loro barbette i moti convettivi, cosicché non ci sia moto dell'aria nelle fibre e quindi perdita di calore.

Una cosa che poche persone sanno è che, contrariamente a quanto si pensa, non è tanto la quantità di abiti caldi o di coperte o piumini che conta, quanto la temperatura della stanza. Anche se siamo ben coperti ma respiriamo la temperatura di una stanza non riscaldata, è come se dormissimo in mezzo alla strada.

Il freddo non causa direttamente le malattie da raffreddamento, ma ne favorisce l'insorgenza, perché quanto più è intenso, tanto più blocca le difese dell'organismo. Le statistiche parlano chiaro: l'incidenza delle malattie respiratorie è molto più alta nelle regioni settentrionali d'Italia e d'Europa.

Le malattie da freddo sono infezioni dell'apparato respiratorio per lo più di natura virale con complicanze dovute all'azione di batteri che attaccano le difese dell'organismo già provato dall'offensiva di un virus. Sono influenze, raffreddori, sinusiti, otiti, mal di gola, laringiti, tonsilliti, tracheiti, bronchiti, broncopolmoniti, polmoniti.

Gli antibiotici sono efficaci solo contro i batteri, non hanno nessuna efficacia sui virus. Questo vuol dire che deve essere il sistema immunitario del nostro organismo a sconfiggere queste malattie. E che l'unica misura efficace è la vaccinazione, anche se la sua efficacia è solo del 70%. Questo può ad esempio accadere perché durante l'epidemia il virus muta, rendendo inefficace il vaccino. Inoltre il vaccino ha efficacia limitata a due mesi.

La primavera non va sottovalutata, perché c'è una recrudescenza della patologia influenzale e ci si riammala facilmente. Questo perché alla fine dell'estate il corpo si è rinforzato, e riesce a superare le insidie virali dell'autunno, mentre all'inizio della primavera è indebolito dall'inverno.

Gli antinfiammatori non steroidei (NSA o FANS) agiscono sui sintomi, come la temperatura, il mal di testa ecc. e anche i fludificanti con funzione sintomatica alleviano dolori, bruciori senso di ostruzione. Essi hanno anche una funzione di protezione dell'apparato respiratorio dagli agenti batterici riattivando la essenziale funzione mucociliare.

La sempre efficace terapia tradizionale è stare caldi, assumere liquidi caldi come latte col miele o tè caldo e utilizzare la borsa di acqua calda o il mattone caldo della nonna.

* Alcuni medici somministrano anche un supplemento di vitamine. Ma forse è per gli antibiotici

In genere bronchiti e influenze iniziano col raffreddore.

Le riniti batteriche sono secondarie a un'infezioni ai seni paranasali (sinusiti) che possono essere anche di natura batterica: germi aerobi e anaerobi che in questi seni si trovano molto bene perché c'è l'aria, ci sono le secrezioni che servono da terreno di coltura, la temperatura è di 37 gradi e quindi è un habitat ideale. Nei bambini, dove le comunicazioni tra naso e seni paranasali sono molto facili, l'infezione da sinusite può essere grave.

Nel naso troviamo di tutto, proprio perché filtra l'aria: hemophilus, meningococco, stafilococco, streptococco, batteri anaerobi

Quando il muco assume colore giallastro vuol dire che c'è la fase purulenta del raffreddore: purulentano germi normalmente saprofiti presenti nelle fossse nasali.

Nel naso colpito da raffreddore il filtraggio, l'umidificazione e il riscaldamento diventano insufficienti

Tra le complicanze del raffreddore sono da ricordare le adenoiditi, le otiti catarrali nei bambini e le sinusiti nell'adulto.

Da un po' di tempo si guarda con sospetto all'aspirina, perché  esistono soggetti ipersensibili e perchç può determinare danni alla mucosa gastrica ed anche importanti manifestazioni emorragiche

Qualche sollievo può essere dato dai vasocostrittori, da non usare però per più di qualche giorno.

I vasocostrittori di sintesi sono temibili. Il loro uso protratto determina assuefazione e dipendenza.

Le sinusiti acute possono diventare subacute o croniche. In questo caso la sintomatologia può essere molto povera e rendersi evidente solo durante le fasi di riacutizzazione, talora con gravi conseguenze. Esistono anche sinusiti da causa dentale.

I farmaci sintomatici con effetto antinfiammatorio, antipiretico, analgesico che si utilizzano in caso di influenza sono:

Acido acetilsalicilico (Aspirina)

Paracetamolo (Tachipirina)

Aminofenazone (Malivan)

Noramidopirina (Novalgina)

Ci sono poi preparati antibatterici per inalazioni o gargarismi, come tantum verde

Possono servire instillazioni nasali a base di sali d'argento (argento proteinico: p. 89)

Le malattie da freddo sono infiammazioni che colpiscono la mucosa e i parenchimi dell'apparato respiratorio. Dalla mucosa del naso si possono trasferire ai seni paranasali, faringe, laringe, trachea e a tutte le alte vie respiratorie.

La prima barriera è il velo di muco disteso sulla  mucosa nella parte che ha rapporto con l'esterno. Questo film di muco contiene anticorpi che si legano a particolari composti chimici sulla superficie di batteri e virus chiamati antigeni.

La mucosa è dotata di piccole ciglia, il cui movimento ha la funzione di trasporto del film mucoso. Col freddo la motilità delle ciglia diminuisce, rendendo più vulnerabile la mucosa.

Il clima rigido provoca vasocostrizione della mucosa.

Freddo e umidità elevata sono tra le cause più importanti dell'0insorgenza di molte malattie dell'apparato respiratorio, perché ne bloccano le difese.

La flora batterica normalmente presente nel nostro corpo, attacca solamente quando le difese sono state indebolite dal freddo e dal virus.

Si è visto che animali che inalano virus e batteri in ambiente freddo ed umido contraggono la malattia, mentre quelli in ambiente normale li espellono. Evitare quindi i contatti con i malati che avvengono in ambienti freddi e umidi o quando si è già infreddolito.

La trasmissione delle malattie virali da raffreddamento avviene mediante goccioline di saliva che vengono emesse con tosse o sternuti. Le gocce più grandi sono più virulente ma più pesanti e cadono subito a terra, quelle più leggere sono meno virulente ma rimangono più a lungo nell'aria.

Tenere la sciarpa sui mezzi pubblici è utile

Gli anticorpi abbondano e sono molto attivi nelle mucose del naso, faringe, vie respiratorie in genere.

La tosse è anche un meccanismo di depurazione delle vie aeree, in particolare dal catarro dei bronchi

La tosse grassa, che mira ad espellere catarro, non si deve toccare. Poi c'è la tosse irritativa, secca, stizzosa, squassante. Questa seconda tosse, durante il colpo di tosse, fa aumentare enormemente la pressione nelle vie aeree; all'apertura della glottide vengono danneggiate le mucose  e anche l'apparato respiratorio più profondo. Questa tosse deve essere calmata.

Occorre intraprendere azioni per fludificare il muco mattone caldo della nonna, borsa di acqua calda sul petto, liquidi e tisane, farmaci fluidificanti bronchiali, bevande calde, sono utili, e attenuano la tosse.

E' sempre bene tenere un antibiotico ad ampio spettro a casa, e intervenire prima di andare dal medico,

ma se possibile il tipo, il dosaggio e la durata dell'uso dell'antibiotico devono essere prescritti dal medico. In particolare scegliere un tipo di antibiotico inutile per quei germi può portare ad un peggioramento della malattia

Quando c'è influenza in giro è bene limitare i contatti sociali, perché la vita in un ambiente urbano, a continuo contatto con un gran numero di persone, e particolari ambienti, come i locali pubblici, la scuola, i mezzi di trasporto pubblico, favoriscono l'espandersi della malattia

L'anziano, che non ha un buon metabolismo proteico, stenta a sintetizzare gli anticorpi

*Occorre vaccinarsi

Il fumo non è un fattore di rischio per le malattie da raffreddamento. Però i fumatori che prendono un raffreddore hanno sintomi più gravi e prolungati.

*Comunque io non rischierei di irritare le mucose con il fumo proprio in un periodo di influenza.

Anche una atmosfera troppo secca può provocare il dissseccamento del film della mucosa: si creano delle fissurazioni da cui passano gli agenti patogeni.

I virus sono parassiti che a differenza dei batteri, vivono del patrimonio della cellula, la invadono ed arrivano a distruggerla moltiplicandosi a spese del Dna e dell'RNA della cellula.

Il raffreddore è dovuto a uno qualsiasi di trecento e più virus diversi e il loro numero è in costante crescita a causa delle mutazioni. Quindi un vaccino è impossibile, e l'unica cura è preventiva. Una volta che si sia preso il raffreddore è necessario attendere che il corpo ne venga a capo.

I virus del raffreddore penetrano nel nostro corpo attraverso il rivestimento (membrana mucosa) degli occhi, del naso e della bocca.

L'organismo contrasta virus e batteri con anticorpi: speciali proteine, prodotte in risposta alle infezioni virali, che attaccano  e distruggono l'invasore. Nel corso degli anni il corpo arriva a possedere molti di questi anticorpi appunto perché è stato messo ripetutamente sotto attacco da diversi tipi di virus del raffreddore. Questo spiega perché invecchiando il numero di raffreddori diminuisce.

Recenti esperimenti mostrano che tamponcini imbevuti di interferone, messi a contatto con le mucose del naso infettate da virus, bloccano completamente il raffreddore. Secondo Linus Pauling un effetto identico potrebbero avere gocce di soluzione di vitamina C (acido ascorbico).

Precauzioni

Mettersi a letto, al caldo

Liquidi in abbondanza

Vitamine

Digiuno

Per la febbre e i doloretti e le infiammazioni (di mucose ecc.) antinfiammatorio come aspirina o paracetamolo

Gettare immediatamente via e non toccare i fazzoletti di carta usati. Lavarsi accuratamente le mani di frequente.

Stare attenti agli sternuti o ai colpi di tosse: allontanarsi.

Non toccare con le mani i fazzoletti, gli utensili e altri oggetti contaminati di un individuo ammalato

 

trattamento dell'influenza

Il periodo di incubazione è breve, normalmente due giorni.

La febbre normalmente dura da due a quattro giorni. La temperatura può andare da 38,3° (casi lievi) a 40,6° (casi severi)

Ai primi sintomi è necessario mettersi subito a letto, interrompendo tutto quello che si sta facendo e continuare a rimanere a letto fino a 24-48 ore dopo che la temperatura si è normalizzata.

La dieta dovrebbe essere leggera, con molta acqua e succhi di frutta

Bisogna anche assumere vitamina C

Il medico va contattato solo se la febbre dura più di due giorni o è molto severa

 

la vitamina c è in grado di prevenire il raffreddore?

Studi degli anni Ottanta hanno mostrato che la vitamina C a dosi modeste (fino a 3-4 mg. al giorno) non ha effetti apprezzabili sul raffreddore. Al massimo, se presa sin dall'inizio, ne accorcia il periodo di virulenza, ma non di molto. In realtà l'uso della vitamina C contro il raffreddore fu raccomandato per la prima volta dal premio Nobel per la chimica Linus Pauling. Le dosi raccomandate erano ben più alte: Pauling consiglia di assumere da 2 a 3 mg. di vitamina all'ora per 12 ore come dose di attacco, e poi di dimezzare la dose se c'è remissione.

 La vitamina C è in grado di prevenire il raffreddore? La comunità scientifica non è in genere d'accordo. Nonostante questo molti medici fanno uso regolare di vitamina C d'inverno e ne aumentano la dose ai primissimi segnali di un raffreddore

Linus Pauling sostiene che la contestata inefficacia della vitamina C dipende dal fatto che se ne devono prendere megadosi: da 20.000, 30.000 e persino 40.000 unità al giorno.

*Bisogna distinguere l'uso preventivo da quello curativo della vit. C

Anche Rosenfeld ammette che si potrebbe digiunare, però non ritiene che faccia grande differenza.

Occorre chiamare il medico quando la temperatura rimane al disopra dei 38° per più di 24 ore, quando il raffreddore persiste per più di sette giorni, quando respirando o tossendo si sentono dolori al torace, quando cominciano a far male gli orecchi, quando la gola si fa dolente o si ha difficoltà di deglutizione

 

La prima raccomandazione è: non usare gli antibiotici se non c'è un significativo aggravamento dell'influenza, ma al massimo dei farmaci come aspirina, tachipirina e simili. Questi farmaci hanno anche un effetto antipiretico (abbassano la febbre). Ma gli antipiretici potenti vanno usati solo quando la temperatura rischia di salire oltre i 42 gradi e danneggiare tra gli altri organi anche il cervello: un aumento di temperatura a 39 gradi favorisce invece la lotta alle infezioni batteriche e non andrebbe contrastato.

L'influenza proviene da virus, e non da batteri. Contro i virus gli antibiotici non sono efficaci, e andrebbero utilizzati solo quando, vi siano complicazioni infettive.

L'ammalato dovrebbe quindi unicamente stare al caldo e a letto, bere liquidi e mangiare il meno possibile. Infatti, mangiare riempie il sangue di sostanze estranee e impegna eccessivamente il sistema immunitario, che deve riconoscere le sostanze buone da quelle cattive, e così non ha tempo di occuparsi della malattia… La cosa migliore sarebbe digiunare quasi completamente, almeno per il primo giorno.

Le malattie da raffreddamento si prendono soprattutto la notte, quando il riscaldamento centrale cessa, la temperatura scende sotto i 17 gradi, i muri della casa, soprattutto se comunicanti dall'esterno, funzionano come radiatori negativi che irradiano freddo e assorbono il calore del corpo scoperto, non adeguatamente protetto dal pigiama, e lo raffreddano molto rapidamente.

Un consiglio, soprattutto per gli anziani e i bambini e neonati è di riscaldare la stanza da letto anche di notte, con un termosifoncino elettrico collegato ad un termostato (attenzione: il termostato del termosifoncino è inutile: occorre collegarlo ad un termostato simile a quello a cui è collegato il riscaldamento domestico) evitando che la temperatura scenda al disotto dei 17 gradi (e preferibilmente dei 18). Questo semplice accorgimento può dimezzare il numero di malattie di raffreddamento.

Importante è evitare che il muco raggiunga i piccoli bronchi, e inizi un processo infettivo più grave, come la polmonite. Non assumete quindi preparati anti-tosse: la tosse è assolutamente necessaria per espettorare il muco e liberare i polmoni. Se prendete uno sciroppo anti-tosse, soprattutto per una tosse "grassa": il muco ristagna nei polmoni e produce processi infettivi più gravi.

 

 

Dove posso trovare tabelle che mi informino sul valore degli alimenti e sul loro contenuto calorico e vitaminico?

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Nel sito www.learningsources.altervista.org, nella sezione nutrizione, ci sono:

Una tabella delle proteine più magre

Una tabella del valore calorico degli alimenti e del loro contenuto di nutrienti (proteine, grassi, carboidrati)

Una tabella delle dosi consigliate di vitamine e minerali dai vari testi medici

 

 

La psicoterapia serve?

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Il consiglio è: usa il buonsenso, cerca di renderti conto se le cose procedono o non portano alcun risultato. Ecco, di seguito, alcuni aspetti negativi o trappole di cui tenere conto:

Il mercato della psicoterapia è una giungla. In italia qualsiasi persona uscita dalla facoltà di psicologia può esporre il cartello "psicologo". Il tirocinio è infatti necessario solo se ci si vuole fregiare dell'appartenenza a determinate scuole come quella psicanalitica, adleriana, junghiana, ecc. A norma di legge non lo è.

A differenza che nei paesi anglosassoni, in cui la pratica del self enhancement e della psicoterapia è molto diffusa, in Italia, fino a poco tempo fa non era cosa frequente andare da un terapeuta. Quindi da noi non esiste un adeguato background di formazione e di esperienza e i nostri terapeuti sono normalmente di livello (anche molto) inferiore a quelli stranieri.

Le scuole psicoterapeutiche sono numerosissime. E' praticamente impossibile orizzontarsi. Ognuna propone la sua soluzione. Un paziente, a seconda del caso, può diventare oggetto di sperimentazione di teorie e pratiche di tipo del tutto opposto: freudiane, lacaniane, scuola di Palo Alto, cognitivismo, psicomagia, ecc.

Da molte parti si afferma ormai che le terapie basate sulla esplorazione della propria infanzia e dei relativi traumi sono lunghe, costosissime e improduttive, perché quello che conta è come la persona è ora. La psicanalisi (freudiana, lacaniana ecc.) sta diventando sempre più svalutata, perché è lunghissima (tre, cinque anni e più) e costosissima (una o due sedute settimanali) a favore di terapie brevi.

Ecco una storia emblematica di una persona intrappolata in una terapia lunghissima e costosissima, che alla fine è riuscito a liberarsene. Ivano G. Casamonti, un giornalista, ha raccontato che quando era ancora insegnante, per risolvere i problemi personali, che includevano un rapporto in crisi con la moglie, sia lui che lei si erano rivolte alla stessa terapeuta. La terapia, costosissima, si era protratta per diversi anni. La psicoterapeuta aveva addirittura consigliato alla moglie di Casamonti di "sperimentare la propria libertà" e tradire il marito. Finché un giorno un incidente stradale banale e grave (sfiguramento del volto con necessità di pagare una impegnativa chirurgia estetica ricostruttiva) mise Casamonti di fronte alla scelta di continuare a fare terapia o rimanere sfigurato. Ne parlò con la psicanalista, la cui risposta fu… che doveva senz'altro continuare a fare psicoterapia e rimanere sfigurato. Improvvisamente, a lui e alla moglie si aprirono gli occhi. Gettarono via il quadernetto da "pirla in analisi" (così lo chiama Casamonti) dove giorno per giorno la terapeuta pretendeva che venissero annotati tutti i pensieri, il marito si sottopose a interventi chirurgici, rifece la pace con la moglie, cambiò professione (giornalista) con un deciso aumento di soddisfazione e di stipendio. E non tornò mai più in analisi.

Certe terapie (psicanalisi) sono lunghissime (fino a 5 anni), costosissime e estremamente impegnative in termini di tempo (due sedute a settimana di almeno 60 euro ciascuna). Andrebbe valutato se utilizzarle solo in casi molto gravi e impegnativi.

Il fatto che lo psicoterapeuta esponga una laurea in medicina non vuol dire assolutamente nulla: molti medici si riciclano come psicoterapeuti con l'aggravante di non avere né una laurea in psicologia né una specializzazione in psichiatria

Come consiglia Vittorino Andreoli nel suo libro I segreti della mente (la cui lettura è consigliata), una strategia da mettere in atto indipendentemente dal ricorso al terapeuta è quella di monitorare e riconoscere subito i segni di disordine mentale e intervenire immediatamente. Per far questo occorre leggere un buon testo che descriva i principali sintomi e varietà delle nevrosi e psicosi.

Certe situazioni (es. coniugali) si sbloccano con un consiglio che potrebbe darvi qualsiasi persona di buonsenso (sacerdote, amico, parente, avvocato), senza ricorrere ad una impegnativa psicoterapia

Per certe patologie (vedi il paragrafo sulla depressione) la terapia farmacologica è inderogabile e quella psicologica è inutile o al massimo di supporto

In alternativa alla psicoterapia si può provare:

La consulenza filosofica. Il consulente filosofico cerca di fornire al paziente un modo di elaborare razionalmente e individuare i propri problemi e i propri valori, promovendo un agire più consapevole

Il counseling: è focalizzato sul superamento di determinate situazioni problematiche, senza investire l'intera personalità del paziente

Training autogeno e autoipnosi. Sono tecniche di rilassamento che hanno importanti effetti terapeutici e di auto-coscienza

Meditazione. Esiste una offerta vastissima di corsi di meditazione: dalla meditazione buddhista, alla meditazione tantrica ecc.

Ipnoterapia: l'ipnoterapeuta agisce sul sintomo (timidezza, rabbia, ecc.) cercando di rimuoverlo, e questo talvolta è sufficiente

self therapy : esiste una importante manualistica statunitense, che sta venendo sempre più tradotta in italia, su come fare esercizi per aumentare da soli autoconsapevolezza, volontà ecc.

 

 

Cosa sono gli "zuccheri semplici" e perché dovrei evitarli?

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Oggi il consumo di farine raffinate e zuccheri semplici (glucosio e saccarosio, contenuti in biscotti, cioccolate e dolci in genere) ha fatto aumentare enormemente la quantità di zuccheri che giornalmente il nostro corpo deve smaltire. Rispetto alla dieta di uno-due secoli fa, noi assumiamo da tre a dieci volte tanto la quantità di zuccheri a cui il corpo umano si è adattato nel corso della sua evoluzione.

Il picco glicemico che ne risulta nel sangue attiva le isole di Langerhans, cellule del pancreas che secernono l'insulina, provocandone un superlavoro che dura decenni. Finché alla fine esse non si guastano, e insorge il diabete.

Le pressioni dell'industria dolciaria e lo scarso coraggio dei medici impediscono che si denunci questa moderna "epidemia silenziosa" che fa sì che almeno tre persone su dieci sviluppino entro i cinquant'anni una qualche forma di diabete che non avrebbero sviluppato se fossero stati correttamente informati.

Anche l'entità esagerata dei pasti e dell'uso di pasta e farinacei contribuisce al diabete. Un pasto di 1000 calorie o più, decisamente sovrabbondante ma decisamente non infrequente in una giornata-tipo di una qualsiasi persona, riempie lo stomaco di pasta, pane e farinacei che provocano ugualmente un picco glicemico e un superlavoro del pancreas.

Gli zuccheri peggiori sono il glucosio e il saccarosio e gli altri "zuccheri semplici" che entrano immediatamente in circolo nel sangue e stimolano immediatamente la secrezione di insulina, mentre gli "zuccheri complessi" come gli amidi del pane e della pasta sono smontati più gradualmente e senza danno.

Un altro fattore di diabete, che pochi conoscono, è il consumo di succhi e concentrati di frutta anziché della frutta non frullata

Gli zuccheri semplici, estremamente calorici e privi di nutrienti, "sbattono fuori" dalla dieta i nutrienti di cui abbiamo bisogno, sebbene recenti studi mettono in guardia dal catastrofismo totale e mostrano che l'assunzione dei nutrienti può ancora essere sufficiente.

 

 

Qual è la nutrizione migliore per il cervello?

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Tutto ciò che avete bisogno di sapere al riguardo è contenuto nel libro di Jean-Marie Bourre La nutrizione del cervello. Qui ne diamo un breve riassunto.

Le membrane delle cellule cerebrali sono formate essenzialmente da grassi. I grassi giusti sono importanti per la salute del cervello.

Esistono due acidi grassi polinsaturi essenziali ("essenziale" vuol dire che l'uomo non è in grado di sintetizzarlo): l'acido linoleico e l'acido alfa-linolenico, che sono rispettivamente a capo delle famiglie omega 6 e omega 3. Essi sono presenti in quantità troppo basse nella nostra alimentazione attuale, ragion per cui  l'olio (di colza, soia o noce) non dovrebbe mai mancare in alcuna dieta. Questi grassi venivano  compresi sotto il termine di "vitamina F".

Gli apporti nutrizionali consigliati sono di 10 g e 2 g rispettivamente di acido linoleico e alfa-linolenico.

 

Grammi di alimenti

che forniscono il 50%

dell'ANC

Alimento

Grammi di acido

linoleico per 100 g

di alimento

7

olio di vinacciolo

70

7,5

olio di girasole

65

8

olio di noce, mais

60

9

olio di soia

53

14

olio di arachide americana

36

23

olio di arachide africana

22

50

olio di oliva

10

60

olio di palma

8

20

noci

26

36

burro

14

12-40

Margarina

15-40

25

grasso di tacchino, pollo

20

50

grasso d'oca, anatra

18

60

grasso di cavallo, maiale

8

1000-2500

formaggi

0,2-0,5

 

 

 

Grammi di alimenti

che forniscono il 50%

dell'ANC

Alimento

Grammi di acido

linoleico per 100 g

di alimento

12

olio di noce

8

14

olio di soia

7

100

olio di mais

1

125

olio di oliva

0,8

350

olio di vinacciolo

0,3

500

Olio di girasole, palma

0,2

1000

Olio di arachidi

0,1

30

noci

3,5

200

fagioli, mandorle

1

500

olive, lamponi, ribes

0,4

600

broccoli, insalata, spinaci

0,3

1000

latte intero

0,2

800

pane integrale, insalata,

ribs nero

0,25

3000

cetriolo

0,006

 

A capo della famiglia omega 3 vi è dunque l'acido alfa-linolenico, il cui primo derivato è l'acido timnodonico (detto anche EPA, acido eicosapentaenoico), che condivide la gloria degli oli di pesce nell'ambito della prevenzione e cura delle malattie cardiovascolari. Il secondo derivato porta il nome di acido cervonico (DHA o acido docosaesaenoico) in quanto il cervello è la struttura vivente che ne contiene in maggiore quantità ed è proprio in tale organo che è stato scoperto; in particolare la zona frontale del cervello, quella specifica dell'uomo e la più nobile, è la regione che ne contiene di più.

Servono notevoli quantità di acidi grassi essenziali per costruire e mantenere le membrane di tutte le cellule e soprattutto quelle dei neuroni. Ben un terzo della struttura lipidica delle membrane cerebrali proviene necessariamente e direttamente dall'alimentazione. Di fatto, nel cervello, un acido su tre è polinsaturo.

Fortunatamente è  difficile non ingerire acido linoleico, dal momento che esso è presente seppure in quantità variabile, nella maggior parte degli alimenti. Nell'uomo non è stato osservato un grave deficit specifico anche se è tuttavia possibile che le ricerche non siano state finora sufficientemente approfondite.

Sono state invece rilevate carenze specifiche di acido alfa-linolenico: storicamente la prima osservazione riguardava una bambina sottoposta ad alimentazione artificiale che presentava vari disturbi, tra i quali delle anomalie neurologiche. L'effetto terapeutico che ebbe l'integrazione con l'acido rivelò la sua importanza. I bambini nei primi sei mesi di vita sono i più sensibili alla carenza di acido alfa-linonenico.

E' stata descritta una patologia da deficit di acido alfa-linolenico nella scimmia e persino nell'uomo. Una sindrome delle società moderne, a forte connotazione psichiatrica. è stata appunto interpretata come una carenza di acidi dell afamiglia alfa-linolenica ed è stata messa in relazione con alcuni regimi alimentari da fast food e altra ristorazione rapida. E' pertanto fondamentale controllare le quantità di acidi grassi di questa famiglia presenti nell'alimentazione: un apporto minimo è necessario per permettere alle membrane, soprattutto cerebrali, di avere una composizione adeguata e un funzionamento normale

Per quanto riguarda l'acido linoleico non ce ne deve essere una quantità eccessiva (la scelta è tra olio di nore di mais, di soia, girasole o al limite di arachidi e colza); per l'acido alfa-linolenico la scelta è limitata agli oli di colza, noce e soia. La noce è l'olio che contiene meno acidi saturi.

Colza, noce e soia sono oli ricchi di acido alfa-linolenico

Nei topi e ratti di laboratorio una carenza alimentare specifica di acido alfa-linolenico provoca drammatiche alterazioni nella composizione delle membrane del sistema nervoso. Una volta interrotta la carenza, il recupero da parte del cervello è estremamente lento: i diversi mesi necessari per l'animale lasciano supporre diversi anni per il bambino.

La presenza di acido alfa-linolenico nell'alimentazione conferisce una maggiore resistenza rispetto ad alcune sostanze neurotossiche (gli animali esposti muoiono molto più lentamente) il che significa che l'efficacia della barriera encefalica è migliore e il cervello è più protetto. Le attività enzimatiche vengono meglio controllate, in particolare quella detta "ATPasi" che utilizza approssimativamente la metà dell'energia utilizzata dal cervello, vale a dire 1/10 dell'energia totale consumata da tutto lorganizmo a riposo. La carenza di acido alfa-linolenico danneggia d'altra parte l'approvvigionamento di energia del cervello

La retina è uno dei tessuti più ricchi. I ratti di 4 settimane (equivalenti all'età di setti anni per i bambini) presentano garvi alterazioni dell'elettroretinogramma come effetto della carenza di acido alfa-linolenico: la soglia di rivelazione dell'elettroretinogramma necessita di un'illuminazione dieci volte più potente che negli animali nutriti normalmente.

Una mancanza simultanea di acido linoleico e alfa linolenico altera le capacità di apprendimento degli animali, li indebolisce li istupidisce e infine li uccide. La carenza di uno solo si rivela meno catastrofica: l'assenza di acido alfa-linolenico danneggia, per esempio, l'apprendimento.

Vista, udito, odorato sembrano essere danneggiati dal deficit di acido alfa-linolenico a due livelli: da un lato a livello dell'organo sensoriale recettore, dall'altro a quello della regione cerebrale che lo interpreta. Durante l'invecchiamento la riduzione dell'udito e della vista provengono tanto dalla diminuzione dell'efficienza delle regioni del cervello interessate, quanto da disturbi dell'orecchio interno e della retina. Persino la percezione del gusto viene alterata: un dato livello di percezione del dolce richiederà più zucchero negli animali privati di acido alfa-linolenico. Tale carenza riduce inoltre la percezione del piacere, alterando lievemente l'efficienza degli organi sensoriali e andando a colpire le strutture cerebrali corrispondenti.

Una ricerca recente ha mostrato che vengono danneggiati alcuni neuromediatori, in particolare nella zona frontale del cervello.

I nascituri accumulano nel cervello imponenti scorte di EPA e DHA.

I bambini godono di un migliore sviluppo psicomotorio se ricevono nel latte acidi grassi polinsaturi a catene molto lunghe, come quelli del latte materno.

Lo sviluppo neurologico (studio britannico su bambini di 9 anni) è migliore per quelli allattati al seno. Questo effetto è con tutta probabilità dovuto agli acidi grassi polinsaturi.

Nei topi gli effetti della deprivazione di EPA e DHA sono recuperati in tempi lunghi, tuttavia il danno all'apprendimento permane.

 

Quantità di acidi grassi essenziali da assumere giornalmente (grammi/giorno)

 

saturi

mono

insaturi

18:2 omega 6

(linoleico)

18:3 omega 3

(alfa-linolenico)

polinsaturi

a catena lunga

di cui

DHA

uomo adulto

19,5

49

10

2

0,5

0,12

donna adulta

16

40

8

1,6

0,4

0,1

 

Le raccomandazioni relative agli acidi grassi sono spesso definite in percentuali che variano a seconda delle finalità perseguite. Gli "apporti nutrizionali consigliati" propongono per gli acidi saturi un tenore del 24%, per i monoinsaturi del 60% e i polinsaturi del 16%; nella categoria del polinsaturi si raccomanda un rapporti di 1/5 circa per gi omega 6 e omega 3 (nell'alimentazione normale varia da 1/15 a 1/50. Per un adulto ciò significa 10 g al giorno di acido linoleico e 2 g di alfa lonolenico. Per la prima volta si consiglia che gli acidi grassi polinsaturi a catene molto lunghe raprpesentino il 3% di cui lo 0,5% di DHA, che corrisponde a 120 mg al giorno.

Solo di recente, dunque, l'acido alfa-linolenico è stato riconosciuto indispensabile per l'uomo. Una certa confusione persiete tra gli acidi grassi indispensabili (gli acidi linoleico e alfa-linolenico) e quelli essenziali, loro derivati a catene carboniose più lunghe e più insature, che rientrano in talune funzioni biologiche.

Tra i monoinsaturi quello degno di maggiore interesse è l'oleico, mentre i suoi derivati sono importanti nelle membrane biologiche, in particolare in quelle cerebrali. L'acido oleico potrebbe essere quindi essere semi-indispensabile (almeno parzialmente o in determinate condizioni, come il gruppo di Bourre ha dimostrato.

Gli acidi grassi saturi, per quanto avversati da tutti, rivestono probabilmente ruoli importanti, soprattutto per le membrane biologiche e in particolare a livello cerebrale. La loro presenza nel cervello è nota, ma non è chiara la loro esatta funzione né l'origine, che potrebbe essere parzialmente alimentare.

Gli acidi grassi "trans" sono natuaralmente presenti nelle carni e nei latticini, come conseguenza della fisiologia dei ruminanti. In alcuni alimenti se ne trovano in quantità considerevoli soprattutto a causa dei processi di idrogenazione industriale utilizzati per rendere solidi gli oli vegetali al fine di trasformarli in margarine. Gli acidi grassi monoinsaturi o polinsaturi sono chimicamente idrogenati per ottenere acidi grassi saturi, molto meno instabili. Le insaturazioni (i legami chimici doppi tra due atomi di carbonio) sono fisiologicamente di natura "cis"

Gli acidi grassi servono a costruire il corpo e in particolare il cervello,ma hanno anche effetti curativi. Questa funzione è ricoperta soprattutto dagli oli di pesce, che non vanno confusi con gli oli di fegato di merluzzo e di halibut.

Abbondanza di pesce e di frutti di mare significa meno rischio di demenza legata all'età. Il consumo regolare di pesce riduce in misura significativa i rischi di disturbi quali il morbo di Alzheimer. Gli acidi grassi presenti nel pesce garantirebbero un migliore rinnovamento delle cellule nervose.

Gli eschimesi ignorano le malatte cardiovascolari ostruttive come l'arteriosclerosi in quanto mangiano molto pesce. Sono inoltre ben protetti contro determinati disturbi dermatologici, esempio la psoriasi e talune affezioji allergiche e infiammatorie.

 

 

eschimesi

danesi

infarto del miocardio

3

40

sclerosi a placche

0

5

epilessia

16

8

psicosi

10

8

psoriasi

2

40

asma bronchiale

1

25

diabete

1

9

tumore

46

53

ulcera gastrica

19

29

 

I meccanismi d'azione degli acidi grassi polinsaturi omega 3 sono relativamente poco conosciuti. Si sa che essi agiscono  direttamente nella composizione delle membrane biologiche e partecipano dunque alla loro fisiologia. Intervengono inoltre direttamente attraverso i loro derivati. Nell'ambito delle complesse interazioni fra le cellule e le pareti vascolari, gli oli di pesce diminuiscono l'aggregazione delle piastrine, riducendo il rischio di ostruzione delle arterie. La migliore deformabilità dei globuli rossi favorisce una migliore ossigenazione dei vasi sanguigni. La fluidità delle membrane biologiche viene di fatto controllata dalla struttura dei lipidi che le compongono e in particolare dalla natura e quantità dei loro acidi grassi polinsaturi. Essendo più deformabili,i globuli rossi si insinuano più facilmente nei capillari, aspetto molto apprezzabile a livello del cervello. Inoltre aumenta l'efficienza del muscolo cardiaco poiché la struttura delle sue cellule e le funzioni delle membrane dipendono dalla composizione di acidi grassi polinsaturi. Gli oli di pesce contrastano l'aritmia cardiaca.

L'effetto più rilevante è l'abbassamento dei trigliceridi.

Mangiare pesce due volte la settimana dimezza il rischio di malattie cardiovascolari. Questa prescrizione, derivante da osservazioni epidemiologiche ha fatto sì che l'olio di pesce venisse considerato un vero e proprio farmaco.

Con la frittura i grassi del pesce si sciolgono e mescolano con quelli della frittura e vanno pertanto perduti. Il valore nutrizionale del pesce impanato o fritto dipende quindi quasi integralmente dal valore nutritivo dell'olio utilizzato per la cottura. Un olio troppo saturo è quindi un errore fatale.

Il pesce dovrebbe essere non di allevamento ("malnutrito")

Alle donne norvegesi si raccomanda di evitare di mangiare pesce più di una volta al mese, perché c'è una massiccia contaminazione dei banchi di pesce del mare del nord, tra l'altro con diossina (non si parla ancora di radioattività, perché per ora, per quanto il mare sia una discarica di sottomarini atomici, stando alle fonti ufficiali non vi sarebbero fughe). Il pesce proveniente dal Mar Baltico è estremamente inquinato.

Numerosi sono i mari inquinati, a tutte le latitudini e da sostanze di ogni tipo, tra cui il mercurio. E' impossibile praticare un controllo allo sbarco del peschereccio.

Le specie di allevamento sono numerose (salmone, branzino, trota, storione, orata, halibut e rombo) ma bisognerebbe che i loro mangimi fossero selezionati in modo da far sì che gli animali  siano in grado di elaborare e quindi contenere i preziosi nutrienti di cui abbondano quando vivono in libertà.

Non tutti i pesci contengono gli omega 3: sono in fatti in grado di fabbricarli solo coloro che mangiano ciò che la natura ha previsto per loro, vale a dire zooplancton e altri pesci; in caso contrario, essi ne conterranno ben pochi. Il salmone di allevamento contiene una quantità venti volte minore di questi grassi "medicinali", a meno che non venga nutrito con oli di pesce… Fortunatamente alcune aziende ittiche allevano il pesce con grassi selezionati a conformi ai loro bisogni, gli omega 3. La brutta notizia è che diverranno sempre più rare, a causa di una normativa sempre più severa; infatti molti di questi grassi non vengono commercializzati ma distrutti, in quanto contaminati dalla diossina che supera i valori consentiti.

Almeno i 2/3 del pescato vengono convogliati nella produzione di alimenti per animali.

I pesci di allevamento carnivori hanno bisogno di molte più proteine dei mammiferi nell'alimentazione. Le proteine vegetali sono insufficienti. Anche integrandole con aminoacidi è molto difficile far crescere i salmoni. L'associazione casuale di aminoacidi è insufficiente, la fisiologia dei pesci rimane per molti aspetti misteriora (quella degli umani è ancora più enigmatica).

Poiché i salmoni riescono difficilmente a elaborare gli acidi grassi omega 3 a catena molto lunga a partire dai precursori presenti negli oli vegetali restano due possibilità: nutrirli con grassi di altri pesci o far produrre questi composti da piante OGM.

I pesci reperiscono l'energia principalmente nei grassi poiché non sanno digerire bene i glucidi complessi.

Si può aumentare più facilmente il tenore di omega 3 nel latte o carne di animali monogastrici come maiali che in animali poligastrici, perché i batteri degli stomaci di questi trasformano i polinsaturi in saturi, distruggendoli.

Nonostante i latticini contengano solo basse quantità di omega 3 il fatto di essere consumati in forti quantità rende il loro apporto significativo e lo stesso vale per le carni, soprattutto quelle dei monogastrici, come pollame e maiale.

Le lievi variazioni che potrebbero essere ottenute rimpinzando gli animali con l'uno o l'altro micronutriente non consentirebbero comunque di migliorare significativamente la copertura del fabbisogno umano. Verrebbero arricchiti in effetti solo gli organi di stoccaggio naturali, cioè le frattaglie (soprattutto il fegato), ma il loro consumo è estremamente ridotto.

Gli accidenti cerebrali sono dovuti non solo alle placche ateriosclerotiche che si distaccano, ma alle emorragie. L'aterosclerosi cerebrale è più tarda di quella cardiaca. Il cuore subisce tutta una serie di patologie le cui cause sono estremamente varie: complicanze dell'aterosclerosi (tra cui infarto del miocardio e angina pectoris), valvulopatie, insufficienza cardiaca, disturbi del ritmo e conduzione. Con l'invecchiamento le cellule muscolari tendono a scomparire col rischio di aritmie cardiache. La responsabilità delle alterazioni del muscolo cardiaco è delle proteine, che diminuiscono sia come quantità sia come qualità.

I soli apporti che possono contribuire sensibilmente all'equilibrio degli omega 3 in forma di acido alfa-linolenico sono gli oli vegetali (colza, soia, noce), i frutti che ne contengono (noci) e le uova omega 3; per le catene lunghe carboniose di omega 3 sono ancora le uova e i pesci grassi.

L'olio di colza è stato a torto ritenuto dannoso per il cuore a causa dell'acido erucico. Accuse infondate. Ora la colza normale è sparita e si coltiva solo colza "doppio zero" con zero acido erucico e zero glicosinolati. Viene anche chiamata canola.

Per arricchire la dieta del capofamiglia degli omega 3 la scelta è limitata agli oli di soia

La dieta mediterranea migliore è quella cretese, che trova gli omega 3 nell'olio di noce, nelle noci, nell'insalata della varietà portulaca che ne contiene elevate quantità, nonché nelle uova, lumache e coniglio.

Per quanto riguarda le catene lunghe carboniose la fonte principali sono i pesci

 

pesce

grammi

di dha

ogni 100 g

sgombro

2,3

aringa

1,5

salmone

0,8

storione

0,7

trota

0,5

rombo

0,4

merluzzo

0,3

nasello

0,25

sogliola

0,2

persico

0,15

 

I prodotti di origine animale (carni rosse e bianche, salumi, pollame, pesce, uova, latte e latticini) costituiscono la principale fonte di vitamine, a eccezione di quelle C, E, K; per la B12 essi rappresentano addirittura la fonte quasi esclusiva

 

 

Vitamina

Malattia

principale

collegata

al deficit

Sintomi

 

 

dige

stivi

cute/

muc

ose

ocu

lari

neuro

musc.

psi

chia

trici

car

dia

ci

san

gue

ossa

A

Xeroftalmia

 

X

X

 

 

 

 

 

D

Rachitismo

 

 

 

 

 

 

 

X

E

Degenerazione

neuromuscolare

 

 

 

X

 

 

X

 

K

Emorragie

 

 

 

 

 

 

X

 

B1

Beriberi

 

 

 

X

X

X

 

 

B2

Dermatosi

 

X

X

 

 

 

 

 

PP

Pellagra

X

X

 

 

X

 

 

 

B5

 

X

X

 

X

 

 

 

 

B6

 

 

X

 

X

 

 

X

 

B8

 

X

X

 

X

X

 

 

 

B9

Anemia

megaloblastica

 

 

 

 

 

 

X

 

B12

Anemia

perniciosa

 

 

 

X

X

 

X

 

C

Scorbuto

 

X

 

 

 

 

X

X

 

 

 

I 10 effetti negativi della pornografia sulla vostra psiche, il vostro matrimonio e la vostra vita sessuale

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[Quella che segue è la traduzione di un post su un sito USA dedicato agli aspetti psicologici e affettivi del matrimonio]

 

Le persone che pensano che la pornografia sia innocua e semplicemente "diverta" o "distragga" le persone che hanno bisogno di una evasione o di buonumore o di alleviare lo stress di tutti i giorni semplicemente ingannano se stesse. I processi chimici del nostro cervello sono molto complicati e delicati, e quando si comincia a perturbarli, sarà poi realmente difficile riguadagnare una sessualità equilibrata e normale.

 

  La pornografia ha come conseguenza che non sarete più eccitati sessualmente dal solo pensiero della vostra compagna

Ricordate quanto scrive Pavlov sul condizionamento dei suoi animali da laboratorio? Pavlov dava ad un cane un pezzo di carne, e prima di darglielo faceva immancabilmente suonare un campanello. In tal modo condizionava il cane ad associare il suono del campanello all'arrivo del cibo. Successivamente Pavlov faceva suonare il campanello senza dare la carne, e questo provocava la salivazione automatica del cane, anche in assenza di cibo, perché era stato stabilito un riflesso condizionato.

La stessa cosa accade quando guardiamo pornografia. La pornografia stimola i centri del desiderio nel cervello. Quando è accompagnata da orgasmo (ad es. a seguito di masturbazione) si scatena una reazione chimica che fa rilasciare ormoni. Il nostro cervello apprende ad associare l'eccitazione/desiderio sessuale con una immagine, una idea o un video piuttosto che con una persona.

Se arrivate al rapporto sessuale con la vostra futura compagna di vita senza aver guardato pornografia, gli ormoni e le reazioni chimiche avvengono quando siete per la prima volta con lei e contribuiscono a legarvi più intensamente e sessualmente a lei.

Ma se avrete speso una quantità di tempo ad insegnare al vostro cervello ad associare eccitazione sessuale e pornografia, il vostro cervello avrà perso la capacità di associare eccitamento e reazione ormonale con una persona. Per eccitarsi, sarà necessario fare delle fantasie pornografiche o guardare video o immagini. Quando si riesce ad eccitarsi, si potrebbe riscontrare che l'atto non ha provocato sensazioni intense quanto quelle della pornogrfia.

Purtroppo, avete ricondizionato il vostro cervello, e ora la vostra "salivazione" arriva per la cosa sbagliata.

 

  La pornografia danneggia la vostra libido

Da quanto detto sopra, risulta comprensibile che non poche persone che hanno fatto uso o fanno attualmente uso di pornografia non hanno virtualmente alcuna energia libidica sessuale quando si tratta di far l'amore con la propria compagna. Non è raro oggi per uno psicologo sentirsi confidare da giovani mogli ventenni: "mio marito ed io ci siamo sposati vergini, e pensavo che lui mi avrebbe desiderato sessualmente con frequenza. Ma dopo la luna di miele è tanto se facciamo sesso due volte al mese, e solo perché gli faccio pressione. Lui risponde che non è interessato". La ragione di così tante lettere potrebbe essere benissimo il fatto che il coniuge si sia dato alla pornografia.

 

  La pornografia vi rende sessualmente pigri

Nelle immagini e video pornografici le persone sono sempre e continuamente eccitate: nessuno deve fare uno sforzo per far eccitare il partner: è automatico. Non ci sono reali preliminari. In tal modo, se la vostra compagna non è automaticamente eccitata quando voi lo siete, comincerete a pensare che sia colpa sua. La pornografia suggerisce alla nostra psiche che non c'è necessità di preliminari affettivi e seduttivi nei confronti dell'altra persona. Avete inconsapevolmente adottato la mentalità del fruitore del sesso fine a se stesso con un estraneo che ha il vostro stesso desiderio: un partner prenderà il suo divertimento utilizzando l'altro, che deve soddisfarsi alla stessa maniera, senza alcun riguardo alle esigenze reciproche. E in questo modo non apprenderemo mai a sedurre l'altro o a diventare un buon amante; piuttosto avremo l'idea che l'altro sia "frigido". Questo perché il sesso puro e semplice ha a che fare con il soddisfacimento dei miei esclusivi desideri, non con la percezione dei desideri altrui o con l'intenzione di sperimentare una esperienza insieme.

 

  La pornografia trasforma il "fare l'amore" in un concetto alieno

I centri dell'eccitamento e del piacere nel nostro cervello sono programmati per associare il sesso con il piacere fisico e con una reale intimità. Ma l'intimità non esiste con la pornografia, e così i centri del nostro cervello registrano solo eccitamento. In tal modo il sesso viene associato al corpo e alle sensazioni corporee, e non all'intimità. Di fatto, l'idea di intimità non aggiunge più alcun incentivo alla vostra sessualità, anzi, "sesso appetibile" viene associato con "sesso anonimo". "Fare sesso" e "fare l'amore" sono cose legate ma non necessariamente coincidenti. Chi ha utilizzato intensivamente pornografia può avere serie difficoltà a sperimentare intimità durante il sesso, perché i centri dell'eccitamento e del piacere hanno imparato a focalizzarsi solo sul corpo.

La natura ha congegnato il sesso in modo da unire e attrarre due persone, da rafforzarne il legame affettivo. Durante l'orgasmo l'organismo è programmato a produrre ormoni che legano più intensamente le persone. Ma quando questi ormoni sono prodotti "a vuoto" la maggior parte del tempo essi smettono di avere efficacia sul consolidamento del rapporto tra due persone.

 

  La pornografia rende privo di interesse il sesso normale

Un alcolista beve alcolici per sentirsi su di giri. Ma dopo un po' il suo corpo inizia ad assuefarsi. Per ottenere lo stesso effetto, è necessario più alcol. In tal modo l'alcolista è preso in una spirale di continuo aumento del consumo o passa ad liquori sempre più forti.

La stessa cosa avviene con la pornografia. Poiché la pornografia ha insegnato al nostro cervello a focalizzarsi sul corpo, e non sull'intimità, di conseguenza l'unica via per ottenere una soddisfazione più grande o la stessa soddisfazione sperimentata le prime volte è guardare pornografia sempre più spinta. Molti di coloro che non hanno mai sperimentato la pornografia sarebbero disgustati dalla produzione pornografica corrente. Non vi si trovano ragazze nude tipo Playboy; la maggior parte dei video e delle immagini sono violenti, estremamente degradanti per la donna, sgradevoli.

Il sesso "normale" non si trova spesso nei video pornografici, e in questo modo l'utente abituale sviluppa una idea distorta di ciò che il sesso dovrebbe essere. E non di rado iniziano a voler provare le cose che vedono con il proprio partner.

Nessuno di noi è così puritano dal rifiutare "variazioni piccanti" (il famoso barattolo di nutella o il classico dildo…), ma il problema sorge quando siamo condizionati a pensare che "più è strano/spinto, più è desiderabile".

 

  La pornografia rende più difficile la tenerezza durante un rapporto sessuale

Da quanto già detto, non dovrebbe sorprendere che coloro che fruiscono di pornografia trovano più difficile esprimere tenerezza verso il proprio partner durante il rapporto. Il sesso fine a se stesso tende ad essere impersonale, affrettato, e "imposto" (nel senso che impone al partner i nostri desideri e il nostro appagamento). Non ci sono preliminari. Non c'è l'attesa dei tempi dell'altro. Si tratta unicamente di prendere ciò che ci gratifica.

Tenerezza col partner significa amore. Dare ed esprimere affetto. Ma queste cose non sono più collegate col sesso nel cervello degli utenti di pornografia. In questo modo tenerezza e sesso non vanno più insieme.

 

  La pornografia può causare eiaculazione precoce o difficoltà erettili

La fruizione della pornografia conduce all'orgasmo in tempi molto rapidi. L'utente di pornografia non sviluppa l'abitudine, necessaria nella vita coniugale, ad attendere i tempi della propria partner, perché il suo cervello è condizionato dal meccanismo: "prima ottengo il piacere meglio è".

Alcuni utenti di pornografia possono soffrire, dal lato opposto, di disfunzioni erettili, perché la stimolazione psichica di un rapporto normale non è sufficiente ad attivare i centri fisiologici del piacere e dell'erezione. In questo caso, essi possono impiegare un tempo eccessivo (anche per il partner) per arrivare all'orgasmo.

 

  La pornografia vi conduce ad un ideale distorto di partner attraente

Il sesso è preordinato per legarvi fisicamente, emozionalmente e spiritualmente alla vostra compagna. Ma se la pornografia ha scombinato i meccanismi cerebrali di questo processo, allora il sesso viene collegato solo al corpo. E la pornografia tende a mostrarvi che solo certi tipi di corpo sono attraenti e desiderabili. L'attrazione non è più legata alla persona nel suo completto, ma piuttosto a certi tipi fisici di persone.

Se una donna acquista sorappeso, cessa in tal modo di essere attraente per l'utente di pornografia, che trova serie difficoltà ad eccitarsi, perché il suo cervello ha appreso ad associare l'eccitamento solo con un certo tipo di immagini e tipi corporei.

 

  La pornografia fa sembrare il sesso col compagno una cosa di scarso interesse

Tutti fattori di cui abbiamo parlato hanno l'effetto combinato di rendere il sesso col compagno poco appetibile. Per l'utente di pornografia non ne vale la pena: la compagna non è sufficientemente attraente; l'esperienza non è vivida come quella pornografica; e dovete fare lo sforzo di sollecitare e scambiare tenerezze con la vostra compagna quando la gratificazione della pornografia è invece immediata.

Per questa ragione, non poche persone che consumano pornografia si ritirano in una vita di masturbazione. Persino se smettono di fruire di pornografia, troveranno in seguito più appagante l'autoerotismo che il sesso di coppia.

 

  La pornografia rende egoisti

Alla fine si genera una spirale egoistica in cui la persona ignora i desideri della propria compagna e si focalizza unicamente sull'ottenere ciò che vuole per sé e sull'ottenerlo prima possibile. Questo atteggiamento può estendersi ad altre aree della relazione con la compagna, dove un partner si irrita se si deve aspettare qualche tempo per avere qualcosa dall'altro, o non si ottiene ciò che si vuole. La pornografia gli ha evidentemente venduto il messaggio: "Hai diritto alla tua gratificazione nel momento in cui vuoi tu. Non devi faticare o dipendere dalla volontà dell'altro per ottenere ciò che vuoi. I tuoi desideri vengono prima di qualsiasi altra cosa".

 

 

I 18 effetti negativi del sesso fine a se stesso sulla vostra psiche, la vostra salute e la vostra vita di relazione.

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La recente ed importante letteratura statunitense sul preoccupante fenomeno della sex addiction e dei disturbi compulsivi del comportamento sessuale che interessano un numero sempre crescente di persone, anche adolescenti, e possono condurre a gravissime conseguenze personali e sociali (si vedano in proposito i casi veramente impressionanti raccolti nella pregevole ricerca Don’t call it love coordinata da Patrick Cairnes) concorda sul fatto che il sesso, pur essendo indiscutibilmente un elemento essenziale della nostra vita che, se vissuto in modo sano, può contribuire ad arricchirla, è però un istinto estremamente potente, che può rivelare aspetti pericolosi e autodistruttivi se non gestito con equilibrio e – diciamolo pure – con cautela.

Qui di seguito viene indicata una serie di usi impropri del sesso (come strumento di gratificazione, come surrogato di legami emotivi profondi, come parodia della virilità, come mezzo di dominio, come strumento per stordirsi e sedare sentimenti di inquietudine e inadeguatezza. ecc.) e di pericoli legati a tali usi impropri.

 

  Malattie a trasmissione sessuale

Una iperattività sessuale promiscua incrementa significativamente il pericolo di malattie a trasmissione sessuale, su cui vedi l’apposito paragrafo.

 

  Gusto del pericolo

Da interviste a prostitute emerge come dato preoccupante che la richiesta tipica di una buona parte dei clienti è: a) avere rapporti vaginali ed anali non protetti; b) avere rapporti orali (baci) non protetti; c) avere rapporti orogenitali non protetti.

Di fatto, durante il tempo dell’atto sessuale si scatenano istinti geneticamente programmati alla procreazione, che spingono a livello inconscio ad eliminare le barriere alla emissione del seme.

Pure preoccupante è il basso livello di educazione sessuale delle prostitute e dei prostituti: da interviste effettuate risulta che non pochi prostituti adolescenti asiatici sono convinti di poter evitare l’AIDS semplicemente assumendo delle “pillole” non meglio identificate che sono vendute loro da farmacisti senza scrupoli come agenti preventivi del virus; non poche prostitute pensano che una semplice lavanda vaginale dopo un rapporto non protetto possa immunizzarle da infezioni e gravidanze indesiderate.

Le stesse condizioni in cui viene consumato l’atto sessuale mercenario, spesso in auto o in stanze di fortuna, rende impossibile una corretta e tempestiva igiene dopo l’atto.

 

  Promiscuità

Il sesso ha una fortissima componente fisica, legata più alla giovinezza, alla freschezza della pelle, al turgore delle labbra e dei seni e così via, che non alle caratteristiche psicologiche e alla personalità del partner. Possiede probabilmente  anche una componente legata alla “caccia” di nuovi partner.

Accrescere progressivamente l’uso del sesso nella coppia può alterare l’equilibrio tra momento affettivo e momento fisico, col risultato che, soprattutto il maschio, può cercare gratificazioni anche al difuori della coppia.

 

  Perversioni

Non c’è bisogno di leggere il celeberrimo manuale di R. von Krafft-Ebing sulle perversioni sessuali, compilato alla fine dell’Ottocento col titolo di Psychopatia Sexualis, e tuttora valido, per intuire che l’iperattività sessuale può condurre una percentuale significativa di persone ad esplorare e a trovare attraenti usi deviati del sesso. Per rendersene conto è sufficiente entrare in un pornoshop e dare un’occhiata ai titoli dei DVD in vendita: sorprendentemente, solo una parte dei titoli esposti mostrano un sesso “normale”.

A priori chi inizia a propendere per l’iperattività sessuale non può sapere come reagirà la sua psiche profonda a stimoli così potenti. Per lui il sesso potrebbe rivelarsi una strada senza ritorno verso perversioni ripugnanti, inclusa la pedofilia e la sottomissione ad umiliazioni estreme.

Anche una omosessualità latente, pur non essendo certamente una perversione, può manifestarsi come effetto di una iperattività sessuale.

 

  Stato di eccitazione maniacale

Gli studi recenti sulla sex addiction mostrano come l’iperattività sessuale provochi degli “high” neurochimici simili a quelli delle droghe, con le stesse modalità di spinta a ripetere l’esperienza.

Di fatto, era già noto da tempo che i forti innamoramenti provocano la produzione da parte dell’organismo di feniletilammine, un particolare tipo di amfetamine naturali, la cui produzione, però non dura a lungo.

Da interviste fatte a soggetti con iperattività sessuale risulta che questa li piomba in una sorta di stato maniacale permanente, alterando profondamente la loro emotività e mantenendoli in uno stato di continuo pensiero, desiderio ed eccitazione che li isola progressivamente dalla realtà, fino a farli arrivare, nei casi estremi, alla violazione della legge (pedofilia, esibizionismo ecc.)

 

  Enorme perdita di tempo ed energie

Dalle interviste a soggetti caratterizzati da iperattività sessuale emerge il tremendo ammontare di tempo e di energie che il sesso risucchia dalla loro vita privata, familiare, professionale, con effetti talvolta disastrosi sulla carriera e sui rapporti interpersonali.

 

  Perdite patrimoniali

Per una percentuale significativa di persone l’iperattività sessuale sfocia nella pratica del sesso mercenario. Da estesi studi sul comportamento tipico dei sex addicts risulta che un terzo dei soggetti osservati si orienta verso una coazione a ripetere l’esperienza del flirt; un altro terzo si rifugia in fantasie ossessive, con l’uso di materiale pornografico, e un altro terzo cade preda del sesso mercenario, con conseguenze economiche estremamente pesanti.

 

  Ripiego in se stessi

Fatalmente il sesso può trasformarsi in una ricerca ossessiva di rapporti spersonalizzati o di realizzazione di fantasie che gradualmente danneggia la capacità del soggetto di valutare la realtà, specie la realtà delle esigenze di coloro che gli sono più vicini, incluso il partner.

 

  Ostacolo alla comprensione del partner e rottura dell’armonia di coppia

Un partner che insegue le sue fantasie più spinte facilmente perde il contatto con il mondo immaginativo dell’altro partner, se quest’ultimo ha un modo diverso di vivere il sesso, ad esempio più collegato ad aspetti affettivi e relazionali.

Questo potrebbe creare una frattura, anziché un rinsaldamento nei rapporti di coppia.

Una triste testimonianza della progressiva rottura di sintonia che il sesso può provocare si può vedere nella richiesta non infrequente da parte del partner maschile desideroso di provare sensazioni nuove, che la sua compagna si prostituisca o abbia rapporti con terze persone di fronte ai suoi occhi, o acconsenta a scambi di coppie.

I frequenti litigi provocati da pretese “spinte” del partner sono un’altra dimostrazione di questo fenomeno, collegato al fatto che perdersi dietro alle proprie fantasie di piacere provoca un fatale calo di attenzione alle esigenze e alla personalità del partner.

Anche al difuori dei casi sopra citati, la richiesta di un sesso iperattivo da parte di un partner può indurre l’altro ad abbandonarlo.

 

  Incapacità di smettere, sex addiction

Recenti ricerche rivelano che la sex addiction è una sindrome da cui si guarisce più faticosamente e in un tempo più lungo rispetto ad es. all’alcolismo. Esiste il pericolo che l’iperattività sessuale possa far precipitare in comportamenti ripetitivi da cui il soggetto non è capace di uscire, specie là dove mancano strutture di sostegno.

Il dato preoccupante riguardante l’Europa è che mancano quasi completamente strutture come cliniche o gruppi di auto-aiuto o programmi di recupero gestiti dalle parrocchie di cui invece negli USA si può avvalere la persona che intende uscire dalla sex addiction.

 

  Parodia della virilità

Per soggetti di basso livello culturale le prodezze sessuali possono costituire un surrogato della “virilità”, un cliché in cui essi possono rimanere intrappolati senza via d’uscita.

 

  Strumento di gratificazione

Si è già rilevato in diverse parti di questo documento come troppo facilmente, nella nostra società, il sesso venga interpretato come strumento di gratificazione, alla stregua di una sigaretta, di un bicchiere di vino o di un buon pasto. Il consumo della pornografia esemplifica perfettamente questo uso del sesso.

Quando tale uso del sesso si combina con la esistenza di malesseri e di problemi personali da cui l’individuo vuole evadere, esattamente come nel caso dell’alcolismo, si genera una sinergia negativa che può portare all’iperattività sessuale o ad usi deviati del sesso.

 

  Perdita della capacità di focalizzarsi su unico partner

Il sesso ha comunque anche un profondo aspetto emotivo. Nel breve tempo del rapporto occasionale si manifestano sicuramente effusioni e tenerezze. Ma vivere un numero indefinito di volte sensazioni di tenerezza verso partner sempre diversi può portare alla fine ad una sorta di aridità affettiva, ad una incapacità irrimediabile di concentrarsi su un solo partner.

 

  Facile strumento di coesione

Una eccessiva enfasi sull’aspetto sessuale di un rapporto con un partner sessualmente attraente può mascherare incompatibilità di coppia più profonde, che sono destinare puntualmente a riaffiorare quanto il “collante” sessuale inizia a perdere forza.

Di fatto esistono persone dal basso potere introspettivo che non riescono a distinguere tra attrazione affettiva e attrazione sessuale.

Possiamo citare a questo proposito la divertita confessione di una attrice statunitense di straordinaria bellezza: “tutti trovano che io sia il loro tipo ideale di donna; il guaio è che io non trovo quasi mai che loro siano il mio tipo ideale di uomo”

 

  Veicolo di tendenze alla trasgressione, al dominio, alla umiliazione, all’autostima

Il sesso può facilmente divenire veicolo di tendenze alla trasgressione e all’avventura. Con molta profondità un romanziere ha scritto una volta che il sesso è la “via alla trasgressione dei poveri”, di coloro che non hanno modo di infrangere in altro modo la routine in cui sono costretti a vivere. Le forme di trasgressione sessuale possono prendere la forma molto pericolosa del sesso non protetto. E’ noto il caso di una gang giovanile di latinoamericani negli USA dove il rito di iniziazione consisteva, per le donne, nell’avere rapporti sessuali non protetti con i capi sieropositivi all’AIDS della gang.

Non di rado la conquista sessuale viene utilizzata, sia dall’uomo che dalla donna come strumento di autorassicurazione e di incremento di autostima.

Pratiche sessuali umilianti sono utilizzate come veicolo di tendenze aggressive e rancore nei confronti dell’altro sesso.

 

  Vulnerabilità

Una persona che dà eccessiva importanza al sesso è vulnerabile agli strumenti di seduzione di partner senza scrupoli.

Matrimoni amareggiati dai continui tradimenti di un partner sono spesso scaturiti dal potere che questi è riuscito ad esercitare sull’altro, inducendolo ad esempio a sposarlo malgrado chiaramente consapevole dei lati problematici della sua personalità.

Un certo numero di innamoramenti nei confronti “della donna sbagliata” è sicuramente dovuto alla incapacità di ridimensionare l’aspetto sessuale del rapporto.

 

  Conseguenze penali

L’uso del sesso mercenario, che è uno degli sbocchi possibili dell’iperattività sessuale, espone a molteplici conseguenze penali. Il sesso in auto costituisce reato di atti osceni in luogo pubblico. Una significativa percentuale di prostitute è minorenne non dichiarata. Non sono infrequenti i casi di prostitute che, oltre ai loro sfruttatori, denunciano anche i clienti allo scopo di entrare nei programmi di protezione dei testimoni ed ottenere il permesso di soggiorno nel paese straniero. Un cliente può sempre essere invitato a provare di non avere avuto conoscenza che la donna era costretta dai suoi protettori e in caso non vi riesca (ad esempio perché erano evidenti segni di percosse, tagli o bruciature) diviene complice nel reato di sfruttamento della prostituzione e riduzione in schiavitù. Incaute proposte in locali come bar, discoteche o nights possono condurre ad una denuncia di tentata induzione alla prostituzione. Le zone di commercio del sesso sono normalmente videosorvegliate e pattugliate da poliziotti in borghese e soggette a molteplici divieti (di sosta, di fermata, ecc.) che portano a frequenti contestazioni di contravvenzioni. Non poche questure contestano al cliente che riporta la prostituta in strada il reato di favoreggiamento della prostituzione. Litigi sul compenso per le prestazioni possono condurre a denunce per estorsione e rapina da parte della prostituta. Alcune donne adescano i clienti a scopo di rapina, facendosi condurre in luoghi isolati dove è in attesa un complice armato, o tentano comunque di rubare al cliente portafogli, telefonini ecc. Come faceva notare Enzo Biagi in un suo divertente articolo su Panorama, l’uso delle camere di albergo comporta l’obbligo di dichiarare le generalità, generalità che l’albergatore è obbligato a fornire il mattino dopo alla Questura, che dispone così di una specie di mappa aggiornata delle “irrequietudini notturne”. Night-clubs e locali di scambio di coppie sono oggetto di controlli periodici delle forze di polizia che mantengono elenchi aggiornati di tutti coloro che li frequentano. Molte indagini prematrimoniali vanno a ricercare queste registrazioni, attraverso le quali si ha un mezzo semplice e veloce per documentare i trascorsi poco onorevoli di un partner. Non poche prostitute sono invitate dalla polizia a fornire informazioni, numeri di telefono e dettagli riguardanti coloro che le frequentano. Recenti vicende giudiziarie mostrano che quando polizia e magistratura conducono indagini su casi di sfruttamento della prostituzione nella forma di “case chiuse” (vietate dalla legge Merlin) i clienti sono come minimo videofilmati e interrogati. Regolarmente, nel mondo della prostituzione, si verificano episodi di grave violenza (rapine, stupri, omicidi, persino seriali) che rischiano di coinvolgere tutti coloro che hanno avuto rapporti con le vittime. Il sex addict alla ricerca di sensazioni sempre più forti può voler sperimentare il sesso con donne sempre più giovani, fino ad arrivare alle prostitute diciottenni, per poi essere tentato di fare sesso mercenario con minorenni, incorrendo così nel reato di induzione alla prostituzione e atti di libidine su minorenne.

Ma tralasciando il sesso mercenario, conseguenze penali sono sempre in agguato. Il soggetto iperattivo può incorrere nei reati di schiamazzi notturni, esibizionismo, molestie, violenza sessuale (è sufficiente che il partner mostri lividi, abrasioni o sanguinamenti e dichiari di essere stato intimidito dal partner perché si disponga un accertamento penale), uso di sostanze detenute illegalmente durante l’atto sessuale (a parte sostanze come cocaina o anfetamine, il Viagra acquistato su internet senza ricetta medica è illegale, così come il testosterone, o le capsule di nitrito di amile o “poppers”, usate dagli omosessuali per favorire la dilatazione anale, oppure l’ossitocina, sostanza utilizzata per il parto e l’allattamento che ha effetti afrodisiaci). Il codice penale italiano contempla ancora il reato di “contagio di sifilide e blenorragia”, e a termini del codice civile colui o colei che dimostri di essere stato infettato dal partner può chiedere il completo risarcimento dei danni morali e materiali. Gli studi sui sex addicts rivelano addirittura un aumento significativo della possibilità di fare incidenti stradali dovuti a distrazioni del soggetto che guarda ai margini della strada, legge riviste o mappe stradali, telefona ecc.

Le possibilità di subire ricatti, ben note nel caso di frequentazioni omosessuali, non sono tuttavia infrequenti neanche nel caso eterosessuale. Incontri sessuali in night o alberghi possono essere filmati illegalmente. Qualsiasi avvocato civilista può confermare che non è infrequente il caso che il padrone di casa o il riparatore si trovi a fronteggiare denunce di molestie e abusi sessuali montate al fine di non pagare il canone di affitto o il compenso pattuito. Il famoso scrittore Frederick Forsyth, noto per la sua scrupolosa accuratezza documentaria ed aderenza al vero, in una raccolta di racconti brevi descrive in modo molto efficace e realistico un caso di ricatto sessuale che termina con un omicidio. Periodicamente, videofilmati amatoriali, spesso realizzati con telefonini, finiscono su internet o addirittura in commercio come videocassette (un caso clamoroso ha scosso la città di Perugia nel 1993) ad insaputa o contro la volontà dei protagonisti.

 

  Conseguenze sociali

In ambienti conservatori o comunque rispettosi di principi cattolici e in generale religiosi o etici, l’iperattività sessuale danneggia gravemente l’immagine sociale del soggetto e le sue possibilità di trovare un partner onesto e valido per il matrimonio. Per non parlare delle rotture di matrimoni che frequentemente seguono a tali comportamenti.

 

 

Quali sono le principali e più gravi malattie a trasmissione sessuale? Cosa posso fare per evitarle? Quali sono le vaccinazioni e gli accorgimenti più importanti?

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●  Candida

La Candida albicans è un fungo generalmente responsabile delle forme più frequenti di vaginiti. Tuttavia l’infezione può essere provocata anche da altre specie di Candida e dalla Torulopsis glabrata, il lievito più comune dopo la Candida.

Si può trasmettere con contatto sessuale con partner infetto  (per ragioni anatomiche la Candida è più frequente nelle donne che negli uomini).

I sintomi sono più evidenti e fastidiosi nella donna che nell’uomo, che a volte è infetto senza neanche saperlo.

Nella donna i sintomi tipici sono: leucorrea (perdite biancastre e di una consistenza simile al latte cagliato), intenso prurito accompagnato talvolta da gonfiori alla vulva e dolori durante i rapporti (dispareunia). Spesso le infezioni si estendono all’esterno, provocando vulvo-vaginiti. IN questo caso il prurito è talmente fastidioso che a forza di grattarsi le donne si autoprovocano lesioni intorno alla vulva.

Nell’uomo si ha prurito, eritema e una sensazione di bruciore al pene.

●  Citomegalovirus

Si tratta di un virus appartenente alla famiglia degli Herpes viridae. La trasmissione si verifica per via sessuale ma non solo, attraverso saliva, urine, sperma, secrezioni vaginali e cervicali, latte materno, sangue, ma anche gli organi trapiantati.

I sintomi sono simili a quelli della mononucleosi: febbre, mal di testa, una modesta epatite, dolori muscolari. Il Citomegalovirus è anche responsabile di una quota delle mononucleosi infettive.

●  Clamidia

Si tratta di un batterio endocellulare, cioè che vive dentro le cellule, in grado di provocare infezioni vaginali e cerviciti. Il canale di trasmissione è il rapporto sessuale con partners infetti.

La Clamidia produce numerose particelle infettanti capaci di fissarsi a una cellula “ospite” che le fagocita. Una volta all’interno della cellula, ognuna di questa particelle si trasforma in una più grande, che acquista capacità di dividersi. Ed ecco che, quindi, l’infezione si estende a macchia d’olio, interessando un numero sempre maggiore di cellule.

Negli Stati Uniti, secondo i Centers for Disease Control, la metà delle donne sessualmente attive si ammala di clamidia entro i 30 anni.

Molto spesso questo tipo di infezione non provoca disturbi, a parte lievi perdite bianche, che il più delle volte passano inosservate. Possono comparire anche secrezioni gialle o verdi raccolte sul tampone cervicale. E’ proprio la mancanza di sintomi che la rende più pericolosa: perché, quando finalmente si manifesta chiaramente, l’infiammazione non interessa più solo la vagina o la cervice, ma si è estesa a tutto l’apparato genitale, specie le tube.

Talvolta l’infezione da Clamidia si accompagna a quella da Gonococco (gonorrea) il che rende ancora più difficile la sua diagnosi, in quanto i suoi deboli sintomi vengono ulteriormente mascherati. Negli uomini, poi, questa infezione è spesso del tutto sconosciuta.

Il 75% delle donne e metà degli uomini affetti da chlamydia non si curano, ma se trasmessa alla partner femminile essa può renderla infertile.

Nell’uomo l’infezione da Clamidia è causa del 50% delle uretriti non gonococciche. I sintomi sono: disuria (difficoltà a urinare) accompagnata da scarsa o moderata secrezione chiara o biancastra. L’uretrite da Clamidia si manifesta dopo un periodo di incubazione fino a tre settimane. Non mancano i casi di uretrite asintomatica.

Sempre nell’uomo la Clamidia causa la maggior parte di quei disturbi definiti “epidimiti idiopatiche” (infiammazione dell’epididimo, formazione allungata posta sopra il testicolo) che colpiscono principalmente gli uomini giovani. L’epididimite da Clamidia provoca dolore unilaterale allo scroto, gonfiore e febbre. La proctite, ossia una infiammazione del retto, può invece colpire gli omosessuali con dolori, sanguinamento dal retto, secrezioni e diarrea.

Nella donna le conseguenze più frequenti sono le cerviciti, a volte asintomatiche, altre volte l’area della cervice è gonfia e arrossata e facile al sanguinamento. Altra conseguenza femminile è rappresentata dall’uretrite, che però nella maggior parte dei casi non manifesta disturbi della minzione. La Clamidia può provocare una infiammazione dei dotti del Bartolini. Quando la Clamidia si diffonde dalla cervice attraverso la cavità dell’utero provoca una endometrite (infiammazione dell’endometrio, membrana che tappezza le pareti dell’utero) e da qui può raggiungere le tube di Falloppio, dando luogo ad una salpingite che può danneggiare le tube al punto tale da rendere impossibile la gravidanza. La Clamidia può anche provocare una infiammazione del basso ventre, con dolore spesso associato ad una cervicite con perdite mucopurulente. Se infine l’agente finisce in circolo nel sangue si possono avere anche epatiti, artriti e polmoniti.

●  Donovanosi o Granuloma venereo o Granuloma inguinale

Infezione batterica a trasmissione sessuale causata dal Calymmatobacterium granulomatis, un batterio gram-negativo.

E’ abbastanza rara nei paesi industrializzati, mentre è molto frequente nei paesi in via di sviluppo e in particolare nelle regioni tropicali e subtropicali. E’ solo moderatamente contagiosa.

Produce, nel retto e nella vagina, dei noduli duri che successivamente si ulcerano lentamente, producendo altri noduli e conseguenti ulcere. Queste lesioni sanguinano con facilità ma si ingrandiscono lentamente. Le parti più colpite sono i genitali, l’inguine e la regione perineale.

●  Epatite A

La trasmissione è oro-fecale: a rischio sono le pratiche sessuali che prevedono il contatto bocca-ano.

A differenza delle altre malattie sessualmente trasmesse l’infezione determina un’immunità duratura e la persona infetta è contagiosa per un periodo di tempo abbastanza breve.

Il periodo di incubazione è abbastanza breve, dopodiché i sintomi compaiono all’improvviso. Perlopiù si tratta di febbre, occhi gialli, mal di testa, dolori muscolari, accompagnati da mancanza di appetito, nausea, vomito e diarrea.

Non esiste una cura definitiva e in genere l’epatite guarisce da sola con l’aiuto di gammaglobuline.

●  Epatite B

Si trasmette attraverso il sangue e i suoi derivati, lo sperma, le secrezioni vaginali e la saliva. I principali fattori di rischio sono i rapporti anali e la promiscuità sessuale, cioè il fatto di avere molti rapporti sessuali con partners diversi.

Può trasmettersi facilmente tramite microferite che la dilatazione e lo sfregamento degli organi sessuali frequentemente provoca, ovvero da ferite aperte nella bocca o in altre parti del corpo esposte al contatto.

Circa il 6% delle persone infette sviluppa un’infezione cronica del fegato e, di queste, una su 4 muore di epatopatia.

Se la donna è infetta, il virus è presente in quasi tutti i suoi fluidi corporei: si potrebbe contrarre questa malattia potenzialmente fatale anche col semplice uso dello spazzolino da denti della partner.

●  Epatite C

Si sa ancora molto poco riguardo i mezzi di contagio di questa malattia, che potrebbero essere simili a quelli dell’Epatite A. Recenti ricerche mostrano che la percentuale di trasmissione dell’Epatite C per via sessuale sia molto bassa e non superi il 6%.

Il periodo di incubazione va da 2 a 15 settimane. I sintomi comprendono una profonda debolezza, inappetenza, a volte nausea dopo aver mangiato, cattiva digestione, mal di stomaco, dolore al fegato simile a trafitture, occhi gialli. Nessun sintomo viene invece avvertito ai genitali. La fase acuta della malattia può trasformarsi in un’epatite cronica oppure in una cirrosi epatica, cioè in un lento deterioramento del fegato provocato dalla graduale cicatrizzazione interna dei suoi tessuti (fibrosi). Queste alterazioni rendono il fegato sempre meno in grado di svolgere le sue funzioni. Ecco che quindi può comparire un’insufficienza epatica che dannegga le cellule del fegato; quando queste cellule sono molto danneggiate il fegato non riesce a sostituirle e queste si trasformano in aree fibrose. A lungo andare questo determina la cirrosi, che è una insufficienza epatica seria, che compromette le capacità depurative del fegato, fa aumentare la bilirubina nel sangue.

●  Funghi

Lenzuola poco pulite (es. in stanze di albergo frequentate utilizzate come luoghi di prostituzione), e la stessa pella di partner malati o poco puliti possono ospitare colonie fungine come ad es. la pitiriasi, che, in presenza di sudore e sfregamento aggrediscono facilmente la pelle.

●  Gardnerella vaginalis

Bacillo che provoca una infiammazione della vagina infetta, con sintomi di solito meno intensi rispetto alle vaginiti classiche. Se trascurata, può rendere i rapporti sessuali dolorosi e creare difficoltà per il concepimento.

La sua presenza è stata riscontrata anche in partners maschi di donne infette.

●  Gonorrea

Chiamato volgarmente “scolo”, provoca perdite di muco e notevoli bruciori e dolori durante la minzione, perché favorisce la formazione di piaghe all’interno dell’uretra.

E’ comune soprattutto tra donne adolescenti e 20-25enni.

Negli uomini è stata collegata all’epididimite (una dolorosa infezione dei testicoli) e ai disturbi alla prostata. Viene curata con massicce doti di un potente antibiotico (ciprofloxacina) utilizzato anche nella cura dell’antrace.

●  Herpes genitale

E’ una delle malattie a trasmissione sessuale più diffuse, in costante crescita tra gli adolescenti, l’herpes genitale ha una sintomatologia più grave di quello labiale e, anche se i suoi sfoghi sono curabili, come malattia virale, non è estirpabile.

I preservativi potrebbero essere inutili, perché la trasmissione può avvenire con qualsiasi contatto con la pelle infetta, anche oltre l’area coperta dal lattice, se il rapporto avviene mentre il partner ha uno sfogo di herpes.

L’herpes genitale ha pesanti conseguenze sul piano dei rapporti personali. Normalmente le donne rifiutano di fare sesso con un partner che sanno avere l’herpes. La convivenza con un partner che ha l’herpes genitale è meno serena e più difficile che non quella con un partner sano, per la continua necessità di prendere precauzioni che evitino di contrarre l’infezione.

La probabilità di contrarre herpes genitale da un rapporto non protetto è di 1 su 9.

●  Herpes labiale

Qualsiasi dermatologo può confermare che è sufficiente un semplice bacio sulla guancia da parte di un soggetto con micropustole aperte ai lati della bocca (non sempre facilmente rilevabili) a trasmettere l’HPV di tipo A, che si insedia nelle mucose orali e non è più estirpabile.

●  HIV

In Italia, dal 1982 al 2002 sono stati registrati circa 50.000 casi di AIDS; le donne sono circa 10.000 e hanno un’età media di 31 anni.

Non esiste ancora una cura definitiva. La caratteristica più preoccupante dell’AIDS è che il periodo di incubazione del virus con mancanza di rilevabilità ai tests è di circa sei mesi. Questo vuol dire che nessuno può essere ragionevolmente certo, a seguito di un controllo mediante il test ELISA o Western Blot, di non essere un portatore del virus. L’HIV si può contrarre anche facendo sesso orale o scambiandosi baci intensi.

●  Infezioni intestinali

Diverse sono le cause delle infezioni intestinali sessualmente trasmesse, ma tutte sono riconducibili a rapporti sessuali anali. In particolare possono essere provocate dai seguenti microrganismi: Clamidia trachomatis, Neisseria gonorrhoeae, Treponema pallidum, Herpes virus simplex, Papilloma virus.

La proctite (infiammazione del retto) provoca costipazione, fastidio e dolore rettale, feci miste a sangue, secrezione purulenta dal retto.

La proctocolite (infezione del tratto superiore del retto) dà, in aggiunta ai sintomi della proctite, colite, diarre, crampi e febbre.

L’Enterite (infiammazione dell’intestino nei tratti del duodeno, digiuno e ileo) dà diarrea, dolori addominali, gas addominali e secrezioni mucose.

●  Linfogranuloma venereo

Si verifica più di frequente verso i 30 anni; è una malattia del tessuto linfatico, in quanto la diffusione dell’infezione avviene attraverso i linfonodi nei tessuti circostanti. In genere gli uomini sono più colpiti delle donne in un rapporti di 5 ad 1. E’ una malattia cronica, caratterizzata da una serie di manifestazioni, alcune acute, altre tardive.

E’ provocato da una delle tre sierovarietà della Clamidia trachomatis, presenti soprattutto nei paesi subtropicali. Molto probabilmente le clamidie penetrano nell’organismo attraverso abrazioni o lacerazioni.

L’infezione avviene di solito in occasione di rapporti anali passivi non protetti.

Nella prima fase, dopo circa 12 giorni, appare una piccola papula (macchia rossa) a livello dei genitali oppure una piccola ulcera. Queste lesioni guariscono rapidamente.

Nella seconda fase si ha un ingrossamento dei linfonodi, co febbre e altri disturbi generali. Dopo un periodo di incubazione che varia da 10 a 50 giorni fino a 4-6 mesi, compare un bubbone unilaterale che si presenta come una massa dura e dolente destinata ad aumentare di volume nell’arto di una o due settimane. Trascorso questo tempo la pelle del bubbone diventa rossastra e si lacera. Altri sintomi sono febbre e fuoriuscita di pus, che può durare qualche mese e la comparsa di ferite e restringimenti del retto, dell’orifizio anale e della vagina.

Nella terza fase la circolazione linfatica risulta compromessa dalla presenza di fibrosi che finisce per ostruire i vasi linfatici. La fibrosi compromette anche l’afflusso di sangue alla pelle e alle mucose. Entro breve tempo i microrganismi si diffondono nel torrente circolatorio linfatico e possonopersino entrare nel sistema nervoso centrale.

●  Mollusco contagioso

Piccole punte rosse intorno alle parti intime del partner possono essere una eruzione cutanea del virus del mollusco contagioso, estremamente infettive per contatto, che provocano la crescita di escrescenze che vanno estirpate ad una ad una con apposite pinzette taglienti (“curette”)

●  Mononucleosi

Detta anche “malattia del bacio”, per la facilità con cui la si può contrarre con un semplice contatto delle mucose orali, provoca uno stato protratto (anche per mesi) di debilitazione fisica

●  Papilloma virus umano. Condilomi genitali.

Qualsiasi tecnico di laboratorio può confermare che le lesioni tissutali provocate dal papilloma virus sono impressionanti: al microscopio i tessuti appaiono simili a quelli cancerosi fino al punto di essere quasi indistinguibili per un occhio non allenato. In un certo numero di casi le lesioni evolvono in un cancro vero e proprio, ad esempio al collo dell’utero.

Il papilloma virus provoca condimoli genitali: formazione di creste cornee dolorose all’interno della vagina e dell’utero.  La maggior parte delle donne portatrici di uno dei virus che provocano i condilomi genitali non sa nemmeno di essere infetta. In molte donne le infezioni sembrano temporanee e il sistema immunitario elimina il virus prima che possa provocare complicanze mediche (come il cancro della cervice).

In un campione casuale, addirittura il 46% delle donne sotto i 25 anni può essere Hpv-positivo. Esattamente come per l’herpes, i preservativi proteggono solo quello che coprono.

In quanto virus, è inestirpabile. Può essere tenuto sotto controllo con esami periodici e periodica abrasione (viene utilizzato anche il laser) delle creste (che si riformano).

●  Pediculosi

Malattia a trasmissione sessuale (e non solo) provocata da parassiti che vivono sulla superficie del corpo: i pidocchi del pube e le cosiddette “piattole”.

I pidocchi del pube si trasmettono per scambio diretto di oggetti personali o per contatto.

●  Scabbia

Malattia infettiva caratterizzata da lesioni cutanee pruriginose. Il contagio può avvenire sia attraverso i rapporti sessuali che per contatto diretto. La scabbia è provocata da un acaro, il Sarcoptes scabiei. La femmina dell’acaro scava piccoli cunicoli nello strato corneo dell’epidermide, che è quello più superficiale, fino ad arrivare al limite dello strato granuloso. In essi depone le uova che si schiudono dopo 10 giorni. La vita media dell’acaro è 10 giorni.

●  Sifilide

La sifilide ha un’evoluzione progressiva che nella fase terminale attacca il cervello. La cura deve essere tempestiva: entro un anno dalla infezione (sono sufficienti dosi ridotte di antibiotico), altrimenti diviene progressivamente più difficile e di esito più incerto e si deve ricorrere un massiccio impiego di penicillina.

Le statistiche dimostrano che chi fa sesso con persone conosciute in chat corre un rischio molto maggiore di contrarre la sifilide rispetto a chi conosce le proprie partner ad una festa o in discoteca.

●  Trichomonas vaginalis

Parassita che provoca irritazione ed emissione di pus dal pene. Negli USA colpisce circa 5 milioni di persone all’anno.

●  Ulcera molle

Malattia caratterizzata da un bubbone che si forma a livello inguinale, dovuto a infezione da Haemophilus ducreyi, un batterio gram-negativo. Colpisce più gli uomini che le donne, in particolare i maschi non circoncisi. Le donne sono spesse portatrici della malattia, in quanto le loro lesioni non impediscono la possibilità di avere rapporti sessuali.

●  Uretrite

E’ un’infiammazione che interessa l’uretra, il canale che conviglia l’urina dalla vescica fino all’esterno. E’ caratterizzata da disturbi della minzione, secrezioni e prurito.

Le cause di uretriti possono essere diverse. Si ha una uretrite gonococcica e non gonococcica, provocata da agenti come la Clamidia trachomatis, l’Ureaplasma urealyticum, il Trichomonas vaginalis, i miceti (funghi) in generale e l’Herpes simplex.

 

ecco cosa raccomanda isadore rosenfeld sull'herpes

 

Un giorno di qualche mese fa irruppe tutto agitato nel mio studio uno dei miei pazienti, un operatore di borsa di quarant'anni, spo­sato e di solito in buona salute. « Devo vedere immediatamente il dottore! » insisteva. Non aveva telefonato in anticipo per fissare un appuntamento, come è la prassi da me eccetto che in casi di emergenza, ma la mia segretaria lo conosceva .e. sap~va che e~a un tipo tranquillo e quadrato, abbastanza tradìzlonalìsta, ch~ In genere si teneva le proprie emozioni per sé. Questa manìfestazione emotiva in pubblico era quindi decisamente fuori carattere.

« Il dottore al momento è impegnato con un paziente e ne avrà ancora per qualche minuto, ma se prova dolori o le manca il fiato lo chiamo subito.»

« No» rispose l'uomo. «Niente di tutto questo... ma si tratta lo stesso di un caso d'emergenza. Non potrebbe infilarmi tra que­sto paziente e il prossimo? »

Qualche minuto dopo questo paziente turbatissimo fu introdotto nel mio studio. Subito venne al dunque, saltando le solite forma­lità. « Dottore, sono nei guai e in guai grossi. Un paio di settimane fa sono andato a Boston per partecipare a un seminario sugli in­vestimenti. BIanche non è voluta venire con me. Era un viaggio troppo breve per lei e poi Boston non le. piace. Senta, non. sta~ò a menare il can per l'aia. lo mi trovavo m albergo. Il semmano era finito ed ero al bar per rilassarmi con un drink quando mi si siede accanto una tizia molto carina che comincia a parlare. Era un tipino ben vestito. proprio di classe. ~osì salt~ fuori che lei. si trovi! in città per un paio di giorni. Mi dice che e la responsablle degli acquisti di un grande magazzino o roba del genere.

« E io mi comporto da stupido. Non sapevo niente di lei, non avevo neppure ragione di chiacchierare con lei. Mi creda, dottore, non sono di solito il tipo che abborda le sconosciute. Ma proba­bilmente avevo bevuto troppo. E poi quella sembrava avermi dav­vero preso in simpatia. Sa, è una cosa molto eccitante dopo tanti anni di matrimonio. Non che intenda lamentarmi di BIanche, badi bene, niente del genere. Comunque sia, io abbocco come un pescio­ne. Poi una cosa tira l'altra e .. : e be', ecco dottore, adesso mi trovo con questa fiacchetta proprio lì in quel posto. Sono sicuro che si tratta di herpes. E non andrà più via. Dicono che l'herpes dura "per sempre". Mio Dio, come farò adesso a spiegarlo a BIanche? Qui è in gioco il mio matrimonio, dottore. Mi aiuti. Le dica che l'ho preso dal sedile di una toilette o da un asciugamano dell'albergo. Le dica che le capita in continuazione di vedere pa­zienti che prendono l'herpes da contatti non sessuali. Le dica tutto quel che vuole, dottore, ma per favore mi aiuti.»

Poiché capivo bene il suo panico, cercai di calmarlo un poco. Gli assicurai che esistono molte .malattie trasmesse per via sessuale e anche che ci sono altre cause di ulcerazioni che non hanno nulla a che fare con l'herpes.

Quando esaminai quella che aveva sul pene, notai che non gli pro­curava dolore. In realtà a me sembrava piuttosto un segno di sifilide, ma non potevo esserne certo. Da quando esercitavo era parecchio tempo che non mi capitava un caso di sifilide primaria. Così lo mandai immediatamente da uno specialista di malattie infettive e chiesi per conferma un test di illuminazione in campo scuro, in cui la spirocheta, cioè il microrganismo che provoca la sifilide, può es­sere esaminata direttamente al microscopio. (L'esame del sangue per la sifilide, il Vdrl, infatti potrebbe anche non risultare positivo quando il male si trova ai primissimi stadi.) Nel giro di qualche minuto il collega mi richiamò e mi confermò che si trattava proprio di sifilide.

Ora non è passato motto dai tempi in cui quando si diceva a un paziente che aveva la sifilide lo si faceva sentire colpevole e pieno di vergogna e di preoccupazione. Adesso però è diverso, anche perché sulla scena è comparso l'herpes e soprattutto l'Aids.

Così comunicai la notizia al mio paziente, pronto a dargli tutto il mio sostegno morale, ma non fu affatto necessario. « Grazie al cielo si tratta solo di sifilide» esclamò questi e con un sorriso, adesso che si sentiva rincuorato, si piegò per ricevere la prima inie­zione intramuscolare di penicillina .

«"Reparto acquisti" diceva quella bambola, eh, dottore? Ma avrebbe dovuto presentarsi come venditrice, non come acquirente! »

Ma perché il mio paziente si senti cosi sollevato quando scopri di avere la sifilide e non l'herpes? Perché la sifilide è curabile per­fettamente se si fa per tempo la corretta diagnosi e si somministra la penicillina nel dosaggio appropriato. Naturalmente la sifilide non cu­rata rimane potenzialmente fatale. ~ un male che può colpire quasi ogni organo del corpo, ma se colpisce il cervello può portare nel giro di qualche anno alla follia.

II nostro amico operatore di borsa aveva ragione: fino a oggi al­meno, l'herpes è a vita. Una volta infettati, non si sa quando capi­terà il prossimo attacco. E questo non ha nulla a che fare con nuove esposizioni al male. Anche se dite addio al sesso per il resto della vostra vita e scegliete invece la strada delle docce gelate, soffrirete comunque di ricorrenti infezioni erpetiche. Questo perché una volta che il virus dell'herpes penetra nel vostro corpo con l'infezio­ne iniziale, non se ne andrà più.

Di solito il decorso clinico è questo. Prima c'è un contatto ses­suale con qualcuno che è già contagiato. (Lasciate perdere i sedili delle toilette e tutte queste sciocchezze. Potete ricorrere a questi true­chettì per sottrarvi ai sospetti di un coniuge furioso, ma non crede­teci neanche per un secondo.) Poi, qualche giorno dopo, trovate una o più ulcere dolenti nel punto in cui il virus è penetrato nel corpo: di solito i genitali o il retto, a seconda delle vostre particolari pre­ferenze sessuali. Dopo dieci·quattordici giorni di disturbo locale, le lesioni della pelle scompaiono, ma la cosa non finisce qui. II virus che ha provocato l'infezione elegge residenza in qualche altro punto del corpo e dalla pelle risale lungo una fibra nervosa fino a raggiun­gere il ganglio nervoso o il corpo cellulare vicino al cordone spinale dove ha origine la fibra. Qui si ferma per un periodo imprevedibile di tempo - tre settimane, quattro mesi, sei mesi - impossibile dire quanto. Poi quando gli gira, o quando vi trovate sotto stress, o siete incinta O avete qualche infezione. il virus ritorna sui suoi passi lungo la fibra nervosa e riappare nel punto in cui era inizialmente penetrato. E allora, ecco che ricompaiono le uIcerazioni. Cosi il virus continua il suo percorso ad altalena, su e giù, su e giù ... all'In­finito.

Nella maggior parte dei casi, l'herpes è solo una seccatura, uno stigma una fonte di imbarazzo sociale. Ci sono però anche alcune eccezioni. Per esempio può provocare l~ meningite, una malattia che può essere mortale. Nelle donne, può predisporre al cancro della cervice. Ecco perché le donne affette da herpes 'dovrebbero sottoporsi a un Pap test almeno una volta all'anno. E c'è un cin­quanta per cento di probabilità che, partorendo quando ha un'eru­zione erpetica vaginale in piena fioritura, la donna infetti il bam­bino, per il quale l'herpes potrà creare una miriade di problemi che vanno dalla cecità alla morte. Ma anche se l'eruzione non è visibile. ma si sa che la madre ha contratto in passato l'herpes, il piccolo corre ugualmente dei rischi. Perciò, se rimane incinta una donna affetta da herpes, attivo o in fase di remissione, è bene che questa informi il ginecologo, il quale potrà consigliare un taglio cesareo. E se non c'è la certezza che l'ulcera comparsa mesi prima nella zona vaginale fosse herpes, e nel frattempo la donna è rimasta incinta, c'è un nuovo test in grado di diagnosticare questa infe­zione. Tale esame è molto preciso e i risultati si possono avere nel giro di due giorni.

Negli individui la cui resistenza è in generale bassa - come per esempio coloro che dopo un trapianto di organi ricevono farmaci immunosoppressivi per prevenire il rigetto, i pazienti cancerosi in chemioterapia o omosessuali affetti dal sarcoma di Kaposi (la ma­lattia che spesso accompagna l'Aids) ._ l'infezione erpetica, invece di presentarsi sotto forma di ulcere nel punto di contatto, può essere disseminata per tutto il corpo con conseguenze che possono rive­larsi anche fatali.

L'infezione erpetica a cui mi sono finora riferito è provocata dal virus dell'herpes simples, di cui ci sono due tipi, l e 2. Il tipo 1 che in genere si acquisisce in modo del tutto « innocente» colpisce la bocca, gli occhi, le labbra e la pelle al di sopra della vita. Il tipo 2, invece, è la forma erpetica genitale, che colpisce al di sotto del­l'ombelico. Con tutte le varianti sessuali esistenti oggi, troviamo un sempre maggior numero di herpes di tipo l là dove dovremmo tro­vare il tipo 2 e viceversa. Se può servire da conforto, aggiungerò che ci sono indizi che fanno ritenere che quando un'infezione di tipo l colpisce sotto l'ombelico, essa non sarà probabilmente cosi grave come un'infezione di tipo 2. E il tasso di ricorrenza del tipo l è decisamente inferiore a quello del tipo 2.

Negli Stati Uniti il numero degli individui affetti da herpes ge­nitale si aggira almeno sui quindici milioni. Gli studi dei medici hanno visto trentamila casi di questa malattia nel 1966, duecento­sessantamila nel 1979 e oggi si documentano cinquecentomila nuovi casi ogni anno. Perciò l'herpes è veramente un problema reale e in espansione, non semplicemente una questione di isterismo dei media.

Ma può essere prevenuto? Che cosa si può fare per ridurre la fre­quenza delle ricadute e la loro gravità? E ancora, tra le « misure» che prendiamo attualmente, ce ne sono alcune che rappresentano solo uno spreco di tempo e di denaro?

Se volete sapere qual è il metodo di prevenzione assoluta dell 'her­pes, una garanzia che non potrete comunque avere, non c'è che una soluzione: l'astinenza dall'attività sessuale. Purtroppo, cosi co­me l'assenza, l'astinenza non è che renda più affettuosi i rapporti tra gli individui, né del resto è accettabile per la maggioranza degli individui o realistica.

Dopo l'astinenza, il miglior modo per ridurre i rischi di contrarre l'herpes è la prudenza. Attualmente il panico che regna riguardo malattie come l'herpes e l'Aids ha avuto il beneficio di portare a una diminuzione di sifilide, gonorrea e altre malattie trasmesse per via sessuale, perché ora gli « adulti consenzienti» stanno più attenti alla scelta dei partner. Ma ricordate che è impossibile giudicare 8 occhio se un uomo o una donna sono contagiati e pochi individui sono motivati 8 sottoporsi a un'adeguata visita preventiva quando sono presi nel vortice della passione. La malattia inoltre può essere trasmessa anche quando le lesioni non sono evidenti. Infine, se avete contratto l'herpes, non siete necessariamente al sicuro da ul­teriori infezioni, come mette in risalto il seguente racconto.

Uno dei miei pazienti, un uomo di quarantaquattro anni, aveva di recente divorziato e sua moglie, per cui lui ancora stravedeva, lo aveva lasciato per un altro uomo. Improvvisamente, mentre era sconvolto da grandi reazioni emotive, senti tutto d'un tratto una grave oppressione dietro lo sterno, cominciò a sudare profusamente e si sentì debole e in preda alla nausea. Era un attacco cardiaco. Così fu ricoverato in ospedale e se dal punto di vista puramente fisico si riprese bene, rimase emotivamente molto depresso. Quando giunse il momento di tornare a casa, mi esternò tutta la sua ansietà riguardo il futuro. « Adesso sono ritornato scapolo, ma io non ho voglia di rimare solo per sempre. Crede che sarò capace di tornare a corteggiare una donna, condurre una normale vita sessuale e rispo­sarmi? » Poiché il suo infarto era stato davvero leggero, lo rassicu­rai dicendogli che sarebbe andato tutto bene. Ma allora, direte. che cosa c'entra l'herpes in tutto questo? Be'. a quanto sembra sia lui sia l'ex moglie erano affetti da una manifestazione erpetica, per cui fintanto che vivevano insieme non c'erano stati problemi. Ma ades­so l'uomo temeva che la sua « afflizione », come la chiamava lui, in­terferisse con una nuova eventuale relazione, perché, essendo una persona per bene. non aveva alcun desiderio di contagiare qualche ignara signorina.

Qualche mese dopo l'infarto (era già tornato al lavoro e stava benissimo) gli capitò di sfogliare una rivista popolare dove trovò un annuncio che diceva: «Donna di trent'anni, aspetto gradevole, intelligente, eccetera ... eccetera ...• affetta da herpes cerca compagnia di uomo brillante ma solo, eccetera ... eccetera ... » il cui messaggio. in pratica, era questo: «Perché non ci mettiamo insieme noi due che già abbiamo l'herpes? ». Dal momento che l'idea dell'infezione l'aveva tormentato a lungo. questo annuncio l'interessò. Prese con­tatto con la giovane donna che aveva messo l'inserzione e la cosa funzionò, nel senso che in breve finirono a letto insieme. Due set­timane dopo, però, il mio paziente subì un attacco di herpes insolita­mente virulento per lui. La cosa lo stupì. C'erano forse controindi­cazioni che due persone afflitte dall'herpes avessero rapporti ses­suali tra di loro? Una volta colpiti dal virus, non si era forse im­muni dall'infezione? La risposta. gli dissi. è si e no nello stesso tempo. L'herpes simplex di tipo 1 e quello di tipo 2 sono in realtà due ceppi virali diversi che si possono distinguere solo mediante raffinati esami di laboratorio. E il fatto di essere stati contagiati da uno di essi non rende per questo immuni dall'altro. E c'è anche di più, perché con tutta la ginnastica sessuale praticata di questi tempi, non si può mai sapere con certezza se l'herpes genitale è del tipo 1. relativo alle zone basse. o del tipo 2 andato fuori strada. Cosi se avete un herpes di tipo 1 e poi avete contatti con una persona af­fetta da herpes di tipo 2. vi aspetta una doppia stangata. Come probabilmente è successo proprio nel caso del nostro amico. Ma allora, se adesso al di sotto della cintura ospita sia l'herpes di tipo 1 sia quello di tipo 2, vuol dire che è libero come un uccello e può avere rapporti con chiunque senza pericolo? Ebbene, per quanto possa sorprendervi, la risposta è ancora no, perché all'interno di ogni tipo 1 o 2 ci sono abbastanza varianti da rendere rischioso il contatto con un'altra persona affetta da herpes. E così ecco sistemati, a mio avviso, i club di erpetici e i « dating services ».

Tra l'astinenza e la prudenza c'è però il preservativo. Tra tutti i mezzi contraccettivi a nostra disposizione, il preservativo, pur non essendo neanch'esso sicuro al cento per cento, è quello che offre il maggior grado di protezione contro l'infezione genitale. (Però con­tro l'herpes non è così efficace come contro la gonorrea.) Se c'è una minima possibilità di rischio, e specialmente durante incontri fug­gevoli come quello del nostro amico a Boston, il preservativo do­vrebbe essere sempre utilizzato dal maschio e richiesto dalla sua compagna. E qualsiasi donna che abbia contratto un'infezione erpe­tica e che abbia a cuore il proprio compagno, farà bene a utilizzare una schiuma contraccettiva o un diaframma con gelatina spermi­cida ogni volta che avrà rapporti sessuali, anche in assenza di ul­cerazioni erpetiche. Come ho già detto prima, c'è un rilevante nu­mero di donne prive di lesioni visibili che continuano a seminare virus. In queste circostanze il diaframma con la gelatina e la schiu­ma contraccettiva offrono una certa protezione al compagno perché possono uccidere i virus dell'herpes.

Oggi sono in atto intensi studi scientifici diretti a trovare un vac­cino che possa proteggerei dall'herpes in modo che il contatto non porti più al contagio. Al momento in cui scrivo, si stanno svolgendo ricerche su almeno due di questi vaccini antierpetici.

Ma esaminiamo ora il decorso naturale di questa malattia. Im­maginiamo che abbiate avuto la sfortuna di contrarre l'infezione! A questo punto è ormai troppo tardi per parlare di prevenzione. Adesso i nostri obiettivi sono: 1. cercare di minimizzare la gravità dell'infezione; 2. abbreviare il periodo di contagio virale (vale a dire la durata delle ulcerazioni); e 3. prevenire o ritardare le inevitabili ricadute. Fortunatamente oggi le armi a vostra disposizione sono maggiori di quelle che avevate fino a poco tempo fa.

II più recente successo nel campo della terapia, e fino a un certo punto anche della prevenzione, è la disponibilità dell'aciclovir in forma orale. Questo farmaco, commercializzato negli Stati Uniti col nome di Zovirax", era stato inizialmente introdotto in forma endo­venosa per i casi di infezioni gravi e generalizzate. In seguito è stato seguito dalla preparazione topica e oggi può essere preso anche per bocca. A tutt'oggi si tratta del miglior farmaco per l'herpes ed ecco come funziona.

Nelle prime infezioni, l'acic1ovir orale riduce la durata della pre­senza effettiva del virus nelle ulcere da nove giorni a due; le lesioni si rimarginano in dodici giorni invece che nei sedici giorni media­mente necessari; invece dei soliti sette, il periodo di sofferenza sarà ridotto a cinque giorni; e dopo quarantotto ore le vostre probabi­lità di contrarre nuove ulcere passeranno dal sessantadue al di­ciotto per cento.

Se invece per quanto riguarda l'herpes siete ormai dei veterani, e avete sofferto di ricadute, l'aciclovir orale ridurrà le probabilità, che passeranno così dal novantaquattro al ventinove per cento, di subire un attacco entro quattro mesi dall'ultimo episodio. Ma c'è anche di più, perché qualsiasi riacutizzazione sarà di durata più bre­ve. Dovrete però continuare a prendere il farmaco, perché, se lo in­terrompete, tornate al punto di partenza. Poiché si tratta di un nuovo farmaco, inoltre, sarà bene non protrarne l'uso oltre i sei mesi, finché non saranno disponibili maggiori dati sulla sua sicurezza a lungo termine. E non prendete l'aciclovir se siete in stato di gravidanza o dovete allattare al seno. Se decidete di limitare l'uso dell'aci­clovir al trattamento delle riprese dei sintomi, prendetelo subito, non appena questi compaiono, così ridurrete notevolmente il periodo di contagio e il tempo che impiegano le lesioni a rimarginarsi, ridu­cendo contemporaneamente la tendenza alla formazione di nuove ulcere. Tenete sempre dell'aciclovir a portata di mano in modo da poter cominciare immediatamente. Se aspettate di contattare il me­dico, in particolare durante i fine settimana, e poi dovete uscire di casa per andare a comperare il farmaco, avrete perso inutilmente quarantotto ore e l'effetto sarà inoltre minore.

L'aciclovir è venduto in capsule da 200 mg; il dosaggio usuale è di cinque capsule al giorno. Se lo prendete per un attacco iniziale, dovete continuare a prenderlo per dieci giorni. Questo vi costerà circa trenta dollari, o anche più, a seconda del ricarico del farma­cista (che lo paga ventisei dollari). Per il trattamento degli attacchi ricorrenti avrete bisogno deIl'acicIovir per soli cinque giorni. Per prevenire le ricorrenze, avrete bisogno da due a cinque capsule al giorno (la maggior parte dei pazienti risponde bene a tre capsule). Ma ricordate di limitare la terapia a sei mesi. lo non mi imbarcherei certo in un regime profilattico se gli attacchi non sono ripetuti e molto forti.

Il farmaco in sé ha una buona tollerabilità, anche se alcuni pa­zienti lamentano mal di testa, disturbi intestinali, vertigini e do­lori alle articolazioni, tutti sintomi che scompaiono quando si in­terrompe la terapia.

Contro l'herpes è allo studio anche l'uso dell'interferone. I primi risultati della sperimentazione indicano che potrebbe essere utile sia nel trattamento sia nella prevenzione delle ricorrenze.

Poiché l'herpes è un problema cronico per cui, almeno fino a tempi recenti, non c'era alcuna terapia efficace, milioni di pazienti in tutto il mondo hanno sprecato sforzi, tempo e soldi con terapie inefficaci. Ecco alcuni tipi di intervento che sospetto siano inutili: vari vaccini - per il vaiolo, Bcg, per la poliomielite e l'influenza, etere applicato localmente (che può essere tossico) e cloroformio. Anche la L-lisina, un amminoacido preso per via orale, è molto po­polare tra i pazienti erpetici che mi hanno detto di «sentirsi me­glio» quando lo prendono e di non risentire di effetti collaterali. Non sono però a conoscenza di conferme scientifiche riguardo i pre­sunti benefici di questo agente.

A questo punto vi interesserà forse sapere come è andata a finire col mio paziente agente di borsa affetto da sifilide. Be', l'abbiamo curato. E abbiamo curato anche sua moglie. A quanto sembra, non si era accorto per tempo della piccola ulcera tumida I

 

 

Fate trekking nei boschi? Attenti alle zecche e al temibile morbo di Lyme

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Se progettate trekking o escursioni in boschi o foreste, anche dell’emisfero settentrionale, attenzione al temibilissimo morbo di Lyme: viene trasmesso dalle zecche, che, annidate sotto le foglie, si lasciano cadere sulla pelle dei mammiferi (bovini, animali selvatici ecc.) e trasmettono questa malattia batterica difficile da estirpare.

Fino al 20 per cento dei pazienti che non ricevono cure sviluppano l'artrite cronica che provoca difficoltà a camminare. Più raramente, la malattia può influire sul sistema nervoso causando meningite asettica, radicoloneuriti, infiammazione delle radici nervose cervicali, acufeni e paralisi di Bell. Nel terzo stadio della malattia un ristretto numero di pazienti soffre di perdita di memoria, instabilità comportamentale. Per le donne in stato di gravidanza, la malattia è ancora più pericolosa perché l'infezione può essere trasmessa al nascituro e può aumentare il rischio di aborto spontaneo. Il New York Times l’ha definita “la malattia infettiva che si diffonde più rapidamente negli Stati Uniti dopo l’AIDS”. Rapporti da altri paesi indicano che si sta diffondendo anche in Asia, Europa e Sud America. In Europa la malattia è comune in Austria, Slovenia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Le zecche portatrici del morbo di Lyme sono già arrivate nei boschi nell’Italia settentrionale, dove è presente soprattutto nel Carso, nel Trentino, nella Liguria e in minor quantità anche in altre regioni.

 

 

Non fissate troppo a lungo e troppo da vicino le telecamere di sorveglianza e i rivelatori dei sistemi di allarme.

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Se vi chiedete perché dopo un lungo tragitto in autobus, specie la sera, avvertite un bruciore agli occhi, questo potrebbe essere dovuto ai led infrarossi delle telecamere di sorveglianza ormai installate sui mezzi pubblici di molte città, che si trovano a pochi metri dalla vostra retina. Provate a piazzare l’obiettivo di un telefonino di fronte ad un telecamera di sorveglianza, ed apparirà sul display un grande punto bianco invisibile ad occhio nudo. Gli illuminatori delle telecamere sono belli potenti, possono arrivare fino a 500 watt. Certo non la cosa più consigliabile da fissare ad occhio nudo, specie la sera, quando la pupilla è dilatata e fa entrare un maggiore flusso luminoso.

Sconsigliabile anche fissare rivelatori a microonde di sistemi di allarme che sono installati ormai dovunque (uffici pubblici, banche, esercizi commerciali, locali di ditte private eccetera). Molti dei rivelatori che sembrerebbero a infrarossi passivi (cioè non emettono ma ricevono gli infrarossi del corpo umano), e quindi innocui, sono invece a “doppia tecnologia”: per evitare l’accecamento del sensore a infrarossi vi abbinano anche un mini-radar a microonde. Guardare un diodo emettitore di microonde da distanze dell’ordine di 50 cm. può portare anche al distacco della retina. Anche da distanze maggiori è opportuno non fissare il sensore.

 

 

Perché l’allattamento al seno è assolutamente preferibile al latte artificiale.

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Allattate i bambini al seno per almeno sei mesi. Riduce il rischio di incidenza di tumore della mammella per la donna che allatta, e riduce quello di obesità in età adulta per il bambino allattato.

L’allattamento al seno è la forma ideale di alimentazione per i neonati sani, nati a termine. Il latte umano fornisce infatti un apporto nutrizionale ottimo per lo sviluppo del bambino. I primi quattro-sei mesi di vita sono caratterizzati da una crescita rapida, soprattutto del cervello, e la composizione degli aminoacidi e degli acidi grassi presenti nel latte materno è particolarmente adatta a soddisfare queste esigenze. Il latte materno contiene anche agenti antibatterici e di prevenzione delle infezioni, tra cui le immunoglobuline, che rivestono un ruolo importante per lo sviluppo del sistema immunitario (i bambini alimentati artificialmente non hanno infatti lo stesso livello di difese immunitarie di quelli allattati al seno.). Il colostro (il fluido prodotto dal seno nei primi giorni dopo il parto) è ricco di proteine e ha un elevato contenuto di minerali e vitamine; contiene anticorpi, agenti di prevenzione delle infezioni, antinfiammatori, enzimi e ormoni, che favoriscono la crescita e lo sviluppo. L’allattamento al seno protegge anche dal rischio di tumore al seno per la mamma.

L’allattamento al seno è quindi benefico e consigliato per ragioni fisiologiche, psicologiche ed emozionali. L’allattamento può essere prolungato fino a quando non sia soddisfacente dal punto di vista nutrizionale per mamma e bambino, un periodo che può arrivare fino ai due anni.

 

 

Mangiate carote ma vi state accorgendo di non trarne alcun beneficio? Ecco i due errori che vi impediscono di trarne vantaggio.

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-   Primo errore: sgranocchiare le carote crude, senza cuocerle o assumerne il succo centrifugato. In questo modo non si rompono le membrane cellulari della carota e non si rende biodisponibile il betacarotene, che è il suo principale principio attivo. La cottura o la centrifugazione liberano invece il betacarotene.

-   Secondo errore: assumete le carote senza olio: essendo la vitamina A liposolubile, il suo precursore (il betacarotene) viene più efficacemente assunto con l’aiuto di olio, burro o altre sostanze grasse.

Ecco alcune altre informazioni sulle carote.

  Tra le molecole più attive nelle carote c’è il betacarotene, appartenente alla famiglia dei carotenoidi, composti molto importanti poiché base per la formazione della vitamina A. Hanno potere antiossidante: questa capacità previene diversi fattori di rischio, sia per le malattie dell’apparato circolatorio sia per i tumori (per esempio del colon). Molto studiati e dimostrati sono anche gli effetti positivi delle carote per le malattie cardiovascolari, non solo per le proprietà dei carotenoidi ma anche grazie alla fibra, discretamente presente.

  La biodisponiblità del betacarotene, cioè la sua capacità di passare dall’alimento al nostro organismo, è facilitata dalla presenza di sostanze grasse. Perciò è consigliato consumare le carote crude grattugiate e condite con olio extravergine di oliva, così da usufruire al massimo di tutte le proprietà benefiche del betacarotene e della vitamina C (che altrimenti andrebbe persa durante la cottura). Anche il succo (o centrifugato) di carote mantiene elevate tutte le proprietà nutritive e aumenta la biodisponibilità del betacarotene.

 

 

Mangiate tantissime arance? Fate attenzione, se siete predisposti ai calcoli renali.

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Chi scrive, nei periodi in cui ha bisogno di contenere le calorie per smaltire qualche chilo, ha l’abitudine di mangiare più pompelmi che arance. Questo per diversi motivi:

a) i pompelmi si trovano tutto l’anno; b) la qualità dei pompelmi si mantiene inalterata durante tutto l’anno, mentre le arance degli ultimi periodi di raccolta sono spesso immangiabili; c) potete tenere un pompelmo, anche fuori frigo, per un mese e più senza che si guasti, mentre le arance sono seconde solo ai limoni per la velocità con cui marciscono; d) il pompelmo è meno calorico dell’arancia, ha meno zuccheri che fanno aumentare il picco glicemico del sangue; e) Il pompelmo è più ricco dell’arancia di pectine, quelle preziose fibre bianche che rallentano l’assorbimento degli zuccheri e prevengono i tumori.

Il pompelmo ha tante proprietà benefiche:

-   antiossidanti: il pompelmo ha effetti antiossidanti, aiuta cioè a contrastare i radicali liberi, dannosi per l'integrità cellulare. I radicali liberi sono attivati dall'inquinamento, dal fumo, dalle radiazioni, dallo stress fisico e mentale. Questo prezioso agrume contiene molteplici antiossidanti, tra i quali la naringenina, utile per contrastare patologie metaboliche come il diabete e l’ipercolesterolemia. In particolare, mentre il pompelmo giallo contiene vitamina C, potente antiossidante in grado di contrastare raffreddore e d influenza, il pompelmo rosso contiene antociani e licopene protettivi della circolazione, anti-diabetici e preventivi dei tumori.

-   calorie: un pompelmo contiene solo 26 kcal per 100 g di prodotto; bastano 20 minuti di semplice camminata per consumare l’energia introdotta con un frutto di circa 200 grammi.

-   digestivo e disintossicante: il pompelmo stimola la secrezione dei succhi gastrici e biliari avendo quindi proprietà digestive ed aperitive. E’ inoltre un frutto altamente disintossicante, che ha il potere di eliminare dai liquidi interni (soprattutto la linfa) le sostanze di scarto senza lasciare fiacchi e indeboliti, come spesso accade utilizzando altri tipi di drenanti.

-   fenilalanina: è un aminoacido contenuto nel pompelmo in grado di favorire il transito intestinale ed è un vero e proprio “interruttore” del senso di sazietà. Per tale proprietà il pompelmo vede un uso diffuso nelle diete dimagranti.

-   grassi: per le proprie peculiarità, il pompelmo è un alimento indicato a fine pasto per le persone in sovrappeso, in quanto pare che contribuisca a ridurre l’assorbimento dei grassi.

-   limonene: è la sostanza responsabile del gusto acido, protettiva perché dotata di proprietà antitumorali.

-   metabolismo degli zuccheri: il pompelmo migliora il metabolismo degli zuccheri, ossia aiuta a bruciare gli zuccheri più in fretta, impedendo che vengano accumulati sotto forma di grassi (cuscinetti di grasso in eccesso).

-   naringenina: è il flavonoide presente in quantità maggiore nel pompelmo; grazie all’elevato potere antiossidante, la naringenina è in grado di aiutare il fegato e prevenire l’insorgere di malattie cardiovascolari e presenta anche proprietà anti-tumorali. E’ la sostanza che regala al frutto il caratteristico sapore amarognolo.

-   pressione: alcuni studi evidenziano un’influenza del frutto nella diminuzione della pressione arteriosa.

-   tasso di colesterolo: studi hanno dimostrato che è sufficiente mangiare un pompelmo rosso al giorno per diminuire del 20% i livelli di colesterolo LDL (cattivo) e proteggere così l’apparato circolatorio.

 

Ma queste (le scelte degli agrumi da consumare) sono in fondo questioni di gusti. L’informazione che si vuol fornire con questo articolo riguarda invece il consumo eccessivo di qualsiasi agrume.

Tutti noi sappiamo che in certi periodi dell’anno si verificano sovrapproduzioni di arance in Sicilia, ed essendo l’arancia un frutto delicato, le cassette vengono rapidamente caricate sui TIR e vendute in tutta Italia su bancarelle improvvisate, a prezzi ribassati, prima che vadano a male. Non è raro vedere molte famiglie italiane tornare a casa con una o due cassette di arance, contente dell’acquisto a bassissimo costo. Ma poi si tratta di mangiarle, e mangiarle velocemente, perché non vadano sprecate: e allora avanti con mega-spremute, merende con arance e fine pasto con arance. Tre, quattro, cinque, sei arance al giorno.

Ma in tutto occorre misura, e in questo caso tale regola aurea si rivela ancora più valida: recenti studi hanno trovato che nelle zone del Mediterraneo dove le arance rappresentano un frutto locale, l’incidenza dei calcoli renali è più alta che nelle altre zone. Non è chiaro se questo sia dovuto all’acido citrico, all’acido ascorbico (vitamina C) o ad altre sostanze presenti negli agrumi, ma consiglierei a chi soffre di calcoli renali e ha l’abitudine di mangiare una notevole quantità di agrumi, di monitorare attentamente gli effetti sui propri reni.

 

 

Assumete capsule di omega-3? Avete controllato se il prodotto è stato sottoposto a microfiltrazione?

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Gli integratori (pillole di omega-3) non sono fonti da disprezzare, ma occorre scegliere solo prodotti sottoposti a ultrafiltrazione, perché i grassi dei pesci sono contaminati da metalli pesanti. Un ottimo prodotto, microfiltrato, è Omega3-rx della enervit, prodotto su licenza di Barry Sears (l'autore dellla dieta della "zona")

 

 

Quali sono i pericoli del pesce crudo o poco cotto?

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Uno tra tutti: è recentemente arrivato anche nel Mediterraneo un parassita che depone le sue uova nel pesce azzurro. Le uova penetrano nel corpo umano e danneggiano fegato e altri organi. L'unico modo di inattivare il parassita è cuocere bene il pesce (anche se purtroppo è vero che il modo migliore per acquisirne i principi nutritivi è cuocerlo il minimo indispensabile) o congelarlo per qualche giorno: il freddo uccide le uova del parassita. State attenti a panini con alici di dubbia provenienza.

 

 

Cosa potrei fare per prevenire le emorroidi e le ernie addominali di cui soffre mio padre?

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Una cosa semplicissima: evacuare in posizione accosciata, come facevano i nostri antenati e come fanno coloro che hanno un gabinetto alla turca. Questa è la posizione migliore per favorire l'espulsione delle feci con il minimo sforzo per le pareti del retto e il fatto di essere piegati contro le cosce previene anche il formarsi di ernie dovute ad una eccessiva pressione addominale. E' sufficiente un simile accorgimento per ridurre fino al 50% il rischio che si sviluppino lesioni anali dolorose che richiedono intervento chirurgico.

 

 

In caso di urgenza, qual è la miglior sostanza spermicida e antivirale facilmente reperibile per un immediato utilizzo?

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Il succo di limone, applicato localmente, è un potentissimo spermicida ed inattiva pressoché istantaneamente anche il virus dell'HIV. La sua azione spermicida era ben nota alle donne bizantine, che ne facevano un largo uso per le lavande vaginali.

Invece non ha alcun fondamento la convinzione che, in mancanza di meglio, la coca cola sterilizzi dopo un rapporto sessuale, ciò che pensano a torto molte ragazze.

 

 

Cosa sono i  grassi idrogenati? Perché devo evitarli a tutti i costi?

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I grassi idrogenati sono oli vegetali trattati a caldo per renderli più densi [ed evitare che irrancidiscano]. E' lo stesso procedimento che, spinto ancora più avanti, serve a produrre i lubrificanti per auto. L'idrogenazione è una reazione chimica mediante la quale si introduce idrogeno in un composto chimico. Durante queta reazione, l'idrogeno può: a) addizionarsi a composti non saturi con formazione di composti saturi o con grado di insaturazione minore; b) sostituire l'ossigeno, gli alogeni, lo zolfo (riduzione di un chetone ad alcol secondario; c) provocare la rottura di legami carbonio-carbonio. Questi oli, cosiddetti idrogenati, presentano in forma maggiore le peggiori caratteristiche dei grassi saturi. Sulle etichette sono indicati come "oli idrogenati" o "parzialmente idrogenati"

 

 

Bere un succo di frutta è la cosa più stupida che possiate fare

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Bere un succo di frutta è la cosa più stupida che possiate fare, e per varie ragioni:

I succhi di frutta commerciali sono pieni di saccarosio, cariano i denti, ingrassano, provocano diabete nel lungo termine

I succhi di frutta fatti in casa perdono vitamine in modo velocissimo, per ossidazione, a meno che non li si assuma entro pochi minuti.

Mangiare la frutta invece che farne un succo permette di conservarne tutte le fibre, e inoltre abbassa l'indice glicemico di ciò che mangiamo, consentendo una maggiore sazietà e innalzando meno l'insulina nel sangue.

I succhi sono calorici: un bicchiere di aranciata contiene 2 volte e mezzo la quantità di calorie presenti in un'arancia

Se si leggono le etichette, si vede che la quantità di succo di frutta è infima

Non si può controllare la qualità della frutta

Il procedimento con cui si ottiene il succo lo priva delle fibre, che rallentano l'assorbimento degli zuccheri, evitando il picco glicemico

Ricordiamo che i nostri antenati non avevano a disposizione tutta la frutta dolce che abbiamo noi. Alzare ulteriormente l'indice glicemico fa male.

 

 

Tre noci al giorno: una abitudine straordinariamente salutare

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  La noce è una discreta fonte di proteine e carboidrati, ma più della metà del suo apporto calorico è dato dai grassi. I grassi non sono tutti cattivi, anzi ne esistono alcuni fondamentali per la nostra salute e la sopravvivenza. Ecco perché le noci fanno bene: i grassi saturi costituiscono meno del 10%, il resto è un insieme di grassi mono e polinsaturi. I grassi insaturi sono noti per gli effetti benefici, in particolare gli acidi grassi omega-3, definiti anche grassi essenziali poiché non prodotti dal nostro organismo e quindi da introdurre con la dieta. Gli acidi grassi omega-3 sono contenuti nel pesce, nei semi e, per l’appunto, nella frutta secca.

  Questi acidi grassi sono efficaci nella prevenzione e nella cura delle malattie cardiovascolari; un consumo quotidiano di frutta secca (tre o quattro noci al giorno) abbassa i fattori di rischio cardiovascolare e l’incidenza di infarto. Ma non è tutto: le noci sono efficaci nel migliorare i livelli della pressione arteriosa e di colesterolo nel sangue. Gli acidi grassi omega-3 possono modulare anche i livelli di alcuni ormoni regolatori, come insulina e leptina, e migliorare il profilo dei grassi nel sangue e la glicemia. Il consumo di noci è consigliato nei pazienti diabetici per tenere sotto controllo gli effetti e i rischi secondari di questa malattia. Uno studio su pazienti affetti da coronaropatia (cioè da danni alle coronarie) sembra avere trovato una correlazione tra il consumo di acidi grassi omega-3 e il ritardo dell’invecchiamento cellulare. Aggiungere alla nostra alimentazione fonti di questi acidi grassi è fondamentale non soltanto perché il nostro organismo non sa produrli da solo, ma anche perché sono importanti precursori di molecole implicate nella regolazione infiammatoria. Grazie a questa proprietà sono molto studiati in ambito oncologico come alimenti antitumorali.

  Infine, un altro elemento importante delle noci è la fibra. Non che vi sia in quantità enorme, però in una dieta varia, ricca di frutta, verdura, legumi e cereali integrali può aiutare.

 

 

Mangiare poco o niente la mattina e mangiare solo qualche frutto o yoghurt fino al pasto serale danneggia il corpo? Un mito da sfatare. Parola di Umberto Veronesi.

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Il mito dei “tre pasti al giorno”, e quello, altrettanto diffuso, della “colazione del Mulino Bianco” (“colazione nutriente per iniziare la giornata con un adeguato apporto di energia”) non sono verità inscritte nei nostri geni, e tantomeno nella nostra storia passata.

Paul Freedman, professore di storia all’Università di Yale e curatore della raccolta di saggi La storia del gusto, pubblicata dall’Università della California, afferma perentoriamente che “non esiste nessuna ragione biologica per cui si debba obbligatoriamente mangiare tre pasti al giorno”.

La regola dei “tre pasti al giorno” è una abitudine recente, frutto del benessere e di altri fattori culturali. Nel corso delle epoche moltissimi popoli non hanno mai seguito questa regola. E’ noto che il pasto principale dei Berberi della Mauritania è quello serale e che durante la giornata viene fatto largo uso di bevande, principalmente the aromatizzato alla menta e zuccherato. Gli Esseni, una comunità di mistici millenaristi ebrei vissuti intorno agli inizi dell’era volgare, facevano un solo pasto, la sera. Il pasto principale degli antichi romani era alla sera e per non affaticare eccessivamente l’apparato digerente, essi mangiavano poco durante il giorno. Per tacere del fatto che gli studi sui supposti benefici dei tre pasti al giorno si sono dimostrati tutt’altro che conclusivi.

In tempi recenti, poi, si è assistito ad una vera e propria “liberalizzazione” delle abitudini alimentari, per cui la distribuzione e la composizione dei pasti sono divenuti materia di scelta di ciascuno di noi. Questo non deve scandalizzare: l’organismo umano è onnivoro, e capace di adattarsi con successo ad una grande varietà di diete. Quasi a conferma di questo, oggi si assiste ad una stupefacente varietà di diete proposte da medici e nutrizionisti. Purché la scelta sia supportata da adeguate considerazioni nutrizionali e mediche, e non vi siano studi che ne dimostrino la dannosità, anche la regola dei tre pasti e quella della colazione robusta possono essere infranta senza alcun danno.

Molte persone oggi seguono la “dieta monopasto” come efficace pratica temporanea di dimagrimento, e una buona parte di loro l’ha trasformata in abitudine permanente: digiuno o semi-digiuno per tutta la giornata, seguito da un unico pasto la sera, quando è consentito mangiare qualsiasi alimento.

Anche la variante dei “quattro (o cinque, o sei) pasti giornalieri”, basata sulla stessa idea che non dobbiamo mai mancare di un adeguato apporto di energia durante la giornata, non ha prodotto evidenze mediche conclusive sulla sua efficacia per la diminuzione del peso o di qualsiasi benficio per la salute.

Uno studio dell’Università di Maastricht ha trovato che mangiare quattro o più pasti ridotti al giorno riduce il rischio di obesità del 45%. Ma al contrario, uno studio dell’Università di Ottawa ha trovato che mangiare parecchi piccoli pasti al giorno non produce perdita di peso. Alle stesse conclusioni è giunto uno studio francese del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica, che afferma: “Gli studi epidemiologici sugli effetti dei piccoli pasti regolari sono estremamente vulnerabili ad errori metodologici”. Infatti la ricerca sugli effetti della frequenza dei pasti è notoriamente problematica, perché coinvolge troppe variabili: contenuto dei nutrienti, ora del giorno, esercizio fisico e ore in cui viene svolto, fattori genetici, solo per citarne qualcuna.

Il più famoso seguace della “dieta monopasto” in Italia è il famoso oncologo Umberto Veronesi. Ecco alcuni passi significativi presi dal suo recente libro La dieta del digiuno:

 

Chi mi conosce bene mi chiama «il digiunatore»: niente cibo per tutto il giorno, digiuno fino a sera, al massimo un caffè macchiato, qualche volta una spremuta fresca di agrumi e uno yogurt. Avete mai provato a meditare con lo stomaco pieno? E a svolgere qualsiasi lavoro o attività intellettuale? Quali idee fulminee, intriganti, appassionate, geniali possono mai arrivare dopo un’abbondante mangiata? Per me il digiuno è fonte di chiarezza mentale: intasare di cibo il corpo fa perdere lucidità e capacità creative, rallenta i riflessi e la razionalità; digiunare, invece, mantiene le prestazioni del cervello. Si tratta anche di guadagnare tempo: quanto ne spendiamo mangiando? Alludo a pranzi e cene interminabili, durante i quali non riusciamo a creare o produrre alcunché; non riusciamo ad amare, a stabilire relazioni vere, a ragionare e approfondire gli argomenti che ci interessano. Mangiare troppo compromette la concentrazione e, in ogni caso, crea un grave danno alla salute. Non abbiamo bisogno di mangiare troppo. Il problema della nostra società è che si mangia troppo, e tante malattie derivano proprio da questa abitudine malsana. Se si desidera dimagrire e restare in forma è impossibile mantenere una quantità elevata di cibo nelle proprie abitudini alimentari. Ridurre, ridurre, ridurre. A priori, si deve mangiare poco. Anche se il cibo scelto è il più indicato per la salute, dimezzate le dosi che vi verrebbe naturale consumare. La restrizione calorica, e cioè l’assunzione di poche calorie ogni giorno, è un fattore importante per vivere più a lungo, e la magrezza fisica consente un migliore funzionamento di tutti gli organi e gli apparati del nostro corpo.

Non ho l’abitudine di consumare più di un pasto. Non solo non credo alla regola dei tre pasti al giorno, ma la critico e non la consiglio. Nel mio quotidiano c’è un solo pasto, la sera. Niente prima colazione, niente pranzo.

  Ecco quindi il cibo che compone in vario modo la mia cena:

  • spaghetti con il pomodoro o risotto allo zafferano con i funghi

  • frittata di un uovo con verdure miste (cipolle, spinaci o altra verdura)

  • insalata, cavolfiore, asparagi, carciofi

  • formaggio (in particolare ricotta) con il miele, gorgonzola con le noci

  • dolci a base di frutta: tarte tatin, strudel di mele o pere

  • frutta in abbondanza

  • acqua gassata, vino rosso, succo di mela.

 

Occorre a questo punto fare alcune precisazioni, per evitare il rischio di essere fraintesi:

  Prima precisazione: ciascuno deve trovare la giusta distribuzione quantità di cibo giornaliero, guardando al suo fisico e alle sue esigenze. Qui non si afferma assolutamente che tutti dovremmo convertirci alla regola del “monopasto”. Probabilmente un lavoratore manuale non la troverebbe adeguata, e a ragione. Ci sono però persone che, come dice Umberto Veronesi, svolgono un lavoro intellettuale per cui hanno la necessità di essere lucidi per tutto il giorno, e che, dopo un pasto normale, sono appesantite e sonnolente per lungo tempo. Ad altre persone i tradizionali pasti “importanti” della giornata fanno tornare la fame dopo poco tempo, perché generano un picco glicemico che produce insulina che spazza via tutto il glucosio nel sangue e lascia di nuovo con l’appetito. Ci sono altre persone ancora (compreso chi scrive) che dopo una assunzione di carboidrati, anche modesta, hanno immancabilmente un colpo di sonno. Sempre Veronesi ci dice che chi ha un lavoro impegnativo non può permettersi il rituale religioso che circonda un pasto normale: un’ora di cucina, stesura della tovaglia, disposizione delle posate, riscaldamento delle vivande, sparecchiamento, lavaggio dei piatti etc. etc. Non pochi studenti universitari adottano la routine del fast-food o di un panino o tramezzino arraffato in fretta e furia prima di tornare in biblioteca a studiare tra una lezione e l’altra. Che, beninteso, non è una abitudine del tutto corretta, ma con opportune modifiche può essere un’ottima pratica per lo studio.

  Seconda precisazione: la dieta monopasto con un pasto serale di 1500-2000 calorie non è qui né raccomandata né sconsigliata: sebbene moltissime persone trovano che sia un modo fantastico di perdere peso senza rinunciare ai piaceri della tavola, sono ancora in corso studi per stabilire se essa sia consigliabile per tutti, perché in alcuni casi potrebbe dare iperglicemia e non essere efficace per ridurre l’obesità.

Quella che si vuole proporre qui è una dieta con un pasto serale molto più contenuto (500-900 calorie al massimo), preceduto nel corso della giornata da pochi piccoli spuntini, nel quadro di una riduzione delle calorie giornaliere e di una eliminazione degli alimenti inutili o dannosi o a digestione più lenta (formaggi grassi, dolciumi, bibite caloriche, alcol) che consenta di fare una cena non troppo pesante (come quella indicata nel brano di Umberto Veronesi), ponendo inoltre un adeguato intervallo (e magari dell’attività fisica moderata) tra tale pasto e l’ora della coricata. Il pasto serale andrebbe fatto non oltre le 19, almeno tre ore prima di coricarsi, e dovrebbe essere privo di intingoli, cibo pesante e zuccheri raffinati.

Verso le ore 13 si saranno assunte al massimo 500 calorie (incluse quelle consumate a quell’ora). Verso le ore 17 si saranno assunte al massimo 900 calorie (incluse quelle consumate a quell’ora). La cena potrà consistere in 400-500 calorie, verso le 19 (se si va a dormire alle 22) o verso le 20 (se si va a dormire alle 23). In tutto 1400 calorie. I giorni a 1400 calorie potranno essere da tre a cinque a settimana; negli altri giorni si può aumentare l’introito calorico (sempre badando di distribuirlo maggiormente verso la fine della giornata) allo scopo di compensare i giorni di minore introito. Se invece l’obiettivo è di dimagrire, avanti con 1200-1400 calorie per tutta la settimana.

  Terza precisazione: trattenersi fino a sera senza mangiare granché, se anche non la si considera accettabile come regola di vita, sarebbe comunque consigliata nei periodi di dimagrimento, perché più ore della giornata si riesce a far passare senza mangiare, meglio è. Una persona con un normale autocontrollo troverà che la sera questo regime non provoca una fame esagerata né la famosa “cena di mezzanotte” di fronte al frigorifero aperto

 

 

Abbandonate il dannosissimo cioccolato al latte e passate al cioccolato fondente o, meglio ancora, al cacao magro in polvere e ai semi di cacao ricchi di sorprendenti qualità antiossidanti e cardioprotettive.

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Nessun genitore consapevole e informato dovrebbe far mangiare cioccolato al latte ai propri figli, né usarne egli stesso. Il cioccolato al latte è un prodotto pieno di grassi saturi del latte e super-zuccherato, che è dannosissimo per le coronarie e il sistema circolatorio.

Il cioccolato fondente superiore (cacao 50% minimo) e ancora di più il cioccolato fondente nero (cacao 70-85% minimo) non solo non fanno male, ma assunti regolarmente in quantità ragionevoli apportano nutrienti utili, come calcio (101 mg. per etto), magnesio (327 mg), fosforo (400 mg), potassio (830 mg).

Il grasso saturo del cioccolato fondente è di tipo diverso da quello del cioccolato al latte e non è dannoso: è costituito principalmente da acido stearico, che non solo non fa male ad arterie e coronarie, ma pare abbia benefici effetti sul profilo lipidico.

Il cioccolato fondente deve essere però di qualità. I produttori di cioccolato più economico utilizzano il cacao di qualità più scadente, meno ricco di sostanze antiossidanti, ma soprattutto con un tenore di acidità molto alto, ciò che li costringe ad utilizzare, come correttori di acidità, sostanze alcalinizzanti come i carbonati di potassio, che servono a rendere il cacao meno amaro, e che distruggono gran parte dei flavonoidi.

Per cioccolato di qualità intendo il cioccolato Lindt come livello minimo: ma vi sono prodotti di qualità ben superiore al cioccolato Lindt, come ad esempio il cioccolato Domori o Tuscany.

Le denominazioni e tipologie del cioccolato fondente sono le seguenti:

  “Cioccolato fondente”

Questo cioccolato contiene solo pasta di cacao, burro di cacao, zucchero, vaniglia e, a volte, lecitina (un emulsionante) in quantitativi variabili. La percentuale di cacao deve essere almeno del 45% e il burro di cacao il 28%. I migliori risultati in cucina si ottengono quando si impiega del cioccolato con un contenuto di cacao del 50%. Oltre che per essere gustato in tavolette, è adatto per torte e dessert.

  “Cioccolato extrafondente”

Si distingue dal cioccolato fondente perché contiene una percentuale di cacao che può superare addirittura il 70% del peso. Di altissima qualità questo cioccolato è particolarmente adatto per essere consumato in tavolette.

  “Cioccolato amaro”

Dopo l'estrazione della maggior parte del burro di cacao, il cacao residuo viene tostato e ridotto in polvere. Noto anche come cioccolato dei "pasticcieri", il cioccolato amaro si ottiene dalla miscela della pasta di cacao con burro di cacao. Non contiene zucchero né altri aromi, e il suo sapore è amaro e intenso.

Il cioccolato fondente, oltre al palato allieta anche l'umore, abbassando i livelli di stress, tiene sotto controllo la pressione e migliora la circolazione sanguigna, prevenendo anche il declino cognitivo. Una nuova ricerca pubblicata sul Chemistry Central Journal ha ora dimostrato che, inoltre, il cacao e il cioccolato fondente sono più antiossidanti della frutta grazie al loro maggiore contenuto di polifenoli e flavanoli. Lo studio è stato condotto dai ricercatori dell'Hershey Center for Health & Nutrition che, comparando le capacità nutrizionali diversi tipi di frutta e cacao grammo per grammo, hanno così stabilito la supremazia nutritiva dei semi di cacao.

I flavanoli sono un tipo di fitonutrienti appartenenti al più ampio gruppo dei flavonoidi: sono naturalmente contenuti nel cacao ma la gran parte si disperde nel processo di lavorazione per ottenere il cioccolato. Tra le proprietà loro riconosciute, quella di mantenere in salute i vasi sanguigni e di abbassare il rischio di aggregazione piastrinica che provoca la coagulazione del sangue. I polifenoli sono antiossidanti naturali presenti nelle piante e possono risultare utili nella prevenzione dell’ossidazione delle lipoproteine e contro i radicali liberi; tra gli altri effetti benefici a loro imputati, quelli a livello cardiovascolare, a livello cognitivo e contro la crescita tumorale.

I ricercatori hanno paragonato gli antiossidanti contenuti nei semi di cacao, nel cioccolato fondente e in diversi tipi di frutta e succhi di frutta, trovando che cacao e cioccolato hanno capacità antiossidanti superiori e maggiori quantità di flavanoli totale e polifenoli. Tuttavia, tra cioccolato e cacao non c'è partita, perché il processo di lavorazione del cacao che porta alla realizzazione del cioccolato - l'alcalinizzazione - disperde parte dei composti benefici: «I semi di cacao - spiega Debra Miller, autrice senior dello studio - sono un super-frutto che fornisce un valore nutritivo che va oltre la loro composizione di macronutrienti». Una grande notizia per gli amanti del cioccolato. 

Il cacao magro in polvere ha tutti benefici del cioccolato, ma senza gli zuccheri aggiunti, che sono dannosi per la salute e si trovano anche nel cioccolato extrafondente (ben 10 grammi per tavoletta da 100 g).

Però, come è detto nello studio sopra citato, anche nel cacao magro vengono messi i carbonati di potassio, degli alcalinizzanti che distruggono parte dei flavonoidi, poco simpatici ai produttori, perché sono i principali responsabili del gusto amaro del cacao.

La cosa migliore è perciò acquistare dei semi di cacao tostati e ridurli in polvere da assumere giornalmente nei frullati, nei dolci e in altri alimenti.

Secondo uno studio condotto da Andrea De Gottardi presso l’Università di Barcellona, il cioccolato fondente potrebbe rivelarsi utile per i soggetti affetti da cirrosi epatica, perché riduce la pressione sanguigna nel fegato e i danni nei vasi. Secondo i ricercatori questi benefici effetti sono dovuti alle sostanze antiossidanti presenti nel cioccolato.

Finora sono stati condotti diversi studi sperimentali a breve termine per valutare gli effetti cardiovascolari intermedi di cioccolato e cacao e numerosi studi epidemiologici per indagare l’associazione tra acido stearico e flavonoidi ed esiti cardiovascolari totali.

Una revisione sistematica, recentemente condotta da alcuni ricercatori di Harvard, ha esaminato le evidenze sperimentali ed epidemiologiche dei prodotti a base di cacao e cioccolato.

In particolare, i ricercatori hanno valutato i controversi benefici dei componenti del cioccolato, flavonoidi e acido stearico, hanno revisionato i loro effetti sui fattori di rischio cardiovascolare intermedi e sugli end-point, e hanno infine condotto una metanalisi si alcuni studi prospettici su flavonoidi e rischio di mortalità cardiovascolare.

Sono stati selezionati studi clinici osservazionali e sperimentali pubblicati su Medline dal gennaio 1965 al giugno 2005. Approssimativamente sono stati revisionati 400 studi. Di questi, sono state selezionate 136 pubblicazioni sulla base della rilevanza, della potenza e della qualità del disegno e dei metodi di studio. Nel complesso, sia gli studi randomizzati, sia quelli osservazionali, suggeriscono che il cacao e il cioccolato possono avere effetti benefici sul rischio di malattia cardiovascolare, grazie ai seguenti effetti:

- diminuzione della pressione sanguigna

- effetto anti-infiammatorio

- funzione anti-piastrinica

- aumento del colesterolo HDL

- diminuzione dell’ossidazione LDL

In particolare, dal gruppo di studi sull’acido stearico si ricava che questo potrebbe non influenzare la colesterolemia LDL, ma addirittura abbassare in modo benefico la trigliceridemia mentre gli studi prospettici sui flavonoidi suggeriscono che il contenuto di flavonoidi nel cioccolato può ridurre il rischio cardiovascolare, perché attraverso l’azione antiossidante e antinfiammatoria, riducono la pressione sanguigna e aumentano l’HDL.

La metanalisi condotta su questi ultimi studi indica che l’assunzione di flavonoidi può far diminuire il rischio di mortalità per malattia cardiovascolare.

Il cacao è l’alimento con il più alto contenuto di flavonoidi e polifenoli, e più la cioccolata è amara, più è alta la concentrazione di cacao, e quindi di flavonoidi e polifenoli.

Sebbene è stato stimato che mangiare 50 grammi al giorno di cioccolato amaro può ridurre il rischio di malattia cardiovascolare del 10,5%, queste stime sono basate sul risultato di studi di breve durata. Pertanto occorrerà attendere i risultati di trial randomizzati a lungo termine, al fine di valutare meglio l’impatto del consumo del cioccolato sugli eventi cardiovascolari.

Secondo altri studi, pubblicati su http://www.greenmedinfo.com/substance/chocolate, i semi di cacao hanno le seguenti proprietà:

- antinfiammatori

- antidiabetici e antiobesità

- cardioprotettivi

- migliorano le funzioni epatiche

- neuroprotettivi

- migliorano la flora intestinale

- riducono l’ormone dello stress

- riducono i sintomi del glaucoma e della cataratta

- riducono la progressione delle parodontiti

 

Ecco il prospetto dei valori nutrizionali e della composizione del cioccolato amaro:

 

Calorie

501

Grassi

52,31 g

Grassi saturi

32,351 g

Grassi monoinsaturi

16,105 g

Grassi polinsaturi

1,555 g

Proteine

12,9 g

Fibre

16,6 g

Zuccheri

0,91 g

Calcio

101 mg

Sodio

24 mg

Fosforo

400 mg

Potassio

830 mg

Ferro

17,4 mg

Magnesio

327 mg

Zinco

9,63 mg

Rame

3,233 mg

Manganese

4,167 mg

Selenio

8,1 mcg

Retinolo (vitamina A)

--

Betaina

2,6 mg

Tiamina (vitamina B1)

0,147

Riboflavina (vitamina B2)

0,1 mg

Niacina (vitamina B3)

1,355 mg

Acido pantotenico (vitamina B5)

0,168 mg

Pridossina (vitamina B6)

0,027

Folati totali

28 mcg

Acido folico (vitamina B9 o folacina)

0 mcg

Folato alimentare

28 mcg

Cobalamina (vitamina B12)

--

Colecalciferolo (vitamina D)

--

Alfa-tocoferolo (vitamina E)

0,4 mg

Fillochinone (vitamina K)

9,7 mcg

Colina (vitamina J)

45,7 mg

Betacarotene

--

Alfacarotene

--

Criptoxantina beta

--

Licopene

--

Luteina + zeaxantina

--

Tocoferolo beta

--

Tocoferolo gamma

5,83 mg

Tocoferolo delta

--

Zuccheri

--

aminoacidi:

 

Acido aspartico

1,27 g

Acido glutammico

1,87 g

Alanina

0,475 g

Arginina

0,815 g

Cistina

0,225 g

Fenilalanina

0,525 g

Glicina

0,505 g

Idrossiprolina

--

Isoleucina

0,41 g

Istidina

0,215 g

Leucina

0,695 g

Lisina

0,47 g

Metionina

0,14 g

Prolina

0,88 g

Serina

0,53 g

Tirosina

0,425 g

Treonina

0,37 g

Triptofano

0,13 g

Valina

0,655 g

Caffeina

80 mg

Teobromina

1297

 

 

I benefici dei cereali integrali secondo Umberto Veronesi

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  Il consumo costante di cereali integrali (pane, cereali per la colazione, riso e crackers integrali) può ridurre del 30% il rischio di malattie coronariche e di alcuni tipi di tumore. I cereali come il grano, il riso, il mais, l’avena e la segale sono stati per secoli l’elemento base della nostra alimentazione. Tuttavia, la maggioranza dei cereali viene raffinata e durante la lavorazione si eliminano le parti esterne (il germe e la crusca), lasciando solo l’endosperma, ricco di amido, che viene macinato per produrre farine bianche. La macinazione e la raffinazione causano però la perdita di nutrienti e di sostanze protettive presenti in maggiori quantità proprio nel germe e nella crusca.

  I nutrienti dei cereali integrali sono la vitamina E, il complesso di vitamine B, minerali quali il selenio, lo zinco, il rame, il magnesio e il fosforo. Oltre a ciò, i cereali contengono proteine, carboidrati complessi e alcuni fitoestrogeni (che hanno capacità protettive nei confronti dei tumori e delle malattie cardiache). Sembra che tutti questi nutrienti si riuniscano come in un «pacchetto» a beneficio della salute e a protezione dalle malattie.

Il farro si trova in commercio in due forme: il farro decorticato (o semplicemente farro) e il farro perlato. È consigliabile scegliere il farro decorticato e non quello perlato, poiché l’operazione di perlatura elimina gran parte delle fibre. Con la farina di farro si produce un ottimo pane, migliore di quello di frumento integrale. Contiene molte fibre (7%), proteine (15%) ed è adatto per essere combinato con i legumi in piatti unici. E’ il meno calorico (335 calorie per 100 grammi)

L’avena è uno dei cereali più ricchi di proteine (fino al 17%) e meno ricchi di carboidrati, ed è quello che contiene più grassi in assoluto. Se a questo aggiungiamo l’11% di fibre, otteniamo uno dei cereali con il più basso indice glicemico. È quindi particolarmente adatto ai diabetici. L’avena è ricca di potassio e vitamine del gruppo B.

  L’orzo può essere utilizzato come tale oppure trasformato, per esempio in farina nei prodotti da forno o in fiocchi. L’orzo perlato, sottoposto è stato privato dello strato più esterno del chicco: ha perso così una parte di fibra e di sali minerali, ma nello stesso tempo la cottura è stata resa più rapida. La fibra, presente comunque in elevate quantità, aumenta il senso di sazietà, regola la motilità intestinale e ne stimola la flora batterica. In particolare l’orzo si caratterizza per l’apporto di una specifica fibra, ossia la categoria dei betaglucani, composti che sono studiati per le loro proprietà di controllo del colesterolo. Si è dimostrato un legame diretto tra il consumo di betaglucani e la diminuzione del colesterolo LDL «cattivo». Inoltre, l’orzo è anche una fonte di minerali come fosforo e potassio e di vitamina PP (niacina).

 

 

Gli straordinari benefici delle crucifere

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  Cavolo, cavolfiore, broccolo, verza… Questi vegetali dovrebbero essere centrali nelle abitudini di una cucina salutare e andrebbero mangiati tutti i giorni.

  Parliamo dei cavoli, assumendoli come rappresentanti dell’intera famiglia delle brassicacee o crucifere, così chiamate perché le loro infiorescenze hanno forma a croce. Il cavolo che conosciamo oggi è stato selezionato a partire dal suo progenitore selvatico circa quattromila anni fa, tra specie differenti. I gusti sono sempre gusti: ai romani piaceva più un certo tipo di cavolo, per esempio, ma altri popoli manifestavano preferenze differenti. Già migliaia di anni fa le crucifere erano coltivate come piante medicinali. Sordità, gotta, problemi allo stomaco e all’intestino: i disturbi e le malattie che queste verdure potevano curare erano tanti. Pitagora e Ippocrate oggi sarebbero definiti i «testimonial» delle virtù terapeutiche dei cavoli. Secondo Catone, applicare una foglia di cavolo schiacciata su un’ulcera tumorale era curativo: un rimedio anticancro, nientemeno! Umberto Veronesi in un recente libro conferma che broccoli (o i cavoli, o i cavolfiori) sono davvero anticancro. E certo non è una novità.

  Ebbene, le crucifere sono tra i principali artefici delle proprietà antitumorali di un’alimentazione basata sul consumo di frutta e verdura. Tanti tumori hanno un rischio minore di svilupparsi nelle persone la cui assunzione di crucifere è quotidiana. Nella prevenzione del tumore alla prostata, un confronto con il consumo di pomodoro indica che le crucifere risultano più efficaci, quando sono mangiate almeno tre volte alla settimana. Inoltre, le crucifere sono attive nella detossificazione dell’organismo: possono cioè essere utili a persone esposte a composti tossici (tra cui il fumo di sigaretta).

  Attenzione però a come si cucinano questi vegetali terapeutici. I folati e i glucosinolati, cioè i composti responsabili dell’effetto salutare, sono sensibili alla cottura prolungata (per dare un’idea, dieci minuti in acqua bollente riducono della metà la quantità di glucosinolati): è molto meglio consumare le crucifere appena scottate in acqua bollente oppure cotte al vapore. Anche i prodotti surgelati garantiscono una percentuale di elementi antitumorali molto inferiore, essendo sottoposti a processi che ne compromettono le virtù benefiche.

  Quali crucifere consumare ogni giorno? Broccoli e cavolini di Bruxelles sono in assoluto le fonti migliori di sostanze anticancro.

 

 

Se non vuoi diventate diabetico, ragiona come un diabetico.

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I problemi cardiaci e il diabete di tipo 2, da cui sono afflitte molte famiglie, come ci ricorda una messe incredibile di ricerche mediche, sono patologie correlate fra loro. Spesso il diabete precede la cardiopatia, ma può succedere anche l'inverso.

Il succo della faccenda è che occorre stare all'erta.

L'esame del sangue per controllare la glicemia può rivelarci che siamo lì lì per varcare la soglia del prediabete (termine con cui si indica quella fase in cui la glicemia si attesta fra 100 e 124; superato 125, si è considerati diabetici), e a questo punto è opportuno consultare un nutrizionista prima che la situazione peggiori.

Il dietologo mi ha fornito una lista di buoni consigli su come tenere sotto controllo la glicemia attraverso l'alimentazione e l'esercizio fisico. Il miglior suggerimento, a ogni modo, è: il modo più efficace per scongiurare il diabete è ragionare come farebbe un diabetico e comportarsi di conseguenza.

Una semplice battuta, ma geniale. La gente si affanna tanto a fissare ogni dettaglio della propria alimentazione, a tenere il conto delle calorie, a informarsi sull'ultima teoria alla moda su quali sono o non sono le proprietà di questa o di quella sostanza nutritiva, ma quanto è più conveniente partire dal punto più importante: cambiare il modo di ragionare.

Molti si trovano già a stretto contatto con questa problematica, con parecchi fra parenti e amici che soffrono di diabete e hanno visto quali modifiche hanno dovuto fare nei loro comportamenti e nella loro attitudine mentale per stare dietro alla salute. Tuttavia, se anche questo non fosse il vostro caso, non ci vuole molto a scoprire come funziona. E poi non sarà strettamente indispensabile che imitiate per filo e per segno le abitudini alimentari e l'attività fisica di un diabetico (sebbene potrebbe essere necessario, a seconda dei vostri valori glicemici), ma almeno cercate di avvicinarvici.

Un buon modo di procedere è il seguente: ridurre il consumo di tutto ciò che contiene troppo amido o che è stato trattato o processato al punto da assomigliare ormai poco a un alimento: ciò include pane bianco, riso raffinato, gran parte della pasta alimentare, e ogni genere di cibo a base di patate o mais processati industrialmente. Per gli italiani è veramente dura, dal momento che a noi piacciono i carboidrati ricchi di amido. Poi vengono gli indiziati numero uno: biscotti, torte, dolciumi. L'inizio non è facile, ma una volta che nel giro di qualche settimana ci si è «disintossicati» da questi alimenti, la voglia smaniosa di mangiarli viene meno. Andateci piano anche con i succhi. Il problema è che nella preparazione gran parte delle fibre va persa e resta invece un enorme quantitativo di zucchero. Infine - non c'è bisogno di dirlo - guai a voi se vi avvicinate alle bibite gassate.

Dunque, cosa resta? Proteine magre, frutta secca, verdure, frutta (fresca, non sotto forma di succo), yogurt (preferibilmente greco, e senza zucchero), burro di arachidi naturale, tè (non zuccherato), molta acqua, poco alcool (due-tre bicchieri alla settimana), pane integrale (a me piace quello tipo pita o arabo), pasta integrale (ogni tanto), riso integrale. Insomma, ci siamo intesi. Lo so, sembra un elenco di alimenti per quando si inizia una cura dimagrante, ma il fatto è che non si tratta propriamente di una dieta. Se avete il diabete, non state facendo una dieta, ma state seguendo un regime alimentare allo scopo di restare in salute per il resto della vita. È in questi termini che bisogna ragionare.

Aggiungete un po' di esercizio fisico, ed ecco fatto. Basta una camminata di 45 minuti qualche volta a settimana per ottenere risultati strabilianti. Mettete nel conto qualche esercizio di tonificazione muscolare e vi sentirete ancora meglio. L'attività fisica è particolarmente importante nel diabete, perché ha il beneficio aggiunto di rendere l'organismo più sensibile all'insulina che produce. E poi è indispensabile per aiutare a mantenere il giusto peso nel tempo.

Quali risultati si può sperare di ottenere grazie a questa immedesimazione con chi soffre di diabete? Il calo di peso è l'effetto più gradito. In due mesi una persona sovrappeso può perdere più di 7 kg.

 

 

Quali controlli medici, poco consigliati, dovrei far fare ai miei figli?

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Test per la fenilchetonuria, immediatamente, alla nascita (vedi)

Controllo dentistico sul bruxismo (vedi)

Test sulla celiachia, se ha difficoltà alimentari persistenti (vedi)

 

 

Quali sono i fattori di rischio cardiovascolare da tenere sotto controllo, e con quali misure?

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Tenere il colesterolo sotto i 200 mg

Tenere i trigliceridi nei limiti

Far aumentare il rapporto HDL/LDL

Magnesio

In questi ultimi anni è stato messo sotto accura!o esame il magnesio. un minerale che nel nostro corpo ~ presente In tracce e la cui carenza si sospetta possa contribuire all'insorgere delle coronaropatie. E risaputo ormai da tempo che gli individui che vivono in zone di « acqua dura» presentano una minore incidenza di coronaropatie rispetto a coloro che. vivono dove l'acqua è « dol­ce ». Questo fatto potrebbe essere imputato alle maggiori quantità di magnesio contenute nell'acqua dura. Questo minerale del resto svolge un ruolo importante in circa trecento processi enzimatici uma­ni. Bassi livelli di magnesio possono contribuire all'ipertensione e si è visto che aggiungendo questo minerale alla dieta degli ipertesi si ottiene un effetto terapeutico. Gli animali privati del magnesio svi­luppano grassi anormali nel sangue che promuovono l'arterioscle­rosi e quando nella dieta di un ratto da laboratorio si elimina il magnesio, il cuore della cavia va incontro a una forma d'aritmia che può portare addirittura alla morte. Fino a che punto, però, que­ste osservazioni sugli animali si applichino anche agli esseri umani non è ancora chiaro. Ma in pratica, che cosa potete farne di questa informazione? Se ritenete di avere un basso contenuto di magnesio (perché l'acqua che bevete è povera di questo minerale o perché siete sottoposti a terapia diuretica e quindi perdete magnesio con le urine o perché prendete un qualsiasi antibiotico della famiglia degli amminoglìco­sidi) fate un esame del sangue con particolare riguardo a questo mi­nerale, e se il suo livello è basso integrate la dieta con magnesio in compresse. Ricordate anche che certi alimenti come, per esempio, i grassi, lo zucchero, il sodio, i fosfati e la vitamina D,.fanno aumen­tare il fabbisogno di tale minerale. E sappiate che se bevete alcol con regolarità e in quantità eccessiva, gran parte del magnesio può andare perso nelle urine. Se quindi rientrate in una qualsiasi di queste categorie è opportuno prendere integrazioni di magnesio.

Aglio e cipolla

Questi due ortaggi sono sinonimo di buona salute e lunga vita nel folklore di moltissime civiltà diverse tra loro. Per anni non è stata disponibile alcuna documentazione scientifica che confermasse o meno questo punto di vista; di recente però si è scoperto che le cipolle contengono ingredienti che abbassano la pressione sanguigna e diminuiscono la tendenza del sangue a coagularsi all'interno delle arterie. Anche l'aglio inoltre sembra veramente ridurre la coagula­bilità del sangue grazie alla sua azione sulle piastrine. Ma c'è di più, perché mangiando aglio si alza il livello di Hdl e per far questo non è neppure necessario diventare un paria sociale in quanto si possono acquistare compresse d'aglio che non agiscono sull'alito, per cui non sarete scansati da tutti coloro che si trovano nelle vostre immediate vicinanze.

Bevete due bicchieri di vino al giorno (ma vedi quanto si dice altrove contro il consumo di alcol

Anticoagulanti

Oli di pesce e dieta a base di pesce

 

 

Cosa devo fare per prevenire il cancro?

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attenzione: Non viene qui fornito un insieme di misure completo, ma solo qualche spigolatura:

Evitare un eccessivo consumo di carne e, se possibile passare al pesce. La carne bovina, suina ecc. subisce un procedimento di "frollatura", cioè di "putrefazione controllata" in cella frigorifera, per 3-4 giorni dopo la macellazione, che serve a rendere commestibile una carne altrimenti troppo dura. L'inizio di putrefazione rompe le cellule rendendo la carne morbida ma produce anche sostanze tossiche, tra cui, cancerogene, la putrescina e la cadaverina. La carne, che ha una digestione più lenta di quella delle verdure, ristagna nel basso intestino: i grandi mangiatori di carne hanno un'alta incidenza di cancro al colon o al retto. Inoltre le carni bovine e suine contengono ormoni, tra cui il testosterone, che non è in sé cancerogeno, ma è una sostanza che favorisce potentemente il progredire di cancri come il cancro alla prostata.

Numerosi studi mostrano che una dieta povera di frutta e di verdura è associata ad un rischio più elevato di tumore (del polmone, del colon, della prostata, del seno e della cervice). Occorre quindi consumare almeno cinque porzioni di frutta o verdura al giorno (ogni porzione è di circa 100 grammi)

L'obesità aumenta il rischio di cancro della colecisti e dei dotti biliari, della prostata, dell'utero, della mammella in post-menopausa. Mantenere un adeguato peso-forma è importante.

Evitare un uso eccessivo di sale. I giapponesi, che usano moltissimo sale, hanno un elevatissimo tasso di cancro allo stomaco

Mangiare frutta, verdura: le fibre in esse contenute "spazzano" l'intestino assorbendo le sostanze tossiche

Assumere sostanze anticancro, come crucifere (cavoli, broccoli, verze), the verde, vitamina C

Non assumere alimenti industriali (caramelle, insaccati, prodotti in scatola, merendine con conservanti, cioccolate di scarsa qualità ecc.), perché contengono additivi i cui effetti cumulativi, nell'arco di decenni, possono creare neoplasie

Abolire gli insaccati, che contengono nitriti e nitrati e nitrosammine cancerogene

Non friggere fino a rendere gli alimenti, specie la carne, troppo croccanti, perché la crosta croccante e nerastra che si forma ad es. nella cottura col barbecue contiene una potente sostanza cancerogena, l'acroleina. Se possibile abolire i fritti.

Evitare sostanze notoriamente cancerogene: l'aspartame il basilico (alcune parti sono fortemente cancerogene), i semi di sesamo (contengono sesamolo, cancerogeno)

Ecco, per finire, le linee-guida internazionali, secondo quanto indicato dal WCRF (World Cancer Research Fund):

  Mantenersi normopeso per tutta la vita. Per sapere se si è effettivamente normopeso, come si è visto, occorre calcolare l’indice di massa corporea, che dovrebbe tendere verso il basso dell’intervallo considerato normale (fra 18,5 e 24,9) secondo l’Organizzazione mondiale della sanità.

  Praticare attività fisica tutti i giorni. È ragionevole un impegno fisico pari a una camminata veloce per almeno mezz’ora al giorno; a mano a mano che ci si sente più in forma, è utile prolungare l’esercizio fino a un’ora o praticare uno sport che richieda uno sforzo più impegnativo.

  Evitare le bevande zuccherate e limitare il consumo di alimenti ad alta densità calorica. Sono ad alta densità calorica i cibi che contengono elevate quantità di zucchero e/o di grassi. Si tratta di alimenti processati industrialmente, nei quali altissime percentuali di zuccheri e grassi sono contenute in volumi ridotti, come per esempio accade per i dolciumi, i biscotti, le merendine o gli snack a base di cioccolato. Anche alcuni alimenti naturali (per esempio noci, mandorle, frutta secca e olio) contengono energia ad alta densità, ma se consumati come parte di una normale alimentazione non contribuiscono all’aumento di peso.

  Mangiare per lo più alimenti di origine vegetale, consumando molta verdura e frutta e inserendo cereali e legumi in ogni pasto. Questa è una regola fondamentale, soprattutto perché la carne andrebbe eliminata del tutto. Dovremmo basare la nostra alimentazione su cibi vegetali, cereali e derivati (meglio se integrali), legumi e un’ampia varietà di frutta e di verdure non amidacee. Sommando verdure e frutta, sono raccomandate almeno cinque porzioni al giorno (più di 400 grammi). Il pesce è accettabile.

  Limitare il consumo di carne rossa. Riporto qui ciò che viene detto in queste linee guida ma – ormai lo avrete capito – il mio parere è che la carne vada abolita. Tutta la carne.

  Limitare il consumo di alcol. Si raccomanda di non superare una quantità pari a un bicchiere di vino al giorno per le donne e due per gli uomini. La quantità di alcol in un bicchiere di vino è circa pari a quella contenuta in una lattina di birra e in un bicchierino di un distillato o di un liquore. I superalcolici comunque sarebbero da ritirare dal mercato: creano danni alla salute in tanti modi, diretti e indiretti.

  Limitare il consumo di sale. Non consumarne più di 6 grammi al giorno ed evitare cibi conservati sotto sale.

  Variare gli alimenti per assicurarsi un apporto sufficiente di tutti i nutrienti attraverso il cibo. La varietà è fondamentale. L’assunzione di supplementi alimentari per la prevenzione è sconsigliata: non funziona, perché non serve aggiungere integratori senza correggere le proprie abitudini, e se l’alimentazione è corretta a maggior ragione tali supplementi sono del tutto inutili.

 

 

Qual è la frutta più vitaminica, e quella meno vitaminica?

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Arance, fragole, kiwi, fichi (ricchi di sali minerali), albicocche sono tra la frutta più vitaminica

Pere, mele, pesche, banane prugne, ciliegie sono la frutta più povera di vitamine e sali minerali

Le banane contengono solo potassio

L'uva contiene perlopiù zuccheri e poche vitamine. La sua buccia ha le antocianine, pigmenti rossi antiossidanti.

Le pesche contengono solo quantità di vitamina A reperibili anche nelle carote

I meloni contengono vitamina A ma poco altro

Le mele non hanno molte vitamine, ma hanno un potente antiossidante, la quercetina e preziose fibre idrosolubili, migliori di quelle della crusca (vedi)

 

 

Digiunare, per dimagrire o per filosofia di vita, un giorno a settimana, è dannoso per la salute?

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Cosa si intende per "digiuno"? Il "digiuno" può assumere diverse forme:

(1)     Restrizione calorica: non è digiuno ma limitazione delle calorie all'essenziale, per allungare la vita evitando i processi ossidativi che invecchiano l'organismo le cui cellule bruciano troppi nutrienti. Non implica il digiuno, ma può attuata anche tramite digiuno.

(2)     Digiuno per dimagrire. Dura solo il tempo della terapia "d'urto". Una volta che si siano persi dieci chili o più si ritorna ad una dieta meno drastica. Consiste nel sopprimere

(3)     Digiuno per consolidare gli effetti del dimagrimento. Viene talvolta consigliato di digiunare una volta a settimana o una o più volte al mese per continuare a mantenere sotto controllo il peso.

(4)     Digiuno "regolare" per motivi etici (mangiamo troppo cibo che va sottratto al Terzo Mondo; mangiamo troppa carne, provocando sofferenze agli animali che sono macellati in maniera barbara e costretti in gabbie strettissime negli allevamenti),

(5)     Digiuno occasionale, per disintossicarsi, quando si ha l'influenza, quando si ha un imbarazzo di stomaco. Dura uno o due giorni al massimo.

(6)     Digiuno religioso. Si ricordi il "venerdì di magro" o la "Quaresima" della religione cattolica.

(7)     Il digiuno è utilizzato dagli asceti, dai santi e dai santoni yoga per controllare gli istinti. La restrizione calorica o il digiuno sono un metodo ben noto per controllare l'impulso sessuale e ottenere il controllo delle pulsioni, praticato da tutti gli asceti. I membri di molte tribù di pellerossa praticavano il digiuno e l'isolamento quando volevano avere visioni.

I digiuni del tipo da (2), (4), (7) consistono nel saltare i pasti per 24 ore nel corso della settimana (alcuni digiunatori digiunano per due giorni la settimana) o, in modo meno impegnativo, nel saltare un certo numero di pasti nel corso della settimana.

I danni del digiuno protratto per un tempo eccessivo sono:

Pericolo di calcoli biliari: la mancanza di cibo fa sì che la bile prodotta dalla cistifellea ristagni inutilizzata nei dotti biliari, dove può cristallizzare e creare calcoli.

Diverticolite: chi digiuna non introduce fibre, e nello stomaco e nell'intestino, per le contrazioni, si formano dei diverticoli, cioè delle deformazioni delle pareti

Questo effetto riguarda solo digiuni di parecchi giorni o diete a bassissimo contenuto di fibra protratte per molto tempo.

Mal di testa (occasionalmente, in caso di digiuno protratto)

Insonnia. In caso di digiuno protratto per più di uno-due giorni il soggetto stenta a prendere sonno

Crampi muscolari

Abbassamento della temperatura corporea. Il soggetto sente freddo, anche in piena estate, e deve coprirsi con maglioni e abiti caldi.

Rallentamento del metabolismo: l'individuo si muove più lentamente e accusa una certa fatica a compiere i movimenti.

Diminuzione della massa muscolare. Quando non ci sono più grassi da bruciare l'organismo comincia ad intaccare i muscoli

Corpi chetonici.

In condizioni normali la sintesi di corpi chetonici è minima e i piccoli quantitativi sono utilizzati a scopo energetico da vari tessuti, come i muscoli e il cuore. Quando è in atto una forte distruzione di grassi, per esempio in caso di dieta a basso contenuto di carboidrati o di digiuno prolungato, i corpi chetonici in eccesso si accumulano nel sangue causando acidosi. Tale eccesso viene smaltito con le urine (chetonuria); tuttavia, passando nell’urina, i corpi chetonici attirano molta acqua per osmosi, con conseguente disidratazione dell’organismo.

I corpi chetonici sono segno di lieve intossicazione dell'organismo. In realtà la chetonuria diventa grave solo in caso di digiuno estremamente protratto. Esistono degli appositi stick reattivi che immersi nelle urine permettono di tenere tranquillamente sotto controllo la chetonuria. L'unico effetto negativo è che i chetoni assorbono molta acqua, che viene ritirata da altri organi, che potrebbero soffrirne.

Caduta dei capelli o capelli fragili e indebolimento delle unghie. Quando l'organismo deve risparmiare calorie "taglia" alcune funzioni non vitali, come la produzione di calore e di capelli.

Visioni e allucinazioni (solo in una minima parte di soggetti, e si tratterebbe di esperienze non sgradevoli)

Il digiuno può avere effetti depressivi ed accentuare la depressione di soggetti già predisposti.

Questi inconvenienti non sono assolutamente riscontrabili in modo serio in un digiuno razionale, condotto per un giorno o due a settimana, anche per periodi protratti, purché nei restanti giorni ci si attenga a una dieta sana e nutriente.

Il digiuno razionale non fa male. Il professor Umberto Veronesi ha recentemente scritto un libro sul digiuno, rivelando che lo pratica da decenni, digiunando due giorni a settimana, e non ne ha alcun danno. Non solo: unisce al digiuno il vegetarianesimo, privandosi di carne e di pesce, e nonostante tutto questo sta benissimo (ha 85 anni ed è in forma perfetta) e lo raccomanda a tutti i conoscenti ed amici.

Ecco una serie di falsi allarmismi sul digiuno:

Se digiuni diventi anoressico. In realtà è vero il contrario: l'anoressico digiuna perché è malato, mentre non è vero che una persona psichicamente sana possa sviluppare anoressia.

Il digiuno danneggia l'organismo in modo permanente.

Il corpo dell'uomo è adattato perfettamente a periodi di carestia. Si può dire che la dieta del contadino dei secoli passati, con le carestie e l'inefficienza delle tecniche di coltivazione, i parassiti e le malattie delle piante, fosse una dieta con non pochi giorni di digiuno al mese. Un digiuno moderato e razionale non danneggia assolutamente il corpo.

Se digiuni ti privi del cibo e rischi di morire

No comment

Il digiuno distrugge il piacere di vivere, perché distrugge il piacere di mangiare, sostituendolo con il tormento continuo della fame, e provoca una grave crisi depressiva.

Le crisi depressive riguardano principalmente persone già predisposte per eredità familiare o per cause biochimiche alla depressione, ma non tocca che occasionalmente le persone senza simili problemi di salute mentale.

Chi digiuna, dopo le prime dieci ore o dopo il primo giorno non prova assolutamente senso di fame. Chi si astiene dal cibo per determinati periodi a settimana, viene appagato da una minore quantità di cibo, e riferisce che anche una minima quantità di cibo viene gustata in modo straordinario, molto di più di quanto non succeda in un regime normale, dove abbiamo sempre lo stomaco mezzo pieno e il senso del gusto è come attutito.

L'idea che ripetute diete e digiuni abbassino il metabolismo, in modo che l'organismo impara sempre più a risparmiare calorie fino a che diventa impossibile dimagrire è uno spauracchio agitato da molti esperti, ma è assolutamente infondato e terroristico.

Alcuni ricercatori giungono fino a dipingere un quadro fosco: "Il digiuno provoca turbe del metabolismo. Infatti quando è sottoposto a un così intenso stress ipocalorico, il corpo si adatta a quella che percepisce come una carestia, e si sforza di conservare energia, costringendo la tiroide e il sistema nervoso simpatico a lavorare a un regime sempre più basso, "tagliando", per così dire, alcune funzioni non vitali. In altre parole, sapendo che ogni giorno gli viene somministrato un certo ammontare di calorie, l'organismo evita di spenderle per riscaldarsi o per produrre capelli. Molti esperti ritengono che dopo ripetuti cicli di dieta-shock, il corpo tenda ad assestarsi in uno stato di semi-astinenza, come se si preparasse per la prossima carestia. Il che spiegherebbe il cosiddetto "effetto yo-yo" che tanti digiunatori sperimentano sulla propria pelle: più digiunano, più il loro metabolismo rallenta, e più devono abbassare la dose giornaliera di calorie per poter perdere altri chili o addirittura per mantenere i risultati ottenuti. E' un circolo vizioso che genera frustrazioni tanto più profonde quanto più elevate sono le aspettative e che sottopone l'organismo a un inutile stress. Le statistiche dicono che tra tutti coloro che abbracciano una dieta "rapida", uno su due getta la spugna prima di averla ultimata, non riuscendo a reprimere le pulsioni della gola. Ma intanto, nelle sue cellule, il brusco su e giù della bilancia ha scardinato i meccanismi metabolici con la furia di un tifone, e presto o tardi se ne vedranno le conseguenze".

Tutto questo è stato smentito radicalmente da un articolo su Scientific American, dove si afferma che "non ci sono prove o studi che confermino queste idee su un presunto e imporante rallentamento del metabolismo, anche se esse appaiono (ingannevolmente) plausibili"

In ogni caso, se anche ci fosse un rallentamento del metabolismo, esso non impedisce che digiuni successivi perdano efficacia: essi restano sempre validi per dimagrire: quale che sia il numero di digiuni già fatto, il corpo non può "rallentare" al disotto di una certa soglia e vivere d'aria, quindi, tagliando le calorie sarà sempre costretto a dimagrire.

Il "rallentamento del metabolismo" non è poi, in sé una cosa negativa: esso vuol dire semplicemente che l'organismo ha bisogno di meno cibo, che utilizza più efficacamente il nutrimento che gli diamo e soprattutto che invecchia più lentamente.

 

 

Il digiuno fa bene: un articolo del ricercatore italiano Giuseppe Remuzzi

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Ecco il testo di un articolo comparso sul Corriere della Sera il 9 aprile 2015 e scritto da Giuseppe Remuzzi, coordinatore delle ricerche all’Istituto Mario Negri di Bergamo.

Il digiuno fa bene. E non lo dicono solo le religioni

Quando ci si astiene dal cibo per 24 ore nel cervello si formano nuovi neuroni e mangiare poco sarebbe un toccasana per chi ha problemi di cuore

Gesù fu condotta nel deserto per essere tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato 40 giorni e 40 notti alla fine ebbe fame. Il tentatore gli disse: «Se sei figlio di Dio fa che queste pietre siano pane». Egli rispose: «Non di pane soltanto vivrà l’uomo». Giudaismo, Cristianesimo, Islam le maggiori religioni suggeriscono che si debba digiunare, qualche volta almeno, quando non per un mese intero dall’alba al tramonto. Vi siete mai chiesti perché? Topi e uomini che stanno senza mangiare per un po’ - bastano 16 ore, più o meno come nel Ramadan - si ammalano di meno. Ma andiamo con ordine.

Le 12 ore di digiuno

Siamo stati cacciatori e così si mangiava quando capitava, due o tre volte la settimana e nemmeno sempre. Un tempo procurarsi il cibo per l’uomo era così difficile che occorreva aguzzare l’ingegno e chissà che le nostre capacità cognitive non si siano evolute proprio da allora. Per prevalere sugli animali poi era importante per gli uomini poter comunicare tra loro, insomma serviva un linguaggio e l’abbiamo inventato. Quelli che riuscivano a procurarsi il cibo mangiavano comunque soltanto di giorno poi col calare del sole più nulla fino all’alba. Sono almeno 12 ore di digiuno. Con la luce artificiale è cambiato tutto si mangia sempre fino a tardi e c’è persino chi si alza di notte per mangiare ma l’uomo non è fatto per mangiare quattro volte al giorno. Siamo stati progettati per farlo quando capita e i nostri geni sono ancora quelli di allora. Del resto, se non fosse così perché dovremmo avere ancora oggi organi - il fegato per esempio - capaci di conservare energia per poi renderla disponibile quando serve? Le riserve di zucchero che si accumulano nel fegato sotto forma di glicogeno dopo 10-12 ore di digiuno tendono però a esaurirsi. Questo richiama acidi grassi dal tessuto adiposo, il fegato li trasforma in chetoni che tornano nel sangue e raggiungono muscoli e cervello per essere fonte di energia.

Astenersi dal cibo: nuovi neuroni

Parte del segreto dell’effetto favorevole del digiuno è proprio qui, tanto che basta astenersi dal cibo per 24 ore perché nel cervello si formino nuovi neuroni. Insomma il nostro organismo si difende dallo stress di stare qualche ora senza cibo adottando una serie di precauzioni che col tempo proteggono i nostri tessuti da guai peggiori. Stare un po’ senza mangiare fra l’altro riduce l’infiammazione, migliora la risposta immune e potenzia la capacità delle cellule di liberarsi da sostanze di scarto. E non basta, il digiuno rallenta persino la crescita dei tumori, almeno nei topi; anche le cellule del cancro hanno bisogno di energia ma non sanno farlo utilizzando i chetoni. Così in animali che mangiano un giorno sì e uno no il tumore non cresce.

Le nostre abitudini alimentari sono davvero corrette?

Come si conciliano gli effetti favorevoli del digiunare uno o due giorni alla settimana con le abitudini dell’uomo moderno? Malissimo. Ed è persino possibile che le abitudini alimentari che si sono consolidate negli ultimi cento anni siano sbagliate. Che evidenza c’è per esempio che la famosa “colazione abbondante del mattino” faccia bene? Quasi nessuna. E della merendina a scuola per i bambini? Nemmeno. Abbiamo più bambini in sovrappeso di qualunque altro paese d’Europa salvo Cipro. Le diete che vengono proposte prevedono di ridurre la quantità di calorie o che si mangino soltanto certi cibi; solo frutta e verdura per esempio oppure solo proteine e ancora dieta dissociata, dieta zona o dieta del gruppo sanguigno. In realtà tutti questi sistemi fanno perdere un po’ di peso all’inizio ma alla lunga non portano a nessun vantaggio.

Un toccasana per chi sta male

E allora? Si potrebbe provare a digiunare uno o due giorni la settimana oppure mangiare solo in certe ore del giorno e saltare qualche pasto (comunque bisogna bere, almeno due litri al giorno). Per diabetici, per chi soffre di cuore e forse anche per chi ha un tumore sarebbe un toccasana. Questo per lo meno è quello che pensano Mark Mattson di Baltimora e tantissimi altri scienziati americani ed europei - fra loro c’è anche un italiano, Luigi Fontana – che hanno pubblicato suProceedings of the National Academy of Sciences un lungo articolo per ricordare alla comunità scientifica i vantaggi e le basi teoriche del mangiare solo ogni tanto. Ma se uno sta bene e non ha problemi di sovrappeso? Di sicuro non lo sappiamo, serve altra ricerca per sapere se saltare qualche pasto aiuterebbe anche le persone sane. Si tratta di confrontare per esempio chi mangia tre volte al giorno con in più uno spuntino, con chi mangia solo a mezzogiorno e sera, con chi per almeno due giorni la settimana sta senza mangiare per 16 ore o anche di più. Se poi si dimostrasse che per quanto riguarda l’alimentazione noi uomini non siamo così diversi dai topi se ne dovrebbe prendere atto e adattarsi a stili di vita più compatibili con quello per cui il nostro organismo è stato progettato.

 

 

Cos'è la "dieta del digiuno" proposta da Umberto Veronesi?

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La dieta del digiuno è il titolo di un libro pubblicato da Umberto Veronesi nel 2013, che propone una combinazione di vegetarianesimo e restrizionie calorica.

Il vegetarianesimo è motivato dal fatto che secondo Veronesi la carne è cancerogena, e abolire il suo consumo è considerato necessario. Ma è motivato anche da principi morali: la considerazione delle persone che non hanno di che vivere, mentre l'Occidente mangia troppa carne animale impiegando troppe risorse per produrla; il rifiuto di uccidere animali.

La restrizione calorica (vedi paragrafo), cioè la riduzione delle calorie giornaliere al minimo necessario è collegata a studi che mostrano che la riduzione dell'apporto calorico prolunga la vita degli animali di laboratorio fino al 25% in più e li mantiene più sani fino alla fine della loro esistenza.

 

 

Sintesi del libro La dieta del digiuno, di Umberto Veronesi

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Clicca qui per leggere una selezione completa dei brani più importanti del libro

 

 

Bacche e semi che sono considerati “superalimenti”

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Ecco indicate le presunte caratteristiche benefiche di una serie di alimenti di cui recentemente si è molto parlato. Personalmente, chi scrive non ha dubbi circa i semi di cacao, i semi di girasole e considera estremamente interessanti i semi di Chia. Per gli altri alimenti citati, si riserva il giudizio.

  Semi di Chia

E’ una pianta che cresce in Messico e Bolivia della quale si utilizzano in prevalenza i semi.

Aiutano a dimagrire: i semi di Chia sono popolari soprattutto per la perdita di peso. Essi riducono il desiderio di cibo, ed impediscono l’assorbimento delle sostanze più grasse contenute in alcuni alimenti che non dovrebbero essere nella nostra dieta.

Assorbendo ben 10 volte il loro peso in acqua, provocano una immediata sazietà, formando una sorta di gel

Idratano: sono un integratore ideale per gli sportivi, che ne potranno consumare fino a 5 cucchiai al giorno

Riducono la pressione sanguigna: se soffrite di pressione alta non potete assolutamente farne a meno. Iniziate con un dosaggio basso (1 cucchiaino al giorno) per abituare il corpo e poi aumentate (fino a 2 cucchiaini)

Apportano omega-3: sono una delle fonti più ricche di omega-3, contengono più omega-3 del salmone

Proteggono dal diabete: rallentano la velocità con cui il nostro organismo converte i carboidrati in zuccheri semplici, controllando di conseguenza il livello di zuccheri nel sangue

Danno energia: l’alto contenuto di vitamine, fibre e sali minerali e antiossidanti naturali ci danno energia.

  Bacche di Acai

Sono i piccoli frutti di una palma originaria della foresta amazzonica. Fanno parte della grande famiglia dei frutti di bosco.

  Aiutano il cuore, grazie agli steroli vegetali (che hanno proprietà cardio-protettive) ed agli antociani, un tipo di antiossidanti capaci di abbassare il colesterolo nel sangue

  Aiutano a perdere peso, contrastando l’assorbimento dei grassi. Non a caso molti prodotti per il dimagrimento sono a base di bacche di acai

  Aiutano a digerire: sono particolarmente di fibre e depurative, poiché puliscono l’intestino dalle tossine.

  Fanno respirare meglio, perché contengono sostanze atte a prevenire l’irritazione tipica associata alle difficoltà respiratorie, per cui sono un valido aiuto per chi soffre d’asma.

  Proteggono dai radicali liberi (sempre per gli antociani)

  Sono benefiche per la pelle: dato il contenuto di antiossidanti, l’olio che se ne ricava è utilizzato nei prodotti bio di bellezza

  Bacche di Goji

Sono piccoli frutti che nascono dagli arbusti di una pianta che cresce nelle regioni himalayane e sugli altipiani della Mongolia.

  Forniscono tutti gli aminoacidi di cui il corpo ha bisogno: sono le uniche, tra i frutti, a contenere tutti gli aminoacidi essenziali

  Sono un eccezionale integratore naturale: ricchi di proteine, di vitamina C (500 volte più delle arance), carotenoidi, ferro (15 volte la quantità contenuta negli spinaci), calcio, zinco, selenio ed altri importanti minerali

  Contengono zeaxantina, un carotenoide precursore della vitamina A appartenenti alla classe delle xantofille. Questa sostanza, insieme ai polifenoli e polisaccaridi, aiuta a proteggere dai danni alla retina

  Hanno in particolare un contenuto di vitamina C 500 volte superiore a quello delle arance

  Proteggono dal cancro alla pelle: ricercatori australiani hanno trovato che rallentano il moltiplicarsi delle cellule neoplasiche ed arrestano il decorso del cancro

  Semi di girasole, noci

Sono molto ricchi di sostanze utili, di acidi grassi omega-6 e ricchissime di ferro. Hanno tutte le proprietà cardioprotettive degli acidi grassi polinsaturi, visto che ne contengono in quantità

  Semi di cacao

Una nuova ricerca pubblicata sul Chemistry Central Journal ha ora dimostrato che, cacao e il cioccolato fondente sono più antiossidanti della frutta grazie al loro maggiore contenuto di polifenoli e flavanoli. Lo studio è stato condotto dai ricercatori dell'Hershey Center for Health & Nutrition che, comparando le capacità nutrizionali diversi tipi di frutta e cacao grammo per grammo, hanno così stabilito la supremazia nutritiva dei semi di cacao.

I flavanoli sono un tipo di fitonutrienti appartenenti al più ampio gruppo dei flavonoidi: sono naturalmente contenuti nel cacao ma la gran parte si disperde nel processo di lavorazione per ottenere il cioccolato. Tra le proprietà loro riconosciute, quella di mantenere in salute i vasi sanguigni e di abbassare il rischio di aggregazione piastrinica che provoca la coagulazione del sangue. I polifenoli sono antiossidanti naturali presenti nelle piante e possono risultare utili nella prevenzione dell’ossidazione delle lipoproteine e contro i radicali liberi; tra gli altri effetti benefici a loro imputati, quelli a livello cardiovascolare, a livello cognitivo e contro la crescita tumorale.

I ricercatori hanno paragonato gli antiossidanti contenuti nei semi di cacao, nel cioccolato fondente e in diversi tipi di frutta e succhi di frutta, trovando che cacao e cioccolato hanno capacità antiossidanti superiori e maggiori quantità di flavanoli totale e polifenoli.

Tuttavia, tra cioccolato e cacao non c'è partita, perché il processo di lavorazione del cacao che porta alla realizzazione del cioccolato - l'alcalinizzazione - disperde parte dei composti benefici: «I semi di cacao - spiega Debra Miller, autrice senior dello studio - sono un super-frutto che fornisce un valore nutritivo che va oltre la loro composizione di macronutrienti».

Aggiungiamo che anche alla polvere di cacao magro vengono aggiungi dei carbonati di potassio per alcalinizzarlo, e quindi la pienezza delle proprietà antiossidanti va ricercata nei semi di cacao.

 

 

Una cena urban style al ristorante

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Cenare al ristorante, specie se è una abitudine fissa una o più volte alla settimana, può avere effetti negativi sul vostro peso e anche sulla vostra salute. Ma questo non vuol dire che dobbiate necessariamente privarvi del piacere di una cena in un locale simpatico, magari con amici, a favore di un self-service come Brek o Exki o di un ristorante macrobiotico o vegano. Ecco cosa consiglia Umberto Veronesi riguardo una cena al ristorante:

“Le porzioni servite al ristorante sono molto spesso troppo abbondanti. Pertanto il consiglio è non ordinare mai un pasto completo ma scegliere solo una combinazione tra l’antipasto e il primo o l’antipasto e il secondo, senza farsi mai mancare il contorno. Per contorno si intende insalata mista o verdure (non fritte o gratinate con formaggi). Attenzione: le patate non sono considerate contorni bensì un sostituto del pane. Evitate poi di fare aggiunte di sale ai piatti prima di averli assaggiati, scegliete dolci a base di frutta e ricordatevi che gli alcolici apportano calorie, quindi limitate il consumo a un bicchiere di vino rosso a pasto”.

Vorremmo attirare l’attenzione su una delle raccomandazioni di Umberto Veronesi, che a noi sembra quella più importante e consona ad uno stile di vita moderno e dinamico: non ordinate più di una portata (il contorno di verdura è raccomandato per ottenere ulteriori nutrienti: eliminarlo non fa alcun danno). Sempre più persone oggi, per una cena insieme o da soli, prima di andare al cinema, a teatro o di girare la città by night, si recano ad esempio da Eataly, che ha ristoranti separati per la carne, la verdura, gli affettati e formaggi, la pasta, il pesce, e cenano con un solo piatto. Il sottoscritto preferisce personalmente cenare con un ottimo piatto di pasta di Gragnano al sugo, e nell’attesa che il piatto arrivi si riempie più volte il bicchiere da una bottiglia di acqua minerale Lurisia. Il costo? Non arriva a dieci euro. E terminerete la vostra cena sazi e leggeri anche nella spesa.

 

 

Succo di pomodoro da bere: un alimento ottimo, ma quasi sconosciuto in italia

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In Italia raramente si trovano nei supermercati le bottigliette di succo di pomodoro da bere. Ed è un peccato perché è un ottimo alimento. E’ un drink energizzante e che non fa ingrassare, rinfrescante, dissetante, magari con qualche goccia di succo di limone o di peperoncino. E’ ricco di antiossidanti, tra cui il licopene, può apportare molti sali minerali (in particolare potassio) all’organismo dopo uno sforzo fisico o una giornata afosa e una profusa traspirazione. Contiene molta vitamina C. E’ ottimo anche per preparare cocktail alcolici e analcolici.

Tra i sali minerali presenti spicca soprattutto il potassio, discrete le quantità di calcio, fosforo e sodio, ma è la presenza di vitamine e carotenoidi che è notevole, con elevate concentrazioni di licopene, luteina, zeaxantina, vitamina C, E, K.

Ecco, in dettaglio, i benefici del succo di pomodoro

  Previene il cancro alla prostata: recenti studi hanno dimostrato l’effetto benefico di una dieta ricca di pomodori su una forma tumorale benigna della prostata. Il responsabile di questa attività anti-tumorale è il licopene, antiossidante capace di provocare la regressione delle cellule tumorali secondo un meccanismo ancora da dimostrare.

  Combatte l’osteoporosi: in quanto i sali minerali presenti nel succo di pomodoro sono costituenti fondamentali della struttura scheletrica. Il ruolo protettivo del licopene impedisce la perdita di minerali dall’osso, conferendo stabilità allo scheletro.

  Prevenire l’aterosclerosi, grazie al licopene che svolge la funzione di antiossidante, contrasta la formazione dei radicali liberi e protegge cellule e strutture da eventuali danni

  Protegge dai raggi UV: recenti studi hanno rilevato addirittura che il licopene sia capace più del beta-carotene di proteggere dai danni ossidativi causati dai raggi UV

  Protegge il fegato, grazie sempre al licopene che contrasta la perossidazione dei lipidi, un processo che è alla base della maggior parte delle patologie a carico di questo organo

 

 

Curcuma e curcumina fanno bene alla salute e al cervello

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  Chiamiamo curcuma un insieme di piante di differenti specie. La Curcuma longa è la più usata: la polvere giallo intenso che conosciamo si ottiene mediante la frantumazione del rizoma di una pianta tropicale appartenente alla famiglia dello zenzero. È un altro esempio di ingrediente culinario usato come medicinale e menzionato in trattati di medicina risalenti a oltre tremila anni prima di Cristo: in India la curcuma è tuttora una spezia sacra e la medicina ayurvedica la usa correntemente. Oggi la si trova sia commercializzata in polvere come curcumina sia come ingrediente principale del curry. Vi corrisponde anche il più o meno famoso E100, ossia il colorante alimentare che dà la tinta gialla alla senape.

  La curcumina ha molti effetti: uno, importante, è la modulazione dello stato infiammatorio, un processo alla base dell’obesità, del diabete, delle malattie cardiovascolari e dei tumori. La dimostrazione definitiva di questa proprietà terapeutica si è ottenuta per ora negli animali, mentre nell’uomo si è osservato un miglioramento della quantità di zuccheri contenuti nel sangue in chi soffre di diabete, un aumento del colesterolo HDL «buono» a scapito di quello LDL «cattivo». Nelle persone affette da aterosclerosi la curcumina provoca una diminuzione dei livelli di fibrinogeno nel sangue, con conseguente riduzione del rischio di trombosi.

  Parliamo quindi dei tumori: non ci sono dubbi che lo stato infiammatorio e lo stress ossidativo abbiano uno stretto legame con le patologie oncologiche. Forse conoscete in tal senso gli studi che hanno insinuato il dubbio di un possibile contributo dell’aspirina alla prevenzione del tumore al colon: cibarsi di curcuma ha più o meno le medesime conseguenze biologiche dell’assunzione di aspirina, con meno effetti collaterali, però. Questo non vuole dire ovviamente che al posto dell’aspirina si debba usare la curcuma per curare un’infiammazione; significa però che il legame tra infiammazione e malattia, e tra riduzione dell’infiammazione e salute, va ulteriormente approfondito, anche per verificare quale spazio abbia la curcuma nella prevenzione dei tumori. Studiare gli effetti preventivi delle spezie, in particolare della curcuma, sull’insorgenza dei tumori ha un senso, vista la loro attività antiossidante e antinfiammatoria. Alcuni dati indicano che proprio la curcuma abbia la capacità di rallentare lo sviluppo tumorale, attraverso diversi meccanismi di azione.

La curcuma è una delle spezie curative più versatili del mondo. Ora l'attenzione della scienza va ad un'ulteriore possibile proprietà benefica della curcuma: migliorare la capacità del cervello di autoguarirsi.

Ancora una volta è merito della curcumina, un sostanza presente nella curcuma che sarebbe in grado di incoraggiare l'attività delle cellule nervose nella riparazione del cervello. Non soltanto la curcumina, ma anche altre sostanze presenti nella curcuma, come ar-turmerone, curlone e β-turmerone, sarebbero in grado di abbassare il rischio di ictus.

In particolare, secondo gli studi dedicati alla curcuma, la curcumina ed altri composti presenti in questa spezia sarebbero in grado di prevenire lesioni ed altri danni alle arterie cerebrali, ripristinare la produzione di energia da parte delle cellule, mantenere corretti i livelli di enzimi antiossidanti protettivi del cervello e ripararci dai danni cerebrali causati da radicali liberi e infiammazione.

Al momento i ricercatori hanno testato in laboratorio la curcumina per valutare i suoi benefici rispetto ai danni al cervello, incluso l'ictus. La speranza è che via via la scienza possa approfondire i benefici della curcuma e dei suoi composti direttamente sull'uomo, con riferimento ai suoi effetti sul nostro cervello.

Le proprietà della curcuma come rimedio in grado di migliorare il potere del cervello di autoripararsi sono state evidenziate da una ricerca pubblicata di recente sulla rivista scientifica Stem Cell Research and Therapy. Lo studio porta il titolo di "Aromatic-turmerone induces neural stem cell proliferation in vitro and in vivo".

In questo studio i ricercatori dell'Institute of Neuroscience and Medicine di Julich, in Germania, si sono concentrati sull'ar-turmerone (aromatic-turmerone). Su modello animale, la somministrazione di ar-turmerone ha portato ad unaumento dell'80% della capacità del cervello di autoripararsi.

Secondo quanto dichiarato dagli esperti, si tratta di un importante passo avanti per quanto riguarda la medicina rigenerativa e l'identificazione di sostanze che possano promuovere la differenziazione delle cellule staminali in neuroni. I ricercatori sperano in questo modo di trovare soluzioni per migliorare la qualità della vita dei milioni di persone che soffrono di malattie come Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica e non solo.

Al di là di questo studio, la curcuma è considerata un vero e proprio elisir di lunga vita, con conferme sempre più frequenti ed importanti da parte della scienza. La curcumina, infatti, è un potente antinfiammatorio che è stato associato con la possibilità di prevenire il diabete e l'artrite. Ci attendiamo in ogni caso ulteriori ricerche per approfondire gli effetti benefici della curcuma sull'uomo e sul nostro cervello.

 

 

Un'insalata con crescione selvatico? No, grazie!

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Per quanto lo si lavi bene, nel crescione selvatico si possono ancora annidare le larve delle cercarie, che, attraverso l'intestino passano nel sangue e si riproducono nell'uomo, ad esempio nel fegato, con effetti disastrosi e talvolta mortali.

 

 

I benefici di aglio e cipolla

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  Le possibilità di ottenere benefici fisici dall’aglio sono tante. Dai tempi antichi si sa che l’aglio ha proprietà antibatteriche, e questa capacità non solo non è mai stata smentita, ma ha avuto ulteriori conferme di recente con gli studi sul cancro allo stomaco. Anzi, possiamo definire l’aglio un amico e un protettore di esofago, stomaco e colon, soprattutto per quanto riguarda i tumori. Come forse sapete, il tumore dello stomaco può insorgere in seguito a infezione da Helicobacter pylori (il batterio responsabile dell’ulcera gastrica): potrebbe essere proprio l’attività antibatterica dell’aglio a conferirgli questa capacità di proteggere dai tumori delle vie digerenti. Alcuni studi hanno dimostrato che anche il rischio di tumore della prostata è inferiore nelle popolazioni che mangiano tanto aglio.

  Una delle molecole presenti nell’aglio si chiama allicina, che durante l’alimentazione viene rapidamente trasformata in sostanze diverse: sono proprio i derivati dell’allicina a garantire all’aglio molteplici capacità protettive. Pensate che studi scientifici hanno dimostrato che almeno venti sostanze derivate dall’aglio svolgono un’attività antitumorale. Addirittura, alcune di queste sostanze sono in grado di distruggere le cellule tumorali, isolate in laboratorio, nelle neoplasie del colon, del seno, del polmone, della prostata e nelle leucemie.

  Nell’aglio fresco l’allicina è presente in un aminoacido, l’alliina; per diventare allicina gli spicchi devono essere tritati o schiacciati. Nelle popolazioni che consumano elevate quantità di aglio le malattie cardiovascolari sono più rare: è possibile che questa sia la conseguenza delle capacità antiossidanti e antipertensive dell’allicina e dei suoi derivati.

  Anche la cipolla ha un ruolo benefico per la salute. La sua azione, anche se più blanda, è simile a quella dell’aglio. Le cipolle contengono inoltre quercetina, un importante flavonoide della grande famiglia dei polifenoli: la quercetina è in grado di influenzare positivamente le quantità di trigliceridi e colesterolo nel sangue, fattori cruciali nel rischio di malattia cardiovascolare.

  L’ideale sarebbe consumare cipolle fresche e crude. Anche nelle preparazioni cotte la cipolla ha una sua utilità, soprattutto come insaporitore naturale che aiuta a diminuire l’aggiunta di sale.

 

 

Quale shampoo dolce per uso giornaliero potrei usare?

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Lo shampoo Ducray è un ottimo shampoo. E' stato consigliato a chi scrive da un dermatologo di fama internazionale.

 

 

Lana, pile, piumino: quale dei tre tiene più caldo?

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Per capire perché il piumino batte di gran lunga gli altri due, occorre rivolgersi alla fisica. Il calore si trasmette (e quindi anche disperde) secondo tre meccanismi: conduzione, convezione, irraggiamento. Il miglior isolante termico è il vuoto. Pensate che una intercapedine di un metro di vuoto potrebbe tenerci caldi anche nel freddo siderale, vicino allo zero assoluto. Il piumino è quello che si avvicina di più a queste condizioni, perché consiste di una intercapedine riempita di piume d'oca, che con le loro barbette inibiscono i moti convettivi dell'aria che trasportano calore dall'interno del corpo all'esterno, creando un isolamento termico superiore a quello di qualsiasi altro tipo di abito.

 

 

Da cosa è provocata la carie?

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La carie è provocata dalla flora batterica del cavo orale. Questi batteri si nutrono di zuccheri, e producono come sostanze di scarto l'acido piruvico e l'acido lattico, che sono potenti agenti corrosivi dei denti.

 

 

Come dovrei fare l'igiene orale?

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Lo spazzolino dovrebbe avere setole dure, perché lo spazzolino con setole morbide o medie non è in grado di penetrare bene gli interstizi tra i denti. Le setole naturali, preferite da molti, non vanno assolutamente bene, perché sono troppo morbide.

Negli spazzolini di buona qualità la punta di ciascuna setola di plastica è arrotondata, in modo da non abradere il dente. Questo è dichiarato sulle confezioni degli spazzolini migliori.

L'uso del filo interdentale è indispensabile. Se il filo non scorre bene si può passare al filo cerato, e, se questo ancora non funziona, al filo di seta (satin floss) che scorre perfettamente e rende l'operazione più rapida.

Lavarsi i denti la mattina appena alzati è una solenne stupidaggine, perché non c'è proprio niente da pulire e un eccesso di pulizia inutile rovina lo smalto.

L'uso eccessivo del dentifricio rovina lo smalto. Tutti i dentifrici contengono acidi sbiancanti, necessari per evitare la formazione del tartaro, che è molto duro, e non si rimuove solo con lo spazzolino. Ma questi acidi possono alla lunga intaccare lo smalto. Lo smalto dei denti è molto spesso sulla parte superiore, masticatoria, ma è sottilissimo intorno al colletto. Una eccessiva igiene orale distrugge questo smalto, che si riforma con difficoltà, ed è quello che dà bianchezza al vostro sorriso. Alcuni dentisti consigliano addirittura, dopo aver pulito il colletto del dente (zona tra il dente e la gengiva) con lo spazzolino, di pulire le superfici laterali dei denti con una pezzuola di cotone, ma questo sembra eccessivo. Va comunque osservata la regola di pulire la parte superiore, il colletto, e di passare solo sommariamente sulle superfici laterali.

Lo spazzolino non va passato solo sopra i denti, ma soprattutto a lato dei denti, suo colletto (zona tra il dente e la gengiva), perché è lì che si formano le carie, con movimenti rotatori o dal basso in alto.

Va impiegato più tempo per i denti inferiori che per quelli superiori, perché da questi ultimi il cibo va via più agevolmente, mentre tende a ristagnare sui denti inferiori e posteriori.

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L'uso dello spazzolino elettrico è utilissimo, fa impiegare molto meno tempo, e inoltre le testine si muovono nel modo "giusto" per pulire. Molte persone troppo pigre per una igiene orale regolare, hanno scoperto che con lo spazzolino elettrico non hanno difficoltà a pulirsi regolarmente.

Cambiare lo spazzolino ogni due mesi almeno per evitare la formazione di batteri e che la punta delle setole non sia più arrotondata.

Dopo l'igiene orale la bocca andrebbe risciacquata con cura, perché il fluoro, sebbene benefico per i denti, è estremamente tossico per l'organismo.

L'uso del colluttorio è perfettamente inutile, perché già nel dentifricio sono contenute sostanze disinfettanti. Il colluttorio andrebbe usato come ulteriore difesa da coloro che sono molto soggetti alla carie.

 

 

Ci sono dentifrici e colluttori migliori di altri?

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Ci sono persone più predisposte alla carie, e persone che all'estremo opposto, possono mangiare di tutto senza prendere una carie.

In generale, se si è nel mezzo, qualsiasi dentifricio va bene, con l'unica accortezza di evitare alcuni dentifrici in commercio, che hanno una quantità assolutamente eccessiva di acidi sbiancanti.

Se si è particolarmente soggetti alla carie, allora è bene passare a un dentifricio salino come AZ15 della Pierrel, uno dei migliori in commercio, che contiene un agente anticarie, l'azulene, utilizzare anche un colluttorio e alternare i colluttori normali con un colluttorio come Curasept, che contiene un potente disinfettante antibatterico. Ci sono varie colluttori Curasept con varie concentrazioni, e occorre stare attenti a prendere quello con la concentrazione più alta.

Si ricordi tuttavia che l'unica misura nel caso di carie che ritornano di frequente, è la cessazione completa dell'uso di alimenti contenenti zucchero: questo è sufficiente a bloccare completamente la carie, mentre anche l'igiene orale più accurata e tempestiva non pare in grado di arrestare la carie in questi casi.

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Quali sono i benefici della vitamina C?

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Il rifiuto della medicina ufficiale di utilizzare molecole naturali, in particolare la vitamina C, contro le infezioni batteriche ha un ulteriore aspetto negativo nel fatto che l'alternativa sono gli antibiotici, il cui uso dovrebbe essere cautamente limitato. Gli antibiotici sono agenti antisintomatici, che non rafforzano in alcun modo il sistema immunitario, come potrebbe invece fare una regolare assunzione di molecole essenziali naturalmente presenti nel nostro corpo, tra cui la vitamina C.

Pauling notò che gli umani, a differenza della maggior parte degli altri animali, che la produce nel fegato e nei reni, hanno sviluppato con l'evoluzione un difetto genetico che impedisce al loro organismo di sintetizzare la vitamina C. Questo difetto genetico non è limitato alla vitamina C, ma a un gruppo estremamente numeroso di sostanze che l'uomo deve assumere dall'esterno. Questo è forse una conseguenza del successo evoluzionistico di una razza di cacciatori-raccoglitori la cui intelligenza garantisce un costante rifornimento di prede ricche di principi nutritivi. Prendendo in esame le quantità di vitamina C prodotte dai reni e dal fegato prodotte dai mammiferi, ad es. topi o capre, e facendo la proporzione tra il loro peso corporeo e quello umano, Pauling vide che la produzione di un animale selvatico, rapportata ad un umano sarebbe di 13-19 grammi al giorno. E questo solo nel caso di organismi sani, non attaccati da batteri. Durante la produzione di vitamina C nei reni e nel fegato degli animali aumenta notevolmente, mentre gli umani sono incapaci, in tali situazioni di procurarsi un supplemento di vitamina C.

Anche due paleontologi che hanno confrontato la dieta pre-agricola con la moderna notano che l'ammontare di vitamina C era più alto (400 mg contro 88 mg) e che la carne era più magra (4%) e consumavano meno sodio e più potassio e calcio.

Altre ragioni a sostegno dell'idea che la quantità di vitamina C richiesta dall'organismo sia molto alta è che essa partecipa a molti dispendiosi processi biochimici: la produzione di collagene (dove, a differenza di altri enzimi, viene in parte consumata), che ha grossi volumi, visto che il collagene è presente in tutti i tessuti; la sintesi della carnitina, che serve per la contrazione muscolare.

I gorilla assumono 4,5 g di vitamina C. In proporzione ad un ratto un umano ne dovrebbe assumere 10 g.

Pauling dice: "E' molto difficile credere che gli umani, che non sono poi differenti dagli altri mammiferi, che utilizzano da 4 a 10 g di acido ascorbico al giorno, possano avere come livello ottimale di acido ascorbico un centesimo di tale quantità". "Se i mammiferi avessero bisogno di soli 45 mg di acido ascorbico al giorno la mutazione del gene della produzione di acido ascorbico sarebbe avvenuta 6 milioni di anni fa, nei progenitori dei mammiferi e non ci sarebbero ancora mammiferi con il gene per la sua produzione". Tanto più che, come nota Pauling, per gli altri nutrienti il fabbisogno umano non si discosta da quello degli altri primati. Studi sulla salute delle scimmie di laboratorio raccomandano 1.75-3,5 g di acido ascorbico (rapportato a 70 kg).

Al disotto di un apporto che rapportato ad un umano è di 3,5 g le cavie mostrano meno prontezza nel guarire da ferite e shock fisiologici vari (operazioni ecc.)

Pauling conclude che la dose ottima per gli umani è tra 2.3 e 10 g. La variabilità individuale può portare questi valori a oscillare tra 250 mg e 20 g.

Pauling ha più volte criticato i protocolli utilizzati per determinare le Recommended Dietary Allowances (RDA) delle vitamine e degli altri nutrienti. I livelli di assunzione giornalieri raccomandati (RDA) dalla FDA americana non rappresentano in alcun modo il dosaggio ottimale, ma quello minimo. La RDA di vitamina C è in particolare la quantità minima per evitare lo scorbuto. In altre parole: se un individuo assume la RDA di vitamina C ogni giorno egli semplicemente eviterà lo scorbuto o la morte per avitaminosi. Senza tacere del fatto che non viene presa in alcuna considerazione la situazione individuale né la presenza di un eventuale stato patologico. Rappresentanti della FDA hanno pubblicamente ammesso che le RDA "non sono in alcun modo raccomandazioni per la dieta ideale", e che anzi nella loro determinazione "è stata volutamente evitata ogni considerazione riguardante l'optimum o il riferimento ad una qualsivoglia finalità" come ad esempio quella di rinforzare il sistema immunitario o combattere processi patologici o infiammatori o detossificare l'organismo.

Perdipiù, come Pauling fece notare, lo scorbuto non è semplicemente una malattia, è lo stadio finale di disgregazione fisiologica conseguente ad una avitaminosi protratta, stadio finale che conduce al collasso biochimico e alla morte. Evitare lo scorbuto vuol quindi semplicemente dire evitare il collasso biochimico e la morte, non la avitaminosi. Una RDA determinata come livello minimo per evitare la morte da scorbuto non è sicuramente una RDA ottimale, perché consente uno stato di avitaminosi cronica subletale, con tutti i disturbi fisici e psichici che ne derivano.

L'acido ascorbico è considerato "virtualmente non-tossico" per l'organismo. L'unico effetto del sovradosaggio è la diarrea.

La vitamina C, presa a dosi fino a 1 g, viene assorbita all'80%, mentre a dosi più alte non più del 50% entra nel sangue. Quando la concentrazione di acido ascorbico nel plasma raggiunge i 14 ml per litro (corrispondente ad una assunzione giornaliera di 140 mg) i tubuli renali smettono di pompare indietro nel sangue l'ascorbato filtrato dai glomeruli.

Da un lato questo conferma che la RDA comunemente accettata è inferiore a quella ottimale (140 mg). Ma questo vuol dire che non dovremmo assumere più di 140 mg di vitamina C al giorno? La risposta è negativa per diverse ragioni: a) quantità addizionali di vitamina C possono entrare nel sangue, anche se oltre i 140 mg solo il 38% della vitamina assunta arriva al flusso sanguigno; b) La presenza di vitamina C nell'escreto dei reni protegge l'apparato urinario da cancro alla vescica e da infezioni; c) Una frazione di vitamina C rimane nell'intestino e previene la formazione di polipi; d) non si tiene conto delle variazioni individuali: alcuni individui tollerano una concentrazione di sodio ascorbato nel plasma di 20 ml per litro; e) persone che hanno basse riserve di vitamina C, per avitaminosi o processi infettivi, captano subito la vitamina C in organi come i leucociti, il cervello, la milza, in modo che la pompa dei tubuli renali riesce ad eliminare molto meno acido ascorbico di quanto si pensi; soggetti con particolari disturbi o processi patologici, come gli schizofrenici, rivelano una necessità molto più alta di vitamina C.

L'uso di dosi molto alte di vitamine contro le malattie, chiamato terapia delle "megavitamine", è una procedura importante. E' opinione di Pauling che col tempo sarà possibile controllare centinaia di malattie con la terapia a base di megavitamine. Hoffer e Osmond hanno dimostrato che molti pazienti schizofrenici ne hanno beneficiato. Il trattamento includeva somministrazione di niacina (3-18 g) e acido ascorbico (3-18 g) insieme a generose dosi di altre vitamine.

A differenza dei farmaci di sintesi, che hanno la capacità di interferire solo su determinate sostanze e reazioni del corpo, sostanze come le vitamine, la vitamina C in particolare, presenti in tutti I tessuti, svolgono su tutti una azione benefica.

Vista la quantità di acido ascorbico richiesta, non è possibile ottenerla tutta dagli alimenti, secondo Pauling.

Una assunzione di 50-100 mg in studi effettuati sulla durata di vita di soggetti umani hanno mostrato di prolungare la vita rispetto a coloro che ne assumevano meno di 50 mg. Nessun'altra vitamina produceva effetti così marcati.

Linus Pauling scrisse che "vi è una incontrovertibile evidenza clinica che un aumento deciso della dose giornaliera di vitamina C rispetto ai 45 mg della RDA fornisce una significativa protezione nei confronti del raffreddore". Numerosi studi in doppio cieco condotti tra il 1942 e il 1975 confermano l'intuizione di Pauling che un aumento della dose giornaliera di acido ascorbico (ma anche di altri nutrienti)  rafforza i meccanismi di protezione del corpo e riduce sia il numero che la gravità delle malattie da raffreddamento. Le percentuali di diminuzione di incidenza della malattia variano in questi studi dal 25% al 68%. Le quantità somministrate variavano da 200 mg a 2 grammi.

La vitamina C interviene nel meccanismo più potente di neutralizzazione delle infezioni: la distruzione dei microrganismi invasori ad opera dei leucociti. Questo processo è chiamato fagocitosi. Già da tempo è stato scoperto che la vitamina C è uno degli ingredienti fondamentali per una efficiente attività fagocitica da parte dei leucociti. I leucociti devono essere saturati di vitamina C per poter assolvere questo compito. I globuli bianchi sono in grado di ingerire i batteri e contemporaneamente producono perossido di idrogeno. Il perossido di idrogeno si combina con la vitamina C per produrre una sostanza chimica che è letale per la quasi totalità dei batteri conosciuti. I ricercatori pensano che l'ossidazione della vitamina C ad opera del perossido produca lo splitting del dna del virus ad opera dei radicali liberi che si vengono a formare da tale ossidazione. Se il livello di vitamina C nei leucociti è basso, questo meccanismo non si attiva. Durante gli attacchi infettivi la quantità richiesta di vitamina C è notevole. Una dose di 250 mg giornalieri (più di cinque volte la RDA) è assolutamente insufficiente. Le concentrazioni utili variano da 1 g a 15 g giornalieri di vitamina C, a seconda della gravità dell'infezione. In certi casi neanche queste dosi sono sufficienti.

I medici ortomolecolari hanno stabilito il criterio della "bowel tolerance" (tolleranza intestinale): il soggetto dovrebbe aumentare l'assunzione di vitamina C fino al punto che questa gli provochi diarrea, ed assestarsi non troppo sotto questo livello.

La cosa sorprendente e interessante è che la "bowel tolerance" si modifica nelle situazioni di attacco batterico: in quel caso il soggetto scopre che può assumere fino a 5 volte più vitamina C senza accusare sintomi gastroenterici. Questo è il segno che in condizioni patologiche il corpo richiede una quantità molto più alta di vitamina C.

Ad altissime dosi (fino a 200 grammi al giorno) la vitamina C si è mostrata efficace anche contro infezioni virali, come polmoniti e mononucleosi.

Secondo alcuni medici ortomolecolari, gli esperimenti volti a confutare l'intuizione di Pauling sull'utilità della vitamina C sono stati condotti con dosi variabili da 2 a 4 grammi, che risultano insufficienti nella maggior parte dei casi. Nel caso di raffreddore serio la "bowel tolerance" dell'organismo si eleva a 15 grammi; nel caso di influenza fino a 100-150 grammi; nel caso di polmonite virale o mononucleosi fino a 200 grammi, senza che gli individui accusino sintomi grastrici.

Come regola generale occorre tener presente che i sintomi acuti non sono minimamente intaccati fino a che non si raggiunta il 90% della "bowel tolerance" e in genere mai meno di 350 mg per chilo di peso corporeo. Queste percentuali andrebbero ancora aumentate in pazienti anziani o debilitati. Le quantità utilizzate negli esperimenti che confutavano le tesi di Pauling erano normalmente molto inferiori. A queste dosi sono stati riportati casi di polmoniti virali risultate resistenti a tutte le cure antibiotiche risoltesi nel corso di un giorno.

Le vitamine richieste per un buon sistema immunitario sono la vitamina A, B12, acido pantotenico, acido folico e vitamina C. La vitamina C è quella che ha la maggiore efficacia.

La vitamina C aumenta la produzione di anticorpi (IgA e IgM). La vitamina C interviene nella formazione della CL-esterasi, che entra nella composizione dei "complementi", proteine che si aggiungono agli anticorpi che hanno marcato le cellule batteriche per prepararne la distruzione.

La vitamina C consente il funzionamento dei linfociti, che sembrano molto attivi nella battaglia contro il cancro e altre malattie. Studi successivi hanno dimostrato l'efficacia della vitamina C nella prevenzione del cancro. Pare che i linfociti si dirigano più rapidamente nel luogo dell'infezione.

Un tessuto danneggiato o disturbato rilascia prostaglandine, che producono infiammazione, che è l'effetto del movimento del sangue, dei leucociti e di altre cellule accelerato da tali ormoni. L'aspirina controlla gli effetti delle prostaglandine. La vitamina C inibisce la sintesi di importanti prostaglandine e quindi esercita anch'essa un effetto anti-infiammatorio.

Inoltre: a) la vitamina C è battericida e batteriostatica di per se; b) la vitamina C detossifica le tossine batteriche

La somministrazione di megadosi di vitamina C fa sparire i sintomi dell'epatite in un periodo variabile da 3 a 5 giorni e, nei pazienti sottoposti a trasfusioni elimina del tutto il rischio di contagio da sangue infetto.

La vitamina C può essere considerata come un agente protettore-curativo nei confronti di qualsiasi tipo di infezione.

La protezione contro infezioni batteriche o virali non è comunque completa se alla vitamina C non si associano altri aminoacidi e vitamine, in particolare la vitamina B6 e l'acido pantotenico.

La vitamina C è un potente agente detossificante dell'organismo. Ad esempio, nel caso di fumatori con organismi gravemente intossicati, riduce i sintomi di astinenza e fa sì che gli effetti del fumo (irritazione della gola, catarro ecc.) spariscano più rapidamente.

La vitamina C protegge l'organismo da stress provenienti da sostanze ambientali, in particolare dalla esposizione a metalli tossici, incluso mercurio, piombo.

La vitamina C si è dimostrata efficace anche contro intossicazioni da veleno di serpenti, botulino, tetano o da overdose di farmaci.

La somministrazione di un grammo di vitamina C al giorno, in uno studio in doppio cieco relativo a pazienti schizofrenici ha dimostrato significativi miglioramenti nei soggetti trattati. Pauling scoprì che in un gruppo di 106 pazienti almeno il 76% mostrava un serio deficit di acido ascorbico.

La vitamina C protegge il fegato dalle tossine e veleni che possono provocare epatite provocata da agenti tossici.

Un eminente chirurgo scrisse a Pauling per dirgli che la vitamina C lo aveva liberato da infezioni respiratorie e infezioni dell'orecchio interno che lo avevano tormentato sin dall'infanzia. Una singola dose di 8 g presa ai primi segni della malattia normalmente la faceva cessare, sebbene spesso fossero necessarie dosi addizionali.

Lo stesso chirurgo riportò che in caso di malattia le dosi diventano efficaci solo quando raggiungono l'80-90% della bowel tolerance.

Molte condizioni patologiche distruggono le riserve di vitamina C dell'organismo: infezioni, cancro, malattie cardiache, interventi chirurgici, ferite, sigarette, stress mentale ed emozionale.

Un deficit di acido ascorbico, oltre che lo scorbuto, può provocare disordini del sistema immunitario che provocano infezioni secondarie; artrite reumatoide e altri disturbi del collagene, reazioni allergiche a farmaci, cibi e altre sostanze, infezioni croniche come herpes, ripetersi di infezioni acute, disordini della coagulazione del sangue come emorragie, attacchi cardiaci, ictus, emorroidi, trombosi; incapacità di far fronte a stress dovuti alla soppressione della funzionalità delle ghiandole surrenali come flebite, altri disturbi infiammatori, asma e altre allergie; problemi di formazione disordinata di collagene coma diminuita capacità di guarire, cicatrici, piaghe da decubito, vene varicose, ernie, strie, rughe, forse anche indebolimento della cartilagine e dei dischi spinali; compromessa funzionalità del sistema nervoso come malessere, diminuita tolleranza al dolore, tendenza a spasmi muscolari, persino disordini psichiatrici e senilità; cancro per la soppressione dell'azione immunitaria e la non detossificazione dei carcinomi. Anche se non è la sola causa, il deficit di ascorbato certamente predispone a tali malattie.

La vitamina C cura efficacemente la mononucleosi.

La vitamina C incrementa la chemiotassi dei neutrofili (un tipo di linfociti), cioè la motilità verso l'obiettivo.

La guarigione delle ferite e la cicatrizzazione richiedono vitamina C

La vitamina C protegge da ulcere

La vitamina C partecipa alla sintesi della carnitina, che ha un ruolo importante nel funzionamento dei muscoli.

Un decremento del colesterolo tramite la colesteramina porta a un decremento triplo del rischio di infarto

Un aumento nell'assunzione di vitamina C protegge dal colesterolo, diminuendo il colesterolo totale, il colesterolo LDL e i trigliceridi e aumentando il colesterolo HDL.

1 g di vitamina C riduce il colesterolo del 10% e I trigliceridi del 40%

ogni 1% di diminuzione di colesterolo porta un 2% in meno di rischio cardiovascolare

Cavie con una dieta a zero vitamina C videro aumentare il livello di istamine, quando iniziarono a mostrare segni di scorbuto. Questo suggerirebbe che una delle funzioni della vitamina C è regolare il livello delle istamine

250 mg di vitamina C sono sufficienti a garantire che l'istamina sia nel range normale

La vitamina C pare essere efficace contro l'asma

La vitamina C controlla l'allergia da polline. Holmes e Alexander riportarono già nel 1942 che 200 mg di vitamina C al giorno erano efficaci nel trattamento della febbre da fieno. La faccenda però si fece confusa, perché altri studi sostennero che non vi era effetto rilevabile. Una delle probabili cause dei risultati negativi di questi studi è la bassa dose di vitamina C utilizzata. Dosi da 1 a 2.25 grammi si sono mostrate utili. Pauling raccomanda alle persone sensibili ai pollini di assumere queste dosi, e di aumentarle fino al livello di "bowel tolerance" ("tolleranza intestinale", cioè fino alla soglia della diarrea) nella stagione dei pollini.

Per prevenire un attacco di gotta occorre ridurre il consume di carne e bere molta acqua, almeno tre quarti di litro al giorno. Le urine andrebbero mantenute alcaline, perché il sodio-idrogeno-urato è più solubile in urina alcalina che in urina acida. L'urina alcalina può essere ottenuta assumendo bicarbonato di sodio, citrato trisodico o ascorbato di sodio. Pauling raccomanda quest'ultimo.

Pazienti artritici hanno mostrato di rispondere prontamente alla vitamina B3. Pauling ritiene che niacina e vitamina C possano controllare il disturbo.

Ancora Pauling che si difende dalle accuse di inconcludenza della medicina ortomolecolare e in particolare delle vitamina C.

Herbert and Jacob sostennero tra I primi che la vitamina C non dovrebbe essere assunta con la carne, perché distrugge la vitamina B12.

Le emorroidi sono meglio controllate con vitamina C che con la preparazione H.

La vitamina C potrebbe servire a controllare reazioni allergiche.

Vi sono studi sull'efficacia della vitamina C sul glaucoma

La vitamina C, controllando le infezioni orali, può controllare otiti e sinusiti che ne seguono

La vitamina C può contrastare la piorrea

La vitamina C ha un controllo simile a quello dell'aspirina sulle prostaglandine e in più, dice Pauling, mentre l'aspirina controlla solo i sintomi dell'attacco batterico e virale, la vitamina C è efficace contro i virus e batteri.

 

 

Ci sono sostanze utili da assumere per tutelare la salute mentale?

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Nei secoli scorsi la prima fonte di pazzia e di internamento in manicomio era la carenza vitaminica.

Secondo la teoria delle megativamine (vedi) sviluppata negli anni Settanta da Linus Pauling e dai suoi seguaci, un iperdosaggio di vitamine potrebbe essere un fattore terapeutico sufficiente per prevenire e curare molti disturbi mentali (vedi le vitamine più importanti per il cervello)

Vitamina C e vitamine del gruppo B sono le più importanti per il cervello. In particolare le vitamine del gruppo C non sono disponibili in quantità sufficiente per i vegetariani stretti e talvolta esiste un malassorbimento gastrico di alcune di esse (es. B12) che ne consiglia l'assunzione.

Una buona integrazione di acidi grassi Omega-3 si è dimostrata, ad alte dosi, efficace contro la depressione e altre turbe psichiche. Non bisogna quindi mai trascurare di rifornire il cervello di grassi omega-3 e omega-6

 

 

Devo evitare del tutto gli psicofarmaci? Devo curare la mia depressione con psicoterapia anziché con psicofarmaci? Quali sono i principali danni provocati dagli psicofarmaci? Esistono sostanze dannose per la salute mentale?

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Per quanto riguarda la terapia della depressione, il consiglio è leggere il libro di Serena Zoli, E liberaci dal male oscuro, che è un intervista della giornalista allo psichiatra di fama internazionale Piero Cassano. Nel libro si afferma che la psicoterapia può fare ben poco contro una depressione che ha basi fisiologiche, e che in questo caso gli psicofarmaci sono una forma di terapia necessaria, che può far riconquistare a migliaia di persone la salute perduta.

La prima ed ovvia raccomandazione è di leggere molto attentamente il foglietto illustrativo.

Nel caso di disturbi mentali ed emozionali, è somministrato un gruppo di farmaci conosciuti come "neurolettici" in dosaggi che variano da molto modesto a molto alto. Alcuni esempi di ben conosciuti antipsicotici di questa categoria sono Stelazine, Chlorpromazine, Haloperidol, Fluphenazine.

Usati regolarmente per un certo periodo di tempo, rischiano di infliggere danni permanenti al fegato, alla pelle, alla cornea, al midollo osseo, cuore e specialmente al sistema nervoso centrale (vedi discinesie tardive). Ad esempio reazioni allergiche della pelle, reazioni allergiche del midollo che producono agranulocitosi, distruzione del fegato, epatite, morte per infarto coronarico causato da silente deterioramento del sistema di irrorazione del cuore.

State attenti se il farmaco vi provoca contrazioni della bocca e tic del viso. Si tratta dei cosiddetti "sintomi extrapiramidali", che potrebbero divenire permanenti.

Probabilmente l'effetto più conosciuto dell'uso prolungato dei neurolettici è la tendenza a produrre un disturbo molto serio del sistema nervoso centrale noto come discinesia tardiva.

Questa condizione è caratterizzata da turbe dei movimenti muscolari, specie della faccia, e da tremito e rigidità nelle pani e nei piedi. La memoria e la capacità di concentrazione  sono pure spesso drasticamente deteriorate. Il discinetico si trova involontariamente a fare smorfie, a compiere atti di masticazione, a mostrare a lingua e a strizzare gli occhi; può anche ridere o piangere senza sentire le emozioni che provocherebbero tali azioni.

Passate indagini di soggetti cronicamente istituzionalizzati  ha mostrato la prevalenza di discinesia tardiva dall'uno al 55 per cento, con gli studi più recenti che mostrano percentuali più alte. Questi studi hanno mostrato che i pazienti con alto rischio di discinesia tardiva sono donne che abbiano usato neurolettici per più di due anni e di età superiore a 55 anni.

Prodotti antipsicotici come l'Olanzapina (Zyprexa) possono provocare improvvise depressioni, con esiti anche suicidi. Interrompere immediatamente l'assunzione al primo comparire di pensieri e sintomi depressivi.

Secondo certe scuole di naturopatia l'assunzione di zuccheri semplici può provocare sbalzi di umore, a causa dei picchi di glicemia/ipoglicemia

The, caffè andrebbero banditi completamente in soggetti con basso controllo degli istinti e in particolare della rabbia e dell'aggressività. L'attività eccitante del the in particolare non è meno subdola di quella del caffè.

In generale, l'effetto collaterale immancabile e più pesante di antipsicotici e antidepressivi è che provocano un grande senso di affaticamento: qualsiasi lavoro o azione diventa faticosa, fino ad arrivare a difficoltà di articolare la parola. In questo caso occorre rivedere il dosaggio col proprio terapeuta. Soprattutto quando questo affaticamento costante rischia di trasformarsi esso stesso in un fattore di depressione.

 

 

La vista: un grande dono da preservare

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Nonostante ogni anno negli Stati Uniti ben trenta milioni di pazien­ti si facciano visitare negli studi degli oftalmologì, ogni undici minuti c'è qualcuno che diventa cieco. In cifre, cinquecentomila americani sono ufficialmente ciechi, tre milioni e mezzo di persone non vedono da un occhio, e dodici milioni hanno una menomazione visiva; tra questi ultimi un milione e mezzo non riescono a leggere il giornale neppure con gli occhiali più potenti che esistano. E un cieco ameri­cano su cinque è nato cosi per cause ereditarie o congenite.

La soluzione di questo enorme problema sta idealmente nella pre­venzione. Sia ben chiaro che tutto sarebbe molto più facile se potes­simo sceglierci noi i genitori, in quanto è proprio l'ereditarietà ge­netica che sceglie chi dovrà essere colpito da disturbi visivi e quan­do. Fino al momento in cui riusciremo a manipolare il materiale ge­netico, però, non potremo fare altro che concentrare la nostra atten­zione su un tipo di intervento più pratico. E per fortuna ormaì.moltì dei disturbi che portano alla cecità possono essere prevenuti se af­frontati per tempo.

 

il glaucoma

La principale causa di cecità tra adulti negli Stati Uniti è il glauco­ma, un disturbo che non è prevenìbìle, ma che può essere curato per tempo in modo da evitare la cecità. Cosi in effetti un caso di cecità su sette pub essere prevenuto negli Stati Uniti se la diagnosi di questa malattia viene fatta per tempo.

Si ha il glaucoma quando la pressione del liquido nel bulbo ocu­lare aumenta in modo tale da comprimere la retina, la cui funzione è quella di trasmettere al cervello i raggi di luce che entrano nel­l'occhio. Man mano che la pressione all'interno dell'occhio aumenta, le cellule e le fibre del nervo retinico vengono sempre più compro­messe e la vista comincia a deteriorarsi. Questo fenomeno può veri­ficarsi in forma acuta e allora si ha un improvviso dolore agli occhi e offuscamento della vista, oppure, come è più frequente, in modo graduale. Anzi il decorso cronico è spesso cosi insidioso nel suo procedere che è stato definito « ladro nella notte ».

Man mano che il glaucoma procede per la sua strada senza che sia stata istituita un'idonea terapia, la vista continua sempre più a deteriorarsi. La reazione tipica degli individui colpiti da questa ma­lattia è che faticano a regolare la vista nei luoghi bui, come quando entrano in un cinema passando dalla strada illuminata al buio del locale. Questi individui possono vedere anelli ad arcobaleno attorno alle luci luminose e le loro immagini si fanno indistinte o nebulose. Lo stadio seguente è quello della perdita della visione laterale, co­sicché il paziente è in grado di veder solo ciò che si trova diretta­mente di fronte a lui. (La visione laterale è la prima a scomparire perché l'aumento della pressione del fluido all'interno del bulbo ocu­lare agisce proprio sulle cellule nervose e le fibre retiniche che so­vrintendono alla visione periferica.) Quando poi più tardi viene me­nomata anche la visione centrale, si ha la cecità completa.

C'è anche un'altra forma di glaucoma, detta « iatrogena» (ossia indotta dal medico), e si verifica nel dieci-trenta per cento dei pa­zienti reattivi agli steroidi che sono stati sottoposti a una terapia di steroidi per gravi infiammazioni oculari o acute reazioni allergiche. Questo problema si verifica con minore frequenza quando gli ste­roidi, invece di essere usati localmente. vengono presi per via orale. In ogni caso, se siete sottoposti per qualsiasi ragione a una lunga terapia a base di steroidi in qualsiasi forma, è necessario che vi fac­ciate controllare di frequente e con estrema attenzione la pressione intraoculare.

Potrete evitare di entrare a far parte di quei seimila adulti che di­ventano ciechi ogni anno a causa del glaucoma se starete sempre all'erta nei confronti di questo disturbo. Basta infatti un po' di attenzione per arrivare alle diagnosi precoci e intervenire quindi im­mediatamente fin dalle prime fasi. Il glaucoma colpisce raramente prima dei trentacinque anni d'età ed è prevalente tra i quaranta e i settant'anni. Chiunque abbia una storia familiare di questa malattia risulta più vulnerabile a essa (il glaucoma infatti ha una forte predì­sposizione genetica), che è spesso associata a diabete e miopia. Te­nete sempre presente che la cecità è una condizione irreversibile. Perciò se avete più di trentacinque anni, se siete diabetici, se siete affetti da miopia, e se nella vostra famiglia ci sono stati episodi di glaucoma, fatevi controllare gli occhi ogni due anni. Qualsiasi me­dico internista è in grado di misurare la pressione sul bulbo oculare (che, a proposito, non ha nulla a che fare con la pressione sangui­gna) e molti in effetti lo fanno, ma comunque è meglio che vi rivol­giate direttamente a uno specialista, l'oftalmologo .

Se questi trova che la pressione intraoculare è alta, è probabile che all'inizio veniate curati con un collirio. Se questa terapia non ha successo, potrà rendersi allora necessario un intervento chirurgico.

Ed ecco ora alcuni consigli importanti per chi è affetto da glauco­ma. Sappiate che il più recente farmaco impiegato nel trattamento di questa malattia è un betabloccante chiamato timololo e messo in commercio col nome di Timoptol. Come tutti i betabloccanti il Ti­moptol può ridurre la frequenza cardiaca e abbassare la pressione sanguigna. Può far peggiorare l'insufficienza cardiaca e causare at­tacchi d'asma negli individui a essa soggetti. Anzi sono stati perfino segnalati alcuni casi di mortalità tra gli asmatici che prendono il timololo. Perciò se il vostro medico ve lo prescrive per il glaucoma, non dimenticate di informarlo se soffrite d'asma o di disturbi car­diaci.

Per i pazienti che già soffrono di glaucoma sono diversi i farmaci di uso comune che possono fare aumentare la pressione intraoculare. In altre parole, questi agenti non la provocano come fanno gli ste­roidì, ma la fanno peggiorare. Tra di essi figurano gli antistaminici, i nitrati (comunemente impiegati nel trattamento dell'angina) e gli antispastici (impiegati per le irritazioni della vescica o del tratto in­testinale). Se perciò soffrite di glaucoma fate in modo che ci sia un reciproco scambio di informazioni tra voi, il vostro oftalmologo e lo specialista che eventualmente vi ha in cura per qualche altra malattia.

 

degenerazione maculare senile

La seconda causa di cecità in ordine di importanza (uno su ogni nove casi) è la degenerazione maculare senile (Dms), responsabile ogni anno negli Stati Uniti di tremila nuovi casi. Questa è fonda­mentalmente una malattia dell'invecchiamento, ma sebbene la mag­gior parte dei pazienti abbia più di sessantacinque anni, c'è anche una forma ereditaria a volte presente nei giovani.

La cecità dovuta alla Dms è imputabile al danneggiamento della macula, quella porzione di retina che sovrintende alla visione cen­trale. In questo caso però la causa è vascolare e non ha nulla a che fare con la pressione intraoculare, perché sono i piccoli vasi san­guigni che nutrono la retina che si ammalano, scoppiano o perdono fluido. Ne consegue che la macula rimane priva di sangue e ossige­no. In genere le cose vanno così: un uomo o una donna, quasi sem­pre di età superiore ai sessantacinque anni, e più facilmente anche ai settantacinque o più anni, nota che il centro del suo campo vI­sivo è oscurato da una macchia scura. Poiché questa macula è pic­cola di dimensioni minori della testa di una puntina da disegno, al­l'inìzio il resto della retina non è coinvolto. Perciò questi individui possono vedere pressoché tutto, eccetto ciò che sta Proprio ?i fronte. La visione laterale rimane inalterata fino a molto piu tardi (contra­riamente al caso del glaucoma in cui va persa per prima proprio que­sta). Ecco il motivo per cui i pazienti affetti da Dms preferiscono che i loro interlocutori siedano di fianco a loro invece che di fronte. E sempre per la stessa ragione, questi individui quando guardano la televisione preferiscono quasi sedersi ad angolo retto di fronte allo schermo. .

Se si eccettuano questi problemi visivi, per il resto i pazienti affetti da Dms possono godere di buona salute. Talvolta abbiamo una anamnesi di lesioni oculari o di eccessiva esposizione a una luce intensa, ma in genere no

Purtroppo la Dms non è prevenibile né, nella maggior parte del casi realmente curabile. La perdita della vista comunque procede di solito con molta lentezza. La maggior parte dei pazienti continua a vedere abbastanza bene ancora per molti anni dopo l'Insorgere dei primi sintomi. Per rimedi~re a.lmeno par~ial~e?t: a questa. SI­tuazione, si può ricorrere a diversi strumenti ausiliari per la vista che comprendono lenti d'ingrandimento, alcune delle quali ìlluminate da lampade a forte intensità, e perfino lenti telescopiche. Sarà il vostro oftalmologo a decidere quali potranno essere maggior­mente d'aiuto a ogni stadio della malattia.

Di recente ho indirizzato diversi miei pazienti affetti da Dms al trattamento mediante laser al krypton, che consiste nell'indiriz­zare un sottilissimo pennello di luce sui vasi sanguigni degenerati per arrestarne l'emorragia. Quando si interviene con sufficiente an­ticipo sui soggetti adatti, questa terapia laser riesce a volte a pre­venire o almeno a ritardare la cecità totale.

 

la cataratta

La terza causa di cecità in ordine di importanza negli Stati Uniti è prevenibile ed è la formazione della cataratta. Nel trattamento di questo disturbo risultano di importanza fondamentale la scelta dei tempi (che sta a voi) e l'abilità professionale (che riguarda il vostro medico). Quarantun milioni di individui al di sopra dei quarant'anni hanno già cominciato tra di noi a sviluppare i primi sintomi di cataratta, ma solo nel cinque per cento dei casi sarà necessario intervenire per via chirurgica. E tra le seicentomila operazioni di cataratta effettuate ogni anno, il novantasette per cento ha successo.

Quando la lente, detta «cristallino », dietro la pupilla comin­cia a offuscarsi, finendo con l'assomigliare al bianco d'uovo bollito, vuol dire che avete la cataratta. Ora, le immagini che vedete, ven­gono messe a fuoco da questa lente, trasferite alla retina e da qui al cervello, ma dal momento che la formazione della cataratta in­terferisce con la trasmissione dei raggi di luce attraverso il cristal­lino, la visione ne resta menomata. Gli oggetti rimangono cosi con­fusi, i nuovi occhiali non servono a un gran che, la luce non sem­bra mai sufficiente per leggere e anche strofinando gli occhi non si riesce a eliminare il « velo» che sta davanti .

Ancora oggi noi non sappiamo con precisione quali sono le tra­sformazioni chimiche che provocano l'opacità del cristallino, per­ché anche se i diabetici sembrano più soggetti alla formazione di cataratta di chi ha il metabolismo degli zuccheri normale, è pur vero che la maggior parte degli individui affetti da questo disturbo paiono in buona salute. La cataratta, come la degenerazione maculare senile, è anch'essa di solito associata all'invecchiamento. Ci sono però certe condizioni ereditarie, e le infezioni materne da rosolia o herpes durante la gravidanza, che possono portare all'in­sorgenza della cataratta anche in età più giovane.

A differenza del glaucoma, dove la diagnosi precoce e l'imme­diata terapia sono necessarie per prevenire la cecità, per ·l'estra­zione della cataratta è di solito il paziente che decide se e quando intervenire. E dopo l'intervento, la visione è ripristinata. Spesso mi sento dire da un paziente: «Il mio oculista mi dice di farmi operare di cataratta il. più presto possibile. lo però non so ancora se farlo o no ». Chiunque abbia di questi dilemmi, non ha pro­babilmente bisogno di operazioni. Una cataratta è « matura» quan­do è pronta per essere estratta, non perché ci sia necessità di estrarla. Se per quanto vi riguarda godete di una vista sufficien­te, aspettare non vi farà di solito danno. Naturalmente se fate il pilota d'aviolinea e volete continuare a volare la questione è ben diversa.

L'intervento chirurgico sulla cataratta comporta la rimozione del cristallino malato che, dopo l'operazione, verrà sostituito da qual­cos'altro. 'f: appunto questo qualcos'altro che è molto importante. Ricordate i giorni in cui tanti anziani attorno a noi camminavano incespicando dappertutto dopo l'intervento con espressioni da gufi? Al posto del cristallino asportato, questa gente portava occhiali dalle spesse lenti che provocavano fortissime distorsioni. Oggi in­vece si vedono raramente di questi occhiali, perché abbiamo a disposizione altre tecniche più recenti. Esistono per esempio lenti a contatto che si adattano direttamente all'occhio. Le più recenti sono permeabili ai gas e permettono all'ossigeno di raggiungere la cornea passando attraverso di esse, in modo che l'occhio può per così dire «respirare ». Alcuni anziani tuttavia trovano difficoltà a togliersi e a rimettersi le lenti ogni giorno o ogni due giorni e per loro sono state messe a punto lenti, sempre permeabili ai gas. di lunga portata, che possono rimanere in loco per periodi fino a tre mesi dopo di che possono venire cambiate dal medico o dalpaziente stesso.

Il passo più rivoluzionario della tecnologia delle lenti è la lente che il chirurgo trapianta nell'occhio nello stesso momento in cui effettua l'intervento sulla cataratta e che rimane in sede in modo permanente. Ebbene, è appunto questo il tipo di lente da rìchiedere, perché ripristina la vista in modo eccellente e non ci sarà più bisogno di tribolare quando va inserita la lente a contatto. Agli inizi questi trapianti di lenti procuravano sempre gravi problemi di infezione e rigetto, ma oggi ci sono chirurghi oftalmici di gran­dissima esperienza che ottengono eccellenti risultati con questa tec­nica. Quindi, quando prendete accordi per farvi operare di cata­ratta, chiedete sempre se nel vostro caso è consigliabile questo tra­pianto di lenti.

Abbiamo visto così che nei pazienti affetti da cataratta si può prevenire la cecità estraendo il cristallino degenerato. Ma è pos­sibile prevenire semplicemente la formazione della cataratta? Al­cuni ricercatori ritengono che le trasformazioni chimiche respon­sabili dell'offuscamento del cristallino possano essere ritardate da piccole dosi di Aspirina. Questa teoria però non gode di un ampio favore. Alcuni ricercatori hanno detto che la formazione di cataratta è accelerata dall'L-triptofano, un amminoacido che è un im­portante costituente del latte ed è anche impiegato sia come leggero sonnifero sia come antidepressivo.

Gli individui che stanno parecchio esposti al sole presentano ri­schi maggiori di formazione della cataratta e c'è anche una mag­giore incidenza di questo disturbo tra coloro che rimangono esposti a qualsiasi fonte di luce ultravioletta, come per esempio chimici, scrutatori di banconote, dentisti e dermatologi. Probabilmente la ca­taratta è in questi casi il risultato dell'azione della luce ultravio­letta a onde lunghe sull'L-triptofano contenuto nel corpo. Se quin­di avete a che fare con una di queste professioni, fate uso di lenti speciali che eliminano per filtraggio questi raggi dannosi.

Bastano solo 200 rad di radiazioni ionizzanti provenienti da qual­siasi fonte per promuovere la formazione di cataratta anche diversi anni dopo l'esposizione. E le basse dosi cumulative possono risul­tare altrettanto dannose di una sola dose massiccia. Perciò chiun­que rimanga espostç nell'arco di un lungo periodo ai raggi X, come tecnici, radiologi e ricercatori, farà bene a proteggersi gli occhi fa­cendo ricorso a occhiali contenenti piombo.

Ci sono infine anche alcuni farmaci che possono portare alla formazione di cataratta. Tra questi figurano i colliri utilizzati nei casi di miopia e gli steroidi. Chiunque abbia continuato a prendere anche solo 10 mg di prednisone al giorno per un anno per qual­siasi motivo - di solito a causa di artrite o di malattie polmonari croniche - farà bene a farsi visitare almeno una volta all'anno per individuare l'eventuale formazione di cataratta.

 

diabete e cecità

La parola « patia » in medicina significa « malattia o alterazione ». Perciò la parola retinopatia diabetica significa «malattia o altera­zione della retina nei diabetici ». La retinopatia diabetica è una delle principali cause di nuovi casi di cecità a qualsiasi età. Chiun­que dei dieci milioni di diabetici esistenti negli Stati Uniti può esserne colpito.

Nel paziente diabetico, i piccoli vasi sanguigni che alimentano e nutrono la retina sul retro dell'occhio si gonfiano, scoppiano e perdono sangue. L'emorragia e il fluido che si accumulano nella retina finiscono cosi per lacerarla, staccarla e cicatrizzarla. Poi, come non bastasse, i vasi sanguigni non più a tenuta stagna pos­sono anche invadere il fluido gelatinoso dell'occhio, il cosiddetto corpo vitreo, riducendo ulteriormente la visione. Si tratta di un pro­cesso lento, ma costante. E più a lungo ha avuto problemi col me­tabolismo dello zucchero, più l'individuo è vulnerabile e rischia di andare incontro a questa grave affezione oculare. Basti dire che circa il sessanta per cento di coloro che hanno avuto il diabete per quindici o più anni soffrono di un certo grado di retinopatia dia­betica. Ma solo nel cinque per cento dei casi essa sarà cosi grave da provocare la cecità.

Se questo capitolo fosse stato scritto solo qualche anno fa l'avrei terminato qui con l'affermazione che nel caso della retinopatia dia­betica non c'era niente da fare ed era impossibile prevenirla. Que­sto oggi non è più vero, perché sono stati compiuti rilevanti progressi e cioè:

fotocoagulazione: una luce intensa ad alta energia viene diretta mediante raggi laser contro i vasi sanguigni in questione, sìgìl­Iandoli e impedendo ulteriori perdite.

Vitrectomia: i depositi ematici e i tessuti cicatriziali del vitreo sono asportati chirurgicamente. Questa è un'operazione complica­ta e rischiosa: assicuratevi che chi la deve effettuare su di voi abbia parecchia esperienza prima di firmare l'assenso.

Sull'orizzonte delle ricerche si profila, ormai speriamo non troppo lontana, la messa a punto di un farmaco, già allo sta­dio sperimentale, che potrebbe prevenire la degenerazione dei piccoli vasi sanguigni nei diabetici. Questa degenerazione è cau­sata da un enzima chiamato aldoso-riduttasi che agisce sull'ec­cesso di zucchero presente nel diabete e lo converte in una sostanza che indebolisce dei piccoli vasi sanguigni. Ora, ini­bendo al corpo la produzione di questo enzima si potrebbe pre­venire la retinopatia diabetica (come pure diverse altre compli­canze vascolari e nervose del diabete mellito). Il prototipo di diversi inibitori dell'aldoso-riduttasl negli Stati Uniti è il Sor­binil", le cui prime sperimentazioni appaiono promettenti.

 

arterite a cellule giganti

Tra gli anziani, l'arterite' a cellule giganti costiuisce un'altra im­portante causa di cecità. lo stesso ne ho viste abbastanza nella mia pratica da giustificare l'inclusione di questo argomento. Ed ecco come si presentava il problema con l'ultima paziente che mi è capitata. La donna aveva sessantasette anni ed era stata benis­simo per tutta la vita. Circa un paio di settimane prima le era ve­nuta qualche linea di febbre, accompagnata da dolori di varia entità in tutto il corpo, per cui era sicura si trattasse di influenza. Ave­va cominciato inoltre ad avere mal di testa, i muscoli erano indo­lenziti e la zona temporale sinistra era diventata improvvisamente sensibile al tocco.

Quando la visitai, l'unica scoperta significativa che feci fu di individuare un certo, indolenzimento muscolare diffuso. Gli esami del sangue, però, rivelarono la presenza di anemia, uno stato non raro in donne di questa età, e una velocità di eritrosedimentazione piuttosto alta. (La velocità di eritrosedimentazione è un test « non specifico ». Quando è elevata indica che c'è qualcosa che non va, ma l'esame in se stesso non è in grado di precisare che cosa. In effetti potrebbe trattarsi di qualsiasi malanno, dal raffreddore al cancro.) A ogni modo, in questo caso la mia diagnosi fu di arte­rite a cellule giganti, un'infiammazione delle grosse arterie della zona. temporale. Quasi sempre per confermare questa diagnosi è necessaria una biopsia, inoltre, se non si interviene con la terapia giusta, l'arterite a cellule giganti è una malattia potenzialmente grave che può portare alla cecità. La terapia avviene a base di alte dosi di steroidi da somministrare non appena è fatta la dia­gnosi. Talvolta la somministrazione dei farmaci deve continuare in dosi di mantenimento per uno o due anni.

 

i rischi per l'altro occhio

Quando si riassumono tutti i casi di cecità, solo la metà di essi sono imputabili a malattia; l'altra metà è dovuta a incidenti du­rante il gioco, a scuola, a casa o sul lavoro. Nove volte su dieci le lesioni si sarebbero potute prevenire osservando appropriate misure di sicurezza e portando appositi occhiali protettivi. Ogni anno si verificano ben centosessantamila casi di lesioni agli occhi in ragazzi di età tra i cinque e i diciassette anni, due terzi dei quali avvengono durante giochi non tenuti sotto controllo. Gli in­cidenti si verificano soprattutto durante le partite di baseball, ma anche durante partite di calcio, di basket o in uno di quegli sport che si giocano con le racchette, come il tennis, il badminton o lo squash. Portare protezione agli occhi O un casco apposito durante uno di questi sport significa essere saggi, non «fifoni ».

Ogni 4 luglio, sono circa milleduecento i ragazzi che vengono portati al pronto soccorso degli ospedali locali a causa di un mOI­taretto esploso in faccia o vicino a un occhio. Molti di questi bam­bini alla fine si ritrovano ciechi di quest'occhio. Gli oftalmologi dei nostri pronto soccorso asportano ogni anno pallini da caccia dagli occhi di più di seicento bambini e frecce, dardi e sassolini tirati con la fionda da altri seicento. Si tratta appunto di tipi di incidenti che possono e dovrebbero essere prevenuti da tutti gli insegnanti e i genitori che hanno a cuore la sorte dei giovani. Non si fa del bene ai figli regalando loro giocattoli che per la giovane età non sanno usare correttamente. E metteteli in guardia perché non gettino matite, forbici O fermagli verso le persone che stanno dall'altra parte della stanza.

Ma correte forse meno pericoli a casa che non sul lavoro o men­tre giocate? A quanto pare no. Quasi la metà delle lesioni oculari negli Stati Uniti avvengono proprio tra le mura domestiche. Ecco qualche esempio: immaginate di essere impegnati nella pulizia del forno, di lucidare qualche oggetto, di sturare il lavandino o di fare il bucato. Se le sostanze che state impiegando vi finiscono negli occhi potreste riportarne qualche danno. Usate particolari cautele quando la sostanza pulente si trova in un contenitore pressuriz­zato. Prima di premere il pistoncino, cercate sempre il foro d'uscita dello spruzzo. Se doveste ricevere in faccia il getto perché avete puntato il foro nella direzione sbagliata, non dovrete preoccuparvi solo della sostanza in sé, ma anche della violenza con cui questa ha colpito l'occhio.

 

lampade solari e altri danni

Racconta il dottor Isadore Rosenfeld: uno dei miei pazienti mi è venuto a trovare l'altro giorno nel cuore dell'inverno esibendo una splendida abbronzatura.

"è stato in Florida?" gli ho chiesto.

"Scherza? Con quel che prendo di stipendio?"

" Come mai quella tintarella, allora? "

"Tutto merito della lampada solare, che altro?"

"Ha messo gli occhialini protettivi?"

"No, mi lasciano sotto gli occhi una striscia bianca davvero ridi­cola e si vede lontano un miglio che l'abbronzatura è artificiale. No, mi sono limitato a chiudere gli occhi"

Ebbene, questo mio paziente è un potenziale e probabile can­didato a disturbi visivi. Le lampade solari non sono solo un veleno per la pelle, ma anche un anatema per gli occhi.

Anche chi porta lenti a contatto può danneggiarsi gli occhi se non è abile a inserirsi le lenti. Questo vale in modo particolare per gli anziani la cui coordinazione è spesso difettosa. Se quindi non siete in grado di compiere l'operazione con assoluta sicurezza, vi conviene ricorrere agli occhiali o chiedere informazioni al vostro oftalmologo sulle nuovissime lenti a lunga portata permeabili ai gas e andare da lui a intervalli regolari di settimane o mesi per farle pulire.

A proposito, se negli occhi vi finisce qualche sostanza dannosa (e tutte lo sono finché non è dimostrato il contrario) agite imme­diatamente. Non strofinatevi gli occhi. Fate invece un bagno ocu­lare all'occhio colpito per un quarto d'ora con acqua contenuta in un recipiente pulito, poi recatevi al più vicino pronto soccorso O nello studio del vostro medico, se sapete che c'è. Non infiammate di più la lesione usando qualche prodotto «neutralizzante ».

Se nell'occhio vi è penetrata qualche particella solida, sollevate la palpebra superiore verso l'esterno e abbassatela sulla palpebra inferiore, lasciando che siano le lacrime a lavare via il corpo estra­neo. Se questo sistema non funziona, non strofinate ugualmente l'occhio, ma tenetelo chiuso, metteteci sopra un leggero bendaggio e raggiungete senza indugi l'oftalmologo o il pronto soccorso più vicino.

 

quanto sapete ora sulla vista?

Adesso che, come spero, sono riuscito a farvi pensare a questi problemi e avervi resi più prudenti riguardo il prezioso dono della vista, vediamo qual è il livello delle vostre conoscenze sui consigli che vengono più spesso dati riguardo gli occhi. Le affermazioni che seguono sono vere o false? Troverete le risposte dopo l'ultima dichiarazione.

(1)     Non c'è nessun pericolo a guardare direttamente il sole purché si portino occhiali scuri.

(2)     La cataratta è una pellicola sopra l'occhio che può venire sfi­lata mediante intervento chirurgico.

(3)     E' bene che gli occhi vengano lavati regolarmente con un col­lirio.

(4)     Guardare una immagine televisiva molto luminosa per troppo tempo in una stanza scarsamente illuminata può danneggiare gli occhi.

(5)     Chi porta gli occhiali dovrebbe fare controllare la vista ogni anno per vedere se ha bisogno di nuove lenti.

(6)     A volte la cataratta può riformarsi anche dopo l'intervento chi­rurgico.

(7)     Lo strabismo ha buone probabilità di correggersi da solo con la crescita del bambino.

(8)     Se avete occhi deboli, farete bene a tenerli a riposo per lunghi periodi di tempo in modo da rafforzarli.

(9)     Gli anziani che non vedono bene non dovrebbero usare troppo gli occhi perché lo sforzo li danneggia ancora di più.

(10)  I bambini che siedono troppo vicino al televisore, o tengono i libri troppo vicino quando leggono, corrono il rischio di rovi­narsi la vista.

Ognuna di queste dieci affermazioni è falsa. Ecco una rielabora­zione di queste dichiarazioni.

(1)     Guardare direttamente il sole è sempre pericoloso e gli occhiali scuri, anche se offrono una certa protezione contro il bagliore, non sono in grado di proteggere bene dai raggi ultravioletti che possono danneggiare la retina e portare addirittura alla cecità.

(2)     Una cataratta non è una neoformazione né una pellicola che si può sfilare, ma- un offuscamento del cristallino, per cui que­sto deve venire completamente asportato e sostituito con oc­chiali speciali, lenti a contatto o trapianto di lenti.

(3)     Non sprecate soldi in colliri. La natura ci ha fomiti di una quantità sufficiente di tluido per mantenere umidi gli occhi quan­to necessario. (è vero che ci sono alcune malattie associate a una marcata diminuzione della formazione lacrimale, ma questi pazienti hanno bisogno di una terapia particolare, non di colliri.)

(4)     L'occhio non è mai danneggiato dal modo in cui entra la luce. Guardare la televisione con un forte contrasto potrà darvi una sensazione di disagio, questo sì, ma non procurarvi danni. Ma regolatevi come meglio credete.

(5)     Questo potrà magari sorprendervi. Prima ho detto che chìun­que abbia più di trentacinque anni dovrebbe farsi controllare gli occhi almeno una volta ogni due anni per accertare l'assen­za di glaucoma. Ma se vi trovate bene con gli occhiali che avete, non c'è bisogno di sottoporvi a una visita solo per cambiarli. A differenza delle scarpe, gli occhiali non si consumano. Se il vostro indice di riferimento è mutato, ve ne accorgete presto da soli e allora sì che sarà il caso di rivolgervi al vostro oftalmologo.

(6)     Il cristallino, come altri organi quali l'appendice, l'utero, o la cistifellea, una volta asportato non ricresce più.

(7)     Questa è una domanda importante, di cui dovete assolutamente conoscere la risposta se siete genitori di un bambino affetto da strabismo o con gli occhi « pigri ». Un occhio veramente stra­bico se non viene curato diventerà cieco. Le immagini di due occhi in posizione normale si abbinano e si fondono nel cer­vello per offrire una visione stereoscopica. Quando invece il cervello riceve immagini che cadono in campi diversi, si ha lo sdoppiamento della vista e una delle due immagini viene sop­pressa. Così, se la condizione non viene corretta mediante eser­cizi speciali o con un intervento chirurgico, quella parte del cervello che continua a sopprimere un'immagine col tempo non riuscirà più a rappresentarla con precisione.

(8)     E' probabile che abbiate bisogno di occhiali, non di riposo.

(9)     Questa è una vecchia fola priva di fondamento. La maggior parte degli organi del nostro corpo, occhi compresi, si raffor­zano con l'uso; non è vero che si indeboliscano. Immaginatevi un po' quali sarebbero le conseguenze se ve ne steste sempre seduti tenendo a riposo i muscoli, il cuore o addirittura il cer­vello. Gli occhi non fanno eccezione.

(10)  lO. Sia voi sia i vostri figli fareste bene a tenere il materiale di lettura o a scegliere dove sedere in relazione allo schermo del cinema o della televisione alla distanza che più vi farà sentire

 

 

L'udito: un altro grande dono da preservare

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prevenire la sordità

Helen Keller, che era contemporaneamente cieca e sorda, una volta fece un confronto tra queste due invalidità esprimendosi cosi: « La cecità separa l'uomo dalle cose, ma la sordità separa l'uomo dall'uomo ». Sono circa trentadue milioni negli Stati Uniti gli individui affetti da sordità, che si può considerare il disturbo più diffuso nel campo della salute. Molti individui, però, o non si rendono conto della perdita d'udito o non sono disposti ad ammetterla. Può capitare che un bambino che non senta bene ven­ga erroneamente classificato come «ritardato» o «caratteriale ». Tra gli anziani, la sordità può dare origine a sospettosità, para­noia, depressione e isolamento; tutti elementi che simulano uno stato di senilità.

La capacità di udire è il risultato di diversi meccanismi piut­tosto complessi che vengono messi in azione dal suono. Le strutture che vi prendono parte comprendono il canale auricolare che tra­sporta i suoni al timpano, il quale vibra in risposta facendo oscil­lare tre ossicini posti dietro di esso. Questo movimento stimola a sua volta i ricettori ciliari posti nell'orecchio interno che quindi trasmettono l'impulso a speciali nervi uditivi, i quali, a loro volta, lo ritrasmettono in particolari zone del cervello dove finalmente viene decodificato in modo da diventare un messaggio coerente.

La sordità può essere causata da un disturbo insorto in qual­siasi punto del percorso. L'udito per esempio può risentirne se i canali auricolari sono occlusi da cerume. Ora, poiché la mastica­zione rallenta la formazione e l'accumulo di cerume, gli anziani che hanno una dentatura insufficiente e mangiano soprattutto alimenti morbidi o teneri corrono più facilmente il rischio di accumulare cerume nei canali esterni. Si può avere sordità anche quando il timpano perde parte della sua capacità di vibrare a causa di infe­zioni precedenti, oppure quando gli ossicini dell'orecchio si fon­dono assieme così da non poter più spostarsi correttamente in ri­sposta alle vibrazioni, o quando i nervi che trasmettono i suoni al cervello sono danneggiati, o ancora quando il cervello stesso è rimasto lesionato.

La perdita d'udito può essere temporanea (quando per esempio ci si soffia il naso con troppo vigore durante un raffreddore) o per­manente (come quando i nervi che vanno dall'orecchio al cervello rimangono lesionati a causa di qualche agente tossico, per esempio dall'antibiotico streptomicina). Può essere improvvisa (una scarica di pistola vicino all'orecchio), congenita (perché per esempio la madre ha preso la rosolia durante la gravidanza), acquisita (per esempio sul lavoro a causa del fracasso nel reparto presse).

Una delle forme di perdita d'udito più diffusa, importante, ma anche prevedibile è la presbiacusia, o sordità nervosa. Verso i cin­quantacinque anni, un individuo su quattro non sente più in modo normale. I primi ad andarsene sono i toni acuti, seguiti dalla per­dita di una certa parte delle basse frequenze. Diventa cosi difficile sentire le voci femminili, i suoni della musica sono meno ricchi e pieni, non si riesce più a distinguere tra loro le consonanti ad alta frequenza come le s, I, se (O, specialmente se seguite da vocali ad alta frequenza come la I.

Il bello è che spesso riuscite a identificare questo problema in altri, ma non sempre siete disposti ad ammetterlo nel vostro caso. Sono sempre gli altri che parlano in maniera confusa o inutilmente forte: alzano sempre il volume per sentire la televisione, la radio o lo stereo; spesso non capiscono la battuta finale di una barzel­letta che fa schiattare gli altri dalle risa: chiedono troppo spesso « come?»: sorridono in modo inappropriato durante una conver­sazione, specialmente durante i cocktail troppo rumorosi: e sem­brano osservare con troppa intensità le vostre labbra ogni volta che gli parlate assieme.

A differenza di altre cause di sordità in cui la chirurgia è spesso risolutiva, per la presbìacusìa non c'è attualmente nessuna terapia efficace. Gli apparecchi acustici servono a poco e spesso danno più disturbo che altro. Se non altro però adesso ne fabbricano sempre di più piccoli e meno visibili. (Alcuni si adattano perfettamente al canale auricolare e si vedono appena, di modo che l'unica persona che sa con certezza la verità è il parrucchiere.) Adesso poi che è risaputo che anche il presidente Reagan ne porta uno, il pubblico li accetta molto più volentieri di prima. A questo punto non resisto alla voglia di raccontarvi la storiella di un uomo che stava dicendo a un amico come funzionava bene il suo apparecchio acustico. « Mi spiace solo di averci rinunciato per tanto tempo solo per va­nità» ammette l'uomo. « Avrei dovuto portarlo già da anni, anche quando erano apparecchi piuttosto evidenti. Insomma, che impor­tanza aveva? E chi vuoi che ci badi? b fantastico ciò che riesco a sentire adesso. E pensare che ci ho rinunciato per tanti anni, sai che cosa ho perso? Guarda un po' quant'è piccolo questo appa­recchietto. Non riesci neanche a vederIo, vero?»

« No,» ammette l'amico «non si vede proprio. Che tipo è?» « Le sei e trenta» risponde il primo, guardando l'orologio. Per sconfiggere la presbiacusia la risposta sta nella prevenzione.

Un tempo si pensava che la diminuita capacità auditiva fosse una inevitabile conseguenza dell'invecchiamento e, fino a un certo punto, lo è anche, ma il fenomeno può essere ridotto al minimo e ritardato. Per riuscirei, bisogna stare attenti a dieta, farmaci e decibel.

 

la dieta

I Mabaan, una tribù primitiva « scoperta» solo di re­cente nella parte sudorientale del Sudan, conservano un udito nor­male fino a tardissima età, come è stato constatato, per diverse ra­gioni. Innanzi tutto vivono in un ambiente tranquillo, almeno secon­do i nostri standard; la loro pressione arteriosa è bassa, e la loro dieta, a differenza della nostra, contiene pochissimi grassi saturi.

Noi abbiamo la tendenza a pensare che i grassi saturi che si tro­vano nelle bistecche più succulente, nel burro, nel rosso delle uova, nei prodotti lattiero-casearl e in certi crostacei portino all'arterio­sclerosi e, ultimamente, anche a certe forme di cancro. I ricercatori che si occupano però dell'udito sono ora convinti che una dieta ricca di grassi acceleri anche il processo di presbiacusia. Il dottor Samuel Rosen, un mio vecchio amico morto di recente e una delle più famose autorità d'America sulle malattie degli orecchi, aveva valutato il possibile impatto dei diversi fattori ambientali sull'udito in molti paesi di diversa civiltà. Cosi in uno studio condotto in Finlandia (dove la dieta è ricca di grassi saturi) era riuscito a sta­bilire una relazione tra presbiacusia e il tasso di grassi nel sangue. Più i grassi erano presenti nel sangue, insomma, minore era la qualità dell'udito. E aveva inoltre messo in luce che quando i grassi venivano ridotti, l'udito migliorava in modo significativo. Altri stu­di condotti negli Stati Uniti hanno poi confermato questa reversi­bilità. Visto quindi che la riduzione dei grassi porta a evidenti benefici cardiaci, sembra ragionevole raccomandare la stessa dieta per ridurre contemporaneamente i rischi della sordità.

 

i farmaci che possono farvi diventare sordi

C'è un'ampia gam­ma di farmaci, compresi alcuni di uso molto comune, che sono potenzialmente « ototossici ». (Tre pazienti ospedalieri su mille sof­frono di temporanea perdita d'udito a causa dei farmaci loro som­ministrati.) Anni fa una delle mie pazienti in ospedale era una bam­bina affetta da disturbi cardiaci. Noi le somministravamo diversi farmaci per rafforzarIe il cuore e farlo battere con regolarità, poi una mattina, durante il solito giro di visite, le chiesi come si sen­tiva. Lei mi guardò con espressione incerta. « Come? Non riesco a sentirla con tutto quel rumore che fanno i muratori là fuori. Non dovrebbero permettere che si lavori di notte nei pressi di un ospe­dale. Non sono riuscita a chiudere occhio.» Fui in linea di prin­cipio d'accordo con lei, ovviamente, solo che io non sentivo affatto tutto n fracasso che disturbava la bambina. Tanto per essere sicuro, guardai fuori della finestra: il cortile era vuoto. Il fracasso che la paziente sentiva, come pure la sordità, erano letteralmente nella sua testa ... tutto per colpa della chinidina che prendeva per il cuore. Quando interrompemmo n farmaco, i sintomi scomparvero. La bambina fu fortunata perché il suo era un disturbo reversibile e ave­va attirato subito la sua attenzione su di esso, ma in altri casi la sor­dità indotta da farmaci può essere insidiosa, progressiva, spesso Inos­servata e talvolta destinata a diventare permanente.

Ho conosciuto pazienti che hanno perso l'udito, di solito in via temporanea, ma qualche volta in via permanente, dopo aver preso l'Aspirina; un fenomeno che si verifica undici volte su mille. Ci sono anche vari antibiotici diversi tra di loro che possono portare alla per­dita d'udito, il più importante dei quali è la streptomicina (sei per mille); vengono poi la neomicina (impiegata per abbassare il tasso dì colesterolo troppo elevato, dodici per mille), la kanamicina (sedici per mille) e la gentamicina (dodici per mille). In rari casi lo stesso effetto possono provocarlo l'ampicillina, n cloramfenicolo, la poli­mixina-E, la vancomicina e la viomicina. L'ototossicita può essere anche indotta da diuretici come l'acido etacrinico (dodici per mille) e talvolta da un diuretico di vastissimo impiego come la fu­rosemide (Lasix). Responsabili della sordità possono inoltre essere la chinina che si prende di sera per i crampi alle gambe, o si trova nell'acqua tonica, e la chinidina che avevo somministrato alla bambina per il cuore (tre per mille). Infine lo stesso effetto possono averlo alcuni farmaci antinfiammatori non steroidei più recenti pre­scritti per il trattamento dell'artrite, farmaci come l'indometacina (Indium) e il Nalfon.

Cosi, se per qualsiasi ragione state prendendo medicinali e avete notato qualche cambiamento nell'udito o vi siete accorti di sentire ronzii, trilli, tonfi, sibili o rombi nella testa, chiedete informazioni al vostro medico sulla possibile ototossicità dei farmaci che vi ha pre­scritto, in particolare se avete più di sessant'anni e/o avete di­sturbi renali. E naturalmente non dimenticate di controllare bene tutti quei farmaci in libera vendita che prendete per vostro conto.

decibel

Con tutto il rispetto nei confronti della dieta e dei far­maci, la più importante causa di presbiacusia nella nostra società è il rumore. Ogni giorno ognuno di noi è sottoposto, per periodi di tempo variabili, a un bombardamento sonoro il cui livello è esiziale per la nostra salute. Perché bisogna dire che, quando l'apparato auditivo viene tormentato, l'inquinamento sonoro influisce gene­ralmente su tutto il corpo.

Noi siamo condizionati a reagire in difesa contro certi stimoli. Quando un rumore forte e improvviso ci spaventa, ecco che entrano in gioco alcuni meccanismi di difesa naturali che coinvolgono rea­zioni chimiche e ormonali. Poi, quando la minaccia è passata, an­che le reazioni fisiologiche hanno termine e la sensazione di « al­lerta» scompare. Se però la minaccia (o il rumore) diventa cronica, croniche diventano anche le reazioni. Cosi, le conseguenze del mec­canismo d'allarme persistente o molto frequente, come per esempio un forte rumore, sono ipertensione, aumento della frequenza car­diaca, spasmi muscolari e vulnerabilità nei confronti di certe ma­lattie, tra cui la sordità. Che poi queste conseguenze siano leggere o gravi, transitorie o permanenti, ciò dipende dall'intensità del ru­more come pure dalla sua durata e dalla frequenza dell 'esposizione. L'Epa (Environmental Protection Agency, l'Ente per la protezione ambientale) valuta che circa la metà di noi si assoggetta a un livello sonoro che ha effetti perniciosi. E non è neanche necessario avere un misuratore di decibel per rendersi conto di quando ciò suc­cede. Basta infatti che dobbiate alzare la voce al di sopra dei ru­mori di fondo per poter asserire che quei rumori sono troppo forti.

lo per esempio evito il più possibile la rete metropolitana di New York, non a causa del crimine, della sporcizia, dei deragliamenti dei guasti degli impianti, ma perché quando mi trovo sulla piatta­forma provo un capogiro al rumore che fanno i treni in arrivo, spe­cialmente se devono fare una curva. (I treni dei metro di Londra. Parigi, Montreal e Mosca sono dotati di ruote di gomma appunto per eliminare questo stridore insopportabile.) Ma esistono innume­revoli altre fonti di rumori dannosi e assordanti nel nostro am­biente: aeroplani (si è rilevato che gli individui al di sopra dei set­tantacinque anni nel raggio di tre chilometri dall'aeroporto di Los Angeles presentavano pressione e incidenza di colpi apoplettici più alte degli individui del gruppo di controllo di pari età le cui case erano situate a maggiore distanza dall'aeroporto); martelli pneuma­tici; e rumori negli ambienti di lavoro. Tra gli individui a rischio figurano i lattonieri, i musicisti rock, gli addetti alle presse, gli agenti del traffico, i soldati (specialmente gli artiglieri), gli addetti agli aeroporti (in particolare quelli che lavorano sulle piste) e tan­tissimi altri. Tutti questi individui hanno probabilità, se non por­tano protezioni agli orecchi, di diventare sordi prima del tempo. Il fatto è che l'apparato auditivo utnano non è stato solamente studiato per resistere ai rumori della « civiltà ».

Qual è allora il limite di sicurezza? L'Osha (Occupational Safety and Health Administration, l'ente per la sicurezza e la salute sul lavoro) afferma che l'esposizione da 85 a 90 decibel (dB) per otto ore al giorno non è dannosa; 115 dB non costituiscono ancora un pericolo ma solo se sono limitati a quindici minuti. Tutti noi pro­babilmente siamc in grado di tollerare una costante esposizione a circa 80 dB, dove la soglia dell'udito è zero. Ed ecco a quanto as­sommano i decibel generati da fattori che si verificano ogni giorno:

Un debole sussurro 25 db

Guidare un'auto scoperta sull'autostrada 95 db

Conversazione normale 60 db

Rombo di una motocicletta 90-100 db

Falciatrice a motore 106 db

Discoteca 100-140 db

Motore a reazione a 30 m di quota Frullatore 93 db

Concerto rock dal vivo  90-130 db

Treno del metro di New York che entra in stazione in curva (il rumore che mi procura capogiri) 104 db

Se non potete evitare questi rumori perché fanno parte del vo­stro lavoro, servitevi di auricolari o cuffie che li ridurranno di 25 dB, portando la maggioranza di essi entro i limiti di sicurezza (sotto i 90 dB).

Ma in realtà noi siamo dei masochisti che amiamo il fracasso, tanto che ci sottoponiamo deliberatamente a ciò che è evitabile. Quanti giovani individui e vecchi passano ore e ore ad ascoltare radioline portatili o registratori, spesso attraverso auricolari, con livelli sonori che arrivano a 130 dB? lo non riesco a ricordare di essere mai andato a un ricevimento o a un pranzo matrimoniale senza trovarmi esposto al fracasso quasi doloroso della musica am­plificata, fosse essa in diretta o registrata. E i nostri figli grazie alle loro pistole a salve, i mortaretti, gli apparecchi stereo e la passione per le discoteche si stanno assicurando la presbiacusia in età molto anticipata rispetto alle precedenti generazioni. Oggi la più impor­tante azione che possiamo intraprendere per prevenire o ritardare la sordità, e probabilmente anche colpi apoplettici e attacchi cardia­ci, è una campagna diretta a educare il pubblico sui pericoli dei ru­mori, per insegnargli come evitarli e quali misure adottare per rì­durne l'intensità.

Anche il telefono senza fili, il più recente dei ritrovati, rappre­senta un potenziale pericolo per l'udito. Infatti gli squilli di un normale telefono si interrompono quando si stacca il ricevitore dal­l'apparecchio, ma il telefono senza fili continua a suonare o grac­chiare anche mentre lo si porta all'orecchio fino al momento in cui si sposta un interruttore. E poiché il campanello è situato nell'auri­colare, si segnalano fenomeni di sordità specialmente nei bambini che avvicinano troppo il ricevitore all'orecchio. Il problema anzi è di tale rilevanza che la U.S. Consumer Product Safety Division (l'ente americano di difesa dei consumatori) ha dato l'allarme ri­guardo appunto questi telefoni portatili. Fate quindi che questi ap­parecchi stiano alla larga dalle mani dei vostri figli e imparate voi stessi a usarli in modo corretto.

 

il tabacco

E' interessante notare come i principali fattori di ri­schio delle malattie cardiache (ipertensione, iperlipidemia e siga­rette) siano stati messi tutti quanti in relazione anche con la per­dita dell'udito. Nel corso di uno studio in cui !\Ì è confrontata l'acutezza uditiva di centocinquanta fumatori con quella di cento­cinquanta non fumatori, è risultato che l'ottantatré per cento dei secondi presentava un udito normale in confronto al solo trenta per cento dei fumatori. Perciò ai miei pazienti duri d'orecchio do lo stesso consiglio che rivolgo a quelli affetti da malattie cardiache, colpo apoplettico e arterie occluse nelle gambe: per prima cosa non cominciate a fumare. E se avete già cominciato, ricordatevi che non è mai troppo tardi per smettere.

 

il volo

I mutamenti di pressione atmosferica all'interno degli aerei possono menomare le facoltà uditive, specialmente quando si vola col raffreddore. Il disturbo è di solito leggero e temporaneo, ma talvolta può sopravvenire in forma grave ed essere permanente. Per prevenire questa complicazione ricordate: 1. non volate quan­do avete un'infezione alle alte vie respiratorie o vi cola il naso o avete il naso chiuso; 2. se proprio dovete volare in queste circo­stanze, fate uso di un decongestionante nasale, preferibilmente in gocce, mezz'ora prima del decollo e mezz'ora prima dell'atterrag­gio; 3. deglutire o masticare chewing-gum può servire a minimiz­zare gli effetti negativi dei mutamenti di pressione sugli orecchi quando l'aereo perde quota. Non dormite perciò quando l'aereo è in fase di discesa, una regola particolarmente valida nel caso dei neonati.

La sordità è il risultato finale di un'ampia gamma di agenti cau­sativi che operano dalla vita fetale fino alla senescenza. Gli agenti. inquinanti presenti nel nostro ambiente - ciò che mangiamo, le pillole che prendiamo, il tipo di lavoro che facciamo, il tipo di ri­creazione che. preferiamo, i rumori che cerchiamo per nostro diletto o a cui siamo esposti sul lavoro - sono tutti elementi che hanno un forte impatto sul fragile meccanismo dell'udito. Riuscire a iden­tificare quelli che sono prevedibili - la dieta aterogena, i farmaci specifici, e una congerie di agenti inquinanti sonori il cui impatto può essere modificato o evitandoli o indossando apposite protezioni sulle orecchie - può servire a ridurre in modo efficace la sempre crescente incidenza della sordità.

 

 

L' epatite

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L'epatite A si prende dal cosiddetto virus A, che si annida nell'intestino e da lì finisce nelle falde acquifere contaminate da scarichi fognari e nei frutti di mare che filtrano tali acque. Il virus A si annida nel tratto intestinale e lo si contrae per contaminazione da feci. Dilaga rapidamente in ambienti chiusi e affollati, come scuole, prigioni, caserme, dormitori, centri sociali. Lo possono trasmettere coloro che sovrintendono agli approvvigionamenti se non si lavano le mani. Così pure gli omosessuali dediti ad attività oro-anali. Il modo più comune è il consumo di frutti di mare provenienti da acque contaminate dalle fogne.

Chiunque viene colpito sviluppa anticorpi specifici che possono essere individuati.

Se sospettate di essere rimasti esposti all'epatite A fatevi un'iniezione di gammaglobulina. Iniettata nei primissimi giorni a coloro che sono venuti a contatto con una persona affetta da epatite A, riduce il rischio di contrarla o perlomeno ne attenua la gravità. E' anche usata come misura di prevenzione dalle persone che si recano in aree a rischio, perché rafforza le difese immunitarie nei confronti di certe infezioni virali.

Se venite colpiti da epatite A, il peggio che potrà succedervi sarà di venire colpiti da ittero (occhio e pelle ingialliscono), perdere appetito, avere qualche grado di febbre per diversi giorni e vedere in generale declinare per qualche settimana il vostro livello d'energia. Si tratta di una malattia relativamente benigna. In pratica non capita a nessuno di morire per essa e neppure di stare molto male. La possibilità che il fegato rimanga danneggiato in modo permanente è remota. Inoltre, una volta colpiti si rimane probabilmente immuni per il resto della vita.

L'epatie da virus B è molto più grave. Solo uno su cinque contagiati sviluppa l'ittero, il 5% sta così male da richiedere il ricovero. Il 10% di coloro che si riprendono diventano porattori della malattia, una potenziale fonte di infezione per gli altri individui con cui vengono a contatto, specie i neonati. Tra questi portatori il 25% sviluppa un'epatite cronica, il 20% muore di cirrosi epatica (una grave degenerazione del fegato), il 5% muore di cancro al fegato anni dopo.

La si contrae dal sangue infetto e dai prodotti del sangue e in minor percentuale dalle secrezioni del corpo come sperma e saliva. La più alta incidenza si ha tra omosessuali maschi in seguito ai loro contatti oro-genitali, durante i quali ingeriscono il seme infetto, e alla attività oro-anale, che li può portare a inghiottire piccole quantità di sangue da abrazioni delle mucose rettali. I drogati possono contrarre l'epatite usando gli stessi aghi di portatori o pazienti affetti dal virus. Un tempo correvano rischi quelli che ricevevano frequenti trasfusioni

Contro l'epatite B ci si può vaccinare

Se ritenete di essere venuti a contatto con l'infezione fatevi vaccinare immediatamente e nello stesso tempo fatevi praticare una iniezione di una specifica immunoglobulina contro l'epatite B (diversa dalla gammaglobulina). Questi interventi riducono rischio e gravità della malattia

Il virus che continua a colpire individui trasfusi nonostante i controlli contro l'epatite B è stato chiamato non-A non B. Si diffonde tramite il sangue ma non si riesce ad individuarne la presenza. Contribuisce al 25% dei casi di epatite e al 90% delle epatiti da trasfusione

 

 

I calcoli: come evitarli

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In qualsiasi liquido possono formarsi particelle solide. Calcoli possono formarsi nella cistifellea, dove è immagazzinata la bile, nei reni, dove viene prodotta l'urina, nella prostata, nella parotide, la ghiandola che produce la saliva, nella vescica urinaria. I calcoli biliari e renali però sono quelli che provocano maggioro dolori

Ci sono due ragioni per cui il calcio, l'acido urico o gli ossalati o qualsiasi altro cristallo presente in forma fluida nell'urina passi allo stato solido: che ve ne finisce una quantità eccessiva o che avviene qualche alterazione nell'ambiente urinario. Se l'urina è troppo acida o troppo alcalina potete prendere qualcosa. Se c'è troppo acido urico nel sangue o nele urine può essere necessario modificare la dieta o prendere un farmaco.

Se si è predisposti ai calcoli la cosa migliore è mantenere un flusso copioso di urina chiara. I soldati distaccati nel deserto, dove l'acqua scarseggia, hanno un'alta incidenza di calcoli renali. Atleti e runners che sudano in abbondanza sono vulnerabili se non rimpiazzano l'acqua perduta.

Se l'acqua potabile della vostra zona è ricca di calcio, utilizzate quella distillata. Le stesse acque minerali possono favorire la formazione di calcoli.

Il novanta per cento di calcoli sono costituiti da ossalato di calcio. il dieci da acido urico, cistina o struvite (magnesio, ammonio e fosfati. La maggior parte contengono più di una sostanza, ma il calcio è presente comunque in più nel novanta per cento di essi.

Una quantità eccessiva di vitamina D può far aumentare la quantità di calcio nel sangue e urine e provocare calcoli.

Gli ossalati sono sostanze presenti soprattutto nel tè. Se avete problemi di assorbimento di grassi nell'intestino evitate le quantità eccesive di ossalati nella dieta riducendo il consumo di cioccolata, succhi di frutta e specialmente the.

I calcoli di acido urico vanno prevenuti rendendo l'urina meno acida. Si può prendere bicarbonato di sodio

I malati di gotta hanno un tasso di acido urico troppo alto nel sangue, che passa nelle urine, provocando calcoli.

C'è un 20% di pazienti con calcoli di cui non si riesce a capire l'origine.

Ogni anno si scopre un milione di nuovi casi di calcoli biliari e si asportano 500.000 cistifellee.

I calcoli biliari sono la conseguenza della cristallizzazione di alcuni componenti della bile, esattamente come i calcoli renali sono con­seguenza della cristallizzazione di sostanze presenti nelle urine. Cosi la maggior parte dei calcoli biliari sono composti in larga maggio­ranza dal principale costituente della bile: il colesterolo. La bile, sostanza necessaria per digerire i grassi della dieta, è fab­bricata dal fegato e viene' inviata attraverso il dotto comune negli intestini dove raggiunge i grassi assorbiti e ne agevola l'emulsifica­zione. Ora il fegato produce in continuazione bile, ma i grassi non sono consumati con la stessa regolarità, così, allo scopo di imma­gazzinare la bile in eccesso non utilizzata in un particolare momen­to, c'è una diramazione del dotto epatico comune (il dotto cistico) che porta a un organo cavo detto cistifellea. Quando nell'intestino non ci sono grassi la bile che scende dal dotto epatico comune devia per il dotto cistico e finisce immagazzinata nella cistifellea. Dopo un pasto molto ricco di grassi, non appena il cibo raggiunge l'intestino tenue, l'organismo emette una serie di segnali alla cistifellea per in­giungerle di inviare altra bile. A questo punto la cistifellea normale si contrae e invia uno schizzo di bile in quantità sufficiente a dige­rire i grassi contenuti nell'intestino. Se però la cistifel1ea contiene dei piccoli calcoli, uno o più di essi possono sfuggire durante la con­trazione. Ecco perché il segreto per prevenire le coliche epatiche sta nel tenere lontani i grassi dagli intestini, evitando alimenti grassi e fritture.

Fino a non molto tempo fa, quando si riscontravano in un paziente calcoli biliari, messi in evidenza da una radiografia dell'addome o da un attacco di colica, si consigliava l'asportazione della cistifel­lea. In base alle più recenti esperienze, invece, si è riscontrato che la gran maggioranza di questi pazienti non ha bisogno di interventi chirurgici. Se però le coliche, la febbre e l'ittero si ripetono, allora sarà inevitabile ricorrere all'asportazione della cistifellea. I pazienti mi chiedono spesso come si possa vivere senza quest'organo. La cosa è possibile e senza neppure grandi disagi, in quanto il corpo prov­vede a compensare la mancanza della cistifellea dilatando i dotti della bile che assumono così la funzione di « magazzino » che aveva quell'organo.

Può darsi che abbiate sentito parlare, e magari l'abbiate anche presa in considerazione, della terapia della dissoluzione medica dei calcoli. Questa soluzione però io personalmente la consiglio solo a quelle persone che correrebbero rischi notevoli con un in­tervento chirurgico, perché nonostante l'entusiasmo iniziale gene­rata dall'osservazione che certe sostanze chimiche (come l'acido chenodesossicolico e l'acido ursodesossicolico) sono in grado di scio­gliere i calcoli biliari, ulteriori esperienze hanno messo in luce che ciò avviene solo per una percentuale molto ridotta di pazienti. Inol­tre, col farmaco oggi disponibile negli Stati Uniti, il Chenex" (a base di acido desossicolìco), si comincia a vedere che gli effetti col­laterali sono piuttosto fastidiosi. Infine, nel cinquanta per cento dei casi in cui si è avuta la dissoluzione completa dei calcoli, questi si sono ripresentati nell'arco di cinque anni.

A questo punto vi sarete forse chiesti come mai non ho finora accennato all'influenza della dieta sui calcoli biliari. Questa non è stata una svista, ma una scelta deliberata. Finora a tutti i pazienti di questo tipo era stata tradizionalmente consigliata una dieta a bas­so contenuto di grassi. lo, da parte mia, la prescrivo tuttora ai miei pazienti, in base alla seguente logica: la presenza del grasso negli intestini stimola la cistifellea a contrarsi per fornire la bile extra necessaria per la digestione dei grassi, ma quando questa bile viene schizzata fuori dalla sacca, i piccoli calcoli in essa presenti possono penetrare nei dotti della bile e ostruirli provocando coliche e ittero. Alcuni studi recenti, tuttavia, arrivano a sostenere che il passaggio di questi calcoli nei dotti è un fatto del tutto casuale che si veri­fica indipendentemente da quanto si mangia. Questo è un concetto rivoluzionario e io consiglio a tutti coloro che hanno calcoli biliari di non correre rischi e stare sul sicuro. Continuate quindi a evitare i grassi e aspettate che questa nuova teoria venga suffragata da prove convincenti.

 

 

I coaguli sanguigni possono danneggiare seriamente il vostro cervello

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Brutte notizie per tutti. Ogni giorno ci sono migliaia di persone che si mettono allegramente al lavoro senza minimamente sospettare di vivere sotto la spada di Damocle. Questo perché sono a ogni istante esposte a un improvviso sconquasso (embolia) provocato da un coa­gulo di sangue (detto embolo) che viaggia per il corpo. Questo em­bolo può alla fine arrivare al cervello, provocando un colpo apoplet­tico, ai polmoni. danneggiando gravemente questi organi, ai reni, alle gambe, alla milza, agli occhi ... insomma a una qualsiasi parte del corpo fornita di vasi sanguigni. C'è però anche una buona no­tizia e cioè che ci si può in larga misura proteggere dai rischi del­l'embolia.

 Il fumo e la pillola anticoncezionale, nelle donne dopo i trentacinque anni provocano alterazioni nel processso di coagulazione del sangue, per cui possono subentrare colpi apoplettici, o perfino infarti (quando sono coinvolte le arterie) o flebiti (in special modo in presenza di vene varicose).

La flebite è un'infiammazione di una vena che di solito è in una delle gambe. E' accompagnata dalla formazione di coaguli. Se si staccano possono risalire lungo la gamba e attraverso il sistema delel vene dell'addome arrivare al cuore e ai polmoni dove si fermano. I danni da ostruzione di un grosso vaso del polmone possono rivelarsi addirittura mortali.

Anche chi tiene le gambe per molte ore in posizioni sacrificate (ad es. viaggia spesso in classe economica) può sviluppare una simile flebite. Quando vene varicose sono costrette a penzolare per ore la gravità favorisce  ancora di più la formazione di coaguli. Fattori aggravanti sono il sovrappeso e la prolungata immobilità. Per impedire che questo avvenga è opportuno camminare, in modo che i muscoli delle gambe possano esercitare un'azione di spremitura sulle vene e agevolare il ritorno del sangue verso il cuore. Lo stesso effetto si ottiene potrando calse o calzini elastici.

La maggior parte delle persone normali subisce di tanto in tanto una pulsazione extra, detta appunto extrasistole. Ma nel caso della fibrillazione  atriale è come se ogni pulsazione fosse un'extrasistole. La contrazione cardiaca non segue alcuno schema prevedibile.  Se si riesce a mantenere la pulsazione tra sessanta e novanta battiti al minuto la fibrillazione atriale non fa grossi danni. E' un disturbo molto comune che non è necessariamente indice di malattia cardiaca. Rosenfeld ha diversi pazienti che si trovano conteinuamente in questo stato di fibrillazione eppure si sentono in perfetta salute. Alcuni hanno uno stato di fibrillazione atriale intermittente.

Queste aritmie possono verificarsi in chi beve troppo caffè o fuma troppe sigarette.

I casi di fibrillazione si vedono soprattutto negli anziani nei quali riflettono qualche altro disturbo di origine cardiaca o non: ad es. iperattività della tiroide, arteriosclerosi delle coronrie, anormalità interne del cuore

Può capitare che il coagulo finisca nel cervello e provochi un colpo apoplettico, oppure nelle arterie della gamba, interrompendovi la circolazione, o ai reni, danneggiandoli e così via.

Chi soffre di fibrillazione atriale farà bene a seguire una terapia anticoagulante a tempo indeterminato o almeno per tutto il tempo della fibrillazione, a meno che non ci sia una controindicazione agli anticoagulanti (ulcera sanguinante, disfunzioni nella coagulazione del sangue, malattia di fegato, ipertensione elevata). Il farmaco più impiegato è il Warfarin (Coumadin). Vanno fatte analisi mensili  per assicurarsi che il dosaggio non sia troppo elevato o troppo scarso: il Warfarin è impiegato anche come veleno per topi.

In alternativa al Coumadin si può prescrivere degli agenti che, pur non essendo anticoagulanti in senso stretto, servono a ridurre per altra via la tendenza alla coagulazoine. Questi agenti sono gli antiaggreganti piastrinici e interferiscono sulla funzione piastrinica. Le piastrine sono particelle microscopiche contenute nel sangue le quali hanno il compito di facilitare la coagulazione di quest'ultimo. Uno di tali farmaci è l'Aspirina; un altro è il Persantin (dipiridamolo). Alcuni medici li prescrivono abbinati: il Persantin in dosaggi da 50-100 mg tre o quattro volte al giorno, l'aspirina in dosaggio mini, da 80 mg. una volta al giorno. Questo rappresenta il modo più efficace di prevenire embolie da coaguli.

Ci sono due altre circostanze in cui nel cuore si possono formare mortali coaguli anche in presenza di un ritmo normale. La prima è una condizione detta cardiomiopatia (dove « cardio » si riferisce al cuore, « mio » al muscolo e « patia » significa malattia o disturbo . Quindi «cardiomiopatia» sta a indicare una condizione in cui il muscolo cardiaco non funziona a dovere, insomma è «debole »). Questo fenomeno può verificarsi per diversi motivi. Il cuore può essere stato « avvelenato» dall'abuso d'alcol (cardiomiopatia alco­lica); da un virus che sul momento poteva essere sembrato innocente (cardiomiopatia virale) - ritenuto magari quello di un brutto raf­freddore - ma che invece ha danneggiato il muscolo cardiaco; da una prolungata malattia coronarica che ha privato il muscolo car­diaco di nutrimento (cardiomiopatia ischemica); da infezioni cro­niche; dall'ipertensione che nell'arco degli anni ha sottoposto il mu­scolo cardiaco a sforzi intensi (cardiomiopatia ipertensiva); o dal­l'infiltrazione nel cuore di alcune sostanze chimiche del corpo (ami­loidosi). Qualunque sia la causa, il muscolo cardiaco, invece di con­trarsi vigorosamente per espellere il sangue contenuto al suo inter­no, pulsa sfiancato, come una vecchia sacca sfibrata. Purtroppo, con un'azione cardiaca così debole, il sangue all'interno delle cavità non riesce a fluire con vigore dentro e fuori di esse e si limita a vorti­care piÌ1 o meno debolmente permettendo così la formazione di coa­guli. Quando poi uno di questi lascia il cuore, non si 5'8 mai dove possa finire, ecco perché sostengo che la maggior parte dei pazienti affetti da miopatie è bene che vengano sottoposti a terapia anticoa­gulante per ridurre la possibilità di formazione di coaguli.

Il guaio, nel caso delle miopatie, è che i pazienti affetti non sem­pre se ne rendono conto. Di recente mi ha consultato un uomo di cinquantotto anni perché avvertiva palpitazioni, vale a dire che av­vertiva le pulsazioni senza che ci fosse una spiegazione evidente. Si

 

 

I radicali liberi sono pericolosi per la salute? Come si formano?

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Una teoria popolare sull'invecchiamento che ha anche implicazioni dietetiche fa riferimento ai « radicali liberi », prodotto chimico col­laterale del metabolismo. I radicali liberi sono prodotti nei pro­cessi energetici in cui ha parte l'ossigeno (non tutti i processi meta­bolici infatti coinvolgono questo elemento). Ora, proprio come succede con alcuni uomini politici, il corpo non va molto d'accordo con questi radicali liberi, i quali si ritiene accelerino i processi d'invecchiamento e svolgano un certo ruolo nell'insorgere di cancro, iper­tensione, demenza senile e disordini del sistema immunitario (di­minuita resistenza). Quando noi riduciamo il numero dei radicali liberi nelle piccole cavie di laboratorio manipolandone la dieta, suc­cedono tre cose: la loro vita media si allunga, la resistenza comples­siva si rafforza e certi tipi di cancri vengono inibiti. La dieta che ha questi effetti salutari contiene solo quantità minime di grassi po­linsaturi ed è abbastanza scarsa di calorie da ridurre il peso corpo­reo totale. (Ricordate quando i cardiologi «spingevano» i grassi polinsaturi perché ritenuti in grado di prevenire le malattie coro­nariche? Solo dopo che diversi studi hanno messo in luce una mag­giore incidenza del cancro negli individui che consumano quan­tità abbondanti di questi grassi tale consiglio è stato ritirato!) An­che il selenio, un minerale in tracce che rispunta costantemente nel­la letteratura anticancro, pare ridurre i danni provocati dalle rea­zioni dei radicali liberi in questi studi condotti su animali. Quindi possibile che gli esseri umani che seguono un regime dietetico analogo, vale a dire una dieta adeguata nei nutrienti es­senziali, ma scarsa di calorie e di grassi polinsaturi e integrata ma­gari da una quantità giornaliera di selenio da 50 a 100 mg, possa­no vivere più a lungo di quanto non riescano oggi.

Due parole adesso sugli antiossidanti, dal momento che anch'essi rientrano nel quadro dei radicali liberi. Gli antìossidantì. più noti, le vitamine E e C, si è visto che riducono sulle cavie di laboratorio gli effetti negativi dei radicali liberi. Proviamo a considerare queste due vitamine come « spazzini » di radicali liberi. Esse servono ad aspor­tare dall'organismo quelle scorie indesiderabili che vengono prodot­te dal metabolismo. E questo lo sappiamo in base a un semplice esperimento.

Noi siamo in grado di provocare il cancro nelle cavie di labora­torio somministrando loro certe sostanze chimiche. Se però prima gli somministriamo abbondanti quantità di vitamine E e C, il can­cro non riusciamo più a provocarlo. E inoltre si allunga anche la du­rata media della vita degli animali.Che insegnamento possiamo quindi trarre da questa informazio­ne? ~ opportuno allora integrare la nostra dieta con dosi extra di vitamine E e C, e se la risposta è si, in quale quantità? lo non dispongo di risposte scientifiche basate su esperimenti condotti su es­seri umani, ma proprio per le prove induttive disponibili prescrivo alla maggioranza dei miei pazienti da 200 a 400 unità di vitamina E e almeno 500 mg di vitamina C al giorno oltre a un'integrazione multivitaminica giornaliera. Queste dosi non sono dannose e alla lunga possono risultare protettive.

 

 

Il sesso intenso e regolare fa bene alla salute?

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De gustibus non disputandum est. Ma il sesso intenso e regolare non fa né bene né male alla salute. Per ogni persona che dichiara di essere in buona salute grazie ad una sana attività sessuale ce n'è una che dice che è arrivata sana e attiva a tarda età grazie alla continenza. Quanto all'affermazione che sarebbe vera attività sportiva che brucia calorie e tonifica i muscoli ci asteniamo da commenti. C'è tuttavia qualche considerazione da tenere presente. Il sesso intenso e regolare mantiene alto il livello del testosterone e del desiderio: più sesso si fa e più si vorrebbe farne (qualsiasi endocrinologo può confermare che… l'appetito vien mangiando). Un livello eccessivo di testosterone può provocare, oltre che perdita di capelli, anche ipertrofia prostatica (lo sapeva bene uno scrittore ex-medico come Archibald Joseph Cronin, che nel romanzo L'albero di Giuda fa parlare un personaggio a cui le esagerate pretese sessuali della partner hanno procurato a lungo andare una ipertrofia prostatica). Purtroppo, con la nostra dieta carnivora assumiamo già ingenti quantità di testosterone, e un elevato livello di questo ormone è un fattore che può accelerare (si badi: non causare) lo sviluppo di un cancro alla prostata.

 

 

Come ottenere un the deteinato “fatto in casa”?

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Le foglie di tè contengono naturalmente teina, e il normale metodo deteinante la rimuove completamente. Il processo di lavaggio delle foglie di tè con un acetato di etile allo scopo di deteinarle ne rimuove anche degli ingredienti salutari e ne influenza il sapore. Il metodo che usa acqua e anidride carbonica è più costoso, e trovare del tè deteinato in questo modo può non essere facile.

In Cina e Giappone, le foglie di the vengono utilizzate tre volte, versando nuovamente acqua (non del tutto) bollente sulle foglioline, per ottenere tre the, il secondo dei quali ha un ridotto contenuto di teina. Qui sotto è esposto in dettaglio il procedimento da seguire. Si noti tuttavia che il processo rimuove solo il 20% della teina e inoltre elimina numerosi antiossidanti.

Usa il tè in foglie anziché in bustina. Sarai in grado di deteinare il tè in foglie per poi preparare una tazza di te sufficientemente gustosa.

Porta a bollore un quantitativo di acqua doppio rispetto al necessario. Metà dell'acqua verrà usata per deteinare il tè. Quando questa prima parte verrà eliminata, il resto dell'acqua sarà alla temperatura corretta per mettere le foglie in infusione.

Versa l'acqua bollente sulle foglie di tè. Copri le foglie con 2,5 - 5 cm di acqua, in base al contenitore in cui stai deteinando il tè, che sia una tazza o una teiera.

Lascia le foglie in infusione per 45 secondi. Potresti voler muovere la tazza o la teiera con movimenti circolari per assicurare un'infusione ideale e uniforme delle foglie.

Versa l'acqua. Raccogli le foglie che fuoriescono insieme all'acqua con un colino e rimettile nella tazza o nella teiera.

Aggiungi la parte di acqua bollente restante e lascia le foglie in infusione come d'abitudine. Potresti voler aumentare leggermente il tempo di infusione indicato per ottenere un aroma sufficientemente intenso.

Il tè bianco richiede una temperatura di infusione di 79-85 °C e un tempo di 1-3 minuti.

Il tè verde richiede una temperatura di infusione di 82 °C e un tempo di 2-3 minuti.

Il tè nero richiede una temperatura di infusione di 97 °C e un tempo di 3-5 minuti.

Il tè Darjeeling richiede una temperatura di infusione di 85 °C e un tempo di 3 minuti.

Il tè Oolong richiede una temperatura di infusione di 85-97 °C e un tempo di 3-5 minuti.

 

 

Quante volte al giorno fate la doccia col guanto di crine? Alcune cose che dovreste sapere.

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A tutti sarà capitato di incontrare persone che si lavano ossessivamente, intorno alle quali, ad alcuni metri di distanza, si percepisce il forte profumo del sapone con cui hanno sfregato per un numero imprecisato di volte ogni millimetro quadro di pelle con la spazzola da bagno o il guanto di crine.

Non vogliamo qui parteggiare per l’opinione del celebre musicista Igor Stravinskij secondo cui “lavarsi una volta al giorno è una perversione grave”, oppure per la teoria, diffusa fino a tutto il Settecento tra le classi nobili come tra il popolo, che la sporcizia della pelle ne chiude i pori e quindi previene l’insorgere di malattie infettive, ma tuttavia alcune osservazioni vanno fatte.

Non pochi dermatologi, anche in interviste televisive, velatamente fanno notare che i saponi e i detergenti odierni non sono del tutto “amici della pelle” e contengono anche in certa percentuale sostanze chimiche irritanti. Ma a parte le irritazioni che un uso troppo ripetuto di detergenti e una igiene esasperata possono dare, il fatto è che l’epidermide, finisce con l’essere privata del film lipidico, cioè di quel prezioso strato di sebo cutaneo che ha effettivamente una funzione protettiva.

Il cattivo odore che proviene da chi non si lava è dovuto agli abiti che la persona indossa nei paesi civilizzati, che producono il ristagno di sudore e batteri. Gli aborigeni australiani, pur sudando profusamente, hanno la pelle assolutamente inodore.

Le zone da lavare con particolare cura sono quelle ricche di peli, perché questi sono sistematicamente associati alla presenza di ghiandole sudoripare.

Questo vuol dire che non è necessario lavare più volte al giorno tutto il corpo a fondo col sapone, perché nelle zone prive di ghiandole sudoripare potrebbe essere sufficiente acqua o una passata leggera della mano insaponata.

 

 

Il test per la fenilchetonuria: un esame indispensabile che può evitare che il cervello del neonato venga danneggiato irreparabilmente in pochissimo tempo da questo temibile difetto genetico nascosto.

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Un difetto nel DNA è all’origine della fenilchetonuria, che è oggetto di diagnosi precoce per i neonati e si tiene sotto controllo con una dieta povera dell’aminoacido fenilalanina (per evitare il rischio di danni al feto la dieta per le mamme deve essere attiva prima ancora dell’inizio della gravidanza). Chi ha questa malattia soffre per la disfunzione di un importante enzima che trasforma la fenilalanina in tirosina: le conseguenze sono appunto un accumulo di fenilalanina e una carenza di tirosina, che possono causare ritardo mentale, ritardo nell’accrescimento e morte precoce. L’eliminazione di fenilalanina in eccesso nelle urine crea il caratteristico odore.

Una dieta adeguata permette a chi soffre di fenilchetonuria di vivere normalmente, anche se sempre con grande attenzione; le donne possono avere figli sani a patto di non trasgredire alle regole alimentari che riducono la presenza di fenilalanina nel cibo. Questo aminoacido, infatti, è essenziale e non è possibile eliminarlo dall’alimentazione: chi deve assumerlo in modo controllato segue una dieta che somministra i singoli aminoacidi, e comunque deve prestare attenzione alle indicazioni sugli alimenti. Potete comprendere ora come mai sulle confezioni di cibo spesso ci sia scritto: «Contiene una fonte di fenilalanina».

 

 

Come determinare se siete obesi o normopeso e i danni dell’obesità.

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Il peso e l’altezza permettono di calcolare l’indice di massa corporea (IMC), in inglese body mass index (BMI), che è il parametro più affidabile e semplice per classificare le condizioni di normopeso, sovrappeso e obesità. Si calcola dividendo il peso corporeo espresso in chili per il quadrato dell’altezza espressa in metri (kg/m2). La condizione di sovrappeso è definita da valori di BMI compresi tra 25 e 29,9; quella di obesità da valori di BMI superiori a 30. Ecco la classificazione adottata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

 

classificazione oms

IMC (kg/m2)

Deficit ponderale

< 18,5

Peso normale

18,5 - 24,9

Sovrappeso

25 - 29,9

Obesità moderata (classe I)

30 - 34,9

Obesità elevata (classe II)

35 - 39,9

Obesità morbosa (classe III)

>= 40

 

Non solo la presenza di tessuto grasso è correlata all’aspetto esteriore della persona, ma influenza anche lo stato di salute e la probabilità di malattia. Per esempio, la presenza di un eccesso di tessuto adiposo nella regione addominale è associata a un rischio cardiovascolare più alto rispetto al grasso localizzato in regioni periferiche, come l’area dei glutei o delle cosce. L’eccesso di tessuto adiposo in sede addominale si associa anche ad altri fattori di rischio, come l’ipertensione, l’iperlipidemia (troppi grassi nel sangue), l’insulinoresistenza e/o l’iperglicemia (troppi zuccheri nel sangue, e dunque diabete). Per verificare la presenza di un eccesso di grasso addominale la misura della circonferenza del ventre è un indice credibile.

Essere obesi danneggia poi il cuore. Gli studi epidemiologici hanno dimostrato la relazione tra obesità e malattie cardiovascolari: il rischio di incorrere in infarto e morire per malattie coronariche diventa più alto con l’aumentare del BMI. La relazione tra obesità e malattie vascolari del cervello non è stata studiata in modo approfondito come per le patologie cardiache, tuttavia anche in questo caso c’è un rapporto tra il rischio di ictus e l’aumento del BMI. È inoltre attribuibile all’obesità oltre il 75% dei casi di ipertensione; l’obesità incrementa i livelli di trigliceridi e di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo «cattivo»), riducendo quelli di colesterolo HDL (il colesterolo «buono»).

Tante malattie hanno una probabilità maggiore di manifestarsi nelle persone obese. Esempi sono i calcoli della colecisti, le patologie delle ossa e delle articolazioni, la sindrome da apnea notturna. In particolare gli episodi di apnea durante il sonno, con diminuzione dell’ossigeno nel sangue e aritmie cardiache, sono correlati con il grado di obesità, specie se localizzata a livello del tronco. Nella donna in fase fertile (ossia gli anni dal primo sviluppo in età adolescente alla menopausa), l’obesità può provocare irregolarità mestruali, infertilità e la sindrome dell’ovaio policistico. Alcuni tumori hanno poi una probabilità maggiore di svilupparsi nelle persone obese: riguardano l’esofago, il pancreas, il colon-retto, il seno (in postmenopausa), l’endometrio e i reni.

 

 

Alcuni motivi per cui è irresponsabile imporre ai propri figli un’alimentazione vegana sin dalla nascita ed occorre invece attendere la fine dell’adolescenza

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L’alimentazione vegana è l’alimentazione vegetariana più estrema, che bandisce, oltre alla carne e al pesce, anche le uova e i latticini.

Intendiamoci: chi scrive non è contrario per principio a tale alimentazione; secondo il famoso China Study essa sembrerebbe in grado di prevenire cancro, diabete e tutta una serie di malattie tipiche dell’iperalimentazione tradizionale.

Ma imporla sin dalla nascita ai vostri bambini può procurare loro seri deficit di sostanze nutritive.

Sia la dieta vegana che i programmi di restrizione calorica per aumentare la longevità andrebbero iniziati solo dopo che l’organismo umano si è completamente sviluppato.

Tralasciando il fatto che le proteine più pregiate e complete provengono da fonti animali, e il bambino la cui massa corporea cresce rapidamente ha bisogno di una grande quantità di proteine. Le proteine si trovano nei muscoli, nelle ossa, nei capelli, nelle unghie e nella pelle e costituiscono il 20% del peso corporeo complessivo. Diverse proteine svolgono la funzione di enzimi, ormoni, neurotrasmettitori, anticorpi; esistono poi proteine specializzate come l’emoglobina e altre che «riparano» i tessuti del corpo per mantenerlo in buona salute. E’ ben noto che legumi e pasta sono fonti incomplete di aminoacidi (i “mattoni” con cui vengono costruite le proteine). La “complementazione” (legumi + pasta) in teoria, secondo i vegani, fornisce tutte le proteine disponibili, ma certamente con minore efficacia degli alimenti animali.

Per svilupparsi il cervello di bambini e adolescenti ha bisogno dei grassi omega-3 e del colesterolo (sì, proprio il tanto temuto colesterolo: le membrane delle cellule cerebrali sono fatte di colesterolo). E’ del tutto irrazionale privare un organismo in crescita del pesce, ricco di omega-3 (anch’esso necessario per la formazione del cervello) o delle uova, il cui albume contiene proteine di altissima qualità e tutti e 9 gli aminoacidi essenziali per il nostro organismo, e il cui tuorlo è ricco, oltre che di vitamina A, xantina e luteina, benefiche per gli occhi, di colina, un nutriente importante per il cervello, di vitamina D, necessaria per la fissazione del calcio nelle ossa, della vitamina B12, essenziale per il buon funzionamento del sistema nervoso.

E’ ben noto che gli alimenti di origine vegetale scarseggiano di vitamine del gruppo B, necessarie per lo sviluppo e il buon funzionamento del cervello.

Delle due categorie di acidi grassi essenziali, che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare, e che sono indispenzabili alla crescita, quelli Omega-3 possono essere tranquillamente trovati nella frutta secca, ma quelli Omega-6 non possono essere facilmente trovati nelle fonti vegetali, mentre certi pesci (sgombro, salmone ecc.) ne sono estremamente ricchi.

Un discorso importante è poi quello del ferro. Il ferro, sebbene abbondante nei vegetali non è in forma biodisponibile per l’organismo umano (non più del 20% del ferro assunto da queste fonti viene assimilato). Il ferro biodisponibile è il ferro in forma “eme”, cioè legato ad una molecola di globina, precisamente quello che si ritrova nella carne e nel pesce.

Gli adolescenti sono particolarmente soggetti all’anemia da carenza di ferro, perché durante lo sviluppo aumentano il volume del sangue e la massa muscolare: la conseguenza è un fabbisogno maggiore di ferro per produrre emoglobina, il pigmento rosso del sangue che trasporta l’ossigeno, e mioglobina, la proteina correlata contenuta nei muscoli. Quando comincia l’adolescenza, nei ragazzi si verifica un accumulo più rapido della massa magra per ogni chilogrammo supplementare di peso corporeo guadagnato durante la crescita. Ciò comporta una quantità finale di massa muscolare magra che è doppia rispetto alle ragazze. Altri fattori che influenzano la necessità di ferro sono l’aumento del peso corporeo e l’inizio delle mestruazioni per le femmine.

Cosa dobbiamo consigliare agli adolescenti per la loro alimentazione? Una delle più importanti indicazioni è di non far mancare cibi ricchi di ferro in forma “eme”: uova, carne magra, anche sotto forma di affettati (la bresaola è ricchissima di ferro)  pesce, fegato bovino (straricco di ferro).

Parliamo poi del calcio. La maggioranza assoluta (il 99%) delle riserve di calcio è nelle ossa. L’adolescenza è appunto la fase della vita in cui il peso delle ossa aumenta di più: in pratica, il 45% circa dello scheletro dell’adulto si forma durante questo periodo, anche se la crescita prosegue oltre, quasi fino ai trent’anni. Tutto il calcio necessario per lo sviluppo dello scheletro deriva dall’alimentazione. Ma c’è un «ma»: il nostro corpo ha un’efficienza limitata nell’assorbire il calcio (ne assorbe il 30% circa rispetto alla quantità introdotta con gli alimenti) e quindi per raggiungere la giusta densità ossea se ne deve fornire un apporto adeguato. È molto importante raggiungere una quantità di massa ossea corretta nell’infanzia e nell’adolescenza, per ridurre il rischio di osteoporosi negli anni successivi. Consumando porzioni di latticini, per esempio latte, yogurt e formaggio, si raggiunge il livello raccomandato di calcio.

Oltre al calcio, per la crescita delle ossa sono necessari altri minerali e vitamine, come il fosforo e la vitamina D, di cui sono particolarmente ricche le fonti animali, mentre le fonti vegetali sono poverissime.

Un ortopedico ha detto allo scrivente che ha riscontrato in soggetti vegani di 40 anni delle fratture e delle incrinature ossee che normalmente riscontra in soggetti ultrasessantenni.

 

 

Si possono aumentare le riserve di vitamina D dell’organismo anche con l’esposizione alle lampade UV dei solarium?

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Una buona notizia: è possibile aumentare le proprie riserve di vitamina D non solo esponendosi al sole nel periodo estivo, ma anche con una lampada UV, a patto che questa emetta radiazioni ultraviolette simili a quelle del sole.

La vitamina D è un nutriente importante per l’assorbimento del calcio a livello intestinale allo scopo di avere una salute ottimale dello scheletro. Essa può essere assunta con la dieta (sotto forma di vitamina D2 o D3) oppure prodotta nella pelle (vitamina D3).

Uno studio ha dimostrato che i soggetti che durante l’inverno utilizzavano una lampada abbronzante almeno una volta a settimana avevano una quantità di vitamina D superiore del 150% alla fine della stagione e una maggiore densità ossea.

Un recente studio svedese ha mostrato che soggetti esposti per sei mesi a una lampada UV da una a due volte a settimana mostravano un aumento della vitamina D in circolo del 250% (da 20 a 50 ng/ml).

Uno studio americano del 2007, ad opera di un gruppo di ricercatori guidati da Prakesh Chandra, Thomas Ziegler, Jungiang Tian e Menghuo Luo(1) e pubblicato sul sito del prestigioso NCBI, il National Centre for Biotechnology Information, una organizzazione governativa USA che fa parte dei National Institutes of Health, ha utilizzato la luce di lampade UV commerciali per trattare la deficienza di vitamina D in soggetti con condizioni patologiche come la fibrosi cistica, o il morbo di Crohn, che impediva loro di assimilarla per via orale.

Le conclusioni dello studio sono inequivocabili: “Una lampada UV che emetta radiazioni ultraviolette simili a quelle della luce solare e che produce vitamina D3 nella pelle è una eccellente alternativa per i soggetti che soffrono di deficienza di vitamina D da malassorbimento, specialmente durante i mesi invernali, quando la luce solare non è in grado di produrre vitamina D3 nella pelle. Queste lampade UV sono facilmente reperibili in commercio e potrebbero essere prescritte a simili pazienti”.

Ecco, per chi volesse provare ad utilizzare una lampada UVB per aumentare le proprie riserve di vitamina D, le indicazioni pratiche emerse dallo studio.

La lampada UVB da tavolo che i ricercatori hanno utilizzato con successo per produrre vitamina D naturalmente è il modello “Sperti Vitamin D Lite Flourescent”, prodotto dalla KBD Inc. di Crescent Spring nel Kentucky, che si può acquistare su amazon.com a 400 euro.

Ecco il grafico che illustra il modo migliore di utilizzare la lampada (distanza dalla pelle e tempi di esposizione):

 

 

Per determinare i tempi di esposizione si deve considerare il tipo di pelle, secondo la seguente scala:

 

 

Nello studio citato, i soggetti iniziavano con tre minuti di esposizione della parte bassa della schiena seduti a 36 cm. di distanza (14 pollici) dalla lampada, e poi incrementavano il tempo fino ad arrivare a quello corrispondente al loro tipo di pelle. Le sedute erano quattro a settimana. Protraendole per otto settimane si aveva un aumento del 25% di concentrazione sierica di vitamina D e le deficienze acute si erano ridotte dal 60% del gruppo controllato al 20%.

Gli autori dello studio notano che una irradiazione di sole otto settimane non è stata sufficiente a far superare la soglia dei 32 ng/ml, che è attualmente considerata la soglia dell’insufficienza, e quindi è consigliabile protrarre le sedute per un periodo più lungo.

 

 

Avete acquistato olio di germe di grano per le sue “straordinarie qualita”? Utilizzate olio di girasole anziché olio di oliva perché fa bene al cuore? Avete acquistato la famosa margarina di olio di girasole al posto del burro? Ecco qualcosa che dovreste sapere sulla ossidazione degli olii.

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Tutte le sostanze grasse, olii inclusi si irrancidiscono, perdendo in parte o in tutto le loro qualità nutrizionali. Tutte le sostanze grasse sono sottoposte al fenomeno dell'ossidazione che, se non controllato e limitato, progressivamente altera profondamente la struttura chimica dei trigliceridi, con formazione di composti volatili dall'odore e sapore sgradevole, il rancido (un difetto grave nella valutazione di un olio).

La misura dell’ossidazione di un olio è espresso dalla quantità di perossidi che contiene, misurati in milliequivalenti di ossigeno attivo per chilogrammo (mcq/02/kg). L'ossidazione di un olio dipende da una serie di fenomeni che possono avvenire in due momenti diversi, vale a dire o nel corso delle pratiche colturali, di raccolta, stoccaggio e lavorazione delle olive; o nel corso della conservazione dell'olio.

Lo stesso fenomeno ha, nei due casi, origini diverse. Il numero di perossidi in un olio fresco, appena prodotto, è dovuto all’azione catalitica di un enzima la lipossidasi che è in grado di legare chimicamente l'ossigeno dell'aria agli acidi grassi insaturi dei trigliceridi (ossidazione enzimatica). La temperatura gioca un ruolo importante nell'accelerare o rallentare l'azione dell'enzima, seppure la lipossidasi risulta attiva anche a temperature molto basse (-40°C).

L’olio e i grassi subiscono un secondo processo di ossidazione, che non necessita dell'azione di enzimi. La semplice presenza dell'ossigeno dell'aria può dar luogo, durante la conservazione dell'olio, a formazione di idroperossidi, secondo un meccanismo che prevede la formazione di radicali liberi.

La reazione, una volta iniziata, procede a catena con formazione di nuovi radicali favorita dalla luce, dal calore e dal contatto dell'olio sia con l'ossigeno atmosferico sia con alcuni metalli (ferro, rame, nickel) che agiscono da catalizzatori. Gli idroperossidi sono molecole molto instabili la cui facile decomposizione dà luogo alla formazione di composti volatili (aldeidi e chetoni) responsabili dei irrancidimento.

Uno dei problemi più grandi degli oli vegetali altamente trasformati e raffinati come l’olio di mais, l’olio di soia e l’olio di colza, è che la componente polinsatura dell'olio è altamente instabile al calore, alla luce e alla pressione, e questo ossida fortemente gli acidi grassi polinsaturi portando ad un aumento dei radicali liberi nel tuo corpo. Il risultato finale di tutto questo processo di raffinazione e lavorazione è un olio altamente infiammatorio per il tuo corpo, che contribuisce potenzialmente ai disturbi cardiaci, all’aumento di peso e ad altre malattie degenerative. Questi oli sono tipicamente estratti e raffinati utilizzando il calore, la pressione e solventi del petrolio come l’esano. Molti di questi oli subiscono un processo di raffinazione caustica, sgommatura, decolorazione e deodorizzazione, il tutto ad alte temperature e con agenti chimici discutibili.

Il calore e la lavorazione ad alta pressione con solventi può causare la trasformazione di parte del contenuto di omega 3 di certi oli, come l’olio di colza, in grassi trans. Riferendosi a quest’olio, la Dott.ssa Mary Enig, Dottore di Ricerca e Biochimica Nutrizionale, afferma che "sebbene il governo canadese sostenga che il contenuto di grassi trans della colza sia pari ad un minimo dello 0,2%, le ricerche presso l'Università della Florida a Gainesville hanno dimostrato che i livelli di grassi trans sono pari al 4,6% nell’olio di colza liquido commerciale".

L’olio di germe di grano subisce un processo di irrancidimento che non è a priori quantificabile, dato che il produttore non ha l’obbligo di dichiarare (come nel caso dell’olio di oliva) la quantità di perossidi presenti nel suo prodotto. E’ pertanto consigliabile acquistare il germe di grano in polvere, anziché l’olio di germe di grano.

Questo vale per molti altri olii ottenuti da semi oleosi: l’olio di semi di girasole e l’olio di semi di lino sono soggetti a rapida ossidazione. Il calore con cui vengono estratti gli olii di semi aumenta il processo di ossidazione, e vanifica quasi completamente le proprietà nutrizionali dell’olio di lino (ricco di precursori degli acidi grassi omega-3.

Intendiamoci: anche la polvere di germe di grano è soggetta ad irrancidimento, sebbene più lento, e andrebbe consumata velocemente. Anche i semi oleosi non spremuti sono soggetti a irrancidimento (provate ad aprire una confezione ermetica di noccioline e a mangiarla dopo due-tre settimane), ma l’irrancidimento degli olii nel seme è meno veloce.

Per evitare l’ossidazione i produttori più coscienziosi lo confezionano in assenza d’aria (ad esempio in atmosfera di azoto e a temperatura controllata. Ma una volta aperta la confezione l’ossidazione è alquanto veloce.

Purtroppo, quanto più un olio è polinsaturo (e benefico per la salute), tanto più si ossida velocemente. Questo perché l'ossidazione enzimatica si esplica a carico degli acidi grassi insaturi (caratterizzati dalla presenza di doppi legami fra gli atomi di carbonio della catena).

Inoltre, la normativa non impone un limite alla quantità di perossidi presenti negli olii di semi, e meno che mai l’obbligo di dichiararlo sul prodotto.

Tra gli oli, l’olio di oliva è quello che si ossida meno facilmente, per la presenza di antiossidanti naturali (tocoferoli e polifenoli) e anche perché è composto principalmente da olii saturi e monoinsaturi, più difficili da ossidarsi.

L’olio di oliva è composto infatti da acido stearico (saturo), palmitico (saturo), oleico (monoinsaturo), linoleico (polinsaturo) e linolenico (polinsaturo). Una caratteristica che distingue l'olio di oliva dagli altri oli vegetali è legata al suo maggior contenuto in acido oleico; negli oli di semi prevale invece il linoleico.

Nell’olio di oliva l’acido oleico (monoinsaturo) rappresenta circa il 75%, mentre l’acido linolenico (polinsaturo) non è superiore al 10%.

Queste caratteristiche permettono all'olio di oliva di conservarsi più a lungo rispetto a qualsiasi altro tipo di olio; la tendenza all’irrancidimento è infatti direttamente proporzionale al numero di doppi legami presenti negli acidi grassi. Mentre nell’acido oleico si registra la presenza di un solo doppio legame (è un monoinsaturo), l'acido linoleico contenuto negli altri oli vegetali contiene due doppi legami (è un polinsaturo capostipite della serie omega-6). L’irrancidimento di un olio è ostacolato anche dal contenuto in vitamina E e polifenoli; questi ultimi abbondando nell'olio di oliva ed in quello di vinaccioli.

Se acquistate olio di girasole, cercate di non tenerlo troppo a lungo nella dispensa e accompagnate il suo consumo con quello di semi di girasole, che apportano lo stesso tipo di olio omega-3 ma col vantaggio che questo non è ossidato e mantiene tutte le sue caratteristiche benefiche.

Per evitare l’ossidazione, gli olii che compongono le margarine e quelli utilizati nelle preparazioni alimentari (dolci, prodotti da forno, ecc.) sono sottoposti al processo di idrogenazione.

La margarina viene prodotta idrogenando oli vegetali, rendendo cioè saturi i legami doppi degli acidi grassi attraverso l’assorbimento di idrogeno. In tal modo il beneficio che gli olii vegetali portano alla prevenzione delle malattie cardiovascolari, legato soprattutto alla presenza di acidi grassi mono e polinsaturi, viene totalmente azzerato.

 

 

Usate olio di oliva e non olio di semi per friggere il pesce

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Ci sono almeno due buoni motivi per friggere il pesce con l’olio di oliva anziché con gli oli di semi:

  Il pesce è ricco di acidi grassi polinsaturi, lo stesso tipo di grassi contenuti nell’olio di semi usato per la frittura. Il risultato è che gli olii benefici del pesce passano nell’olio di frittura, che li scioglie, e si perdono importanti qualità nutrizionali del cibo.

  L’olio di oliva ha un “punto di fumo” più elevato ed è meno instabile al calore

La formazione di sostanze tossiche dipende da tre principali fattori:

- temperatura e tempo di esposizione al calore;

- concentrazione di acidi grassi polinsaturi;

- punto di fumo dell'olio.

In particolare gli oli contenenti grandi quantità di acidi grassi polinsaturi non vanno utilizzati per le fritture. Insomma, i famosi grassi omega 3 di cui tanto si parla per la loro utilità nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, se sottoposti ad alte temperature diventano instabili producendo residui nocivi per il nostro corpo. Analogo discorso per gli omega-6.

Il punto di fumo corrisponde alla temperatura massima raggiungibile da un olio prima che questo inizi a bruciare e a decomporsi creando le sopraccitate sostanze tossiche.

 

tipo di olio

punto di fumo

Olio di girasole

Meno di 130°C

Olio di soia

130°C

Olio di mais

160°C

Olio di arachide

180°C

Olio extravergine di oliva

210°C

Olio di cocco

177°C

Olio di palma

240°C

 

(Nota Bene: l’olio di palma ha il più alto punto di fumo, ma è un olio contenente grassi saturi dannosissimi per le vostre coronarie!)

 

 

Varietà e consumo equilibrato e moderato dei diversi alimenti: un principio fondamentale della dieta

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Varietà e moderazione: Umberto Veronesi pone questi principi tra le regole fondamentali di una dieta sana. Esistono almeno quattro ottime ragioni per adottarli.

La prima ragione è che  in questo modo eviteremo eventuali carenze nutritive. Come dice Umberto Veronesi, noi abbiamo bisogno di una gran quantità di vitamine, micronutrienti e aminoacidi, ed è quasi impossibile ottenerli da un numero ridotto di alimenti. A questo aggiungiamo che l’organismo di certe persone potrebbe assimilare bene certi cibi e meno bene altri senza che esse ne abbiano consapevolezza, e la varietà risolve anche questo problema. La varietà è tanto più raccomandabile se la dieta è vegetariana, perché non si hanno a disposizione alimenti completi come la carne, il pesce, o, nel caso della dieta vegana, il latte o le uova.

La seconda ragione risiede nel fatto che esistono molti alimenti controversi su cui la scienza della nutrizione non ha ancora raggiunto certezze conclusive: pensiamo alla soia, agli OGM, ai latticini grassi, agli oli di semi… e l’elenco potrebbe continuare. Consumandone una quantità non eccessiva ci mettiamo al riparo da eventuali effetti negativi.

La terza ragione è che con la moderazione noi possiamo consumare anche alimenti che consumati nelle quantità in cui abitualmente sono assunti nella dieta occidentale sarebbero dannosi per la salute. Prendiamo il caso del burro. Il burro e' di origine animale, e come tale aborrito dai vegani, ma contrariamente al senso comune, se in giuste dosi, e' molto salutare! Certo non bisogna abusarne, ma al contrario della margarina, che e' veleno puro per il corpo umano, il burro ha proprietà' eccezionali per la salute. E' ricco di vitamine A, E, e K2 che e' difficile da assumere perché' rarissima in natura ed ha un ruolo importante nel metabolismo del calcio. Inoltre contiene importantissimi grassi saturi e acidi grassi che hanno un ruolo nella prevenzione di malattie cardio-vascolari e del cancro.

Qualche moderata dose si burro a settimana è insomma benefica: è il noto “paradosso della dieta francese”: una dieta ricca di latticini grassi e di carne, che però, da studi epidemiologici, risulta non provocare una maggiore incidenza di malattie cardiovascolari. La ragione? La moderazione nel consumo. Normalmente i francesi si mantengono magri e mangiano meno dei loro cugini mediterranei, italiani e spagnoli.

La quarta ragione è che i vegetali contengono dei “pesticidi naturali”, che hanno la funzione di respingere insetti e animali, e che un consumo ragionevole e non smodato ci mette al riparo dai danni di tali composti.

Facciamo qualche caso abbastanza comune di violazione di questi principi.

Ci sono persone che hanno “scoperto” la soia e sostituiscono con essa tutte le altre fonti di proteine, assumendone grandi quantità. Questo è contrario al buon senso, perché la soia è un alimento che, secondo chi scrive, andrebbe consumato con la stessa moderazione degli altri, e integrata con altre fonti di proteine (è assolutamente irragionevole privarsi del pesce).

Ci sono coloro che hanno “scoperto” le virtù delle uova e ne consumano una o più al giorno. Anche questo non è un comportamento corretto.

Ci sono coloro che si privano a priori di determinati alimenti, come il pesce, la carne rossa una o due volte a settimana, le uova, persino lo yoghurt magro (ad esempio i vegani).

Ci sono coloro che hanno “scoperto” l’utilità delle fibre e assumono grandi quantità giornaliere di crusca e verdura. Non è affatto raro che un medico ospedaliero si veda arrivare un paziente in preda a crampi violenti a causa del “fitobezoar”, che non è altro che un “tappo intestinale” prodotto dalla eccessiva quantità di verdura consumata.

Ci sono i carnivori che consumano una bistecca al giorno, mentre la raccomandazione è non superare due porzioni di carne rossa a settimana

Ci sono i patiti degli affettati, che consumano quantità eccessive di prosciutto cotto e crudo, bresaola e quant’altro.

Ci sono coloro che rinunciano al pesce “perché mi fa schifo” e alle verdure “perché è lungo prepararle” o perché “mi fanno venire la colite”. Troppe persone, dopo una certa età, limitano drasticamente le loro fonti alimentari. Non è raro il caso di donne che riducono la loro alimentazione a carne, patate e pasta.

Ci sono coloro che hanno scoperto la virtù dei succhi e dei centrifugati di verdure e di frutta e ne ingurgitano litri e litri al giorno.

Ci sono coloro che hanno scoperto le virtù del the verde e ne consumano decine di tazze.

Ci sono coloro che, avendo sentito che assumere acqua è salutare per l’organismo, ne bevono cinque o sei litri al giorno (una dottoressa ha detto a chi scrive che questo può provocare carenze di potassio perché tutta quella diuresi priva il corpo di questo elemento).

Ci sono coloro che hanno scoperto la virtù degli aminoacidi e degli integratori vitaminici e multiminerali e ne assumono alte dosi.

Ci sono coloro che hanno la propria frutta e verdura preferita e non intendono consumarne altri tipi, oppure che consumano grandi quantità giornaliere del loro “frutto miracoloso”: arance, kiwi, ananas, mango, ecc. (vedi in questo documento l’articolo sull’eccessivo consumo delle arance).

E l’elenco potrebbe continuare.

Ecco cosa dice invece Umberto Veronesi sul corretto comportamento alimentare

 

Ho già spiegato che noi abbiamo bisogno di oltre quaranta nutrienti diversi, ossia elementi fondamentali per la vita, e non esiste un singolo alimento in grado di fornirli tutti. Qualsiasi abitudine dietetica basata su un solo alimento è quindi sbagliata, e se gli alimenti sono più di uno ma restano comunque pochi, senza varietà, l’approccio è altrettanto scorretto. Le diete che promettono il dimagrimento attraverso l’uso di uno, due, dieci alimenti sono monotone e creano una grave carenza. È necessario consumare un’ampia scelta di cibi (privilegiando frutta, verdura, cereali, grassi vegetali e oli) e così facendo si può gustare qualsiasi alimento nell’ambito di una dieta sana. Alcuni studi hanno messo in relazione varietà alimentare e longevità.

 

Un altro principio dovrebbe essere di non mangiare alimenti isolati, ma di mangiarli nelle combinazioni (e preparazioni) in cui tradizionalmente sono mangiati. Facciamo quattro esempi:

  i fitati che impediscono l’assorbimento dei minerali nel tofu sono neutralizzati in Giappone dal fatto che questo prodotto viene mangiato con un brodo ricco di minerali seguito da pesce.

  I fitati dei cereali possono essere inattivati in presenza di acido lattico (cioè mangiati con latticini tipo yoghurt) o di vitamina C (cioè mangiati insieme alla frutta).

  Il ferro della carne è assunto in percentuale maggiore se mangiamo anche un frutto ricco di vitamina C.

  Mangiando fagioli e patate, il ricchissimo contenuto di minerali delle patate contrasta efficacemente l’azione antinutrizionale dei fitati sull’assorbimento di minerali

  Mangiare pesce con riso integrale fa sì che i fitati presenti nel riso integrale impediscano l’accumulo di eventuali metalli pesanti presenti nel pesce.

 

 

Quali sono i pericoli di una eccessiva acidità dei tessuti? Hanno ragione i fautori della "dieta alcalina"?

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Secondo non pochi nutrizionisti, tenere sotto controllo il grado di acidità dei tessuti dell'organismo aiuta a mantenerlo sano. Sono in particolare alimenti acidificanti: carni rosse e lavorate, cibi fritti e grassi, latticini, pane lievitato e prodotti a base di grano, snack e bevande zuccherate. Il consumo di proteine innalza l'acidità dei tessuti e produce acido urico.

Tra i danni che i fautori della dieta alcalina additano vi sarebbe anche l'osteoporosi, e questo in base ad un semplice meccanismo: per ridurre l'acidità dei tessuti e ristabilire il corretto ph l'organismo, non potendo procurarsi dall'esterno sostanze alcaline come il calcio, se le procura "sciogliendo" una parte della massa ossea. Ecco perché le persone che seguono una dieta acidificante hanno un elevato livello di calcio nel sangue e nelle urine, che a lungo andare provoca il danneggiamento al patrimonio osseo.

 

 

Disinfettanti per le mani da usare e disinfettanti per le mani da evitare.

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Se possibile, lavate le mani con nient'altro che acqua e sapone. I medici assicurano che uccide il 99% dei germi.

Se non avete acqua e sapone a disposizione potete optare per preparati a base di alcol etilico, che è un agente antimicrobico sicuro per la salute, ed è stato testato per lunghissimo tempo. Ci sono notizie su qualche possibile lieve danno ai tessuti delle ferite, ma per la pelle intatta è assolutamente innocuo.

Cercate di evitare i prodotti che sono reclamizzati come "senza alcool", perché contengono spesso ingredienti tossici, come cloruro di benzalconio.

L'alcol ha un effetto essiccante sulla pelle, dato che dissolve lo strato superficiale di sebo, e può provocare quindi una sgradevole sensazione di secchezza, ma questo non rappresenta alcun danno per le vostre mani.

Non usate mai prodotti che nell'etichetta dichiarano Triclosano e Triclocarban. Sono gli antibatterici puù usati nei prodotti disinfettanti come saponette, deodoranti ecc. Bloccano lo sviluppo dei microbi, ma la FDA statunitense ha recentemente ammesso che possono provocare batteri resistenti agli antibiotici. Inoltre, quando il vostro corpo assorbe triclosano, esso si degrada in diossina, uno degli agenti più tossici per l'uomo, usato tra l'altro nella guerra del Vietnam. Il triclosano danneggia la produzione ormonale. Studi recenti mostrano che può favorire il cancro al seno ed uccide le cellule cerebrali. Inoltre, il triclosano non colpisce specie pericolose di batteri come i norovirus.

Un'altra categoria di ingredienti dichiarati nei disinfettanti per mani sono i Parabeni, che si trovano anche nei cosmetici e nei prodotti solari. Essi sono stati associati da alcuni studi a una varietà di effetti dannosi, come tossicità cerebrale, cancro, danni al sistema ormonale, irritazione della pelle. Nelle etichette dei prodotti che li contengono non compare la parola "parabeni", ma quelle "methylparaben", "butylparaben", "propylparaben" e simili.

Evitate tutti i prodotti dichiarati "antibatterici". Questo perché sfortunatamente non tutti gli ingredienti sono sempre elencati.

Evitate i disinfettanti profumati, perché i profumi sono perlopiù prodotti chimici tossici. Inoltre, essendo le formule dei profumi oggetto di brevetti, i produttori non le dichiarano.

 

 

Quali sono gli alimenti particolarmente sconsigliati da Umberto Veronesi, l'autore de La dieta del digiuno?

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Formaggi grassi con più del 25% di grassi saturi; condimenti di origine animale (burro, strutto, panna); condimenti con oli vegetali idrogenati o di tipo tropicale (cocco, palma, colza) o ancora con oli vegetali o di semi vari che non specificano il prodotto di provenienza; tutta la carne e i salumi; insaporitori ricchi di sale (olive, capperi, sottaceti, prodotti marinati o affumicati, dado da brodo); bevande zuccherate. Non sono invece sconsigliati gli alimenti conservati, in particolare in scatola: contengono antiossidanti, vitamine (qualche volta in quantità superiore all'alimento fresco) e fibre. E infine attenzione al consumo di zuccheri: il cancro si nutre di zuccheri.

 

 

Cosa devo pensare delle affermazioni che la carne di maiali magri (i cosiddetti "magroni") è perfettamente comparabile con quella bovina?

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Fate un semplice esperimento: nutrite per un mese il vostro gatto o cane con carne bovina. Poi, il mese successivo, nutritelo con carne suina. Noterete che mentre nel primo mese il suo peso si mantiene stabile, dal secondo mese comincia costantemente ad aumentare fino ad arrivare all'obesità. A voi le conclusioni.

 

 

Il glutine: un nemico per la nostra salute?

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Negli ultimi anni il glutine è stata una delle sostanze nutritive più discusse, anche se di recente dalla discussione si sta piuttosto scivolando verso l'allarme alimentare vero e proprio. Ogni volta che nell' opinione pubblica si diffonde il panico non posso fare a meno di domandarmi se davvero siamo informati su ciò che scatena il nostro terrore.

La ricerca ci sta svelando particolari molto interessanti sugli effetti del glutine sul cervello (o sugli effetti che non ha) e se è opportuno o meno che la folla dei consumatori di glutine (cioè chiunque non sia stato dichiarato intollerante al glutine) abbia di che preoccuparsi.

Prima di affrontare tali questioni, vorrei discutere però di un aspetto fondamentale: che cos'è il glutine e perché entra a far parte della nostra alimentazione?

Il glutine è una proteina contenuta nel grano, nell'orzo e nella segale (nella dieta degli americani

l'attenzione si concentra soprattutto sul glutine del grano). Dal latino gluten («colla», «materia vischiosa»), il glutine è la sostanza che dà elasticità e consistenza agli impasti e in tutto il mondo è utilizzato come sostituto della carne (lo si potrebbe considerare la versione frumentaria del tofu). Poiché permette di aggiungere proteine a basso costo a qualunque alimento ne sia sprovvisto e in più migliora la consistenza e la masticabilità dei cibi, il glutine è diventato un additivo fondamentale. È presente in molti più alimenti di quanti non si pensi e lo si utilizza comunemente anche nei medicinali, nelle vitamine e nelle colle.

Ma perché questa proteina estratta dal frumento è causa di tante preoccupazioni?

Iniziamo da ciò che sappiamo con certezza.

L'organismo di una percentuale relativamente ampia della popolazione è sensibile al glutine, fatto che comporta sgradevoli conseguenze a livello digestivo. Non c'è bisogno di scendere nei particolari in questo contesto, ma se una persona intollerante al glutine mangia qualcosa che appartenga alla gamma del pane, dei cracker e dei biscotti passerà una nottataccia. Non si conosce il numero esatto degli individui che rientrano in questa categoria, ma secondo certe stime nei soli Stati Uniti ammonterebbe a oltre 20 milioni.

Poiché la nostra dieta è piena di alimenti che possono provocare problemi digestivi (grassi, oli, latticini ecc.), sono in parecchi a ignorare di essere intolleranti al glutine. Oltretutto, l'intolleranza al glutine può presentarsi in forma più o meno grave, il che rende ancora più difficile poter risalire alla causa esatta dei crampi addominali e degli altri sintomi associati.

Una percentuale più ridotta della popolazione è affetta da una forma genetica e più grave di intolleranza al glutine nota come morbo celiaco o celiachia, in cui l'organismo reagisce all'esposizione al glutine con l'infiammazione dell'intestino tenue. Si tratta di una patologia autoimmune che può sfociare in danni permanenti all'intestino e in tutta una serie di altre problematiche; sfortunatamente, l'unico rimedio consiste nell'astensione totale dagli alimenti contenenti glutine, cosa non facile a farsi. È probabile che 2,5 milioni di americani soffrano di celiachia, anche se alla maggior parte di loro non è stata ancora diagnosticata: questo perché in genere passano anni prima di potersene accorgere.

Dal momento che nei celiaci il glutine danneggia l'intestino tenue, provocando carenze nutrizionali, le ricerche hanno rilevato che molte parti del corpo possono risentirne, cervello compreso:

ed è logico che sia così, dato che l'assorbimento delle sostanze nutritive avviene in gran parte proprio nell'intestino tenue. Se al cervello non arriva una quantità sufficiente di vitamine B6 e B12, per esempio, probabilmente si avrà una sensazione di mente annebbiata, come riportano sovente i malati di celiachia.

Nei pazienti celiaci gli studi hanno collegato l'esposizione al glutine a una più elevata incidenza di emicrania, danni cerebrali, epilessia, demenza e disturbi dell'apprendimento. Le conseguenze sono particolarmente serie nei bambini, anche se le ricerche evidenziano problemi neurologici in quasi tutte le fasce di età. Secondo il Center for Peripheral Neuropathy, circa il 10% dei pazienti celiaci sviluppa problemi neurologici.

Se sui fatti esposti fin qui non vi sono dubbi, da questo punto in poi le acque dell' evidenza scientifica si fanno più torbide.

L'interrogativo è se il glutine possa indurre sintomi a livello neurologico anche nei non celiaci. Secondo alcuni scienziati, chiunque abbia un'intolleranza al glutine, di qualunque grado essa sia, rischia ogni volta che va a fare la spesa al supermercato. Altri (come per esempio la Gluten Free Society) sostengono che il glutine sia potenzialmente una neurotossina che chiunque abbia un'ipersensibilità al glutine dovrebbe eliminare il prima possibile dalla propria dispensa.

Le ricerche su cui si fondano queste posizioni non sono assolutamente incontrovertibili. In quella partita a ping pong che sono le ricerche nel campo della scienza nutrizionale («il mio studio è più attendibile del tuo») si è giunti a conclusioni sufficienti a supportare posizioni sia moderate sia estremistiche riguardo all'intolleranza al glutine, senza però mai averne trovata una definitiva che inchiodi una volta per sempre la proteina del grano alla sua croce.

Ciò che lascia perplessi nella questione del glutine è in parte il fatto che nessuno sa dire con sicurezza quanti individui rientrino nella sfera dell'intolleranza a questa sostanza, e questo, a livello planetario, fa del glutine un facile bersaglio dell'opinione pubblica generale.

Ecco, per esempio, alcune patologie legate al consumo di glutine così come sono elencate sul sito web della Gluten Free Society:

- Reflusso gastroesofageo o bruciori di stomaco

- Anemia

- Malattie autoimmuni (incluse le tiroiditi autoimmuni, l'artrite reumatoide e il diabete di tipo I)

- Depressione

- Emicrania

- Decalcificazione ossea (comprese osteoporosi e osteopenia)

- Sindrome dell'intestino irritabile

- Sindrome di affaticamento cronico

- Gas intestinali e meteorismo

- Inspiegabili episodi di vertigini o ronzii alle orecchie

- Eruzioni cutanee (fra cui dermatite erpetiforme, eczema e psoriasi)

- Infertilità inspiegabile

Soffrite di uno o più di questi disturbi? La colpa potrebbe essere del glutine? Forse sì, forse no, anche se con un ventaglio di patologie così ampio sembra quasi certo che possiate essere intolleranti al glutine senza saperlo, no?

Ed è proprio questo il problema con il vortice di panico alimentare che ruota intorno al glutine: in pratica non esistono parametri per identificare che cosa è causato dal presunto colpevole e cosa no.

E cosa accade quando un'interpretazione troppo ampia incontra la confusione dell'opinione pubblica? Che si scatenano gli interessi commerciali. E così ecco che le diete «senza glutine», o gluten-free, vengono proposte come la panacea per ogni cosa, dalle malattie della pelle all' obesità. Negli Stati Uniti una star della TV, Elizabeth Hasselbeck, ha costruito uno strepitoso successo editoriale sulla promozione dello stile di vita «G-free». E non si può dire che sia la sola: su Amazon si trova un'offerta di 4000 libri sull'alimentazione gluten-free.

La maggior parte di questi libri contiene informazioni attestate e attendibili. Tuttavia, la magica forza commerciale che alimenta il loro successo non necessariamente si fonda sulle evidenze scientifiche più assodate di cui disponiamo. Ovviamente, non è indispensabile che questi libri abbiano un fondamento scientifico: una volta che il tornado del marketing si è messo in moto, a che serve parlare di evidenze scientifiche quando c'è da vendere quanti più libri e quanti più prodotti dietetici possibile?

A ogni modo, ecco una rassegna delle evidenze scientifiche di cui finora disponiamo:

Esistono ampie prove che una certa percentuale della popolazione possa soffrire di gravi problemi di salute a causa dell' esposizione al glutine? Sì, assolutamente sì. Per chi non appartiene a questa categoria di individui, tali prove giustificano il fatto di buttare tutti gli alimenti contenenti glutine che abbiamo in casa e darsi a uno stile di vita gluten-free? No, probabilmente no.

 

 

Il dibattito sull'olio di pesce: medicina per il cervello o costoso placebo?

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Se si confrontano i dati sulla salute mentale relativi al Giappone con quelli della grande maggioranza degli altri Paesi sviluppati si nota un fatto caratteristico e lampante: il Giappone ha uno dei tassi di disturbo bipolare più bassi del mondo civilizzato, il più basso in assoluto fra i Paesi ad alto reddito.

In Giappone il tasso di incidenza del disturbo bipolare nel corso della vita di un individuo è dello 0,07%, pari a una frazione di quello degli Stati Uniti (che vantano il triste primato mondiale del tasso di bipolarismo fra la popolazione: 4,4%). In effetti, con la rilevante eccezione del Giappone, sono i Paesi a più alto reddito quelli a registrare i più elevati tassi di malattia bipolare.

Come si spiega questo fatto? Se si analizzano le differenze nello stile di vita dei giapponesi con quello degli abitanti delle altre nazioni più ricche, il Giappone non si guadagna dei gran voti in quanto a stress e a equilibrio fra lavoro e vita privata: in genere i giapponesi lavorano molte ore al giorno e la cultura aziendalistica diffusa in quel Paese fa sì che sugli impiegati agiscano forti pressioni che inducono alla massima produttività; in questo senso il Giappone assomiglia molto agli Stati Uniti e alle altre nazioni sviluppate; anzi, forse sotto certi aspetti se la cava persino peggio.

La grande differenza sta nel regime alimentare.

Un giapponese in media consuma circa 70 kg di pesce all'anno (ovvero 230 g al giorno). Nel complesso, i giapponesi occupano il 12% del consumo mondiale di pesce, pur costituendo solo il 2% della popolazione del pianeta. A confronto, in media un americano consuma poco più di 7 kg all'anno fra pesce e molluschi.

La conseguenza di un consumo così massiccio di pesce è che il cervello dei giapponesi in media contiene livelli di acidi Omega-3 molto più elevati rispetto alla media americana (o alla media di qualunque altra popolazione, fatta eccezione forse per quella cinese, il cui consumo annuo di pesce si avvicina a quello dei vicini del Sol Levante).

Sulla carta la correlazione fra un forte consumo di pesce e una bassa incidenza di disturbi bipolari è molto stretta. Il cervello è composto in gran parte da acidi grassi essenziali e una carenza di tali sostanze potrebbe avere un ruolo fondamentale nell'insorgenza di malattie mentali. In teoria mangiare molto pesce, o integrare l'alimentazione con olio di pesce, che è ricco dei grassi acidi essenziali di cui ha bisogno il cervello, può servire a correggere la carenza nutrizionale di questi elementi e a migliorare la salute mentale. Secondo alcuni studi tali benefici non riguardano solo i disturbi bipolari, ma anche la depressione e la sindrome da deficit di attenzione.

Le conseguenze economiche dei risultati a cui sono giunti gli scienziati è che l'olio di pesce e gli Omega-3 sono tra i più richiesti fra gli integratori alimentari in commercio. Gli americani spendono circa 15 miliardi di dollari all' anno in integra tori di Omega-3 (a cui vanno ad aggiungersi gli altri integratori che si dice facciano bene al cervello, come l'iperico).

Sono soldi spesi bene? Dipende dalle fonti a cui fate capo e da quanto vi disturba la presenza di qualche grossa lacuna negli studi scientifici quando si tratta di spiegare perché gli Omega-3 farebbero bene al cervello.

Nell'ultimo decennio almeno 20 ricerche hanno evidenziato un legame positivo fra il consumo di integra tori di Omega-3 e una migliore salute mentale. Nell'ottobre del 2008 in «Archives of Psychiatric Nursing» è stato pubblicato un resoconto sistematico sulle proprietà terapeutiche degli Omega-3 nei casi di disturbo bipolare. Raccogliendo dati da vari studi condotti con grande oculatezza, gli autori dell'articolo hanno concluso che esistono prove che gli acidi grassi contenuti nell'olio di pesce possano ridurre i sintomi del bipolarismo.

Uno studio recente suggerisce che l'olio di pesce possa anche ridurre l'incidenza della psicosi nell'adolescenza. Nel corso della ricerca gli adolescenti presi in esame sono stati sottoposti a 12 settimane di somministrazione di integratori a base di Omega-3, e il risultato è stato che l'assunzione di olio di pesce quasi eguagliava i risultati di una terapia farmacologica antipsicotica. In questo come negli studi precedenti, i ricercatori sono stati attenti a sottolineare che non si conoscono con precisione le ragioni dell'effetto benefico di queste sostanze, ma che semplicemente per certi individui funzionano.

Ma quanto olio di pesce occorre per ottenere tali benefici? Secondo gli Istituti Nazionali di Sanità americani (NIH), nella maggioranza delle ricerche condotte sono stati utilizzati quantitativi di acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA) compresi fra 300 e 3000 mg.

Gli studi evidenziano che nel disturbo bipolare DHA ed EPA sono efficaci solo se usati in combinazione. Quando siete in un negozio che vende integra tori alimentari, leggete le etichette e vedete le percentuali di DHA ed EPA contenute nei prodotti: teoricamente, più alte sono meglio è.

L'importante precisazione da fare riguardo ai risultati di queste e altre ricerche è che se è vero che studi ben condotti hanno evidenziato l'esistenza di una qualche correlazione, non abbiamo ancora la prova definitiva che l'olio di pesce sia quel favoloso elisir per il cervello che i produttori di integratori vogliono farci credere. Tutto ciò che possiamo dire è che sì, in effetti, sembra che gli Omega-3 migliorino i sintomi in alcuni individui affetti da disordini mentali, soprattutto in chi soffre di disturbo bipolare e negli adolescenti psicotici.

Tuttavia, ogni studio sull'utilizzo degli Omega-3 per il trattamento dei disturbi mentali è accompagnato dall'invito a non attribuire troppa importanza a questi risultati, perché di fatto non ne sappiamo ancora abbastanza da poter fare dichiarazioni sperticate a favore dell'utilizzo in dosi massicce degli Omega-3. Alcuni studi condotti di recente sollevano dubbi sull'utilità, in generale, del ricorso agli integratori alimentari.

Detto questo, disponiamo di prove più consistenti sul fatto che integrare gli acidi grassi Omega-3 abbia effetti benefici sul sistema cardiovascolare, soprattutto perché riducono i livelli dei trigliceridi nel sangue.

 

 

Un nuovo e insospettabile alleato del nostro cervello: la gomma da masticare.

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Credereste mai che mentre siete in fila alla cassa del supermercato siete solo a poche decine di centimetri di distanza da un potente catalizzatore neurochimico che costa meno di una compressa di antidepressivo?

Ma si, il chewing gum, la magnifica, succulenta gomma da masticare che tiene attive le nostre mandibole, rappresenta un improbabile oggetto di studio delle scienze cognitive che dimostra invece di possedere qualità che nemmeno William Wrigley Jr., storico magnate americano che fondò le sue fortune sull'industria della masticata gommosa, avrebbe mai sospettato.

Sono stati studiati gli effetti benefici della gomma da masticare sulla memoria, sull'attenzione, sui disturbi ansiosi, sulla riduzione dell'appetito, sull'umore e sull'apprendimento. Fra le caratteristiche del chewing gum che sono state analizzate vi sono, fra le altre, sapore, densità e consistenza.

Tali studi sono stati ispirati dall'intuizione che la gomma da masticare potesse aumentare l'afflusso ematico al cervello, e che questo si esplicasse in altri importanti effetti. Alcune ricerche, come quella condotta dall'Università di Cardiff, sono consistite in un'analisi generale delle varie potenzialità della gomma da masticare sotto vari aspetti: apprendimento, umore, memoria e intelligenza. I risultati hanno evidenziato che durante la masticazione di una gomma si ha un miglioramento sia dell'attenzione sia delle performance intellettive, mentre nessun effetto significativo si registra sulla memoria.

Altri studi concludono, invece, che il chewing gum sembra migliorare solamente alcuni aspetti della performance mnestica, soprattutto la capacità di ricordare parole nell'immediato o a distanza di tempo, senza influire sugli altri.

Da uno studio particolarmente interessante condotto nel 2011 è emerso che masticare una gomma prima di sottoporsi a un test migliora la prestazione, mentre invece masticarla durante il test non dà miglioramenti apprezzabili. Forse questo si spiega con il fatto che masticare un chewing gum potrebbe «scaldare» il cervello, metterlo in azione, fenomeno per cui alcuni ricercatori hanno trovato l'espressione «arousal indotto dalla masticazione». In effetti, masticare una gomma per zo minuti equivale a un blando esercizio fisico nel senso di favorire un maggiore afflusso di sangue al cervello. A quanto pare, continuare a masticare dopo questo periodo di «riscaldamento» richiede un eccessivo sforzo per i muscoli del viso e questo dispendio energetico annulla i benefici fin lì prodotti.

Le ricerche hanno inoltre dimostrato che la gomma da masticare è un efficace antistress, per quanto i motivi di questo suo effetto ansiolitico non siano per niente chiari. Da uno studio del 2009, per esempio, è emerso che secondo i test di laboratorio masticare un chewing gum provocava un abbassamento dei livelli di cortisolo, sostanza comunemente definita come l'«ormone dello stress», e una riduzione generale dell'ansia.

Dunque, potrebbe essere vero che gli antidepressivi prescritti dai medici hanno un concorrente molto più a buon mercato in questi cubetti avvolti di carta stagnola che aspettano solo di essere masticati. Alcuni studi scientifici, uno dei quali condotto a Tokio, suggeriscono che masticare a lungo una gomma attiverebbe una porzione del cervello (la parte ventrale della corteccia prefrontale) che a sua volta scatena una serie di effetti che inducono una minore percezione di sentimenti depressivi. In effetti sembra che masticare gomme induca una generica soppressione delle «risposte nocicettive» (espressione del gergo scientifico che più o meno si potrebbe tradurre come «dolore avvertito a livello cerebrale»).

Certo, le ragioni di questo fenomeno sono ferme al piano delle ipotesi, ma non si può ignorare che un gran numero di studi evidenzi i benefici della masticazione dei chewing gum. Sebbene ancora non si comprenda bene perché faccia bene al cervello, poche attività sono tanto semplici, economiche e poco rischiose quanto mettersi in bocca una cicca e farsi una bella masticata.

 

Un trucco per ingannare il cervello e perdere peso .

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Possibile che per dimagrire basti pranzare a zuppa e cracker qualche giorno alla settimana?

E quanto suggerisce una ricerca condotta da un team di scienziati della Cornell University, ma il motivo non è quello che sembrerebbe di primo acchito.

Lo studio ha monitorato l'alimentazione di 17 volontari che per una settimana hanno pranzato a buffet rimpinzandosi a loro piacimento. Nelle due settimane successive la metà di loro è passata a pranzare con un cibo a porzione controllata fra sei disponibili in commercio (zuppa, chili di carne, pasta in scatola), mentre durante gli altri pasti, snack e merende comprese, i soggetti potevano mangiare a volontà. Nelle ultime due settimane dello studio a questo regime alimentare si è adattata anche la restante metà dei soggetti monitorati.

A fine esperimento è emerso che nutrendosi di porzioni controllate a pranzo, ogni volontario assumeva 250 calorie in meno al giorno, perdendo in media 0,5 kg di peso.

Ciò sembrerebbe spiegarsi con il fatto che, mangiando porzioni più piccole a pranzo, i volontari avrebbero assunto meno calorie. Tutto qua. Ma le cose non sono lineari come sembrano. La ragione del minore introito di calorie e del dimagrimento consiste piuttosto nel fatto che mangiare porzioni controllate di cibo a pranzo non li aveva indotti a compensare con l'assunzione di più calorie durante il resto della giornata: un risultato che contraddice le opinioni comuni sulle diete.

Come spiegano questo fatto i ricercatori? Secondo gli scienziati della Cornell il nostro cervello non è dotato di un efficace meccanismo in grado di valutare le piccole variazioni nella quantità di calorie assunte. Se più volte nel corso della settimana si mette in atto una minima riduzione dell'introito calorico, il meccanismo di sovracompensazione non scatterà, e nel complesso questo fatto può tradursi in una perdita di peso significativa. I volontari di questo studio, seguendo questo semplice regime alimentare, in un anno perderebbero almeno una decina di chili.

Certo, lo studio menzionato è molto limitato e per confermarne le conclusioni non sarebbe male condurne altri con un numero maggiore di volontari, ma c'è da dire comunque che i risultati sono promettenti. E badate bene che per seguire un regime alimentare a porzioni controllate non occorrono alimenti costosi o diete liquide che lasciano lo stomaco gorgogliante, né ingurgitare un quantitativo di proteine tale da far costipare un cavallo: i cibi pronti delle marche comunemente in commercio vanno più che bene.

 

 

Grassi finti, rotoli di «ciccia» veri.

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Quando si tratta di diete, cercare di ingannare il cervello offrendogli dei surrogati non è una buona idea. Da uno studio sugli effetti dei sostituti dei grassi emerge che i grassi artificiali non sono solamente una scelta poco felice dal punto di vista alimentare, ma possono addirittura farci aumentare ulteriormente di peso.

Nell'ambito della ricerca sono stati utilizzati dei ratti suddivisi in due gruppi, dei quali uno alimentato con mangime ad alto contenuto e l'altro a basso contenuto di grassi. La metà di ognuno dei due gruppi riceveva inoltre delle patatine Pringles, cibo ricco sia di grassi sia di calorie; i restanti animali di entrambi i gruppi potevano mangiare Pringles, molto caloriche, in certi giorni e patatine della stessa marca ma versione light (a basso contenuto di calorie) negli altri giorni. Le Pringles Light contengono olestra, un sostituto sintetico dei grassi che ha zero calorie e che non viene digerito dall' organismo umano.

Fra i ratti tenuti a un regime alimentare ricco di grassi, quelli a cui venivano offerte entrambe le tipologie di patatine si ingozzavano di più, ingrassavano di più e sviluppavano più tessuto adiposo rispetto ai ratti che si nutrivano solo delle patatine ad alto contenuto di grassi. Non riuscivano a perdere peso nemmeno una volta eliminate le patatine dalla loro dieta.

Questo fenomeno si spiega con il fatto che il cervello, pur essendo un organo straordinario, è soggetto a essere ingannato. I grassi artificiali stimolano risposte biologiche molto simili a quelle stimolate dai grassi «veri», fra le quali aumento della salivazione, reazioni a livello ormonale e modifiche nel metabolismo: insomma, il cervello prepara l'organismo a un enorme introito di calorie. Se però queste calorie non arrivano, il cervello va - per così dire - nel panico, e passa subito alla modalità di inedia accelerando la conversione delle calorie in adipe.

Nel passato altre ricerche hanno evidenziato come un simile effetto sia innescato anche dai dolcificanti artificiali. Il sapore del dolcificante segnala al cervello che l'organismo sta per assumere un grosso quantitativo di calorie, ma quando queste non arrivano il processo di accumulazione dell' adipe subisce un' accelerata.

Certamente va concesso che questi studi sono stati condotti sui ratti, e non si può non ammettere che esistano delle differenze fra il nostro metabolismo e quello dei roditori. C'è da dire, tuttavia, che a livello biologico le risposte dell' organismo nel ratto e nell'umano sono sorprendentemente simili, ed esse ci forniscono quantomeno un forte indizio che anche in noi si possa verificare lo stesso tipo di reazione quando ingeriamo grassi e zuccheri in forma surrogata.

Considerato quanto sono aumentati i consumi dei sostituti dei grassi e degli zuccheri negli ultimi decenni, e la ricca documentazione che attesta nel medesimo periodo un aumento dei casi di obesità, si tratta di una correlazione su cui vale la pena indagare.

La soluzione la conosciamo già: mangiare alimenti naturalmente poveri di grassi e di calorie ed evitare i sostituti artificiali. Il nostro cervello ci ripagherà evitando di aggiungere altri indesiderati strati di adipe al nostro girovita.

 

 

Non riesci a dimagrire? Forse è tutta colpa del cervello .

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«Neurogenesi»: magnifica parola che significa che il nostro cervello continua a produrre nuovi neuroni per tutta la vita.

Fino a non molto tempo fa si riteneva che il cervello fosse una massa statica di tessuto che dopo una precoce «potatura» nei primi anni di vita, smette definitivamente di crescere. Poi, col passare degli anni, la ricerca neuroscientifica ha scoperto due aree dell'encefalo in cui è stata dimostrata attività neurogenica: l'ippocampo, connesso alla formazione della memoria, e il bulbo olfattivo, da cui dipende il senso dell'odorato.

Ebbene, un nuovo studio ha evidenziato che - perlo meno nei topi - esiste una terza area del cervello che dà segnali positivi di un'attività neurogenica: si tratta dell'ipotalamo, dal quale dipendono la temperatura corporea, il metabolismo, il sonno, la fame, la sete e altre funzioni fondamentali.

Questa particolare forma di neurogenesi, tuttavia, porta con sé anche delle notizie non proprio esaltanti.

Alcuni ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze della School of Medicine della Johns Hopkins University hanno iniettato nei ratti delle sostanze che vengono inglobate nelle cellule che si duplicano. In questo modo gli scienziati si sono accorti di una rapida proliferazione di alcune cellule dell'ipotalamo chiamate taniciti; prove successive hanno poi dimostrato che quelli generati dai taniciti sono nello specifico neuroni e non altri tipi di cellule.

A questo punto, volendo capire a cosa servono, i ricercatori hanno studiato le nuove cellule generate dall'ipotalamo in cavie che fin dalla nascita erano state sottoposte a un regime alimentare molto ricco di grassi. Poiché l'ipotalamo è associato alla fame e al metabolismo, l'équipe di studiosi aveva ipotizzato che quei neuroni potessero essere legati all'aumento del peso. Alla fine è emerso che è proprio così.

In giovane età i topi alimentati secondo un regime ricco di grassi non evidenziavano differenze nella neurogenesi rispetto ai giovani topi sottoposti a una dieta normale. In età adulta, tuttavia, nei topi sottoposti a dieta ipercalorica si registrava una neurogenesi quattro volte più elevata rispetto a quella dei topi normali: ingrassavano molto di più e avevano una massa grassa corporea molto più elevata.

Per essere davvero sicuri che l'aumento di peso dipendesse dai nuovi neuroni, con l'uso mirato di raggi X i ricercatori hanno provveduto a uccidere i neuroni incriminati in alcuni esemplari di roditore: in questi soggetti si registrava un minore aumento di peso e una minor quantità di grasso corporeo non solo rispetto alle altre cavie sottoposte a un regime alimentare ipercalorico, ma addirittura rispetto ad altri esemplari fisicamente più attivi.

In altre parole, è evidente che i neuroni ipotalamici hanno un impatto notevole sulla regolazione del peso corporeo e sull'accumulo di adipe nei topi, ed è altamente probabile che lo stesso meccanismo agisca anche nell' organismo umano.

Si dovranno condurre altri test clinici per capire se è davvero così, ma da un punto di vista evolutivo il fenomeno ha una sua logica. Il dottor Seth Blackshaw, a capo dell' équipe di ricercatori della Johns Hopkins, commenta che la neurogenesi ipotalamica potrebbe essere un meccanismo che si è sviluppato per favorire la sopravvivenza degli animali selvatici, e probabilmente anche dei primi ominidi. «In natura è tipico che gli animali, quando scoprono una fonte abbondante di cibo, si alimentino quanto più possibile, visto che un' evenienza simile è in genere abbastanza rara».

In una cultura in cui il cibo abbonda, tuttavia, quello che un tempo era un vantaggio in termini di sopravvivenza può trasformarsi in uno svantaggio del tutto peculiare. «Nel caso degli animali di laboratorio, cosi come per gli abitanti dei Paesi sviluppati che hanno un accesso quasi illimitato al cibo», spiega Blackshaw, «questa forma di neurogenesi non è per niente positiva, in quanto potenzialmente stimola l'acquisto eccessivo e non necessario di peso e l'accumulo di adipe». Insomma, forse è il nostro regime alimentare a indurre il nostro cervello a non farci dimagrire.

Il lato positivo di questa scoperta, se i risultati verranno confermati anche negli esseri umani, è che forse la ricerca riuscirà a scoprire un farmaco che blocchi la neurogenesi nell'ipotalamo. Ma ne dovrà scorrere ancora parecchia di acqua sotto i ponti.

La ricerca condotta dal dottor Blackshaw è apparsa sulla rivista «Nature Neuroscience».

 

 

Perché al cervello non piacciono le bibite light

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Le bevande ipocaloriche sono uno dei bersagli preferiti dei ricercatori nel campo della psicologia e della neurobiologia. In passato alcuni studi hanno scoperto un legame fra il consumo di bibite cosiddette «light» e un'incredibile quantità di effetti nocivi, tra i quali quello più paradossale è l'aumento di peso (dubito, invece, che tali studi abbiano minimamente intaccato la vendita di queste bevande. La Coca-Cola Zero è entrata in commercio poco tempo dopo la pubblicazione delle scoperte emerse dagli studi scientifici e, l'ultima volta che ho controllato i dati di vendita, stava avendo più successo della Coca-Cola light). Uno studio pubblicato sulla rivista «Psychological Science» porta avanti la tradizione esaminando l'ipotesi secondo cui bere bibite ipocaloriche induce le persone a un comportamento più impulsivo.

Per dimostrare la loro teoria i ricercatori sono ricorsi a uno stratagemma che dà sempre buoni risultati, quello della ricompensa differita: i soggetti partecipanti rispondevano a una serie di quesiti che, con diverse formulazioni, presentavano la possibilità di scegliere se ricevere una piccola somma di denaro l'indomani o una cifra più sostanziosa ma in un periodo di tempo più lungo.

I primi quesiti venivano formulati prima che i soggetti bevessero una bibita «normale» (contenente zucchero) o light (contenente aspartame), le ultime domande venivano fatte una volta che avevano bevuto.

Ed ecco i risultati: quelli che avevano bevuto la bibita zuccherata, e che dunque avevano un tasso di glicemia più elevato nel sangue, dimostravano una maggior propensione a scegliere una ricompensa più sostanziosa seppur differita di qualche giorno, mentre chi aveva consumato le bevande light (con un tasso glicemico nel sangue più basso) aveva la tendenza a optare per la cifra più modesta ma da riscuotere subito.

Secondo gli autori della ricerca il motivo per cui chi aveva bevuto la bibita light non era disposto a differire la ricompensa è che valori ematici di glucosio più alti forniscono più carburante al cervello, rendendolo maggiormente propenso a proiettarsi nel futuro. Questo forse dipende dal fatto che per immaginare il futuro, in tutta la sua confusa astrattezza, occorre più energia cerebrale rispetto a quanta ne serve per analizzare il più concreto qui e ora.

Pertanto, quando si beve una bevanda ipocalorica, pensata per ingannare il cervello e fargli credere che gli stiamo fornendo una bella dose di zucchero, il nostro cervello resta in fremente attesa di questa scarica di energia. Ma poi questa non arriva, e allora scatta l'allarme: il cervello interpreta la carenza di glucosio nel sangue come un deficit calorico e parte l'impulso insopprimibile che spinge l'organismo a ottenere ciò di cui ha bisogno. E, in queste condizioni, differire la ricompensa nel tempo non sarà facile.

Il punto di questa ricerca non è che dobbiamo cominciare a scolarci bevande zuccherate al posto di quelle light, ma che dobbiamo smettere di bere bibite gassate o qualunque altro genere di bibita, piene di zuccheri veri o surrogati che siano. Le responsabili dello scatenarsi dell'impulso, secondo la ricerca qui menzionata, non sono in realtà le bevande light, ma piuttosto il continuo fluttuare dei livelli di glucosio nel sangue provocato da un carico eccessivo di zucchero o di altre sostanze che sostuiscono lo zucchero. In teoria, stabilizzare la glicemia su un valore costante, senza picchi in un senso e nell' altro, agevolerebbe il processo decisionale.

E il cervello la smetterebbe di prendersela con voi!

 

 

Niente paura, la carne non fa male al cervello.

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Da anni, ormai, si sente dire che mangiare carne rossa, specialmente se trattata con conservanti, aumenta il rischio di sviluppare certi tipi di cancro. Tale affermazione si basa sul legame riscontrato in alcuni studi scientifici fra l'assunzione di nitrosammine, composti chimici utilizzati nella carne stagionata o conservata, e la comparsa di tumori. Rientrano in questa categoria tutti gli alimenti contenenti nitrati e nitriti, da cui la raccomandazione di un consumo moderato di salami, salsicce, pancetta, wiirstel e simili.

Il fatto che queste molecole riescano a oltrepassare la cosiddetta barriera ematoencefalica - la struttura che regola in maniera selettiva il passaggio di sostanze chimiche da e verso il cervello - solleva il forte timore che esse possano essere la causa della forma più frequente di tumore cerebrale maligno, il glioma.

Uno studio apparso sull' «American Journal of Clinical Nutrition», tuttavia, ha dimostrato che non esiste correlazione fra il consumo di carni contenenti nitrosammine e una maggiore incidenza di gliomi. I ricercatori hanno utilizzato come campioni quelli esaminati in altri tre studi in svolgimento da tre decenni, su un totale di 238.000 individui di entrambi i sessi.

In questo lungo periodo, solo a 335 dei 238.000 soggetti (personale medico e paramedico di cui si sono analizzati a scadenze regolari la dieta e lo stile di vita) è stata fatta una diagnosi di glioma cerebrale, e non è emersa alcuna relazione fra la malattia e il consumo di carne, insaccati o qualsiasi tipo di carne contenente nitrati o nitrosammine.

Poiché i soggetti presi in esame sono tutti adulti, va comunque precisato che gli stessi esiti potrebbero non essere applicabili ai bambini e agli adolescenti: questi, teoricamente, potrebbero correre un rischio più elevato. Finora non sono stati condotti studi su larga scala che abbiano indagato questa eventualità.

E comunque, naturalmente, ci sono mille altre buone ragioni per ridurre quanto possibile il consumo di salsicce e insaccati: tanto per fare un esempio, uno studio recente ha indicato che l'obesità potrebbe avere un legame con la riduzione del volume cerebrale e con la disfunzione erettile.

 

 

I reali effetti dell' alcool sul cervello.

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Che cosa succede quando la vodka al mirtillo che avete bevuto attraversa il vostro sistema circolatorio e raggiunge quell'organo che sta in mezzo alle vostre orecchie?

Si sentono dire molte cose, anche contrastanti, sugli effetti dell'alcool sul cervello e sull'organismo; in particolar modo che ha un effetto tranquillante. Ma questo rappresenta solo una parte della questione. L'alcool è sì una sostanza sedativa, ma funge anche indirettamente da stimolante e svolge un ruolo anche in altri fenomeni che forse vi sorprenderanno.

L'effetto diretto dell' alcool sul cervello avviene attraverso l'alterazione della concentrazione dei neurotrasmettitori, i messaggeri chimici che comunicano a tutto il corpo i segnali che controllano i processi cognitivi, il comportamento e le emozioni. L'alcool agisce sia sui neurotrasmettitori «eccitatori», sia su quelli «inibitori».

Un esempio di neurotrasmettitore eccitatorio è il glutammato, che in condizioni normali stimola l'attività e il metabolismo del cervello. L'alcool inibisce il rilascio del glutammato, e la conseguenza è un rallentamento delle vie di comunicazione cerebrali.

Fra i neurotrasmettitori inibitori c'è il GABA (o acido γ-amminobutirrico), che riduce i livelli energetici e ha un effetto rilassante. Certi farmaci, come il Valium e lo Xanax (e altre benzodiazepine) inducono un effetto tranquillante aumentando la produzione di GABA a livello cerebrale. L'alcool agisce nello stesso modo, incrementando gli effetti del GABA. Per inciso, è questo il motivo per cui si deve evitare di assumere alcool contemporaneamente alle benzodiazepine: sommando si gli effetti delle due sostanze, il battito cardiaco e la respirazione potrebbero rallentare fino a livelli di pericolo.

Dunque, quanto scritto fin qui spiega gli effetti depressivi dell'alcool: questa sostanza inibisce il glutammato, che è un neurotrasmettitore eccitatorio, e stimola il GABA, che è un neurotrasmettitore inibitorio. Ciò significa che ragionamenti, parola e movimenti subiscono tutti un rallentamento, e più si beve più questo effetto è amplificato (ed ecco spiegato perché gli ubriachi barcollano, cadono dalle sedie e si muovono tanto goffamente).

Ma ecco il colpo di scena: l'alcool stimola anche il rilascio della dopamina nel nostro centro cerebrale della ricompensa. Il «centro della ricompensa» è costituito da quelle aree cerebrali (in particolare lo striato ventrale) che sono attivate in pratica da qualsiasi attività piacevole, dallo stare in compagnia degli amici all'andare in vacanza, dall'ottenimento di un importante riconoscimento monetario sul lavoro al consumo di droghe (come cocaina e metanfetamina) e alcool.

Aumentando i livelli di dopamina nel cervello, l'alcool ci inganna, suscitando in noi l'illusione che stiamo benissimo (o, se si beve per superare qualche difficoltà emotiva, semplicemente facendoci sentire un po' meglio di prima). Di conseguenza si continua a bere per mantenere alti i livelli di dopamina, anche se nel contempo stiamo provocando un'alterazione di altre sostanze cerebrali che a sua volta induce un effetto depressivo.

Da alcuni studi emerge che l'effetto dell'alcool sulla dopamina è più significativo negli uomini che nelle donne, il che spiegherebbe perché in media gli uomini bevano più delle donne. Secondo i dati raccolti dall'indagine epidemiologica nazionale sull'alcool e i problemi a esso correlati (NESARC) condotta negli Stati Uniti nel biennio 2001-2002, l'alcolismo è un problema più maschile che femminile: nel corso della propria vita diventa alcolista il 10% degli uomini contro il 3-5% delle donne.

Col passare del tempo, e aumentando l'assunzione d'alcool, l'effetto sulla dopamina diminuisce fino praticamente ad annullarsi, ma ormai a questo punto il bevitore è diventato schiavo della sensazione scatenata dal rilascio di dopamina nel centro cerebrale della ricompensa, anche quando la ricompensa non arriva più. Una volta che si è instaurato questo bisogno compulsivo di riattivare il rilascio di dopamina, ecco che ha inizio la dipendenza. Il tempo necessario perché questa si instauri varia da caso a caso: alcuni individui sono geneticamente predisposti all'alcolismo e sviluppano una dipendenza molto in fretta, per altri può essere una questione di settimane o di mesi.

Qui di seguito ecco un riassunto dei meccanismi con cui l'alcool agisce sulle varie aree del cervello.

 

Perché l'alcool fa sentire più disinibiti

Corteccia cerebrale: è in questa regione che hanno sede i processi cognitivi e la coscienza, e qui l'alcool deprime i centri che sovrintendono all'inibizione comportamentale, il che rende la persona più disinvolta ed estroversa; l'alcool rallenta l'elaborazione delle informazioni fornite da occhi, orecchie, bocca e altri organi di senso; inoltre, inibisce i processi cognitivi, rendendo annebbiati i pensieri.

 

Perché l'alcool rende goffi

Cervelletto: l'alcool agisce su questo, che è il centro del movimento e dell'equilibrio, causando quell'andatura traballante e incerta che è tipica delle persone ubriache.

 

Perché l'alcool accresce la libido ma peggiora la performance sessuale

Ipotalamo e ipofisi: sono gli organi che regolano le funzioni cerebrali automatiche e la secrezione degli ormoni. L'alcool inibisce i centri nervosi dell'ipotalamo che controllano l'eccitazione e la performance sessuale. Sebbene la libido possa aumentare, l'alcool ha un effetto negativo sulla performance sessuale.

 

Perché l'alcool induce sonnolenza

Midollo: quest'area del sistema nervoso sovrintende a funzioni automatiche come respirazione, stato di coscienza, temperatura corporea. L'alcool agisce sul midollo provocando sonnolenza. Altri effetti possibili sono il rallentamento della respirazione e l'abbassamento della temperatura corporea, condizioni potenzialmente pericolose.

 

 

Inconsapevolmente distratti per colpa dell' alcool.

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Vi è mai capitato di bere un paio di drink e di accorgervi che la vostra mente cominciava a vagare per colpa dell'alcool? No, non vi ricordate? Allora vuol dire che un paio di drink ve li eravate scolati per davvero! Secondo uno studio apparso sulla rivista «Psychological Science» l'alcool ha un duplice effetto: non solo ci fa perdere la concentrazione, ma fa anche si che non ce ne rendiamo conto.

Dopo una valutazione preventiva per assicurarsi che non si trattasse di individui già perennemente con la testa fra le nuvole, i soggetti partecipanti allo studio sono stati condotti in una sala bar e fatti assistere alla preparazione di un cocktail alla vodka e mirtillo. I soggetti sono stati invitati a consumarne una piccola dose in un arco di 10 minuti, poi per un periodo di 20 minuti e poi ancora di 30. Ad alcuni ignari soggetti in realtà erano stati offerti dei cocktail analcolici a base di solo succo e acqua tonica, anche se per rendere più plausibile l'inganno il bicchiere era stato spruzzato di vodka.

A quel punto i ricercatori hanno chiesto ai partecipanti se avessero mai letto Guerra e pace (no, non lo avevano letto), invitandoli allora a leggere il testo per 30 minuti. Subito prima che iniziassero la lettura è stata fornita loro una definizione del termine «deconcentrazione», nei seguenti termini: «A un certo punto, durante la lettura, vi renderete conto che non avete capito nulla di quello che avete appena letto, e non solo che non stavate pensando a cosa stavate leggendo, ma che con il pensiero eravate da tutta un'altra parte».

I soggetti dovevano premere il tasto di una tastiera che riportava le lettere «20» ogni volta che durante la lettura si fossero accorti di aver perso la concentrazione. Premuto il tasto, dopo 2-4 minuti sullo schermo sarebbe comparsa una finestra con la domanda «stavi perdendo la concentrazione?», alla quale i soggetti dovevano rispondere con un «si» o con un «no».

Cosa è emerso alla fine dell'esperimento? Che per il 25% del tempo dedicato alla lettura i soggetti che avevano assunto alcool si deconcentravano senza accorgersene, il doppio rispetto al gruppo cui era stato fatto bere il drink in versione placebo. Visto che chi aveva ingerito alcool aveva avuto il doppio delle possibilità di accorgersi che stava vagando coi pensieri, viene naturale pensare: se ne saranno accorti un po' più spesso dell'altro gruppo di soggetti, no? Macché. Sembravano essersi accorti poco o niente del fatto che la propria mente avesse preso il volo.

Cosa si può concludere da questi risultati? I ricercatori che hanno condotto questo studio ritengono che l'alcool amplifichi lo spostamento involontario dell'attenzione, ovvero la tendenza a trasferire la propria concentrazione su situazioni o oggetti che esercitano su di noi un'attrazione immediata («sto morendo di fame, dove ho messo il mio panino?»), con in più il fatto che nemmeno ci rendiamo conto che non siamo più concentrati su ciò su cui avremmo dovuto concentrarci. Insomma, a rischio di scadere nell'ovvio, ecco un altro effetto negativo sull' autocontrollo procurato dall' alcool. Come se già non fossimo tanto bravi a perderlo da soli, l'autocontrollo!

 

 

Ma in un uovo del fast food cosa c'è?

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Pensate all'uovo: un cibo semplice, gustoso, facilissimo da preparare.

Eppure, se ci si prende la briga di leggere con attenzione le liste degli ingredienti fornite dalle catene di fast food più amate dagli americani, ecco emergere un ritratto assai diverso dell'uovo; e si scopre anche che di semplice l'uovo ha poco o niente.

Diamo un'occhiata alle tabelle di composizione degli alimenti messe a disposizione da sei «colonne portanti» della ristorazione veloce che offrono ai clienti la tipica colazione americana comprendente anche uova: McDonald's, Burger King, Chik-fil-A, Subway, Dunkin' Donuts, Hardee's. Cosa c'è dentro le loro uova?

Si trovano diversi ingredienti interessanti e una grande sorpresa. Si potrebbe pensare che il premio per gli ingredienti più enigmatici sarebbe andato a McDonald' s o a Burger King, e invece il primo premio per le uova più manipolate va a Subway. Sebbene McDonald's si piazzi comunque al secondo posto, come vedremo è di fatto l'azienda che ha adottato lo slogan Eat Fresh! («Mangia fresco!») a offrire l'elenco di ingredienti più sconcertante.

Dall'altro lato della classifica, Hardee's, Burger King e Dunkin' Donuts, con le loro liste di ingredienti relativamente brevi, se la cavano tutti benino. Nella maggior parte dei casi si limitano a offrire il gusto che la natura sa offrire. A metà classifica troviamo Chick-fil-A, con un mix di ingredienti normali e altri più dubbi.

La cosa più divertente è confrontare le varie liste di ingredienti: Hardee's, per esempio, vende ai suoi clienti uova contenenti solo un conservante aggiunto, mentre Subway offre un intruglio che include uova e premium egg h/end, letteralmente una «miscela di uova di prima qualità», nella quale compaiono almeno dieci fra conservanti e additivi che non si trovano in quasi nessuna delle tabelle di composizione degli alimenti della concorrenza.

Sottolineiamo qui che queste informazioni sono state rese disponibili dalle stesse aziende e chiunque può liberamente consultarle (almeno fino all'aprile del 2012): basta cliccare i link presenti sui loro siti web (non troverete alcuna formula segreta, ma solo fatti). Le spiegazioni sugli ingredienti che compaiono sotto gli elenchi sono aggiunta e non compaiono nelle tabelle pubblicate dalle aziende.

 

1. SUBWAY

Egg Omelet Patty (normale): uova intere, albume d'uovo, acqua, latte scremato in polvere, miscela di uova di alta qualità (isolato di proteina di pisello, sale, acido citrico, destrosio, gomma di Guar, gomma di xantano, estratti di spezie, antiaddensanti: glicole propilenico e max. 2 silicato di calcio e glicerina), olio di semi di soia, burro surrogato salato (olio di soia liquido e idrogenato), lecitina di soia, aromi naturali e artificiali, colorante: betacarotene, esaltatori di aromi: TBHQ e acido citrico, additivo antischiuma: dimetilpolisilossano, sale.

Qualche parolina sugli ingredienti.

Il glicol e propilenico, solvente per coloranti e aromi alimentari, è utilizzato anche nell'antigelo, per lubrificare i compressori per condizionatori e nei deodoranti in stick.

L'isolato di proteina di pisello è una proteina aggiunta spesso utilizzata come sostituto per le proteine di origine animale.

La gomma di Guar è un addensante.

La gomma di xantano è utilizzata come emulsionante delle sostanze oleose.

La glicerina è un solvente che si può trovare nei saponi, nelle creme idratanti e in alcune marche di crema da barba.

Il.TBHQ (butilidrochinone-terziario) previene l'ossidazione degli oli vegetali e si può trovare anche in vernici, smalti e profumi.

Al dimetilpolisilossano si ricorre per impedire che dopo l'utilizzo ripetuto gli oli di cottura producano schiuma. Oltre che in molti lubrificanti, compare nella composizione del silly putty.

Il silicato di calcio è un antiagglomerante, oltre che un diffuso antiacido. Inoltre, è utilizzato come sigillante per strade, tetti e calcestruzzo.

 

2. MC DONALD'S

Uova intere pastorizzate addizionate con fosfato di sodio (conservante), acido citrico e fosfato monosodico (per conservare il colore), nisina (conservante). Preparato con margarina liquida: olio di semi di soia in forma liquida, oli idrogenati di semi di cotone e di soia, acqua, olio di semi di soia parzialmente idrogenato, sale, lecitina di soia, monogliceridi e digliceridi, benzoato di sodio e sorbato di potassio (conservanti), aromi artificiali, acido citrico, retinolo palmitato, colorante: betacarotene.

Qualche parola sugli ingredienti.

Monogliceridi e digliceridi sono emulsionanti, ovvero rendono facilmente mescolabili sostanze che altrimenti non lo sarebbero (l'acqua e l'olio, per esempio).

Il sorbato di potassio è un conservante che inibisce la crescita di muffe e lieviti. È utilizzato anche nei prodotti per l'igiene personale al posto di una sostanza discussa, i parabeni.

L'olio di semi di cotone, quando completamente idrogenato, è composto al 94 da grassi saturi.

 

3. CHICK-FIL-A

Uova intere, acido citrico, burro disidratato (olio di semi di soia, olio di palma, lecitina di soia, aromi naturali e artificiali, conservanti: TBHQ e acido citrico, coloranti artificiali).

Qualche parola sugli ingredienti.

L'olio di palma è composto all'incirca al 50 da grassi saturi.

  Del TBHQ (butilidrochinone-terziario) si dice sopra.

 

4. DUNKIN' DONUTS

Uova intere, latte intero, olio di soia, acqua, amido modificato, sale, gomma di xantano, pepe bianco, acido citrico.

 

5. BURGER KING

Uova intere, latte scremato (acqua, latte seremato in polvere), oli vegetali (olio di soia e/o di mais), sale, gomma di xantano, aroma naturale d'uovo, aroma naturale di burro.

 

6. HARDEE'S

Uova intere, preservante del colore: acido citrico diluito con acqua (0,I5).

 

 

Due Tylenol, e 1'angoscia esistenziale è solo un brutto ricordo.

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Secondo lo scrittore e pensatore francese Albert Camus il mito greco di Sisifo è la perfetta rappresentazione della condizione umana. Sisifo fu condannato a svolgere per tutta la vita un'attività senza senso, ossia spingere in cima a un monte un grosso macigno, all'infinito, senza scopo o risultato alcuno. Se il re che aveva mancato di rispetto agli dèi poteva mai sperare di dare un senso alla propria esistenza, questo senso avrebbe dovuto trovarlo dentro di sé.

È questa la condizione esistenziale degli uomini, cosi come l'hanno descritta i filosofi dall'Ottocento in poi. La presa di coscienza della sua assurdità, e del fatto che ciascun individuo abbia la responsabilità di dare un significato alla vita, può suscitare un'ansia e un'inquietudine intollerabili: a questo sentimento i filosofi hanno dato il nome di angoscia esistenziale.

Ma in quale modo il cervello umano elabora tale angoscia? Che cosa accade nel cervello quando la vita sembra perdere ogni significato e noi cerchiamo disperatamente di ritrovarlo? Si tratta di interrogativi affrontati sempre più spesso non solo dai filosofi, ma anche dagli studiosi di psicologia. Fra questi, due ricercatori della University of British Columbia, Steven Heine e Daniel Randles, i quali si sono domandati se la sofferenza esistenziale abbia la stessa origine neurologica di altri tipi di dolore: quello provocato dal rifiuto sociale, per esempio, o persino quello che si prova quando ci si schiaccia un dito.

Come hanno analizzato questa idea provocatoria a livello sperimentale? Da precedenti studi i due scienziati sapevano che quando il senso della vita è minacciato (da pensieri sulla mortalità, per esempio), la reazione tipica dell'essere umano è compensare i pensieri negativi con la riaffermazione dei propri valori fondamentali. I due sapevano anche un'altra cosa, ovvero che sia la sofferenza fisica sia quella provocata dal rifiuto sono rese più sopportabili dal ricorso a un comune antidolorifico. Cosi, Heine e Randles hanno deciso di verificare se questo farmaco potesse attutire anche l'insorgenza di angosce esistenziali e ostacolare la normale reazione psicologica.

Reclutati dei volontari, i due ricercatori hanno somministrato alla metà di loro 1000 milligrammi di Tylenol. All'altra metà, una pillola di zucchero. Assunto l'analgesico o il placebo, i soggetti hanno dovuto scrivere dei brevi saggi, alcuni sulla morte, altri sul mal di denti. L'idea era che scrivere sul tema della morte avrebbe costituito una minaccia esistenziale al senso della vita; anche scrivere del mal di denti avrebbe avuto ripercussioni psicologiche negative, ma senza minacciare il senso della vita. Finito di comporre il loro saggio, i volontari hanno affrontato un test di valutazione della propria eccitazione emozionale; infine, a tutti è stato chiesto di immaginare di dover fissare l'ammontare di una cauzione per una prostituta appena arrestata.

Lo scenario della prostituta serviva come test per misurare la riaffermazione dei valori. I ricercatori si aspettavano che i volontari che sentivano minacciata la propria integrità esistenziale avrebbero riaffermato i valori tradizionali e avrebbero giudicato più severamente la violazione etica commessa dalla prostituta: dunque avrebbero stabilito una cauzione più alta. Nel caso dei volontari che avevano assunto una compressa di TylenoI, l'ipotesi di Heine era che non sarebbero stati molto duri con la prostituta, e questo perché l'analgesico avrebbe attutito l'eccitazione emozionale legata alla minaccia esistenziale.

Ed ecco cosa hanno scoperto i due ricercatori.

Soltanto i volontari che avevano avvertito una minaccia al senso della propria esistenza e avevano assunto il placebo avevano un atteggiamento significativamente più risoluto e critico nei confronti della prostituta. Chi, pur avendo subito la stessa minaccia, aveva preso il Tylenol non si dimostrava altrettanto bisognoso di riaffermare i valori tradizionali. Di fatto questi ultimi avevano curato l'angoscia esistenziale grazie a un banalissimo farmaco per il mal di testa.

I ricercatori hanno voluto approfondire i risultati del loro studio, apportando qualche modifica all'esperimento. In questo caso sono ricorsi a una minaccia culturalmente affine a quella di tipo esistenziale: l'arte surrealista. Il test era in tutto e per tutto identico al precedente, ma questa volta ad alcuni soggetti veniva mostrato un cortometraggio del regista David Lynch intitolato Rabbits. Molti di voi conosceranno Lynch per la sua singolarissima serie TV Twin Peaks o per i suoi film, altrettanto originali, come per esempio Velluto blu. Non meno surreale delle altre opere del regista, Rabbits è una serie sconnessa e disturbante di battute senza senso, improvvisi scrosci di risate registrate e lunghi silenzi, che viola in modo deliberato ogni regola della narrazione comunemente intesa.

Al gruppo di controllo, invece, è stato mostrato un episodio dei Simpson, Dopo la proiezione, al posto della situazione della prostituta, al giudizio dei partecipanti è stato sottoposto un recente episodio in cui i tifosi della squadra di hockey dei Canucks, dopo aver perso la Stanley Cup, avevano messo a ferro e fuoco il centro di Vancouver. Li avrebbero sbattuti in prigione, avrebbero comminato delle severe sanzioni o gliel'avrebbero fatta passare franca? Come nel caso precedente, ci si aspettava che a esprimere i giudizi più severi sarebbero stati i soggetti che si erano sentiti più minacciati.

Ed è stato proprio cosi, almeno per quelli che non avevano preso il paracetamolo. Come riferisce l'articolo pubblicato su «Psychological Science», i soli a dimostrarsi più intransigenti rispetto ai gruppi di controllo sono stati quelli che avevano visto lo strano cortometraggio di Lynch e avevano assunto un placebo. Anche questa volta sembra che l'analgesico abbia curato il disagio esistenziale e la sofferenza psichica da questo causata.

Heine e Randles ritengono di aver individuato un tipo particolare di sofferenza legata alla frustrazione delle aspettative. Quando le cose non vanno come ci aspettiamo, dobbiamo agire per difenderci dalla perdita di senso. Secondo i due psicologi, inoltre, questo disagio avrebbe origine in una specifica area del cervello che funziona un po' come un allarme corticale. Tale allarme ci dice che dobbiamo escogitare una linea di azione, e questo sia che la minaccia derivi da un alluce schiacciato, da una sensazione di solitudine o dall'assurdo destino di Sisifo.

 

 

Una festa in casa per pochi intimi: voi e 37 milioni di carissimi amici.

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Forse mentre state leggendo questo articolo siete a casa, soli soletti. O meglio, voi pensate di essere soli soletti. Ma non è cosi. Ogni ora si uniscono a voi più o meno 37 milioni di amici.

È questa la conclusione cui sono giunti alcuni ricercatori di Yale che hanno cercato di calcolare quanti batteri immette ognuno di noi in una stanza con la sua semplice presenza. In definitiva, si tratta di cifre difficili da stabilire.

«Viviamo in un brodo microbico, e un ingrediente importante sono i nostri stessi microbiorganismi», ha dichiarato John Peccia, professore associato di ingegneria ambientale a Yale e leader della sua équipe di ricercatori. «Per lo più gli individui rimettono in sospensione ciò che si era depositato. Si è visto che i batteri che respiriamo provengono per la maggior parte dalla polvere dei pavimenti».

Gli scienziati hanno misurato e analizzato per otto giorni le particelle biologiche presenti in un'aula universitaria posta al pianoterra: l'aula presa in esame veniva occupata per quattro giorni ogni tanto e negli altri quattro restava sempre vuota. In ogni momento porte e finestre venivano lasciate chiuse, mentre l'impianto di riscaldamento e ventilazione operava a regime normale. Gli studiosi hanno classificato le molecole per dimensioni, da loro descritta come «la variabile principale», in quanto dalla dimensione dipendono le probabilità che le particelle vengano filtrate oppure restino nell'aria per entrare infine in ricircolo.

Gli scienziati hanno evidenziato come «la presenza umana nella stanza si associasse a una concentrazione aerea significativamente più elevata» di batteri e funghi di varie dimensioni. In particolare, l'occupazione del locale aveva come conseguenza dei forti picchi di particelle fungali di grosse dimensioni e di particelle batteriche di medie dimensioni.

I ricercatori di Yale hanno scoperto che il 18% circa di tutte le emissioni batteriche nella stanza - compresi i batteri «appena immessi» e quelli già depositati in precedenza - derivava dagli umani invece che dalle piante o da altre fonti. Fra le 15 varietà di batteri più abbondanti identificate all'interno dell'aula, quattro erano di origine umana, inclusa la più abbondante in assoluto: i propionibatteri, comunissimi sulla nostra cute.

Per nostra fortuna, solo lo 0,1% dei batteri provoca infezioni nella specie umana. Tuttavia, poiché trascorriamo la gran parte del nostro tempo fra le quattro mura, questa quantità seppur minima di organismi patogeni ha pieno accesso al nostro organismo. Nel caso vi servisse un altro motivo per passare un po' più di tempo all'aria aperta, eccolo qua.

 

 

E se i farmaci ci fornissero una scusa per continuare a mangiare troppo e male?

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Tipica cena tra amici in USA: tutti i commensali hanno ordinato piatti nel complesso poco salutari. Fra tutte le portate ordinate, soltanto una non include una bella porzione di carne rossa, e anche quella (a base di pesce) è talmente affogata nel burro da far rabbrividire un cardiologo. Qualcuno, scherzando, commenta: «Per compensare dovrò passare tre giorni a mangiare solo insalata!» E qualcun altro risponde, sempre in tono scherzoso: «Be', niente paura: ti prendi la tua compressa di statine e non ci pensi più!»

Oggi molta gente dà per buono che la scienza medica è ormai talmente progredita da poterei tutelare dalle conseguenze delle nostre scelte comportamentali. E questo soprattutto quando si tratta di patologie cardiovascolari. Oggi che sul mercato è disponibile una varietà sempre più ampia di farmaci per ridurre il colesterolo e abbassare la pressione, si sta rafforzando troppo il convincimento che possiamo tranquillamente mangiarci bombe e bombe di colesterolo.

E' probabile che ciascuno di noi preferisca non assumere farmaci, ma non di rado si sentono rispondere dal medico che certo, non è impossibile, ma secondo la sua esperienza è un'opzione comunque inopportuna. L'argomentazione è che negli individui in cui una forte componente genetica e comportamentale contribuisce a mantenere elevati i valori di pressione e colesterolo, in genere nemmeno un cambiamento radicale nello stile di vita è sufficiente a riportare totalmente sotto controllo il problema.

Forse hanno ragione. Ma lasciamo per un momento da parte la componente genetica e concentriamoci sui comportamenti. La risposta del medico sarebbe: «Be', dal momento che il problema è dovuto soprattutto ai comportamenti, si, sarebbe possibile smettere di assumere farmaci se si cambiasse lo stile di vita». Ma il nostro pensiero immediato spesso è: «Mmm ... però facendo il piccolo sacrificio di buttare giù un paio di pillole al giorno potrei continuare a ordinare gustose bistecche e torte alla panna ... Cosa me lo impedisce?». Finché sono in grado di pagarmi le medicine, posso continuare con la terapia.

Quel che interessa qui è la tacita approvazione che circonda questa forma di costosa sconsideratezza. L'approvazione è su due fronti: sociale e interiore. Potremmo discutere per giorni e giorni se la nostra società si possa permettere o no di legittimare i comportamenti dannosi per la salute (e nella discussione dovrebbe rientrare ovviamente anche l'argomento fumo). Tale dibattito offre molti spunti di riflessione, ma qui interessa piuttosto soffermarsi sul meccanismo psicologico che ci porta a giustificare i nostri comportamenti.

Chiunque si autogiustifichi nella forma descritta sopra sta in realtà mentendo. Non si tratta necessariamente di una bugia esplicita: essa consiste nel fatto che queste persone negano una verità fondamentale riguardante la propria salute, ossia che la ragione per cui assumono dei farmaci è conseguenza di un comportamento a rischio, e non un presidio che permetta loro di perseverare ancor di più nel medesimo comportamento.

Nel corso degli anni l'onnipervasività della pubblicità dei farmaci, insieme al bombardamento pubblicitario (di cibo ecc.) che ci induce all'autoindulgenza, abbia modificato la nostra percezione fino a farci credere a questa bugia. E poiché gli esseri umani hanno una propensione a optare per la strada più semplice, basta molto poco per convincerci. Ci viene messa a disposizione una serie di prodotti molto gradevoli e facilmente accessibili ma potenzialmente nocivi, e poi un' altra serie di prodotti che ci consente di concederci il primo set di prodotti senza patirne conseguenze negative. Come si fa a resistere?

Per accorgerci della menzogna bisognerebbe trovare la volontà di sollevare il manto che il marketing vi ha posato sopra, ma non è un'impresa facile. Ancora meno facile è difendersi dalle spiegazioni razionali. Se si vive un' esistenza frenetica, se si è costantemente vittime dello stress, come accade a molti di noi, è comprensibile che si guardi ai farmaci come a una sorta di misura di profilassi nei confronti degli effetti collaterali di uno stile di vita convulso. Anche in questo caso, la freccia del marketing punta dritta alla nostra tendenza alla razionalizzazione, e se centra il bersaglio è soltanto perché siamo disponibili a lasciarglielo fare.

Non esiste una soluzione facile. A parte i messaggi che ci incitano a comportamenti autodistruttivi, in realtà il problema in tutta questa faccenda è la volontà di raccontarsi la verità. La civiltà del commercio nella quale siamo immersi non è fatta per aiutarci a essere sinceri con noi stessi. Al contrario, è impostata in maniera tale che si continui a mentire e a farlo con soddisfazione. Fa impressione pensare che una delle sfide più grandi della psicologia (e dell'istruzione) nei prossimi anni sarà contribuire all'inversione di questa tendenza. Una sfida titanica, sotto ogni punto di vista.

 

 

Attenti all'effetto placebo: truffe in agguato sullo scaffale della farmacia.

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Quando un prodotto non soddisfa i requisiti pubblicizzati da chi ce l'ha venduto, noi americani lo definiamo snake oil, «olio di serpente». È un' espressione che potrebbe essere utilizzata per molti prodotti da banco che troviamo in farmacia, i quali non si basano su alcuna prova credibile e contano sull'effetto placebo.

Buffo a dirsi, esistono prove assodate sulle effettive proprietà del vero olio di serpente, un olio ricavato da un rettile acquatico cinese. L'olio di serpente in questione contiene più acidi grassi Omega-3 del tipo EPA rispetto al salmone, e di prove scientifiche a supporto degli effetti benefici degli Omega-3 ce ne sono in abbondanza. Quindi, se riuscite a trovare dell' olio di serpente (quello vero, anche se magari vi toccherà andare in Cina), compratelo pure.

Se invece incappate in uno dei prodotti di cui si parla qui, il consiglio è non solo di non comprarli, ma di assicurarvi che nemmeno le persone che vi stanno a cuore si lascino abbindolare, perché sono solo un imbroglio.

[Breve premessa: 1'effetto placebo può produrre risultati in un certo senso tangibili se la persona che utilizza il placebo è convinta che funzionerà. Si tratta tuttavia di effetti di breve durata, e il problema di fondo non verrà risolto. In questo articolo mi riferisco a quei prodotti che sono pubblicizzati come in grado di produrre effetti reali, diversi da un semplice placebo, anche se in realtà non hanno il supporto di test clinici che ne attestino l'efficacia].

 

Rimedi omeopatici contro le allergie

La teoria che sta dietro questi prodotti è che l'esposizione ripetuta a dosi minime di sostanze allergeniche aumenti la resistenza dell'organismo. Nella composizione di questi prodotti entrano microdosi di pollini, polveri, muffe e tutte le altre sostanze che noi allergici evitiamo come la peste. Come con tutte le medicine omeopatiche, il principio sottostante è che «il simile cura il simile».

Forse è solo per caso, o per precisa intenzione, se questa teoria ha qualche analogia con l'immunoterapia. Le persone allergiche che si sottopongono a vaccinazione (come è successo a me per una ventina d'anni) ricevono delle piccole dosi degli allergeni a cui sono sensibili. L'organismo risponde con una reazione immunitaria e con il tempo esiste la possibilità (ma non la certezza) che esso finisca con l'immunizzarsi agli allergeni. Con me non ha funzionato, ma non critico questa metodica perché conosco persone che hanno riscontrato esiti positivi.

La differenza sostanziale fra la pratica medica dell'immunoterapia e la cura omeopatica delle allergie, e che determina l'inefficacia di quest'ultima, è il modo in cui la dose viene introdotta nell'organismo. Il vaccino antiallergico, una volta inoculato, entra direttamente nel circolo sanguigno; i prodotti omeopatici, invece, v,engono assunti per via orale e la gran parte delle componenti non supera la barriera acida dello stomaco, e quel poco che riesce a oltrepassarla è troppo diluito per avere effetto. In conclusione, chi vende rimedi omeopatici contro le allergie per smerciare i propri prodotti si appoggia su una teoria medica che ha un fondamento scientifico, sebbene non abbiano la stessa efficacia delle terapie mediche (e a volte non ne abbiano affatto).

 

Magnetoterapia

Qualunque tipo di prodotto o di pratica basato sull'uso di magneti che dichiari di poter curare, lenire, trattare, massaggiare o far regredire una patologia è un imbroglio. Poco importa che vi dicano che i risultati sono garantiti. Questa gente conta sul fatto che la vostra fiducia nel prodotto venga rafforzata dalla presupposta «garanzia», che a sua volta darà più corpo all'effetto placebo. Un altro fattore che alimenta l'effetto placebo è il costo elevato di questi prodotti.

Non esiste prova scientifica a supporto dei benefici medici che si vorrebbero attribuire alla magnetoterapia. Gli studi che in genere vengono citati da chi commercializza questo tipo di pratica e di prodotti sono studi pilota non conclusivi e condotti su piccoli campioni. Tutti gli altri studi di una certa rilevanza hanno evidenziato che i campi magnetici non fanno un bel nulla. La «menzogna originale» da cui ebbe avvio l'industria della magnetoterapia fu di un medico che, nei primi anni settanta, assicurava che i suoi magneti curavano il cancro: un' affermazione falsa e spregevole, che non è mai stata provata né mai lo sarà. La magnetoterapia è una truffa.

 

Fenilefrina

Fino a qualche anno fa gli americani potevano entrare in un supermercato e, servendosi direttamente dallo scaffale dei parafarmaci, prendere una scatola di compresse decongestionanti e acquistarle senza sentirsi dei criminali. Il problema è che i tossici che si facevano di metanfetamina acquistavano in misura massiccia questo farmaco contro i sintomi del raffreddore a base di pseudoefedrina (uno degli ingredienti base dei cristalli di metanfetamina), e così quelli che una volta erano dei decongestionanti a poco prezzo e accessibili a tutti, nel 2005, grazie a una legge federale - il Combat Methamphetamine Epidemie Act -, sono diventati farmaci acquistabili e utilizzabili solo dietro ricetta medica.

La pseudoefedrina è stata allora rimpiazzata dalla fenilefrina, un principio attivo pubblicizzato come altrettanto efficace rispetto all'efedrina. C'è soltanto un problema: che non ha la stessa efficacia dell' efedrina; anzi, potrebbe non averne affatto. Il principio attivo viene assorbito in elevata quantità se somministrato come sospensione (spray nasale), ma le ricerche hanno dimostrato che quando la forma in compressa arriva nello stomaco solamente il 38% della fenilefrina resta biodisponibile. Consi-

derando la dose standard di 10 mg, di sostanza assorbibile ne rimane proprio poca. Svariati studi hanno dimostrato che una dose simile non ha più efficacia di un placebo.

L'unica eccezione degna di nota è rappresentata da uno studio condotto da un'azienda farmaceutica, nonché produttrice di prodotti a base di fenilefrina, la GlaxoSmitheKline, che nei suoi test di laboratorio sostiene di aver riscontrato un effetto superiore al placebo. Ma è preferibile aderire agli studi condotti da chi non ha interessi diretti in materia; è probabile che lo studio della GlaxoSmitheKline sia una grande, plateale truffa per propinare un placebo a qualche poveraccio con il raffreddore.

 

Pillole dimagranti

L'efedrina, sostanza ricavata dalle piante del genere Ephedra e ingrediente principale di molte pillole ad azione dimagrante, fu messa al bando dalla FederaI Drug Administration diversi anni fa in seguito ad alcuni episodi di morte sospetta. Il divieto è poi stato rimosso nel 2009, dando il via immediatamente a un rinnovato battage sul prodotto. In realtà, tuttavia, al momento attuale solo un' azienda produce prodotti veramente a base di estratti di efedra (contenenti i 10 mg consentiti di alcaloidi efedrinici naturali). Tutte le altre vendono sostituti dell'efedrina e pseudoefedrina, e/o si stanno dando da fare per riorganizzare il processo di produzione che avevano modificato al tempo del divieto della FDA. Tutte quante sperano che i clienti continuino ad acquistare i loro prodotti grazie all'effetto placebo.

Il consumo di prodotti a base di efedrina spesso provoca negli individui un dimagrimento. I motivi sono due: uno è che la sostanza provoca un'accelerazione del metabolismo, e dunque un maggiore consumo di calorie, e inoltre il prodotto contiene forti dosi di caffeina che amplificano questo effetto. Il che è pericoloso: accelerare forzatamente il metabolismo corporeo per un periodo prolungato di tempo può provocare danni ai vasi sanguigni, e oltretutto innalzare i livelli di ansia. Per di più, nel caso abbiate problemi di cuore (di cui potreste anche non essere consapevoli), gli effetti possono essere molto più drammatici.

L'altro motivo che spiega il dimagrimento è che l'assunzione di queste pillole si accompagna a una aumentata attività fisica. In parte ciò è attribuibile agli effetti sul metabolismo, in parte all'effetto placebo (ovvero: «Le pillole mi aiutano a fare più esercizio fisico»).

Quando l'efedrina tornerà a essere facilmente accessibile sul mercato, torneranno anche tutti i rischi registrati in passato riguardo l'uso di questa sostanza: sarà dunque buona norma evitarne l'uso.

 

 

Credete nell'uguaglianza? Allora non sapete resistere alla cioccolata.

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Domanda: qual è il vostro atteggiamento riguardo alle disparità di potere all'interno della nostra cultura (avere/non avere, potenti/senza potere, individuo/genere umano), di accettazione

o di avversione?

Se siete come la maggioranza degli americani, il vostro atteggiamento è di avversione e, secondo uno studio apparso sul «Journal of Marketing», avete una maggiore propensione all'acquisto compulsivo.

Lo studio, pubblicato con il titolo Power-Distance Belief and Impulsive Buying, ci arriva dalla Jones Graduate School of Business della Rice Universitye conclude che gli americani che credono nell'uguaglianza sono shopper più impulsivi. In confronto a gran parte del resto del mondo, questo fa di noi un po' delle mosche bianche.

Si definisce Power-Distance Belief (PDB, letteralmente «giudizio di distanza dal potere») la misura in cui la disparità di potere viene data per scontata o accettata da una certa cultura. Si misura con una scala da o a 100: maggiore è il valore di PDB, più un individuo accetta la disuguaglianza e dà per scontata una disparità nell'accesso e nell'uso del potere. Secondo lo studio della Rice University le persone che hanno un punteggio PDB elevato tendono a dimostrare maggiore autocontrollo e un approccio meno impulsivo negli acquisti. Questo effetto, secondo i ricercatori, è particolarmente pronunciato per beni voluttuari come cioccolata e dolciumi e meno nei confronti di alimenti «sani» come latte di soia e yogurt.

I ricercatori sono ricorsi a vari esperimenti e questionari: fra questi ultimi, uno in cui chiedevano a 901 americani con un reddito medio di 50.000 dollari di descrivere il loro atteggiamento verso il concetto di uguaglianza. Fatto questo, avevano osservato il comportamento dei soggetti partecipanti nello shopping online, mettendo loro a disposizione 10 dollari per acquistare una scelta di articoli e specificando che avrebbero potuto tenersi i soldi non spesi. Più basso era il PDB dei soggetti, più impulsivi erano i loro acquisti.

Secondo gli autori dello studio la correlazione fra PDB e acquisto impulsivo sta tutta nell'autocontrollo. A quanto pare, chi sente di avere meno diritto ad accedere a un certo livello di potere (di tipo finanziario, politico, aziendale ecc.) ha maggiori probabilità di saper controllare i propri impulsi.

Studi precedenti avevano rilevato un nesso analogo fra culture individualiste e impulsività, contrapposto a quello tra culture collettiviste e autocontrollo. Un esempio tipico è dato dalla cultura americana (individualista) in raffronto alla cultura cinese (collettivista), al quale talvolta ci si riferisce per sostenere la tesi secondo cui «gli americani spendono, i cinesi risparmiano».

Ma come se la cavano gli americani in confronto al resto del mondo?

Il PDB americano medio è 40 (basso).

Austria (II), Germania (35) e Nuova Zelanda (22), basso.

Giappone (54), Vietnam (45) e Sud Africa (49) si attestano in posizione intermedia.

Russia (93), Filippine (94), Singapore (74), Cina (80), e India (77) registrano un punteggio alto.

 

 

Un consiglio: non comprate le riviste di moda.

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Non è certo sorprendente il fatto che vedendo la foto di modelli magrissimi una persona sovrappeso possa subire un calo dell'autostima. Tuttavia, secondo una ricerca pubblicata dal «[ournal of Consumer Research», guardare modelli, di qualsiasi taglia essi siano, è sempre una cattiva idea se si è lontani dal peso forma.

Lo studio ha preso in esame le variazioni di autostima in donne sovrappeso e sottopeso quando esposte a foto pubblicitarie che ritraevano modelle di varie corporature. Quando le donne sottopeso vedevano foto di modelle magre, si sentivano meglio con se stesse. Quando a guardarle erano le donne sovrappeso, la loro autostima ne risentiva.

Presumibilmente ciò accade perché le donne sottopeso si sentono sullo stesso piano rispetto alle modelle magre e si giudicano meglio rispetto a quelle sovrappeso; le donne sovrappeso, invece, si sentono in difetto rispetto alle modelle magre e trovano deprimente il fatto di riconoscersi simili alle modelle più in carne.

Come scrive uno degli autori di questa ricerca: «L'autostima delle donne magre aumenta sempre, indipendentemente dalla modella che hanno di fronte agli occhi [ ... ] Dall'altro lato, l'autostima delle donne sovrappeso subisce sempre un calo, sia che vedano una modella molto magra sia una sovrappeso come loro».

Il problema sta qui: prima di guardare le pubblicità, l'autostima delle donne magre e di quelle in carne in pratica si equivaleva. Ma dopo aver visto le foto la situazione cambiava.

Oltre a fornirci un altro motivo per convincerci che le persone ultra magre siano un' aberrazione della natura, secondo me questo studio ci dice qualcosa di importante: l'industria della pubblicità non solo si fonda sull'irrealtà, ma ha la capacità di far perdere la stima di sé a chiunque non abbia un indice di massa corporea che rientri nella fascia tanto glorificata (al di fuori della quale, del resto, si posiziona la stragrande maggioranza di noi comuni mortali).

Pertanto, la prossima volta che fate la fila alla cassa del supermercato, astenetevi dal comprare l'ultimo numero di «Cosmopolitan»: vedrete che la mattina dopo vi sentirete molto più in pace con voi stessi.

 

 

Rilassati e spendaccioni

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Per quanti benefici possa portare con sé una situazione di relax, essere rilassati potrebbe avere un importante rovescio della medaglia quando si tratta di fare scelte d'acquisto oculate. Secondo uno studio apparso sul «Journal of Marketing Research», quanto più rilassati ci sentiamo al momento di entrare in un negozio, tanto più tenderemo a spendere soldi.

Utilizzando dei video e delle musiche di cui in un esperimento precedente era stato valutato l'effetto più o meno rilassante sulla psiche, i ricercatori avevano indotto nei 670 soggetti partecipanti due diversi stati di rilassamento: alcuni, a cui erano stati proposti video e musiche molto gradevoli, erano ora in uno stato di profondo rilassamento; 1'altro gruppo era stato esposto a musiche e immagini altrettanto gradevoli, ma con effetti meno rilassanti (senza però raggiungere livelli di stress).

A questo punto a tutti i soggetti è stata mostrata una scelta di prodotti con l'invito a valutarli in termini monetari. La loro valutazione avveniva secondo varie metodiche (per scongiurare che il ricorso a un singolo metodo di valutazione producesse un certo tipo di risultati), fra le quali la partecipazione a un'asta online.

Nel primo dei sei test condotti, le offerte fatte per una fotocamera digitale dai soggetti molto rilassati superarono dell' 11%  quelle dell' altro gruppo di soggetti, meno rilassati. Al contrario, le offerte degli individui meno rilassati si avvicinavano molto al valore stimato effettivo della fotocamera. La stessa tendenza si registrava nelle aste per gli altri prodotti, e il risultato finale era che i soggetti più rilassati li sovrastimavano in media del 15%.

Fra gli altri oggetti e servizi utilizzati per il test comparivano un trattamento benessere, una crociera, un lancio col bungee jumping, del gelato. In tutti i casi, gli individui più rilassati avevano attribuito a questi prodotti un valore molto più alto rispetto alloro valore commerciale.

La spiegazione di questo comportamento fornita dal responsabile della ricerca, il dottor Michel Tuan Pham, è che in un contesto rilassato il cervello non percepisce la minaccia, e ciò gli consente di riflettere in maniera astratta sul valore di prodotti e servizi. Quando deve valutare una fotocamera, per esempio, una persona più rilassata prenderà in considerazione i vantaggi derivanti dal possedere un oggetto che serve a catturare ricordi. Una persona meno rilassata, invece, tenderà a focalizzarsi su singole caratteristiche dell'oggetto e se questo valga effettivamente il prezzo richiesto.

Cosa ci insegna questo studio? Che prima di entrare in un negozio o di fare acquisti online è bene valutare qual è il nostro stato d'animo. Un pizzico d'ansia potrebbe farci risparmiare un sacco di soldi.

 

 

Ho l'herpes labiale. C'è un medicinale per farlo andar via?

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Purtroppo no: i virus della famiglia dell'herpes non sono eradicabili, e rimangono per sempre nell'organismo. Questo vale per l'herpes labiale, per l'herpes genitale, per il papilloma virus e per il virus dell'HIV. Ogni volta che le difese immunitarie del nostro organismo si abbassano (ad esempio per scarsa nutrizione, surmenage, o altre condizioni debilitanti) il virus si rifà vivo con i caratteristici arrossamenti e piaghe. La pomata all'aciclovir è l'unica che abbia un effetto contenitivo (non spendete soldi per le altre pomate!), ma, appunto, si limita a diminuire gli effetti della fase acuta e la sua durata.

 

 

Ho da sempre difficoltà digestive: posso fare qualcosa?

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Non tutti sanno che moltissimi alimenti che riteniamo innocui possono dare allergia: kiwi, pomodori, soia, crostacei, e molto altro ancora

La quantità di alimenti che ingeriamo ad ogni pasto è importante: se superiamo un determinato limite, le ghiandole dello stomaco hanno una ipersecrezione, e si produce automaticamente acidità. Un gastritico digerisce perfettamente anche cibi indigesti o polpette con formaggio, a patto che siano in quantità non eccessive: diversamente inizia l'acidità gastrica

Per chi ha uno stomaco sensibile, mescolare i tipi di alimenti non è consigliabile: può provare a mangiare in pasti separati carne (proteine) e pasta (carboidrati), mentre le verdure e la frutta si sposano con tutto

Molti trovano che una mela cotta o anche cruda a fine pasto sia un ottimo digestivo, anche a causa dell'elevatissimo contenuto di fibre

Se le difficoltà digestive persistono, occorrerebbe provare a mangiare alimenti per celiaci, cioè alimenti privi di glutine. Se la digestione migliora si tratta di un caso di celiachia (intolleranza al glutine) dovuta all'eccessivo tenore di glutine del grano che è stato selezionato per uso alimentare.

Chi ha uno stomaco sensibile dovrebbe tenere presente che il latte non è un alimento facilmente digeribile per tutti dopo i trent'anni, perché non tutti hanno conservato l'enzima lattasi che avevano quando erano piccoli. Se si vuole provare, si provi il latticino più digeribile, lo yoghurt.

 

 

Cos'è la celiachia? Perché, se ho difficoltà digestive persistenti dovrei fare un esame per l'intolleranza al glutine?

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6000 anni fa l'uomo imparò a coltivare i cereali (grano, miglio, avena, orzo ecc.) e questi vennero introdotti nella dieta. Alcuni cereali sono molto ricchi di glutine (il grano ne ha molto, l'orzo e la segale poco), e il sistema digerente di una certa percentuale dei nostri antenati, abituati a cacciagione, bacche, radici e frutta non riuscì ad adattarsi. Un conto preciso di quante persone morirono in questa transizione all'agricoltura non esiste, ma certo dovettero essere moltissime, se ancor oggi i loro discendenti soffrono di intolleranza al glutine. Questa malattia, che oggi è solo un disturbo, ma che per i primi agricoltori era mortale è chiamata celiachia.

La celiachia rientra nel grande gruppo, probabilmente ancora non del tutto conosciuto nella sua interezza, delle malattie autoimmuni. Una malattia è autoimmune quando sembra che l’organismo si ribelli contro se stesso, producendo anticorpi diretti verso i propri organi e tessuti: questi anticorpi si comportano come se quell’organo o quel tessuto fosse estraneo, cattivo, e tentano perciò di «ripararlo» o eliminarlo. Nel caso della celiachia l’organo bersaglio è l’intestino tenue e il sintomo di solito è una diarrea cronica, con o senza un senso di costante stanchezza; nei bambini a ciò si può accompagnare un ritardo nella crescita. La proteina che crea una reazione negativa nell’organismo, con la conseguente produzione di anticorpi e di infiammazione, si chiama gliadina (proteina del glutine) e si trova nel grano e in altri cereali come orzo e segale. È evidente che la cura per la celiachia sia scegliere alimenti senza glutine.

Prima di fare un test per la celiachia, che è costoso e non sempre dà indicazioni chiare, è consigliabile semplicemente entrare in una farmacia o in un negozio di alimenti per celiaci ed acquistare una confezione di pasta e pane senza glutine. Se i disturbi di stomaco spariscono, si tratta proprio di questo.

 

 

Ci sono sostanze anti-invecchiamento?

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The verde. Contiene flavonoidi (i pigmenti colorati) che sono potenti antiossidanti

Vitamina C

In misura minore:

Crucifere (cavoli, broccoli, verze)

Mele (contengono un potente antiossidante, la quercetina)

Il dottor Regelson, uno dei più accreditati gerontologi americani ha dichiarato di assumere quotidianamente vitamina B6 e B3 e magnesio, ma aggiunge: "è una scelta personale. Non consiglierei a nessun paziente di seguire il mio eempio perché non sarebbe serio: non ci sono evidenze cliniche conclusive. Quelli che propagandano rimedi anti-invecchiamento come sperimentalmente provati sono per lo più dei ciarlatani".

Ecco appunto un elenco di sostanze di cui NON è stata ancora sufficientemente provata l'efficacia anti-invecchiamento.

Selenio

Non è assolutamente provata l'efficacia del selenio, che secondo presunte ricerche biomediche contrasterebbe i radicali liberi responsabili della ossidazione delle cellule e garantirebbe una pelle giovane, energia del corpo e freschezza della mente. Lasciate quindi stare le patate al selenio. Il selenio, perdipiù è estremamente tossico, e a dosi superiori a quelle che l'organismo è abituato ad assumere, provoca gravissime patologie.

 

 

Un moderato consumo di vino è consigliabile?

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Chi scrive ha rinunciato ai due bicchieri di vino al giorno che garantirebbero la salute del sistema cardiocircolatorio. E così dovrebbero fare tutti coloro che hanno precedenti familiari di alcolismo o genitori che sono forti bevitori o che durante l'adolescenza hanno mostrato una propensione ad assumere eccitanti, droghe leggere e superalcolici, anche per gioco. L'alcolismo è una insidia molto più pericolosa della droga.

Questo per due ragioni:

Pare che l'attività utile al cuore e alle coronarie sia dovuta in parte non al solo alcol, ma al resveratrolo, il pigmento rosso contenuto nella buccia dell'uva. E' quindi sufficiente bere succo d'uva (reperibile nei negozi bio) e mangiare uva d'estate

Nell'alcolismo si cade con estrema facilità, aumentando insensibilmente le dosi giornaliere di vino e poi passando ai superalcolici. Tante sono le storie di persone che, per un rovescio commerciale o amoroso, o per altre ragioni hanno cominciato a bere e sono caduti nell'alcolismo.

Le cifre sono impressionanti. Ogni anno l'alcol manda all'altro mondo 20 mila italiani per cirrosi epatica o per vari tipi di tumore dovuto all'alcol. Gli alcolisti, lievi o gravi, sono centinaia di migliaia. Per ogni drogato ci sono cento alcolisti.

Gli effetti dell'abuso di alcol sono particolarmente devastanti, e a torto ritenuti inferiori a quelli della droga:

danno irreversibile agli occhi

distruzione della mucosa dello stomaco (gli alcolisti prima di mangiare devono ingerire una compressa di paraffina, altrimenti il cibo danneggerebbe seriamente la parete dello stomaco, che l'alcol ha deteriorato)

emorragie interne e sangue nelle urine

Osteoporosi. Isadore Rosenfeld riferisce che dal dieci al quindici per cento dei maschi ammalati di osteoporosi sono alcolizzati

distruzione del fegato (cirrosi epatica)

tumori del fegato e di altri organi

distruzione del cervello. L'alcol è particolarmente tossico per le cellule cerebrali. Radiografie del cervello di alcolisti mostrano cavità piene di pus che prendono il posto di aree del cervello distrutte dall'alcol

demenza da avitaminosi. L'alcolista trascura la propria alimentazione, e quindi non assume il quantitativo di vitamine necessario per mantenere in buona salute il cervello, con effetti di danno irreversibile sulle funzioni cerebrali e persino di pazzia

deliri e allucinazioni, (il cosiddetto delirium tremens) che rimangono anche a distanza di anni dalla disintossicazione

Il cardiologo Isadore Rosenfeld ammette che è stato osservato che gli astemi presentavano un'inci­denza di coronaropatie superiore a quella di coloro che bevevano con moderazione e che probabilmente due bicchieri di vino servono probabilmente ad alzare il livello di Hdl.

Nota però che se i trigliceridi sono già alti (indi­pendentemente dal tasso di colesterolo) farete bene a scordarvi del­l'alcol perché questo li fa aumentare.

Rosenfeld in verità è alquanto di­battuto sull'utilità di raccomandare l'alcol come terapia per il cuore, perché in molti individui anche quantità ridotte deprimono la fun­zione cardiaca. In altri, invece, l'alcol provoca aritmie. E in alcuni, per usare le sue parole, "combina guai notevoli".

 

 

Come è possibile evitare o ritardare l'invecchiamento del cervello? Cos'è il paradosso del "pupazzo nel cervello"?

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Il nostro cervello possiede cento miliardi di neuroni, tanti quanti le stelle della via lattea. E' un numero enorme, ma purtroppo i neuroni sono cellule particolari: non si rigenerano. Un neurone morto non viene rimpiazzato, e il cervello "rimpicciolisce". A partire dai 30 anni il nostro cervello perde da 10.000 a 20.000 neuroni al giorno.

Secondo alcuni studiosi, il numero di neuroni del cervello è talmente grande che questa perdita non ha effetti apprezzabili, anche perché il cervello è plastico: si è visto che in persone colpite da ictus o altri accidenti cerebrali si sono creati nuovi circuiti al posto di quelli andati distrutti.

Tuttavia è sempre bene evitare il logoramento del cervello: fumo, alcol (particolarmente tossico per le cellule cerebrali), caffè dovrebbero essere banditi. Un sonno adeguato tutti i giorni è uno degli strumenti migliori per mantenere un cervello sano, perché la notte quest'organo si autoripara e vi si svolgono importanti processi di sintesi proteica.

Un altro accidente che capita al cervello è la diminuzione dell'apporto di ossigeno: con l'arteriosclerosi diminuisce l'irrorazione di sangue delle sue cellule. Prevenire l'arteriosclerosi, tenere basso il colesterolo, mangiare pesce, che tiene pulite le arterie, è quindi importante.

Come prevenzione generale, è utile assumere vitamine anti-invecchiamento come la vitamina C e le vitamine del complesso B. Inoltre occorre fornire al cervello una adeguata scorta di grassi omega-3 ed omega-6 (vedi paragrafo). Non eccedere con gli zuccheri semplici (saccarosio, glucosio), perché un loro eccesso può essere tossico per il cervello.

Studi recenti hanno dimostrato che giochi di abilità come i giochi di carte sono in grado di tenere apprezzabilmente in funzione le facoltà cognitive.

I neuropsichiatri raccomandano, per mantenere giovane il cervello, non solo e non tanto di studiare intensamente, ma di dedicarsi ad attività che coinvolgano anche le aree della motilità, che sono molto più estese di quelle delle abilità cognitive superiori. La risonanza magnetica e la PET mostrano che quando di studia si accendono delle piccole aree laterali del cervello, mentre quando si suona il pianoforte o si balla si accende tutto il cervello. Questo è dovuto al paradosso del "pupazzo nel cervello". Nel cervello noi abbiamo una immagine sensoriale del corpo che ha grosso modo la forma di un pupazzo. Questo pupazzo ha la testa piccolissima e le mani, la bocca, la lingua, i piedi grandissimi, perché le aree della motilità sono quelle più estese. Perciò, se si vuole mantenere tutto il cervello giovane, occorre impegnare anche queste aree.

Esiste poi il mercato dei farmaci per conservare il cervello giovane.

 

l'opinione di silvio garattini sull'invecchiamento del cervello

Il cervello è l'organo più complesso del nostro corpo - cento miliardi di neuroni, tanti quante le stelle della via Lattea - e come tale uno dei più esposti ai guasti dell'invecchiamento. Si calcola che sette. anziani su cento, nei paesi occidentali, siano affetti da demenza senile, e che questa percentuale salga al 20 tra le persone che superano gli ottant'anni. Si tratta di malattie, come il morbo di Alzheimer, per le quali non sono ancora state trovate terapie effìcaci. Eppure il mercato è inondato di farmaci che promettono risultati miracolosi: recupero della me­moria e della lucidità mentale, miglioramento dell'u­more, attenuazione dell'irritabilità. Sono i cosiddetti «cerebroattivi» - noti anche come «psicogeriatrici» o «nootropici» - una categoria ibrida che in Italia comprende almeno quaranta composti chimici e circa duecento nomi commerciali. Ne fanno parte vari tipi di medicinali: vasodilatatori come cinnarizina, flunarizina, diidroergotossina, ecc.; preparatI. a base di ginseng, vitamine, colina; farmaci attivi sul sistema nervoso centrale (citicolina, fosfatidilserina, pìracetam).

Nessuno di questi farmaci ha una precisa indicazione terapeutica né alcuna documentazlone di effì­cacia nel trattamento dei disturbi per i quali sono propagandati. Eppure la loro diffusione tra le «pantere grige» è in continuo aumento. Una ricerca effet­tuata alcuni anni fa su un gruppo di anziani torinesi. ha rivelato che il 26 degli interessati prendeva un «cerebroattivo», e che questo tipo di medicine veniva al terzo posto nei consumi dopo i cardiovascolari e i diuretici. i medici di base prescrivono i cerebroattivi per i motivi più diversi, ma circa il 70% delle ricette sono legate a problemi neuropsichiatrici (malattie ce­rebrovascolari, ansia o depressione) o a problemi ca­ratteristici dell'anziano (vertigini, indebolimento della memoria). Le restanti diagnosi spaziano su un ventaglio quanto mai variegato di patologie: dalla trombosi alla sordità, dal parkinsonismo ai disturbi dell' occhio.

L'aspetto più paradossale è che, tra gli stessi me­dici che prescrivono i farmaci cerebroattivi, molti sono pronti ad ammetterne la completa inutilità. Ma confessano di ordinarli ugualmente per tre ordini di ragioni: 1) perché male non fanno; 2) perché in al­cuni casi ottengono un miglioramento transitorio do­vuto all' attivazione di «energia psichica» nei pazienti o nei Ioro familiari: autosuggestione o desiderio di star meglio, in altre parole quello che si definisce «ef­fetto placebo»; 3) perché spesso sono i pazienti a chiederli con insistenza.

Questi argomenti, tuttavia, non reggono a una più attenta analisi. Primo, non è vero che i «cere­broattivì» siano esenti da effetti indesiderati. Alcuni di essi, come la flunarizina e la cinnarizina, ne hanno manifestati di assai gravi, tanto da determinare in certi casi un quadro clinico simile al morbo di Parkin­son (tremori della testa e delle mani, rigidità dei mu­scoli, rallentamento dei movimenti). E comunque, quando i benefici attesi sono nulli, perché correre dei rischi? In secondo luogo, l'effetto placebo può dare forse un sollievo passeggero, ma non giustifica l'uso disinvolto di queste sostanze in mancanza di un reale approfondimento diagnostico.

È vero, infine, che sovente sono i pazienti a esigere la ricetta, ma è responsabilità esclusiva del me­dico prescrivere farmaci. In molti casi il medico si fa schermo di questi prodotti per guadagnare credi­bilità professionale agli occhi del paziente: è più co­modo fingersi aggiornato scientificamente ordi­nando l'ultimo tipo di «nootropico» che occuparsi seriamente dei problemi dell'anziano. I cerebroattivi vengono propagandati dalle case produttrici come farmaci «contro l'età». Quasi che uno, acquistando quelle pillole, si comprasse la speranza di non invec­chiare, o di invecchiare «bene». Quasi che la vec­chiaia fosse una malattia, una condizione non con­forme alle leggi di natura, nella quale si perde anche il diritto a dimenticare o a essere tristi.

Ora che avete letto l'opinione di Garattini sapete il nome dei farmaci e sta a voi documentarvi e decidere se usarli o meno.

 

 

Quali sono le malattie da temere di più nella vecchiaia?

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Diabete: Il nostro eccessivo consumo di pane bianco e carboidrati finisce per distruggere le cellule che producono insulina, creando incapacità di assimilare gli zuccheri e diabete. Ormai è una epidemia che interessa il 20% della popolazione e che potrebbe essere evitata con una corretta informazione medica.

Apparato visivo e uditivo. Isadore Rosenfeld, il più noto clinico statunitense, afferma che gli apparati più fragili dell'uomo sono quello visivo e uditivo: composti da molti raffinati organi essi si guastano molto rapidamente, e vanno conservati con ogni cura, ad esempio utilizzando occhiali scuri per evitare raggi ultravioletti, controllare la pressione oculare e non ascoltare musica in cuffia

Osteoporosi: nei paesi scandinavi a tutte le donne viene raccomandato di assumere vitamina D, che facilita la fissazione del calcio. Nei paesi mediterranei una giusta dose di sole va presa ogni estate, ma è un errore dei medici quello di non prescrivere supplementi di vitamina D durante l'inverno. L'assunzione regolare di latticini è utile.

Logoramento delle anche. Nel 40% delle persone anziane le anche si logorano dopo gli 80 anni e devono essere sostituite da protesi, perché, a differenza dei quadrupedi, la postura eretta fa gravare il peso del corpo su due soli punti anziché quattro. Le persone in sovrappeso e con carenza di calcio rischiano di doversi sostituire le anche già verso i 60 anni. Controlli radiografici periodici (TAC, RMN) andrebbero fatti sulle proprie anche.

Carenze cognitive non-alzheimer. Molte persone anziane oltre gli 80 anni vanno incontro ad una sensibile degenerazione delle facoltà cognitive dopo gli 80 anni, pur senza avere l'Alzheimer: stentano a riconoscere o a ricordare. Questo perché il nostro cervello, a partire dai 30 anni perde 30.000 neuroni al giorno, e bisogna fare ogni sforzo per non stressarlo, dormendo regolarmente non assumendo eccitanti o alcolici per mantenerlo ben funzionante.

Ictus. Per quanto l'anziano viva in modo sano, dopo una certa età è a rischio di ictus (emorragie all'interno del cervello) che possono avere effetti da lievi a gravi, reversibili o irreversibili. Per questo, in taluni casi i medici consigliano l'assunzione di un fludificante del sangue (es. aspirina) ogni giorno dopo i 60 anni

Patologie dell'occhio: glaucoma, retinopatie

La luteina contenuta nelle crucifere si è rivelata utile

Disturbi circolatori del cervello. E' un processo inevitabile: le arterie si irrigidiscono e calcificano, e meno sangue va al cervello. Da qui disturbi di apprendimento e memoria. Può essere contrastato tenendo basso il livello di colesterolo e limitando l'assunzione di grassi saturi.

Patologie della colonna vertebrale. L'uomo è un quadrupede che ha assunto una postura bipede, per cui la colonna vertebrale non si è mai completamente ben adattata, ed è rimasta il suo punto debole. Evitare assolutamente di portare pesi di qualsiasi genere.

Artrosi e degenerazione delle articolazioni

 

 

Perché tutti fanno la dieta Dukan? In cosa consiste?

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La dieta Dukan è una dieta in tre fasi. Nella prima fase di attacco sono ammessi solo alimenti proteici in quantità illimitata, e sono completamente esclusi pasta, grassi e persino verdure:

Carni, bovine, suine, pollami ecc.

Pesce

Latticini magri

Formaggio di soia

Nella seconda fase sono ammesse anche verdure e poco più

Nella fase di stabilizzazione vengono ammesse piccole quantità di pasta, pane, legumi

Nella fase finale la gamma viene ancora allargata, ma un giorno a settimana, per tutta la vita, va dedicato ai soli alimenti proteici.

In questo modo Dukan asserisce che in una settimana si possono perdere fino a quattro kg e soprattutto che, rispetto ad altre diete, si conservano i risultati ottenuti.

Le proteine, a differenza dei grassi e dei carboidrati, sono assorbite più lentamente e non provocano il picco di insulina che trasforma il cibo in grasso. Inoltre danno un maggiore senso di sazietà.

 

 

Quali sono i latticini che dovrei mangiare? Devo continuare ad assumere il latte anche da adulto?

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La questione non è mangiare o non mangiare il parmigiano, ma: quanti grassi saturi assumo giornalmente/settimanalmente? Detto questo, passiamo a dare alcuni consigli.

Umberto Veronesi consiglia di eliminare decisamente i latticini con più del 25% di grassi saturi.

Dopo i 30 anni molte persone perdono l'enzima lattasi, che consente all'apparato digerente umano di digerire il lattosio (lo zucchero del latte) in glucosio e galattosio. Tre quarti degli adulti soffrono di questa mancanza, ma gli altri possono tranquillamente bere latte.

Il latte UHT è un latte "bruciato" dal trattamento ad alta temperatura, e andrebbe preferito il latte con la dicitura "fresco" o "alta qualità".

Il latte totalmente scremato lasciamolo per la dieta. La quantità raccomandata al giorno per non eccedere è una tazza (250 ml). Dobbiamo preferire latte intero o parzialmente scremato? Se ne beviamo quantità non eccessive (150-20 ml) possiamo senz'altro bere latte intero, che è molto più ricco di vitamine liposolubili (che si trovano nel grasso): vitamina A, D, E.

Oggi c'è una polemica che dice che bere latte fa male, perché il latte è un alimento per i mammiferi piccoli. I vitelli, una volta cresciuti non bevono latte, e anche gli uomini perdono la lattasi. Segno che la natura non vuole che si beva latte da adulti. Perdipiù noi beviamo il latte di un'altra specie (bovina) che non sarebbe del tutto adatto a noi (troppo grasso ecc.). I ricercatori più seri pensano che queste siano solo stupidaggini (vedi il libro di Dario Bressanini Le bugie nel carrello).

A parte la tazza di latte la mattina, quali altri latticini dobbiamo mangiare per assumere calcio ed evitare l'osteoporosi?

Il formaggio fuso è il massimo degli orrori, sia che si tratti di formaggini per bambini o di sottilette: è formato da un mix di formaggi di scarto di bassissima qualità.

I formaggi veri e propri sono da evitare, perché il loro tenore di grasso è elevatissimo: raggiunge il 30% per il Parmigiano, e gli altri formaggi (Emmenthal, Tomino, Fontina…) non scendono mai sotto il 20%. Molti formaggi sono prodotti con una cottura prolungata per giorni (vedi Parmigiano o Grana), e non pare che grassi e proteine stracotte facciano tanto bene.

Quello del Parmigiano è un mito costruito tramite una attenta propaganda. Periodicamente compaiono articoli che citano studi scientifici (guarda caso sempre di università dell'Emilia Romagna, e magari sponsorizzati dal consorzio Parmigiano Reggiano) che decantano le proprietà nutritive e persino la "leggerezza" che lo rende un alimento utile ai bambini. In realtà, con il 38% di grasso, il Reggiano è pesantissimo, e non è certo l'alimento più leggero per i bambini. Il giro di interessi economici è enorme. Il Consorzio Parmigiano Reggiano esporta ovunque, una impresa agricola a cui sia concessa dal consorzio (che poi cura il controllo qualità) l'autorizzazione a produrre il Reggiano arriva a fatturare fino a 500.000 euro l'anno. Si capisce che qualche spinta pubblicitaria esiste. Una delle affermazioni ripetute più ossessivamente è che il calcio "buono" è solo in formaggi come il reggiano, che hanno anche un'alto tenore di fosforo, necessario per fissare il calcio. In realtà, per fissare il calcio è sufficiente un buon apporto di vitamina D (che possiamo ottenere dallo yoghurt intero o dagli integratori vitaminici) e un buon apparato digerente.

Comunque, in tutto va usata misura: come condimento sulla pasta o in piccola quantità, come bocconcino, può essere assunto qualche volta. Preferite allora il Parmigiano al Grana Padano, che ha caratteristiche nutrizionali inferiori (vengono usati antimicrobici e a differenza del Reggiano foraggi insilati, e non foraggi freschi).

La mozzarella è una finta-magra: ha il 18% di grassi, e potrebbe essere meglio sostituita da ricotta magra (10%), fiocchi di latte (5%) o, meglio di tutto, da yoghurt intero (3,8%)

Lo yoghurt è in assoluto il latticino più sano, assimilabile e consigliabile. Persino lo yoghurt intero (il cui sapore è ottimo quanto quello di un formaggio, col vantaggio che ha 10 volte meno grassi) è molto meglio di qualsiasi formaggio. Anche perché è un prodotto preparato senza cottura del latte, a differenza di quasi tutti i formaggi. Gli yoghurt sono prodotti con batteri che digeriscono il lattosio trasformandolo in acido lattico, da cui il sapore acido. Gli yoghurt più venduti sono più dolci, perché al consumatore non piace uno yoghurt dal sapore troppo marcato, e quindi il processo viene arrestato prima che tutto il lattosio sia consumato. Quindi: più lo yoghurt è acido, più è digeribile. Gli yoghurt Yomo, da questo punto di vista, sono i migliori. Ma è sufficiente acquistare uno yoghurt, togliere il coperchio di stagnola e tenerlo fuori del frigorifero un giorno intero perché diventi più acido senza assolutamente andare a male (tra l'altro lo yoghurt, mangiato a temperatura ambiente, è molto più buono dello yoghurt freddo, perché se ne può godere appieno il sapore). Quegli stessi batteri producono anche vitamine del complesso B. Il calcio contenuto nello yoghurt è pienamente assimilabile. Lo yoghurt intero contiene anche una quantità di vitamina D che ne aiuta la fissazione nelle ossa.

Lo yoghurt, a differenza del formaggio, è digeribilissimo: ne potete prendere anche 500 grammi, come pasto serale, e andare tranquillamente a dormire senza pesantezza.

Sostituite dunque lo yoghurt (bianco, non dolcificato) ai formaggi, e scordatevi completamente mozzarelle, fiocchi di latte e Parmigiano (quasi del tutto).

 

Per imparzialità di informazione, riportiamo qui sotto una posizione diversa da quella fin qui illustrata circa il consumo di latticini. Il dott. Robert Heaney dell'Università di Creighton, uno dei maggiori esperti mondiali sul sistema osseo e il metabolismo del calcio, è decisamente favorevole al loro consumo.

 

quante fandonie si dicono sul latte!

(da come farsi le ossa nella vita, di robert heaney)

Spesso si evitano i latticini perché non si conoscono o non si capi­scono bene le cose. Ci si preoccupa per il colesterolo, il lattosio, le calorie. In realtà, i latticini hanno un basso tenore di colesterolo. E soltanto il latte fresco e quello in polvere pongono dei problemi a quanti hanno un'intolleranza per il lattosio. Infine, il latte par­zialmente scremato ha meno calorie di quanto si creda.

Ogni volta che sottolineiamo l'importanza dei latticini, siamo bombardati da una serie di domande e commenti a base di «Sì, ma…», «Sì, ma il colesterolo non è pericoloso?», «Sì, ma che cosa fare per l'intolleranza al lattosio?», «Sì, ma contengono troppe calorie ...» , Ciascuna di queste domande ha una sua giustifica­zione, ma ci sono anche molti pregiudizi in proposito.

 

Colesterolo

Per una persona normale, il colesterolo è una brutta parola. Ma questo atteggiamento tradisce una profonda mancanza di com­prensione per come stanno le cose. Il colesterolo è essenziale per la vita animale. È presente nella membrana di ogni cellula orga­nica, è la materia prima con cui l'organismo produce gli acidi biliari necessari per la digestione dei grassi, ed è anche il mate­riale di partenza di molti ormoni, inclusi gli ormoni sessuali ma­schili e femminili. Perciò non c'è dubbio che sia importante. In effetti, un individuo, normalmente, ne produce 700-800 milli­grammi al giorno nei propri tessuti organici. Questa quantità è tre o quattro volte superiore a quella assorbita dagli alimenti. Tra quello che l'organismo produce e quello che assumiamo con il cibo, abbiamo complessivamente circa 1000 milligrammi di co­lesterolo "fresco" al giorno.

Il colesterolo ha una cattiva reputazione perché si accumula sotto forma di depositi di grasso nelle pareti delle arterie e con­tribuisce al problema dell'aterosclerosi. Non c'è dubbio che alti livelli di colesterolo nel sangue (superiori a un valore di 240, espresso come milligrammi di colesterolo per 100 millilitri di siero di sangue) aggravino l'aterosclerosi. Inoltre, chi ha ereditato qual­che anomalia nel trasporto del colesterolo ha elevati livelli di colesterolo ematico e rischia maggiormente una malattia cardio­vascolare. È evidente che il colesterolo ha un aspetto negativo.

In certi individui si possono raggiungere elevati livelli emati­ci di colesterolo con un'alimentazione ricca di grassi saturi (ani­mali). Per controllare il colesterolo nel sangue, molti cardiologi raccomandano una dieta in cui i grassi complessivi di qualsiasi origine non costituiscano più del 30 delle calorie complessive, i grassi saturi siano scarsi e il rapporto tra grassi saturi e insatu­ri sia alla pari. I latticini, persino il burro e la panna, in effetti contengono ben poco colesterolo. Un bicchiere di latte intero ne contiene soltanto circa 30 milligrammi, e il latte scremato nien­te del tutto. (Paragonatelo a un solo uovo, che ne contiene cir­ca 275 milligrammi.) Potete bere un mucchio di latte e mangia­re un sacco di certi formaggi senza modificare granché la vostra assunzione complessiva di colesterolo. Tuttavia, il latte intero, il gelato e molti tipi di formaggio contengono grassi. Il grasso nei latticini è effettivamente dello stesso tipo dei grassi animali sa­turi. Perciò i grassi contenuti nei latticini fanno salire l'assun­zione complessiva di grassi e modificano il rapporto tra grassi saturi e grassi insaturi in un senso che secondo molti esperti è negativo. Ci sono, ovviamente, latticini a basso tenore di grassi, come per esempio il latte parzialmente scremato e magro, lo yo­gurt parzialmente scremato, la ricotta magra e persino il comu­ne parmigiano (che ha un contenuto di grassi inferiore a quello di molti altri formaggi).

Che cosa significa tutto questo per voi? Tanto per cominciare, solo circa il 20-25  degli adulti ha un livello di colesterolo superiore a 240. Per costoro la dieta può contare veramente mol­to. Ma per l'altro 75-80 - la grande maggioranza - è molto difficile modificare anche di poco il colesterolo ematico, persi­no con la più drastica delle diete. Quando riduciamo il coleste­rolo nel cibo, l'organismo compensa la mancanza producendo­ne di più, almeno quando i livelli ematici del colesterolo sono inferiori a 240. Perciò per la maggior parte delle persone non ha molto senso preoccuparsi delle piccole quantità di colesterolo presenti nei latticini.

Perché, allora, si è parlato tanto di colesterolo, usando anche tattiche allarmistiche? Il 20-25 della popolazione rappresenta una discreta quantità di persone che possono trarre giovamen­to da un abbassamento del livello del colesterolo nel sangue. Sfor­tunatamente, di solito non sappiamo chi siano queste persone, così la pubblicità negativa nei confronti del colesterolo viene ri­volta a tutti, partendo dal presupposto che toccherà sia chi può trarre giovamento dal controllo della quantità di grassi assunta, sia chi non ha davvero motivo di preoccuparsi.

Di solito questa è una strategia valida nei confronti della sa­lute pubblica, almeno fintantoché il cambiamento auspicato non sia nocivo. Ma è in corso una polemica infuocata riguardo all'at­teggiamento da assumere nei confronti del colesterolo. Parec­chi esperti affermano che una dieta povera di grassi non solo non serve alla maggioranza delle persone, ma può essere noci­va ad alcuni (ad esempio ai bambini). Un altro problema impor­tante nel contesto di questo libro è l'effetto che la maggioranza delle diete povere di grassi ha sullo stato di salute delle ossa . Di sicuro non c'è bisogno di molto grasso per avere delle ossa sane, ma c'è certamente bisogno di calcio. Molte diete povere di grassi escludono il latte intero, come pure i formaggi fatti con latte intero. Anche se è tecnicamente possibile assumere 800 mil­ligrammi di calcio al giorno con una dieta del genere, rimane si­curamente non facile. Inoltre, se si segue una dieta di questo tipo è praticamente impossibile raggiungere lo scopo fissato dal Consensus Panel del NIH per le donne di mezza età (1000 e 1500 milligrammi di calcio al giorno). Può non essere facile risolvere questo conflitto di raccomandazioni a livello generale, perché non c'è un'unica risposta valida per tutti. Ma ci sono risposte ragionevoli a livello individuale.

Tanto per cominciare, il problema del colesterolo è meno comune nelle donne che negli uomini. Donne in cui le ovaie pro­ducono ancora estrogeno, o che seguono una terapia sostituti­va di estrogeno, sono molto meno a rischio degli uomini per quan­to riguarda le malattie cardiovascolari. Inoltre, il loro colestero­lo ematico, anche quando ha valori alti, tende a essere del tipo "innocuo" o "buono". Non vediamo nessuna ragione perché la maggioranza delle donne che producono o ricevono estrogeni debba preoccuparsi del colesterolo. Sicuramente non dovrebbero preoccuparsene se sono donne giovani, che stanno ancora fa­cendosi le ossa e hanno bisogno di tutto il calcio possibile. Negli anni dopo la menopausa occorre un approccio diverso. Se una donna sa che il suo colesterolo è inferiore a 240 milligrammi, pro­babilmente non deve preoccuparsi. (Se avete dei dubbi, fatevi misurare il colesterolo.) Oppure, se sa di essere ad alto rischio per l'osteoporosi ma non sa qual è il suo livello di colesterolo, molto probabilmente farà meglio a scegliere un'alimentazione ricca di calcio, anche se questo comporta un'alta assunzione di grassi. Per lei il rischio dell'osteoporosi è maggiore del rischio di una malattia cardiovascolare. Se sa di essere a rischio per en­trambe le malattie (e ben poche donne lo sono), allora una dieta povera di grassi e un integratore di calcio potrebbero rappre­sentare la strategia vincente.

Se decidete di seguire una dieta povera di grassi, è importan­te capire che le raccomandazioni riguardano solo l'assunzione complessiva, non i singoli alimenti. Dopo tutto, un rapporto al­la pari tra grassi polinsaturi e saturi vuol dire che state ancora prendendo metà dei grassi consentiti sotto forma di grassi satu­ri. Se dovete ridurre l'assunzione di questi, farete meglio ad as­sumerne di più sotto forma di latticini e meno sotto forma di car­ne. Le donne tendono a consumare più proteine di quante oc­corrano, perciò un approccio di questo tipo è molto ragionevole.

Quest'ultima osservazione significa che per la maggioranza del­le persone, e particolarmente per chi è maggiormente a rischio riguardo all'osteoporosi, la quantità di colesterolo nei latticini non è assolutamente un problema.

 

Lattosio

Il problema successivo è quello dell'intolleranza al lattosio. Il lat­tosio è lo zucchero presente nel latte. È composto da due zuc­cheri semplici e per essere assorbito deve essere scisso nei suoi costituenti. A questo scopo l'intestino produce un enzima chia­mato lattasi e nel corso della digestione lo mescola al cibo. Tutti i neonati e i bambini producono questo enzima, perché il latte è ovviamente l'alimento naturale fondamentale nell'infanzia.

La maggior parte dei bianchi continua a produrre lattasi per tutta la vita, ma un gran numero di neri e di orientali non riesce più a produrre questo enzima una volta raggiunta la maturità. Si dice che essi sono "carenti di lattasi" o, più accuratamente, "non lattasi-permanenti" (perché la loro capacità di produrre lattasi ha smesso di esistere). La mancata permanenza della lat­tasi può creare un problema, perché il lattosio non assorbito passa nell'ultimo tratto dell'intestino dove i batteri presenti lo fanno fermentare, con produzione di gas spesso accompagnata da cram­pi, gonfiore e qualche volta diarrea. Non tutti quelli a cui man­ca l'enzima presentano questi sintomi, ma molti sì. Quindi per molti adulti neri e orientali, una grossa quantità di latticini fre­schi non è la fonte migliore di calcio. Per i neri questo non è un grosso problema, perché hanno ossa particolarmente robuste, si adattano meglio dei bianchi a basse assunzioni di calcio e non hanno la tendenza ad ammalarsi di osteoporosi. Gli orientali, in­vece, vi sono predisposti e per loro una adeguata assunzione di calcio alimentare è critica.

Soltanto il latte fresco e in polvere presentano difficoltà per chi ha un'intolleranza al lattosio. I formaggi non creano nessun problema; perché le muffe che hanno prodotto il formaggio han­no già demolito la maggior parte del lattosio. Persino lo yogurt, che contiene ancora quasi tutto il lattosio, è solitamente tolle­rato molto bene. La ragione è che nello yogurt ci sono dei batte­ri che contengono essi stessi la lattasi. Quando mangiamo lo yo­gurt, ingeriamo anche i batteri; questi liberano la lattasi conte­nuta, che agisce nell'intestino proprio come se l'avesse prodot­ta il nostro organismo. Inoltre, oggigiorno vengono prodotti molti tipi di latte con un ridotto contenuto di lattosio. In realtà, relativamente poche donne bianche hanno un'intolleranza al latto­sio. Molto più comune è la frase «il latte non mi fa bene» oppure «sono allergica al latte». Alcune dicono che il latte gli fa colare il naso o aumenta il muco in gola. Altre sono molto vaghe. È dif­ficile che queste lamentele abbiano un fondamento concreto. Quando il latte o altri latticini vengono somministrati in condi­zioni controllate, quasi sempre sono ben tollerati. Eppure, è im­probabile che questo tipo di persone abbandoni l'abitudine ben radicata di escludere il latte dall'alimentazione, se pensa che non gli "faccia bene".

Alcuni bambini smettono di bere latte nell'infanzia perché sono "allergici". Molti bambini piccoli hanno problemi di alimenta­zione, ma in genere questi problemi non sono vere e proprie al­lergie. Hanno piuttosto cause che non vengono mai chiarite com­pletamente e la maggioranza dei bambini le supera con l'età. Si può cambiare preparato dopo preparato per l'allattamento arti­ficiale, eliminare un alimento dopo l'altro, senza mai sapere quale alimento o quale sostanza sia responsabile, e di solito senza nes­suna sicurezza che il problema sia dovuto al cibo. Quando un bambino del genere raggiunge l'età scolare, i genitori dovreb­bero chiedere alloro pediatra se è il caso di aggiungere - pru­dentemente - dei latticini all'alimentazione del bambino. Se ri­sulta che non c'è una ragione specifica per escludere il latte, è una buona idea introdurlo nell'alimentazione quotidiana in un momento in cui le abitudini alimentari sono ancora in formazione.

 

Calorie

Molti dicono: «Bene, mi piace il latte e mi piacciono i formaggi, ma non mi piacciono tutte quelle calorie». Ecco alcuni dati. Una porzione da 240 grammi di latte parzialmente scremato contie­ne solo 120 calorie, e se si usa latte magro solo 86. Confrontate­lo con una lattina di birra a 148 calorie (persino la birra "lìght" ne ha ancora 100), una lattina di coca a 144, o un bicchiere di succo d'arancia a 110. E il latte è molto di più di una semplice bevanda; è una buona fonte di calcio e di fosforo, come pure di riboflavina, proteine e altre sostanze nutritive. Per poche ca­lorie, fate un grande affare dal punto di vista nutrizionale. Faremmo molto meglio a ridurre gli spuntini, le caramelle, i des­sert dolci, dove le calorie, oltre all'apporto energetico, non hanno un valore nutritivo di rilievo, e le patatine fritte. Ma forse, per quanto riguarda il calcio, l'affare migliore, perché privo di calo­rie, è un'acqua minerale ricca di calcio. In un litro d'acqua di questo tipo possono esserci più di 300 milligrammi di calcio.

 

Ci sono alimenti di pessima qualità che devo evitare?

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A parte gli alimenti che contengono sostanze cancerogene (vedi) ci sono altri alimenti-bidone che il consumatore farebbe meglio ad evitare:

Tonno. Oggi molti nutrizionisti consigliano mangiare il tonno con moderazione. E' meglio non mangiarne troppo per diversi motivi:

Il tonno, come il pescespada, è un pesce di grossa taglia che ormai vive in mari inquinatissimi, e assorbe metalli pesanti come cadmio, piombo e mercurio, che poi passano nel nostro organismo

Molto del tonno in commercio subisce un processo chimico di "degrassamento" con derivati del petrolio per rendere il suo gusto più accetto al consumatore. Se sull'etichetta di tonno o sgombro in scatola leggege "grassi 3% o meno" è sicuro che il prodotto abbia subito il procedimento

Brioches nel bar

Piene di grassi idrogenati per mantenerle morbide, sono il peggio del peggio per cuore e coronarie. Eppure milioni di italiani mangiano ogni mattino il croissant al bar!

Alcune note marche di miele in commercio (non facciamo nomi!): Come dice l'etichetta, si tratta di mieli comunitari ed extracomunitari. Quelli extracomunitari sono mieli di origine sudamericana con una altissima carica batterica, che viene inattivata facendo bollire il miele a lungo. Questo anche per renderlo più filante e farlo passare per filtri che tolgono le impurità del miele di bassa qualità.

Polvere di the in bustina. Il the in bustina, propagandato come "nuovo raccolto", o "di prima qualità" è in realtà lo scarto peggiore, costituito dai detriti che cadono dai tralicci su cui vengono messe a essiccare le foglioline. Questo prodotto che si raccoglie sul pavimento è di bassissima qualità, viene ramazzato con la scopa e venduto ai produttori italiani che lo spacciano per the di altissima qualità e per decenni hanno fatto enormi profitti a danno dei consumatori. In realtà il the di alta qualità è quello a foglioline distese o ripiegate in piccoli grani.

Wurstel: i wurstel di qualsiasi tipo contengono poca carne magra suina, molta acqua e moltissimo grasso.

Prosciutto cotto: la cottura serve ad inattivare i batteri e i parassiti del prosciutto di peggiore qualità, che non potendo essere venduto fresco viene cotto

Mortadella: tralasciando il fatto che è enormemente grassa, la mortadella viene fatta con le carni peggiori, degli animali malati o vecchi o di scarto.

Succhi di frutta ordinari: hanno una quantità enorme di zucchero e pochissima frutta. Una volta un oculista ha commentato ad un paziente che gli chiedeva se doveva bere regolarmente succo di frutta al mirtillo: "certo le migliorerebbe l'irrorazione della retina; avrebbe solo un piccolo effetto collaterale: il diabete, per tutto lo zucchero che contiene".

Biscotti con "grassi vegetali"

Grana Padano: non è di pessima qualità, ma usa un antimicrobico (anche se dichiarato "naturale"), perché il latte può provenire da allevamenti che utilizzano anche foraggi non freschi ma "insilati". Invece il Parmigiano Reggiano deve utilizzare latte da allevamenti con foraggi freschi e non contiene antimicrobici.

Alimenti che recano scritto "aromi" invece di "aromi naturali": in quel caso si tratta di aromi chimici

Alimenti in scatola: la banda stagnata della scatoletta rilascia sostanze tossiche e cancerogene che vanno nel cibo.

Trote di allevamento: sono allevate con antibiotici perché sono molto sensibili alle malattie

Pomodori fuori stagione: contengono antibiotici

 

 

Mangiare il fegato fa bene?

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Il fegato bovino non è grasso come si immagina, e un piccolo pezzo di fegato a settimana è ricchissimo di ferro e di vitamine del gruppo B e di vitamina D. Ovviamente dovete prenderlo dal macellaio di fiducia, che utilizza solo bestie di prima qualità.

 

 

Mangiare le alghe fa bene?

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Le alghe non sono niente di eccezionale, sono molto costose, di cattivo sapore e il nostro apparato digerente non le vede molto di buon occhio. Sono straricche di iodio, ma sarebbe sufficiente prendere il sale iodato. Lasciatele alle foche e ai giapponesi.

 

 

Cosa devo fare se soffro di insonnia? Devo prendere sonniferi?

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Se si ha la possibilità e l'insonnia resiste ai rimedi tradizionali, la cosa migliore in assoluto è andare da una "clinica del sonno". Tutti i grandi ospedali, comprese le Molinette a Torino possiedono tali reparti, con personale e attrezzature di alta qualità e professionalità. Se necessario, il paziente sarà monitorato per tutta la notte in clinica per capire le cause del disturbo.

La carenza di sonno non è un disturbo facile, e quelli che segono sono solo consigli che potrebbero apportare qualche miglioramento, ma non sempre risolvere il problema.

Iniziate a leggere un libro: il trucco del libro soporifero potrebbe funzionare con voi

Bere una tazza di latte o mangiare un po' di pasta o una piccola quantità di cibo può favorire il sonno, perché la digestione stimola il sistema parasimpatico, che provoca rilassamento degli organi corporei e inoltre, richiamando il sangue dal cervello allo stomaco produce sonnolenza.

Non fare pasti pesanti prima di andare a dormire

Fare una moderata attività fisica (passeggiata di buon passo) prima di andare a dormire, in modo che l'organismo produca endorfine che facilitano il sonno. Evitare di andare direttamente a letto dopo una giornata completamente sedentaria.

Fissate un circuito di pensiero: le famose "pecore" da contare potrebbero essere invece la trama di un libro o di un film che ripercorrete lentamente, o gli avvenimenti della giornata. Dopo alcuni mesi che la mente è così condizionata, è sufficiente iniziare a rivedere il film, la giornata, ecc. per cadere addormentati

Fissate l'orario della coricata e non lo variate

In alcune cliniche del sonno consigliano la melatonina, non il tipo ad assunzione lenta, ma quello ad effetto immediato.

Non negatevi il sonno che arriva nel corso della giornata, dopo i pasti, in auto, in treno, ecc.. In particolare il sonno pomeridiano che viene dopo il pasto, è un sonno molto efficace.

Prima di utilizzare i sonniferi, provate con i calmanti (es. Tavor, Xanax) presi un'ora prima di dormire

Abolite completamente caffè e the. Il the ha una azione più lunga del caffè, che si può insidiosamente protrarre fino alla prima parte della notte. Molti hanno ottenuto notevoli miglioramenti, anche di umore, abolendolo.

Dopo una certa età, se l'insonnia rimane ostinata, vanno usati i sonniferi. Ma con molta moderazione. Le benzodiazepine, famiglia a cui appartiene la maggior parte degli attuali sonniferi non sono fatte per uso quotidiano, e le stesse case produttrici consigliano di non prolungarne l'uso per più di tre-quattro settimane. Dovete quindi darvi una regola e una disciplina. Potete provare a utilizzare un sonnifero una sola volta a settimana per recuperare il sonno che l'insonnia vi ha fatto perdere. Evitate sonniferi a lunga emivita. Ci sono benzodiazepine che rimangono nel sangue anche fino a due giorni dopo! Sonniferi come Stilnox, anche se potenti, possono rendere sonnolenti anche nelle prime ore del mattino.

Inoltre diversi sonniferi sono noti per dare "effetto rebound": il giorno dopo che si è usato il sonnifero si stenta ad addormentarsi.

Ci sono poi sonniferi e tranquillanti da evitare perché hanno mostrato da tempo effetti negativi alquanto pesanti: Halcion, Valium, Tavor.

Oggi i medici conoscono sonniferi che non danno effetto rebound e che vengono completamente eliminati con le urine la mattina (ad es. Minias)

Diversi medici, prima di iniziare col sonnifero, provano a prescrivere un calmante (es. Xanax) un po' di tempo prima di addormentarsi.

Provate a potenziare l'effetto del sonnifero assumendo un po' di succo di pompelmo prima di andare a letto. Non si sa perché ma il succo di pompelmo potenzia gli effetti dei sedativi (ma da solo non funziona!)

Alcuni farmaci che possono dare insonnia: farmaci per la tiroide; la maggior parte degli anoressizzanti; gli antidepressivi triciclici; i farmaci con nilpropanolammina (Ppa) ammessi alla vendita da banco per promuovere la perdita di peso o alleviare le congestioni nasali o altri sintomi da raffreddamento; i diuretici che costringono a svuotare la vescica a intervalli frequenti. Alcuni pazienti riferiscono che le vitamine potenziate che prendono lo stimolano al punto da provocare insonnia

State lontani di sera dalla camera da letto finché non avete sonno.

L'ora di andare a letto non dovrebbe essere determinata  dall'orologio ma dallo stato di sonnolenza. Non ignorate il desiderio di dormire conteinuando a lavorare. Ignorare questo segnale ritardando il sonno può portare all'insonnia.

Cercate di stabilire orari regolari. L'abitudine più efficace è di alzarvi al mattino sempre alla stessa ora, indipendentemente dall'ora in cui siete andati a letto. Anche se avete dormito pochissimo o siete stanchi e assonnati, mettetevi in movimento e non fermatevi fin quando non sarete pronti ad andare a dormire alla sera.

Un libro o uno spettacolo televisivo stimolanti non sono adatti a favorire i sonno.

Non lavorate a letto

Anche se non è opportuno fare un pasto pesante all'ora di andare a letto, ci sono certi alimenti che favoriscono il sonno perché contengono L-triptofano, un amminoacido che provoca il sonno agendo sul cervello. Il latte, il tonno, i fagioli di soia, l'acagiù, il pollo, il tacchino, le uova. Accompagnandolo con qualche carboidrato e con un bicchiere di succo d'arancia, questa combinazione facilita la trasissione dell'L-triptofano al cervello, dove viene convertito in un neurotrasmettitore responsabile della sonnolenza.

L'L-triptofano viene venduto nei negozi della salute. Assumete da tre a 6 compresse da 500 mg prima di andare a letto.

Alcuni oftalmologi ritengono tuttavia che l'L-triptofano acceleri la formazione della cataratta.

Se l'L-triptofano non funziona, prendete un'aspirina al momento di andare a letto.

Oggi molti medici del sonno consigliano, contro l'insonnia ostinata, di fare moto fisico nel tardo pomeriggio. Si formano dei composti naturali, endorfine, che favoriscono potentemente il sonno

Un (solo) bicchiere di vino o 30-60 grammi di brandy aiutano a fare una buona notte di sonno.

La nicotina è uno stimolante che può rendere più difficoltoso l'addormentarsi

Il moto tipo corsa, cyclette o vogatore è utile un paio d'ore prima di andare a letto, non quando si vuole andare a dormire.

Fare delle respirazioni profonde provoca un accumulo di biossido di carbonio nel sangue, che in certi casi ha effetto tranquillante. Ispirate tre volte a fondo e molto lentamente e ogni volta espirate totalmente. Al temrine della terza esalazione, fate un apausa trattenendo il respiro più a lungo possibile. Ripetete questo ciclo da cinque a otto volte, poi tornate a respirare normalmente.

La sensazione di freddo inibisce il sonno

Una stanza troppo fredda d'estate o troppo calda e asciutta d'inverno provocherà irritazioni al naso e insonnia. Mantenete 18° di temperatura.

Il letto deve essere abbastanza largo da permettervi di stiracchiarvi senza difficoltà.

Lasciate divagare l'immaginazione, pensate a cose piacevoli. Se non riusce a escludere i problemi, focalizatevi su uno solo.

L'indivuo affetto da apnea ostruttiva si sveglia alla fine di ocni ciclo di apnea anche se non se ne ricorda e dal momento che questo avviene a intervalli di pochi minuti nel corso della notta, non solo viene privato in continuazione dell'ossigeno, ma presenta anche una carenza di sonno che lo rende sonnolento durante il giorno

Contro l'apnea ostruttiva è stata messa a punto una tecnica secondo la quale si colloca una mascherina di plastica sopra il naso del paziente attraverso la quale viene somministrat aria ambiente, non ossigeno, da un compressore accanto al letto ad una pressione leggermente superiore al normale (da 5 a 10 cm d'acqua). Il flusso d'aria, così sincronizzato con la respirazione del paziente e con la pressione positiva, impedisce il collasso delle vie aeree e l'apnea. Questo rimedio è il primo tentativo da fare. Spesso funziona.

 

 

Devo abbandonare la carne e diventare vegetariano? Cosa devo pensare dello stile vegano?

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Come dice Umberto Veronesi, un consumo eccessivo o anche solo regolare di carne fa venire il cancro al colon-retto (vedi quanto detto a proposito delle precauzione per evitare il cancro) e inoltre è piena di testosterone, utilizzato di routine per aumentare la massa dell'animale.

Questo non vuol dire che una volta a settimana non si possa mangiare una normale porzione di carne rossa acquistata dal macellaio di fiducia.

Non è necessario diventare vegetariani per abbandonare la carne: la dieta più equilibrata è quella a base di pesce. Il pesce contiene grassi che fanno bene alle coronarie e mantengono giovane il cervello. I danni dell'età sono nettamente minori.

La dieta vegetariana senza carne e senza pesce spesso è una dieta latto-ovo-vegetariana che abusa dei grassi saturi delle uova e dei formaggi.

La dieta vegana, che abolisce anche le uova e i latticini, e ammette solo la soia, è poi da evitare assolutamente, perché dannosa per la salute

Fino ai diciotto anni la dieta dei bambini e dei giovani dovrebbe essere ricca di proteine di origine animale, come quelle provenienti dai pesci. Gli organismi in crescita non vanno mai sottoposti allo stress di una dieta vegetariana stretta.

 

 

La soia è un alimento che può sostituire la carne e il pesce? Il latte di soia può sostituire il latte vaccino per i bambini?

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La soia è un alimento decisamente sopravvalutato, per diverse ragioni:

Il tanto decantato tenore proteico della soia è molto variabile. Solo il latte di soia e il tofu prodotti con soia proveniente dalle migliori coltivazioni hanno una accettabile quantità di proteine

La soia è un potente allergene, e quindi va attentamente verificata la compatibilità individuale

La soia è priva di tutte le vitamine e sostanze utili del latte umano e vaccino, e non andrebbe mai somministrata come unico alimento ai bambini

La soia è estremamente grassa (anche se si tratta di grassi insaturi), e quindi non è adatta a diete dimagranti

Le proteine della soia sono meno facilmente assimilabili e complete di quelle del latte, della carne, del pesce, dell'albume d'uovo

Una dieta a base di pesce non ha controindicazioni, ed elimina la necessità di una dieta completamente vegetariana

Leggete infine l’articolo sui pro e i contro della soia in questo documento. Vi darà una completa informazione, anche riguardo i potenziali pericoli della soia per la nutrizione dei neonati e dei bambini.

 

 

Quali sono le migliori fonti di ferro? Esistono danni da eccessivo consumo di ferro?

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La quantità di ferro di un alimento (es. le lenticchie) è un pessimo indicatore della bontà come fonte di questo elemento, perché il ferro deve essere biodisponibile. Il ferro biodisponibile è quello in forma eme, legato ad una molecola di globina. Il ferro dei vegetali, compreso quello delle lenticchie è praticamente non biodisponibile. Il ferro in forma eme si trova nella carne, nel pesce (calamari, uova di pesce, caviale ne sono ricchissimi) e negli insaccati (la bresaola è ricchissima di ferro biodisponibile) e nel fegato bovino.

Da evitare se possibile le compresse economiche di ferro, che contengono solfato di ferro. Il ferro non è ben tollerato dallo stomaco, e una assunzione di ferro sotto tale forma dà luogo a malassorbimento del cibo.

Uno dei prodotti farmaceutici migliori (e più costosi) è Proteoferrina, preparata in microgranuli gastroresistenti con il ferro in forma biodisponibile.

Un eccesso di ferro ispessisce il sangue (lo sanno benissimo i ciclisti, che per poter sfruttare al meglio l'ossigeno si iniettano emoglobina, ma poi non riescono a dormire per l'affanno cardiaco che ne consegue) e può provocare infarti.

I preparati a base di ferro diffusament eprescritti per curare l'anemia non solo fanno apparire nere le feci come se ci fosse stata un'emorragia nella parte superiore del tratto gastrointestinale, ma possono facilmente provocare anche stitichezza. la maggior parte degli individui in buona salute possono ricavare una quantità sufficiente di ferro dalla dieta senza ricorrere a inte3grazioni di sorta, mentre possono averne bisogno le donne con mestruazioni troppo abbondanti.

 

 

Quali sono i prodotti migliori contro le mialgie, i mal di testa, i mal di gola e simili?

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Ecco, nell'ordine di potenza e di cautela, i prodotti che si dovrebbe assumere:

Aspirina (acido salicilico)

Tachipirina e simili (paracetamolo)

Antinfiammatori non steroidei blandi (ibuprofene)

Antinfiammatori non steroidei forti (Oki e simili)

Preparati con codeina (oppioide, molto potente, disponibile con ricetta anche in Italia; in altri paesi è in libera vendita)

Cortisonici o antinfiammatori steroidei o corticosteroidi

Ecco una lista dei principali antinfiammatori non steroidei:

Ibuprofene

Salicilato di lisina (Aspegic, Flectadol, ecc.)

Aminofenazone (Farmidone, Termidon, ecc.)

Feprazione (Zepelin)

Noramidopirina (Novalgina)

Indometacina (Indoxen, Liometacen, ecc.)

Fenprofene (Fepron)

Naproxene (Naprosyn)

Pirprofene (Rengasil)

Ketoprofene (Fastum, Orudis)

Flurbiprofene (Froben)

Diclofenac (Novapirina)

Oxicam (Feldene, Riacen)

Diacereina (Artrodar, Fisiodar)

Ecco una lista dei principi attivi dei principali antinfiammatori steroidei

Idrocortisone

Prednisone

Metilprednisolone

Triamcinolone

Desametasone

Betametasone

Deflazacort

 

 

Esistono medicinali di uso comune che provocano effetti collaterali dannosi importanti?

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Per i pericoli degli psicofarmaci vedi sezione apposita

Ecco una lista di farmaci che riducono il potenziale della memoria e possono produrre deficit cognitivi temporanei:

●  antistaminici (impiegati per il trattamento delle allergie);

●  anticolinergici (usati in passato per curare la depressione);

●  benzodiazepine (ansiolitici);

●  beta bloccanti (impiegati per il trattamento dell'ipertensione);

●  oppiacei

Con l'età gli effetti collaterali dei farmaci si fanno più marcati perché aumenta la vulnerabilità. Con l'età il metabolismo rallenta; di conseguenza il farmaco rimane più lungo nel nostro corpo, aumentando il rischio che soffriamo per gli effetti indesiderati come la perdita di memoria.

i farmaci infine, possono interagire talvolta tra loro e causare così una diminuzione delle capacità mnemoniche.

Esistono farmaci capaci di stimolare la memoria? I soggetti che assumevano farmaci antinfiammatori non steroidei come L'ibuprofene avevano meno probabilità di contrarre il morbo di Alzheimer. Gli estrogeni possono contribuire a mantenere in forma la memoria delle donne mature, anche se la loro validità è stata recentemente messa in dubbio. Esistono infine diversi integratori a base di erbe considerati efficaci per migliorare la memoria. Ma tali erbe sono comunque farmaci a tutti gli effetti, e per questo possono comportare rischi e avere conseguenze indesiderate.

Considerate in generale che i farmaci e gli integratori che assumete possono avere effetti sulla memoria.

E' un segreto ben conservato che Viagra, Cialis, e altri coadiuvanti dell'erezione hanno provocato occasionalmente infarti, ma soprattutto sono riportati casi di abbassamento o totale perdita dell'udito a seguito anche di una sola somministrazione del medicinale.

L'aspirina può provocare malformazioni fetali e favorire il glaucoma (studi recenti)

 

 

E' possibile migliorare la mia intelligenza e la mia memoria? Esistono delle tecniche apposite? Esistono delle sostanze che potenziano memoria e attenzione?

 

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intelligenza e memoria sono ereditarie

Purtroppo gli studi più seri dimostrano che intelligenza e memoria sono strettamente ereditarie. Questo non vuol dire che non si deve avere cura di coltivarle e addestrarle sin dalla prima infanzia e mantenerle in allenamento nella maturità e nella vecchiaia, perché queste facoltà, se non possono essere aumentate, possono però essere menomate da uno sviluppo carente di stimoli, e possono affievolirsi significativamente con l'età.

 

le tecniche di memoria

Per un panorama delle tecniche di memoria, che però servono solo da aiuto ad una memoria ereditariamente buona, si può consultare il sito www.learningsources.altervista.org e cliccare sul link "Tutte le tecniche per ricordare" nella sezione psicologia.

 

la beffa dei “ricostituenti”

I numerosi farmaci venduti come ricostituenti o potenzianti dell'attenzione e della memoria, a base di fosforo, aminoacidi, glucamina, ginseng, come Sargenor, Fosglutamina, Acutil, Rekord B12 sono assolutamente inutili: è sufficiente una dieta ricca di nutrienti e un supplemento vitaminico e minerale come Multicentrum per ottenere lo stesso effetto con un costo molto minore.

 

gli “energy drink”

Ci sono poi gli "energy drink" come il Red Bull (a base di vitamine del complesso B, glucoronolattone, caffeina, taurina), IronPower (caffeina, teina, estratti di maté, noce di cola, ginseng, guaranà e altre piante dall'effetto stimolante). Ma la quantità di caffeina presente nel Red Bull è veramente scarsa: in una lattina c'è a malapena la quantità di caffeina presente in una tazzina di caffè. La vitamina B non ha un immediato effetto stimolante sul sistema nervoso. Quanto a taurina e glucoronolattone, il loro effetto sulla efficienza mentale non è provato. Meglio quindi ripiegare sulla tazza di caffè o di tè.

 

gli aminoacidi

C'è poi la moda degli aminoacidi: creatina, tirosina, ecc. Esistono preparati come Friliver, che forniscono tutta la gamma di aminoacidi ramificati.

 

le “smart drugs”

Esiste infine una categoria di sostanze chiamate "smart drugs", molto in voga tra gli studenti americani, che possono avere un effetto transitorio di potenziamento dell'attenzione e della memoria, come il Ritalin, o il Deadyn (pemolino di magnesio), ecc. Ma il loro uso in Italia è scarso, e tale dovrebbe rimanere per diverse ragioni:

Molti medici statunitensi denunciano effetti collaterali negativi del Ritalin o di altri farmaci simili

In Italia le autorità hanno preso una ferma posizione contro le smart drugs. Molti di questi farmaci, come il Ritalin, sono ottenibili solo con ricetta medica e non per generiche difficoltà di concentrazione, ma solo per patologie particolari, come il disturbo di attenzione dei bambini. Alcuni farmaci, come il Deadyn della Schering, che negli anni '80 venivano raccomandati dalle rubriche mediche di noti quotidiani come ausili allo studio sono stati addirittura banditi, perché utilizzati impropriamente per lo "sballo" in discoteca.

Tra le smart drugs che vengono continuamente immesse sul mercato molte sono costituite da principi vegetali (es. l'estratto di geranio tropicale, la salvia divinorum) i cui effetti tossici o di assuefazione non sono stati sufficientemente studiati, e portano a vietarne il commercio solo dopo diverso tempo che il consumatore ignaro ne fa uso.

Per avere altre informazioni sulle smart drugs, consultate in questo sito learningsources.altervista.org il documento “Cosa sono le smart drugs”.

Infine, riportiamo l'opinione fortemente critica del farmacologo Silvio Garattini:

Il rendimento mentale è diventato un fattore di importanza strategica nelle società postindustriali, dove soprattutto a chi occupa posizioni di comando si richiedono prontezza di apprendimento, creatività e rapidità decisionale. Di qui l'interesse che molte case farmaceutiche stanno dimostrando per quelle che in gergo vengono defmite «smart pills», «pillole intelligenti». Noti anche come «nootropi» (dal greco «noos», mente) questi farmaci - ancora in fase speri­mentale - avrebbero il potere di incrementare o rivi­talizzare la memoria e i processi cognitivi.

In America sono di gran moda, e decine di mi­gliaia di persone in perfetta salute ne fanno uso abi­tuale per apparire più brillanti e competitivi. La.Cali­fornia, dopo essere stata la patria della «marijuana» e dello Lsd, si prepara a fare da culla al nuovo movi­mento. A Los Angeles e a San Francisco spuntano «smart bar» dove al posto degli alcolici servono drink dai nomi fantasiosi - Renew-U, Intellex, Psuper Pso­nic Psy-ber Tonic, Memory Fuel - che stimolereb­bero le capacità intellettive. Per lo più sono frullati alla banana o al kiwi con l'aggiunta di un'overdose di vitamine e di amminoacidi (fenilalanina, tirosina]. C'è anche chi preferisce le sostanze «nootrope» vere e proprie (come il piracetam), molte delle quali importate illegalmente dall'Europa (la Food and Drug Adrninistration non ne ha ancora autorizzato la vendita) o prescritte per tutt'altre indicazioni. E in­tanto va a ruba nelle librerie una guida all'uso delle «smart drugs», che in copertina promette ai lettori di «aumentare enormemente il potere del loro cer­vello».

Parole. Ciance da imbonitori da fiera. Nessuna vi­tamina, nessuna molecola naturale o artificiale potrà mai mutare un asino in purosangue o farci vincere il premio Nobel. Ma intanto i venditori di illusioni sono lì, pronti ad approfittare delle nostre megalomanie. Ancora una volta, invece di farsi carico dei malati e dei perdenti, la medicina sforna false ricette per i sani che vogliono stravincere.

 

qualche prodotto e consiglio che potrebbe aiutarvi senza nuocere alla vostra salute

  Se proprio si vuole utilizzare un aiuto alla concentrazione, una tazza di caffè nero è la scelta migliore. A dosi non eccessive, il caffè è un farmaco straordinario, che non dà assuefazione né effetti dannosi e può essere assunto per tutta la vita.

  Agli studenti è raccomandabile anche il the, che contiene una forma di caffeina, la teina, che ha un effetto più graduale ma più prolungato. Il the verde, in particolare, contiene un aminoacido, l’anina, che pare potenzi l’azione della teina sul cervello.

  Una assunzione ragionevole (non nella quantità assunta dagli sportivi o dai frequentatori compulsivi delle palestre, tanto per intenderci) di aminoacidi ramificati potrebbe aiutare la concentrazione e diminuire la fatica nervosa.

  L'assunzione di una dose giornaliera di un multivitaminico-multiminerale può aiutarvi a superare la fatica dello studio.

  Un supplemento di vitamine del complesso B (es. Be-Total), particolarmente importanti per il buon funzionamento del cervello, dovrebbe essere sufficiente per mantenere vita l'attenzione di chi studia e contrastare la fatica. Pochi sanno che la vitamina C è un potente stimolante, tanto che i medici sconsigliano di assumerla prima di andare a letto, e se proprio si vuole, si può assumerne qualche compressa nei periodi di più intenso studio.

  Se il caffè o il the possono essere presi per aiutare lo studio di qualche pomeriggio o per gli esami, però, se continua la mancanza di concentrazione e la sonnolenza, probabilmente si tratta di un problema di scarso sonno, molto diffuso tra gli adolescenti che chattano o girano per i locali fino a tarda notte, e andrebbe risolto con delle buone nottate di riposo ristoratore.

Il sonno è importantissimo anche per fissare nella memoria ciò che si è appreso. Recenti ricerche mostrano che il consolidamento dell’apprendimento avviene più stabilmente e più completamente nelle persone che dormono un normale numero di ore piuttosto che in soggetti con carenza di sonno.

  Assumere (con il benestare del medico) un fluidificante del sangue, come ad es. compresse di aspirina nella formulazione più bassa (75 mg), può migliorare la micro-circolazione cerebrale e potenziare le vostre funzioni cognitive.

  Ascoltare musica durante lo studio è assolutamente nocivo per l’apprendimento. Anche se noioso, il perfetto silenzio potenzia notevolmente le nostre capacità cognitive.

  Televisione e videogames sono dannosi per la fissazione mnemonica di ciò che si è studiato. Il nostro cervello, dopo qualche ora di televisione serale, ha bisogno di metà della notte per smaltire le immagini che abbiamo immagazzinato, e non può dedicarsi ai processi di rafforzamento di ciò che si è studiato. Studiare il pomeriggio, poi passare due ore davanti alla televisione è il miglior modo di cancellare ciò che si è appreso, soprattutto perché l’impatto delle immagini sul cervello e sulla memoria è superiore a quello delle parole scritte e dei concetti studiati.

  I semi di Chia e le bacche di Goji, con la loro ricchezza di vitamine, aminoacidi, calcio, zinco, selenio e altri micronutrienti, possono aiutare a superare la stanchezza nervosa.

  Polvere proteica. La polvere di proteine utilizzata da coloro che fanno attività sportiva impegnativa, a dosi più basse, assunta la mattina, può mantenervi svegli e attivi per alcune ore, senza darvi la sonnolenza di una colazione eccessiva

  Il cioccolato extrafondente, con la sua ricchezza di magnesio, fosforo, potassio, calcio, teobromina e caffeina (ben 80 mg in una tavoletta, l’equivalente di una tazzina di caffè) è un alimento che non appesantisce lo stomaco e può consentire di andare avanti a lavorare a lungo.

  Mangiate poco. Provate la dieta del semidigiuno durante il giorno. Imitate Umberto Veronesi, che fa un solo pasto (leggero!) la sera, e durante il giorno mangia pochissimo (qualche frutto, uno yoghurt), bevendo the o tisane, allo scopo di evitare la sonnolenza dei pasti e rimanere lucido.

Sentiamo cosa dice Umberto Veronesi sui benefici effetti del semidigiuno sulla concentrazione: “Avete mai provato a meditare con lo stomaco pieno? E a svolgere qualsiasi lavoro o attività intellettuale? Quali idee fulminee, intriganti, appassionate, geniali possono mai arrivare dopo un’abbondante mangiata? Per me il digiuno è fonte di chiarezza mentale: intasare di cibo il corpo fa perdere lucidità e capacità creative, rallenta i riflessi e la razionalità; digiunare, invece, mantiene le prestazioni del cervello. Si tratta anche di guadagnare tempo: quanto ne spendiamo mangiando? Alludo a pranzi e cene interminabili, durante i quali non riusciamo a creare o produrre alcunché; non riusciamo ad amare, a stabilire relazioni vere, a ragionare e approfondire gli argomenti che ci interessano.    Mangiare troppo compromette la concentrazione”.

  Utilizzate integralmente le ore della mattina. La resa dello studio mattutino è almeno doppia rispetto a quella dello studio pomeridiano.

  Evitate attività sportiva faticosa. “Scaricarsi” dopo una seduta di studio va bene, ma con una corsa moderata o una passeggiata di buon passo, non con due ore di palestra o cinquanta vasche di nuoto, a meno che poi non si vada a dormire senza riprendere lo studio.

 

 

Cosa devo fare per evitare osteoporosi e malattie legate alla decalcificazione?

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Oltre che a leggere quanto è qui scritto sui latticini, leggere l'ottimo libro di Robert Heaney e Janet Barger-Lux, Come farsi le ossa nella vita, Edizioni il Sole 24 ore. Leggete poi quanto segue.

Alcuni si ammalano di osteoporosi a causa dell'eccessiva perdita di calcio nelle urine dovuta a disturbi renali. Una percentuale dal dieci al quindici per cento sono alcolizzati. In una particolare fascia di rischio sono quegli uomini che bevono in eccesso e fanno uso di antiacidi contenenti alluminio per combattere ulcere e iperacidità. La combinazione di alcol e di questi antiacidi prova un forte impoverimento di calcio.

Una dieta dimagrante o povera di colesterolo è una dieta a basso apporto di calcio.

Gli individui  normali necessitano di 1000 g al giorno (la quantità raccomandata di 800 è troppo bassa per Rosenfeld).

Con l'invecchiamento la capacità dell'intestino di accettare il calcio attraverso la sua mucosa si riduce.

Prendere integrazioni di vitamina D favorisce l'assorbimento intestinale del calcio. Rosenfeld non prescrive più di 400 unità al giorno, una quantità che si trova nella maggior parte delle integrazioni multivitaminiche. Una quantità superiore potrebbe risultare dannosa. Uno studio inglese ha mostrato che donne sottoposte a un regime di calcio e vitamina D sono meno colpite dal cancro al colon.

Pur essendo importante mangiare una quantità sufficiente di proteine e fibre, l'eccesso può impoverire il corpo di calcio. Lo stesso effetto l'hanno quantità eccessive di sale, bevande tipo coca-cola, vitamina A e alimenti con additivi a base di fosforo. Non che queste sostanze vadano evitate, solo non bisogna esagerare con alcuna di esse a scapito di altri alimenti.

L'osteoporosi è favorita dall'inattività fisica. La quantità di massa ossea accumulata da una donna fino al momento di compiere i 35 anni determinerà in modo significativo la sua vulnerabilità all'osteoporosi dopo la menopausa. Un'attività fisica regolare è il modo migliore per incrementare la massa ossea. Come avviene per i muscoli, quando si sottopongono le ossa a sforzi, si favorisce l'assorbimento continuo delle vecchie cellule e il loro ricambio con quelle nuove.

Un individuo confinato a letto arriva a perdere fino al quattro per cento della sua massa ossea dopo un mese. Ecco la principale ragione per cui i pazienti anziani sono fatti alzare dal letto e camminare.

Isadore Rosenfeld raccomanda flessioni giornaliere per mantenere i muscoli  sciolti e una bella camminata di quattro-cinque chilometri a passo svelto per rafforzare lo scheletro.

Agli uomini è utile prescrivere testosterone, perché riduce la quantità di calcio escreta con le urine

La calcitonina ha lo svantaggio che deve essere somministrata per iniezione.

 

 

Nei panini, nei biscotti, nei crackers, e in altri alimenti ci sono grassi industriali nocivi? Li posso individuare leggendo le etichette nutrizionali?

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Contrariamente a quanto si crede, i grassi nocivi non sono solo quelli di origine animale ricchi di colesterolo, e provenienti da uova, frattaglie come fegato, rognone, cervello, carni rosse (manzo, agnello, maiale, prosciutto), latte intero, burro, formaggi, gelati ai gusti crema, cioccolata al latte, lardo e strutto. Ecco un elenco di grassi "cattivi" a cui dovete stare attenti in aggiunta a quelli di origine animale ricchi di colesterolo:

Questi grassi "cattivi" provengono anzitutto da oli vegetali estremamente dannosi per le coronarie, come gli oli tropicali (cocco e palma in testa), che in paesi come la Polinesia sono responsabili di un altissimo tasso di malattie e mortalità cardiovascolare.

Questi oli vegetali vengono impiegati largamente per il loro basso costo rispetto ad oli e grassi più pregiati, come mais, girasole, burro, olio di oliva. L'Italia ne importa migliaia di tonnellate, e si trovano quasi ovunque: nelle impanature dei bastoncini di pesce, per insaporire i piatti pronti, ma soprattutto nei biscotti e nei dolci di produzione industriale e nel pane morbido per tramezzini o hamburger. Dovreste anche controllare che panini come le biovette e altro pane prodotto con grassi contenga al massimo strutto (che in piccole quantità non fa realmente male) e non grassi vegetali di origine ignota. Ricordate: quando le etichette riportano "grassi vegetali" tra gli ingredienti, si tratta sicuramente di grassi di scarsa qualità, non provenienti da oli pregiati come mais, olio d'oliva, burro, girasole, ma da oli tropicali.

Gli oli di mais e girasole sono oli insaturi che non sono dannosi. Ma sono estratti chimicamente e il procedimento di estrazione chimica può lasciare qualche residuo. Inoltre la spremitura li ossida, producendo sostanze nocive.

Le margarine prodotte con tali grassi polinsaturi godono di molto favore in sostituzione del burro. ma anche

 

 

Non usate il talco

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Quando utilizzate il talco, le sue microparticelle penetrano sotto la pelle e invadono i tessuti. Il corpo, che non sa che fare con questa sostanza estranea, la raccoglie in determinati punti, in modo che non possa fare danni. Purtroppo questi punti sono le articolazioni. E' proprio così: usare troppo talco può portare a lievi danni alle articolazioni, specie quelle fini delle mani e dei piedi.

Le bambine trattate col talco nelle parti intime possono andare incontro al cancro alle ovaie in età più tarda a causa dell'effetto irritante delle particelle di talco.

 

 

Senilità e alzheimer

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Una persona su 20 di età superiore ai 65 anni soffre di "demenza" mentre una su dieci è colpita da qualche forma di menomazione intellettuale.

L'autopia rivela che non sempre è Alzheimer. Il 25% subisce piccoli colpi apoplettici, che avrebbero forse potuto essere individuati e prevenuti nella loro progressione. Un altro 20% ha tumori o lesioni cerebrali. In altri casi non vi erano anomalie fisiche in grado di spiegare quelle comportamentali. Sono almeno 50 le condizioni che possono essere scambiate per Alzheimer.

Una importante causa di demenza è il restringimento delle arterie che alimentano di sangue il cervello (arteriosclerosi cerebrale). Quando l'arteria si chiude del tutto il risultato è il colpo apoplettico. Ma più frequentemente  l'evento si svolge in modo graduale. Si possono avere mal di testa transitori, visione sdoppiata o offuscata, qualche minuto di difficoltà nella ricerca della parola giusta o una leggera sensazione di debolezzsa, un intorpidimento o un pizzicore in un braccio o in una gamba. Una serie di questi "minicolpi", ognuno dei quali è così leggero da venire appena riconosciuto come tale, possono nel corso degli anni provocare alla fine un danno cerebrale sufficiente a causare alterazioni della personalità tali da venire confuse con l'Alzheimer. Questa malattia ha maggiore probabilità di verificarsi in individui con la pressione alta, in coloro nei quali insorge fibrillazione atriale, un disturbo che può provocare il distacco dal cuore di piccoli coaguli che raggiungono i piccoli vasi sanguigni del cervello dove si depositano e provocano ostruzione (embolia cerebrale) e quando dalle grandi arterie (carotidi) che alimentano il cervello si distaccano placche che finiscono col bloccare più in alto le arterie di calibro più piccolo

Persino piccole lesioni alla testa possono provocare  coaguli di sangue sotto la calotta caranica degli anziani  all'esterno del cervello (ematoma subdurale).

Ci sono anziani che sono lenti, ottusi, apatici per una scarsa funzionalità tiroidea. Per risolvere il loro problema era bastata la somministrazione di un estratto tiroideo.

Qualsiasi individuo, giovane o vecchio, che presenta alterazioni com,portamentali deve essere sottoposto a un'approfondita visita neurologica

Un professore di Rosenfeld ricordava costantemente di sottoporre il paziente a test per la sifilide, "vostra nonna compresa". Questo vale ancor oggi nel caso di un disturbo della personalità che compaia con gli anni. La sifilide può danneggiare silenziosamente il cervello nel momento del contagio iniziale. I sintomi comportamentali però possoo comparire anche a uno stadio molto vanzato della vita. Questa condizione è definita paralisi progressiva dell'alienato (Ppa). La penicillina può guarire le forme di sifilide allo stato iniziale. Sfortunatamente, una volta instauratasi, la Ppa non c'è più nulla da fare.

Quando il fluido che di norma circola attraverso il cervello e lo orrora non viene assorbito con la stessa velocità a cui viene prodotto le cavità all'interno del cervello si ingrossano e comprimono i tessuti nervosi e finiscono con l'alterare le funzioni cerebrali.

Tra le condizioni che influiscono sul comportamento degli anziani è una nutrizione sbagliata. Mangiando troppo poco, o cibi economici magari perché sono depressi, assumono farmaci, trovano faticoso andare a fare la spesa per procurarsi cibi più appetitosi. Spesso gli anziani non sono in grado di assorbire efficacemente gli alimenti  che consumano in quanto si ha una diminuzione della secrezione degli acidi digestivi dello stomaco, che richiede persino il triplo di tempo per svuotarsi. La circolazione nel tratto intestinale può diventare arteriosclerotica. Quando tutto ciò avviene si ha una diminuzione del potere di assorbimento e una carenza di micronutrienti e minerali assai importanti. Carenze vitaminiche o proteiche possono impedire il normale funzionamento del cervello.

In un recente studio USA un gruppo di anziani che vivevano soli e alcuni dei quali presentavano anormalità simili all'Alzheimer hanno registrato un significativo miglioramento della memoria e altre reazioni dopo essere stati ammessi ai servizi di un ricovero in cui la dieta era bilanciata e gli alimenti venivano presentati in modo attraente.

Moti farmaci consumati dagli anziani sono potenzialmente tossici, specie quando vengono presi contemporaneamente. Bisogna stare in guardia da tranquillanti, antidepressivi, sedativi cardiaci e gli antipertensivi, tra cui in particolare i betabloccanti.

Anche gli anticolinergici (es. gli antispastici contro crampi intestinali) provocano un transitorio calo di memoria, perché neutralizzano o distruggono l'acetilcolina.

L'alluminio è una neurotossina capace di danneggiare il cervello. Produce nel cervello dei ratti danni identici a quelli dell'Alzheimer. Il contenuto di alluminio nei cervelli di malati di Alzheimer è da dieci a trenta volte superiore che negli adulti non affetti da demenza. Rosenfeld conosce scienziati che hanno bhandito qualsiasi contatto con l'alluminio. Non usano antiacidi né deodoranti contenenti alluminio e hanno bandito utensili da cucina in alluminio.

 

 

Invecchiamento e sistema immunitario

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Per meglio comprendere il fenomeno dell'invecchiamento, dovreste anche sapere qualcosa riguardo il funzionamento del sistema immu­nitario. Questo è un meccanismo naturale molto complicato la cui funzione è di difendere il corpo dall'aggressione di elementi ostili provenienti dall'esterno (batteri, virus, funghi, eccetera) e da quelli provenìentì dalI ìnterno (cellule cancerose vaganti a cui non viene « permesso» di radicarsi e proliferare). Man mano che noi invec­chiamo, il sistema immunitario diventa gradualmente sempre meno efficiente. Quando ciò si verifica, esso non è più capace di distin­guere sempre tra le cellule e le proteine che fanno naturalmente parte del corpo (« self ») e quelle che gli sono estranee ("non­self"). A questo punto il sistema immunitario genera anticorpi che distruggono anche i tessuti normali dell'organismo. Questo processo è chiamato autoimmunità ed è dannoso. (L'immunità, invece, è quel processo che ci protegge dalle sostanze dannose ed è positiva.) Cosi sono due gli aspetti negativi del sistema immunitario che invecchia. Il primo, che detto sistema non riesce più a combattere gli agenti invasori o a smaltire i materiali tossici con la stessa efficienza di prima. Il secondo, che imbocca una strada autoimmunitaria e cioè "autodistruttiva". Gli scienziati però ritengono che modificando la dieta, e soprattutto riducendo le proteine, e fornendo specifiche in­tegrazioni di quelle sostanze di cui il corpo è carente, sia possibile controbattere entrambe queste tendenze e proteggere l'organismo durante la fase di invecchiamento.

Sulla base di queste teorie sembrerebbe quindi ragionevole che tutti cercassero di perdere peso, di consumare meno grassi e meno proteine (il che significa ridurre .la quantità di carne e pesce) per concentrarsi sui carboidrati e aggiungere quel tanto di vìtamìne e di minerali che serve per non presentare carenze in tal senso.

 

 

Il  colesterolo e altri grassi dannosi

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Pare che per ogni un percento di riduzione del colesterolo corrisponda una diminuzione degli attacchi cardiaci del due percento.

Oggi i cardiologi consigliano un colesterolo inferiore a 200, anche se fino a 300 non c'è ragione di particolare allarme nel breve periodo.

Oggi la maggior parte dei medici ha per obiettivo un tasso di co­lesterolo di 200 mg per cento nei propri pazienti. Anche il mio è compreso tra 180 e 200 mg per cento, ma non è inferiore al limite minimo. Alcuni medici, tuttavia, respingono del tutto l'esistenza di un limite inferiore, in quanto ritengono che minore è il colesterolo, meglio staranno i loro pazienti, e li incoraggiano così a raggiungere i valori più bassi possibili. Secondo me non si tratta di una posi­zione molto ragionevole. Valori estremamente bassi di colesterolo richiedono di solito una fedeltà a un regime dietetico e/o farmaco­logico che, nell'arco di un lungo periodo di tempo, si rivela poco pratico o sgradito per la maggioranza degli individui, cosicché alla fine questi finiscono col lasciare perdere tutto, disgustati e frustrati. C'è poi un sottofondo di sospetto che quando il tasso di colesterolo si abbassi troppo, finisca con l'aumentare il rischio di cancro dell'in­testino, anche se le prove di questa associazione non sono affatto documentate. Di più, un recente rapporto suggerisce l'ipotesi che i bassi livelli di colesterolo riscontrati in alcuni pazienti affetti da cancro dell'intestino sono una prova della presenza del cancro, non la causa. Ma in ogni caso, perché sfidare il destino? Se riuscite a mantenere il vostro tasso di colesterolo tra 180 e 200, consideratevi fortunati e non andate a sfidare la sorte!

Di recente si è anche molto parlato di altre anormalità del san­gue oltre a quella del colesterolo che indicherebbero una certa vul­nerabilità all'arteriosclerosi. I più noti di questi indicatori sono l'Hdl, l'Ldl e le apolipoproteine. Ma che cosa sono?

L'Hdl (proteine ad alta densità) e l'Ldl (proteine a bassa densità) sono proteine a cui si aggancia il colesterolo nella circolazione san­guigna. Il loro compito è di trasportare le molecole di colesterolo nella circolazione; possono insomma essere considerate delle specie di « canoe» su cui il colesterolo fa la parte del « passeggero ». Il valore di colesterolo totale comprende la quantità di colesterolo legata sia all'Hdl che all'Ldl. Ma l'H dI fa bene, più si hanno di que­ste proteine, meglio sta l'organismo, mentre per l'Ldl è vero proprio il contrario. Quando la « canoa» dell'Hdl si avvicina a una parete arteriosa col suo « passeggero » di colesterolo si vede rifiutare il per­messo di sbarco. Il « passeggero » non scende così dalla canoa. In altre parole il colesterolo rimane in soluzione all'interno del flusso

sanguigno, e fintanto che non penetra nelle pareti dei vasi sanguigni per formare le placche, non fa alcun danno. L'Hdl non solo si tiene il suo colesterolo, ma arriva addirittura a risucchiame una parte già . presente nelle arterie cosicché, almeno in via teorica, riduce le dimensioni della placca. Per queste ragioni, anche se il tasso di cole­sterolo nel siero è più alto di quanto vorremmo vedere, potreste an­che non subime danno alcuno fintanto che risulta elevato il valore dell'Hd1. Il dato importante quindi è il rapporto colesterolo/Hdl (detto fattore rischio) che non dovrebbe essere superiore a 5. Più questo rapporto è basso, tanto meglio sarà per tutti. Per esempio, un individuo con un tasso di colesterolo di 270 mg per cento (che è alto) ma con un Hdl di 90 ha un rapporto di 270/90, ossia 3. Un valore di colesterolo di 220, invece, con un Hdl di 22 vi darà un rapporto di 10 che è veramente troppo alto. In questo caso, starete certo meglio, almeno in via teorica, con un tasso di 270 che con uno di 220. Quindi, partendo da un ideale valore massimo di 200 mg per cento di colesterolo, i valori dell'Hdl dovrebbero essere supe­riori a 40.

A differenza dell'Hdl, invece, la « canoa» dell'Ldl scarica pron­tamente il suo « passeggero» di colesterolo nella parete arteriosa dove esso contribuisce alla formazione di placche e alla riduzione del calibro dei vasi sanguigni. Perciò, più è alto il valore dell'Ldl, peggiori sono le condizioni in cui vi trovate.

Permettetemi ora un accenno all'apolipoproteina B (apo B) che potrebbe rivelarsi il più importante dei nuovi « indicatori» in grado di individuare la vulnerabilità alle coronaropatie, un indicatore più sensibile della quantità di colesterolo contenuto nel sangue e forse di valore prognostico superiore perfino allivello dell'Hdl. L'apo B è una proteina che si trova presente nell'involucro del «cattivo» Ldl e che non può essere identificata dalle attuali tecniche che misu­rano i livelli di Hdl, Ldl e colesterolo. Ora finalmente il fenomeno dell'apo B potrà spiegare perché tantissimi individui con tassi di colesterolo normali e perfino bassi vengono colpiti da cardiopatie di origine arteriosclerotica, mentre altri con tassi alti ne sono immu­ni. Studi recenti hanno messo in luce che gli individui con un alto apo B costituiscono un rischio prevedibile di attacchi cardiaci indi­pendentemente da altri parametri lipidici, colesterolo compreso. In un interessante studio condotto sui bambini di famiglie con alta in­cidenza di cardiopatie premature, quelli con maggiori quantità di apo B hanno finito per andare incontro a forme premature di arte­riosclerosi, e questo indipendentemente dai livelli di colesterolo, mentre coloro che avevano valori normali o bassi, no. Questo vuoI dire che quando si riuscirà a mettere a punto un metodo accurato e economico di misurazione dell'apo B, questo potrà diventare il test di routine al posto degli esami del colesterolo e di altro genere oggi in auge.

Importante è anche la percentuale totale dei grassi nella dieta: non più del 30% delle calorie dovrebbero provenire da grassi.

Noi abbiamo la tendenza a pensare che i grassi saturi che si tro­vano nelle bistecche più succulente, nel burro, nel rosso delle uova, nei prodotti lattiero-casearl e in certi crostacei portino all'arterio­sclerosi e, ultimamente, anche a certe forme di cancro. I ricercatori che si occupano però dell'udito sono ora convinti che una dieta ricca di grassi acceleri anche il processo di presbiacusia. Il dottor Samuel Rosen, un mio vecchio amico morto di recente e una delle più famose autorità d'America sulle malattie degli orecchi, aveva valutato il possibile impatto dei diversi fattori ambientali sull'udito in molti paesi di diversa civiltà. Cosi in uno studio condotto in Finlandia (dove la dieta è ricca di grassi saturi) era riuscito a sta­bilire una relazione tra presbiacusia e il tasso di grassi nel sangue. Più i grassi erano presenti nel sangue, insomma, minore era la qualità dell'udito. E aveva inoltre messo in luce che quando i grassi venivano ridotti, l'udito migliorava in modo significativo. Altri stu­di condotti negli Stati Uniti hanno poi confermato questa reversi­bilità. Visto quindi che la riduzione dei grassi porta a evidenti benefici cardiaci, sembra ragionevole raccomandare la stessa dieta per ridurre contemporaneamente i rischi della sordità.

 

 

Due persone su dieci, dopo i sessant'anni, divengono gravemente invalide per una emorragia cerebrale (ictus). Cosa posso fare per prevenirlo?

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il colpo apoplettico

Un colpo apoplettico non è un infarto, come pensa molta gente. Questo termine si riferisce invece al danno subìto da una parte del cervello .: Qualsiasi processo che interferisce con l'afflusso di san­gue al cervello, o addirittura lo interrompe, può originare un colpo apoplettico. I tessuti nervosi infatti sono molto sensibili e richiedono un nutrimento costante, fornito da una rete di arterie che corrono sopra la superficie del cervello e penetrano in profondità al suo interno. In questa rete di vasi sanguigni può in pratica succedere qualsiasi incidente. Le modalità poi con cui si manifesta un colpo apoplettico, paralisi, perdita della parola, cecità, coma e perfino morte, dipendono innanzi tutto dalla causa che ha provocatol'at­tacco, poi dalla particolare zona del cervello che ne è stata colpita e infine dalla quantità di tessuto rimasto lesionato.

 

formazione di coaguli nelle arterie del cervello

Spesso si dice in termini popolari che la trombosi, o l'ostruzione di un'arteria a opera dell'arteriosclerosi, si verifica quando « arrug­giniscono i condotti (vascolari) ». Quando questo processo si veri­fica nel cuore si ha l'infarto (attacco cardiaco). Se nelle gambe, in­vece, insorgono dolori durante la deambulazione. Quando ne sono colpiti gli occhi, può sopravvenire la cecità; nei reni, si verifica la ritenzione delle scorie metaboliche e cosi via per ogni altro organo o tessuto del nostro corpo. Nel cervello, la trombosi provoca il colpo apoplettico.

Nella maggior parte dei casi di apoplessia cerebrale, non riuscirete neppure a capire cos'è stato che vi ha colpito. I segni d'allar­me si verificano solo in meno di un quarto dei casi e sono chiamati «attacchi ischemici transitori» (Ait). Questi sono caratterizzati dall'intorpidimento di un arto (di breve durata), da uno stato di de­bolezza, da impaccio nel discorso, O da sdoppiamenti di vista. Di solito però capita di sentire dire dal paziente: «Ecco, ero lì che stavo guardando la tèlevisione »  (o parlando con la moglie o col marito o cenando) - « quando all'improvviso mi è venuto un mal di testa. Questo è durato per un paio d'ore, poi mi sono accorto che non riuscivo più a muovere il braccio destro» - (o la gamba sinistra, oppure non riuscivo più a parlare o a tenere in mano la forchetta). - « E pensare che fino a quel momento stavo perfetta­mente. » Naturalmente, questi individui non stavano affatto «per­fettamente » ... Lo. credevano solo. Se per qualche ragione infatti gli avessi fatto qualcuno degli esami atti a valutare la circolazione ce­rebrale, avremmo visto evidenti segni di stenosi (cioè restringimen­to di un vaso sanguigno) in qualche punto della circolazione arte­riosa del cervello.

Se l'arteria colpita da trombosi è piccola, o si tratta solo di un ramo secondario di un vaso sanguigno di maggiori dimensioni, la zona danneggiata del cervello sarà anch'essa piccola. In tali casi la ripresa sarà molto probabilmente veloce e totale. Ma più è grande l'arteria, più gravi sono i sintomi e maggiore il rischio di una inva­lidità permanente o della morte.

 

quando le arterie cerebrali scoppiano

Il colpo apoplettico può anche verificarsi quando improvvisamente una delle arterie cerebrali esplode (invece di richiudersi gradual­mente). Questa rottura di solito ha luogo dopo anni di ipertensione non curata, quando il sangue dopo aver pulsato senza sosta e con sempre maggiore pressione contro le pareti delle arterie di tutto il corpo ha finito con l'indebolirle. A un certo punto, uno di questi vasi sanguigni scoppia all'improvviso e quando ciò avviene nel cer­vello, i sintomi sono istantanei e il sangue si riversa dal vaso lace­rato nei tessuti circostanti (a differenza del mal di testa avvertitore che precede di diverse ore il colpo apoplettico da «trombosi »). Se il paziente poi sopravvivrà o meno, e la qualità di vita che potrà condurre, dipenderà dalle dimensioni del vaso sanguigno lesionato e dal punto in cui la lesione si è verificata. .

Le arterie cerebrali possono scoppiare anche nelle persone con pressione sanguigna normale, ma che sono nate con una arteria dalle pareti congenitamente deboli. La rottura è associata all'improvviso scatenarsi di un terribile mal di testa, paralisi e spesso morte. Qual­che volta, però, i sintomi premonitori permettono di effettuare la diagnosi prima della rottura. In tal caso un intervento chirurgico d'emergenza può salvare la vita al paziente, come è successo appun­to nel caso che segue.

Un giorno mi fu indirizzata una donna sulla trentina perché va­lutassi la gravità del murmure cardiaco che le aveva individuato il suo medico di famiglia. Dalla visita da me effettuata e dall'ecocar­diogramma risultò la presenza di un prolasso della valvola mitrale, un difetto del funzionamento delle cuspidi della valvola mitrale posta sul lato sinistro del cuore che. nella gran maggioranza dei casi, non limita né in­terferisce minimamente con lo stile di vita del paziente.

Qualche mese dopo, il medico della donna mi telefonò di nuovo per dirmi che la sua paziente era stata colpita nelle ultime due set­timane da un forte mal di testa continuo. Il suo parere era che si trattasse di un'emicrania (un sintomo spesso associato al prolasso della valvola mitrale), ma mi chiese se ero disposto a visitarla. Quando lo feci, la descrizione dei sintomi fatta dalla donna non corrispondeva affatto a quella di un'emicrania. Per esempio non c'era nessuna «aura» o costellazione di sintomi che di solito precede un'emicrania. Inoltre il mal di testa non la colpiva da una parte sola, come succede di norma in tali casi; non c'era nessuno dei di­sturbi visivi collaterali e non c'erano né nausea né vomito. C'è da aggiungere inoltre che l'emicrania associata al prolasso della valvola mitrale di solito comincia a manifestarsi ancora in giovane età, al di sotto dei vent'anni. Il mal di testa della paziente invece era acce­cante, le colpiva tutta quanta la testa e, anche se nel corso delle due settimane precedenti si era leggermente calmato, in effetti non era mai cessato.

Quando la visitai, mi dette l'impressione di una persona ben più malata di una donna che soffre di semplice emicrania. Quando le chiesi di posare il mento sul petto mentre era sdraiata sulla schie­na, non le riuscì di farlo per via dei dolori che il movimento le procurava. Questo segno di irritazione meningea è dovuto di regola o a infezione o a emorragia cerebrale.

A quel punto ricoverai d'urgenza la paziente in ospedale dove fu immediatamente visitata da un neurologo e gli appositi esami rive­larono che la donna presentava un'emorragia nel tessuto cerebrale. Per fortuna non si trattava di una emorragia massiccia, ma solo di un sottilissimo rivolo di sangue, che se però non fosse stato curato avrebbe probabilmente provocato la morte della paziente. Nel no­stro caso fummo così fortunati da avere tutto il tempo di operare e riparare quell'aneurisma congenito (indebolimento della parete di un'arteria cerebrale) per cui le salvammo la vita. (Il prolasso della valvola mitrale era un falso allarme.)

 

coaguli in movimento

Naturalmente ci sono ancora altre cause di apoplessia. Un'arteria cerebrale può essere ostruita da un coagulo di sangue la cui origine si trova in altro punto della circolazione. Anche in questo caso le prospettive dipendono dalle dimensioni dell'arteria in cui si trova il coagulo (embolo). Un grumo di grosse dimensioni in una delle principali arterie provoca disastri, ma quando il frammento è minu­scolo e il vaso sanguigno in cui finisce è piccolo, i sintomi neuro­logici prodotti sono minimi e dopo qualche giorno si risolvono. Que­sto evento deve tuttavia servire d'allarme perché indica che potreb­bero esserci anche altri coaguli per strada. A proposito, questi em­boli viaggiano sempre all'interno delle arterie. Non dovete temere quindi" di subire un'embolia cerebrale a causa di un coagulo (trom­bo) presente nelle vene varicose delle gambe, perché tale trombo finirà nei polmoni, non nel cervello.

Gli emboli che raggiungono il cervello possono avere origine da diversi punti in seguito a una vasta gamma di condizioni. Può capi­tare, per esempio, che un cuore già in precedenza danneggiato dalla febbre reumatica possa originare un'irregolarità cronica del ritmo chiamata fibrillazione atriale. Quando ciò si verifica, si possono for­mare coaguli all'interno dell'atrio sinistro ingrandito (l'atrio è la piccola cavità che si trova al di sopra del ventricolo sinistro, il qua­le è la pompa del cuore). Quando un frammento di questo coagulo raggiunge il ventricolo sinistro e finisce nella circolazione, potrà in

pratica depositarsi in qualsiasi parte del corpo: nell'occhio, provo­cando la cecità; nella milza, provocando dolori; nei reni, danneg­giandoli; o nel cervello, provocando un colpo apoplettico. Come po­trete vedere qui .ntto, queste embolie possono essere spesso preve­nute mediante la sommlnistrazlone a lungo termine di anticoagu­lanti.

Oggi ormai i chirurghi hanno raggiunto un livello di grande espe­rienza nella sostituzione delle valvole con deformazioni congenite o danneggiate dalla febbre reumatica. La valvola malata, che non si apre completamente o che lascia filtrare il sangue dopo che avrebbe dovuto richiudersi in maniera ermetica, viene asportata e sostituita con una « artificiale », la maggior parte delle quali è fatta di metallo o plastica. Alcune però sono coperte da un tessuto ricavato da altre specie animali, e di queste il miglior esempio è quello della valvola di maiale. I trapianti con questo tipo di valvole del primo tipo sono detti eterotrapianti, mentre si chiamano omotrapianti quelli effet­tuati con valvole di tessuto umano. Sono detti infine autotrapianti quelli che fanno ricorso a tessuti dello stesso paziente. Queste val­vole artificiali funzionano bene e grazie al loro meccanismo di aper­tura e chiusura al momento giusto permettono di salvare la vita al paziente. Purtroppo i vari frammenti più o meno grossi dei costi­tuenti solidi del sangue possono aderire a varie porzioni delle val­vole cardiache, specialmente di quelle degli eterotrapianti, per poi staccarsi più tardi, raggiungendo il cervello e provocando un colpo apoplettico. Anche in questo caso può risultare efficace (anche se non totalmente) un'idonea terapia anticoagulante.

L'embolia cerebrale può verificarsi anche in altre circostanze, sem­pre prevedibili, come si vede dal caso che segue.

 

il caso di martin

Ecco il racconto del dott. Rosenfeld sul caso di Martin.

Martin F. era un uomo di settant'anni che amava ripetere a tutti coloro che erano disposti ad ascoltarlo che lui lavorava sodo, si di­vertiva intensamente e amava la buona tavola. « Non sono mai stato malato un solo giorno in tutta la mia vita» era la sua frase prefe­rita. Le uniche volte che venne da me era per farsi fare alcune vac­cinazioni prima del solito viaggio all'estero che faceva ogni anno o per farsi visitare per poter stipulare una polizza d'assicurazione sul­la vita. Un giorno di giugno lui e la seconda moglie. più giovane, erano in partenza per l'Europa e non facevano mistero delle loro intenzioni: intendevano fare una crociera gastronomica attraverso tutta la Francia.

Così partirono con un aereo dell'Air France ("dove potrò comin­ciare subito a entrare nello spirito francese") aspettandosi al massi­mo di mettere su qualche chilo in più da quel viaggio. Ma arrivia­mo subito al punto di questa storia. Dopo sei giorni di follie gastro­nomiche e di buoni vini, Martin ebbe un attacco cardiaco.

Così passò due settimane in un ospedale di Nizza e qualche gior­no dopo tornò a casa in aereo.

Poco dopo il suo rientro negli Stati Uniti, mi telefonò in studio per fissare un appuntamento e portò con sé tutti gli elettrocardio­grammi e i risultati degli esami di laboratorio effettuati in Francia. Mi disse anche che aveva provato dolori ricorrenti e senso d'oppres­sione al torace prima di consultare un medico. Lo visitai e scoprii che, anche se era sopravvissuto all'infarto, il suo cuore era rimasto considerevolmente danneggiato. (Non appena viene diagnosticato un attacco cardiaco, si fa di tutto per limitare la distruzione del muscolo cardiaco e tra le varie cose si cerca di ridurre il lavoro del cuore limitando l'attività fisica, somministrando ossigeno e farmaci appropriati, tutte cose però che Martin non aveva ricevuto proprio quando ne aveva avuto più bisogno. Lui, è vero, aveva superato bene l'attacco cardiaco, ma la porzione di muscolo cardiaco che era stata danneggiata era adesso molto sottile, e si deformava all'in­fuori ogni volta che il cuore si contraeva.)

Non rividi più Martin per quattro mesi, perché continuava ad an­nullare gli appuntamenti fissati. « Sto benissimo. Quell'infarto è fi­nito in niente. Devo essere veramente forte per essergli sopravvissu­to senza cure» diceva.

Poi un giorno ricevetti alle sei del mattino una telefonata isterica dalla moglie di Martin: « Dottore, non riesco a svegliarlo. Credo sia morto ». Purtroppo la donna aveva ragione. Mi chiesi quali potesse­ro essere le cause della morte. Forse un'improvvisa alterazione del ritmo cardiaco che a volte si verifica anche settimane o mesi dopo un grave infarto? O l'aneurisma cardiaco sopravvenuto era alla fine scoppiato, procurandogli una morte istantanea? O Martin aveva semplicemente avuto un altro infarto, questa volta di rilevanti pro­porzioni e istantaneamente fatale? Ebbene, nessuna di queste cau­se possibili fu quella vera. Il medico legale chiese un'autopsia e la causa della morte si rivelò essere stata un colpo apoplettico di rile­vanti proporzioni. All'interno della tunica muscolare danneggiata si era formato un coagulo di sangue, o aneurisma, che aveva provoca­to l'attacco cardiaco. Questo era successo perché quando una porzio­ne di muscolo cardiaco è lesionata, questa non si contrae più nor­malmente, il sangue turbina al suo interno e non viene più espulso come dovrebbe, cosicché all'interno si possono formare coaguli. Que­sti coaguli sono però friabili e, nel caso di Martin, un minuscolo frammento staccatosi da un coagulo era stato pompato nel cuore da dove aveva poi raggiunto l'arteria carotide sinistra e lì si era depo­sitato interrompendo l'afflusso di sangue al cervello. Il risultato: un improvviso e massiccio colpo apoplettico che aveva procurato una morte istantanea. Fra un momento vedremo come quest'evento si sarebbe però potuto prevenire.

 

Dicevamo che gli emboli, o coaguli vaganti, che possono provo­care apoplessia, possono avere origine dal cuore in certi pazienti che già hanno subìto un infarto. In effetti non è neppure necessario che si sia formato un aneurisma, anche se ci sono maggiori probabilità che gli emboli si formino dopo tale evento. E gli emboli possono formarsi all'interno della cavità cardiaca anche in presenza di un infarto miocardico privo di complicanze, per poi staccarsi dal cuo­re e finire col depositarsi nel cervello.

C'è poi ancora un'altra condizione, molto sfuggente e ingannevo­le, e spesso non diagnosticata, che può sfociare in un colpo apoplet­tico. Ed è proprio questa che capitò a un altro mio paziente. Questi era un uomo di sessantaquattro anni che aveva sofferto per anni di leggera ipertensione, tenuta però sempre sotto stretto controllo. Improvvisamente quest'uomo divenne cieco d'un occhio. E quando di­co improvvisamente, intendo dire che un istante prima era li che leggeva il giornale, e un istante dopo, la metà superiore del suo campo visivo era completamente oscurata, per l'occlusione di un vaso sanguigno dietro un occhio. L'ultima volta che si era fatto vi­sitare era stato circa due anni prima, quando non gli avevo riscon­trato nulla che lo indicasse quale probabile candidato per quel tipo di disturbo. Questa volta però, quando gli auscultai il collo con lo stetoscopio, avvertii quello che noi chiamiamo un « bruit », un ter­mine francese che vuoI dire « rumore », al di sopra delle grandi ar­terie carotidi che salgono a lato del collo. Inoltre, quando cercai di sentirgli il polso in queste stesse carotidi, lo trovai assai ridotto di volume. Che cosa fare quindi di fronte a questa constatazione con un paziente che non presenta sintomi è stato sempre oggetto di diatriba tra i medici, che nel corso degli anni hanno finito per dividersi in due gruppi, uno che sostiene l'opportunità dell'intervento chirur­gico e uno che lo sconsiglia. In generale la maggior parte dei neu­rologi ha finito per concordare che, fintanto che il paziente si sente bene e non presenta sintomi neurologici di sorta, è meglio interveni­re coi farmaci e non per via chirurgica. Di contro, i neurochirurghi e i chirurghi vascolari raccomandano di solito di allargare il lume dell'arteria incriminata, dal momento che il rumore che si percepi­sce sopra di essa è dovuto al sangue che scorre in una porzione ri­stretta del vaso sanguigno.

E affermano che la placca che riduce l'afflusso può frammentarsi, seminando i pezzetti lungo tutto il per­corso di modo che possono alla fine raggiungere varie parti del cer­vello e provocare così un colpo apoplettico. Concludono quindi che se il paziente è in condizioni di tollerare l'operazione, è bene che vi venga sottoposto. Oggi, fortunatamente, non dobbiamo più tirare a indovinare sulla presenza della placca, il punto in cui è situata o le sue dimensioni. Grazie a tecniche che sono allo stesso tempo sem­plici, sicure e indolori, siamo in grado di determinare con grande precisione se è il caso o meno di operare. Tra queste procedure figu­rano la tomografia computerizzata o un apparecchio di Doppler che registra la velocità del flusso attraverso un vaso sanguigno. Que­st'ultimo ci permette di calcolare il calibro dell'arteria in qualsiasi punto. L'estensione e la collocazione dell'ostruzione possono poi es­sere ulteriormente accertate iniettando un mezzo di contrasto, non nelle arterie del collo, come facevamo fino a qualche anno fa, ma in una vena (una tecnica chiamata angiografia intravenosa digitale, Diva). Questo mezzo di contrasto raggiunge le arterie in questione e ne permette la visualizzazione. Se il mio paziente fosse venuto a farsi visitare da me nel corso degli ultimi due anni e io avessi rile­vato il suo bruit, l'avrei sottoposto a tutta una serie di accertamenti per vedere se aveva bisogno di questa operazione o se sarebbe ba­stata una terapia di anticoagulanti. In un caso e nell'altro, avremmo probabilmente ridotto il rischio di un colpo apoplettico.

Questa volta, pur essendo già tardi, decisi di vedere lo stesso se c'era la possibilità di impedire per via chirurgica che si veri­ficasse un'altra embolia in qualche altra parte del cervello. Cosi mentre stavamo approntando i vari esami da fare, gli prescrissi dell' Aspirina da prendere tutti i gìomi, Poi effettuammo gli esami Doppler e Diva che mostrarono una stenosi di rilevanti propor­zioni di entrambe le arterie. carotidi in punti facilmente raggiun­gìbìlì dal chlrurgo, Dal punto in cui erano situate queste placche e dalle loro dimensioni era chiaro che quest'uomo correva un gra­ve rischio di un improvviso e massiccio colpo apoplettico. Così il paziente fu sottoposto a intervento chirurgico, che fu effettuato senza complicazioni, e oggi gode ancora di buona salute, fatta ec­cezione per la parziale cecità dell'occhio sinistro.

Questa esperienza sottolinea l'importanza del fatto che l'afflusso di sangue al cervello può essere gravemente compromesso da im­portanti malattie vascolari e che il disastro di un colpo apoplettico può essere prevenuto grazie a visite a intervalli regolari, alla dia­gnosi precoce e a un efficace intervento di tipo farmacologico o chirurgico.

 

come il cuore può influire sul cervello

Per concludere, il colpo apoplettico può verificarsi negli anziani an­che in un altro insieme di circostanze, in assenza di coaguli, di emorragie e di emboli. Ricordate che il cervello ha bisogno di un costante rifornimento di sangue per portare avanti le sue delica­tissime funzioni. Questo rifornimento può ridursi al di sotto del livello critico se il cuore non riesce, anche solo per breve tempo, a pompare una quantità di sangue sufficiente. Ciò ha soprattutto buone probabilità di verificarsi in un individuo anziano che avverte all'improvviso un'alterazione del ritmo cardiaco, vale a dire che il cuore si mette a battere o troppo in fretta o troppo lentamente. A ogni modo, la quantità di sangue che viene espulsa durante que­sto tempo risulta drasticamente ridotta, provocando un « minicolpo apoplettico» (che non è poi tanto mini). Ecco perché quando viene ricoverato un paziente colpito da un recente « minicolpo », Ait (at­tacco ischemico transitorio) o da qualsiasi altro evento neurologico temporaneo, noi effettuiamo sempre 1. una visita neurologica com­pleta, 2. ascoltiamo l'eventuale presenza di bruit sulle arterie del collo, 3. facciamo una tomografia computerizzata del cervello per vedere se è rimasto danneggiato del tessuto ed eventualmente la sua estensione, 4. registriamo un ecocardiogramma, alla ricerca delle eventuali « vegetazioni» che potrebbero essersi distaccate da una valvola cardiaca e aver raggiunto il cervello e 5. registriamo un elettrocardiogramma alla ricerca di tracce di un recente attacco cardiaco o di alterazioni del ritmo. Se il secondo è normale, 6. ef­fettuiamo di solito un monitoraggio Holter per ventiquattro ore o, in ambulatorio, un tracciato per cercare segni di irregolarità car­diache che potrebbero essere responsabili dei sintomi. Quando vie­ne poi identificata una tale aritmia, abbiamo a nostra disposizione farmaci che ci permettono di impedirne la ricorrenza.

 

come prevenire il colpo apoplettico

Adesso che avete sentito la parte più brutta della storia, e cioè come si verificano i colpi apoplettici, ascoltate però anche la parte mi­gliore, cioè come si possono prevenire. Avrete notato che il sotto­titolo di questo capitolo era « Come fare per non sbagliare ». Ho aggiunto questa specificazione, perché qui negli Stati Uniti e in molti altri paesi l'incidenza del colpo apoplettico è andata visto­samente calando in questi ultimi trentacinque anni (eccetto in Giap­pone, dove è al primo posto come causa di morte, probabilmente a causa dell'alto contenuto di sale della dieta). E questa tendenza all'ingiù continua.

In merito a questo trend positivo ci sono diverse spiegazioni. La maggior parte dei medici ritiene che tutto ciò sia il risultato del­le ricerche fatte sull'ipertensione e di conseguenza delle sue mi­sure preventive. Un'altra teoria sostiene che il merito è del minore consumo di sale dovuto al sempre più diffuso ricorso ai frigoriferi che ha portato di conseguenza a un meno frequente utilizzo del sale come conservante. E' stato perfino ipotizzato che il calo di mor­talità per apoplessia abbia origine dal maggiore consumo di vita­mina C e riboflavina presenti nella frutta e nelle verdure che con­sumiamo oggi in maggior quantità.

Nonostante questo indubbio calo di mortalità, è pur sempre vero che ogni anno negli Stati Uniti si verificano quattrocentomila casi di apoplessia di cui la metà con esito fatale. Due milioni di americani sono sopravvissuti ai colpi apoplettici, ma alcuni di loro sono ridotti in condizioni non proprio brillanti.

 

come prevenire il colpo apoplettico dovuto a trombosi

Su come prevenire la trombosi si parla più a fondo nel capitolo dedicato agli attacchi cardiaci. A mio parere la cosa più importante è smettere di fumare sigarette. Se voi siete particolarmente preoc­cupati dalla possibilità di un colpo apoplettico perché molti dei vo­stri parenti di sangue ne hanno sofferto, la miglior misura preven­tiva che potete prendere per proteggervi è di smettere di fumare. Il 12 aprile 1960 ebbi l'occasione di apprendere una lezione che mi indusse a buttare via immediatamente le sigarette e a non tor­nare mai più a fumare. Mia moglie e io stavamo dando una dimo­strazione dell'elettrocardiogramma radiotelemetrato che a quei tempi era una tecnica del tutto nuova. II prototipo di apparecchio da noi impiegato era stato messo a punto dalla Nasa e fissato sulle scim­mie che venivano messe in orbita. Grazie a questo apparecchio era cosi possibile trasmettere l'elettrocardiogramma dallo spazio e cap­tarlo coi radioricevitori di Houston. lo ero particolarmente interes­sato alla radiotelemetria per il monitoraggio di pazienti che avevano subito attacchi cardiaci e anche perché tale tecnica ci permetteva di effettuare una prova di sforzo con pazienti non collegati diret­tamente all'elettrocardiografo. Cosi quella volta ci trovavamo in un grande auditorium. Mia moglie stava al ricevitore mentre io pas­seggiavo a qualche centinaio di metri di distanza con indosso il mio radiotrasmettitore elettrocardiografico e fumando una sigaret­ta. A un certo punto, alcuni medici che presenziavano all'esperi­mento fermarono lo schermo dell'oscilloscopio e attirarono l'atten­zione di mia moglie sul fatto che erano chiaramente visibili nume­rose extrasistoli.

« Chi è il soggetto? » chiesero a mia moglie. « Mio marito » rispose lei.

« Davvero? Ed è malato? »

« No, affatto. » Poi mia moglie venne a cercarmi e mi portò alla stazione base per dare un'occhiata alle premature contrazioni regi­strate sul mio tracciato. Ebbene, queste contrazioni comparivano ogni volta che inalavo il fumo della mia sigaretta.

Al banco vicino al nostro c'era un altro medico che era interes­sato invece alla valutazione della circolazione nelle estremità, il quale aveva messo a punto una manichetta che si infilava sul dito ed era in grado di misurare la quantità di sangue che fluiva all'interno dei minuscoli vasi sanguigni che alimentavano le punte delle dita. Questo medico propose allora di verificare l'impatto del tabacco sul flusso sanguigno digitale. Così mi applicò la manichetta attorno al dito indice, misurò il flusso in condizioni normali, poi mi fece inalare a fondo. Quando lo feci, il volume di sangue nel dito calò drammaticamente. « Questo minore afIlusso di sangue nelle dita» mi disse il collega « si verifica anche nel cuore, nel cervello e in ogni punto del corpo in cui fluisce il sangue. » Per me quelle prove furono più che sufficienti. Le extrasistoli abbinate alla dimi­nuzione della circolazione che sopravvenivano ogni volta che tiravo una boccata di sigaretta, mi convinsero definitivamente a prendere di tasca il pacchetto appena aperto e a gettarlo nel cestino dei ri­fiuti. E da allora non ho più fumato una sigaretta.

Due parole adesso sulla dieta. Da tempo ormai vado consigliando ai miei pazienti, e specialmente a quelli con alto tasso di colesterolo, di ridurre il consumo di colesterolo e di lipidi totali. I dati più recenti indicano in modo più che convincente, che presentiate o meno tracce di ar­teriosclerosi (attacco cardiaco, colpo apoplettico, eccetera), che l'ef­fettiva riduzione del colesterolo mediante la dieta e/o i farmaci ab­bassa effettivamente le probabilità di venire colpiti da qualche even­to vascolare, tra cui la trombosi cerebrale.

lo sono un sostenitore del « peso forma» e dell'« esercizio fìsìco » perché sono due elementi che vi fanno sentire bene e vi fanno ap­parire più sani, ma in tutta franchezza non me la sento di soste­nere che servono effettivamente a ritardare il processo di arterio­sclerosi e non sono a conoscenza di dati che confermino come uno stile di vita definibile « sano» in base ai due suddetti elementi in­fluisca minimamente sull'incidenza del colpo apoplettico.

Se la vostra pressione sanguigna è alta, bisogna abbassarla ... con la dieta (minor consumo di sale e maggior consumo di calcio e potassio, e diminuzione di peso); con altre tecniche non farmaco­logiche (rilassamento, meditazione e biofeedback); e se tutto il resto non funziona, coi farmaci.

Supponiamo, allora, che abbiate vissuto sempre in maniera sana in relazione alla prevenzione della trombosi e che la cosa non abbia funzionato. Così un giorno, senza nessuna ragione evidente, vi ac­corgete che parlate in modo ingarbugliato e, guardandovi allo spec­chio, . vi accorgete che la bocca è sbilenca e che quando tirate fuori la lingua anch'essa ricade nella stessa posizione. Andate dal medico e questi conferma la diagnosi del colpo apoplettico. Questi sintomi durano tre o quattro giorni, poi, più o meno spariscono. Dico « più o meno» perché, anche se riuscite a muovere mani e piedi in modo normale e nessun estraneo sarebbe in grado di intuire che vi è successo qualcosa, la vostra calligrafia è rimasta un po' tremolante e voi non vi sentite del tutto a posto. Comunque siete soddisfatti che quelli che noi chiamiamo i « postumi» del colpo apoplettico siano minimi. Adesso la vostra principale preoccupazione è di pre­venire una ricaduta. Naturalmente sto partendo dal principio che l'apoplessia sia da imputarsi a trombosi e non a emorragia, a coa­gulo sanguigno o ad aritmia. Che cosa fare allora? Be', per prima cosa dovrete raddoppiare l'attenzione prestata al controllo dei fat­tori di rischio. Se in precedenza avete accettato un compromesso limitandovi a ridurre il numero delle sigarette o a passare alla pipa o ai sigari, dovrete dire addio al tabacco in qualsiasi quantità e sotto qualsiasi forma.

E gli anticoagulanti? Il fatto di fluidificare il vostro sangue dopo un colpo apoplettico può aiutarvi a prevenirne un secondo? La maggior parte dei neurologi ritiene di no. Una volta che un par­ticolare vaso sanguigno si è occluso, per esso non c'è più niente da fare. I sintomi hanno fatto il loro corso, e anche se possono passare mesi prima che sappiate con precisione qual è la portata della vostra invalidità permanente, sempre che tale invalidità ci sia, il colpo apoplettico in sé si è esaurito, è finito.

L'Ait (attacco ischemico transitorio), invece, in cui i sintomi durano solo per qualche istante o poche ore e poi scompaiono com­pletamente, è un avvertimento che vi dice che il peggio può ancora venire. Il vaso sanguigno è solo in parte occluso. E la gran parte dei medici ritiene che in queste circostanze sia giustificato il ri­corso a qualche tipo di anticoagulante.

Purtroppo gli anticoagulanti stessi non sono privi di rischi. n più grave dei quali è il pericolo di emorragia interna, specialmente se sono stati presi abbinati ad altri farmaci che intensificano il loro potere diluente del sangue o se avete. precedenti di emorragie in qualsiasi punto del corpo o un'ulcera o soffrite di ipertensione.

Così io personalmente consiglio ai miei pazienti che hanno avuto un Ait di prendere come anticoagulante il warfarin per tre o quat­tro mesi, per poi passare all'Aspirina in piccole dosi, 80 mg al giorno (dose pediatrica). Il trattamento a base di Aspirina lo faccio continuare indefinitamente. Attenzione, però, chiunque abbia sofferto di Ait farà bene a sottoporsi a esami per accertare se c'è la possibilità che nell'arteria carotide ci siano plac­che correggibili per via chirurgica che diano origine a emboli.

Prescrivo però lo stesso Aspirina, mezza compressa al giorno, an­che nel caso che il colpo apoplettico sia stato completo e non un semplice Ait, nell'eventualità che ci sia una o più arterie malate che potrebbero provocare disturbi in futuro.

Probabilmente avrete anche sentito parlare dell'impiego del. di­pìrìdamolo, meglio conosciuto col suo nome commerciale di Per­santin. « Aspirina e Persantin » sono due termini che assieme ven­gono usati quasi con la stessa frequenza con cui si parla di « burro e marmellata ». Tutti e due questi farmaci hanno effetto sulla « visco­sità » del sangue agendo sulla funzione piastrinica. Le piastrine so­no minuscoli elementi presenti nel sangue responsabili di uno dei diversi meccansimi che sovrintendono alla normale coagulazione. Sia l'Aspirina che il dipiridamolo interferiscono con questa fun­zione, ma agendo in modo diverso. La maggior parte dei medici continua a prescrivere entrambi ogni volta che ne deve sommini­strare uno, e questo sebbene non ci siano prove che aggiungendo il dipiridamolo all'Aspirina ci sia qualche differenza. Il dìpìrìda­molo però è particolarmente utile quando un paziente non è in grado di tollerare l'Aspirina per qualche ragione (precedenti di ul­cera sanguinante, attacchi d'asma imputabili a sensibilità all'Aspi­rina) e abbisogna di terapia antipiastrinica.

 

il trattamento dell'ipertensione per prevenire l'emorragia cerebrale

Prevenire i colpi apoplettici dovuti a emorragia cerebrale vuoI dire tenere sotto controllo l'ipertensione. Di tanto in tanto capita di leggere in qualche articolo divulgativo, ma perfino sui periodici me­dici specializzati, che un certo rialzo della pressione è « permesso» o « non pericoloso », per cui è meglio non intervenire. lo, in base alle mie esperienze, ho però visto troppi pazienti con pressione moderatamente elevata, per esempio 170/95, che sono stati in seguito colpiti da gravi colpi apoplettici dovuti a emorragia cere­brale dopo aver rifiutato la terapia a causa degli effetti collaterali dei farmaci impiegati. Ora, se è vero che più è alta la pressione, maggiore è il rischio, anche una pressione da leggera a moderata non è priva di pericoli e non si dovrebbe lasciarla esente da tera­pia. Secondo la mia opinione, i valori di confine dovrebbero essere sempre normalizzati. Per fare questo però non è il caso di par­tire subito coi farmaci più potenti ai massimi dosaggi. Ecco invece che cosa raccomando personalmente. Per prima cosa accertarsi che l'ipertensione sia reale e che non ci si trovi di fronte alla « sindro­me del camice bianco », il fenomeno per cui la pressione risulta elevata solo nello studio del medico, ma è perfettamente normale in tutte.le altre circostanze. Se quindi vi dicono che avete la pres­sione alta, fatevela misurare più volte in luoghi diversi e in orari variabili della giornata. Oggi ci sono diversi apparecchietti auto­matici piuttosto precisi per la misurazione della pressione che non solo danno le letture ma forniscono anche i valori stampati. Pro­vatene uno anche voi, ma prima accertatevi che lo strumento sia preciso, confrontandolo con altri, compreso quello dello studio del vostro medico.

Se però la pressione risulta effettivamente elevata anche dopo diverse misurazioni, allora è tempo di agire, ma non passate subito ai farmaci a meno che i valori non siano pericolosamente alti, per esempio 200/110. Se siete in sovrappeso riducete le calorie (e l'al­col) e aumentate invece l'attività fisica. Riducete il consumo di sale. Assicuratevi che il vostro consumo di calcio sia adeguato. C'è infatti una relazione inversa tra calcio e pressione sanguigna. In altre parole, minore è il livello di calcio, maggiore è la pressione arteriosa. Ricordate che i prodotti lattiero-caseari ricchi di coleste­rolo e di grassi saturi sono anche ricchi di calcio, per cui se state cercando di ridurre il tasso di colesterolo, limitando il consumo di prodotti lattiero-caseari, potrete intégrare il consumo di calcio con le apposite compresse. Anche la carenza di potassio è stata impli­cata nei casi di ipertensione, perciò fate buon consumo di albi­cocche, prugne, banane e succo d'arancia, specialmente se prendete contemporaneamente dei diuretici.

Smettete di fumare. Abbinato all'ipertensione e ad alti livelli di colesterolo, il tabacco è letale per il sistema vascolare.

Provate il biofeedback e le altre tecniche di rilassamento. A volte possono servire.

Concedetevi cinque o sei settimane di tempo. Se dopo questo periodo la pressione non è scesa, è ora di passare ai farmaci. Ma non cominciate subito con l'artiglieria pesante. lo di solito inizio a prescrivere piccole dosi dei farmaci più leggeri, per poi aumen­tarle gradatamente, attenendomi sempre all'agente iniziale. Se la reazione continua a mancare, passo allora a un secondo, un terzo o a volte perfino a un quarto farmaco... sempre a bassi dosaggi. Parlando dei farmaci impiegati nella terapia dell'ipertensione avrete probabilmente sentito parlare dei loro effetti collaterali che, anche se a volte vengono esagerati, fondamentalmente sono veri. Questi agenti possono provocare un'ampia gamma di sintomi che vanno dalla secchezza delle fauci alla spossatezza più totale, dai brutti sogni all'eiaculazione retrograda (in cui il liquido seminale durante l'orgasmo finisce nella vescica urinaria invece che fuori dal pene), dall'intollerabile frequenza dell'impulso a orinare alla perdita del­l'impulso sessuale e alla capacità di erezione. La maggior parte di tali sintomi può però essere prevenuta scegliendo il farmaco giusto per ogni particolare paziente e somministrandolo al più basso do­saggio necessario. A volte per raggiungere questo risultato occor-. rono esami raffinati e molta pazienza, ma non conosco nessun uomo o donna la cui pressione troppo elevata non possa essere messa sotto controllo in modo efficace e senza troppi disagi. ~ importante tuttavia che non vi accostiate alla terapia antiipertensiva con paura e pregiudizi nei confronti dei farmaci. Buona parte degli effetti collaterali possono anche essere psicologici. Voi nella lotta contro l'ipertensione partite con due colpi di svantaggio e se pensate su­bito al peggio può capitare che la prima pillola vi metta subito KO, specialmente in campo sessuale.

Ogni medico affronta l'ipertensione con una tecnica diversa. lo di solito comincio col captopril, una sostanza che neutralizza la renina, responsabile di molti casi di ipertensione, o un betabloc­cante (Lopresor, Tenormin, Inderal). Poi, se necessario, aggiungo l'Apresolin o un diuretico. A proposito, di tutti i farmaci utilizzati nel trattamento dell'ipertensione, quelli che trovo causino meno problemi alla potenza sessuale maschile e all'impulso sessuale fem­minile sono l'Apresolin (idralazina), il Minipress (prazosin) e il Capoten (captopril). Sotto questo punto di vista la mia esperienza

è nettamente negativa invece con agenti come l'Aldomet e l'Al­dactone.

 

altre cause del colpo apoplettico

Esaminiamo ora alcune delle altre cause prevenibili di apoples­sia descritte prima. Ricordate Martin? Dopo il suo attacco car­diaco, non diagnosticato, in conseguenza del quale continuò per la sua strada invece di sottoporsi a cterapia, gli subentrò un aneuri­sma ventri colare, ma il paziente a causa dei meccanismi di diniego in lui connaturati, annullò tutti gli appuntamenti che aveva in stu­dio con me. Se li avesse mantenuti, io avrei senza dubbio indi­viduato l'aneurisma, che spesso non si forma che diverse settimane dopo l'infarto. La diagnosi può essere fatta in base all'esame cli­nico, può apparire evidente sull'elettrocardiogramma, inoltre l'aneu­risma è spesso visibile sulle radiografie al torace e la sua presenza può essere quasi sempre confermata dall'ecocardiogramma, tutti parametri che noi controlliamo sempre quando un paziente ha avu­to un attacco cardiaco. Se l'elettrocardiogramma avesse indicato la formazione di coaguli all'interno dell'aneurisma, io avrei prescritto a Martin degli anticoagulanti per impedire appunto quell'improv­viso e fatale colpo apoplettico che poi lia subìto.

Le altre cause di apoplessia, fibrillazione atriale con o senza valvulopatie, o distacco di coaguli o frammenti dalle valvole arti­ficiali. sono tutti stati che richiedono una terapia anticoagulante a lungo termine. Per quanto riguarda poi la fibrillazione atriale, tutti i dati oggi in nostro possesso indicano che gli individui affetti da questo disturbo del ritmo cardiaco dovrebbero sottoporsi comun­que a terapia anticoagulante, indipendentemente dalle cause. Un tempo si riteneva che i colpi apoplettici da embolia si verificassero solo in quei casi di fibrillazione atriale associati a valvulopatie, ma non è così. lo oggi sottopongo a trattamento anticoagulante quasi tutti i miei pazienti affetti da fibrillazione atriale cronica... quasi tutti coloro che lo accettano, cioè. Perché purtroppo c'è anche chi rifiuta .

La maggior parte delle valvole cardiache artificiali per etero­trapianto ricoperte da tessuti animali non richiedono anticoagu­lanti. lo somministro questi agenti per i primi tre mesi dopo l'in­tervento chirurgico. poi Ii interrompo. Ma, tanto per sicurezza. rac­comando di prendere l'Aspirina a lungo termine.

Per quei pazienti i cui colpi apoplettici o Ait sono dovuti a in­sorgenze prolungate di frequenze cardiache rapidissime (compresa la fibrillazione atriale, ma non necessariamente limitata a essa) o a periodi di « blocco cardiaco » (durante il quale la frequenza car: diaca è cosi lenta da risultare inadeguata a rifornire il cervello di sangue fresco), sono disponibili farmaci per coloro che rientrano nella prima categoria e un pacemaker cardiaco per chi rientra nella seconda.

Mi sembra di poter concludere qui questo capitolo sulla preven­zione dei colpi apoplettici. Ma per coloro che ne hanno subito uno e sono sopravvissuti con una paralisi residua, questo è l'inizio di un nuovo tipo di vita. Con le giuste prospettive e le nuove tecniche di riabilitazione, si può impedire che molti di tali pazienti finiscano i loro anni come vegetali. Ho visto spessissimo ritornare funzioni praticamente normali, nonostante le difficol.tà di movimento,. coor­dinazione o parola. Ho imparato, mentre mi prendevo cura di que­sti individui e ne osservavo le reazioni, che in effetti non si può mai predire il grado di ripresa di un paziente che ha avuto un colpo apoplettico. Moltissimo dipende dalla volo~tà di viver~ del paziente e dalla sua ostinazione a lottare. Non si tratta né di ba­nalità né di parole senza significato Provate a chiederlo a chiunque abbia subìto un colpo apoplettico o a qualsiasi medico che abbia curato casi del genere. Due sono le chiavi perché la vittima di un colpo apoplettico possa tornare a vivere con successo, indipen~en­temente dal suo grado di invalidità. La prima consiste in un vigo­roso, ottimistico e costante programma di riabilitazione fisica super­visionato e/o prescritto da specialisti. Il secondo aspetto del trat­tamento, che è altrettanto importante, è rappresentato dalla terapia antidepressiva. In pratica ogni paziente che ha subìto un colpo apo­plettico è stato sottoposto a una devastazi?ne psicologica che l'ha lasciato, a ragione, depresso. Tale depressione è soprattutto acuta nei primi tre o quattro mesi dopo l'evento. Stando alle mie esp.e­rienze, solo un positivo supporto psicologico abbinato a un ampio impiego di farmaci antidepressivi per tutto il tempo che è neces­sario, può prevenire il peggiore di tutti i possibili esiti ... la morte vivente della sfortunata vittima.

 

 

Gli aromi naturali sono più sani degli aromi artificiali?

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Un esame della legislazione europea fa capire quanto l'indicazione dell' origine naturale delle sostanze aroma­tizzanti sia considerata importante dai consumatori. Una direttiva del 1988 distingueva le sostanze aromatizzanti ammesse nell'industria alimentare in tre categorie:

(1)     gli aromi naturali

ottenuti con opportuni procedimenti fisici (comprese la distil­lazione e l'estrazione con solventi) oppure con procedimenti enzimatici o microbiologici a partire da una materia di ori­gine vegetale o animale allo stato naturale o previa trasforma­zione per il consumo umano con procedimenti tradizionali di preparazione di prodotti alimentari (comprese l'essiccazione, la torrefazione e la fermentazione);

(2)     gli aromi naturali identici

ottenuti per sintesi chimica o isolati a mezzo di procedimenti chimici e chimicamente identici a una sostanza naturalmente presente in un prodotto di origine vegetale o animale descritto al punto 1;

(3)     gli aromi (artificiali)

ottenuti per sintesi chimica, ma non identici chimicamente a una sostanza naturalmente presente in una materia di origine vegetale o animale.

L'Unione europea però ha cambiato di recente la classifica­zione, in considerazione del fatto che il termine «naturale identico» viene considerato fonte di con­fusione dal consumatore. L'uso del termine «naturale» quindi dovrebbe essere riservato a quegli aromatizzanti che sono ottenuti unicamente da fonti naturali.

Per i tossicologi non c'è ragione di aspettarsi una differente tossicirà tra aromi naturali, naturali identici e artificiali, e tutti devono essere valutati secondo le stesse procedure, indipen­dentemente da come sono stati prodotti."

Il nuovo regolamento europeo, approvato nel dicembre del 2008, distingue quindi soltanto tra «aromi naturali» e i generici «aromi», che includono sia sostanze identiche a quelle presenti in natura sia quelle inventate dai chimici. La vanillina sintetica dunque, pur essendo chimicamente indistinguibile da quella presente nella vaniglia, è classifi­cata in una categoria diversa."

La distinzione delle molecole in naturali e non naturali è quindi basata su criteri culturali, economici, filosofici, anche psicologici se vogliamo, ma non certo chimici.

Il chimico è in grado di sintetizzare molecole che non sono mai esistite in natura. Se alzate gli occhi da questa

pagina e guardate un po' in giro non avrete difficoltà a individuare sostanze sintetiche mai esistite in natura: dalla plastica a certi coloranti alle fibre di alcuni capi di vestia­rio. Tuttavia non esiste alcun motivo per considerare que­ste molecole come «innaturali» e, in qualche modo, più pericolose o da guardare con sospetto. La tossicità di una molecola non dipende assolutamente dal procedimento utilizzato per sintetizzarla ma solo dalle sue caratteristiche intrinseche.

 

 

Zucchero, melassa, miele. lo zucchero di canna è migliore dello zucchero raffinato?

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Lo zucchero di canna è al 99,9% saccarosio. Il saccarosio, il comune zucchero da tavola, viene estratto sia dalla canna da zucchero sia dalla barbabietola. La molecola è esattamente la stessa, indistinguibile da parte del nostro corpo.

Lo zucchero grezzo è ricco di minerali? Certamente 100 grammi di zucchero grezzo contengono fino a 35 volte più minerali rispetto allo zucchero raffinato. Ma la quantità totale è irrilevante anche per 100 grammi, e non è che noi mangiamo 100 grammi di zucchero al giorno! Ad esempio 100 grammi di zucchero grezzo contengono 133 mg. di potassio, ma in cento grammi di zucchero, una quantità che se ingerita fa malissimo alla salute. E se anche mangiassimo un etto di zucchero grezzo, avremmo assunto meno potassio di una piccolo pezzo di banana (100 grammi di banana contengono 358 milligrammi.)

Campagne allarmistiche mettono in guardia dal fatto che lo zucchero raffinato, essendo estratto chimicamente, contiene pericolosi residui della lavorazione, come l'anidride solforosa. A parte il fatto che l'anidride solforosa è alquanto innocua a piccole dosi, e viene ampiamente utilizzata come conservante "naturale" degli alimenti, la sua presenza nello zucchero raffinato è in tracce infinitesimali.

Certe volte si dice che melassa e miele sono più "ricchi" di minerali. Ma vale lo stesso discorso che per lo zucchero di canna: si tratta di due composti ricchi di fruttosio e saccarosio, che sono zuccheri semplici, che vengono assorbiti troppo velocemente dal sangue e provocano un picco glicemico che può danneggiare le cellule del pancreas che producono insulina. Anche per miele e melassa vale quindi il discorso sullo zucchero di canna: non ci si può arricchire di minerali assumendo quantità rilevanti di miele e melassa: si può solo prendere il diabete. E' la stessa storia dei succhi di frutta commerciali al mirtillo che contengono il 50% di zucchero saccarosio: salvi la retina ma diventi diabetico.